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giovedì 2 febbraio 2012

Agostino

***

L'ira partorisce odio: e dall'odio nascono il dolore e il timore.
(Sant'Agostino)

Postato da: giacabi a 18:47 | link | commenti
agostino

lunedì, 03 ottobre 2011

Bisogna amare Dio e il prossimo
***

 
Sempre in ogni istante abbiate presente che bisogna amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l´anima, con tutta la mente; e il prossimo come se stessi (cf Mt 22,37.39). Questo dovete sempre pensare, meditare e ricordare, praticare e attuare. L´amore di Dio è il primo come comandamento, ma l´amore del prossimo è il primo come attuazione pratica. Colui che ti dà il comando dell´amore in questi due precetti, non ti insegna prima l´amore del prossimo, poi quello di Dio, ma viceversa. Siccome però Dio tu non lo vedi ancora, amando il prossimo ti acquisti il merito di vederlo; amando il prossimo purifichi l´occhio per poter vedere Dio, come chiaramente afferma Giovanni: Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? (cf 1Gv 4,20)... Tu dunque ama il prossimo e guardando dentro di te donde nasca questo amore, vedrai, per quanto ti è possibile, Dio... Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti conduce il cammino se non al Signore, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l´anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo l´abbiamo sempre con noi. Aiuta dunque il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a colui con il quale desideri rimanere
(S. Agostino, dai "Trattati su Giovanni", 17).

Postato da: giacabi a 19:23 | link | commenti
agostino, amore

mercoledì, 14 settembre 2011
***
Noi viviamo in contemporanea tre tempi:
il presente del passato, che è la storia;
il presente del presente, che è la visione;
il presente del futuro, che è l'attesa.

(Sant'Agostino

Postato da: giacabi a 11:39 | link | commenti
agostino

domenica, 07 agosto 2011
La felicità
***
In qual modo dunque si cerca la felicità? Attraverso il ricordo, quasi che avendola dimenticata mi ricordi della dimenticanza; o per una naturale tendenza a conoscerla come una cosa ignota, non mai conosciuta? Non è proprio la felicità che tutti vogliono, che nessuno, nessuno non vuole? Come l'hanno conosciuta per desiderarla tanto? Dove l'hanno vista per amarla tanto? E non so come, ma in una qualche misura noi l'abbiamo. Se l'uomo non la conoscesse in un modo qualsiasi, non avrebbe il desiderio della felicità, ed è invece certissimo che la vuole. Essa è dunque conosciuta da tutti, e tutti, se si potessero interrogare con un termine comune se vogliono essere felici, tutti risponderebbero affermativamente senza ombra di esitazione. Ciò non potrebbe accadere se la cosa significata da quella parola non fosse conservata nella memoria.
Sant'Agostino, da Confessioni, libro X, cap.XX
 
grazie a:Le mie foto

Postato da: giacabi a 15:08 | link | commenti
felicità, agostino

lunedì, 01 agosto 2011
L'amicizia
***
L'amico si cerca a lungo, si trova a stento e si conserva con difficoltà. In questo mondo
sono
necessarie solo due cose: la salute e un amico; queste
le cose di grande importanza, quelle che non
dobbiamo trascurare.

Preziosi gli amici, ma come conoscerne il cuore?
Se ci angustiasse la povertà, se ci addolorasse il lutto, ci rendesse inquieti un malanno fisico, ci
rattristasse l'esilio, ci tormentasse qualche altra calamità, ma ci fossero vicine delle persone buone
che sapessero non solo godere con quelli che godono, ma anche piangere con quelli che piangono,
che sapessero rivolgere parole di sollievo e conversare amabilmente, allora verrebbero lenite in
grandissima parte le amarezze, alleviati gli affanni, superate le avversità.
Nel caso invece che sovrabbondassero le ricchezze, che non ci capitasse nessuna perdita di figli o
del coniuge, che fossimo sempre sani di corpo, che abitassimo nella patria preservata da sciagure,
ma convivessero con noi individui perversi fra i quali non ci fosse nessuno di cui fidarci e da cui
non dovessimo temere e sopportare inganni, frodi, ire, discordie, insidie, non è forse vero che tutti
questi beni diventerebbero amari e insopportabili e che nessuna gioia o dolcezza proveremmo in
essi? Così in tutte le cose umane nulla è caro all'uomo senza un amico.
Ma quanti se ne trovano di così fedeli, da poterci fidare con sicurezza riguardo all'animo e alla
condotta in questa vita? Nessuno conosce un altro come conosce sé stesso: eppure nessuno è tanto
noto nemmeno a sé stesso da poter essere sicuro della propria condotta del giorno dopo. Perciò,
benché molti si facciano conoscere dai loro frutti e alcuni arrechino veramente letizia al prossimo
col vivere bene, altri afflizione col vivere male, tuttavia, a causa dell'ignoranza e dell'incertezza
degli animi umani, molto giustamente l'Apostolo ci ammonisce a non condannare alcuno prima del
tempo, finché non venga il Signore e illumini i segreti delle tenebre e sveli i pensieri del cuore e
allora ognuno riceverà lode da Dio.
Sant’Agostino

Postato da: giacabi a 14:21 | link | commenti
amicizia, agostino

lunedì, 25 luglio 2011

L'AMICIZIA
***
La prima legge dell'amicizia è di chiedere agli amici cose oneste, e di fare per gli amici cose oneste.
(Cicerone)
Togliere l'amicizia dalla vita è come togliere il sole dal mondo.
(Cicerone)
Nessuno può essere veramente amico dell'uomo se non è innanzi tutto amico della verità
. (Sant'Agostino)
Più dolce di tutte le ricchezze della vita è l'amicizia.
(S. Agostino)

Senza amici nessuno sceglierebbe di vivere, anche se avesse tutti gli altri beni
(Aristotele)

Non c'è deserto peggiore che una vita senza amici: l'amicizia moltiplica i beni e ripartisce i mali. (Gracian)

L'amicizia raddoppia le gioiee divide a metà le sofferenze. (Bacone)
Per un amico fedele, non c'è prezzo, non c'è peso per il suo valore. (Siracide)
Un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova, trova un tesoro. (Siracide)

Postato da: giacabi a 09:33 | link | commenti (1)
amicizia, agostino

venerdì, 22 luglio 2011
LA PRIMA VIA E' L'UMILTA',
LA SECONDA L'UMILTA',
LA TERZA L'UMILTA',
E QUANTE VOLTE ME LO CHIEDERAI,
TANTE VOLTE RISPONDERO' LA STESSA COSA.
.

non perché non ci siano altri precetti da dire, ma perché se l'umiltà non precede, accompagna e segue ogni buona azione che facciamo, se non la teniamo come primo proposito, se non la guardiamo come compagna di cammino, se non ci tiene a bada con il suo comando, rischiamo che quando godiamo di una buona azione, la superbia ci toglie ogni cosa di mano.
Gli altri vizi si possono temere nel peccato, ma la superbia va temuta soprattutto quando facciamo il bene, perché il bene che facciamo non lo perdiamo per la ricerca della lode.
Come il famoso retore Demostene, interrogato su quale fosse il primo precetto per la retorica, rispose: la pronuncia; e interrogato sul secondo, rispose: ancora la pronuncia, e sul terzo, ancora la pronuncia. Così se mi interroghi sui precetti della religione cristiana io ti risponderò che solo l'umiltà libera, anche ci fosse bisogno di parlare di altre cose.
E per insegnare questa umiltà il Signore nostro Gesù Cristo si è umiliato. E contro la sua umiliazione alza la testa quella specie di “ignorantissima scienza”, che è la filosofia del mondo.

S.Agostino

Postato da: giacabi a 14:41 | link | commenti
agostino

mercoledì, 20 luglio 2011
***
I TUOI PIEDI SONO IL TUO AMORE.
ABBI DUE PIEDI, NON ESSERE ZOPPO.
Cosa sono i due piedi a tua disposizione?
Sono i due precetti dell'amore, di Dio e del prossimo.
Con questi piedi corri verso Dio, avvicinati a lui.
Perché è stato lui a esortarti a correre, ed egli con la sua luce vi ha inondati,
in modo che possiate seguirlo magnificamente e divinamente.

 S.Agostino

Postato da: giacabi a 20:22 | link | commenti
agostino, amore

martedì, 19 luglio 2011
Gli uomini buoni
***
Gli uomini buoni in questa vita danno agli altri non poche consolazioni.
Se la povertà angoscia, se l'esilio rattrista, se qualsiasi altra calamità fa soffrire,
ci siano sempre persone buone che non sanno solo ridere con chi ride,
ma anche piangere con chi piange, e sanno anche parlare e ascoltare con attenzione.
In questo modo le difficoltà si addolciscono,
le situazioni gravi hanno un po' di respiro e le avversità vengono superate.
Tutto questo lo opera in loro e per mezzo di loro Colui che col suo Spirito li ha resi buoni.

Al contrario, se pure ci sono le ricchezze in abbondanza,
se non si perde nessuna persona cara,
se non si hanno problemi di salute,
se si abita sicuri nella propria patria,
ma si abbiano vicino persone cattive, in cui non si sa che fiducia riporre,
e da cui ci si può aspettare solo discordie, tranelli, inganni, frodi, liti,
non diventano forse amare tutte le cose buone che si hanno,
e non c'è in esse né gioia né dolcezza?
Così in tutte le cose umane.

Sant'Agostino

Postato da: giacabi a 23:04 | link | commenti (1)
agostino

domenica, 19 giugno 2011

BISOGNA USCIRE DALLA SACRESTIE.
MA COME?

***
19 giugno 2011 / In News
Qui lo spiego partendo da un pensiero di Dostoevskij e da uno di S. Agostino. Per arrivare al grande cardinale Newman che afferma: “La Chiesa E’ necessariamente un partito”. Se non capiamo questo …
 
“I cattolici sono stati determinanti” nell’esito dei referendum, come dice orgogliosamente l’Azione cattolica?
O così hanno tradito la dottrina sociale della Chiesa e vanno verso il suicidio come argomenta Luigi Amicone (con il suicidio aggiuntivo dell’ethos pubblico come aggiunge Pietro De Marco)?
Alcune realtà del mondo cattolico sottolineano festosamente il “risveglio” dell’ impegno per il bene comune.
Ma un volantino di Comunione e liberazione invita saggiamente “ad essere meno ingenui sul potere salvifico della politica”.
Al tempo stesso bisogna rispondere all’appello del Papa e dei vescovi che chiamano i cattolici all’impegno politico.
Come si vede una situazione in cui è difficilissimo orientarsi e capire, tanto per i semplici cristiani che per gli addetti ai lavori.
Cosa sta succedendo nel mondo cattolico? E cosa accadrà con i nuovi scenari politici?
CHE FARE?
Si può parlare ancora di unità dei cattolici? E su cosa, come e dove? O si torna alla diaspora? C’è il rischio della subalternità culturale degli anni Settanta? C’è in vista una Dc di ricambio? O forse è meglio puntare su più partiti?
O addirittura su un movimento cattolico che lavori nella società, dove sono nati tutti i movimenti che oggi condizionano i partiti?
Negli ambienti della Cei si valorizza molto la relazione di Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica, al X Forum del “Progetto culturale” dedicato ai 150 anni del’Unità d’Italia.
Ornaghi invita i cattolici a “tornare ad essere con decisione ‘guelfi’ ”, spiegando: “abbiamo sempre più bisogno di una visione politica dalle radici e dalle qualità genuinamente e coerentemente ‘cattoliche’ ”.
Quel tornare decisamente “guelfi” per Ornaghi significa che i cattolici devono rivendicare la radice cattolica dell’italianità e devono affermare che “rispetto ad altre ‘identità’ culturali che sono state protagoniste della storia unitaria (…) disponiamo di idee più appropriate alla soluzione dei problemi del presente. E siamo ancora dotati di strumenti d’azione meno obsoleti o improvvisati”.
Affermazioni importanti, ma che dovrebbero essere spiegate nel dettaglio, sostanziate e anche discusse. In ogni caso affermazioni di cui ancora non si vede la conseguenza pratica, fattuale. Così le domande aumentano.
Solo che rispondere direttamente ad esse è impossibile perché – quando si parla della Chiesa – bisogna partire da altro, da una questione che sembra esterna ed è di natura teologica. Tutti la danno per scontata, ma non lo è.
Riguarda la natura stessa del fatto cristiano e la concezione della Chiesa. E’ su questo che non c’è chiarezza dentro lo stesso mondo cattolico. E da qui deriva poi la confusione sulle scelte storiche.
IL CUORE DI TUTTO
Provo a riassumere con due citazioni quella che a me pare la strada giusta. La prima è di Dostoevskij:
“Molti pensano che sia sufficiente credere nella morale di Cristo per essere cristiano. Non la morale di Cristo, né l’insegnamento di Cristo salveranno il mondo, ma precisamente la fede in ciò, che il Verbo si è fatto carne”.
Il grande scrittore russo qui coglie il punto: i cristiani non portano nel mondo anzitutto un “supplemento d’anima”, un richiamo etico, una concezione della politica o del Paese o una cultura. Queste sono conseguenze.
Portano anzitutto un fatto, un corpo misterioso, umano e divino, un popolo che è anche – di per sé – un soggetto politico che ha cambiato e cambia la storia.
A conferma vorrei richiamare una pagina memorabile di sant’Agostino rivolto ai “pelagiani”, cioè coloro che degradavano il cristianesimo a una costruzione umana, a un proprio sforzo morale:
Questo è l’orrendo e occulto veleno del vostro errore: che pretendiate di far consistere la grazia di Cristo nel suo esempio, e non nel dono della sua Persona”.
Leggendo questi due grandi autori cristiani si capisce ciò che insegna la tradizione cristiana: il gesto più potente di cambiamento del mondo – per i cristiani – è la Messa.
Più potente di eserciti, poteri finanziari, stati e rivoluzioni, perché è l’irrompere di Dio fatto uomo nella storia, l’atto con cui Dio prende su di sé tutto il Male e lo sconfigge, liberando gli uomini.
Ma non capirebbe nulla di cristianesimo chi credesse che la messa sia solo quel famoso rito domenicale. No.
Per il popolo cristiano la messa, da quel 7 aprile dell’anno 30 in cui il Salvatore fu crocifisso, non è mai finita: è una sinfonia la cui ultima nota coinciderà con la trasfigurazione dell’intero universo.
Quell’evento abbraccia tutta la giornata e tutta la vita, tutta la realtà, tutta la storia e tutto il cosmo. E li cambia.
“LA CHIESA E’ UN PARTITO”
Non a caso uno dei più grandi pensatori cattolici moderni, il cardinal Newman afferma che la Chiesa stessa “è” un partito:
“Strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito.
Può essere un partito trionfante o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano e che è dotato, per il suo latente carattere divino, di enorme forza ed influenza fino alla fine dei tempi.
Fin dall’inizio fu concessa stabilità non solo alla mera dottrina del Vangelo, ma alla società stessa fondata su tale dottrina; fu predetta non solo l’indistruttibilità del cristianesimo, ma anche quella dell’organismo tramite cui esso doveva essere manifestato al mondo.
Così il Corpo Ecclesiale è un mezzo divinamente stabilito per realizzare le grandi benedizioni evangeliche”.
E’ tanto vero ciò che dice Newman che la Chiesa è stata la più grande forza di cambiamento della storia: ha letteralmente costruito civiltà (tutte le “istituzioni” del mondo moderno, dagli ospedali alle università, dalla democrazia al diritto internazionale, fino al progresso scientifico-tecnologico-commerciale, sono nate nell’alveo cattolico).
Perfino quel sacro Romano Impero che ha generato l’Europa e poi partiti, dal partito guelfo del medioevo alle Democrazie cristiane del novecento (il nostro stesso Paese è stato letteralmente salvato dalla Dc che gli ha garantito libertà, unità e prosperità nell’Europa dei totalitarismi).
C’è chi ha cercato e cerca di impedire in ogni modo ai cristiani di esprimersi e costruire. Lo hanno fatto i totalitarismi moderni e le ideologie degli anni Settanta che pure in Italia pretendevano di zittire violentemente i cattolici.
Ma anche una certa cultura laica occidentale oggi prova a delegittimare la presenza dei cattolici.
Ancora Newman scriveva:
Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove.
E’ vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo.
 I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, nelle corti dei re o tra le varie moltitudini.
E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la Verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli”.
IL PROBLEMA 
La cosa peggiore però è quando il sale diventa scipito, cioè quando sono i cattolici stessi a escludersi, a rinchiudersi nelle sacrestie o ad andare a ruota delle ideologie mondane più forti.  
Dunque la Chiesa deve avere una sola preoccupazione: che (anche nei seminari e nelle facoltà teologiche) si annunci davvero il fatto cristiano nella sua verità e integralità, che nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti  lo si viva in tutte le sue dimensioni (la cultura, la carità e la missione) alla sequela del Papa.
Che non si lasci solo Radio Maria a fornire ai semplici cristiani l’aiuto per un giudizio cristiano sulla realtà. Che il popolo cristiano si veda e illumini la vita pubblica.
Antonio Socci
Da “Libero”, 19 giugno 2011

Postato da: giacabi a 21:52 | link | commenti
chiesa, socci, newman, agostino

domenica, 22 maggio 2011
***
Sei tu, Signore, che mi giudichi; ed anche se nessun uomo sa le cose dell’uomo fuorché lo spirito dell’uomo che è in lui, c’è tuttavia qualche cosa nell’uomo che non lo conosce nemmeno lo spirito dell’uomo che pur è in lui. Tu invece, che l’hai creato, conosci tutto ciò che è in lui. Ed io, che mi umilio davanti a Te stimandomi terra e cenere, so tuttavia qualche cosa di te che, invece, di me ignoro.
(Sant’Agostino, Le confessioni, 10,5)

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sabato, 25 dicembre 2010
Buon Natale
***

La Verità che il cielo non è sufficiente a contenere è sorta dalla terra per essere adagiata in una mangiatoia. Con vantaggio di chi un Dio tanto sublime si è fatto tanto umile? Certamente con nessun vantaggio per sé, ma con grande vantaggio per noi, se crediamo.
(S. Agostino)

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natale, agostino

domenica, 22 agosto 2010

Preghiera

 
O Dio, allontanarsi da te significa cadere. Rivolgersi a te significa alzarsi.  Rimanere in te significa avere durata nella sicurezza. O Dio, abbandonarti significa morire. Ritornare a te significa svegliarsi a nuova vita. Dimorare in te significa vivere

(S. Agostino).

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preghiere, agostino

venerdì, 26 febbraio 2010

Agostino,
santo e civilizzatore
***
Di Francesco Agnoli del 31/01/2010  in Storia
Leggendo recentemente gli scritti e la vita di Agostino, mi sono reso conto di quanto la storia d’Europa debba al cristianesimo, in ogni senso. I santi, infatti, non sono, come si potrebbe pensare, uomini di Dio, di preghiera, di carità, e nulla più. Sono stati, in ogni tempo e in ogni paese, anche grandi civilizzatori; “umanisti” ben più straordinari dei filologi di età rinascimentale; personaggi storicamente ben più influenti degli Alessandro Magno, dei Cesare e dei Napoleone.
Checchè ne pensino i giudici di Strasburgo, non c’è quasi nulla di significativo, di duraturo, nella nostra storia, che non sia sorto all’ombra della croce: l’arte, le cattedrali, le scuole, gli ospedali d’Europa, l’idea di eguaglianza, di dignità umana…hanno origine e fondamento lì, in quell’uomo-Dio appeso ad un legno, segno di Speranza, di vittoria sulla morte e sul peccato, della Misericordia di Dio. Segno che ha suscitato imitatori potenti, uomini straordinari, santi insomma che sarebbe giusto non relegare solo all’interno degli studi teologici. Agostino, come dicevo, ne è una delle tante dimostrazioni.
Siamo nell’Africa romana del V secolo e il vescovo di Ippona parla ai suoi concittadini del Vangelo, e insegna loro un nuovo modo di vivere, di vedere i rapporti tra le persone, di pensare. Le ragazze africane si sposano a 12 o 13 anni, come è consuetudine anche nel resto dell’Impero? Agostino le invita a “riflettere bene”: “Non vi impegnate troppo presto”, dice loro. Sposatevi più tardi, più liberamente. Il matrimonio all’epoca è soprattutto questione dei genitori, e in specie dei padri? L’intervento dei genitori non è di diritto divino, spiega Agostino, altrimenti Adamo sarebbe stato presentato ad Eva da suo padre! Così si batte perché il matrimonio nasca dal mutuo consenso degli sposi, i veri ministri del sacramento. L’adulterio del maschio è tollerato, ritenuto del tutto normale, dalla legge e dall’opinione pubblica? Agostino si scaglia contro l’infedeltà degli uomini: “Le mogli si conservano caste e gli uomini non ne sono capaci?”, chiede con enfasi. E aggiunge: “Coloro che non intendono essere fedeli alle loro spose (e sono tanti) vorrebbero che io non parlassi di questo argomento. Ma io ne parlerò, che vi piaccia o no”.
I figli delle relazioni extraconiugali vengono spesso abbandonati e molti bambini esposti e lasciati morire? Agostino si batte contro l’aborto e contro ogni forma di abbandono degli infanti, ricordando che il matrimonio fedele garantisce anche nei confronti dei figli. Nella società del tempo esistono enormi differenze e ingiustizie sociali? Agostino invita alla giustizia, all’elemosina, a riconoscere il bisogno dei fratelli. Biasima duramente l’usura, e lo sfruttamento, rammentando che l’avidità non è mai sazia: “La coppa non basta mai, devono bere al fiume”.
Ricorda che la libertà del cristiano è “libertà dall’avere”, dal desiderio smodato di possedere beni materiali. I ricchi possiedono e sfruttano molti schiavi? Agostino si batte perché il matrimonio tra schiavi, ignorato dal diritto romano, sia riconosciuto, e gli schiavi abbiano finalmente diritto alla loro famiglia; condanna i padroni che approfittano sessualmente delle schiave, utilizzandole come oggetto di piacere e ricordando loro che si tratta di un peccato mortale dinnanzi a Dio. In uno dei suoi sermoni enumera i trattamenti iniqui cui gli schiavi sono sottoposti: descrive le botte, i ferri, i marchi sulla carne, protesta contro la disumanità della vendita degli schiavi, ricorda che nessun uomo è inferiore “per natura”, ed invita i cristiani ad affrancarli. Per incoraggiarli spiega addirittura, nelle prediche, quali sono le pratiche per l’affrancamento, reso più facile dagli imperatori cristiani: “Tu vuoi affrancare il tuo schiavo. Conducilo per mano in chiesa. Si fa silenzio. Viene letto il tuo atto di affrancamento oppure tu esprimi la tua intenzione in altro modo. Tu affermi di dare la libertà, perché si è dimostrato fedele in tutto nei tuoi confronti. Egli poi straccia l’atto d’acquisto”.
La gente della sua epoca si diverte nei circhi, coi giochi gladiatori, e batte le mani quando un uomo viene ucciso, quando un condannato viene sventrato dalle belve, quando un gladiatore si dimostra spietato? Agostino dice ai suoi fedeli che tutto ciò è immorale e disumano.
 I funerali pagani sono caratterizzati da sontuosi banchetti e da vivande versate di continuo sulla tomba dei defunti, per placarli e tenerli buoni? Agostino invita a pregare per i propri morti, che però non hanno alcun bisogno di essere ancora nutriti col cibo dei terrestri: si facciano i banchetti funebri per i poveri che muoiono di fame, piuttosto che gettare il cibo e le bevande sotto terra! Moltissime persone sono superstizione, ricorrono all’astrologia, come faceva anche lui da giovane, ai sortilegi, al malocchio? Agostino insegna a non credere che la libertà dell’uomo è schiacciata dal volere degli astri e dei maghi e a non ricorrere agli indovini: “Cosa vogliono sapere? Sempre la stessa cosa: in che giorno intraprendere un viaggio. Quando seminare? Mi sposerò entro l’anno? Sarò felice in amore? Vi viene detto se vincerete alle corse, se avete scommesso sul colore giusto, quanto tempo vi resta da vivere”, cosa fare quando “un cane o un sasso si mette tra voi due”, quando affrontare il mare e quando seminare. Non ci credete, intima Agostino, “è ridicolo regolare la propria vita in base agli almanacchi”. Ecco, così un santo insegna al suo popolo l’eguaglianza evangelica, la dignità umana, persino il giusto atteggiamento rispetto alla natura, alle stelle, alla libertà!
 Il Foglio 19 novembre 2009

Postato da: giacabi a 21:15 | link | commenti
agostino


 
 
Il primato di Pietro
***
È stato detto e scritto che almeno fino al VI secolo nella Chiesa nessuno riconosceva alcun potere primaziale, giurisdizionale e spirituale al Papa. Scorrendo i testi degli antichi autori ecclesiastici scopriamo che non è vero.
Clemente romano
Terzo successore di Pietro, governò la Chiesa fra il 92 e il 101, conobbe Paolo ed è citato in Fil 4,3. È pure detto martire, ma anche questo è incerto. È l'autore di una lettera indirizzata ai Corinti nel 95..
Clemente Romano, in nome della Chiesa di Roma, spedì una lettera alla comunità di Corinto intorno al 95 d.C., quindi circa sessant'anni dopo la morte di Gesù, venticinque dopo quella di Pietro: in ogni caso una lettera più antica, o tutt'al più contemporanea, della stessa Apocalisse di Giovanni! In questa lettera il suo autore era consapevole di essere responsabile dell'intera Chiesa, ed esortava con autorità i renitenti ad ascoltare i presbiteri e a fare penitenza (c. 57). Pur riconoscendo che la lettera non contiene un esplicito insegnamento sul primato, è lecito domandarsi: perché mai il vescovo della città di Roma si sentì in dovere di scrivere ai Corinti, nella certezza di essere ascoltato? Perché mai ai sediziosi Corinti scrisse il vescovo di Roma e non il più prossimo patriarca di Antiochia o di Gerusalemme? Come mai i Corinti conservarono gelosamente questa lettera, tanto che è giunta fino a noi, se non furono certi che con Clemente parlò Pietro, e con Pietro Cristo?
Ignazio di Antiochia, successore proprio di Pietro nella sede vescovile di Antiochia e condannato ad essere sbranato dalle belve sotto il regno di Traiano (98-117), innalzò, con la forma solenne del saluto a lei rivolto, la comunità di Roma al di sopra delle altre. In quel saluto egli annunciò due volte che essa ha la presidenza, termine questo che esprime rapporto di superiore ad inferiore (cfr. Magn. 61). Scrivendo ai Romani aggiunse:
« Non vi darà ordini come Pietro e Paolo » (Rom. 4,3)
e riferendosi alla lettera di Clemente più sopra citata, disse:
« Voi ammaestrate gli altri » (Rom. 3,1).
Ireneo di Lione (130-202) definì la chiesa di Roma come « la più grande, la più antica e la più conosciuta di tutte le Chiese », attribuendole esplicitamente la preminenza su tutte le altre. Se si vuol conoscere la vera fede, disse, è sufficiente individuare la dottrina di questa sola Chiesa com'è stata tramandata dalla successione dei suoi vescovi:
« Ma poiché sarebbe troppo lungo in un volume come questo, enumerare le successioni di tutte le chiese, prenderemo la chiesa più grande, più antica e nota a tutti, fondata e stabilita in Roma dai due gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo; mostreremo che la tradizione che essa ha ricevuto dagli apostoli e l'insegnamento che ha annunciato agli uomini sono pervenuti fino a noi attraverso la successione dei vescovi. E ciò sarà a confusione di tutti coloro che, in qualsiasi maniera, sia per compiacenza verso se stessi, sia per vana gloria, sia per accecamento o per falso giudizio, costituiscono dei raggruppamenti illegittimi. Poiché è con questa chiesa a causa appunto dell'alta sua preminenza (propter potentiorem principalitatem) che deve stare d'accordo ogni Chiesa, vale a dire tutti i fedeli che sono nell'universo, poiché in essa è stata conservata sempre la tradizione apostolica dai fedeli che sono ovunque. » (Adv. haer. III,3,2)
È decisivo che a questo punto Ireneo enumeri tutti i vescovi romani che si sono succeduti dopo Pietro e fino ai suoi giorni, quindi fino ad Eleuterio (175-189), e concluda con queste parole:
« In questo ordine e attraverso questa successione sono pervenute fino a noi la tradizione che è nella Chiesa a partire dagli Apostoli, e la predicazione della verità. »
Di fatto basterebbe già questa citazione per confutare la tesi di cui parlavamo sopra, ma non si tratta della presa di posizione di un unico vescovo, bensì della fede di tutta una chiesa in questo stesso periodo.
Fra il 154 e il 165 venne a Roma Policarpo di Smirne per trattare con Papa Aniceto (154-167) sulla data di Pasqua (Eusebio di Cesarea, H. E., IV, 14, 1). Il vescovo Policrate di Efeso trattò per la stessa questione con il Papa Vittore I (189-199), che minacciò di scomunicare le comunità dell'Asia Minore perché si attenevano alla pratica quartodecimana (ivi V,24,1-9). Egisippo giunse a Roma sotto papa Aniceto per conoscere la vera tradizione della fede (ivi, IV, 22,3). Da notare che queste ultime tre citazioni sono tratte da Eusebio di Cesarea, simpatizzante del movimento ariano, che non aveva alcun interesse a queste sottolineature, se non fosse che in questo periodo era pacifico il ruolo del Pontefice romano.
Tertulliano è da molti citano come antiromano, ma essi dimenticano che divenne tale nel vivo della polemica montanista (De pud. 21); subito dopo la conversione, invece, era un deciso sostenitore del primato:
« Se stai in Italia, tu hai Roma da cui anche a noi (in Africa) viene l'autorità » (De praescr. 36)
Cipriano di Cartagine, martire nel 258, che come il suo precedente collega è indicato come nemico di Roma, arrivò a riconoscere la Chiesa romana come « madre e radice della Chiesa cattolica » (Ep. 48,3), « locus Petri » (Ep. 55,8), « cathedra Petri » ed « ecclesia principalis, unde unitas sacerdotalis exorta est » (Ep. 59,14).
La verità è che nella controversia sul battesimo agli eretici entrò in pesante polemica con Roma, ed in particolare con papa Stefano I (254-257): qui trovano sistemazione le sue affermazioni antiromane. Papa Stefano I, nella detta controversia, affermò, secondo la testimonianza del vescovo Firmiliano di Cesarea, di « possedere la successione di Pietro sul quale poggiano le fondamenta della Chiesa » (in Cipriano – sic! – Ep.75,17)
Sant'Ambrogio (337-397) disse poi:
« Dov'è Pietro, ivi è la Chiesa » (Enarr. in Ps. 40,30)
San Girolamo (che morì novantenne nel 419) scrisse a papa Damaso:
« Io so che la Chiesa è fondata su questa roccia », cioè Pietro (Ep. 15,2)
Sant'Agostino asserì della Chiesa romana che in essa:
« semper apostolicae cathedrae viguit principatus » (Ep. 43,3,7)
In altri frangenti ritenne decisivo l'intervento del papa Innocenzo I nella controversia pelagiana:
« Su questo argomento furono già inviati gli atti di due concili alla Sede Apostolica, di cui abbiamo già pure ricevuto i responsi. La causa e finita (causa finita est). Possa così aver fine l'errore » (Sermo 131, I, 10)
Papa Leone I (440-461) volle che nella sua persona fosse scorto e venerato colui « nel quale continua la cura di tutti i pastori con la protezione delle pecore che gli sono affidate » (Sermo 3,4), e in altro luogo:
« Come sussiste per sempre ciò che Pietro ha creduto in Cristo, così sussiste per sempre quello che Cristo ha istituito in Pietro » (Sermo 3,2)
Il legato pontificio Filippo davanti al Concilio di Efeso (449) fece una chiara dichiarazione circa il primato del papa:
« Questi, Pietro, vive ed opera fino ad oggi e per sempre nei suoi successori » (D. 112, 1824)
I Padri del Concilio di Calcedonia (451) risposero al "Tomus Leonis" con l'acclamazione:
« Pietro ha parlato per bocca di Leone! »
Pietro Crisologo, arcivescovo di Ravenna prima del 431, in una lettera ad Eutiche disse del vescovo di Roma:
« Il beato Pietro, che continua a vivere e continua a presiedere sulla sua cattedra episcopale, offre, a chi la cerca, la vera fede » (in Leone, Ep. 25,2).
Il primato dottrinale del papa emerse sin dall'antichità nella lotta e nella condanna di dottrine eretiche. Vittore I (189-199) e Zefirino (199-217) condannarono il montanismo. Callisto I (217-222) scomunicò Sabellio. Cornelio (251-253) condannò il novazianismo. Stefano I (254-257) respinse la ripetizione del battesimo agli eretici. Dionisio (259-268) scrisse contro le idee subordinazioniste del vescovo Dionigi di Alessandria. Innocenzo I (401-417) combatté il pelagianesimo. Celestino I (422-432), il nestorianesimo. Leone I (440-461), il monofisismo. Agatone (678-681), il monotelismo.
È evidente che in questo studio ci siamo soffermati solo sugli autori precedenti il VI secolo, per dimostrare che già dal periodo apostolico la Chiesa ha sempre visto in Pietro e nei suoi successori i vicari di Gesù Cristo. Ciò non toglie che anche dopo il VI secolo esistano prove di questa certezza della Chiesa. I dubbi al contrario sono molto recenti, appartengono all'età della Riforma, e non poteva essere altrimenti. Le affermazioni dei Padri e la Scrittura, cioè la Parola di Dio e non degli uomini, confortano invece la nostra fede nel primato petrino.
 

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chiesa, agostino, sambrogio

lunedì, 15 febbraio 2010

Ragione e fede

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«L’autorità della fede non è mai abbandonata dalla ragione, poiché è la ragione che considera a chi si debba credere»

(s. Agostino, De vera religione, 24, 45)


 

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ragione, agostino

venerdì, 25 dicembre 2009

Più amiamo Dio
più diventiamo belli
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Mediante l’amore noi diventiamo belli. Che fa un uomo storpio con un volto sfigurato se ama una bella donna? Che fa una donna brutta, storpia, nera se ama un uomo bello? Può forse diventare bella in forza della virtù dell’amore? Aspetterà di diventare bello? Ma aspettando diventerà ancora più brutto e più vecchio di prima. Non c’è via d’uscita, non puoi dargli nessun consiglio. Ma la nostra anima, fratello, è deforme per via della sua trasgressione: amando Dio diventa bella. Che amore è questo, che abbellisce l’amante. Ma Dio è sempre bello, mai deforme, mai mutevole. Egli, il bello, ci ha amati per primo, e in che condizioni ci ha amato? Nella condizione di essere brutti e deformi. Ma non per lasciarci brutti, bensì per mutarci e renderci, da brutti, belli. Ma come diventiamo belli? Riamando colui che è eternamente bello. Quanto più cresce in te l’amore, tanto più cresce la bellezza. Perché l’amore stesso è la bellezza dell’anima”
AGOSTINO (Commento al Vangelo di Giovanni, 9, 9)

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agostino

martedì, 15 dicembre 2009

Ama e fa ciò che vuoi
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Dunque, una volta per tutte, ti viene proposto un breve precetto: ama e fa ciò che vuoi. Se tu taci, taci per amore: se tu parli, parla per amore; se tu correggi, correggi per amore; se tu perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell'amore; e da questa radice non può derivare se non il bene
Sant'Agostino

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agostino

domenica, 27 settembre 2009
Per amare se stessi
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È impossibile che chi ama Dio non ami se stesso; anzi sa amarsi, solo chi ama Dio.
(De moribus Ecclesiae Cath. I, 26.48).

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agostino

giovedì, 03 settembre 2009
Chi è felice
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"Felice chi ama Te, l'amico in Te, il nemico per Te. L'unico a non perdere mai un essere caro è colui che ha tutti cari in Chi non è mai perduto. E chi è costui, se non il Dio nostro, il Dio che creò il cielo e la terra e li colma, perché colmandoli li ha fatti?"

sant'Agostino
grazie a: Annina

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amicizia, felicità, agostino

sabato, 22 agosto 2009
Il modo per conoscere
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"non si conosce se non per amicizia”
Sant'Agostino

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agostino

sabato, 08 agosto 2009
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"  ... Non parlate d'amore al vostro fratello : amatelo ..."
( S. Agostino )


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agostino

Le ricchezze
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" ...Non è vero, fratelli, che le ricchezze siano poste sotto accusa. Voi credete, quando vedete dei ricchi, che cattive siano le ricchezze. Non le ricchezze sono cattive, ma loro: le ricchezze, anzi, sono un dono di Dio. Mettile in mano al giusto e vedrai quanto bene si farà. Si può dire forse che il vino sia cattivo per il fatto che qualcuno si ubriaca? Se l'oro lo metti in mano a un avaro, per accrescere quanto già possiede, non esiterà a compiere qualche scelleratezza. Metti l'oro in mano al giusto e vedrai come lo distribuirà, come lo spartirà, come alleggerirà le sofferenze di quanti potrà. Perciò non le ricchezze, ma chi usa male le ricchezze è cattivo..."

( Sant'Agostino , Commento al Salmo 32)



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agostino

lunedì, 06 aprile 2009
 Il Bene
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 Ancora una volta comprendi, se lo puoi. Tu non ami certamente che il bene, perché buona è la terra con le alte montagne, le moderate colline, le piane campagne; buono il podere ameno e fertile, buona la casa ampia e luminosa, dalle stanze disposte con proporzioni armoniose; buoni i corpi animali dotati di vita; buona l’aria temperata e salubre; buono il cibo saporito e sano; buona la salute senza sofferenze né fatiche; buono il viso dell’uomo, armonioso, illuminato da un soave sorriso e vivi colori; buona l’anima dell’amico per la dolcezza di condividere gli stessi sentimenti e la fedeltà dell’amicizia; buono l’uomo giusto e buone le ricchezze, che ci aiutano a trarci d’impaccio; buono il cielo con il sole, la luna e le stelle; buoni gli Angeli per la loro santa obbedienza; buona la parola che istruisce in modo piacevole e impressiona in modo conveniente chi l’ascolta; buono il poema armonioso per il suo ritmo e maestoso per le sue sentenze. Che altro aggiungere? Perché proseguire ancora nell’enumerazione? Questo è buono, quello è buono. Sopprimi il questo e il quello e contempla il bene stesso, se puoi; allora vedrai Dio, che non riceve la sua bontà da un altro bene, ma è il Bene di ogni bene.
S.AGOSTINO, De Trinitate, Libro VIII, § 3
grazie all’amico: orsobruno

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dio, agostino

domenica, 15 marzo 2009

L’ Alternativa dell’uomo
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 Colui che era Dio si è fatto uomo, facendo dèi coloro che erano uomini
Sant’Agostino Serm.192,1

« Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell'uomo: perché l'uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio »
Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 19, 1: SC 211, 374 (PG 7, 939).

. « Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio »
Sant'Atanasio di Alessandria, De Incarnatione, 54, 3: SC 199, 458 (PG 25, 192).

 « Unigenitus [...] Dei Filius, Suae divinitatis volens nos esse participes, naturam nostram assumpsit, ut homines deos faceret factus homo – L'unigenito [...] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei »
S.Tommaso d’Aquino Officium de festo corporis Christi, Ad Matutinas, In primo Nocturno, Lectio 1: Opera omnia, v. 29 (Parigi 1876) p. 336.

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agostino, stommaso, sireneo


L’ Alternativa dell’uomo
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 «O sarai deiforme o sarai deforme.»
Sant’Agostino

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agostino

sabato, 21 febbraio 2009
La forma della risposta al desiderio dell'uomo è Cristo stesso
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“Questa forma non è, come tante volte noi pensiamo, una nostra immagine, un prodotto della nostra immaginazione. Al contrario: «Questa forma non è nient' altro che la grande Presenza stessa» (p. 195). Lo possiamo capire bene tra di noi: non è il regalo che una persona mi fa a costituire la pienezza di quella esigenza di felicità. Quello che mi rende felice è la persona stessa, non i regali che mi fa! «La contemplazione dei tuoi beni e certamente per noi un dolce ristoro -scrive Guglielmo di Saint-Thierry -, ma non ci sazia perfettamente senza la tua presenza» (La contemplazione di Dio, »Fabbri, Milano 1997, p. 65).
Sperare, perciò, non significa sperare "qualcosa" da Dio, ma Dio stesso. Per il fatto che la nostra natura e desiderio dell'Infinito, e Dio stesso l'unico in grado di riempire il desiderio.
Lo dice bene sant' Agostino: «Sia il Signore Dio tuo la tua speranza; non sperare qualcosa dal Signore Dio tuo, ma lo stesso tuo Signore sia la tua speranza. Molti [. ..] da Dio sperano qualcosa al di fuori di Lui; ma tu cerca lo stesso tuo Dio; [...] dimenticando le altre cose ricordati di Lui; lasciando indietro tutto, protenditi verso di Lui. [. ..] Egli sarà il tuo amore» (Enarrationes in Psalmos, 39, 7-8).
La forma della risposta al desiderio dell'uomo è Cristo stesso. Cristo è l'unica speranza di compimento della nostra affettività. Egli solo, Egli solo è capace di esaudire, di soddisfare veramente l'affettività.
Null'altro e in grado di soddisfarci realmente. Perciò la speranza- è il compimento dell'affezione: Egli solo e in grado di soddisfare, di compiere veramente l'affezione. Per questo tutti gli uomini ardono dal desiderio; ma quanto è difficile trovare uno che dica: «Di te ha sete l'anima mia» (Sal63,2)!
Cristo, la Presenza riconosciuta dalla fede, è l'unico fondamento ragionevole della speranza. Senza di Lui la vita dell'uomo e priva di un fondamento su cui poggiare.
Invece e proprio cosi, perche -come conferma san Tommaso -«la vita dell'uomo consiste nell'affetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione» (San Tommaso d'Aquino, Secunda secundae, in Summa Theologiae, q. 179, art. 1). La soddisfazione è nell'affezione a Cristo, la soddisfazione è Cristo.”
Don Carron da: Pagina uno  Tracce di febbraio

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desiderio, agostino, carron

lunedì, 12 gennaio 2009
Ciascuno è attratto dal proprio piacere
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«Nessuno può venire a me, se non è attirato dal Padre». Non pensare di essere attirato contro la tua volontà; l’animo è attirato per amore (…). Parlare di volontà è poco, occorre dire che si è attirati dal piacere. Ma che significa essere attirati dal piacere? «Godi nel Signore ed Egli soddisferà i desideri del tuo cuore». Vi è un piacere del cuore che gode di quel dolce pane celeste. Del resto se il poeta (Virgilio) ha potuto scrivere «Ciascuno è attratto dal proprio piacere» - e non dice necessità, dice piacere; non dice obbligo, dice diletto - quanto più noi dobbiamo dire che è attratto a Cristo l’uomo che gode della verità, gode della felicità, gode della giustizia, della vita eterna, dal momento che Cristo è proprio tutto questo. (…) Se il cuore non avesse piaceri propri, che senso avrebbero queste parole: «I figli degli uomini porranno la loro speranza all’ombra delle tue ali, si inebrieranno dell’abbondanza della tua casa e tu li disseterai col torrente del tuo piacere; poiché è presso di te la fonte della vita e alla tua luce vedremo la luce»? Un uomo innamorato comprende quello che dico. Un uomo che abbia desideri, che abbia fame, uno che cammini in questo deserto e sia assetato, che aneli alla sorgente della patria eterna, un uomo così sa di cosa sto parlando. Se mi rivolgo invece a un uomo freddo, costui non capisce neppure di che cosa parlo.
Sant’Agostino da: Commento al Vangelo di Giovanni

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sabato, 27 dicembre 2008
Canta e cammina... 
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«Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell’assemblea dei fedeli» (Sal 149,1).
Siamo stati esortati a cantare al Signore un canto nuovo. L’uomo nuovo conosce il canto nuovo. Il cantare è segno di letizia e, se consideriamo la cosa più attentamente, anche espressione di amore.
Colui dunque che sa amare la vita nuova, sa cantare anche il canto, nuovo.
Che cosa sia questa vita nuova, dobbiamo saperlo in vista del canto nuovo. Infatti tutto appartiene a un solo regno: l’uomo nuovo, il canto nuovo, il Testamento nuovo. Perciò l’uomo nuovo canterà il canto nuovo e apparterrà al Testamento nuovo.
O fratelli, o figli, o popolo cristiano, o santa e celeste stirpe, o rigenerati in Cristo, o creature di un mondo divino, ascoltate me, anzi per mezzo mio: «Cantate al Signore un canto nuovo».
Ecco, tu dici, io canto! Tu canti, certo, lo sento che canti: ma bada che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce.
Cantate con la voce, cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa. «Cantate al Signore un canto nuovo».
Mi domandate che cosa dovete cantare di colui che amate? Parlate senza dubbio di colui che amate, di lui volete cantare. Cercate le lodi da cantare? L’avete sentito: «Cantate al Signore un canto nuovo». Cercate le lodi? «La sua lode risuoni nell’assemblea dei fedeli».
Il cantore diventa egli stesso la lode del suo canto.
Volete dire le lodi a Dio? Siate voi stessi quella lode che si deve dire, e sarete la sua lode, se vivrete bene.
Canta e cammina...
Cantiamo qui l’alleluia, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare un giorno lassù, ormai sicuri. Perché qui siamo nell’ansia e nell’incertezza.
E tuttavia, o fratelli, pur trovandoci ancora in questa penosa situazione, cantiamo l’alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni male.
Anche quaggiù tra i pericoli e le tentazioni, si canti dagli altri e da noi l’alleluia. «Dio infatti è fedele; e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze» (1 Cor 10, 13). Perciò anche quaggiù cantiamo l’alleluia. L’uomo è ancora colpevole, ma Dio è fedele.
Ma quando questo corpo sarà diventato immortale e incorruttibile, allora cesserà anche ogni tentazione Ora infatti il nostro corpo è nella condizione terrestre, mentre allora sarà in quella celeste. O felice quell’alleluia cantato lassù! O alleluia di sicurezza e di pace! Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però nell’ansia, mentre lassù, nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l’Apostolo, alcuni che progrediscono sì, ma nel male. Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina!
  SANT’AGOSTINO Discorso 34 sul Salmo 149

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agostino

lunedì, 22 dicembre 2008
      NATALE DEL SIGNORE
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dicembre 08
     La verità è sorta dalla terra
Chiamiamo Natale del Signore il giorno in cui la Sapienza di Dio si manifestò in un bambino e il Verbo di Dio, che si esprime senza parole, emise vagiti umani. La divinità nascosta in quel bambino fu tuttavia indicata ai Magi per mezzo di una stella e fu annunziata ai pastori dalla voce degli angeli. Con questa festa che ricorre ogni anno celebriamo dunque il giorno in cui si adempì la profezia: La verità è sorta dalla terra e la giustizia si è affacciata dal cielo  La Verità che è nel seno del Padre è sorta dalla terra perché fosse anche nel seno di una madre. La Verità che regge il mondo intero è sorta dalla terra perché fosse sorretta da mani di donna. La Verità che alimenta incorruttibilmente la beatitudine degli angeli è sorta dalla terra perché venisse allattata da un seno di donna. La Verità che il cielo non è sufficiente a contenere è sorta dalla terra per essere adagiata in una mangiatoia. Con vantaggio di chi un Dio tanto sublime si è fatto tanto umile? Certamente con nessun vantaggio per sé, ma con grande vantaggio per noi, se crediamo. Ridestati, uomo: per te Dio si è fatto uomo. Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà . Per te, ripeto, Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre se lui non fosse nato nel tempo. Mai saresti stato liberato dalla carne del peccato, se lui non avesse assunto una carne simile a quella del peccato . Ti saresti trovato per sempre in uno stato di miseria se lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere se lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno se lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto se lui non fosse arrivato.
Sant’Agostino dal discorso 185

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