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sabato 4 febbraio 2012

ateismo

Lo scrittore De Botton: «la società laica non funziona, guardiamo al cristianesimo»

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Abbiamo già avuto modo di parlare (cfr. Ultimissima 7/9/11) dello scrittore, giornalista ed editorialista Alain de Botton, autore di “Del buon uso della religione” (Guanda 2011), ovvero una sorta di risposta al libro di Giulio Giorello intitolato “Del buon uso dell’ateismo”. E’ un dialogo tra non credenti intelligenti e non certo razionalisti. In passato abbiamo apprezzato la posizione di Giorello.
De Botton parla ancora una volta parla della sua educazione forzata all’ateismo: «Sono cresciuto in una famiglia di atei convinti, figlio di ebrei non osservanti che mettevano la fede religiosa sullo stesso piano della fede in Babbo Natale. Nonostante fossi stato fortemente influenzato dall’atteggiamento dei miei genitori, passati i vent’anni il mio ateismo mi ha mandato in crisi». Al posto di approdare alla fede però, come spesso capita, è oggi convinto della necessità di “sfruttare” il benessere culturale che la vita religiosa, in particolare cristiana, offre: «Mi sono reso conto che la mia protratta resistenza alle teorie sull’aldilà o sugli abitanti del paradiso non era una giustificazione sufficiente per liquidare la musica, gli edifici, le preghiere, i rituali, le celebrazioni, i santuari, i pellegrinaggi, i pasti in comunione e i manoscritti miniati». Ed è opportuno farlo, secondo lui, per contrastare la disgregazione del senso di comunità nella società laica moderna, e per far fronte alle fragilità che minano l’equilibrio di tutti gli esseri umani. Afferma: «Nella società di oggi ci viene chiesto di fare una scelta, di dichiarare se siamo religiosi o se non lo siamo affatto. O si crede o non si crede, punto. Mettere le cose in questo modo mi sembra un po’ ridicolo, perché in realtà nella pratica religiosa si trovano elementi importanti che non riguardano in realtà solo “la fede” in senso stretto. In particolare, credo che un po’ tutti noi abbiamo bisogno di imparare dalla religione come organizzare la nostra vita spirituale». Propone quindi di «leggere le fedi, principalmente quella cristiana e, in misura minore, quella giudaica e quella buddista, alla ricerca di intuizioni che possano tornare utili nella vita laica, soprattutto in relazione ai problemi sollevati dalla convivenza all’interno di una comunità e dalle sofferenze mentali e fisiche. Non si tratta di negare i valori della laicità: la mia tesi è che spesso abbiamo laicizzato malamente, cioè che, mentre cercavamo di liberarci di idee inattuabili, abbiamo erroneamente rinunciato anche ad alcuni degli aspetti più utili e affascinanti della religione».
Uno spunto insolito quello dell’intellettuale svizzero, seppur non innovativo. Già Giuliano l’Apostata riteneva che i cristiani andassero combattuti sul loro campo, imitandoli nella sobrietà e nella benevolenza verso gli altri. Tuttavia l’intellettuale afferma indirettamente l’incapacità della realizzazione di una morale laica (almeno fino a prova contraria), così come aveva già sottolineato il “papa laico” Norberto Bobbio: «La morale razionale che noi laici proponiamo è l’unica che abbiamo, ma in realtà è irragionevole. Io non ho nessuna speranza. In quanto laico, vivo in un mondo in cui è sconosciuta la dimensione della speranza». E ancora in un’intervista inedita: «Gli uomini sono cattivi. Il male è la storia umana. È la sconfitta di Dio e la sconfitta della ragione. Questo secolo lo dimostra più di ogni altra epoca. E il cristianesimo, dov’è il cristianesimo? [...]. Come diceva Croce, non possiamo non dirci cristiani. Senza l’etica cristiana non c’è convivenza. Ma il cristianesimo come fede è un’altra cosa. E io non riesco a non dubitare». Il tentativo dello scrittore svizzero non appare comunque realizzabile, perché nessuna etica sopravvive se non è agganciata a qualcosa che sovrasti l’uomo. Detta in termini sportivi, i giocatori non sanno farsi le regole. Recentemente ha ampliato questo concetto il filosofo Benedetto Ippolito, docente presso l’Università degli Studi “Roma Tre”: «l’unico pilastro con cui è possibile salvaguardare l’intelligenza, la libertà dell’uomo e il rispetto della natura circostante è solo Dio creatore, perché Egli è il principio che permette di concepire il valore supremo della natura creata rispetto ai tanti interessi esistenti». E perfino il teologo dissidente Hans Küng: «L’umano è salvaguardato solo se viene fondato sul divino. Solo l’Assoluto può vincolare in maniera assoluta».
da
:
UCCR

Postato da: giacabi a 19:45 | link | commenti
ateismo, bobbio

sabato, 15 ottobre 2011
Antony Flew: da ateista a teista in nome della scienza

Antony Flew:

da ateista a teista in nome della scienza

 
Antony Flew, il filosofo che era stato fin da allora il simbolo mondiale dell'ateismo scientifico e il padrino dei vari attuali divulgatori dell'inesistenza di Dio come Richard Dawlins, il 9 dicembre 2004 annuncia pubblicamente in un convegno a New York di ESSERSI CONVINTO CHE L'ESISTENZA DI DIO E' UNA CERTEZZA BASATA SULL'EVIDENZA SCIENTIFICA. Con Flew viene a crollare la mente del moderno ateismo filosofico-scientifico che con il suo "Theology and Falsification"  del 1950, divenne una dei libri di filosofia più ristampati del ventesimo secolo. Il principio socratico di "seguire l'evidenza ovunque essa possa condurre" ha fatto pervenire Flew all'evidenza dell'esistenza di Dio. Sono i risultati delle più recenti e sofisticate ricerche nel campo della biologia, della chimica e della fisica ad aver convinto Flew. In particolare Flew ha indicato soprattutto la scoperta del DNA come "prova" di una superiore intelligenza creatrice della natura.
Lo stesso Einstein diceva che "nelle leggi della natura si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente insignificante" (In Giovanni Martinetti, "Ragioni per credere oggi", ELLEDICI, 1991, p.29) e ridicolizzava il pensiero degli atei neopositivisti dicendo: "IO NON SONO POSITIVISTA. Il positivismo stabilisce che quanto non può essere osservato non esiste. Questa concezione è scientificamente insostenibile perchè è impossibile fare affermazioni valide su ciò che uno 'può' o 'non può' osservare. Uno dovrebbe dire: 'Solo ciò che osserviamo esiste'. Il che è ovviamente falso" (In Antony Flew, There is a God, Harper One 2007, p.XXIV). Infine Flew cita questa CONFESSIONE di Einstein: "La mia religiosità consiste nell'umile ammirazione dello spirito infinitamente superiore che rivela se stesso nei minimi dettagli che noi siamo in grado di comprendere con la nostra fragile e debole intelligenza. La convinzione profondamente appassionante della presenza di un SUPERIORE POTERE RAZIONALE, che si rivela nell'imcomprensibile universo, fonda la mia idea di Dio" (In Antony Flew, There is a God, Harper One 2007, pp.102.103). Cosa dice Flew se il Creatore, la cui esistenza per lui è evidente, possa essersi rivelato agli esseri umani? "La questione se il Divino abbia rivelato se stesso nella storia umana resta un valido tema di discussione. Non si possono limitare le possibilità dell'onniscienza eccetto per quello che è una impossibilità logica. Qualunque altra cosa è alla portata dell'onnipotenza" (In Antony Flew, There is a God, Harper One 2007, p.157).
Sebbene sia recente acquisizione di Flew che ha avuto l'umiltà della evidenza socratica e scientifica - l'esistenza di Dio come Creatore - da sempre la Chiesa afferma che "Dio può essere conosciuto con certezza dal lume naturale della ragione umana attraverso le cose che da Lui sono state fatte" (Dei Filius, 2, Concilio Vaticano I).
Il fideismo ATEO nel NULLA - che filosoficamente e scientificamente è un "inesistente" indefinibile se non a partire da "qualcosa" e "Qualcuno" - è irrazionale e indimostrabile a partire proprio dalla scienza!
Auguriamo a Flew e a tutti gli ex ateologi in ricerca sincera di essere condotti al vero volto del "Dio ignoto" rivelatosi pienamente: il Logos, Gesù Cristo!!!

da:Antony Flew da ateista a teista in nome della scienza

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Postato da: giacabi a 08:43 | link | commenti
einstein, ateismo

giovedì, 13 ottobre 2011

PROFESSIONE DI FEDE DEGLI ATEI: IL DIO DEGLI ATEI

(Da: Giovanni Papini, La Seconda Nascita, Firenze, Vallecchi, 1959, pp. 213-18)
Son nel mio alpestre lavoratoio. Da due parti mi circondano i libri; dall'altre due i monti. Immagine della mia vita solitaria e antica, trascorsa tra le parole dei morti e il mormorar delle piante. La sera s'avvia per smorzare il mondo: ogni giorno diversa, ogni volta più bella. Il grigiore ferroso dei crepuscoli d'autunno occupa già gli schienali a bacìo, ma su in alto che munificenza di grigi, di rosacei, di ceruli! Se non fossero i colpi sordi dell'accetta che tanto male mi fanno al cuore (perché domani ci sarà un'albero vivo di meno) non avrei di che nutrire la mia vorace malinconia.
A molti il mondo par brutto. Siamo noi che siam brutti dentro, talvolta, e vediamo la nostra bruttezza triste riflessa nel mondo. Una volta un essere in aspetto d'uomo, ma che somigliava piuttosto a un baco spento, mi disse che odiava la campagna. Ch'è lo stesso che odiare l'opera d'Iddio perché soltanto le città sono opera dell'uomo, e si vede! Diffidate di colui che odia la solitudine: vuol dir che la sua compagnia gli è odiosa e che non sa come riempire la sua miserevole vacuità. Diffidate di colui che non ama la campagna: vuol dire che ha paura d'iddio.
Ha paura d'una testimonianza, troppo patente per essere agevolmente ricusata. Ha paura di dover riconoscere Dio anche in se stesso, in quel silenzio dilatato e reverente che non permette finzioni, sotterfugi, scappatoie. Negli strepiti, nei chiassi, nei garbugli delle società rammontate, l'ipocrisia verso noi stessi e gli altri ci concede anno per anno proroghe e moratorie. Ma volete mentire al cielo, al deserto, alla notte?
                Prova a negare quando sei solo a faccia a faccia coll'universo. Rinsacca le filosofie dello Spirito  -poveri segni senza sostanza, senza connessione col respiro dell'anima, colla ricchezza infinita dell'essere-  e prova a dir forte dinanzi a un pezzo qualunque della creazione, che Dio non è, che questa meravigliosa macchina dell'universo non ha avuto né principio né autore e si regge senza un supremo padrone, per un miracolo costante di coincidenze, di atomi, di monadi, di spiriti.
                Risponde Dio: tu non cercheresti d'uccidermi se tu non sapessi che io son vivo, il Dio dei viventi.
                Se Dio non esistesse, tu stesso che lo vuoi negare non esisteresti. Per negarlo devi adoprare il tuo pensiero, pronunziar parole: ma nel primo atto del tuo pensiero, Dio è già presente e appena hai pronunziato la prima parola, essa contiene, senza che te n'accorga, l'affermazione d'Iddio. A Dio non si sfugge: se l'affermi, l'ami, se vuoi sopprimerlo, lo riconosci. Qualunque cosa si dica, non si fa che parlar d'Iddio. E di che altro si potrebbe parlare se non d'Iddio? Ogni altro discorso è inintelligibile, perché dove non si presuppone l'essere e la legge, si emettono suoni senza senso, e l'essere e la legge non son pensabili al difuori della Divinità.
                Ci son molti che provano Iddio coi ragionamenti e i sillogismi. Li ascolto e li venero perché le riprove giovano agli immemori, ma per me gli argomenti più persuasivi dell'esistenza d'Iddio son contenuti nei discorsi degli atei.
                Quelli che si chiamano atei non negano Dio: confessano di aver perduto Dio. Hanno paura d'Iddio e si vantano d'averlo ucciso con la speranza di uccidere il loro spavento. Non lo sentono più dentro di sé e questa solitudine interiore li fa uscir di sé. Hanno terrore dei suoi comandamenti, della sua potenza della sua onniveggenza. Oppure son così onnubilati all'interno, e tanto si son ravvolti nella sensualità torbidosa che non lo sentono più, non sanno più d'averlo, non sanno ritrovarlo nell'intimo fondo della posatura spirituale. E allora, come liberati da uno sguardo, da una sorveglianza, da un peso, vanno dicendo che Dio non è. Ma Dio è anche in loro come in tutti, e qualcuno ha il presentimento di questa silenziosa e paziente Presenza. Son quelli che si sfogano a dire, a proclamare a dimostrare che Dio è abolito, superato, morto. Tremano all'idea di un solo ritorno : di quel tremore è fatto il loro ateismo.
                Né Samt'Anselmo né San Tommaso hanno mai escogitato argomenti più formidabili di quella spaventosa e spaventata negazione.
  Tu non mi cercheresti se tu non mi avessi trovato, dice il Dio di Pascal. Tu non mi uccideresti se tu non mi sentissi vivere, dice il dio degli atei.
                L'uomo a cui hanno mozzato le mani, sostiene che non vi sono carezze; un altro a cui hanno riempito gli orecchi di fango afferma che non v'è musica. Un terzo l'hanno confinato in una chiavica e proclama che il sole s'è spento. Potete dar loro torto? Ma, d'altra parte, dove ritroveremo, fuor che in queste loro negazioni, una prova più sicura e salda che le carezze, la musica, il sole esistono per colui che ha mani, orecchi, occhi liberi e vive sopra e non sotto la terra?
                L'escogitazioni de' negatori per render ragione dell'esistenza delle cose e di noi  -sia pur fatta tutta di spirito-  sono i più validi contrafforti della fortezza tomista.
                Le confusioni, le contraddizioni, il continuo ricorrere all'impensabile o al prodigio spicciolo e continuo, sono le pietre che i nemici stessi pongono con le loro mani per inalzare bastioni e barbacani che serviranno a difendere la nostra vecchia città contro di loro. Gli atei, di qualunque schiatta e scuola, sono i più gagliardi e fedeli ausiliari dei teologi. Tutte le strade che precipitosamente scavano, assillati dalla paura d'Iddio, menano tutte all'assurdo, alla nichilità del pensiero, alla morte dell'anima. Chi li segue e li vede, non ha scelta che tra il nulla e il ritorno. Molti, non abili a riconoscere il nulla e la morte sotto i cenci frangiati delle parole, si baloccano sugli orli degli abissi e si arrischian persino alla danza -ballo di specchi briachi di ventosità dotte-, gli altri, quelli che hanno occhi e vedono, che hanno orecchi e odono, tornano verso l'unico ricovero, verso la Porta Stretta: stretta apertura che da il passo a una divina città di viventi, di verità viventi ed eterne.
                  Perciò noi dobbiamo grandissima gratitudine agli atei: sono gli iloti della Gerusalemme cristiana. E in qual modo manifestar meglio la nostra gratitudine che nel richiamarli alla vera patria della quale, pur disertori e fuggiaschi, son cittadini? Nel renderli consapevoli della certezza soprannaturale ch'è involta nei loro no? Nel liberarli da uno spavento che fa scambiar per un'ombra, a' poveri occhi stravolti, colui che per amore l'insegue? Perché non ho di quelle parole sfolgoranti che son di per se stesse oltrepossenti incantazioni? V'è un'altra lingua oltre questa, troppo terrosa ancora, per formare i canti che legano, che chiamano, che sciolgono le pietruzze dei cuori, le riluttanze degli intellettuali? La lingua che doveva parlare Adamo nel Paradiso, intrisa di luce e di odori, che può esprimer soltanto verità, amore, adorazione; con parole valide per la terra e per il cielo, commiste di cielo e di terra, che volticano le anime e danno ali, moto, respiro a chi l'ascolta e lo imparadisano di una ferma illuminazione di speranza e concordia.
                Ma Dio che già troppo mi dette, non mi ha spirato il genio col suo respiro e le lingue dei terrestri, che risentono, come ogni altra opera umana, dell'infiacchimento della prima caduta, non sono che incastonature di piombo per diamanti sognati. Non ho fra le mani che rena: la passo tra i diti al sole e mi pare che scintilli. Meno però delle lagrime che nessuno vide.

Postato da: giacabi a 15:07 | link | commenti
ateismo, papini

mercoledì, 13 aprile 2011
Gli atei fanatici
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Gli atei fanatici sono come schiavi che ancora sentono il peso delle catene dalle quali si sono liberati dopo una lunga lotta. Essi sono creature che - nel loro rancore contro le religioni tradizionali come "oppio delle masse" - non possono sentire la musica delle sfere.
Albert Einstein, Nobel per la Fisica (dal libro "His Life and Universe")

Postato da: giacabi a 13:48 | link | commenti
einstein, ateismo

sabato, 28 agosto 2010
Anthony Flew, l'ateo pentito

 

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«Credo che l’universo sia stato creato da un’Intelligenza infinita e che le sue intricate leggi manifestino ciò che gli scienziati hanno chiamato la Mente di Dio. Ritengo che la vita e la riproduzione abbiano origine da una Fonte divina». Sembrerebbe la solita affermazione teistica di un onesto pensatore in ricerca religiosa il quale, osservando il cosmo, ne deduce la provenienza da un Dio creatore. Ma se tale frase è uscita dalla penna di quello che per decenni è stato uno degli atei più celebri del pianeta, beh, allora, la faccenda si fa interessante.

È lo stesso Anthony Flew, filosofo inglese nato nel 1923 e morto lo scorso 8 aprile, docente in diverse università (Oxford, Aberdeen, Toronto), ad aver messo nero su bianco che "Dio esiste. Come l’ateo più famoso del mondo ha cambiato idea" (Alfa&Omega, pp. 206, euro 17,90). Libro che, richiamando il celebre "Storia di un’anima" di Teresa di Lisieux, potremmo definire «Storia di un cervello che passò dalla negazione granitica di Dio all’adesione "scientifica" ad un Essere superiore». Volume, quello di Flew, che nella sua versione originale (2007) aveva suscitato un vespaio di polemiche. Compresa la reprimenda del biologo ateo Richard Dawkins, che nel suo "L’illusione di Dio" aveva attribuito a una decadenza senile la conversione di Flew.

Proprio da tale accusa parte il testo dell’ex anti-Dio, quando afferma che «questi critici giunsero alla conclusione che le previsioni di un imminente ingresso nell’aldilà avessero scatenato una conversione sul letto di morte». Tutt’altro, replica Flew, e l’andamento del racconto – scritto insieme al filosofo cattolico Roy A. Varghese – ne è la controprova. Quasi memore del procedimento filosofico classico, Flew procede prima in chiave destruens e quindi costruens rispetto all’ipotesi che Dio esista.
Si scopre così che l’ateo di Oxford fece la sua prima, pubblica professione di ateismo davanti ad un gigante del pensiero cristiano novecentesco, lo scrittore (e apologeta convertito) Clive S. Lewis, il narratore delle celebri "Cronache di Narnia". Infatti nell’estate del 1951 Flew espresse i suoi principi che avrebbero poi costituito il nucleo del primo dei suoi tre libri fondamentali – 35 le opere da lui vergate – sulla sua mancanza di religiosità, "Theology and Falsification" (poi ripubblicato in "Nuovi saggi di teologia filosofica", curato da Alasdair MacIntyre), nel contesto del Socratic Club di Oxford, uno spazio di discussione tra atei e cristiani il cui presidente, dal 1942 al ’54, fu appunto Lewis. Flew quindi fece tesoro del pensiero del filosofo analitico Ludwig Wittgenstein. E ne interpretò il pensiero in chiave anti-religiosa: «Sfidavo i credenti religiosi a spiegare come dovessero essere comprese le loro assunzioni», ovvero ad affermare la «logica» del dichiarare vera l’esistenza di Dio.

Nel suo iter intellettuale – durante il quale incrociò le lame anche con il pensatore neotomista Ralph McInerny, di recente defunto – Flew produsse altre due opere fondamentali, "God and Philosophy" e "The Presumption of Atheism", nel quale, rifacendosi a David Hume, sosteneva che «le tesi cosmologiche e morali a favore dell’esistenza di Dio non fossero valide. […] Sostenevo che una discussione sull’esistenza di Dio dovesse iniziare col supporre l’ateismo e che l’onore della prova dovesse spettare ai teisti».

Dopo una vita di studi in cui si è anche occupato di scienze sociali, avendo abiurato il marxismo giovanile già all’epoca del patto Ribentropp-Molotov del ’39, ebbene 6 anni fa Flew – l’immagine è sua – cambiò casacca e passò nella squadra dei teisti. Per l’occasione scelse una platea importante, un convegno a New York: «Annunciai che accettavo l’esistenza di un Dio». E la motivazione era opposta e speculare alla negazione di un tempo: «Perché credo così, pur avendo esposto e difeso l’ateismo per più di mezzo secolo? È per il quadro del mondo, come lo vedo io, che è emerso dalla scienza moderna». In particolare, a convincere l’anziano pensatore di Oxford, è lo studio del Dna: «Credo che il materiale del Dna abbia dimostrato, con la complessità quasi incredibile delle disposizioni di cui si necessita per generare la vita, che l’Intelligenza debba essere stata così coinvolta nel far sì che questi elementi diversi operassero insieme». Flew riconosce di essere sulla scia di altri che, come lui, hanno trovato nella ricerca scientifica una chiave per dimostrare che affidarsi a Dio non è una pia illusione. L’ex ateo cita, in primis, Charles Darwin, padre della teoria dell’evoluzione, di cui riprende questo passaggio: «La ragione mi parla dell’impossibilità quasi di concepire l’universo e l’uomo come il risultato di un mero caso o di una cieca necessità. Questo pensiero mi costringe a ricorrere a una Causa Prima dotata di un’intelligenza». Tra gli altri, Flew cita John Polkinghorne, pastore anglicano e grande filosofo della scienza di Cambridge, e Francis Collins, colui che ha portato a termine la mappatura del genoma umano e autore del fortunato "Il linguaggio di Dio" (Longanesi).

In fin dei conti il percorso di Flew, retrospettivamente, è coerente con quel principio socratico di cui si era abbeverato durante gli studi oxfordiani: «Seguire il ragionamento fin dove porta». Flew chiude così la sua confessione: «Alcuni sostengono di aver stabilito un contatto con questa Mente. Io no. Ma chi lo sa cosa potrebbe accadere in seguito? Un giorno potrei sentire una Voce che dice: Puoi sentirmi adesso?»
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Lorenzo Fazzini

Postato da: giacabi a 22:22 | link | commenti
ateismo

sabato, 21 agosto 2010


Il cuore  quello che ci permette di vedere
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L’ateo e il credente sono due individui che vedono le stesse cose secondo due ottiche diverse: perché hanno il cuore diverso
(Pitigrilli).

Postato da: giacabi a 13:19 | link | commenti
ateismo, pitigrilli

mercoledì, 18 agosto 2010
 
"Gli atei fanatici sono come schiavi che ancora sentono il peso delle catene dalle quali si sono liberati dopo una lunga lotta. Essi sono creature che - nel loro rancore contro le religioni tradizionali come 'oppio delle masse' - non possono sentire la musica delle sfere".

Albert Einstein(Isaacson, Einstein: His Life and Universe, Simon e Schuster 2008

Postato da: giacabi a 12:24 | link | commenti
einstein, ateismo

domenica, 21 marzo 2010
Considerazioni sull' ateismo
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Si lagna il signor Dorrel inglese (ma cattolico), che anticamente gli ateisti andavano sconosciuti per non esser trattati da empj, e da sciocchi; e che almeno, se erano infetti d'ateismo, non ardivano di comparir tali: ma che gli increduli odierni si dichiarano tali alla svelata; e si vantano, affin di acquistarsi il nome di spiriti forti, e spregiudicati, di giudicare della divinità e della religione. Col che, a ben dire, pretendono in somma di togliere ogni legge, ed ogni buon ordine di vivere; poiché tolta l'esistenza d'un Dio rimuneratore del bene e punitore del male, ed abolite le verità della religion cristiana ecco rimosso ogni freno al peccato e distrutta ogni legge ed ogni regola di morale. Sicché l'uomo diventerebbe simile e peggiore delle bestie: il senso padron della ragione: il diritto sarebbe deciso dalla forza, l'onesto dal piacere, il giusto dall'interesse, l'onore dalla vendetta. Onde tutti diverrebbero schiavi delle loro passioni, abbracciando ogni vizio, purché si affacciasse colla sembianza d'utile o dilettevole".

Sant' Alfonso Maria de Liguori

Postato da: giacabi a 09:50 | link | commenti
santi, ateismo, istintività

sabato, 20 febbraio 2010

Che GRANDE!!
SUA SANTITÀ PIOXII
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…Oggi non solo l'Urbe e l'Italia, ma il mondo intero è minacciato. Oh, non chiedeteCi qual è il « nemico », nè quali vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell'unità nell'organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l'autorità; talvolta l'autorità senza la libertà. È un « nemico » divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio : Dio è morto; anzi : Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un'economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio. Il « nemico » si è adoperato e si adopera perchè Cristo sia un estraneo nelle Università, nella scuola, nella famiglia, nell'amministrazione della giustizia, nell'attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace o la guerra.
Esso sta corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli, che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l'amore fra gli sposi; inculca un nazionalismo che conduce alla guerra.
Voi vedete, diletti figli, che non è Attila a premere alle porte di Roma; voi comprendete che sarebbe vano, oggi, chiedere al Papa di muoversi e andargli incontro per fermarlo e impedirgli di seminare la rovina e la morte. Il Papa deve, al suo posto, incessantemente vigilare e pregare e prodigarsi, affinché il lupo non finisca col penetrare nell'ovile per rapire e disperdere il gregge (cfr. Io. 10, 12); anche coloro, che col Papa dividono la responsabilità del governo della Chiesa, fanno tutto il possibile per rispondere all'attesa di milioni di uomini, i quali — come esponemmo nello scorso febbraio — invocano un cambiamento di rotta e guardano alla Chiesa come a valida ed unica timoniera. Ma questo oggi non basta: tutti i fedeli di buona volontà debbono scuotersi e sentire la loro parte di responsabilità nell'esito di questa impresa di salvezza.
Diletti figli, Uomini di Azione Cattolica! L'umanità odierna disorientata, smarrita, sfiduciata, ha bisogno di luce, di orientamento, di fiducia. Volete voi con la vostra collaborazione — sotto la guida della sacra Gerarchia — essere gli araldi di questa speranza e i messaggeri di questa luce? Volete essere portatori di sicurezza e di pace? Volete essere il grande, il trionfante raggio di sole che invita a destarsi dal torpore e a fortemente operare? Volete divenire — se così a Dio piacerà — animatori di questa moltitudine umana, in attesa di avanguardie che la precedano?
Allora è necessario che la vostra azione sia anzitutto cosciente.
L'uomo di Azione Cattolica non può ignorare ciò che la Chiesa fa e intende di fare. Egli sa che la Chiesa vuole la pace; che vuole una più giusta distribuzione della ricchezza; che vuole sollevare le sorti degli umili e degl'indigenti; sa che Cristo, Dio fatto uomo, è il centro della storia umana; che tutte le cose sono state fatte in Lui e per Lui. Egli sa che la Chiesa, quando auspica un mondo diverso e migliore, pensa ad una società avente per base e fondamento Gesù Cristo con la sua dottrina, i suoi esempi, la sua redenzione.
In secondo luogo bisogna che la vostra azione sia illuminatrice.
Nelle vostre fabbriche, nei vostri uffici, per le strade, nei luoghi ove prendete il sano svago o il necessario riposo, vi capiterà d'imbattervi in uomini « che hanno occhi per vedere e non vedono » (Ezech. 12, 2). Oggi. per esempio, s'incontra povera gente persuasa che la Chiesa, che il Papa, vogliono lo sfrutta mento del popolo, vogliono la miseria, vogliono — parrebbe inimmaginabile — la guerra! Gli autori e i propagatori di queste orrende calunnie riusciranno a sfuggire alla giustizia degli uomini, ma non potranno sottrarsi al giudizio di Dio. « Verrà un giorno... »! Signore, perdona loro! Intanto però è necessario di cogliere ogni occasione per aprire gli occhi a quei ciechi, spesso piuttosto vittime d'inganno che colpevoli.
Ancora : occorre che la vostra azione sia vivificatrice.
L'Azione Cattolica non sarà veramente tale, se non agirà sulle anime. Le grandi adunanze, i magnifici cortei, le pubbliche manifestazioni, sono certamente utili. Ma guai a confondere gli strumenti col fine per il quale debbono essere adoperati! Se la vostra azione non portasse la vita dello spirito dove è la morte; se non cercasse di sanare quella stessa vita dove è malata; se non la fortificasse dove è debole; sarebbe vana. ..
DA: DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AGLI UOMINI DI AZIONE CATTOLICA
NEL XXX° DELLA LORO UNIONE*
 Domenica, 12 ottobre 1952

Postato da: giacabi a 12:20 | link | commenti
nichilismo, ateismo, pio xii



La cacciata di Cristo
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Radio Maria :
Intervista alla Prof.ssa Rosa Alberoni
a cura di Paolo Sorbi
Giovedì 20 Aprile 2006

 P. Sorbi – Oggi vogliamo intervistare la professoressa Rosa Alberoni (moglie del sociologo Francesco Alberoni), che in molti suoi scritti, articoli, e in un libro recente: “La cacciata di Cristo”, libro provocatorio, che coglie la realtà, la centralità delle tematiche del declino dell’identità cristiana e i problemi a essa connessi. Le faremo un’intervista a tutto campo avendo lei questa caratteristica della “provenienza lontana”. Bella espressione, usata tante volte, dei “lontani dal Vangelo”, e che invece sono prossimo. La professoressa Alberoni ha una sua dinamica di personale cammino religioso, cristiano, per essere specifici, di fede cattolica, all’interno di un percorso complesso di ricerca dell’identità cristiana.. sentiremo questo frammento dell’Impero, sentiremo queste parole di una persona che difende la realtà della storia e dell’identità in questo momento così scossa, della formazione cristiana.
Pronto. Professoressa, buon giorno! Senta, noi oggi la presentiamo all’interno di una riflessione che abbiamo fatto sta mattina sulla crisi dell’identità nelle nostre realtà europee e specialmente nella connessione forte che c’è tra crisi di identità della cittadinanza e il cristianesimo. Come la radice fondamentale della formazione dell’identità europea. Allora, il suo tipo di riflessione è quello che ci interessa, perché anche altri, come il professor Pera e anche altri in campo liberal, diciamo il sociologo americano Paul Barman, fanno queste riflessioni. E anche in un suo recente libro “La cacciata di Cristo” lei mette la crisi di identità in connessione a una possibile ripresa cristiana. Vuole dirci qualcosa a questo proposito?
Alberoni – Ma, infatti, lo slogan del mio libro è: “Cristiani, alzate la testa. Difendiamo la nostra identità!”. Questo proprio perché c’è una crisi di identità, ma anche noi stessi che comunichiamo facciamo una grande confusione quando, per esempio, parliamo di Occidente. A me fa rabbrividire, sentire Occidente. Perché mentre si parla di civiltà ebraica e civiltà islamica, per quanto riguarda noi, diciamo Occidente. E questo mi fa molto rabbrividire, perché non dobbiamo nominare l’antenato, il Padre della civiltà cristiana, che è Cristo… Noi siamo nel 2000, e sarebbe l’era di Cristo. Quindi noi siamo la civiltà cristiana! Perché dire Occidente, che indica una zona geografica del pianeta? Indica terra. Noi siamo i figli del cielo! Non dobbiamo dimenticare che noi siamo i figli del cielo, i figli della civiltà di Cristo!
Sorbi – Perché forse lei professoressa individua l’Occidente come terra del declino. Perché forse c’è un omicida che lei probabilmente individua in Cartesio e Russeau. Perché questi due “omicidi”?
Alberoni – Questi sono gli antenati degli Anticristo, perché Cartesio ha rovesciato tutto: prima l’essere umano era al centro, cioè, “io esisto”… Ma è così, lo si capisce anche con il buon senso, chiunque di noi lo capisce. Noi prima esistiamo, siamo concepiti, veniamo al mondo, nasciamo, poi, quando arriviamo davvero a pensare, a saper ragionare? A vent’anni? Mentre Cartesio, cosa ha fatto? Ha rovesciato. Ha messo prima c’è il pensiero. Al centro c’è il pensiero, perché dici: “Io penso, dunque esisto”… no, in realtà io esisto prima e quindi vengo da… sono stato creato da Dio, e solo dopo penso. Capisce la conseguenza? È uno spostamento. È una sorta di rivoluzione copernicana veramente! Quindi, mettendo al centro il pensiero, Cartesio ha fatto questa equazione. Rousseau nelle sue opere non parla di nessuna divinità. Non c’è Dio, non ci sono neanche gli dei pagani del passato. Non c’è nessun dio. L’uomo è sulla terra, appartiene alla terra. È una sorte di animale. Il selvaggio è un animale che non ha coscienza morale di nessun tipo. Gironzola nel bosco, si accoppia a caso… cioè, segue le pulsioni, segue l’istinto. Capisce? È stata una cosa… non so perché non se ne sono accorti. Io me ne sono accorta di Rousseau, però e stato Giovanni Paolo II che mi ha illuminato, con Cartesio, con due righe. E io li ho trovato la chiave, mi si è aperta una via luminosa… e dico: “Ecco perché è accaduto tutto ciò!”. Nel senso che poi Rousseau è stato applicato alla lettera da Robespierre. Quindi senza Dio… non a caso il tempio della dea Ragione, quindi al pensiero. Ecco perché torna Cartesio. Cristo non c’era. Ecco perché c’è stata la ghigliottina, c’è stato un grande mattatoio. Quindi là dove si caccia Cristo si possono distruggere gli esseri umani. Ma questo poi si è ripetuto anche col comunismo. La stessa cosa, perché il totalitarismo comunista, basato su Rousseau, ha scartato Cristo, ha scartato Dio. Non c’è Dio, non c’era nessun dio, c’era solo la materia! Si era figli della terra. E quando non c’è la fede, quando non c’è Cristo, al centro dell’esistenza ci sono gli stati totalitari. E il comunismo ha potuto fare quei cento milioni di morti e passa, per questo motivo. La stessa cosa ha fatto Hitler. Cristo non c’era, anche se non l’ha detto apertamente. Ma noi sappiamo qual’era il suo progetto… parlava di razza. Quindi ancora – come vede – la terra. Radicati alla terra. La razza, il sangue e la terra… e noi sappiamo cosa ha fatto Hitler, gli abominevoli campi di sterminio coi quali tentò di sterminare il popolo ebraico. Capisce? Cristo, Dio, diventa una zanzara… si può uccidere l’uomo senza nessuno scrupolo…
Sorbi - Ecco, mi scusi, professoressa, è proprio per questo suo ragionamento, sia filosofico che sociologico che ritengo che questo libro sia molto utile per gli insegnanti che vogliono smascherare questi due soggetti dell’ “omicidio” dell’identità cristiana in Europa.
Alberoni – In realtà i personaggi sono quattro, perché bisogna aggiungere anche Carlo Marx e Hitler.
 Sorbi – Perché lei al di fuori di una certa vulgata nel mondo cattolico, anche di critica a Hegel, invece coglie in Hegel una possibilità? Noi siamo stati formati tutti anche nella realtà della cultura cristiana a una critica alla dialettica hegeliana?
Alberoni – No, invece questo credo che sia stato un equivoco, semplicemente per una frase che gli è sfuggita durante le lezioni universitarie. Quindi non è un libro scritto di suo pugno. La mia esperienza: sono trent’anni che insegno all’Università, con 700 studenti… sapesse quante battute… Le battute che fa un professore… capisce? In realtà se noi andiamo a vedere il suo sistema filosofico vediamo che è un gigante. Però, che cosa aveva capito Hegel, avendo vissuto l’epoca napoleonica e avendo perciò visto anche gli orrori e il terrore di Robespierre? Lui che cosa fa? Alza una muraglia contro l’ateismo. Non a caso nella sua opera “Lezione di filosofia della religione”, va a studiare le religioni, anche quelle pagane. Tutto con sistematicità, e ne fa una grande muraglia, portando al centro lo spirito. Quindi, parla addirittura di spirito, di anima. Proprio per far da muraglia contro l’ateismo… Quindi bisogna tornare ai sentimenti, alla religione, alla morale… questa è stata – come dire? – un’operazione gigantesca da parte di Hegel. L’ha fatto lui e lo hanno fatto anche altri sociologi, tipo Comte, perché si erano accorti, all’inizio dell’Ottocento, che era stata distrutta l’essenza dell’essere umano! Quindi, cacciando Cristo, si caccia l’uomo!
E anche da noi, basta ricordare che anche Foscolo se n’era accorto. Anche i nostri romantici. Capisce cosa voglio dire? Quindi ciò che dice Hegel per quanto riguarda la religione, il sistema filosofico, è l’aver individuato che nel bene la vita è bene, l’universo è buono, perché Dio lo ha creato e lo ha riconosciuto buono. Però, nel bene, nel Paradiso terrestre, che tutti conoscono simbolicamente, che è bellissimo e straordinario, però è entrato il “serpente”. Cioè è entrato il male. Il male è nel bene, e non viceversa. Cioè, l’essere contiene il nulla, contiene il male, non viceversa. Perché il male non può contenere il bene. Nel male c’è solo il male. nella morte c’è solo la morte. Nel nulla non c’è nulla, mentre nella vita, che è vasta, che è bellissima, c’è anche il peccato, c’è anche il male. È questa la cosa chiara di Hegel, non dobbiamo dimenticarlo!
Sorbi – Questo tema del bene e del male nella dialettica hegeliana, lo lasciamo aperto. È un portato della sua identità intellettuale. E vedrà che aprirà discussioni…
Alberoni – Guardi che lui parla anche di conciliazione finale. Non si stacca dal Vangelo, Hegel. Alla fine lui parla di conciliazione: tutti gli esseri umani si conciliano con il Padre. Capisce? Non c’è una sintesi per Hegel. Ci hanno imbrogliato. Gli esseri umani nel percorso evolutivo, nella salita verso l’alto, andranno a riconciliarsi con Dio Padre. Ma è bellissimo il percorso di Hegel. È attinente al Vangelo. Lui non esce dal Vangelo. Noi sappiamo che era anche luterano, conosceva molto bene la Bibbia. A parte questo, conosceva anche le altre religioni. È un grande, un gigante.
Sorbi – Ecco, professoressa, questi sono alcuni assi che percorrono la sua riflessione filosoficamente. Vediamo ora sociologicamente, più nella realtà contemporanea, anche nel suo libro, che analogie e differenze ci sono tra lei e Oriana Fallaci?
Alberoni – Oriana Fallaci è una grande scrittrice. Lei si è occupata dell’islam perché aveva una grande conoscenza ed esperienza sul campo, di tanti anni. Li conosceva molto bene. Io non parlo dell’Islam. Io parlo di noi. Noi dobbiamo guardare a noi cristiani….
Sorbi – Le dinamiche interne all’Impero, dice lei?
Alberoni – Quando io parlo di cristiani dico questo: cristiani siamo tutti i figli della civiltà cristiana. E voglio dire cattolici, ortodossi, protestanti, credenti e non credenti. I figli della civiltà cristiana. Io mi appello a loro. Quindi la civiltà è qualcosa di ben più vasto. Noi dobbiamo difendere la nostra civiltà, i valori fondanti della nostra civiltà. Non li possiamo barattare col relativismo culturale! Che significa per la gente? Relativismo vuol dire che una cosa vale l’altra, che uccidere… eh, ma, insomma… rubare, bah, non è peccato… Non c’è più il peccato. Pensi, noi siamo tornati indietro a un pre-paganesimo. Perché i nostri antenati romani avevano il sacro terrore degli dei, che pure erano una proiezione dell’uomo, non era la religione rivelata. Non era il Cristo! Tuttavia avevano un sacro terrore degli dei, perché c’erano i valori. Perché senza la religione non c’è coscienza morale. Tant’è vero che si dice che uno stato totalitario può fare a meno della fede, può fare a meno della religione. La democrazia non può farne a meno. Perché la democrazia, lo Stato democratico, si basa soprattutto sulla coscienza morale dei suoi cittadini.
Sorbi – Ecco, ecco. Senta, proprio su questa attualità della coscienza morale lei ha approfondisce – specialmente nelle ultime parti del libro – questa enorme realtà dello scientismo. Ecco, ci faccia capire bene perché lei ne vede – oltre all’aspetto di grande utilità – anche una minaccia?
Alberoni – Bisogna spiegare agli ascoltatori che la scienza è un prodotto dell’uomo, e dev’essere al servizio dell’uomo. Lo e sempre stato. La scienza è un valore! Quando parliamo di scientismo diciamo questo, che ci sono alcuni scienziati – non tutti – alcuni, che rinnegano Dio, e che si vogliono mettere al posto di Dio. Vogliono tentare di creare loro l’uomo. Questa è la cosa aberrante, se ci pensiamo, perché vogliono andare a toccare la matrice umana. Tant’è vero che alcuni politici, movimenti, gente comune, che difendono gli animali, c’è chi non vuole che si usino i topi per gli esperimenti… e io ho sempre detto, ma cosa vuole, che usino i bambini? Ma certo che si deve usare il topo, e non i bambini! E invece questi signori non hanno nessuno scrupolo di usare l’embrione – e tutti siamo stati embrione – per mettere in atto i loro esperimenti, magari capaci un domani di produrre mostri, mentre difendono gli animali. Questa per me è una cosa che mi fa tremare il cuore. Mi trema il cuore alla sola idea. Tant’è vero che se poi andiamo a vedere cosa è capitato negli stati totalitari dove l’aborto è stato ammesso subito, possiamo osservare come nell’Unione Sovietica la legge sull’aborto è entrate in vigore nel 1920. Quindi, tra gli scientisti e gli abortisti, noi vediamo che sul pianeta abbiamo sterminato più noi, in modo subdolo, tanti esseri umani, con l’aborto, quanto ne abbia fatto la guerra. Capisce? Le due guerre mondiali. E anche i morti a causa del comunismo, anche in Cina. È una cosa subdola. Noi, e qui Sorbi – Senta, professoressa. C’è subito dopo, allora, una domanda.. Se questo è lo scenario dello scientismo. Lei sa che nel mondo cattolico si parla del primato del dialogo, costi quel che costi. Che cosa ne pensa di questa cultura del dialogo sempre e comunque?
Alberoni – Sempre e comunque, no. È ovvio che le istituzioni devono cercare di dialogare con gli altri. Tuttavia noi come cittadini cristiani possiamo dialogare con chi vuol dialogare con noi, con chi ci accetta, con chi capisce la reciprocità, il rispetto reciproco. Chi viene da noi deve accettare le nostre leggi e i nostri usi e costumi. Poi la religione è un fatto privato: vai a pregare nella tua chiesa. Nessuno ha nulla da dire sul problema religioso, perché la nostra civiltà cristiana – Cristo ce l’ha detto – noi non pretendiamo che gli altri si convertano. Non si può violentare una persona! Mentre altre civiltà lo fanno. L’islam, purtroppo, lo fa. Noi sappiamo purtroppo che là dove sono andati, o uccidono il cristiano, oppure li costringono alla conversione. Cosa che noi cristiani non facciamo. Ora io dico che non bisogna braccare le persone musulmane che sono da noi, no! Dobbiamo semplicemente stare attenti, non aver paura, pretendere da loro il rispetto, il riconoscimento reciproco. Con quelli che ci sono. Ma spero che si possa in futuro rallentare il loro i ingresso. Capisce cosa voglio dire? Rallentare, perché non possiamo, perché vediamo che non sono disposti a dialogare, sono molto arroganti. Non diciamo cose false, perché poi la gente l’esperienza ce l’ha sul lavoro. Allora, com’è possibile? È un po’ quello che succede in una coppia… se l’altro non vuole dialogare, che cosa succede? Si diventa muti. Oppure si accetta l’asservimento morale. Io credo che stiamo facendo un grande errore. Stiamo cadendo nella tentazione della paura. Abbiamo paura, ed è assurdo, perché per fortuna sono ancora una minoranza. Se noi praticassimo i nostri valori cristiani, quelli fondamentali. Se vuole, torniamo ai dieci comandamenti, che sono stati dimenticati! Io ne ho l’esperienza! I miei studenti – tranne eccezioni – le assicuro che non li sanno!
Sorbi – Insomma, professoressa, lei sostiene che i suoi studenti normalissimi non sanno i dieci comandamenti. Ci dica qualcosa.
Alberoni – Non conoscono i dieci comandamenti, anche perché non sanno che c’è stato Abramo. Non sanno che c’è stato Mosè…
Sorbi – Ma è impressionante!…
Alberoni – Se io uso delle metafore – perché me ne accorgo – se io dico: “Devi attraversare il deserto… devi passare il Mar Rosso… e mi guardano… Allora dico: “Perché non sai a che cosa mi riferisco? Non sai che c’è stato Mosè? No! Non sai che c’è stato Abramo? Allora, il capro espiatorio, da dove viene? Non sanno questo!
Sorbi – Questa è la crisi di identità di cui parla lei?
Alberoni – Il fatto è che non hanno più insegnato la religione… questo è stato un errore degli anni Settanta, colossale, che noi stiamo pagando. Ecco perché loro non conoscono più i valori! Una cosa, per loro, vale l’altra… Si segue l’impulso, ripeto! Non conoscono più il peccato. Per esempio sentono che un amico ha investito… ha ucciso… Si – dicono – ma ha fatto un errore, uno sbaglio… Come, uno sbaglio? Ma, mio Dio, è un assassinio! Non lo sanno, non lo sanno più! Quando talvolta ho fatto loro delle trappole tipo, metta in fila, che so, Carlo Magno, Cristoforo Colombo, Napoleone, Michelangelo, Leonardo, Gesù Cristo e il Budda… Dico, me li metta in fila nel tempo? Non lo sanno. Non sanno quando è iniziata l’era di Cristo! Guardi che saranno il due per cento quelli che lo sanno. Forse saranno quei pochi che io vedo che vengono da una scuola cattolica. Ma gli altri?
Sorbi – Senta, è questa la “Cacciata di Cristo” di cui parla lei?
Alberoni – Ma certo, certo! L’hanno cacciato dalla mente e dal cuore! Allora, non sapendo che c’è, non sanno più cos’è bene e cos’è male. Capisce? Ecco perché, sapendo ciò, come professore dico: “La droga è morte. L’aborto è un omicidio”… Ma mi guardano con gli occhi spalancati, perché non gli è mai stato detto. E poi tra l’altro, cos’hanno fatto? Hanno costruito il “selvaggio” di Rousseau. Dall’asilo ai licei, poi quando vengono all’Università, noi siamo smarriti. Siamo smarriti, perché non sanno nulla! Non sanno concentrarsi più di dieci minuti. Perché hanno seguito l’impulso. Stanno dentro per giocare. Dovremmo parlare su tante cose, ma non è il caso, anche su professori di licei, che ci parlano, e che ci chiedono aiuto… Come aiutare?… Come possiamo farlo? Se non lo facciamo coi media… Insomma, se non ritorniamo di nuovo a far valere i principi del padre… Deve tornare il padre! Deve ritornare il padre!
Pensi che negli Stati Uniti, alcune fiction che fanno, le fanno su questo piano. C’è il ritorno del padre, dell’autorità paterna…
Sorbi – Lei dice che nel dibattito freudiano e necessaria una grande riflessione, dopo Lacan.
Alberoni - Si, guardi, Lacan è stato una rovina. Teniamo Freud. Perché Freud? Freud l’hanno maciullato, ne hanno fatto uso e consumo, perché Freud non ha mai detto che bisogna eliminare il padre. Perché il padre rappresenta – non a caso – il totem Tabù. Non so se qualcuno conosce l’opera. Il padre, simbolicamente, è Dio. Il padre è il portatore del codice dei valori, il portatore dei valori.
Sorbi – Quindi lei dice che bisogna ritornare a questo codice?
Alberoni – Da questo codice. Deve tornare l’autorità paterna! Perché la mamma, in fondo, per tutti noi, la mamma è la dolcezza, con la quale si va a parlare anche delle cose riservate, che ti protegge, che fa da mediatore col papà. Però è l’autorità paterna, quel che conta! Perché è il portatore dei valori della società. È il portatore dei valori nella nostra casa, del cristianesimo! Che ti dice: “Questo si può fare e questo si può fare”, perché è un valore sacro. Tu non lo puoi discutere!
Sorbi – Senta, questo coraggio che manca, come ritrovarlo?
Alberoni – Io ho visto in alcune conferenze in cui sono andata a parlare della cacciata di Cristo, dove ci sono persone giovani, ci sono adulti. Bene, di solito io dico loro: “Ma non abbiate paura… anche se non credete, anche chi non crede, non importa, leggetevi il Vangelo, perché lì ci sono tutte le norme di comportamento, anche per i non credenti!”. E ai dubbiosi: “Torniamo!”, perché chi non va in chiesa non conosce più neanche il Vangelo. Non si legge! Vanno a leggere delle opere mostruose, Anticristo, capisce, come il Codice?
Sorbi – Ecco, professoressa, ha trovato proprio la battuta che mi interessa, perché stanno telefonando tantissimo in questo periodo, anche a Radio Maria, anche a me personalmente, su questa storia. Ci dica perché lei nel libro, secondo me, molto opportunamente, perché lo collega a questo tremendo libello che fu il “Saggio sui savi di Sion”? Perché il Codice Da Vinci è un altro libello anticristiano come il saggio sui Savi di Sion, che è antisemita?
Alberoni – Sarebbe lungo, perché intanto è un falso storico, capisce? Non è vero storicamente. Anche la storia terrestre dei re di Francia che discendono da tutta quella storia orrenda…
Sorbi – Quindi Dan Brown ha costruito un falso storico contro la Chiesa e contro l’Opus Dei, e contro Gesù, poi?…
Alberoni – Si, ma non solo. Indicando l’Opus Dei e la Chiesa come fossero una setta di assassini. Ecco perché è anticristico! Si possono trovare tanti modi per attaccare la civiltà cristiana. Pensi che questo, essendo un anglosassone, è un figlio della civiltà cristiana, lui è un Anticristo, capisce? Lui ha trovato un modo… dicendo: “ fantasia…”. Ma, mio Dio, la fantasia allora usala per inventare qualcosa di nuovo, non per distruggere la tua civiltà. La civiltà cristiana, ribadisco, non l’Occidente!
Il problema delle radici… anche questo, se me lo fa dire… Il problema, l’equivoco, dove è nato? Giovanni Paolo II aveva parlato di radici, ed era esatto il termine di radici, perché stavano scrivendo la Costituzione Europea. Ora, storicamente tutte le democrazie, tutte le costituzioni, anche in epoca romana, in qualsiasi epoca, Ardigò stesso ce lo dice – noi dimentichiamo che abbiamo un grande filosofo in Italia. Lui diceva sempre che le leggi nascono su due radici fondamentali storicamente determinate. Quali sono le radici? Gli usi e i costumi di quel popolo e la religione di quel popolo. Allora, su queste due radici nasce la Costituzione. Nasce quindi la Costituzione per lo Stato, per quel popolo. Bene, stavano scrivendo la Costituzione, e giustamente Giovanni Paolo II parlava di radici. Però io inorridisco quando mi sento chiamare radice, perché noi siamo l’albero! Perché il cristianesimo è nato su tre radici, sulla civiltà ebraica, sulla civiltà greca e sulla civiltà romana. Queste sono le nostre radici! Noi siamo l’albero! La civiltà cristiana è l’albero! Poi – questo perché la gente capisca – quando si dice Occidente, pensiamo un attimo: l’Australia, fa parte della civiltà cristiana? È Occidente, oppure dov’è? O è a Oriente? Le filippine, dove sono? La Russia, dov’è? A Oriente o a Occidente del pianeta? A oriente, giusto? Le Americhe, nord-sud, è un continente immenso… sono cristiane! Non ha nessuna importanza che ci siano cattolici e protestanti. Non ha nessuna importanza! Io parlo di civiltà. Quindi non ha senso dire Occidente!
In questo momento, anche il nostro popolo, mi creda, oscuramente percepisce che dicendo Occidente, come se fosse un territorio di conquista, l’Europa, in questo caso, e noi per primi, perché siamo vicini, un territorio di conquista per la civiltà islamica. Perché sono vicini. E quindi se noi ci lasciamo prendere dalla paura davvero diventeremo un territorio di conquista. Ma saremo destinati alla schiavitù, se ci va bene, altrimenti saremo annientati. Perché loro sono totalmente diversi da noi. Anche come organizzazione sociale, loro hanno la poligamia, noi no. E non è poco questo! Non è poco. Loro ci accusano di essere gente senza Dio, senza valori. Dicono che siamo corrotti … Vengono già accusandoci. Sono gli accusatori! E allora noi, che cosa dobbiamo fare? Lasciarci accusare e intimidire, oppure essere orgogliosi di essere cristiani? Noi siamo a casa nostra, però dobbiamo dar l’esempio, che pratichiamo i valori! Dobbiamo perciò tornare nelle chiese! Tornare a Messa! Perché lì almeno, una volta alla settimana sentiamo parlare di Dio, sentiamo la sua Parola!
Sorbi – Beh, che la professoressa Alberoni dica questo…! Benissimo!
Alberoni – Ascoltiamo la Parola di Dio! Per questo io dico nelle mie conferenze a chi non crede, dico: “Leggete il Vangelo, almeno! Lì c’è tutto!
Sorbi – Professoressa, la ringraziamo tantissimo, ovviamente non chiudiamo la riflessione. Per esempio io so che lei sarà la madrina d’onore di una grande manifestazione al Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, il 28 maggio, col Movimento per la Vita ambrosiano…
Alberoni – Si, si, è vero. Sono molto lieta e molto grata che mi abbiamo invitata.
Sorbi – Dobbiamo, insomma, secondo il suo tipo di invocazione, rovesciare il suo “La cacciata di Cristo”, in: “La chiamata di Cristo”!
Alberoni – Si, abbiamo chiamare Cristo, perché abbiamo la cultura, abbiamo una grande tradizione in tutti i sensi, scientifici, filosofici, la musica, l’arte, eccetera. Noi siamo la civiltà cristiana! Che è una potenza! Perché dobbiamo aver paura? Non dobbiamo avere paura! Dobbiamo ritornare a Cristo!
Sorbi – Grazie, professoressa. Un caro saluto!
Alberoni – Grazie a voi! Arrivederci.
Da:Radio Maria :
Intervista alla Prof.ssa Rosa Alberoni
a cura di Paolo Sorbi
Giovedì 20 Aprile 2006

Postato da: giacabi a 10:47 | link | commenti
ateismo, gesù, alberoni

lunedì, 15 febbraio 2010

Persiste il tentativo europeo

 
di cacciare Cristo

***

E’ la solita dittatura di pochi che stermina e schiaccia interi popoli, ieri con la ghigliottina, con i gulag, i campi di sterminio, oggi con il volere di uno
Intervista a Rosa Alberoni, sociologa, giornalista e scrittrice

di Włodzimierz Rędzioch


Persiste il tentativo europeo di cacciare Cristo
E’ la solita dittatura di pochi che stermina e schiaccia interi popoli, ieri con la ghigliottina, con i gulag, i campi di sterminio, oggi con il volere di uno
Intervista a Rosa Alberoni, sociologa, giornalista e scrittrice

di Włodzimierz Rędzioch

ROMA, mercoledì, 25 novembre 2009

Nell’intervista che segue, la professoressa Rosa Alberoni analizza e commenta la sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo in cui si intima di togliere tutti i crocifissi dalle aule scolastiche.
Qualche anno fa ha scritto un libro intitolato La cacciata di Cristo, che racconta la storia della lotta contro Cristo e la Sua Chiesa. Da due secoli vari filosofi, rivoluzionari, politici e dittatori, gente dell’ateismo militante tenta di eliminare Cristo dalla vita della gente. Mi sono ricordato del suo libro leggendo le notizie sulla decisione del Tribunale di Strasburgo: sembrava che la vita stessa scrivesse un altro capitolo de La cacciata di Cristo. Con quali sentimenti ha appreso lo scandaloso verdetto dei giudici europei di proibire l’esposizione dei crocifissi nelle scuole?
Rosa Alberoni: Con amarezza, perché non c’è peggiore dolore di quello di veder realizzare ciò che si è previsto. Nel mio libro ho analizzato un percorso storico, evidente a tutti, dell’inizio della cacciata di Cristo nella civiltà cristiana. Il percorso – quello più macroscopico, verificabile da chiunque rifletta usando il buon senso – comincia con i giacobini della rivoluzione francese, prosegue con i comunisti, con i nazisti e poi con gli atei militanti. Quel gruppo egemone nella cultura che in modo sistematico hanno relativizzato tutto, facendo emergere in ciascuno di noi quell’insano desiderio di fare quel che più ci aggrada. E’ la mala pianta della dittatura del volere individuale seminata dagli atei militanti, e poi annaffiata, curata affinché crescesse rigogliosa. Essi si presentano sotto varie maschere per camuffarsi. Sono cioè coloro che parificano l’uomo all’animale, che esaltano l’onnipotenza della tecnica e la diversità. Sono coloro che attraverso il dominio dei media hanno per due secoli, in modo rigoroso e persistente, esaltato il mondo alla rovescia: l’eccezione innalzata come regola, una esigua minoranza che accusano la maggioranza che osa rifiutare le anomalie fisiche e la violazione della sacralità della vita. La accusano di oscurantismo, di razzismo. Le anomalie, come ad esempio l’orgoglio per la omosessualità, la sordità, la cecità e l’aborto fai da te, vengono affermati come diritti inalienabili dell’individuo. E’ la solita dittatura di pochi che stermina e schiaccia interi popoli, ieri con la ghigliottina, con i gulag, i campi di sterminio, oggi con il volere di uno essere umano qualsiasi a discapito del volere di milioni di persone. Uno viene turbato dalla visione del crocifisso in un’aula universitaria di centinaia di studenti e allora pretende che una legge faccia sparire l’oggetto del suo disagio dalla sua vista, ignorando il dolore lacerante della massa dei suoi compagni che si vedono privati di un simbolo di amore. La legge di Bruxelles legittima il volere di un tiranno in nome dei diritti dell’uomo, in nome della democrazia. E’ un paradosso grande quanto un grattacielo.
La decisione di far sparire i crocifissi dalle scuole è stata presa dalla Corte europea “dei diritti dell’uomo”. Nell’Europa di oggi crescere senza Dio, essere educati senza conoscere Cristo diventa uno dei “diritti dell’uomo”. Che razza di diritti sono questi?
Rosa Alberoni: Sono i diritti pretesi da pochi giacobini a danno di milioni di persone. L’essere umano è stato creato libero di agire, di credere o non credere, ma non di imporre agli altri le proprie idee. A maggior ragione quando i pretesi diritti calpestano i sentimenti di milioni di persone e vanno contro il senso comune. Ma dopo due secoli di esaltazione della parola “diritto” e la rimozione della parola “responsabilità”, che scorta qualsiasi libera decisione, anche chi dovrebbe ribellarsi con determinazione si sente inibito. Invece dovremmo riflettere su quando è già avvenuto per non lasciare il campo libero e diventare schiavi delle leggi. Prima riflessione: in modo fraudolento gli atei militanti sono riusciti da tempo ormai a cancellare dai programmi scolastici l’insegnamento dei capisaldi dell’Antico Testamento, i patriarchi, i profeti, Mosè, ecc., e la parola di Cristo, dal suo avvento alla sua risurrezione. Paradosso dei paradossi hanno cancellato Cristo dalla civiltà che porta il suo nome. Occorre ricordarsi che siamo nel 2009 dell’era di Cristo. Occorre scoprire che gli ebrei e gli islamici datano il proprio calendario in modo diverso dal nostro. Una ragione ci dovrà pur essere. Seconda riflessione: tutti i dittatori hanno cercato di far ripartire il calendario da capo, perché essi sì che sono stati vigilanti e astuti! Perché essi hanno sempre saputo che per cancellare Cristo bisogna cancellare la civiltà cristiana, che viene ricordata dal calendario. L’hanno fatto i rivoluzionari francesi, Hitler, ecc. Per cacciare Cristo essi hanno sempre saputo che bisognava far tabula rasa per far ripartire il calendario da zero e dare e nominare in un altro modo la civiltà che dominavano. Presto, se i popoli europei non si ribellano, se non vigilano su ciascuna legge che viene loro proposta, verranno a sapere che per legge il calendario della civiltà cristiana dovrà partire dalla rivoluzione francese. Cioè dall’era che ha negato Cristo apertamente, sostituendolo con la razionalità intellettuale, con la fredda burocrazia.
Non c’è rischio che, dopo il totalitarismo giacobino, comunista, nazista e recentemente islamico, in Europa avremo un nuovo totalitarismo chiamato “eurocrazia”?
Rosa Alberoni: Il rischio c’è. L’eurocrazia rappresenta la parte militante dell’ateismo, e cercherà di imporre per legge tutto ciò che le pare, soprattutto quando i popoli sono alle prese con altri problemi, come adesso per la crisi economica. Affinché il disegno della burocrazia atea e militante non si dispieghi per legge, i popoli devono dire di no, devono rifiutare le leggi che quei pochi burocrati emanano. I popoli europei devono comprendere che le crisi economiche si superano, come abbiamo nel ventesimo secolo superato le catastrofi di due guerre mondiali supereremo anche questa crisi di origine finanziaria. I popoli devono comprendere che è più doloroso e lungo rimettere insieme i cocci della propria identità frantumata, rispetto ad un breve sacrificio collettivo per superare una crisi economica. E devono avvedersi dell’astuto lavoro che gli atei militanti sono usciti a fare confidando nella distrazione della gente che si prodiga per costruire. Gli atei militanti, proprio grazie alla distrazione della gente indaffarata a costruire, sono riusciti in modo subdolo a distruggere i Comandamenti, il sentire comune, i valori cardini della nostra civiltà. Oggi che siamo sull’orlo di un precipizio dei valori, i popoli hanno il dovere di soffermarsi e riflettere, hanno il dovere di rifiutare le leggi che annientano la propria identità, la propria civiltà.
Certi ambienti politici ed intellettuali combattono l’identità cristiana d’Europa sognando un’Europa multireligosa e multietnica. Cosa ne pensa?
Rosa Alberoni: Che rassomigliano ai traditori dell’antica Grecia all’epoca delle città stato. Un gruppetto di persone assetate di potere pur di imporre il proprio volere ogni tanto ordivano un complotto. Così uno dei congiurati, per esempio un ateniese andava a Sparta invitandola a far guerra ai propri concittadini, e i congiurati complici rimasti ad Atene di nascosto aprivamo le porte della propria città agli invasori. E’ così che è stata distrutta la civiltà greca: cioè si è auto-distrutta per causa di quei pochi rosi dall’invidia e dalla sete di dominio.
Come mai la sinistra, i liberali e i radicali, che combattono più strenuamente la Chiesa cattolica e sono contro le radici cristiane del nostro continente, allo stesso tempo sono “timidi” ed arrendevoli con gli islamici che vivono in Europa?
Rosa Alberoni: Perché ritengono gli islamici degli alleati che possono rinforzare le esigue truppe che hanno a disposizione nell’Europa cristiana. Pur di abbattere il Cristianesimo sono disposti a tutto. E non sanno gli incoscienti che a perire, se dovessero riuscire nel loro intento funesto, andrebbero anche loro. Certo, sarebbero gli ultimi ad essere falciati via, dopo aver visto la propria gente schiava o massacrata. Confesso che l’espressione “radici cristiane” mi irrita molto, in quanto potrebbe risultare pericolosa nel tempo, perché potrebbero affermare: “La cultura laica è così forte che può fare benissimo a meno della radice religiosa del Cristianesimo”. Giovanni Paolo II la usò in senso tecnico, in senso hegeliano, quando il parlamento europeo stava scrivendo la Costituzione per l’Europa. Il filosofo tedesco, proprio per far fronte all’onda giacobina ed atea, nei primi decenni dell’ottocento ribadisce che qualsiasi Costituzione per essere accettata deve sorgere su due radici: la tradizione culturale e la religione di quel popolo in quel dato momento storico. Vale a dire, la Costituzione deve essere conforme al popolo che deve governare. Ora se tutta l’Europa è figlia della civiltà cristiana, i parlamentari europei se vogliono scrivere la nuova Costituzione, non possono ignorare la tradizione culturale e la religione cristiana che rappresentano il vero patrimonio dell’Europa. La civiltà cristiana non è fatta di radici, ma è un albero gigante sorto sulle radici culturali giudaico-greco-romana. E’ su queste radici culturali che si è radicato il messaggio rivoluzionario, la sconcertate e nuova visione del mondo apportata da Cristo, divenendo in duemila anni il grande albero della civiltà cristiana, che l’esiguo numero di atei militanti vogliono abbattere. E la stragrande maggioranza della gente, non rendendosi ancora conto di ciò che accade, in modo incauto e pigro continua a chiamare Occidente la propria civiltà. La indica con una zona geografica del pianeta non con il suo nome. Ciascuno si autodefinisce terra invece di cristiano. Si autodefinisce manciata di polvere invece di persona appartenente ad una civiltà. Dico incauto, perché se una civiltà non si nomina sparisce. La storia ci insegna che ciò che non si nomina non esiste, perché non è mai nato. Infatti, da sempre, quando nasce un essere umano e gli diamo un nome, inventiamo un nuovo oggetto e gli creiamo un nome adatto, scopriamo un nuovo territorio e gli diamo un nome. Dico pigro, perché il buon senso avrebbe dovuto dirci che dopo la scoperta dell’America, l’Impero d’occidente era tramontato definitivamente. Dire Impero d’oriente e Impero d’occidente non ha più senso, visto che proprio l’Europa ha scoperto altri continenti in altri emisferi – America e Australia - e vi ha portato la civiltà cristiana. L’Australia e l’America latina fanno addirittura parte dell’altro emisfero, non centrano proprio con la definizione “occidente”. Gli atei militanti hanno cominciato a definire la civiltà cristiana solo con il termine “occidente”, e tutti gli altri per pigrizia gli sono andati dietro.
Lei nel suo libro, La cacciata di Cristo, esorta i cristiani ad alzare la testa per difendere la propria identità. In questi giorni anche il card. Walter Kasper ha lanciato la stessa esortazione. Sembra che la gente comune questa volta abbia reagito. Come interpreta la rivolta popolare in Italia contro la legge che vorrebbe eliminare il crocifisso dai luoghi pubblici?
Rosa Alberoni: Una sana reazione. Però non basta, i leader culturali e politici devono evocare le ragione più vaste che rappresenta il crocifisso. Il crocifisso - come la stella di Davide per gli ebrei e la mezzaluna per i mussulmani – non è soltanto un simbolo religioso, ma rappresenta anche la nostra identità. Per questo il simbolo del crocifisso va difeso sia dai credenti che dai non credenti. Cancellato il crocifisso, non sapremmo più chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando. Non esisteremmo più come popoli, come civiltà. Gli ebrei, quando parlano di sé affermano con orgoglio: “Io appartengo alla civiltà ebraica”, così dicono pure gli islamici. Con il mio appello contenuto nel libro La cacciata di Cristo - “Cristiani, alzate la testa, difendiamo la nostra identità” – mi rivolgevo a tutti proprio per questo. Mi rivolgevo – e mi rivolgo - non solo ai cattolici, protestanti o ortodossi, quindi ai credenti, ma a tutti, credenti, dubbiosi ed atei, perché è in gioco la sopravvivenza della nostra civiltà. Ignorare questo pericolo è un atto masochistico. E’ desiderio inconscio di morte, di annientamento. Questo desiderio sorge dalla percezione della fatica che occorre fare per ribadire oggi chi siamo, per poter affermare anche noi con orgoglio: “Io appartengo alla civiltà cristiana”. Invece il canto delle Sirene che ci incita a lasciarci andare, a non vedere il pericolo - tanto continuano a dirci che una civiltà vale un’altra, una religione vale un’altra, un valore vale quanto un non-valore - è ammaliante, però mortale come l’Ulisse omerico aveva ben compreso.

 

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giovedì, 11 febbraio 2010

La conversione di Francis Collins
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Tempi num.28 del 12 luglio 2007
Lo scienziato che ha decodificato l'intero genoma umano ci racconta la sua conversione e ci spiega perché è proprio la sorprendente complessità del cosmo a convincerlo che aveva ragione C. S. Lewis

di Roberto Persico


Un'altra vittima di C. S. Lewis. Eppure c'erano tutte le premesse perché Francis Sellers Collins finisse come uno dei tanti pazienti ideali di Berlicche, quelli che arrivano quietamente all'inferno senza mai porsi neppure il problema. «Come figlio di liberi pensatori - scrive ne Il linguaggio di Dio, da poco uscito in Italia - ho avuto un'educazione tipicamente moderna per quanto riguarda l'atteggiamento nei confronti della fede: semplicemente, non era considerata una cosa importante». E quel «desiderio di qualcosa che stava al di fuori di me, spesso associato alla bellezza della natura o a un'esperienza musicale particolarmente profonda», che racconta di avere talvolta sperimentato nell'adolescenza, non trovò nessuno pronto ad accoglierlo. Anzi, approdato nelle aule universitarie, l'anticristianesimo militante che vi si era diffuso spinse il professor Collins da un agnosticismo in fondo indifferente al problema religioso a un deciso ateismo.
Intanto maturava un curriculum di tutto rispetto, passando dalla chimica alla fisica alla biologia, per approdare infine alla medicina. Ma proprio qui Dio era in agguato, tra le corsie in cui Collins faceva il suo tirocinio da medico, nel volto di morenti che trovavano nella fede la forza per affrontare lietamente l'ultima sofferenza. «Se la fede non era altro che la maschera di una tradizione culturale, perché quelle persone non alzavano il pugno a Dio e non chiedevano di smetterla con quelle chiacchiere su una potenza amorevole e benefica?». Di colpo, si rese conto che l'indifferenza non è una posizione degna di un uomo di scienza. «Non mi ritenevo uno scienziato? E uno scienziato tira forse conclusioni senza riflettere sui dati? Poteva esserci una domanda più importante di "Dio esiste"? Questa presa di coscienza fu un'esperienza assolutamente terrificante». E sulle prime tentò di offrire ragioni al proprio ateismo. Poi però incappò in "Scusi, qual è il suo Dio?" di Lewis. «Mi resi conto che tutti i miei costrutti contro la plausibilità della fede erano degni, al massimo, di uno scolaretto. Lewis pareva conoscere tutte le mie obiezioni, talvolta prima che fossi riuscito a formularle con precisione, e le risolveva invariabilmente nell'arco di una o due pagine».

Spiegare il Dna a Bill Clinton

 Dai giorni dell'università, Francis Collins ne ha fatta di strada, fino a diventare direttore del "Progetto Genoma", l'impresa internazionale che ha condotto alla mappatura dell'intero patrimonio genetico dell'uomo. E durante la presentazione ufficiale dei risultati, nel giugno del 2000 alla Casa Bianca, accanto al presidente Bill Clinton, così commentò l'evento: «Pensare che abbiamo potuto dare una prima fugace occhiata al nostro manuale di istruzioni, finora noto soltanto a Dio, mi fa sentire umile. Provo un grande timore reverenziale».
La sua carriera di studioso è cresciuta di pari passo con la sua fede, e ora con Il linguaggio di Dio ha voluto delineare una posizione che lui chiama "evoluzionismo teologico" - «espressione poco accattivante», riconosce - sostituendola col più sintetico e suggestivo "BioLogos": correttamente intesi, non c'è nessuna contraddizione tra i dati della conoscenza scientifica e la verità dell'esperienza religiosa. Una posizione lucidamente critica sia nei confronti di chi pretende di fare della scienza un sostegno dell'ateismo, sia rispetto agli integralismi religiosi che negano le evidenze scientifiche in nome di letture letterali della Bibbia. Ma vuole anche superare la teoria del "disegno intelligente", che fa intervenire Dio come "tappabuchi" di un'evoluzione difettosa. Chiuso il libro, abbiamo raggiunto Collins nel suo ufficio al National Human Genome Research Institute, e lui ha trovato il tempo di fare due chiacchiere con Tempi.
Gli argomenti che porta nel suo libro a sostegno della ragionevolezza dell'ipotesi di Dio sono fondamentalmente due. Uno è il cosiddetto principio antropico, cioè la sorprendente convergenza delle costanti fisiche fondamentali dell'universo verso le condizioni che rendono possibile la vita sulla Terra. L'altro è l'esistenza della legge morale, dell'altruismo, di valori che l'evoluzione (che pure chiarisce tante altre verità) non basta a spiegare. Al contrario dei sostenitori del principio antropico, gli scienziati che propendono per l'esistenza del "multiverso" teorizzano che il nostro universo non sarebbe che una delle infinite bollicine di una sconfinata schiuma cosmica, bollicine che continuamente si formano e si distruggono. Così la "sorprendente convergenza" delle costanti del cosmo sarebbe solo una delle infinite possibilità, che prima o poi avrebbe dovuto realizzarsi comunque. «Ma se le costanti che determinano le proprietà della materia e dell'energia nel nostro universo fossero anche solo lievemente differenti - ribatte Collins - non ci sarebbe nessuna possibilità per la vita. Perciò è difficile sfuggire alla conclusione che, come ha scritto Freeman Dyson, "l'universo sembrava sapere che stavamo arrivando noi"».

Darwin e il paradosso della morale

A proprio sostegno Collins cita anche la recente pubblica professione di fede fatta da Antony Flew, ateo da una vita, che «è stato pesantemente influenzato dalla scoperta del potere teologico del principio antropico. Una tale precisione nella regolazione di queste costanti non può essere liquidata come una "coincidenza". L'ipotesi del multiverso, secondo la quale il nostro non sarebbe che uno tra pressoché infiniti universi paralleli dove queste costanti assumono di volta in volta valori diversi, è a mio parere l'unica alternativa praticabile alla conclusione che tali valori siano stati definiti da un'intelligenza superiore. Molti osserverebbero, tuttavia, che credere nel multiverso richiede almeno tanta fede quanta credere in Dio. Uno come Leonard Susskind può supporre che la questione potrebbe essere definita se si potessero rilevare segnali dagli altri universi, ma al momento sembra altamente improbabile. E anche se accadesse, lascerebbe comunque senza risposta la domanda su come tutti questi universi abbiano avuto origine. Il che sembra riportarci alla necessità di una Causa Prima che stia fuori da tutti questi universi. E così torniamo a Dio».
Anche l'idea che la coscienza morale sia un segno di Dio ha trovato diversi critici, i quali suggeriscono che si potrebbe scoprire che i gruppi umani che sviluppano attitudini altruistiche sopravvivrebbero più facilmente di quelli che si scannano l'un l'altro: se così fosse, la teoria di Collins si rivelebbe un altro caso di "Dio tappabuchi". «Nessuno degli argomenti che sviluppo ne Il linguaggio di Dio ha la pretesa di essere una prova. Se l'argomento della legge morale dovesse risultare debole e saltasse fuori che le nostre tendenze altruistiche possono essere spiegate sulla base dell'evoluzione darwiniana, la mia fede non ne sarebbe scossa. Ma non credo che sia probabile, dato che, primo, l'evoluzione opera sugli individui, non sui gruppi (e Richard Dawkins su questo è d'accordo). Secondo, l'evoluzione riguarda solo la capacità di un individuo di trasmettere il proprio Dna meglio dei concorrenti. Terzo, proprio per questo il gesto di una persona che aiuta un'altra a rischio della vita è uno scandalo per l'evoluzione, e dovrebbe essere qualcosa a cui noi umani guarderemmo con scherno, non con ammirazione. Tenga presente anche la conseguenza dell'argomento che la legge morale sarebbe un puro risultato dell'evoluzione: vorrebbe dire che il nostro senso del bene e del male è una pura illusione, uno sporco trucco della selezione naturale, con significato di valore di alcun tipo. È una conclusione che trova riscontro nell'esperienza di ciascuno?»
Eppure scienziati come Dawkins, "il rottweiler di Darwin", o Daniel Dennet, autore di Illusioni filosofiche sulla coscienza, scrivono libri per dimostrare che «la fede è uno dei più grandi mali del mondo» o che la coscienza può essere totalmente ridotta alla neurobiologia. Collins nel suo libro li bastona duramente, smontando le loro tesi pezzo per pezzo. Ma sono sempre loro a tener banco agli occhi dell'opinione pubblica. «Circa il 40 per cento degli scienziati crede in un Dio personale - replica Collins - e per quel che ne so la maggior parte di loro aderisce alla prospettiva che ho definito BioLogos per tenere insieme quel che conoscono come scienziati e quel che credono come esseri spirituali. Ma discutere apertamente la propria fede nell'ambiente scientifico è generalmente tabù. Quelli che lo fanno corrono il rischio di essere considerati dei rammolliti intellettuali, così molti credenti tengono le proprie opinioni per sé. Inoltre, questa riluttanza a mettersi in gioco non è solo degli scienziati: le tensioni in atto fra atei conclamati da una parte e fondamentalisti religiosi dall'altra rende molti riluttanti ad affrontare la questione per timore di essere incasellati in uno dei due schieramenti».

Le forme diverse dello sguardo a Dio

 Malgrado l'inasprirsi del dibattito fra atei e credenti, però, è possibile tenere insieme l'affermazione della verità e la tolleranza. Scrive Collins: «Ciascuno deve intraprendere una propria ricerca della verità spirituale. Se Dio esiste, sarà lui a offrire aiuto. La tolleranza è una virtù, l'intolleranza un vizio. Mi turba profondamente sentire gli adepti di una tradizione di fede liquidare le esperienze spirituali di altri credenti. Tuttavia, se la fede è una ricerca della verità assoluta, non dobbiamo commettere l'errore di affermare che tutti i punti di vista in conflitto fra loro sono ugualmente veri. Il monoteismo e il politeismo non possono essere entrambi corretti.
Personalmente, credo che il cristianesimo abbia un particolare accento di verità. Ma ciascuno, come ho detto, deve condurre la propria ricerca». Una posizione troppo poco promossa oggi, spiega lo scienziato a Tempi: «Purtroppo, la nostra società sembra aver preso l'abitudine di amplificare solo le posizioni estreme. Io credo che moderazione, tolleranza e comprensione siano molto più diffuse di quel che comunemente si ritiene». E cosa si potrebbe fare, allora, per dare maggior eco a questa concezione del rapporto tra scienza e fede? «Potremmo cominciare - risponde Collins - chiedendo ai grandi scienziati di spendere un po' di tempo a cercar di capire il punto di vista dei più profondi pensatori religiosi, e allo stesso modo chiedere ai capi delle Chiese di immergersi nelle ultime scoperte scientifiche. Oggi entrambi i gruppi sono fin troppo pronti a fare una caricatura gli uni degli altri piuttosto che a cercare di capirsi seriamente. Bisognerebbe creare delle opportunità per mettere insieme i leader dalla mente aperta in un ambiente che incoraggi l'idea che la scienza e la fede sono forme diverse di conoscenza, ed entrambe possono offrire scorci impressionanti di Dio. E dovremmo lavorare molto di più nelle nostre scuole, per insegnare alle giovani generazioni la verità sulla natura come ce la mostra la scienza e insieme aiutarle ad apprezzare il valore permanente delle verità che derivano dalla fede».
 grazie ad: Amadigi

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ateismo, collins, scienza - articoli


NON C’E’ PIU’ IRRELIGIONE
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di Antonio Socci – Libero
Dawkins: ho perso la battaglia per l’ateismo”. “Il sacerdote del’ateismo: ho fallito”. Questi due titoli del Corriere della sera (7/11) rilanciavano le dichiarazioni al Guardian del famoso ateo militante Richard Dawkins. Sebbene chi lo intervistava lo confortasse con notizie d’irreligione montante, il professore di Oxford, sconsolato, vede “una maggiore influenza della religione”. Aveva scritto un libro, “L’illusione di Dio”, che ha venduto un mare di copie, con “lo scopo dichiarato di ‘convertire’ i lettori all' ateismo”, e ora, a consuntivo, Dawkins “ammette di aver fallito”. Qualcuno ritiene addirittura che abbia finito per portare acqua al mulino dei “nemici”. FAMOLO STRANO La campagna ateistica lanciata sugli autobus di Londra per esempio è stata ideata da Ariane Sherine proprio con l’appoggio di Dawkins. Ecco lo slogan: “Probabilmente Dio non esiste, smettete quindi di preoccuparvi e godetevi la vita”. Probabilmente? E’ difficile immaginare un’idea più controproducente. Innanzitutto da atei militanti, che pretendono di convincere gli altri, si esige che proclamino con certezza che Dio non esiste. Se neanche loro ne sono sicuri, chi pretendono di convincere? Chiunque ricordi la celebre “scommessa” di Pascal (un genio della matematica e del calcolo, oltreché grande pensatore cristiano) sa che quel “probabilmente” basta ed avanza per scommettere sull’esistenza di Dio. E’ assai più conveniente. In pratica lo slogan è un clamoroso autogol. Anzi due. Perché, in qualche modo, dà ragione a chi – con Dostoevskij – afferma “se Dio non c’è tutto è permesso”. Tesi aborrita proprio dal pensiero laico che rivendica un suo codice morale. Fanatismo Stando a quello slogan, chi è certo che Dio non esiste e ne è ben felice, se la dovrebbe spassare. Non dovrebbe certo consumare i suoi anni in una faticosa propaganda dell’ateismo. Anche perché ritiene ovvio che Dio è una favola. Nessuno spreca i suoi giorni per convincere gli altri che i draghi non esistono. Dawkins dovrebbe essere il primo ad applicare lo slogan che stava scritto sui bus di Londra: “Godetevi la vita”. Invece ha dedicato l’esistenza a quella missione, si è fatto in quattro, con uno zelo che rasenta il fanatismo. Russel Stannard, un fisico che si è occupato di rapporti fra scienza e Dio, intervistandolo, anni fa, nel libro “La scienza e i miracoli”, si diceva incuriosito dalla strenua lotta di Dawkins. Sembra ossessionato da Dio. Ha versato fiumi di inchiostro. E’ uno degli intellettuali che più pensa a Dio. Ricorda un tipo del romanzo di Graham Greene, “La fine dell’avventura”. Costui stava sempre ad Hyde Park a comiziare contro il cristianesimo, con un tale impegno che la protagonista del romanzo, Sara, da sempre agnostica, sentendolo tuonare di continuo, cominciò a porsi seriamente la domanda su Dio perché non si può odiare così il nulla. Alla fine lei si converte e muore quasi in fama di santità. Grande vecchio Il padre dell’ateismo filosofico-scientifico moderno, quello a cui tutti si sono abbeverati, da mezzo secolo, è Antony Flew, 82 anni, grande carriera accademica alle spalle fra Oxford e gli Stati Uniti, che però, nel dicembre 2004, ad un convegno a New York, ha annunciato di essersi completamente sbagliato. Alla luce delle ultime scoperte della biologia (specialmente il Dna) e della fisica dichiara di arrendersi all’evidenza razionale dell’esistenza di Dio. Il grande vecchio ha pure spazzolato sonoramente i “rampolli” dell’ateismo, come Dawkins. Ma il suo eccezionale libro, peraltro godibilissimo, dove spiega i motivi di questa conversione, “There is God” (sottotitolo: “Come il più famoso ateo del mondo ha cambiato idea”), un libro che ha fatto scalpore in America, da noi non esce. Perché?
di Antonio Socci – Libero 2008/11/13
grazie ad: Amadigi

Postato da: giacabi a 16:58 | link | commenti
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domenica, 10 gennaio 2010

La sventura di un uomo senza Dio  ***
Nulla denuncia maggiormente una strema fiacchezza di spirito quanto il non riconoscere qual è la sventura di un uomo senza Dio; nulla denota di più una cattiva disposizione del cuore quanto il non desiderare la verità delle promesse eterne; nulla è più vile quanto il fare lo spavaldo contro Dio. Lascino dunque tali empietà a quelli che sono tanto mal nati da esserne realmente capaci; siano almeno persone oneste se non possono essere cristiani, e riconoscano in fine che vi sono due categorie di persone che si possono dire ragionevoli: o quelli che servono Dio con tutto il cuore perché lo conoscono, o quelli che lo cercano con tutto il cuore perché non lo conoscono.
Ma quanto a quelli che vivono senza conoscerlo e senza cercarlo, essi si giudicano da sé tanto poco degni di prendersi cura di se stessi, che non possono essere degni delle cure degli altri; e occorre avere tutta la carità della religione che essi disprezzano per non disprezzarli fino ad abbandonarli alla loro insensatezza. Ma poiché questa religione ci obbliga a considerarli sempre, fino a che vivono, come capaci della grazia che può illuminarli, e di credere che possono essere fra breve più colmi di fede di quanto non lo siamo noi, e che potremo, al contrario, cadere nell’accecamento in cui loro si trovano, occorre fare per loro quello che noi vorremmo si facesse per noi se fossimo al loro posto, e invitarli ad aver pietà di loro stessi, e a fare almeno qualche passo per tentare di trovare qualche lume.
Pascal Da Pensieri, opuscoli, lettere, a cura di A. Bausola, Rusconi, Milano

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ateismo, pascal

domenica, 12 luglio 2009
L’ateo crede più di quanto pensi
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«Il perfetto ateo si trova in cima alla scala, sul penultimo gradino, che porta alla fede perfetta»
Dostoevskij

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dostoevskij, ateismo

L’ateo crede più di quanto pensi
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«L’ateo crede più di quanto pensi. Negare in fondo è una forma rabbiosa di affermazione. La breccia dimostra l’esistenza del muro. Negare comunque non significa distruggere. Le brecce che l’ateismo apre all’infinito assomigliano alle ferite inferte al mare da una bomba. Tutto si richiude e prosegue ».
Victor Hugo, I miserabili 1862

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ateismo

giovedì, 30 aprile 2009
da Avvenire del 22 aprile 2009

L’uomo-macchina, idolo della scienza

di Pietro Barcellona
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Non c’è dubbio che oggi ci troviamo di fronte a un mutamento radicale del funzionamento mentale e della configurazione lessicale del mondo, che richiederebbe un approccio completamente nuovo alla strategia d’analisi della realtà e dei modi dell’apprendimento. Non riesco a parlare con un giovane immerso nella logica dell’istantaneità sui temi della tradizione storica, della lettura per successione di eventi. C’è uno scarto linguistico che rischia la rottura della comunicazione fra generazioni. In realtà noi non parliamo coi nostri figli perché essi vivono in un altro universo linguistico, perché la società si è disintegrata sotto l’azione dei mutamenti epocali che vengono rappresentati come globalizzazione e pensiero unico, ma che ancora non sono compresi in una adeguata rappresentazione del mondo. L’uomo ha dimenticato di essere un granello infinitesimale rispetto all’immensità sconosciuta dell’universo e si è arrogato il potere di creare la vita senza la vita.
Certo, i frutti del sapere razionale sono enormi e le tecnologie consentono prestazioni prima inimmaginabili. Il progresso scientifico è stato il traguardo di sforzi inauditi e in esso sono state riposte le speranze di un mondo migliore. Il prezzo pagato per questo vero e proprio delirio di onnipotenza è, però, che la razionalità si è trasformata in una macchina costruita secondo principi logico-matematici che consentono di calcolare funzioni e prestazioni producendo continuamente strutture idonee a operare secondo impulsi codificati in appositi programmi operazionali. Il mondo è sistema e gli uomini sono inclusi nella logica sistemica: macchine per sopravvivere senza vivere. La ragione ha disintegrato l’uomo e ne ha fatto oggetto di studio. La psicologia, l’economia, la politica e via via il cuore, il fegato, i polmoni, il pancreas, gli occhi, sono diventati oggetto di sapere, guidati dall’unico metodo scientifico che si conosce: il riconoscimento della stessa comunità degli scienziati. Umberto Veronesi, sul Corriere della Sera di qualche mese fa, ha scritto che nel giro di qualche generazione la differenza sessuale fra uomini e donne perderà ogni significato, che l’umanità si riprodurrà senza bisogno dell’accoppiamento di un uomo e di una donna, ma attraverso l’inseminazione artificiale e la clonazione, che l’evoluzione naturale della società ci porta oltre i confini dei tradizionali comportamenti sessuali e ci destina a nuove forme di relazioni interpersonali.
Così, in una qualsiasi pagina di giornale, viene annunciata senza alcun clamore la fine delle leggi che hanno fin qui governato il problema della riproduzione sociale, del ruolo della generazione, della responsabilità verso il futuro. Nel proclama di Veronesi, di una umanità senza differenze, è lo spazio, lo spazio della memoria e del sogno, che viene negato e distrutto. Nell’universo indifferente ciascuno vive per se stesso, per il proprio godimento immediato che è garantito dalle nuove possibilità offerte dalla scienza, dalle biotecnologie, dalla chimica, dalla fisica e dalle neuroscienze. Veronesi non annuncia il futuro della libertà umana, ma la morte dell’immagine dell’uomo che è stata faticosamente costruita nella storia dell’Occidente. L’indifferenza sessuale non è un progetto di umanizzazione della società e della natura, non è un progetto di sviluppo della consapevolezza del significato del nostro essere al mondo, ma la cancellazione di ogni spazio mentale, non riducibile a sinapsi e a neuroni, dove possa svilupparsi la domanda umana sul senso della vita, sul valore squisitamente umano del sogno di un futuro diverso, sulle speranze di un avvenire di salvezza dall’ingiustizia e dalla sofferenza.
Oggi la scienza e la filosofia non sopportano il mondo delle passioni e dei sentimenti (a meno che non si riducano a formule chimiche o a errori logici) perché esso ci porta dentro una dimensione che non riesce a conciliarsi con la loro pretesa di assoluto e di eternità: la temporalità caduca e divoratrice. Per la scienza come per tutti gli assoluti non esiste il tempo, il tempo della nascita né il tempo della morte, il tempo della gioia né il tempo del dolore. Ciò che accade, accade per caso o per necessità. Non è un problema di coscienza, né una questione che riguarda soltanto ogni singolo individuo, ma la stessa domanda del chi siamo e del perché viviamo. Non si tratta soltanto di rievocare le grandi storie che ci hanno appassionato e formato: le passioni terribili che hanno scatenato le guerre antiche e moderne, gli amori tragici di Paolo e Francesca, di Tristano e Isotta, di Giulietta e Romeo, ma l’intero clima culturale in cui si è venuto sviluppando nell’Occidente lo spazio specifico dell’essere umano combattuto fra le forze primordiali della natura, fra la implacabile legge dell’Eros senza limiti, e il bisogno di un ordine che sanzioni anche la responsabilità verso la progenie chiamata a raccogliere il testimone della vita. Gli dei greci, il Dio del cristianesimo, hanno reso possibile agli uomini istituire lo spazio mondano dell’interrogazione sulla verità come domanda sul senso della vita.
In questo spazio sono apparse "figure" che non hanno nulla a che fare col divino, né col naturale: la tenerezza dei corpi che si stringono, la bellezza di un neonato dalla pelle rosata, la coscienza del tramonto del vigore giovanile, la nostalgia e la memoria, il sapere e la speranza, la sofferenza e la gioia, l’estasi e il tormento. Attraverso di essi l’uomo ha cercato di sfuggire ad ogni statuto di necessità e di assumere sempre più la responsabilità della propria esistenza. Tutti sono bravi a descrivere la globalizzazione, i mercati finanziari, il problema delle borse, i nuovi orizzonti interculturali, la scoperta delle cause di tutte le malattie, ma nessuno è più capace di parlare a un bambino mutilato da una bomba americana caduta per caso su un villaggio pacifico o ai superstiti di un attentato kamikaze che ha stroncato la vita di giovani in festa in un piccolo centro israeliano. Perché abbiamo perduto il senso della vita, le domande tragiche che nascono dal dolore senza spiegazioni? Perché abbiamo confuso, forse intenzionalmente, la ragione con il pensiero e la conoscenza con la comprensione. Questa è un’epoca in cui la ragione ha distrutto il pensiero e la cognizione ha soppresso l’intesa affettiva.

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sabato, 17 gennaio 2009
Gli atei
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 « Gli atei sono per lo piú uomini di scienza coraggiosi, ma sviati nei loro ragionamenti, i quali non potendo comprendere la creazione, l’origine del male e altre difficoltà, ricorrono alla ipotesi dell’eternità delle cose e della necessità.
Gli ambiziosi, gli uomini dediti ai piaceri non hanno gran che tempo per ragionare e quindi non rischiano di abbracciare sistemi errati; essi hanno altro da fare che mettere a confronto le opinioni di Lucrezio con quelle di Socrate. Cosí vanno le cose da noi…
Certo non vorrei aver a che fare con un principe ateo perché, nel caso si mettesse in mente d’avere interesse a farmi pestare in un mortaio, son ben certo che lo farebbe senza esitazione. Nemmeno vorrei, se fossi un sovrano, avere a che fare con cortigiani atei, che potrebbero aver interesse ad avvelenarmi…
Quale conclusione trarremo da tutto ciò? Che se l’ateismo è estremamente pericoloso in quelli che governano, lo è pure negli uomini di studio, per quanto la loro vita possa essere pura, perché le loro idee possono uscire dal chiuso delle biblioteche e raggiungere le piazze; che l’ateismo infine anche se non è cosí funesto quanto il fanatismo, è quasi sempre fatale alla virtú. Va notato soprattutto che il numero degli atei è minore oggi che in qualsiasi altro tempo, da quando cioè i filosofi hanno riconosciuto che non esiste alcun essere vegetante senza germe, alcun germe senza struttura, ecc…
Geometri non filosofi hanno potuto rigettare le cause finali, ma i veri filosofi le ammettono; e, come ha detto un noto autore, il catechismo annuncia Dio ai fanciulli e Newton lo dimostra ai sapienti.».
Voltaire da: Dizionario filosofico

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giovedì, 28 agosto 2008
Quando ci dimentichiamo di Dio
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Dopo la tragedia delle 2 Torri: 11 sett. 2001 ed il maremoto: 26 dic. 2004 "Come ha potuto Dio permettere che avvenisse una sciagura del genere? ". La risposta che ha dato Jane Clacson, ragazza orfana a causa della tragedia delle Twin Towers, ad una Tv americana è estremamente profonda e intelligente: (valida anche per la tragedia del maremoto n.d.r.) "Io credo che Dio sia profondamente rattristato da questo, proprio come lo siamo noi, ma per anni noi gli abbiamo detto di andarsene dalle nostre scuole, di andarsene dal nostro governo, di andarsene dalle nostre vite. Ed essendo Lui quel gentiluomo che è, io credo che Egli con calma si sia fatto da parte, anche se continua ad amarci, nonostante tutto! Come possiamo sperare di notare che Dio ci dona ogni giorno la Sua benedizione e la Sua protezione se Gli diciamo: "lasciaci soli"? (..) Considerando i recenti avvenimenti... attacchi terroristici, sparatorie nelle scuole... ecc. penso che tutto sia cominciato quando 15 anni fa Madeline Murray O'Hare ha ottenuto che non fosse più consentita alcuna preghiera nelle nostre scuole americane e le abbiamo detto OK.
Poi qualcuno ha detto:
"è meglio non leggere la Bibbia nelle scuole"... (la stessa Bibbia che dice, Tu non ucciderai, Tu non ruberai, ama il tuo prossimo come te stesso) e noi gli abbiamo detto OK.
Poi
il dottor Benjamin Spock ha detto che noi non dovremmo sculacciare i nostri figli se si comportano male perché la loro personalità viene deviata e potremmo arrecare danno alla loro autostima, e noi abbiamo detto "un esperto sa di cosa sta parlando" e così abbiamo detto OK.
Poi qualcuno ha detto che sarebbe opportuno che gli insegnanti e i presidi non puniscano i nostri figli quando si comportano male, e noi abbiamo detto OK.
Poi alcuni politici hanno detto:
"Non è importante ciò che facciamo in privato purché facciamo il nostro lavoro" e d'accordo con loro, noi abbiamo detto OK.
Poi qualcuno ha detto: "
Il presepe non deve offendere le minoranze", così nel famoso museo Madame Tussaud di Londra al posto di Maria e Giuseppe hanno messo la Spice girl Victoria e Beckham e noi abbiamo detto OK.
Poi qualcuno ha detto: "Stampiamo riviste con fotografie di donne nude e chiamiamo tutto ciò "salutare apprezzamento per la bellezza del corpo femminile"". E noi gli abbiamo detto OK. Ora ci chiediamo come mai i nostri figli non hanno coscienza e non sanno distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Probabilmente, se ci pensiamo bene noi raccogliamo ciò che abbiamo seminato".
Buffo ...
come è semplice per la gente gettare Dio nell'immondizia e meravigliarsi perché il mondo stia andando alla rovina!
Buffo
... come crediamo a quello che dicono i giornali, ma contestiamo ciò che dice la Bibbia.
Buffo ... come tutti vogliono andare in Paradiso, ma al tempo stesso non vogliono credere, pensare e fare niente di ciò che dice la Bibbia.
Buffo ...
come si mandino migliaia di barzellette che si propagano come un incendio, ma quando si incomincia a mandare messaggi che riguardano il Signore, le persone ci pensano due volte a scambiarseli.
Buffo ... come tutto ciò che è indecente, scabroso, volgare e osceno circoli liberamente ovunque mentre le discussioni pubblicate su Dio siano state soppresse a scuola o sul posto di lavoro.
Buffo ... come a Natale nelle scuole la recita per i genitori non possa più essere sulla natività ed al suo posto venga proposta una favola di Walt Disney.
Buffo ...
come si stia a casa dal lavoro per una festività religiosa, e non si conosca nemmeno quale sia la ricorrenza.
Buffo ... come qualcuno possa infervorarsi tanto per Cristo la domenica, mentre è di fatto un cristiano invisibile durante il resto della settimana.
Buffo ... come posso essere più preoccupato di ciò che pensa la gente di me piuttosto che di ciò che Dio pensa di me. Lo disse un giorno anche Don Bosco ad un gruppo di seminaristi di Roma
.

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perle, ateismo

martedì, 04 marzo 2008
La ragione intuisce il  Creatore
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Flew: c’è un Dio nell’universo
 Lorenzo Fazzini                       Avvenire 06 dicembre 2007

                                 
      
 Il famoso filosofo della scienza inglese, che già fece scalpore tre anni fa dichiarandosi «ex ateo», ora ribadisce che l’origine della vita e l’esistenza dell’uomo sulla Terra non possono essere spiegate solo con la biologia.  Lo studioso polemizza anche con Richard Dawkins e con i suoi attacchi a ogni ipotesi di Creazione: «È uno sforzo comico».

Era universalmente ricono­sciuto come il 'campione' mondiale dell’ateismo, pa­drino di quella schiera di divul­gatori dell’inesistenza di Dio - Ri­chard Dawkins in primis - che affollano le librerie di mezzo mondo. Ma ora ha messo nero su bianco, in un volume che di cer­to farà discutere, il suo approdo intellettuale al riconoscimento che 'c’è un Dio'.
Antony Flew, 84 anni, filosofo del­la scienza di Oxford, autore di sag­gi in cui per decenni ha propu­gnato il più ferreo ateismo intel­lettuale, ha ammesso di aver 'ca­pitolato' di fronte all’evidenza e di credere in una Divinità.
“There Is a God”.è il titolo del volume scritto a quattro mani insieme a Roy A­braham Varghese, il pensatore cat­tolico i cui libri furono per il cat­tedratico oxfordiano il punto di partenza, già nel 2004, per una ri­visitazione dei propri enunciati. Fu appunto 3 anni orsono che Flew affermò per la prima volta di non credere più come un tempo al fatto che Dio non esistesse. Si trattò allora della prima scalfittu­ra del proprio pensiero espresso nel monumentale God and Philo­sophy del 1966, più volte riedito. Ora, con There Is a God, Flew compie l’abiura completa del suo pas­sato ateismo scientifico.
Nel testo appena uscito negli Sta­ti Uniti per Harper Collins, il filo­sofo britannico dà conto del mo­do in cui sia arrivato a quella fede che egli definisce 'deistica', come ha dichiarato in un’intervista per la rivista To The Source. In questo iter intellettuale, asserisce l’auto­re, «
ci sono stati due fattori deci­sivi. Il primo, la mia crescente em­patia verso lo sguardo di Einstein e altri noti scienziati secondo i quali ci deve essere stata un’Intel­ligenza dietro la complessità inte­grata dell’uni­verso fisico».
In seconda bat­tuta, a convince­re l’ex ateo di Oxford ci ha pensato «
il mio sguardo perso­nale che ha inte­grato questa medesima com­plessità. Credo che l’origine della vita e la ri­produzione non possono essere semplicemente spiegate da un punto di vista biologico, nono­stante i numero­si tentativi che sono stati fatti in questo senso».
Per Flew non è valida l’equazio­ne che 'più scienza' vorrebbe dire 'meno fe­de' in un Principio originante la vita:
«Mentre facciamo sempre più scoperte sulla ricchezza e l’in­telligenza della vita, pare sempre meno plausibile che un brodo chimico abbia potuto generare in maniera magica il codice geneti­co. Penso che le origini delle leg­gi della natura e della vita, nonché quelle dell’universo, portano chiaramente verso una Sorgente intelligente».
Ma è soprattutto il procedimento intellettuale di Flew - lo anticipa il sottotitolo di There Is a God, ossia 'Come il più famoso ateo del mon­do ha cambiato idea' - che meri­ta di essere approfondito: è stata
'l’evidenza' del Creatore del co­smo a 'condurre' il pensatore britannico ad affermarne l’esistenza: «Non ho sentito nessuna voce. È stata la stessa evidenza che mi ha condotto a questa conclusione». Quella, cioè, di «essere un deista» il quale crede «che Dio è una persona ma non un soggetto con cui si può avere una discussione. È l’essere eterno, il Creatore dell’u­niverso. Accetto il Dio di Aristote­le » la sua lapidaria ammissione.
C’è poi una postilla, nel ragiona­mento di Flew, che merita una se­gnalazione: sebbene affermi che questo libro rappresenti il suo 'te­stamento', annota: «
Non accetto nessun tipo di rilevazione divina sebbene sarei fe­lice di studiarne un’attestazione». Ed è alla fede cri­stiana che l’ex negatore di Dio assegna il mag­gior credito di fi­ducia: «Sto conti­nuando a studia­re il cristianesi­mo ».
Nell’intervista ri­lasciata a Benja­min Wiker, Flew stigmatizza poi l’ateismo dog­matico di Ri­chard Dawkins. Rifacendosi alle recenti critiche del filosofo agno­stico Anthony Kenny, afferma che l’autore de La delusione di Dio
ha «mancato nell’affrontare tre principali argo­menti quando ha argomentato ra­zionalmente la questione di Dio. Sono proprio gli stessi temi che mi hanno portato ad accettare l’esi­stenza di un Dio: le leggi della na­tura, la vita con la sua organizza­zione teleologica e l’esistenza del­l’Universo ». Non solo: Flew bolla come «sforzo comico» la modalità con cui Dawkins ha provato a spiegare l’o­rigine della vita, parlando di «oc­casione fortunata»: «Se questo è il miglior argomento che si può a­vere su questo tema - è stato il giu­dizio sferzante dell’ottuagenario di Oxford - la questione è chiusa». Ma per l’ex ateo di Oxford la vi­cenda-Dio si è appena aperta.

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ragione, ateismo

La ragione intuisce il  Creatore
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Da Il foglio del 21.02.2005
Più che le prediche poté il Dna, e Flew trovò Dio nel piccolo dettaglio


E’ come se a Jerry Falwell fosse scappata una bestemmia, come se il pastore metodista più famoso d’America, Rick Warren, avesse elogiato Darwin davanti a una folla di evangelici o il settantenne Bill Graham, papa protestante e orecchio mistico di molti presidenti americani, fosse stato visto in un confessionale. E’ stato questo l’effetto nel mondo anglosassone della pubblica abiura dell’ateismo da parte del celebre filosofo
Antony Flew. Amico e allievo di Bertrand Russell, massimo esperto di David Hume, figlio di un pastore battista cresciuto nel più severo anglicanesimo, autore di trenta libri antireligiosi e scettici, per sessant’anni Flew è stato un campione della cultura razionalista. Leggenda dell’ateismo filosofico secondo Time, ha trascorso la sua vita nelle aule universitarie a convincere gli studenti dell’impossibilità della fede. Alla fine di dicembre, alla soglia degli ottantadue anni, Flew ha stupito l’Inghilterra: “Ho sbagliato tutto, Dio esiste”. Uno shock, si è preso dell’apostata dall’intellighenzia atea che aveva educato e del rimbambito dalla comunità dei lettori. Gli hanno consigliato di retrocedere, rischiava di avvilirsi dinanzi all’improbabile. “Farai la fine della bambina del ‘Settimo Sigillo’ di Bergman, quella a cui Jons chiede: ‘Che cosa l’aspetta? Gli angeli, o Dio, o il diavolo, o soltanto il vuoto? Il vuoto, signor mio”.

Dove non era riuscito l’apologista cattolico C. S. Lewis, che Flew ha frequentato giovanissimo, ha riscosso successo il metro e mezzo di duplice filamento del Dna: è stata, infatti, la matassa genetica a convincerlo dell’esistenza di Dio, perché “dietro l’inesplicabile varietà cromosomica deve esserci un’entità superiore, ordinatrice e creatrice, un disegno intelligente”. Da qui il suo maturo no alle manipolazioni genetiche. Ha ricordato che il suo non è un modello minimalista del divino, ha il sapore piuttosto del deismo di Thomas Jefferson. Evoca, secondo Flew, la “gabbia d’oro dell’intraducibile” di Henry James. Il suo saggio “Theology and Falsification”, giunto alla quarantesima edizione, è una bibbia della miscredenza. “Sono sempre stato persuaso del fatto che la vita fosse come uscita dalla materia morta e che si fosse evoluta in una straordinaria creatura”.
Alle sue stesse conclusioni è giunto nei giorni scorsi il grande fisico Stephen Hawking, quando a domanda sul perché l’universo esiste ha risposto che “ci rivela la mente di Dio”.
Identica la tesi dell’ebreo ortodosso e fisico israeliano, Gerald Schroeder, nel libro “Science of God”.

Flew ha detto basta, una volta per tutte, all’assunzione atea dello zero più assoluto, al né caldo né freddo della cultura contemporanea. “Non credo ancora nel Dio rivelato, ma adesso sono aperto a questa possibilità”. In Inghilterra c’è attesa per la nuova edizione di “God and Philosophy”, il suo libro più noto, in cui spiegherà la piroetta intellettuale. Il cambio di prospettiva l’ha già chiarito però in una lunga intervista “Philosophia Christi”, il giornale della Società filosofica evangelica. Ha parlato a ruota libera: della sua devozione all’idea di giustizia dei Padri Pellegrini contro l’“egualitarismo sociale” di John Rawls, delle letture giovanili, da Leibniz a Spinoza, e il più famoso mangiapreti del Regno Unito si è concesso persino un elogio del metodismo: “Ha impedito che potesse prendere piede in Inghilterra un partito comunista”. Ha scritto per la Libertarian Alliance un lungo saggio in cui ha ricordato il celebre viaggio di Russell in Unione Sovietica nel 1920, nel quale il logico inglese intuì la parentela fra comunismo e islamismo, che per Flew “ispira terrore piuttosto che amore”, tanto che “tra la Bibbia e il Corano non c’è paragone: leggere il Corano è una pena più che un piacere”. A ottant’anni, Flew ha detto che non poteva permettersi un trapasso alla Paul Valery (“Sono fottuto e me ne fotto”). I suoi versi preferiti sono quelli di un religioso, John Donne: “E la nuova filosofia mette tutto in dubbio, il sole è perduto e la terra e nessun ingegno umano può indicare all’uomo dove andarlo a cercare”. Ha citato dal Maelstrom di Poe il marinaio che si vergogna di aver avuto paura di morire davanti a una grandiosa manifestazione della potenza divina. E a chi gli ha detto che in fondo resterà sempre ateo, ha fatto sapere che in realtà l’ateismo non è che desolazione inconfessabile, che anche Samuel Beckett ammette Dio quando scrive “non esiste, il Bastardo”. Gli hanno obiettato che il suo era un deismo azzimo, e Flew ha risposto con le parole del Falstaff, “dobbiamo tutti una vita a Dio”. Come “Dio sta nel dettaglio” per quel genio folle di Aby Warburg , così Flew lo ha scoperto nell’infinitamente piccolo, nel Dna.

Giulio Meotti

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ragione, ateismo

mercoledì, 19 dicembre 2007
Il dramma dell'umanesimo ateo
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 (..)Umanesimo positivista, umanesimo marxista, umanesimo nietzschiano; molto più che un ateismo propriamente detto, la negazione che sta alla base di ognuno di essi è un antiteismo, e più precisamente un anticristianesimo. Per quanto siano tra loro contrapposte, le loro implicazioni, sotterranee o manifeste, sono numerose, e come hanno un fondamento comune nel rifiuto di Dio, così pure arrivano a esiti analoghi, il più importante dei quali è l’annientamento della persona umana.
Feuerbach e Marx, così come Comte e Nietzsche, erano convinti che la fede in Dio stesse scomparendo per sempre, che questo sole stesse tramontando sul nostro orizzonte per non sorgere mai più. Il loro ateismo si credeva e si voleva definitivo, pensando di avere un vantaggio sugli antichi ateismi, quello di eliminare completamente il problema che aveva fatto nascere Dio nella coscienza. Antiteisti come Proudhon, e in un senso ancor più radicale, essi non sono arrivati a concludere come lui che l’esistenza di Dio, quanto quella dell’uomo, “è provata dal loro antagonismo eterno”. Essi non hanno avuto come lui quel senso di un ritorno offensivo del mistero, e di un mistero che non è solo quello dell’uomo, dopo ogni sforzo tentato per vincerlo. Dietro la varietà dei suoi stili, il loro “umanesimo” ci appare ugualmente cieco. Nietzsche stesso è rimasto sepolto nella sua notte, e tuttavia il sole non ha smesso di sorgere! Quando Marx non era ancora morto e Nietzsche non aveva ancora scritto i suoi libri più scottanti, un altro uomo, pure lui genio inquietante ma più veritiero profeta, annunciava con strani bagliori la vittoria di Dio nell’anima umana, la sua eterna resurrezione.
Dostoevskij non è che un romanziere. Non propone un sistema, non fornisce alcuna soluzione ai terribili problemi che pone al nostro secolo l’organizzazione della vita sociale. È, se vogliamo, in una condizione di inferiorità. Ma sappiamo almeno riconoscere il significato di un simile fatto. Non è vero che l’uomo, come sembra talvolta si dica, non possa organizzare il mondo terreno senza Dio. È vero però che, senza Dio, non può alla fin dei conti che organizzarlo contro l’uomo. L’umanesimo esclusivo è un umanesimo disumano. Del resto, la fede in Dio, quella fede che ci inculca il cristianesimo in una trascendenza sempre presente e sempre esigente, non ha come scopo di sistemarci comodamente nella nostra esistenza terrena per farci addormentare in essa – per quanto febbricitante possa essere il nostro sonno. Ma, piuttosto, essa ci rende inquieti e incessantemente viene a rompere quell’equilibrio troppo bello delle nostre concezioni mentali e delle nostre costruzioni sociali. Irrompendo in un mondo che tende sempre a chiudersi, Dio vi apporta senza dubbio un’armonia superiore, ma che può essere raggiunta solo a prezzo di una serie di rotture e di lotte, serie lunga tanto quanto il tempo stesso. “Non sono venuto a portare la pace, ma la spada”: Cristo è anzitutto il grande turbatore. Questo non vuol dire certamente che non vi sia una dottrina sociale della Chiesa che deriva dal Vangelo. Tanto meno ciò tende a distogliere i cristiani, uomini e membri della città come i loro fratelli, dallo sforzo di risolvere, in conformità con i princìpi della loro fede, i problemi della città: essi anzi vi si sentono spinti da una necessità in più. Ma nello stesso tempo sanno che, siccome il destino dell’uomo è eterno, non deve fermarsi alla vita di quaggiù. La terra, che senza Dio potrebbe cessare di essere un caos solo per diventare una prigione, è in realtà il campo magnifico e doloroso dove si prepara la nostra esistenza eterna. Così la fede in Dio, che nulla potrà mai strappare dal cuore dell’uomo, è la sola fiamma nella quale si conserva, umana e divina, la nostra speranza
Henri De Lubac   Il dramma dell'umanesimo ateo, Jaka Book

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ateismo, de lubac

sabato, 08 dicembre 2007
BILANCIO DEL CULTO DELL’ATEISMO
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Perché il Papa parla delle “più grandi crudeltà e violazioni della giustizia”…
di Francesco Agnoli


L’enciclica del Papa sulla speranza e sulle malvagità dell’ateismo, è destinata sicuramente a fare rumore. Eppure, senza bisogno di un Papa, l’avrebbe potuta scrivere, almeno in alcune sue parti, qualsiasi storico onesto e scrupoloso. Perché il concetto di fondo, e cioè la nascita delle più grandi tragedie della storia dall’ateismo è un dato di fatto difficilmente smentibile. L’ateismo di cui parla il Papa, non è certo l’ateismo “tragico”, come lo avrebbe definito Augusto Del Noce, proprio ad esempio di tanti uomini dell’Ottocento, da Baudelaire a Verlaine, passando per Huysmans, Oscar Wilde, Giovanni Pascoli, Eugenio Montale, Ungaretti eccetera. Questo “ateismo”, ancora esistente, come è ovvio, è in realtà la ricerca di un senso, la volontà di “capire” e di penetrare nelle profondità della vita, senza riuscirci, o forse, meglio, senza riuscirci interamente. Nasce da domande fondamentali, impossibili da evadere, che potevano magari rimanere senza risposta, ma che non cessavano comunque di “torturare” il cuore, come dimostrano le crisi religiose di tutti questi personaggi, alcuni dei quali approdati poi a una fede forte e convinta.
Questi grandi autori che ho citato rappresentano la crisi delle certezze religiose di un tempo, ma non la sostituzione di esse con una ideologia, atea nell’apparenza, perché negatrice di Dio, ma religiosa nei modi e nelle manifestazioni. L’ateismo di cui parla il Papa e di cui lo storico dovrebbe analizzare i risultati, come ha fatto ad esempio recentemente Michael Burleigh nel suo “In nome di Dio” (Rizzoli), è


l’ateismo assoluto che nega Dio e che cerca di organizzare il mondo senza di lui, costruendo, come possibile, già qui il paradiso sulla terra. E’ l’ateismo, per intenderci, del comunismo e del nazismo e di tutte le ideologie atee nate a partire dal Settecento, cioè dalla crisi della fede. L’ateismo, insomma, che assume connotati tali da diventare una vera e propria religione civile, secolare, con i suoi dogmi e la sua ortodossia, una religione di salvezza, terrena e non soprannaturale. Da questo sistema di pensiero nascono i più grandi dittatori della storia: Lenin, Stalin, Hitler, Mussolini, le cui radici sono tutte nell’ateismo socialista da lui rivendicato per moltissimi anni, Pol Pot, Mao, Ceausescu, Hoxha, Tito, Milosevic
E’ innegabile: il Novecento, anzitutto,
è il secolo dell’ateismo assoluto, ed è, non a caso, il secolo degli stermini di massa, delle guerre mondiali, e delle più grandi catastrofi umane della storia.

L’ateismo così come si viene a configurare tra Ottocento e Novecento è, a ben vedere, una forma di religiosità immanente, che ha generato uno a uno tutti gli ingredienti delle dittature totalitarie: il razzismo biologico (religione della razza), il nazionalismo (religione della patria), il social-darwinismo, l’eugenetica, e il social-comunismo. Prendete questi ingredienti – accomunati tutti dalla negazione più o meno esplicita di un Dio trascendente, dell’uomo come sua creatura, dotata di un’anima immortale, e del peccato originale come limite dell’uomo – mescolateli e avrete le ideologie di morte del secolo appena concluso. Tutte incredibilmente simili
. Cambiano solamente i dosaggi: un po’ meno socialismo e un po’ più razzismo ed eugenetica nel nazionalsocialismo, analoghe dosi di nazionalismo e un po’ meno eugenetica, nel comunismo, ovunque la politica e lo stato al di sopra di tutto, al posto di Dio. Sempre, a fondamento, un’idea, la negazione della Caduta originaria e la mondanizzazione della Redenzione: l’uomo può fare senza Dio, per costruire un mondo razzialmente puro, economicamente giusto, eugeneticamente sano, socialmente equilibrato… un mondo perfetto, divino, utopico, paradisiaco.
Si vede bene, insomma, che di una fede si tratta: una fede tanto più intransigente e totalitaria quanto più concentrata sul qui e ora, e cioè esigente nell’immediato.
Non c’è spazio per il perdono, dinanzi all’ingiustizia; né per la rassegnazione e la sopportazione, in quanto questi valori religiosi sottintendono una giustizia superiore, divina: il regno della giustizia è di questo mondo, e il potere si assume il compito di realizzarla, interamente
. Così la gramigna non verrà separata dal buon grano, come nella parabola evangelica, alla fine dei tempi, come in ogni concezione di una giustizia trascendente, ma subito, appena possibile, dal dittatore di turno.
L’uomo, per fare un altro riferimento a un dogma religioso, non solo cattolico, non è macchiato dal peccato originale, che giustifica l’esistenza dell’imperfezione, dell’ingiustizia, e quindi anche della necessità della misericordia, sulla terra, ma è chiamato alla perfezione assoluta nell’aldiquà, e può raggiungerla, a patto che l’ideologia incaricata di farlo venga realizzata politicamente, economicamente, socialmente, a qualsiasi costo. Se il paradiso è a portata di mano, infatti, non là, ma qua, sarebbe delittuoso non realizzarlo. Se il compimento del desiderio dell’uomo di Bene e di Giustizia è attuabile solo e soltanto, in toto, in questa vita, è da pazzi non perseguirlo con ogni mezzo.
L’uomo, le masse ideologizzate e secolarizzate del Novecento chiedono dunque alla politica, al partito, allo stato, al dittatore, ciò che chiedevano, un tempo, a Dio, anzi di più: tutto, ma subito.

La creazione del mondo perfetto, dell’“uomo nuovo”, per le ideologie, dunque, urge, incalza, preme: necessita al più presto l’eliminazione, tramite ghigliottine, gulag, lager e polizie segrete, Ovra, Gestapo, Ceka e Kgb, di coloro che ostano, che impediscono, che non comprendono, che complottano, che conducono la “controrivoluzione”, che, secondo l’articolo 58 del Codice penale sovietico, riedizione della “legge dei sospetti” di Danton, sono solo sospettati di farlo…: in una parola di quanti meritano l’inferno, anch’esso, come il paradiso, trasferito paradossalmente nell’aldiquà. E’ per questo, per fare un esempio, che la guerra – o la violenza, che è lo stesso – sempre considerata un male, per quanto talora inevitabile (guerra di difesa), diviene un bene in se stessa: il vento che spazza lo stagno, di Hegel, la guerra che porrà fine alle guerre, per alcuni interventisti italiani della Prima guerra, “la sola igiene del mondo” per i futuristi, una esigenza di natura, per i socialdarwinisti, uno splendido cozzare di popoli, per i nazionalisti, la fine del passato oscuro e l’inizio di una nuova era, per tutti i rivoluzionari, da Mussolini a Mao.
Sempre per lo stesso motivo,
ogni ideologia si afferma come un “mondo nuovo”, un “ordine nuovo”, un’era diversa, che data la sua origine non dall’evento salvifico della nascita di Cristo, ma, come avviene dalla Rivoluzione francese in poi, passando per il fascismo e il nazismo, dall’ascesa al potere, essa sì salvifica, dell’ideologia ateistica di turno
. Al culmine del delirio, sotto l’ateissimo regime comunista di Pol Pot, causa di due milioni di morti su sette milioni di abitanti, in poco più di tre anni (1975- 1979), si arriverà a ordinare per legge non solo il rogo dei libri del passato, ma financo delle fotografie dei privati, affinché fosse cancellato anche il ricordo fotografico di come era il mondo prima dell’avvento del regime comunista dell’Angkar.
In questo senso, evidentemente, la religiosità ateistica, profondamente secolare, temporale, non ha nulla a che vedere con quella autentica, che non è essenzialmente azione ma contemplazione; non manipolazione ma rispetto; non insofferenza e distruzione dei limiti ma loro riconoscimento e accettazione; non trasformazione della società, tramite una alchimistica tecnica politica, ma tramite la conversione dei cuori; non tensione alla eliminazione del male e del peccato, in generale, ma soluzione di un particolare male storico, o individuale. Ma come la religiosità trascendente è totale, nel senso che orienta tutto l’uomo, la sua anima, le sue azioni, a Dio, rimettendo ogni cosa terrena al suo posto, dalla ricchezza, al potere, al dolore, dando a ognuna il suo peso, assolutamente relativo, così la religiosità immanente è tentativamente totalitaria: avendo negato a priori l’essenza dell’uomo, l’anima, e Dio, identifica tutto l’esistente in ciò che è materiale e terreno e quindi coerentemente ritiene come soluzione di tutto la sola politica, che tutto controlla: la politica totalitaria dei regimi totalitari. Ha scritto giustamente
Eric Voegelin: “Tutti i movimenti gnostici (tra cui anche comunismo e nazismo, ndr) mirano a recidere i legami dell’essere con la sua origine, cioè con l’essere divino e trascendente, per proporre un ordine dell’essere immanente al mondo, la cui perfezione sarebbe a portata dell’azione umana. Si tratta di modificare la struttura del mondo (avvertita come inadeguata) in maniera così radicale che da quella modifica emerga un mondo nuovo, di piena soddisfazione… Il mondo tuttavia resta quale a noi è dato e non rientra nelle facoltà umane la possibilità di cambiarne la struttura
” (“Il mito del mondo nuovo”).
Similmente Augusto del Noce affermava: “Per varie che possano essere le forme rivoluzionarie… il loro lato comune è la correlazione tra l’elevazione della politica a religione e la negazione del soprannaturale… alla liberazione religiosa si sostituisce la liberazione politica… il problema del male viene trasposto dal piano psicologico e teologico a quello politico e sociologico: i dogmi della Caduta e della Redenzione vengono trasferiti sul piano dell’esperienza storica” (“Il problema dell’ateismo”). Ma analizziamo brevemente il nazismo, che delle ideologie totalitarie può essere considerato, insieme al comunismo, il vertice e il compimento. Scomponiamo brevemente i fattori che lo hanno contraddistinto.
Anzitutto il nazionalismo, responsabile anche dello scoppio della Prima guerra mondiale, che con i suoi dieci milioni di morti, venti milioni di feriti, mutilati e nevrotici, e sette milioni di prigionieri e dispersi, rappresenta la più grande tragedia della storia sino a quel momento, senza alcuna possibilità di confronto.
Ebbene il nazionalismo è un figlio della Rivoluzione francese,
antitetico alla concezione cattolica, e cioè universale, che aveva caratterizzato l’Europa dell’Antico Regime. Nel Sacro Romano Impero, infatti, popoli diversi convivevano insieme, con lingue, storie e costumi differenti, in nome della comunità di ideali religiosi: cattolico a ogni popolo e ad ogni razza.
E’ a tutti noto che la Prima guerra mondiale nacque dalle frizioni tra i nazionalismi tedesco, inglese, serbo, russo, inglese…
Mi limiterò, per brevità, a qualche cenno al nazionalismo italiano, che fu interpretato da personaggi assolutamente nemici della chiesa, e di ogni religiosità, come Francesco Crispi, alla fine dell’Ottocento, e Benito Mussolini, anticlericale anarchico e socialista, ai primi del Novecento, e poi duce del fascismo, di quella concezione dello stato, cioè, per la quale “tutto è nello stato e nulla di umano e di spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello stato” (evidente parodia laica del “Credo”). Gli interventisti, contro cui Benedetto XV si battè in ogni modo, prima con la diplomazia e poi denunciando “l’inutile strage”, furono tutti uomini delle élites, avversi alla visione cattolica dominante nel paese: il già citato Mussolini, Gabriele D’Annunzio, il socialista nazionalisteggiante Cesare Battisti, i nazionalisti Giovanni Papini ed Enrico Corradini, i futuristi di Marinetti, che predicavano lo “svaticanamento” d’Italia… Molti di questi, esattamente come nel resto d’Europa, utilizzarono il socialdarwinismo materialista per sacralizzare la selezione naturale e la lotta per la vita come legge della storia. Scrive Hagen Schulze, nel suo “Aquile e leoni. Stato e nazione in Europa”: “Alla base di tale concezione c’era la legge della natura, secondo la quale la lotta era di tutti contro tutti, la pace una illusione dei deboli, nel migliore dei casi un momento di respiro nel conflitto perenne per l’esistenza; a sopravvivere sono destinati solo gli esseri moralmente e fisicamente superiori. Per tutti i raggruppamenti politici e sociali valeva l’assioma che l’umanità non aveva come scopo la pace; ciò era vero per il concetto marxista (cioè ateo, ndr) della lotta di classe, come per l’idea nazional-popolare di un eterno antagonismo tra popoli e per la nuova ideologia emergente del conflitto tra le razze… politica vuol dire guerra, e la guerra è necessaria per bruciare i mali dell’epoca… non si tratta di una visione estremistica, ma è quanto si ricava dalla lettura di giornali e periodici, sia seri che a larga diffusione, pubblicati nell’arco di tempo tra il 1880 e il 1914 e che offrono al moderno osservatore una fonte inesauribile di dati relativi alla struttura fondamentalmente darwinistico-sociale del nazionalismo popolare del tempo nell’area anglosassone, in Francia, in Germania o in Italia. Quando, durante la guerra contro i boeri il maresciallo britannico Roberts dichiarava che la lotta spietata tra le nazioni non era altro che una necessità biologica… ciò non era che un’eco di quanto scrivevano numerosi altri autori del tempo”, spesso biologi darwinisti prestati alla politica, come ha ben raccontato il celebre paleontologo evoluzionista Stephen Jay Gould nel suo “I pilastri del tempo”.
Per tornare in Italia, Giovanni Papini, prima che la vita lo portasse a convertirsi e a rinnegare il suo passato, sulla rivista nazionalista Lacerba, nel 1914 scriveva: “Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima delle anime per la ripulitura della terra… Siamo troppi. La guerra è una operazione maltusiana. C’è un troppo di qua e un troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla tavola”. Ed Enrico Corradini, interpretando la stessa concezione ateistica e socialdarwinista, sul Regno del 28 febbraio 1904, allo scoppio del conflitto russo giapponese, descriveva la guerra come “un grandioso e terribile fenomeno della natura, un cozzo di forze avverse primordiali ed eterne, irrefrenabili. E tali sono appunto le forze che conducono alle guerre le nazioni e le razze. Perciò dinanzi ad esse l’uomo civile è abolito e ritorna l’uomo sincero allo stato di natura”.
I frutti del nazionalismo, già condannato da diversi Papi, inutilmente, nelle loro encicliche, avrebbe dunque portato dapprima alla guerra e poi, nel dopoguerra, al fascismo, al nazismo e al “socialismo nazionalista” di Stalin, secondo la celebre definizione di Trotzkij.
L’altra componente del nazionalsocialismo fu il razzismo. Non è qui il luogo per ripercorrere una ideologia che è comunque basata, essenzialmente, sul materialismo biologico: “Sangue e suolo” era lo slogan dei nazisti, proprio a significare una prevalenza degli elementi naturali, materiali, fisici, sull’anima immortale (che veniva esplicitamente negata). Effettivamente il razzismo non era mai esistito nella storia dell’Europa cattolica, prima delle rivoluzioni culturali. Come ha ben raccontato Leo Poliakov nel suo “Il mito ariano” (Editori Riuniti), vi è una stretta correlazione tra il pensiero materialista e la genesi del razzismo; correlazione fondamentale tra negazione della comune figliolanza degli uomini, tutti creati da Dio, e l’idea che gli uomini siano invece originati da ceppi diversi, più o meno “nobili”, più o meno evoluti. Mentre lo scienziato cattolico Louis Pasteur, alla fine dell’Ottocento, rivendicava l’uguaglianza degli uomini di fronte a Dio, loro creatore, le ideologie atee sostenevano che la storia Adamo ed Eva, con le sue implicazioni logiche, e cioè la fratellanza universale in senso cattolico, era una evidente falsità, perché in realtà la scienza dimostrerebbe l’ineguaglianza delle razze in base alla misurazione dei crani, degli arti, e al tentativo di ridurre l’uomo alla sua fisicità.
Basti pensare a Voltaire, il famoso “apostolo della tolleranza”. Secondo costui l’idea cattolica secondo cui l’umanità deriva tutta da Adamo ed Eva, per cui siamo tutti “fratelli”, è una emerita sciocchezza assolutamente antiscientifica. Al monogenismo biblico, che esclude di per sé qualsiasi razzismo, sostituì il poligenismo, cioè l’idea “secondo cui i diversi gruppi umani discendevano da numerosi e differenti antenati” (Francesco Maria Feltri).
Il razzismo si nutrirà, anche dopo queste prime teorizzazioni, di una visione assolutamente atea, teoricamente o praticamente, della vita, una visione in cui non vi è alcuno spazio per un Dio creatore di tutti i popoli, ma solo per l’esistenza di popoli “superiori” e di popoli “inferiori”, di sangue, di luoghi, di colore della pelle, di predisposizioni naturali e genetiche e di ambienti operanti sull’uomo al di sopra della sua libertà. Lo storico Gianni Gentile, parlando dell’imperialismo, afferma: “La cultura scientifica di stampo positivistico (cioè ateo, ndr) nella seconda metà dell’Ottocento aveva elaborato una teoria delle razze, secondo la quale a ogni razza venivano attribuite diverse basi biologiche che determinavano i vari comportamenti, anche dal punto di vista morale e dei costumi. Questa impostazione pseudoscientifica consentiva di stabilire una gerarchia che poneva la razza bianca al di sopra delle altre razze”.
Strettamente connessa al razzismo, troviamo l’eugenetica, che altro non è che l’antico sogno, utopico, e cioè ateistico, di creare una umanità perfetta, assolutamente sana, senza macchia, che evidentemente non ha bisogno di un Dio salvatore e di una Redenzione. L’eugenetica è presente già nella Repubblica ideale, sostanzialmente comunista, di Platone, nella “Città del sole” di Tommaso Campanella, anch’essa organizzata secondo criteri comunisti; nel sogno di alcuni maghi del Cinquecento, che credevano di poter applicare la selezione adottata per i cavalli, anche all’uomo. Soprattutto, l’eugenetica moderna, riporta ancora al nome del sedicente scienziato, ateo, Francis Galton, che nel 1883 coniò la parola “eugenics”, spiegando al mondo che tramite matrimoni selettivi e sterilizzazioni forzate si sarebbe creato l’“uomo nuovo”, sano e felice.
Non tanti anni più tardi Adolf Hitler, nel “Mein Kampf”, dopo aver spiegato che “lo stato, la nazione, dovrà impedire ai malati o ai difettosi” di procreare, aggiungeva: “Basterebbe per seicento anni non permettere di procreare ai malati di corpo e di spirito per salvare l’umanità da una immane sfortuna e portarla a una condizione di sanità oggi pressoché incredibile”. Del resto Rudolf Hess era solito definire il nazismo una “biologia applicata”, mentre lo studioso Lifton ha definito il nazismo come una “biocrazia”: “Il progetto nazista si ispirava a una visione di controllo assoluto del processo evolutivo sul futuro umano biologico.
Facendo ampio uso del termine darwiniano ‘selezione’ i nazisti cercarono di arrogarsi le funzioni della natura (selezione naturale) e di Dio nell’orchestrare le proprie selezioni, la loro versione della evoluzione umana”.
Infine, in questa breve analisi, non si possono trascurare le radici anche socialiste, sia del fascismo, sia del nazionalsocialismo, sia, evidentemente del comunismo. Il marxismo ateo, che influenzò tutti i tre i totalitarismi, con gradazioni diverse (ma non è questo il luogo per analizzare questo punto), rappresenta anch’esso, come ha giustamente scritto Karl Löwith, una “forma secolarizzata del pensiero biblico”: “La lotta finale dei due campi ostili della borghesia e del proletariato corrisponde alla fede cristiana in una lotta finale tra Cristo e l’Anticristo nell’ultima epoca della storia, il compito del proletariato corrisponde alla missione storica del popolo eletto, la funzione redentrice universale della classe più degradata è concepita sul modello religioso della Croce e della Resurrezione, la trasformazione ultima del regno della necessità nel regno della libertà corrisponde alla trasformazione della città terrena nella città di Dio”. Cosa abbia partorito la religione atea del marxismo, lo sappiamo tutti: dalla Russia, alla Cina, alla Cambogia, al Vietnam, ai paesi dell’America latina, si parla, almeno , di cento milioni di morti, secondo cifre, quelle del “Libro nero del comunismo” assolutamente prudenziali. Robert Conquest, nel suo “Il grande terrore”, accenna a venti milioni di vittime solo durante il periodo staliniano, guerra esclusa. Gino Rocca, nel suo “Stalin”, parla di cinque milioni di morti solo nelle grandi purghe staliniane tra il 1937 e il 1938; Aleksandr Solzenitsyn parla di sessantasei milioni di morti in Russia tra il 1917 e il 1959, nel suo “Arcipelago gulag”.
Per nessuna epoca della storia, prima dell’affermarsi dell’ateismo assoluto, si possono solo lontanamente pensare le stragi e le malvagità create da nazismo e comunismo, e dalle loro appendici ideologiche (razzismo, eugenetica, socialdarwinismo). E’ una evidenza storica che nessuno può negare.

Leggi quanto ha scritto Francesco Agnoli su "Il Foglio" del 04/12/2007

Postato da: giacabi a 21:28 | link | commenti
ateismo

domenica, 02 dicembre 2007
Il suicidio
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«Uccidere Dio è il più orrendo suicidio». Kierkegaard  «Discorsi cristiani»

Postato da: giacabi a 21:39 | link | commenti
nichilismo, ateismo, kierkeergaard

La morte dell'uomo ha seguito quella di Dio
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«  Nietzsche ha proclamato: Dio è morto. Ciò significa che si deve aspettare il regno dell'uomo... far risplendere la condizione dell'uomo con dei mezzi umani.
Ma che cosa si è fatto finora? Alla tensione verso Dio avrebbe dovuto seguire la tensione dell'uomo verso se stesso, verso il proprio superamento.
Al contrario è un appiattimento che ci tocca constatare: una vita borghese sdraiata nella comodità e nel piacere, un'arte di acquietamento, chiusa nella natura, non più di creazione e di conquista. La morte dell'uomo ha seguito quella di Dio»."
A. MALRAUX, Conferenza all'UNESCO, Revue Fontaine 1947, in «Études», VI, 1949,

Postato da: giacabi a 16:17 | link | commenti
nichilismo, ateismo, malraux

L’uomo  disperato
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«  In un mondo subitamente
spogliato di illusione e di luci l'uomo si sente un estraneo, e tale esilio
è senza rimedio perché privato dei ricordi di una patria perduta e della
speranza di una terra promessa»

A. CAMUS, // mito di Sisifo, Bompiani, Milano 1947, p. 30.

Postato da: giacabi a 16:08 | link | commenti
ateismo, camus

Senza Cristo
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 «È un mondo su cui grava la fatalità del destino cieco e la schiavitù delle passioni istintive»
Carlo Levi


 

Postato da: giacabi a 12:31 | link | commenti
ateismo

Senza Cristo
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 «L'uomo è una passione inutile»
(Jean Paul Sartre

 

Postato da: giacabi a 12:29 | link | commenti
sartre, ateismo

mercoledì, 28 novembre 2007
La negazione del Padre
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DON GIUSSANI
Sì, è il volersi da sé; è la dimenticanza. lo sento molto di dover insistere su un'altra parola cristiana: memoria. Quello che dici è come la perdita totale della memoria, perciò la dimenticanza d'essere stati voluti, a cui si sostituisce la presunzione di volersi da sé. Basta volermi da me, Che in un primo tempo, astrattamente parlando, può anche non esplicitare la negazione del Padre, la negazione di Dio. Ma è la negazione del Padre, non la negazione di Dio come entità astratta. Sennonché la negazione del Padre, praticamente, immediatamente e poi anche teoricamente, è la negazione di Dio. La negazione che la propria consistenza è nell'essere figlio, cioè nell'essere voluto. È proprio come l'arma della menzogna di Satana; la descrizione del peccato originale è la dimenticanza; l'arma di Satana è la dimenticanza. La cortina fumogena in cui sferrare la menzogna è la dimenticanza, la perdita della memoria. Infatti, tutta la forza di una personalità sta nella memoria. E così questa perdita della memoria è qualificante sempre di più di questa cultura, questa cultura nostra che vuole essere atea: la perdita totale della memoria. Solgenicyn insiste molto su questo. In- somma quella sostituzione del padre che è lo stato, nella situazione attuale, fa di tutto per cancellare la memoria; attraverso i suoi slogan e tutta la burocrazia del suo pensiero.
TESTORI
Tornando al momento del peccato originale, a me ha sempre dato un senso dì terribile sbigottimento il fatto che la prima conseguenza dì questo non riconoscersi figlio sia stato un delitto. La prima conseguenza, il primo gesto terribile  compiuto dall'uomo dopo il rifiuto d'essere figlio del Padre, è stato un assassinio.
DON GIUSSANI
Sì, il primo gesto significativo di quella storia è stato proprio un assassinio.
TESTORI
La perdita di questa memoria, di questa coscienza dell'essere voluto, diventa subito l'uccisione dell'uomo.
DON GIUSSANI
Il volersi da sé coincide con l'uccisione dell'altro. Ma questo è strutturale: che il volersi da sé coincida sempre con l'assassinio di un altro.
TESTORI
Che è prima, o nello stesso tempo, dimenticanza dell'altro.
DON GIUSSANI
 Sì, la dimenticanza dell'altro. Infatti l'amore dell'uomo con la donna, l'amore dei figli e la convivenza sociale oggi è tutta impostata cosi. L'uccisione del Simbolo supremo genera la dimenticanza dell'altro che poi, praticamente e quotidianamente, diventa la strumentalizzazione dell'altro.
TESTORI
 Quindi la riduzione a oggetto. lo vorrei tornare su quel primo gesto, l'assassinio: un gesto d'odio; anzi il gesto stesso dell'odio. Nella mia esperienza ho sempre provato che la direzione dell'odio è sempre verso chi ha una realtà più piena e più colma dell'essere figlio. Allora, nel caso del primo assassinio, credo che l'odio fosse verso chi aveva il senso dell'essere figlio e la soppressione sia stata perché la presenza di chi aveva in sé accettato e glorificato il senso di quell'essere figlio non potesse più determinarne in chi aveva compiuto il delitto, la memoria.
DON GIUSSANI
Questa è una cosa colossale...
TESTORI
Un cerchio che si spezza con Caino e che poi si chiude e si redime solo con Cristo che là, sulla croce, dice come in un testamento: «Madre, ecco tuo figlio »; si ricompone, cioè, per sempre solo con la morte e la resurrezione di Cristo; fino a quel punto non è mai più stato ricomposto. Comunque è certo che l'odio è sempre verso chi fa testimonianza, verso chi fa memoria, verso chi è memoria e testimonianza vivente di quest'essere voluto. L'uomo ha gelosia e invidia verso l'uomo che è più ricco; ma l'odio lo riserva sempre e solo a un uomo che è più buono di lui; l'odio lo rivolge sempre e solo verso l'inerme, verso chi non ha voluto essere super-uomo, ma ha accettato lo stato d'umiltà e persino l'umiliazione d'essere e restare figlio.
DON GIUSSANI
Comunque l'odio è l'attacco armato alla memoria o a chi richiama la memoria.
TESTORI
Tu non credi che nei nostri tempi, l’odio abbia subito un’evoluzione, anzi una degradazione ulteriore, certo una meccanizzazione, un’astrazione senza precedenti.  Oggi l’odio vero è la dimenticanza.
:
G. Testori - don Giussani : Il senso della nascita, Il Sabato dic.1989

Postato da: giacabi a 08:14 | link | commenti (1)
ateismo, testori, giussani

martedì, 27 novembre 2007
L’ateismo
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« Quando il cielo si vuota di Dio, la terra si popola di idoli»

Karl BARTH

 

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