Carlo Alessi
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La
pallanuoto, il tifo per il Catania, la piscina «come quando si andava
tutti al mare». E quella lettera a Beppino Englaro. Un padre racconta un
figlio “vegetale” e la sua famiglia rinata grazie a un sondino
di Chiara Rizzo
Da
padre a padre. Mentre la casa di cura Città di Udine decideva se aprire
le porte alla morte di Eluana Englaro a 1.400 chilometri di distanza un
padre scriveva a Beppino Englaro, l’uomo che da anni implora la morte
per quella figlia inchiodata a un letto da 17 anni. In una lunga lettera
aperta pubblicata sul quotidiano La Sicilia Carlo Alessi ha raccontato
la vita accanto al suo “vegetale”. Giorgio, 21 anni, ex pallanuotista e
grande tifoso del Catania con Eluana condivide la diagnosi medica. Coma
irreversibile. Giorgio, racconta il padre, «non cede nemmeno di un
centimetro», lotta, nel suo sonno interminabile, per afferrare la vita.
Per questo Carlo Alessi ha voluto scrivere a Beppino Englaro e ha deciso
di raccontare a Tempi la sua storia: «La morte non è una soluzione. È
una sconfitta per tutti». Parole pronunciate prima che, venerdì
scorso, la clinica di Udine rifiutasse di offrire le proprie strutture
per uccidere Eluana.
Signor Alessi, perché ha deciso di scrivere quella lettera a Beppino Englaro?
Perché
vorrei che si comprendesse pienamente la vicenda di Eluana. Leggendo i
giornali ho avuto l’impressione che molti parlino senza capire cosa
significhi staccare il sondino. Mio figlio Giorgio da quasi sette anni è
in coma apallico irreversibile. Si nutre e si idrata attraverso il
sondino, la peg. Nel caso di mio figlio, e per quello che so anche in
quello di Eluana, non ci sono terapie mediche che li tengono in vita,
non c’è un coma farmacologico, quindi non si può parlare di accanimento
terapeutico.
Che cosa è successo a suo figlio?
Il
7 febbraio 2002 un banale virus influenzale l’ha colpito al miocardio.
Giorgio è andato in arresto cardiaco per 55 minuti. Abbiamo chiamato il
118, gli praticarono subito la respirazione artificiale e un massaggio
cardiaco. Poi lo portarono all’Ospedale Garibaldi di Catania, per la
rianimazione d’urgenza. Gli è stata somministrata un’iniezione di
adrenalina al cuore e così si è ripreso. Ma la diagnosi è stata
immediata e spietata. Coma apallico irreversibile.
Cosa successe dopo?
È
seguito un mese di alti e bassi, tra lievi miglioramenti e
peggioramenti improvvisi, finché non siamo riusciti a portarlo da uno
specialista di Innsbruck. Lì stato lentamente “svezzato” dai farmaci e
messo su una carrozzina. Ma il coma apallico, lo stato più grave, resta
sempre tale. La vita di Giorgio è limitata, anche una semplice influenza
per lui è rischiosa.
Che tipo era Giorgio prima della malattia?
Uno
sportivo al cento per cento. Giocava a pallanuoto, in una squadra
cittadina, “Muri antichi”. Era appassionato, generoso, affettuoso,
estroverso. Frequentava il ginnasio ed era bravissimo. Amava i genitori, il fratello. Era religiosissimo, devoto alla Madonna.
Avete deciso di prendervi cura di Giorgio a casa. Perché?
Il
fatto che vive con noi gli consente di sentire tutto il calore della
famiglia, e di provare emozioni – l’unica porta che gli è rimasta con il
mondo esterno – che abbiamo imparato a riconoscere. Giorgio riempie e
rende viva la nostra vita con la sua forza, la sua tenacia. Ci ha
riuniti, come non sarebbe successo altrimenti. Certo non è facile, ma
sono felice della mia scelta.
Come vive oggi?
Quando
io e mia moglie Alessandra siamo al lavoro e mio figlio Paolo
all’università, una tata, Agata, viene a prendersi cura di lui, insieme
ad un infermiere che ci manda la Asl. Lo lavano, gli misurano la
pressione e la frequenza cardiaca, gli controllano la peg. Poi gli
vengono somministrati medicinali miorilassanti, perché nella sua
condizione, soffre di elevata spasticità. Lo sbarbano, lo mettono
finalmente sulla sedia a rotelle. A questo punto Giorgio fa colazione,
latte e biscotti finemente tritati, e mangia dal cucchiaio, imboccato. È
quindi il momento della prima seduta di fisioterapia, che dura 45
minuti, seguita da quella di logopedia, che gli serve per esercitare il
riflesso della deglutizione. A pranzo, Giorgio mangia ancora per bocca,
pastina e omogeneizzati. Al pomeriggio, assume l’acqua con la peg, poi
ha una nuova seduta di fisioterapia. Dopo segue la tata Agata,
Alessandra e Paolo quando rincasano, nelle loro attività. Se Agata lava i
piatti in cucina, per esempio, lui sta sulla sedia a rotelle accanto a
lei. Cena tramite il sondino, ma insieme a noi. Di notte è mia moglie a
occuparsi di lui, anche se cerchiamo di fare i turni. Ha bisogno di essere girato nel letto per tre o quattro volte, alcune notti fatica a dormire e Alessandra gli resta accanto.
Sua moglie però continua a lavorare e a occuparsi della casa. Cosa la sostiene? Non ha mai avuto voglia di gettare la spugna?
No, mai. E nemmeno mio figlio Paolo, anche se ha solo 20 anni, ed è dovuto crescere più in fretta dei coetanei. È
l’amore che ci unisce, a darci la forza, l’energia. Ci sosteniamo a
vicenda: non tanto con le parole, ma con i gesti quotidiani. È solo un
modo di affrontare la nostra vita, che è cambiata. Non ci manca
l’ottimismo, l’allegria, perché pensiamo che può fare bene a Giorgio, e
che così possiamo trasmettergli la voglia di vivere.
Che rapporto c’è tra Paolo e Giorgio?
Sono
molto uniti, fin dai tempi in cui giocavano insieme a pallanuoto.
Quando Paolo rincasa, alla sera, prende Giorgio con la carrozzina e lo
porta vicino a sé, mentre guarda le partite del Catania, di cui entrambi
sono tifosi, o mentre gioca alla PlayStation. È vero, Giorgio non
“vede”, il suo cervello non può elaborare le immagini. Ma questo non
significa che non esprima la sua gioia di stare insieme a Paolo.
Come capite che è felice?
Spesso
Giorgio accenna dei sorrisi, ed emette dei suoni, dolci. E quando gli
fa male la schiena, piange, con le lacrime, e i suoni diventano lamenti.
Non è affatto un vegetale, malgrado quello che si legge sempre sulle
persone in coma. Sa, a casa nostra è la speranza che ci sostiene.
Da dove nasce questa speranza?
Io
credo che si possa proprio sperare, che le cose possano cambiare. Cento
anni fa non c’era la corrente elettrica e 60 anni dopo eravamo già
sulla luna. Ogni
giorno vengono fatte nuove scoperte scientifiche e mediche: quindi per
me è ragionevole sperare per mio figlio. Senza dubbio, ci aiuta anche la
nostra indole, siamo ottimisti per natura. Ma è anche una scelta: io
voglio trasmettere l’ottimismo e l’amore per la vita a Giorgio, a tutti e
due i miei figli. A me in particolare, questo atteggiamento è dato
dalla fede, che mi dà la forza di interpretare la vita con speranza.
Perché la fede per me è questo: la speranza nella vita. Non credo certo
ad una bacchetta magica, che guarisca Giorgio. Abbiamo imparato a vivere
con i piedi per terra. Ma realisticamente si può sperare. E questo può
essere condivisibile da qualsiasi uomo.
Accudire Giorgio ogni giorno non è semplice. Quali sono le principali difficoltà?
Anzitutto
difficoltà di natura economica. Per Giorgio abbiamo cambiato casa:
quella di prima, era al secondo piano, la carrozzina non entrava
nell’ascensore e non passava dalle porte. Così ne ho fatta costruire una
più a sua dimensione. La fisioterapia costa come i macchinari e la tata
con competenze infermieristiche. Per fortuna all’assistenza notturna
pensiamo noi.
Le istituzioni vi aiutano in qualche modo?
Gli
aiuti sono ridicoli. Giorgio, come chiunque nelle sue condizioni,
riceve circa 250 euro al mese per la pensione d’invalidità totale e
circa 400 euro per l’accompagnamento. Alcune aziende ospedaliere
forniscono l’assistenza domiciliare per la fisioterapia, ma solo per una
seduta al giorno, mentre Giorgio ne necessita tre. Le altre due, per
fortuna, posso pagarle io, ricorrendo ai privati. E finché il Signore mi
darà la forza di mantenere questo menage, continuerò. Ma capisco che in
altre famiglie, dove c’è anche il problema della propria sopravvivenza,
la disperazione ha il sopravvento.
Cosa dovrebbe fare lo Stato?
Intervenire con aiuti economici più adeguati, concedere
sgravi fiscali a chi assiste i propri cari a casa, fornire assistenza
domiciliare sempre. Io credo che basterebbe questo per recuperare un po’
dell’ottimismo di cui parlo.
Lei è anche un avvocato. Qual è il suo parere sulla vicenda giudiziaria di Eluana?
Non
contesto l’accertamento dei giudici della volontà di Eluana. Ma mi
sconcerta la decisione di sospendere l’alimentazione. Da quello che ho
letto credo che Eluana si trovi in condizioni simili a quelle di mio
figlio. La peg serve solo ad alimentarli. I magistrati hanno emesso una
vera e propria sentenza alla pena capitale.
La
corte di Appello di Milano e la Cassazione hanno stabilito che le
condizioni di vita di Eluana sono inconciliabili con la concezione di
dignità della vita che Eluana stessa aveva…
La
sentenza si è basata anche sulla relazione di consulenti medici. Che
hanno parlato di accanimento terapeutico. Così hanno espresso una loro
opinione, discrezionale, cioè nemmeno condivisa dalla comunità medica.
Non hanno accertato quanto avviene di fatto, come avrebbero dovuto,
cioè, ribadisco, che Eluana è solo alimentata tramite un sondino.
Lei ha chiesto di incontrare Beppino Englaro. Cosa vorrebbe dirgli?
Vorrei
raccontargli quello che mi è accaduto e come ho affrontato i miei
problemi. È un uomo che affronta le pene dell’inferno, lo comprendo
bene. Da padre a padre, non lo giudico. Vorrei
solo dirgli che è possibile una vita diversa. Si può reagire al coma.
Si può sperare. Mi piacerebbe che lui prendesse parte a quello che
viviamo noi.
Qual è il momento più caro vissuto con Giorgio?
Giorgio
è fonte di gioia per me ogni minuto e ringrazio Dio ogni giorno.
Ricordo sempre quando giocava a pallanuoto, come si arrabbiava quando
non parava un tiro decisivo. Aveva un senso fortissimo della squadra e
dell’amicizia. Per la sua passione per la pallanuoto, ho fatto costruire
una piccola piscina, nel nostro giardino: c’è uno scivolo, per farlo
scendere in acqua con la carrozzina, e d’estate fa lì la fisioterapia.
Spesso facciamo con lui il bagno, abbracciandoci insieme per sostenerlo.
Quello è per me il momento più emozionante, perché è come se tornasse
il Giorgio di prima. Come quando facevamo tutti e quattro il bagno al
mare.
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Postato da: giacabi a 14:31 |
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eutanasia, barsotti
Inaspettatamente
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Inaspettatamente
da Gesù e la Samaritana,
Il Vangelo continua: «Venit mulier de Samaria haurire aquam». Dio ci tende tranelli.
La Samaritana non andava da Gesù. Così
il Signore agisce con noi! Noi lo si trova ed Egli s'incontra con noi
forse quando meno ce lo aspettiamo, quando ci sembra che tutto sia
finito e una grande desolazione di spirito ci prostra, ci chiude, ci
inaridisce e l'anima nostra è come un deserto, e ci sembra che sia
impossibile ogni speranza.
Ecco che allora Egli si fa presente. Lo troviamo laddove non avremmo mai creduto trovarlo.
Quante volte nella nostra vita spirituale noi abbiamo sperimentato
questo e come ancora lo sperimenteremo nella nostra vita avvenire! Forse
i nostri incontri più veri, più profondi, più vivi con Dio non si sono
realizzati laddove sapevamo che Egli era ad aspettarci, che era pronto a
riceverci, ma nei luoghi più impensati, nei momenti si direbbe più
strani.
Questa donna andava a prendere acqua; una giovane donna amante,
contesa per la sua bellezza, una giovane donna che facilmente anche si
abbandonava al primo venuto ed era contenta, in fondo, della sua vita; non
appare davvero dal Vangelo che in lei ci fosse qualche rimorso che
preparasse il suo incontro con Dio. Andava, forse cantando, portando sul
capo o sulle spalle l'anfora vuota, lieta di vivere e contenta di
essere amata. Il fatto poi del suo linguaggio col
Signore, che cercherà di metterlo in fallo, di portare il discorso su
un piano più umano, dimostra che era ben lontana dal prevedere quello
che sarebbe avvenuto, che era ben lontana anche dal desiderarlo. «Venit
mulier de Samaria haurire aquam». Ditemi un po': non si dà troppa importanza alle nostre preparazioni? a quello che noi facciamo?
a quello che noi dobbiamo fare nei confronti di Dio? In fondo la
Samaritana s'incontrò con Lui, dicevo già prima, nel momento in cui ella
meno pensava e sembrava meno preparata all'incontro. E proprio questo
che è bello negli incontri con Dio, no? Se
noi ci preparassimo tanto, poi non dico mica che rimarremmo delusi, ma
in fondo il dono di questo amore infinito non ci meraviglierebbe, non
ci solleverebbe, non ci dilaterebbe nello stupore, nella gratitudine,
nella gioia come quando Egli viene senza che noi lo sospettiamo, senza
che noi l'aspettiamo e apre tutte le porte. Non è vero? Qualche volta tu
sei nell'angoscia, nella tristezza, nella disperazione, a un certo
momento si spalancano le finestre: una grande gioia, una grande luce
t'entra dentro, non sai più da che parte tu potresti rifugiarti per non
essere sommersa dal fascino, per non essere sommersa dalla dolcezza di
Dio. Come avviene tutto questo? quando avviene? non lo sai, Egli è
l'amore. «Venit
mulier de Samaria haurire aquam». Un gesto molto semplice, sereno,
umano. Non venne certo per incontrare il Signore, nemmeno lo sospettava,
nemmeno lo pensava. Egli era lì che aspettava, Egli era lì che
attendeva la donna, Egli voleva chiederle qualcosa, almeno quello che
ella poteva dargli, ma lei, lei a tutto pensava fuorché al Signore.
Vedete, è proprio questo che dimostra il carattere veramente vivo e
gratuito della vita religiosa; gratuito nel senso che non è una
costruzione artificiosa fatta dall'uomo, non è il risultato di una
tecnica umana come può essere la spiritualità indù: si mettono le gambe
in un certo modo, le mani in un certo modo... ma noi cristiani si può stare a sedere e anche a letto e quando piace a Lui ci porta su, non è vero?
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