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L'ira partorisce odio: e dall'odio nascono il dolore e il timore.
(Sant'Agostino)
L'ira partorisce odio: e dall'odio nascono il dolore e il timore.
Postato da: giacabi a 18:47 |
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agostino
Bisogna amare Dio e il prossimo
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(S. Agostino, dai "Trattati su Giovanni", 17).
Postato da: giacabi a 19:23 |
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agostino, amore
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Noi viviamo in contemporanea tre tempi: il presente del passato, che è la storia;
il presente del presente, che è la visione;
il presente del futuro, che è l'attesa.
(Sant'Agostino
Postato da: giacabi a 11:39 |
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agostino
La felicità
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In
qual modo dunque si cerca la felicità? Attraverso il ricordo, quasi che
avendola dimenticata mi ricordi della dimenticanza; o per una naturale
tendenza a conoscerla come una cosa ignota, non mai conosciuta? Non è
proprio la felicità che tutti vogliono, che nessuno, nessuno non vuole?
Come l'hanno conosciuta per desiderarla tanto? Dove l'hanno vista per
amarla tanto? E non so come, ma in una qualche misura noi l'abbiamo. Se l'uomo non la conoscesse in un modo qualsiasi, non avrebbe il desiderio della felicità, ed è invece certissimo che la vuole. Essa
è dunque conosciuta da tutti, e tutti, se si potessero interrogare con
un termine comune se vogliono essere felici, tutti risponderebbero
affermativamente senza ombra di esitazione. Ciò non potrebbe accadere se
la cosa significata da quella parola non fosse conservata nella
memoria.
Sant'Agostino, da Confessioni, libro X, cap.XX
grazie a:annina
Postato da: giacabi a 15:08 |
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felicità, agostino
L'amicizia
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“L'amico si cerca a lungo, si trova a stento e si conserva con difficoltà. In questo mondo***
sono necessarie solo due cose: la salute e un amico; queste
le cose di grande importanza, quelle che non dobbiamo trascurare.
Preziosi gli amici, ma come conoscerne il cuore?
Se ci angustiasse la povertà, se ci addolorasse il lutto, ci rendesse inquieti un malanno fisico, ci
rattristasse l'esilio, ci tormentasse qualche altra calamità, ma ci fossero vicine delle persone buone
che sapessero non solo godere con quelli che godono, ma anche piangere con quelli che piangono,
che sapessero rivolgere parole di sollievo e conversare amabilmente, allora verrebbero lenite in
grandissima parte le amarezze, alleviati gli affanni, superate le avversità.
Nel caso invece che sovrabbondassero le ricchezze, che non ci capitasse nessuna perdita di figli o
del coniuge, che fossimo sempre sani di corpo, che abitassimo nella patria preservata da sciagure,
ma convivessero con noi individui perversi fra i quali non ci fosse nessuno di cui fidarci e da cui
non dovessimo temere e sopportare inganni, frodi, ire, discordie, insidie, non è forse vero che tutti
questi beni diventerebbero amari e insopportabili e che nessuna gioia o dolcezza proveremmo in
essi? Così in tutte le cose umane nulla è caro all'uomo senza un amico.
Ma quanti se ne trovano di così fedeli, da poterci fidare con sicurezza riguardo all'animo e alla
condotta in questa vita? Nessuno conosce un altro come conosce sé stesso: eppure nessuno è tanto
noto nemmeno a sé stesso da poter essere sicuro della propria condotta del giorno dopo. Perciò,
benché molti si facciano conoscere dai loro frutti e alcuni arrechino veramente letizia al prossimo
col vivere bene, altri afflizione col vivere male, tuttavia, a causa dell'ignoranza e dell'incertezza
degli animi umani, molto giustamente l'Apostolo ci ammonisce a non condannare alcuno prima del
tempo, finché non venga il Signore e illumini i segreti delle tenebre e sveli i pensieri del cuore e
allora ognuno riceverà lode da Dio.
Sant’Agostino
Postato da: giacabi a 14:21 |
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amicizia, agostino
L'AMICIZIA
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(Cicerone)
Togliere l'amicizia dalla vita è come togliere il sole dal mondo. (Cicerone)
Nessuno può essere veramente amico dell'uomo se non è innanzi tutto amico della verità
. (Sant'Agostino)
Più dolce di tutte le ricchezze della vita è l'amicizia.
(S. Agostino)
Senza amici nessuno sceglierebbe di vivere, anche se avesse tutti gli altri beni
(Aristotele)
Non c'è deserto peggiore che una vita senza amici: l'amicizia moltiplica i beni e ripartisce i mali. (Gracian)
L'amicizia raddoppia le gioiee divide a metà le sofferenze. (Bacone)
Per un amico fedele, non c'è prezzo, non c'è peso per il suo valore. (Siracide)
Un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova, trova un tesoro. (Siracide)
Postato da: giacabi a 09:33 |
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amicizia, agostino
LA PRIMA VIA E' L'UMILTA',
LA SECONDA L'UMILTA',
LA TERZA L'UMILTA',
E QUANTE VOLTE ME LO CHIEDERAI,
TANTE VOLTE RISPONDERO' LA STESSA COSA..
LA SECONDA L'UMILTA',
LA TERZA L'UMILTA',
E QUANTE VOLTE ME LO CHIEDERAI,
TANTE VOLTE RISPONDERO' LA STESSA COSA..
non perché non ci siano altri precetti da dire, ma perché se l'umiltà non precede, accompagna e segue ogni buona azione che facciamo, se non la teniamo come primo proposito, se non la guardiamo come compagna di cammino, se non ci tiene a bada con il suo comando, rischiamo che quando godiamo di una buona azione, la superbia ci toglie ogni cosa di mano.
Gli altri vizi si possono temere nel peccato, ma la superbia va temuta soprattutto quando facciamo il bene, perché il bene che facciamo non lo perdiamo per la ricerca della lode.
Come il famoso retore Demostene, interrogato su quale fosse il primo precetto per la retorica, rispose: la pronuncia; e interrogato sul secondo, rispose: ancora la pronuncia, e sul terzo, ancora la pronuncia. Così se mi interroghi sui precetti della religione cristiana io ti risponderò che solo l'umiltà libera, anche ci fosse bisogno di parlare di altre cose.
E per insegnare questa umiltà il Signore nostro Gesù Cristo si è umiliato. E contro la sua umiliazione alza la testa quella specie di “ignorantissima scienza”, che è la filosofia del mondo.
S.Agostino
Postato da: giacabi a 14:41 |
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agostino
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I TUOI PIEDI SONO IL TUO AMORE.ABBI DUE PIEDI, NON ESSERE ZOPPO.
Cosa sono i due piedi a tua disposizione?
Sono i due precetti dell'amore, di Dio e del prossimo.
Con questi piedi corri verso Dio, avvicinati a lui.
Perché è stato lui a esortarti a correre, ed egli con la sua luce vi ha inondati,
in modo che possiate seguirlo magnificamente e divinamente.
S.Agostino
Postato da: giacabi a 20:22 |
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agostino, amore
Gli uomini buoni
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Gli uomini buoni in questa vita danno agli altri non poche consolazioni.***
Se la povertà angoscia, se l'esilio rattrista, se qualsiasi altra calamità fa soffrire,
ci siano sempre persone buone che non sanno solo ridere con chi ride,
ma anche piangere con chi piange, e sanno anche parlare e ascoltare con attenzione.
In questo modo le difficoltà si addolciscono,
le situazioni gravi hanno un po' di respiro e le avversità vengono superate.
Tutto questo lo opera in loro e per mezzo di loro Colui che col suo Spirito li ha resi buoni.
Al contrario, se pure ci sono le ricchezze in abbondanza,
se non si perde nessuna persona cara,
se non si hanno problemi di salute,
se si abita sicuri nella propria patria,
ma si abbiano vicino persone cattive, in cui non si sa che fiducia riporre,
e da cui ci si può aspettare solo discordie, tranelli, inganni, frodi, liti,
non diventano forse amare tutte le cose buone che si hanno,
e non c'è in esse né gioia né dolcezza?
Così in tutte le cose umane.
Sant'Agostino
Postato da: giacabi a 23:04 |
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agostino
BISOGNA USCIRE DALLA SACRESTIE.
MA COME?
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Qui
lo spiego partendo da un pensiero di Dostoevskij e da uno di S.
Agostino. Per arrivare al grande cardinale Newman che afferma: “La
Chiesa E’ necessariamente un partito”. Se non capiamo questo …“I cattolici sono stati determinanti” nell’esito dei referendum, come dice orgogliosamente l’Azione cattolica?
O così hanno tradito la dottrina sociale della Chiesa e vanno verso il suicidio come argomenta Luigi Amicone (con il suicidio aggiuntivo dell’ethos pubblico come aggiunge Pietro De Marco)?
Alcune realtà del mondo cattolico sottolineano festosamente il “risveglio” dell’ impegno per il bene comune.
Ma un volantino di Comunione e liberazione invita saggiamente “ad essere meno ingenui sul potere salvifico della politica”.
Al tempo stesso bisogna rispondere all’appello del Papa e dei vescovi che chiamano i cattolici all’impegno politico.
Come si vede una situazione in cui è difficilissimo orientarsi e capire, tanto per i semplici cristiani che per gli addetti ai lavori.
Cosa sta succedendo nel mondo cattolico? E cosa accadrà con i nuovi scenari politici?
CHE FARE?
Si può parlare ancora di unità dei cattolici? E su cosa, come e dove? O si torna alla diaspora? C’è il rischio della subalternità culturale degli anni Settanta? C’è in vista una Dc di ricambio? O forse è meglio puntare su più partiti?
O addirittura su un movimento cattolico che lavori nella società, dove sono nati tutti i movimenti che oggi condizionano i partiti?
Negli ambienti della Cei si valorizza molto la relazione di Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica, al X Forum del “Progetto culturale” dedicato ai 150 anni del’Unità d’Italia.
Ornaghi invita i cattolici a “tornare ad essere con decisione ‘guelfi’ ”, spiegando: “abbiamo sempre più bisogno di una visione politica dalle radici e dalle qualità genuinamente e coerentemente ‘cattoliche’ ”.
Quel tornare decisamente “guelfi” per Ornaghi significa che i cattolici devono rivendicare la radice cattolica dell’italianità e devono affermare che “rispetto ad altre ‘identità’ culturali che sono state protagoniste della storia unitaria (…) disponiamo di idee più appropriate alla soluzione dei problemi del presente. E siamo ancora dotati di strumenti d’azione meno obsoleti o improvvisati”.
Affermazioni importanti, ma che dovrebbero essere spiegate nel dettaglio, sostanziate e anche discusse. In ogni caso affermazioni di cui ancora non si vede la conseguenza pratica, fattuale. Così le domande aumentano.
Solo che rispondere direttamente ad esse è impossibile perché – quando si parla della Chiesa – bisogna partire da altro, da una questione che sembra esterna ed è di natura teologica. Tutti la danno per scontata, ma non lo è.
Riguarda la natura stessa del fatto cristiano e la concezione della Chiesa. E’ su questo che non c’è chiarezza dentro lo stesso mondo cattolico. E da qui deriva poi la confusione sulle scelte storiche.
IL CUORE DI TUTTO
Provo a riassumere con due citazioni quella che a me pare la strada giusta. La prima è di Dostoevskij:
“Molti pensano che sia sufficiente credere nella morale di Cristo per essere cristiano. Non la morale di Cristo, né l’insegnamento di Cristo salveranno il mondo, ma precisamente la fede in ciò, che il Verbo si è fatto carne”.
Il grande scrittore russo qui coglie il punto: i cristiani non portano nel mondo anzitutto un “supplemento d’anima”, un richiamo etico, una concezione della politica o del Paese o una cultura. Queste sono conseguenze.
Portano anzitutto un fatto, un corpo misterioso, umano e divino, un popolo che è anche – di per sé – un soggetto politico che ha cambiato e cambia la storia.
A conferma vorrei richiamare una pagina memorabile di sant’Agostino rivolto ai “pelagiani”, cioè coloro che degradavano il cristianesimo a una costruzione umana, a un proprio sforzo morale:
“Questo è l’orrendo e occulto veleno del vostro errore: che pretendiate di far consistere la grazia di Cristo nel suo esempio, e non nel dono della sua Persona”.
Leggendo questi due grandi autori cristiani si capisce ciò che insegna la tradizione cristiana: il gesto più potente di cambiamento del mondo – per i cristiani – è la Messa.
Più potente di eserciti, poteri finanziari, stati e rivoluzioni, perché è l’irrompere di Dio fatto uomo nella storia, l’atto con cui Dio prende su di sé tutto il Male e lo sconfigge, liberando gli uomini.
Ma non capirebbe nulla di cristianesimo chi credesse che la messa sia solo quel famoso rito domenicale. No.
Per il popolo cristiano la messa, da quel 7 aprile dell’anno 30 in cui il Salvatore fu crocifisso, non è mai finita: è una sinfonia la cui ultima nota coinciderà con la trasfigurazione dell’intero universo.
Quell’evento abbraccia tutta la giornata e tutta la vita, tutta la realtà, tutta la storia e tutto il cosmo. E li cambia.
“LA CHIESA E’ UN PARTITO”
Non a caso uno dei più grandi pensatori cattolici moderni, il cardinal Newman afferma che la Chiesa stessa “è” un partito:
“Strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito.
Può essere un partito trionfante o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano e che è dotato, per il suo latente carattere divino, di enorme forza ed influenza fino alla fine dei tempi.
Fin dall’inizio fu concessa stabilità non solo alla mera dottrina del Vangelo, ma alla società stessa fondata su tale dottrina; fu predetta non solo l’indistruttibilità del cristianesimo, ma anche quella dell’organismo tramite cui esso doveva essere manifestato al mondo.
Così il Corpo Ecclesiale è un mezzo divinamente stabilito per realizzare le grandi benedizioni evangeliche”.
E’ tanto vero ciò che dice Newman che la Chiesa è stata la più grande forza di cambiamento della storia: ha letteralmente costruito civiltà (tutte le “istituzioni” del mondo moderno, dagli ospedali alle università, dalla democrazia al diritto internazionale, fino al progresso scientifico-tecnologico-commerciale, sono nate nell’alveo cattolico).
Perfino quel sacro Romano Impero che ha generato l’Europa e poi partiti, dal partito guelfo del medioevo alle Democrazie cristiane del novecento (il nostro stesso Paese è stato letteralmente salvato dalla Dc che gli ha garantito libertà, unità e prosperità nell’Europa dei totalitarismi).
C’è chi ha cercato e cerca di impedire in ogni modo ai cristiani di esprimersi e costruire. Lo hanno fatto i totalitarismi moderni e le ideologie degli anni Settanta che pure in Italia pretendevano di zittire violentemente i cattolici.
Ma anche una certa cultura laica occidentale oggi prova a delegittimare la presenza dei cattolici.
Ancora Newman scriveva:
“Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove.
E’ vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo.
I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, nelle corti dei re o tra le varie moltitudini.
E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la Verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli”.
IL PROBLEMA
La cosa peggiore però è quando il sale diventa scipito, cioè quando sono i cattolici stessi a escludersi, a rinchiudersi nelle sacrestie o ad andare a ruota delle ideologie mondane più forti.
Dunque la Chiesa deve avere una sola preoccupazione: che (anche nei seminari e nelle facoltà teologiche) si annunci davvero il fatto cristiano nella sua verità e integralità, che nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti lo si viva in tutte le sue dimensioni (la cultura, la carità e la missione) alla sequela del Papa.
Che non si lasci solo Radio Maria a fornire ai semplici cristiani l’aiuto per un giudizio cristiano sulla realtà. Che il popolo cristiano si veda e illumini la vita pubblica.
Antonio Socci
Da “Libero”, 19 giugno 2011
Postato da: giacabi a 21:52 |
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chiesa, socci, newman, agostino
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Sei
tu, Signore, che mi giudichi; ed anche se nessun uomo sa le cose
dell’uomo fuorché lo spirito dell’uomo che è in lui, c’è tuttavia
qualche cosa nell’uomo che non lo conosce nemmeno lo spirito dell’uomo
che pur è in lui. Tu invece, che l’hai creato, conosci tutto ciò che è
in lui. Ed io, che mi umilio davanti a Te stimandomi terra e cenere, so
tuttavia qualche cosa di te che, invece, di me ignoro.(Sant’Agostino, Le confessioni, 10,5)
Postato da: giacabi a 07:11 |
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agostino
Postato da: giacabi a 09:09 |
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natale, agostino
Preghiera
O Dio, allontanarsi da te significa cadere. Rivolgersi a te significa alzarsi. Rimanere in te significa avere durata nella sicurezza. O Dio, abbandonarti significa morire. Ritornare a te significa svegliarsi a nuova vita. Dimorare in te significa vivere
(S. Agostino).
Postato da: giacabi a 23:09 |
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preghiere, agostino
Agostino,
santo e civilizzatore
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Di Francesco Agnoli del 31/01/2010 in Storia,
Leggendo
recentemente gli scritti e la vita di Agostino, mi sono reso conto di
quanto la storia d’Europa debba al cristianesimo, in ogni senso. I
santi, infatti, non sono, come si potrebbe pensare, uomini di Dio, di
preghiera, di carità, e nulla più. Sono stati, in ogni tempo e in ogni
paese, anche grandi civilizzatori; “umanisti” ben più straordinari
dei filologi di età rinascimentale; personaggi storicamente ben più
influenti degli Alessandro Magno, dei Cesare e dei Napoleone.
Checchè
ne pensino i giudici di Strasburgo, non c’è quasi nulla di
significativo, di duraturo, nella nostra storia, che non sia sorto
all’ombra della croce: l’arte, le cattedrali, le scuole, gli ospedali
d’Europa, l’idea di eguaglianza, di dignità umana…hanno origine e
fondamento lì, in quell’uomo-Dio appeso ad un legno, segno di
Speranza, di vittoria sulla morte e sul peccato, della Misericordia di
Dio. Segno che ha suscitato imitatori potenti, uomini straordinari,
santi insomma che sarebbe giusto non relegare solo all’interno degli
studi teologici. Agostino, come dicevo, ne è una delle tante
dimostrazioni.
Siamo nell’Africa romana del
V secolo e il vescovo di Ippona parla ai suoi concittadini del
Vangelo, e insegna loro un nuovo modo di vivere, di vedere i rapporti
tra le persone, di pensare. Le ragazze africane si sposano a 12 o 13 anni, come è consuetudine anche nel resto dell’Impero? Agostino le invita a “riflettere bene”: “Non vi impegnate troppo presto”, dice loro. Sposatevi più tardi, più liberamente.
Il matrimonio all’epoca è soprattutto questione dei genitori, e in
specie dei padri? L’intervento dei genitori non è di diritto divino,
spiega Agostino, altrimenti Adamo sarebbe stato presentato ad Eva da
suo padre! Così si batte perché il matrimonio nasca dal mutuo consenso
degli sposi, i veri ministri del sacramento. L’adulterio del maschio è
tollerato, ritenuto del tutto normale, dalla legge e dall’opinione
pubblica? Agostino si scaglia contro l’infedeltà degli uomini: “Le mogli si conservano caste e gli uomini non ne sono capaci?”, chiede con enfasi. E aggiunge: “Coloro
che non intendono essere fedeli alle loro spose (e sono tanti)
vorrebbero che io non parlassi di questo argomento. Ma io ne parlerò,
che vi piaccia o no”.
I figli delle relazioni extraconiugali vengono spesso abbandonati e molti bambini esposti e lasciati morire? Agostino
si batte contro l’aborto e contro ogni forma di abbandono degli
infanti, ricordando che il matrimonio fedele garantisce anche nei
confronti dei figli. Nella società del tempo esistono enormi differenze e ingiustizie sociali? Agostino invita alla giustizia, all’elemosina, a riconoscere il bisogno dei fratelli. Biasima duramente l’usura, e lo sfruttamento, rammentando che l’avidità non è mai sazia: “La coppa non basta mai, devono bere al fiume”.
Ricorda che la libertà del cristiano è “libertà dall’avere”, dal desiderio smodato di possedere beni materiali. I ricchi possiedono e sfruttano molti schiavi? Agostino
si batte perché il matrimonio tra schiavi, ignorato dal diritto
romano, sia riconosciuto, e gli schiavi abbiano finalmente diritto
alla loro famiglia; condanna i padroni che approfittano sessualmente
delle schiave, utilizzandole come oggetto di piacere e ricordando loro
che si tratta di un peccato mortale dinnanzi a Dio. In uno dei suoi sermoni enumera i
trattamenti iniqui cui gli schiavi sono sottoposti: descrive le
botte, i ferri, i marchi sulla carne, protesta contro la disumanità
della vendita degli schiavi, ricorda che nessun uomo è inferiore “per
natura”, ed invita i cristiani ad affrancarli. Per incoraggiarli
spiega addirittura, nelle prediche, quali sono le pratiche per
l’affrancamento, reso più facile dagli imperatori cristiani: “Tu vuoi
affrancare il tuo schiavo. Conducilo per mano in chiesa. Si fa
silenzio. Viene letto il tuo atto di affrancamento oppure tu esprimi
la tua intenzione in altro modo. Tu affermi di dare la libertà, perché
si è dimostrato fedele in tutto nei tuoi confronti. Egli poi straccia
l’atto d’acquisto”.
La
gente della sua epoca si diverte nei circhi, coi giochi gladiatori, e
batte le mani quando un uomo viene ucciso, quando un condannato viene
sventrato dalle belve, quando un gladiatore si dimostra spietato? Agostino dice ai suoi fedeli che tutto ciò è immorale e disumano.
I
funerali pagani sono caratterizzati da sontuosi banchetti e da
vivande versate di continuo sulla tomba dei defunti, per placarli e
tenerli buoni? Agostino invita a pregare per i propri
morti, che però non hanno alcun bisogno di essere ancora nutriti col
cibo dei terrestri: si facciano i banchetti funebri per i poveri che
muoiono di fame, piuttosto che gettare il cibo e le bevande sotto
terra! Moltissime
persone sono superstizione, ricorrono all’astrologia, come faceva
anche lui da giovane, ai sortilegi, al malocchio? Agostino insegna a
non credere che la libertà dell’uomo è schiacciata dal volere degli
astri e dei maghi e a non ricorrere agli indovini: “Cosa
vogliono sapere? Sempre la stessa cosa: in che giorno intraprendere un
viaggio. Quando seminare? Mi sposerò entro l’anno? Sarò felice in
amore? Vi viene detto se vincerete alle corse, se avete scommesso sul
colore giusto, quanto tempo vi resta da vivere”, cosa fare quando “un
cane o un sasso si mette tra voi due”, quando affrontare il mare e
quando seminare. Non ci credete, intima Agostino, “è ridicolo regolare la propria vita in base agli almanacchi”. Ecco,
così un santo insegna al suo popolo l’eguaglianza evangelica, la
dignità umana, persino il giusto atteggiamento rispetto alla natura,
alle stelle, alla libertà!
Il Foglio 19 novembre 2009
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Postato da: giacabi a 21:15 |
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agostino
Il primato di Pietro
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È
stato detto e scritto che almeno fino al VI secolo nella Chiesa nessuno
riconosceva alcun potere primaziale, giurisdizionale e spirituale al
Papa. Scorrendo i testi degli antichi autori ecclesiastici scopriamo che non è vero.
Clemente Romano, in nome della Chiesa di Roma, spedì una lettera alla comunità di Corinto intorno al 95 d.C., quindi circa sessant'anni dopo la morte di Gesù,
venticinque dopo quella di Pietro: in ogni caso una lettera più antica,
o tutt'al più contemporanea, della stessa Apocalisse di Giovanni! In
questa lettera il suo autore era consapevole di essere responsabile dell'intera Chiesa,
ed esortava con autorità i renitenti ad ascoltare i presbiteri e a fare
penitenza (c. 57). Pur riconoscendo che la lettera non contiene un
esplicito insegnamento sul primato, è lecito domandarsi: perché mai il
vescovo della città di Roma si sentì in dovere di scrivere ai Corinti,
nella certezza di essere ascoltato? Perché mai ai sediziosi Corinti scrisse il vescovo di Roma e non il più prossimo patriarca di Antiochia o di Gerusalemme?
Come mai i Corinti conservarono gelosamente questa lettera, tanto che è
giunta fino a noi, se non furono certi che con Clemente parlò Pietro, e
con Pietro Cristo?
Ignazio di Antiochia, successore proprio di Pietro nella sede vescovile di Antiochia e condannato ad essere sbranato dalle belve sotto il regno di Traiano (98-117), innalzò, con la forma solenne del saluto a lei rivolto, la comunità di Roma al di sopra delle altre. In quel saluto egli annunciò due volte che essa ha la presidenza, termine questo che esprime rapporto di superiore ad inferiore (cfr. Magn. 61). Scrivendo ai Romani aggiunse:
« Non vi darà ordini come Pietro e Paolo » (Rom. 4,3)
e riferendosi alla lettera di Clemente più sopra citata, disse:
« Voi ammaestrate gli altri » (Rom. 3,1).
Ireneo di Lione (130-202) definì la chiesa di Roma come « la più grande, la più antica e la più conosciuta di tutte le Chiese »,
attribuendole esplicitamente la preminenza su tutte le altre. Se si
vuol conoscere la vera fede, disse, è sufficiente individuare la
dottrina di questa sola Chiesa com'è stata tramandata dalla successione
dei suoi vescovi:
« Ma poiché sarebbe troppo lungo in un volume come questo, enumerare le successioni di tutte le chiese, prenderemo
la chiesa più grande, più antica e nota a tutti, fondata e stabilita in
Roma dai due gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo; mostreremo che la
tradizione che essa ha ricevuto dagli apostoli e l'insegnamento che ha
annunciato agli uomini sono pervenuti fino a noi attraverso la
successione dei vescovi. E ciò sarà a confusione di tutti coloro
che, in qualsiasi maniera, sia per compiacenza verso se stessi, sia per
vana gloria, sia per accecamento o per falso giudizio, costituiscono dei
raggruppamenti illegittimi. Poiché è con
questa chiesa a causa appunto dell'alta sua preminenza (propter
potentiorem principalitatem) che deve stare d'accordo ogni Chiesa, vale a dire tutti i fedeli che sono nell'universo, poiché in essa è stata conservata sempre la tradizione apostolica dai fedeli che sono ovunque. » (Adv. haer. III,3,2)
È
decisivo che a questo punto Ireneo enumeri tutti i vescovi romani che
si sono succeduti dopo Pietro e fino ai suoi giorni, quindi fino ad Eleuterio (175-189), e concluda con queste parole:
« In
questo ordine e attraverso questa successione sono pervenute fino a noi
la tradizione che è nella Chiesa a partire dagli Apostoli, e la
predicazione della verità. »
Di
fatto basterebbe già questa citazione per confutare la tesi di cui
parlavamo sopra, ma non si tratta della presa di posizione di un unico
vescovo, bensì della fede di tutta una chiesa in questo stesso periodo.
Fra il 154 e il 165 venne a Roma Policarpo di Smirne per trattare con Papa Aniceto (154-167) sulla data di Pasqua (Eusebio di Cesarea, H. E., IV, 14, 1). Il vescovo Policrate di Efeso trattò per la stessa questione con il Papa Vittore I (189-199), che minacciò di scomunicare le comunità dell'Asia Minore perché si attenevano alla pratica quartodecimana (ivi V,24,1-9). Egisippo giunse a Roma sotto papa Aniceto per conoscere la vera tradizione della fede (ivi, IV, 22,3). Da notare che queste ultime tre citazioni sono tratte da Eusebio di Cesarea,
simpatizzante del movimento ariano, che non aveva alcun interesse a
queste sottolineature, se non fosse che in questo periodo era pacifico
il ruolo del Pontefice romano.
Tertulliano è da molti citano come antiromano, ma essi dimenticano che divenne tale nel vivo della polemica montanista (De pud. 21); subito dopo la conversione, invece, era un deciso sostenitore del primato:
« Se stai in Italia, tu hai Roma da cui anche a noi (in Africa) viene l'autorità » (De praescr. 36)
Cipriano di Cartagine,
martire nel 258, che come il suo precedente collega è indicato come
nemico di Roma, arrivò a riconoscere la Chiesa romana come « madre e radice della Chiesa cattolica » (Ep. 48,3), « locus Petri » (Ep. 55,8), « cathedra Petri » ed « ecclesia principalis, unde unitas sacerdotalis exorta est » (Ep. 59,14).
La verità è che nella controversia sul battesimo agli eretici entrò in pesante polemica con Roma, ed in particolare con papa Stefano I
(254-257): qui trovano sistemazione le sue affermazioni antiromane.
Papa Stefano I, nella detta controversia, affermò, secondo la
testimonianza del vescovo Firmiliano di Cesarea, di « possedere la successione di Pietro sul quale poggiano le fondamenta della Chiesa » (in Cipriano – sic! – Ep.75,17)
Sant'Ambrogio (337-397) disse poi:
« Dov'è Pietro, ivi è la Chiesa » (Enarr. in Ps. 40,30)
San Girolamo (che morì novantenne nel 419) scrisse a papa Damaso:
« Io so che la Chiesa è fondata su questa roccia », cioè Pietro (Ep. 15,2)
Sant'Agostino asserì della Chiesa romana che in essa:
« semper apostolicae cathedrae viguit principatus » (Ep. 43,3,7)
In altri frangenti ritenne decisivo l'intervento del papa Innocenzo I nella controversia pelagiana:
« Su questo argomento furono già inviati gli atti di due concili alla Sede Apostolica,
di cui abbiamo già pure ricevuto i responsi. La causa e finita (causa
finita est). Possa così aver fine l'errore » (Sermo 131, I, 10)
Papa Leone I (440-461) volle che nella sua persona fosse scorto e venerato colui « nel quale continua la cura di tutti i pastori con la protezione delle pecore che gli sono affidate » (Sermo 3,4), e in altro luogo:
« Come sussiste per sempre ciò che Pietro ha creduto in Cristo, così sussiste per sempre quello che Cristo ha istituito in Pietro » (Sermo 3,2)
Il legato pontificio Filippo davanti al Concilio di Efeso (449) fece una chiara dichiarazione circa il primato del papa:
« Questi, Pietro, vive ed opera fino ad oggi e per sempre nei suoi successori » (D. 112, 1824)
I Padri del Concilio di Calcedonia (451) risposero al "Tomus Leonis" con l'acclamazione:
« Pietro ha parlato per bocca di Leone! »
Pietro Crisologo, arcivescovo di Ravenna prima del 431, in una lettera ad Eutiche disse del vescovo di Roma:
« Il
beato Pietro, che continua a vivere e continua a presiedere sulla sua
cattedra episcopale, offre, a chi la cerca, la vera fede » (in Leone, Ep. 25,2).
Il primato dottrinale del papa emerse sin dall'antichità nella lotta e nella condanna di dottrine eretiche. Vittore I (189-199) e Zefirino (199-217) condannarono il montanismo. Callisto I (217-222) scomunicò Sabellio. Cornelio (251-253) condannò il novazianismo. Stefano I (254-257) respinse la ripetizione del battesimo agli eretici. Dionisio (259-268) scrisse contro le idee subordinazioniste del vescovo Dionigi di Alessandria. Innocenzo I (401-417) combatté il pelagianesimo. Celestino I (422-432), il nestorianesimo. Leone I (440-461), il monofisismo. Agatone (678-681), il monotelismo.
È
evidente che in questo studio ci siamo soffermati solo sugli autori
precedenti il VI secolo, per dimostrare che già dal periodo apostolico
la Chiesa ha sempre visto in Pietro e nei suoi successori i vicari di
Gesù Cristo. Ciò non toglie che anche dopo il VI secolo esistano prove
di questa certezza della Chiesa. I dubbi al contrario sono molto
recenti, appartengono all'età della Riforma, e non poteva essere
altrimenti. Le affermazioni dei Padri e la Scrittura, cioè la Parola di
Dio e non degli uomini, confortano invece la nostra fede nel primato
petrino.
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Postato da: giacabi a 20:14 |
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chiesa, agostino, sambrogio
Ragione e fede***«L’autorità della fede non è mai abbandonata dalla ragione, poiché è la ragione che considera a chi si debba credere»
(s. Agostino, De vera religione, 24, 45)
Grazie a: http://pubblicano.splinder.com/
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Postato da: giacabi a 09:20 |
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ragione, agostino
Più amiamo Dio
più diventiamo belli
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“Mediante l’amore noi diventiamo belli. Che
fa un uomo storpio con un volto sfigurato se ama una bella donna? Che
fa una donna brutta, storpia, nera se ama un uomo bello? Può forse
diventare bella in forza della virtù dell’amore? Aspetterà di
diventare bello? Ma aspettando diventerà ancora più brutto e più
vecchio di prima. Non c’è via d’uscita, non puoi dargli nessun
consiglio. Ma la nostra anima, fratello, è deforme per via della sua trasgressione: amando Dio diventa bella. Che amore è questo, che abbellisce l’amante. Ma Dio è sempre bello, mai deforme, mai mutevole. Egli, il bello, ci ha amati per primo, e in che condizioni ci ha amato? Nella condizione di essere brutti e deformi. Ma non per lasciarci brutti, bensì per mutarci e renderci, da brutti, belli. Ma come
diventiamo belli? Riamando colui che è eternamente bello. Quanto più
cresce in te l’amore, tanto più cresce la bellezza. Perché l’amore
stesso è la bellezza dell’anima”
AGOSTINO (Commento al Vangelo di Giovanni, 9, 9)
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Postato da: giacabi a 18:21 |
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agostino
Ama e fa ciò che vuoi
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Dunque, una volta per tutte, ti viene proposto un breve precetto: ama e fa ciò che vuoi.
Se tu taci, taci per amore: se tu parli, parla per amore; se tu
correggi, correggi per amore; se tu perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell'amore; e da questa radice non può derivare se non il bene
Sant'Agostino
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Postato da: giacabi a 22:07 |
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agostino
Per amare se stessi
***
È impossibile che chi ama Dio non ami se stesso; anzi sa amarsi, solo chi ama Dio.
(De moribus Ecclesiae Cath. I, 26.48).
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Postato da: giacabi a 09:31 |
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agostino
Chi è felice
***
"Felice chi ama Te, l'amico in Te, il nemico per Te. L'unico a non perdere mai un essere caro è colui che ha tutti cari in Chi non è mai perduto. E chi è costui, se non il Dio nostro, il Dio che creò il cielo e la terra e li colma, perché colmandoli li ha fatti?"
sant'Agostino
grazie a: Annina
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Postato da: giacabi a 15:07 |
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amicizia, felicità, agostino
Il modo per conoscere
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"non si conosce se non per amicizia”
Sant'Agostino
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Postato da: giacabi a 21:53 |
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agostino
***
" ... Non parlate d'amore al vostro fratello : amatelo ..."
( S. Agostino )
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Postato da: giacabi a 07:10 |
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agostino
Le ricchezze
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"
...Non è vero, fratelli, che le ricchezze siano poste sotto accusa. Voi
credete, quando vedete dei ricchi, che cattive siano le ricchezze. Non le ricchezze sono cattive, ma loro: le ricchezze, anzi, sono un dono di Dio.
Mettile in mano al giusto e vedrai quanto bene si farà. Si può dire
forse che il vino sia cattivo per il fatto che qualcuno si ubriaca? Se
l'oro lo metti in mano a un avaro, per accrescere quanto già possiede,
non esiterà a compiere qualche scelleratezza. Metti l'oro in mano al
giusto e vedrai come lo distribuirà, come lo spartirà, come alleggerirà
le sofferenze di quanti potrà. Perciò non le ricchezze, ma chi usa male
le ricchezze è cattivo..."
( Sant'Agostino , Commento al Salmo 32)
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Postato da: giacabi a 06:40 |
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agostino
Il Bene
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Ancora
una volta comprendi, se lo puoi. Tu non ami certamente che il bene,
perché buona è la terra con le alte montagne, le moderate colline, le
piane campagne; buono il podere ameno e fertile, buona la casa ampia e
luminosa, dalle stanze disposte con proporzioni armoniose; buoni i corpi
animali dotati di vita; buona l’aria temperata e salubre; buono il cibo
saporito e sano; buona la salute senza sofferenze né fatiche; buono il
viso dell’uomo, armonioso, illuminato da un soave sorriso e vivi colori;
buona l’anima dell’amico per la dolcezza di condividere gli stessi
sentimenti e la fedeltà dell’amicizia; buono l’uomo giusto e buone le
ricchezze, che ci aiutano a trarci d’impaccio; buono il cielo con il
sole, la luna e le stelle; buoni gli Angeli per la loro santa
obbedienza; buona la parola che istruisce in modo piacevole e
impressiona in modo conveniente chi l’ascolta; buono il poema armonioso
per il suo ritmo e maestoso per le sue sentenze. Che altro aggiungere?
Perché proseguire ancora nell’enumerazione? Questo è buono, quello è
buono. Sopprimi
il questo e il quello e contempla il bene stesso, se puoi; allora
vedrai Dio, che non riceve la sua bontà da un altro bene, ma è il Bene
di ogni bene.
S.AGOSTINO, De Trinitate, Libro VIII, § 3
grazie all’amico: orsobruno
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Postato da: giacabi a 14:16 |
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dio, agostino
L’ Alternativa dell’uomo
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“Colui che era Dio si è fatto uomo, facendo dèi coloro che erano uomini”
Sant’Agostino Serm.192,1
« Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell'uomo: perché l'uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio »
Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 19, 1: SC 211, 374 (PG 7, 939).
. « Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio »
Sant'Atanasio di Alessandria, De Incarnatione, 54, 3: SC 199, 458 (PG 25, 192).
« Unigenitus [...] Dei Filius, Suae divinitatis volens nos esse participes, naturam nostram assumpsit, ut homines deos faceret factus homo – L'unigenito [...] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei »
S.Tommaso d’Aquino Officium de festo corporis Christi, Ad Matutinas, In primo Nocturno, Lectio 1: Opera omnia, v. 29 (Parigi 1876) p. 336.
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Postato da: giacabi a 08:35 |
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agostino, stommaso, sireneo
L’ Alternativa dell’uomo
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«O sarai deiforme o sarai deforme.»Sant’Agostino |
Postato da: giacabi a 08:00 |
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agostino
La forma della risposta al desiderio dell'uomo è Cristo stesso
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“Questa forma non è, come tante volte noi pensiamo, una nostra immagine, un prodotto della nostra immaginazione. Al contrario: «Questa forma non è nient' altro che la grande Presenza stessa» (p. 195). Lo possiamo capire bene tra di noi: non è il regalo che una persona mi fa a costituire la pienezza di quella esigenza di felicità. Quello che mi rende felice è la persona stessa, non i regali che mi fa! «La contemplazione dei tuoi beni e certamente per noi un dolce ristoro -scrive Guglielmo di Saint-Thierry -, ma non ci sazia perfettamente senza la tua presenza» (La contemplazione di Dio, »Fabbri, Milano 1997, p. 65).
Sperare, perciò, non significa sperare "qualcosa" da Dio, ma Dio stesso. Per il fatto che la nostra natura e desiderio dell'Infinito, e Dio stesso l'unico in grado di riempire il desiderio.
Lo dice bene sant' Agostino: «Sia il Signore Dio tuo la tua speranza; non sperare qualcosa dal Signore Dio tuo, ma lo stesso tuo Signore sia la tua speranza. Molti [. ..] da Dio sperano qualcosa al di fuori di Lui; ma tu cerca lo stesso tuo Dio; [...] dimenticando le altre cose ricordati di Lui; lasciando indietro tutto, protenditi verso di Lui. [. ..] Egli sarà il tuo amore» (Enarrationes in Psalmos, 39, 7-8).
La
forma della risposta al desiderio dell'uomo è Cristo stesso. Cristo è
l'unica speranza di compimento della nostra affettività. Egli solo, Egli
solo è capace di esaudire, di soddisfare veramente l'affettività.
Null'altro e in grado di soddisfarci realmente. Perciò la speranza- è il compimento dell'affezione:
Egli solo e in grado di soddisfare, di compiere veramente l'affezione.
Per questo tutti gli uomini ardono dal desiderio; ma quanto è difficile
trovare uno che dica: «Di te ha sete l'anima mia» (Sal63,2)!
Cristo,
la Presenza riconosciuta dalla fede, è l'unico fondamento ragionevole
della speranza. Senza di Lui la vita dell'uomo e priva di un fondamento
su cui poggiare.
Invece e proprio cosi, perche -come conferma san Tommaso -«la vita dell'uomo consiste nell'affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione» (San Tommaso d'Aquino, Secunda secundae, in Summa Theologiae, q. 179, art. 1). La soddisfazione è nell'affezione a Cristo, la soddisfazione è Cristo.”
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Postato da: giacabi a 14:49 |
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desiderio, agostino, carron
Ciascuno è attratto dal proprio piacere
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«Nessuno può venire a me, se non è attirato dal Padre». Non pensare di essere attirato contro la tua volontà; l’animo è attirato per amore (…). Parlare di volontà è poco, occorre dire che si è attirati dal piacere. Ma che significa essere attirati dal piacere? «Godi nel Signore ed Egli soddisferà i desideri del tuo cuore». Vi è un piacere del cuore che gode di quel dolce pane celeste. Del resto se il poeta (Virgilio) ha potuto scrivere «Ciascuno è attratto dal proprio piacere» - e
non dice necessità, dice piacere; non dice obbligo, dice diletto -
quanto più noi dobbiamo dire che è attratto a Cristo l’uomo che gode
della verità, gode della felicità, gode della giustizia, della vita
eterna, dal momento che Cristo è proprio tutto questo.
(…) Se il cuore non avesse piaceri propri, che senso avrebbero queste
parole: «I figli degli uomini porranno la loro speranza all’ombra delle
tue ali, si inebrieranno dell’abbondanza della tua casa e tu li disseterai col torrente del tuo piacere; poiché è presso di te la fonte della vita e alla tua luce vedremo la luce»? Un
uomo innamorato comprende quello che dico. Un uomo che abbia desideri,
che abbia fame, uno che cammini in questo deserto e sia assetato, che
aneli alla sorgente della patria eterna, un uomo così sa di cosa sto
parlando. Se mi rivolgo invece a un uomo freddo, costui non capisce
neppure di che cosa parlo.
Sant’Agostino da: Commento al Vangelo di Giovanni
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Postato da: giacabi a 20:10 |
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agostino
Canta e cammina...
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«Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell’assemblea dei fedeli» (Sal 149,1).
Siamo stati esortati a cantare al Signore un canto nuovo. L’uomo
nuovo conosce il canto nuovo. Il cantare è segno di letizia e, se
consideriamo la cosa più attentamente, anche espressione di amore.
Colui dunque che sa amare la vita nuova, sa cantare anche il canto, nuovo.
Che
cosa sia questa vita nuova, dobbiamo saperlo in vista del canto nuovo.
Infatti tutto appartiene a un solo regno: l’uomo nuovo, il canto nuovo,
il Testamento nuovo. Perciò l’uomo nuovo canterà il canto nuovo e
apparterrà al Testamento nuovo.
O
fratelli, o figli, o popolo cristiano, o santa e celeste stirpe, o
rigenerati in Cristo, o creature di un mondo divino, ascoltate me, anzi
per mezzo mio: «Cantate al Signore un canto nuovo».
Ecco,
tu dici, io canto! Tu canti, certo, lo sento che canti: ma bada che la
tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce.
Cantate
con la voce, cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la
vostra condotta santa. «Cantate al Signore un canto nuovo».
Mi
domandate che cosa dovete cantare di colui che amate? Parlate senza
dubbio di colui che amate, di lui volete cantare. Cercate le lodi da
cantare? L’avete sentito: «Cantate al Signore un canto nuovo». Cercate
le lodi? «La sua lode risuoni nell’assemblea dei fedeli».
Il cantore diventa egli stesso la lode del suo canto.
Volete dire le lodi a Dio? Siate voi stessi quella lode che si deve dire, e sarete la sua lode, se vivrete bene.
Canta e cammina...
Cantiamo
qui l’alleluia, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo
cantare un giorno lassù, ormai sicuri. Perché qui siamo nell’ansia e
nell’incertezza.
E
tuttavia, o fratelli, pur trovandoci ancora in questa penosa
situazione, cantiamo l’alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni
male.
Anche
quaggiù tra i pericoli e le tentazioni, si canti dagli altri e da noi
l’alleluia. «Dio infatti è fedele; e non permetterà che siate tentati
oltre le vostre forze» (1 Cor 10, 13). Perciò anche quaggiù cantiamo
l’alleluia. L’uomo è ancora colpevole, ma Dio è fedele.
Ma
quando questo corpo sarà diventato immortale e incorruttibile, allora
cesserà anche ogni tentazione Ora infatti il nostro corpo è nella
condizione terrestre, mentre allora sarà in quella celeste. O felice
quell’alleluia cantato lassù! O alleluia di sicurezza e di pace! Là
nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi
risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però
nell’ansia, mentre lassù, nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri,
lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli
e pellegrini, lassù nella patria.
Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per
sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Canta
per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla
pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel
bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l’Apostolo,
alcuni che progrediscono sì, ma nel male. Se progredisci è segno che
cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede,
devi progredire nella santità. Canta e cammina!
SANT’AGOSTINO Discorso 34 sul Salmo 149
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Postato da: giacabi a 12:49 |
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agostino
NATALE DEL SIGNORE
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La verità è sorta dalla terra
“ Chiamiamo
Natale del Signore il giorno in cui la Sapienza di Dio si manifestò in
un bambino e il Verbo di Dio, che si esprime senza parole, emise vagiti
umani.
La divinità nascosta in quel bambino fu tuttavia indicata ai Magi per
mezzo di una stella e fu annunziata ai pastori dalla voce degli angeli.
Con questa festa che ricorre ogni anno celebriamo dunque il giorno in
cui si adempì la profezia: La verità è sorta dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo La Verità che è nel seno del Padre è sorta dalla terra perché fosse anche nel seno di una madre. La Verità che regge il mondo intero è sorta dalla terra perché fosse sorretta da mani di donna.
La Verità che alimenta incorruttibilmente la beatitudine degli angeli è
sorta dalla terra perché venisse allattata da un seno di donna. La Verità che il cielo non è sufficiente a contenere è sorta dalla terra per essere adagiata in una mangiatoia.
Con vantaggio di chi un Dio tanto sublime si è fatto tanto umile?
Certamente con nessun vantaggio per sé, ma con grande vantaggio per noi,
se crediamo. Ridestati, uomo: per te Dio si è fatto uomo. Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà . Per te, ripeto, Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre se lui non fosse nato nel tempo. Mai
saresti stato liberato dalla carne del peccato, se lui non avesse
assunto una carne simile a quella del peccato . Ti saresti trovato per
sempre in uno stato di miseria se lui non ti avesse usato misericordia.
Non saresti ritornato a vivere se lui non avesse condiviso la tua morte.
Saresti venuto meno se lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti
perduto se lui non fosse arrivato.”
Sant’Agostino dal discorso 185
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