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giovedì 2 febbraio 2012

Adorno

La tecnica
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"Benché alieno dalla matematica, Bacone ha saputo cogliere esattamente l'animus della scienza successiva. Il felice connubio a cui egli pensa fra l'intelletto umano e la natura delle cose è di tipo patriarcale; L'intelletto che vince la superstizione deve comandare alla natura disincantata, il sapere che è potere non conosce limiti né nell'asservimento delle creature né nella sua docile acquiescenza ai signori del mondo [...] i re non dispongono della tecnica più direttamente di quanto ne dispongono i mercanti, essa è democratica come il sistema economico in cui si sviluppa: la tecnica è l'essenza di questo sapere"
Adorno e Horkheimer

Postato da: giacabi a 21:43 | link | commenti
adorno, horkheimer

 L'illuminismo
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L'illuminismo nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l'obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni, ma la terra interamente illuminata splende all'insegna di una trionfale sventura, gli uomini pagano l'accrescimento del loro potere con l'estraniazione da ciò su cui lo esercitano. L'Illuminismo si rapporta alle cose come il dittatore agli uomini, che conosce in quanto è in grado di manipolarli. Ogni tentativo di spezzare la costrizione naturale spezzando la natura, cade tanto più profondamente nella coazione naturale: è questo il corso della civiltà europea" ».
Adorno da: Dialettica dell'Illuminismo  

Postato da: giacabi a 14:42 | link | commenti
illuminismo, adorno

martedì, 04 novembre 2008
L’amicizia
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Sei amato solo dove puoi mostrarti debole senza provocare in risposta la fuga.
T. W. Adorno

Postato da: giacabi a 14:06 | link | commenti
amicizia, adorno

domenica, 20 luglio 2008
L’arte  moderna
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Il compito attuale dell’arte è di introdurre caos nell’ordine

Theodor W. Adorno (1903-1969),
Minima moralia

Postato da: giacabi a 11:21 | link | commenti
adorno

mercoledì, 26 settembre 2007
Il senso religioso
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l’arte promette ciò
che non c’è, annuncia obbiettivamente
(e per quanto manchevolmente) la pretesa
che tale non-esistente, in quanto si
mostra, debba ancora essere possibile.
L’inestinguibile anelito al bello […] è
l’anelito all’adempimento della promessa”.
Ma è la promessa di un non esistente
e quindi “niente garantisce che
l’arte mantenga la sua promessa obbiettiva.
[Nell’arte] vi è menzogna, nella
misura in cui essa manca di produrre la
possibilità da essa stessa prodotta come
apparenza, e la manca proprio per questo
(Theodor W. Adorno, “Teoria Estetica”,
Einaudi, Torino 1975, p. 9)

Postato da: giacabi a 21:52 | link | commenti
adorno, senso religioso

domenica, 23 settembre 2007
La filosofia
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Per finire. La filosofia, quale solo potrebbe giustificarsi al cospetto della disperazione, è il tentativo di considerare tutte le cose come si presenterebbero dal punto di vista della redenzione. La conoscenza non ha altra luce che non sia quella che emana dalla redenzione sul mondo: tutto il resto si esaurisce nella ricostruzione a posteriori e fa parte della tecnica. Si tratta di stabilire prospettive in cui il mondo si dissesti, si estranei, riveli le sue fratture e le sue crepe, come apparirà un giorno, deformato e manchevole, nella luce messianica. Ottenere queste prospettive senza arbitrio e violenza, dal semplice contatto con gli oggetti, questo, e questo soltanto, è il compito del pensiero. È la cosa piú semplice di tutte, poiché lo stato attuale invoca irresistibilmente questa conoscenza, anzi, perché la perfetta negatività, non appena fissata in volto, si converte nella cifra del suo opposto. Ma è anche l'assolutamente impossibile, perché presuppone un punto di vista sottratto, sia pure di un soffio, al cerchio magico dell'esistenza, mentre ogni possibile conoscenza, non soltanto dev'essere prima strappata a ciò che è per riuscire vincolante, ma, appunto per ciò, è colpita dalla stessa deformazione e manchevolezza a cui si propone di sfuggire. Il pensiero che respinge piú appassionatamente il proprio condizionamento per amore dell'incondizionato, cade tanto piú inconsapevolmente, e quindi piú fatalmente, in balía del mondo. Anche la propria impossibilità esso deve comprendere per amore della possibilità. Ma rispetto all'esigenza che cosí gli si pone, la stessa questione della realtà o irrealtà della redenzione diventa pressoché indifferente.                            Th. Adorno Minima moralia


Postato da: giacabi a 13:58 | link | commenti
adorno

sabato, 22 settembre 2007
La verità
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DOMANDA: Il nostro termine "verità" proviene dal latino veritas. Anche il termine greco alètheia viene tradotto con "verità". Si tratta realmente dello stesso concetto espresso con due parole di origine diversa o dietro questa duplicità di forme c'è una differenza di significati?

Da qualche tempo mi vado occupando, anche etimologicamente, di queste cose. Quando vado a tradurre Platone trovo il termine "alètheia", che è il termine con cui gli antichi intendevano la verità. Andando poi al fondo a vedere la cosa, trovo tradotto "alètheia" con "veritas", cominciando da Cicerone e dai traduttori latini. Mi sono reso conto che, se Platone li avesse sentiti, si sarebbe arrabbiato moltissimo.. Infatti il nostro termine "veritas" non vuol dire affatto quello che era, per i greci, la verità.
Alètheia, senza voler fare nessun accenno ad Heidegger, viene da lanthano che vuol dire "coprire". Da lanthano proviene Lete, che è il fiume dell'oblio, il fiume che copre. Alètheia, con l'alfa privativo, è il contrario di ciò che si copre: è ciò che si scopre nel giudizio.
Nel nostro ambito latino, veritas è un termine che proviene dalla zona balcanica e dalla zona slava, e vuol dire tutt'altro che verità. Vuol dire, in origine, "fede"; fede nel significato più ampio della parola, tant'è vero che in russo ad esempio vara vuol dire fede. Tutti noi sappiamo benissimo che l'anello della fede si chiama anche la vera, proprio perché questa origine balcanica, slava è penetrata fino da noi: la vera è la fede.
Andando avanti nello studio, ci si rende conto che ci troviamo di fronte ad una doppia verità. In ciò che diceva Averroè, che parlava di "doppia verità", vi è una sottilissima visione storica e critico-filologica del significato di verità.
Qual è la doppia verità? Da un lato la verità di fatto è ciò in cui ho fede, per cui l'assumo come vera senza nessuna riflessione critica: questa è la nostra veritas.
L'altra verità è quella che Leibniz - altrettanto dotto - aveva chiamato la "verità di ragione", per la quale sufficit la ragione; la ragion sufficiente, distinta dalla verità di fatto.
Francesco Adorno



Postato da: giacabi a 21:02 | link | commenti
verità, adorno

giovedì, 12 luglio 2007
La Verità
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"La verità è inseparabile dall'illusione che un giorno dalle figure e dai simboli dell'apparenza possa emergere, nonostante tutto, libera da ogni traccia d'apparenza, l'immagine reale della salvezza".
T. W. Adorno, (1903-1969) Minima moralia. Meditazioni sulla vita sofferta, Ed. Einaudi, Torino 1979


Postato da: giacabi a 15:59 | link | commenti
verità, adorno

venerdì, 30 marzo 2007
La scomparsa del dono

Gli uomini disapprendono l'arte del dono. C'è qualcosa
di assurdo e di incredibile nella violazione del principio
di scambio: anche i bambini squadrano diffidenti
il donatore, come se il regalo non fosse che un trucco
per vendere loro spazzole o sapone. In compenso si
esercita la charity, la beneficienza amministrata, che
tampona programmaticamente le ferite visibili della società.
Nel suo esercizio organizzato l'impulso umano
non ha più il minimo posto: anzi la donazione è necessariamente
congiunta all'umiliazione, attraverso la
distribuzione, il calcolo esatto dei bisogni, in cui il beneficiato
viene trattato come un oggetto (...)
La vera felicità del dono è tutta nell'immaginazione della
felicità del destinatario: e ciò significa scegliere, impiegare
tempo, uscire dai propri binari, pensare l'altro
come un soggetto: il contrario della smemoratezza. Di
tutto ciò quasi nessuno è più capace. Nel migliore dei
casi uno regala ciò che desiderebbe per sé, ma di qualità
leggermente inferiore. La decadenza del dono si
esprime nella penosa invenzione degli articoli da regalo,
che presuppongono già che non si sappia cosa
regalare, perché, in realtà, non si ha nessuna voglia di
farlo. Queste merci sono irrelate come i loro acquirenti:
fondi di magazzeno sin dal primo giorno.
Lo stesso vale per la riserva della sostituzione, che
praticamente significa: ecco qui il tuo regalo, fanne
quello che vuoi; se non ti va, per me è lo stesso;
prenditi qualcosa in cambio. Rispetto all'imbarazzo dei
soliti regali, questa pura fungibilità è ancora relativamente
più umana, in quanto almeno consente all'altro
di regalarsi quello che vuole: però siamo agli antipodi
del dono. Di fronte alla grande massa di beni accessibili
anche al povero, la decadenza del dono potrebbe
lasciarci indifferenti. Ma anche se, nell'abbondanza,
il dono fosse diventato superfluo, continuerebbero
a soffrire della sua mancanza quelli che
non donano più.
T. W. Adorno

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