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sabato 4 febbraio 2012

bellezza, 3

L’arte
***
Il ruolo dell'arte non è di riprodurre il visibile, ma di renderlo visibile.
Paul Klee

Postato da: giacabi a 07:15 | link | commenti
bellezza

giovedì, 11 giugno 2009
Lo scopo dell’arte
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Il senso della verità religiosa è racchiuso nella speranza. La filosofia cerca la verità definendo il significato dell’attività umana, i confini della ragione dell’uomo, il significato dell’esistenza. Anche quando il filosofo perviene all’idea dell’assurdità dell’esistenza e della vanità degli sforzi umani. La destinazione funzionale dell’arte non consiste affatto, come talvolta ritengono gli artisti stessi, nell’instillare pensieri, nel contagiare con delle idee, nel servire da esempio. Lo scopo dell’arte consiste nel preparare l’uomo alla morte, nell’arare e nel rendere soffice la sua anima in modo che sia atta a rivolgersi al bene.
 A. Tarkovskij

Postato da: giacabi a 06:10 | link | commenti
bellezza, tarkovskij

venerdì, 05 giugno 2009
La bellezza
 ***

“... La bellezza è una cosa terribile e paurosa. Paurosa perché è indefinibile, e definirla non si può, perché Dio non ci ha dato che enigmi. Qui le due rive si uniscono, qui tutte le contraddizioni coesistono. Io, fratello, sono molto ignorante, ma ho pensato molto a queste cose.

Quanti misteri! Troppi enigmi sulla terra opprimono l'uomo. Scioglili, se puoi, e torna salvo alla riva!

La bellezza! Io non posso sopportare che un uomo, magari di cuore nobilissimo e di mente elevata, cominci con l'deale della Madonna e finisca con l'ideale di Sodoma. Ancora più terribile è quando uno ha già nel suo cuore l'ideale di Sodoma e tuttavia non rinnega nemmeno l'ideale della Madonna, anzi, il suo cuore brucia per questo ideale, e brucia davvero, sinceramente, come negli anni innocenti della giovinezza.

No, l'animo umano è immenso, fin troppo, io lo rimpicciolirei. Chi lo sa con precisione che cos'è ? Lo sa il diavolo, ecco! Quello che alla mente sembra un'infamia, per il cuore, invece, è tutta bellezza. Ma c'è forse bellezza nell'ideale di Sodoma? Credimi, proprio nell'ideale di Sodoma la trova l'enorme maggioranza degli uomini! Lo conosci questo segreto, o no?

La cosa paurosa è che la bellezza non solo è terribile, ma è anche un mistero. E' qui che Satana lotta con Dio, e il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini.

Già, la lingua batte dove il dente duole... E ora veniamo al fatto. Ascolta.”
DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov ( trad. di Pina Mariani, Sansoni, 1966).

Postato da: giacabi a 19:01 | link | commenti
bellezza, dostoevskij

martedì, 21 aprile 2009
 L’uomo è capace di contemplare la bellezza
 ***

“Il bello è presente nell’armonia di tutti gli elementi e ci pone dinanzi a un’evidenza indimostrabile, che non può essere giustificata se non contemplandola. Il suo mistero illumina dal di dentro l’esteriorità fenomenologia come l’anima irradia misteriosamente in uno sguardo. Il bello ci viene incontro, si fa intimo, prossimo, apparentato alla sostanza stessa del nostro essere.
I grandi pittori affermano di non aver mai visto nulla di brutto nella natura. Un artista ci presta i suoi occhi  e ci fa vedere un frammento dove nondimeno il Tutto è presente, come il sole si riflette in una goccia di rugiada. Come un essere vivente, il mondo si rivolge verso di noi, ci parla, ci confida i suoi canti e i suoi colori segreti, ci riempie di una gioia traboccante e rompe la nostra solitudine. Noi comunichiamo con la bellezza di un paesaggio, di un volto o di una poesia come comunichiamo con un amico, e sperimentiamo una strana consonanza con una realtà che ci sembra essere la patria della nostra anima, perduta e ritrovata.
P. N. Evdokìmov, La teologia della bellezza, Milano, 1996

Postato da: giacabi a 15:13 | link | commenti
bellezza

 La bellezza
 ***


"La bellezza è la caratteristica del supremo stato qualitativo del fatto d'essere, la realizzazione suprema dell'esistenza."
Berdjaev

Postato da: giacabi a 15:06 | link | commenti
bellezza, berdiaev

domenica, 29 marzo 2009
Studiando estetica...
***

Questa è la conclusione cui perviene tutto il discorso sulla quarta forma di mania - ossia quella mania per la quale, quando uno veda la bellezza di quaggiù, ricordandosi della vera Bellezza, mette le ali, e messe di nuovo le ali, è desideroso di volare, ma ne è incapace, e guardando verso l'alto come un uccello e non prendendosi cura delle cose di quaggiù, riceve l'accusa di trovarsi in uno stato di mania. E il discorso giunge a dire che, fra tutte le divine ispirazioni, questa è la migliore e deriva dalle cose migliori, e per chi la possiede e per chi ne partecipa. Ed è per questo che, partecipando di tale mania, chi ama i belli viene detto innamorato. Infatti, come ho detto, ciascun'anima di uomo, per sua natura, ha contemplato gli esseri, altrimenti non sarebbe venuta in questo essere vivente. [...]Poche anime restano nelle quali è presente il ricordo in maniera sufficiente. Quando vedono qualcosa che sia un'immagine delle realtà di lassù esse restano colpite e non rimangono più in sé. Ma non sanno cosa sia quello che provano, perché non lo percepiscono in modo sufficiente. [...] Per quanto riguarda la Bellezza, poi, come abbiamo detto, splendeva fra le realtà di lassù come Essere. E noi, venuti quaggiù, l'abbiamo colta con la più chiara delle nostre sensazioni, in quanto risplende in modo luminosissimo. La vista, per noi, è infatti la più acuta delle sensazioni che riceviamo mediante il corpo. Ma con essa non si vede la Saggezza, perché, giungendo alla vista, susciterebbe terribili amori, se offrisse una qualche chiara immagine di sé, né si vedono tutte le altre realtà che sono degne d'amore. Ora, invece, solamente la Bellezza ricevette la sorte di essere ciò che è più manifesto e più degno d'amore.
Dunque, chi non è di recente iniziato, o è già corrotto, non si innalza prontamente di qui a lassù,verso la Bellezza in sé, quando contempla ciò che quaggiù porta lo stesso nome. Di conseguenza, guardandola, non la onora, ma, dandosi al piacere come un quadrupede che cerca solo di montare e generare figli, e abbandonandosi agli eccessi, non prova timore e non si vergogna nel correre dietro a un piacere contro natura.
Chi, invece, è di recente iniziato e ha molto contemplato le realtà di allora, quando vede un volto di forma divina che imita bene la bellezza, o una qualche forma di corpo, dapprima sente i brividi, e qualcuna delle paure di allora penetra in lui. Poi, guardandolo, lo venera come un dio, e se non avesse timore di essere ritenuto in condizione di eccessiva mania, offrirebbe sacrifici al suo amato come a una immagine sacra e a un dio. Al vederlo, lo coglie come una reazione che proviene dal brivido, e un sudore e un calore insoliti. Ricevendo, infatti, attraverso gli occhi l'effluvio della bellezza, si scalda nel punto in cui la natura dell'ala si alimenta. E, una volta riscaldatasi, si sciolgono le parti che stanno attorno ai germi, le quali, essendo da tempo chiuse, per inaridimento, non lasciavano germogliare le ali. In seguito all'affluire del nutrimento, l'ala si gonfia e comincia a crescere dalla radice, per tutta quanta la forma dell'anima. Un tempo, infatti, l'anima era tutta alata. Dunque, a questo punto, essa ribolle tutta quanta e palpita. [...]
Quando, dunque, guarda la bellezza di un ragazzo, e riceve le parti che ne procedono e fluiscono e che appunto per questo sono dette "flusso d'amore", l'anima viene irrigata e si riscalda, si riprende dal dolore e si allieta. Quando invece ne è separata e si inaridisce, le bocche dei condotti da cui escono le penne, disseccandosi e chiudendosi, impediscono il germoglio dell'ala. Ma questo, rinchiuso dentro insieme al flusso d'amore, come i polsi che battono, pizzica sui condotti, ciascun germoglio nel condotto che gli è proprio, cosicché l'anima, pungolata tutt'intorno, è presa dall'assillo e dal dolore. Ma avendo di nuovo il ricordo della bellezza, prova gioia.
In seguito alla mescolanza di queste cose, essa prova grande turbamento per la stranezza di ciò che sente e, senza una via d'uscita, delira, e, presa dalla mania, non riesce a dormire di notte, né di giorno può riposare da qualche parte, ma, spinta dalla brama, corre là dove pensa di poter vedere chi possiede la bellezza. E dopo che ha visto ed è stata irrorata dal flusso d'amore, si sciolgono i condotti che prima si erano ostruiti e, ripreso respiro, cessa di avere punture e travagli e nel momento presente gode di un piacere dolcissimo.

Platone, da Fedro
grazie ad : annina

Postato da: giacabi a 19:09 | link | commenti
platone, bellezza

lunedì, 16 marzo 2009
Il ruolo dell'arte
***
« Il ruolo dell'arte non è di riprodurre il visibile, ma di renderlo visibile.».
(Paul Klee)

Postato da: giacabi a 14:41 | link | commenti
bellezza

sabato, 07 marzo 2009
 Meraviglioso
***


E' vero
credetemi è accaduto
di notte su di un ponte
guardando l'acqua scura
con la dannata voglia
di fare un tuffo giù uh
D'un tratto
qualcuno alle mie spalle
forse un angelo
vestito da passante
mi portò via dicendomi
Così ih:
Meraviglioso
ma come non ti accorgi
di quanto il mondo sia
meraviglioso
Meraviglioso

perfino il tuo dolore
potrà guarire poi
meraviglioso

Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato
il mare eh!
Tu dici non ho niente
Ti sembra niente il sole!
La vita
l'amore
Meraviglioso
il bene di una donna
che ama solo te
meraviglioso
La luce di un mattino
l'abbraccio di un amico
il viso di un bambino
meraviglioso
meraviglioso...

ah!...
(vocalizzato)
Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato
il mare eh!
Tu dici non ho niente
Ti sembra niente il sole!
La vita
l'amore
meraviglioso
(vocalizzato)
La notte era finita
e ti sentivo ancora
Sapore della vita
Meraviglioso

Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
grazie a:  billacorgan

Postato da: giacabi a 19:31 | link | commenti
canti, bellezza

giovedì, 05 marzo 2009
L’assenza
***
Un bacio. Ed è lungi. Dispare
giù in fondo, là dove si perde
la strada boschiva che pare
un gran corridoio nel verde.

Risalgo qui dove dianzi
Vestiva il bell’abito grigio:
rivedo l’uncino, romanzi
ed ogni sottile vestigio…

Mi piego al balcone. Abbandono
la gotta sopra la ringhiera.
Io non sono triste. Non sono
più triste. Ritorna  stasera.

E intorno declina l’estate.
E sopra un geranio vermiglio,
fremendo le ali caudate
si libera un enorme Papilio…

L’azzurro infinito del giorno
è come una seta ben tesa;
ma sulla serena distesa
la luna già pensa al ritorno.

Lo stagno risplende. Si tace
la rana. Ma guizza un bagliore
d’acceso smeraldo, di brace
azzurra: il martin pescatore…

E non sono triste. Ma sono
stupito se guardo il giardino…
stupito di che? Non mi sono
sentito mai tanto bambino…
a
Stupito di che? Delle cose.
I fiori mi paiono strani:
Ci sono pur sempre le rose,
ci sono pur sempre i gerani…
Guido Gozzano

Postato da: giacabi a 14:27 | link | commenti
bellezza, gozzano

domenica, 01 marzo 2009
Il nostro enorme bisogno del bello
***


È quasi scandalosa la risposta di don Giussani a quella missionaria che si sentiva impotente di fronte a tutta la sofferenza dei suoi bambini: non dimenticarti di ciò che ci meraviglia e commuove, è memoria di Dio

di Marina Corradi
 Ho conosciuto una donna che fa la missionaria con i bambini di una terra sperduta dell’Est. Mi ha raccontato di figli abbandonati e madri sole, in un paese che ha perso quasi ogni memoria cristiana. La ascoltavo e cercavo di immaginare le sue giornate in quel posto lontano, dove l’inverno dura sei mesi e gli uomini vengono educati semplicemente a sopravvivere. A un certo punto mi è venuto istintivo domandare: ma di fronte a tanta solitudine e dolore non ti senti mai impotente, mai travolta, visto che ciò che puoi fare è comunque una goccia nel mare? (Glielo ho chiesto nel ricordo di un viaggio, anni fa, in Moldavia, quando il numero e lo stato di abbandono dei bambini di strada mi erano parsi una tale mole di sofferenza da portare inevitabilmente alla disperazione). Lei ha afferrato subito il senso della mia domanda, che in questi anni laggiù deve essersi ripresentata davanti tante volte, ora impellente, ora freddamente quieta. «Sì, accade di vedere la tua impotenza. Accade di entrare in un orfanotrofio dove cento bambini ti si accalcano attorno e ti domandano qualcosa; e allora capisci che ciò che puoi dare, comunque, non basterà mai».
Succede anche a te allora, ho detto, più attenta, come avessi incontrato una compagna di strada. E dimmi, che risposta ti sei data? Lei ha detto che non aveva saputo darsi risposta, e che dunque scrisse a don Luigi Giussani. Lui rispose. Una lettera non troppo lunga, e dei soldi, una discreta somma. Cara A., diceva, ti mando questo denaro perché tu ti compri qualcosa che sia per te molto bello. Ricordati: perché tu possa continuare a dare agli uomini che incontri, è essenziale che tu non perda il gusto del bello.
Una risposta che stupisce, soprattutto se viene da un prete. La risposta ovvia sarebbe stata una beneficenza per i poveri, e l’esortazione a mettere da parte il pensiero della propria impotenza, seme possibile di disperazione. E invece no: Giussani alla missionaria in una terra desolata diceva di badare, prima di tutto, a «non perdere il gusto del bello».
Abituata a un cristianesimo moralista e pauperista, questa risposta mi è sembrata dapprima quasi scandalosa. Poi ho capito. Ricordati, quando hai davanti abbandono e solitudine, ciò che è profondamente bello. (Le Dolomiti in un’alba d’estate, lo sguardo limpido di un bambino, i colori di un quadro di Giotto, ma anche la gatta che cova fiera i suoi gattini). Conserva il gusto del bello. Non dimenticarti mai di ciò che ci meraviglia e commuove. Perché la bellezza è orma di Dio, segno lasciato dalla sua mano. Di ciò che è bello abbiamo bisogno quasi più che del pane. Ogni bellezza è memoria di Lui, lasciata scritta, come smarrita su questa terra – lasciata lì perché noi vediamo. È il fiore che sboccia in alta montagna, fra le crepe delle rocce, dove non lo vedrà nessuno se non forse un gitante, come per caso, un mattino. E dirà fra sé: a cosa serve un fiore qui? Tanta bellezza, per chi? Per te che passi, per te che l’hai visto e ti sei fermato. È un’orma. È la Bellezza che lascia traccia di sé, perché affascinati la seguiamo.

Postato da: giacabi a 12:18 | link | commenti
bellezza

lunedì, 02 febbraio 2009
La bellezza  cristiana
***
«Poi andammo dai Greci, ed essi ci condussero al loro servizio divino. E noi non sapevamo se ci trovavamo in Cielo o sulla Terra, giacché sulla Terra non si vede spettacolo di tale bellezza. Noi non sappiamo descrivere con parole quello che abbiamo veduto. Soltanto questo sappiamo, che ivi gli uomini si trovano in presenza di Dio'". Il racconto emozionato con cui i messi riferirono a Vladimir, il Gran Principe di Kiev, del loro soggiorno a Costantinopoli segnò sicuramente una svolta decisiva nella storia del mondo slavo; al punto che, nell'anno 988, il sovrano e tutto il suo popolo si convertirono al Cristianesimo, abbracciandone il rito ortodosso.

Postato da: giacabi a 19:43 | link | commenti
bellezza, cristianesimo

domenica, 25 gennaio 2009
La  Bellezza

***
grazie a Piero
“Il motivo per cui la gente non riesce a capire quanto è bella un’alba è semplicemente perché non può pagare per vederla”.  
   G.K.Chesterton

Postato da: giacabi a 15:08 | link | commenti
bellezza, chesterton

La bellezza
***
grazie a Piero
La bellezza è l'unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia,le credenze si succedono l'una all'altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, ed è un possesso per tutta l'eternità"
 Oscar Wilde

 grazie a: billacorgan

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bellezza, wilde

lunedì, 22 dicembre 2008
La bellezza del gusto
 ***
«Tutte le cose che possiamo vedere, toccare e percepire con il gusto sono state create da Lui. Ed Egli le ha viste tutte in qualche modo indispensabili per l"uomo».
 Hildegard von Bingen
***
«Dopo la poesia e la musica, la bellezza sugli uomini si esercita attraverso il cibo e il vino».
 don Luigi Giussani

Postato da: giacabi a 11:44 | link | commenti (1)
bellezza, giussani

mercoledì, 10 dicembre 2008
L'INCREDULITA' DI TOMMASO DI CARAVAGGIO
***
 
Vedere e toccare Lui vivo
In questo quadro Caravaggio ha una percezione così reale del fatto, da immaginare che l’invito verbale di Gesù all’apostolo avesse un suo naturale sviluppo nel gesto pieno di tenerezza del Risorto che prende e guida la mano di Tommaso. E lo sguardo sgranato e teso dell’apostolo sotto la fronte aggrottata segue il dito come se avesse calcolato che il riscontro di due sensi è meglio di uno

di Giuseppe Frangi
Per immaginare l’effetto che fece il San Tommaso di Caravaggio nella Roma di quattrocento anni fa, basta una cifra: di quel suo quadro si contano 24 copie realizzate negli anni successivi. Quasi un record, che assume ancor più valore se si pensa che tra quei copisti vanno annoverati anche Rubens e Guercino. Si tratta di una tela di 107x146 centimetri dipinta per Vincenzo Giustiniani, più o meno entro i primi due anni del 1600, e che ora è tornata per qualche settimana a Roma in occasione della mostra dedicata proprio alle collezioni dei Giustiniani (erano due fratelli: oltre a Vincenzo c’era anche il cardinale Benedetto). Ma che cosa aveva quel quadro da colpire in questo modo chiunque lo guardasse? A Roma in quei mesi si parlava molto di Caravaggio, di questo strano lombardo, geniale e losco («un misto di grano e di pula» lo definì un pittore olandese a Roma in quei tempi), che aveva sovvertito con una naturalezza sconcertante tutte le regole della pittura. Nel 1599 erano state scoperte le tele della cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi. Nel 1601 era stata la volta delle due tele per la cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo. Tutti lo cercavano, tutti volevano sue opere. Anche il cardinale Federico Borromeo, amico dei Giustiniani, si era portato a Milano la celebre Canestra di frutta, oggi conservata all’Ambrosiana. Certamente ogni sua opera creava anche un po’ di apprensione. Ne sapeva qualcosa il Giustiniani, che nel 1602 aveva preso per la sua collezione il San Matteo con l’Angelo dipinto per l’altare della stessa cappella Contarelli e, come racconta il Caravaggio stesso in una delle tante deposizioni processuali, era «stato tolto via dai preti» (quella prima stesura del dipinto arrivò a Berlino nel secolo scorso e venne distrutta dalle bombe dell’ultima guerra). E anche le due tele di Santa Maria del Popolo, con la Crocefissione di san Pietro e la Conversione di san Paolo, vennero rifatte due volte, perché rifiutate dal committente.
Quindi davanti all’Incredulità di san Tommaso c’era da aspettarsi qualche sorpresa da parte del Caravaggio. In realtà, al primo sguardo, la tela appariva di una semplicità assoluta e di una perfezione compositiva inattaccabile: quattro personaggi, le cui teste formano un rombo perfetto al centro della composizione; un asse orizzontale costituito dal braccio dell’apostolo incredulo e dalle mani di Gesù; un asse verticale che passa per la testa dei due apostoli al centro. Infine, le schiene dell’apostolo di destra e quella di Gesù formano un arco che sigilla il quadro dentro la più classica e sapiente delle costruzioni. Anche il più pedante dei maestri d’Accademia non avrebbe trovato proprio nulla da eccepire.
Caravaggio poi toglie ogni enfasi al racconto. Il fondo è bruno e spoglio che più spoglio non si può. La luce che entra da sinistra è così normale che proprio non vien da attribuirle nessuna valenza simbolica. Che cosa c’è allora di così insolito in quel quadro? Il primo fattore è un fattore impercettibile. Caravaggio, rispetto a tutta la tradizionale iconografia sul tema, è come se ricorresse a uno zoom. I protagonisti non sono più inquadrati a distanza nella sala, teatro dell’episodio. Sono a portata immediata di sguardo, anzi di mano. Per di più sono ad altezza dell’osservatore, per cui, chiunque sia di fronte a quella tela, diventa il quinto personaggio della scena: anche lui si trova a chinare lo sguardo, incredulo e stupito, sul centro dell’evento. Il secondo fattore che Caravaggio introduce è invece ben visibile. È la mano di Gesù che prende quella di Tommaso e la guida verso la ferita. Iconograficamente non è una novità, perché già Dürer in una sua famosa incisione aveva rappresentato così l’episodio, andando quasi al di là del racconto evangelico. Ma in Dürer quel gesto si perdeva nella miriade di particolari. Qui invece è proprio il centro della scena: Caravaggio ha una percezione così reale del fatto da immaginare che l’invito verbale di Gesù a Tommaso avesse un suo naturale sviluppo in quel gesto così pieno di tenerezza. Del resto è un gesto che scoperchia il carattere di Tommaso, spaccone e inquieto dietro le quinte, timido e quasi indietreggiante sulla scena. Incoraggiato da Gesù, che gli ha letto nel cuore, Tommaso può liberare la sua curiosità. Così il dito non si limita a sfiorare la ferita, ma vi entra dentro come a voler fugare davvero ogni ombra di dubbio. E lo sguardo sgranato e teso, sotto la fronte aggrottata, segue il dito, come se l’apostolo avesse calcolato, in quel momento, che il riscontro di due sensi è meglio di uno.
Eccoci così arrivati al fulcro del quadro, al particolare su cui Caravaggio fa convergere tutti gli altri, occhio dello spettatore compreso. Il dito di Tommaso tocca un uomo vivo, s’addentra nella carne viva: la semplicità geniale di Caravaggio spazza via, quasi con brutalità, ogni connotato visionario dalla scena. Racconta ancora una volta «l’accaduto, nient’altro che l’accaduto», come avrebbe scritto nel 1951 Roberto Longhi. E la conferma viene dagli altri due apostoli. Quello al centro è lo stesso modello usato nella Crocefissione di san Pietro e come Nicodemo nella Deposizione della Vaticana. Non hanno avuto la sfrontatezza di Tommaso, ma si vede benissimo dai rispettivi sguardi che il dubbio era attecchito anche nel loro cuore: Gesù era risorto davvero con il suo corpo o quello che avevano davanti era un fantasma? Così i loro occhi fremono nell’attesa: altro che preoccuparsi di rimproverare Tommaso per la sua incredulità...
Caravaggio, insomma, indovina tutte le dinamiche umane della scena. Non lascia scampo a ipotesi alternative, e declina il suo quadro al tempo presente. Come infatti gli era accaduto nella Vocazione di Matteo, veste i protagonisti della vicenda con abiti contemporanei, mentre lascia Cristo con un mantello. È un corto circuito quasi impercettibile che gli serve per dare una verità ancora più diretta e comprensibile all’episodio raccontato: l’episodio accadde quel giorno di tanti secoli prima in Palestina, ma proprio perché realmente accaduto può essere riscontrabile, toccabile con mano, anche oggi.
Rimasto a Roma sino alla fine del Settecento questo capolavoro venne comperato nel 1815 dal re di Prussia, insieme ad altre tele caravaggesche dei Giustiniani. Passò di castello in castello, nelle varie residenze degli Hohenzollern. Poi, con il 1945, se ne persero le tracce, tanto che non poté essere presente alla grande mostra di Caravaggio a Milano del 1951. In quell’occasione Roberto Longhi ne presentò una versione antica, attribuita a Rodríguez e conservata al museo di Messina: caso curioso vuole che quella versione oggi costituisca il manifesto della mostra in corso a Palermo, dedicata ai caravaggeschi siciliani. Nel 1958, la tela, che era stata portata via dai russi, venne restituita ai tedeschi della Ddr, che dal 1963 la esposero nella quadreria del castello di Potsdam, alle porte di Berlino, dove tutt’ora è conservata.
Quanto a Caravaggio, allora trentenne, era atteso da una vera via crucis giudiziaria. L’11 settembre 1603 era stato arrestato per aver diffuso sonetti che diffamavano Giovanni Baglione, un pittore molto benvoluto dall’entourage di papa Clemente VIII. Grazie alle sue entrature il Baglione aveva strappato una commessa di grande importanza, la pala dell’altare della chiesa madre dei Gesuiti. Dipinse una Resurrezione, tutta visionaria, che Caravaggio definì non una pittura ma «una pitturessa». Restò in prigione sino al 25 settembre. Ma quando uscì, in tanti gli avevano voltato le spalle, compresi alcuni suoi potenti protettori. Così quando i committenti della sua Morte della Vergine gli rifiutarono la tela, non trovò più i Giustiniani a coprirgli le spalle. Il quadro restò nel suo studio di vicolo San Biagio per qualche mese. Sin quando non si fece vivo un certo pittore venuto da Anversa, chiedendo di poterlo comperare per conto del suo padrone, il duca Gonzaga. Si chiamava Pieter Paul Rubens.

Postato da: giacabi a 20:49 | link | commenti (1)
bellezza

lunedì, 24 novembre 2008
  La bellezza
***
1 Ora a voi tutti, artisti che siete innamorati della bellezza e che per essa lavorato: poeti e uomini di lettere, pittori, scultori, architetti, musicisti, gente di teatro e cineasti... A voi tutti la Chiesa del Concilio dice con la nostra voce: se voi siete gli amici della vera arte, voi siete nostri amici!
·                     2 Da lungo tempo la Chiesa ha fatto alleanza con voi. Voi avete edificato e decorato i suoi templi, celebrato i suoi dogmi, arricchito la sua liturgia. L’avete aiutata a tradurre il suo messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure, a rendere comprensibile il mondo invisibile.
·                     3 Oggi come ieri la Chiesa ha bisogno di voi e si rivolge a voi. Essa vi dice con la nostra voce: non lasciate che si rompa un’alleanza tanto feconda! Non rifiutate di mettere il vostro talento al servizio della verità divina! Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Santo!
·                     4 Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione. E questo grazie alle vostre mani...
·                     5 Che queste mani siano pure e disinteressate! Ricordatevi che siete i custodi della bellezza nel mondo: questo basti ad affrancarvi dai gusti effimeri e senza veri valori, a liberarvi dalla ricerca di espressioni stravaganti o malsane.
·                     6 Siate sempre e dovunque degni del vostro ideale, e sarete degni della Chiesa, la quale, con la nostra voce, in questo giorno vi rivolge il suo messaggio d’amicizia, di saluto, di grazie e di benedizione.
·                     MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAOLO VI AGLI ARTISTI•           8 dicembre 1965

Postato da: giacabi a 20:50 | link | commenti
bellezza, paolovi

domenica, 16 novembre 2008
La bellezza è segno di Dio
 ***
"Ogni persona che si rallegra alla vista della creazione vivente e della sua bellezza è vaccinata contro il dubbio che tutto ciò possa essere privo di senso."
Konrad Lorenz, 1949   


Postato da: giacabi a 21:24 | link | commenti
dio, bellezza

sabato, 15 novembre 2008
La bellezza del creato
***
«Lo scienziato non studia la natura perché sia utile farlo. La studia perché ne ricava piacere, non fosse bella, non varrebbe la pena di sapere e la vita non sarebbe degna di essere vissuta. [...] Intendo riferirmi a quell'intima bellezza che deriva dall'ordine delle parti e che può essere colta da un'intelligenza pura. Proprio perché la semplicità e la verità sono belle noi cerchiamo di preferenza fatti semplici e fatti vasti; e troviamo piacere ora a guardare il corso immenso delle stelle ora dall'osservare al vastità, e ora dal ricercare nelle ere geologiche quei segni del passato che ci attraggono per la loro lontananza

Henri Poincaré

Postato da: giacabi a 07:13 | link | commenti
bellezza, scienza - articoli

venerdì, 07 novembre 2008
  La vera bellezza
***

"La vera bellezza, dopo tutto, sta nella purezza di cuore."
Gandhi

Postato da: giacabi a 21:29 | link | commenti
gandhi, bellezza

giovedì, 06 novembre 2008
La corrispondenza del cuore nell’incontro con la Bellezza
  ***
Da: http://www.30giorni.it/ 
     “ Una prima consapevolezza del fatto che la bellezza abbia a che fare anche con il dolore è senz’altro presente anche nel mondo greco. Pensiamo, per esempio, al Fedro di Platone. Platone considera l’incontro con la bellezza come quella scossa emotiva salutare che fa uscire l’uomo da se stesso, lo «entusiasma» attirandolo verso altro da sé. L’uomo, così dice Platone, ha perso la per lui concepita perfezione dell’Origine. Ora egli è perennemente alla ricerca della forma primigenia risanatrice. Ricordo e nostalgia lo inducono alla ricerca, e la bellezza lo strappa fuori dall’accomodamento del quotidiano. Lo fa soffrire. Noi potremmo dire, in senso platonico, che lo strale della nostalgia colpisce l’uomo, lo ferisce e proprio in tal modo gli mette le ali, lo innalza verso l’alto. Nel discorso di Aristofane del Simposio si afferma che gli amanti non sanno ciò che veramente vogliono l’uno dall’altro. È al contrario evidente che le anime di entrambi sono assetate di qualcos’altro che non sia il piacere amoroso. Questo “altro” però l’anima non riesce a esprimerlo, «ha solamente una vaga percezione di ciò che veramente essa vuole e ne parla a se stessa come un enigma». Nel XIV secolo, nel libro sulla vita di Cristo del teologo bizantino Nicolas Kabasilas si ritrova questa esperienza di Platone, nella quale l’oggetto ultimo della nostalgia continua a rimanere senza nome, trasformato dalla nuova esperienza cristiana.
      Kabasilas afferma:
«Uomini che hanno in sé un desiderio così possente che supera la loro natura, ed essi bramano e desiderano più di quanto all’uomo sia consono aspirare, questi uomini sono stati colpiti dallo Sposo stesso; Egli stesso ha inviato ai loro occhi un raggio ardente della sua bellezza. L’ampiezza della ferita rivela già quale sia lo strale e l’intensità del desiderio lascia intuire Chi sia colui che ha scoccato il dardo».
     
      La bellezza ferisce, ma proprio così essa richiama l’uomo al suo Destino ultimo. Ciò che afferma Platone e, più di 1500 anni dopo, Kabasilas non ha nulla a che fare con l’estetismo superficiale e con l’irrazionalismo, con la fuga dalla chiarezza e dall’importanza della ragione. Bellezza è conoscenza, certamente, una forma superiore di conoscenza poiché colpisce l’uomo con tutta la grandezza della verità. In ciò Kabasilas è rimasto interamente greco, in quanto egli pone la conoscenza all’inizio. «Origine dell’amore è la conoscenza», egli afferma, «la conoscenza genera l’amore». «Occasionalmente» così prosegue «la conoscenza potrebbe essere talmente forte da sortire allo stesso tempo l’effetto di un filtro d’amore». Egli non lascia questa affermazione in termini generali. Com’è caratteristico del suo pensiero rigoroso, egli distingue due tipi di conoscenza: la conoscenza attraverso l’istruzione che rimane conoscenza, per così dire, «di seconda mano» e non implica alcun contatto diretto con la realtà stessa. Il secondo tipo, al contrario, è conoscenza attraverso la propria esperienza, attraverso il rapporto con le cose. «Quindi, fintanto che noi non abbiamo fatto esperienza di un essere concreto, non amiamo l’oggetto così come esso dovrebbe essere amato».
      La vera conoscenza è essere colpiti dal dardo della Bellezza che ferisce l’uomo, essere toccati dalla realtà, «dalla personale Presenza di Cristo stesso» come egli dice.
L’essere colpiti e conquistati attraverso la bellezza di Cristo è conoscenza più reale e più profonda della mera deduzione razionale. Non dobbiamo certo sottovalutare il significato della riflessione teologica, del pensiero teologico esatto e rigoroso: esso rimane assolutamente necessario. Ma da qui, disdegnare o respingere il colpo provocato dalla corrispondenza del cuore nell’incontro con la Bellezza come vera forma della conoscenza, ci impoverisce e inaridisce la fede, così come la teologia. Noi dobbiamo ritrovare questa forma di conoscenza, è un’esigenza pressante del nostro tempo.”
cardinale Joseph Ratzinger Messaggio al XXIII Meeting
      per l’amicizia fra i popoli, Rimini, 21 agosto 2002)

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bellezza, benedettoxvi

martedì, 04 novembre 2008
Sia lode a Dio
  ***
Sia lode a Dio per le cose spruzzate di colori;
per i cieli a due tinte come la mucca pezzata;
per il rosa punteggiato che stria la trota che nuota;

per le castagne che cadono come brace accesa
;                                per le ali dei fringuelli;
per i campi a toppe e pezze - prato, aratura e ovile;
e tutti i lavori, i loro attrezzi e arnesi.
Tutte le cose insolite, originali, uniche, strane;
tutto quello che è variato e punteggiato (chissà come)
di svelto e lento; dolce e aspro; splendente e fosco;

tutto questo lo genera Colui la cui bellezza è al di là del mutamento;
  lodatelo
 Gerard Manley Hopkins

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bellezza, hopkins

domenica, 02 novembre 2008
La bellezza
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La bellezza risplende nel cuore di colui che ad essa aspira più che negli occhi di colui che la vede.
Tagore

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tagore, bellezza

sabato, 01 novembre 2008
Il bello
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“Il bello è un’attrazione carnale che tiene a distanza e implica una rinuncia. Compresa la rinuncia più intima quella dell’immaginazione. Si vuol mangiare tutti gli altri oggetti del desiderio. Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che esso sia”
                  ***
 "In tutto quel che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c’è realmente la presenza di Dio. C’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza religiosa. (Ecco quello che oggi non si sa più.) Una melodia gregoriana testimonia quanto la morte di un martire."
  Simone Weil  

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bellezza, weil

lunedì, 20 ottobre 2008
La bellezza
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 Penso che vi sia solo una via d'accesso alla scienza o alla filosofia: imbattersi in un problema, vederne la bellezza e innamorarsene; sposarlo, e convivere felicemente con esso, finchè, finchè morte non vi separi - a meno che non incontriate un altro e ancor più affascinante problema, o a meno che, in verità, non ne otteniate una soluzione.
Ma anche se riuscite a trovare una soluzione, potreste poi scoprire, con vostra delizia, l'esistenza di un'intera famiglia di incantevoli, anche se difficili, figli del problema, per il cui benessere potreste lavorare, con uno scopo, fino alla fine dei vostri giorni”
Karl Popper
           

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bellezza, popper

lunedì, 22 settembre 2008
La nobiltà dell’uomo
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« L'unica nobiltà dell'uomo, la sola via di salvezza consiste nel riscatto del tempo per mezzo della bellezza, della preghiera e dell'amore. Al di fuori di questo, i nostri desideri, le nostre passioni, i nostri atti non sono che "vanità e soffiar di vento", risacca del tempo che il tempo divora. Tutto ciò che non appartiene all'eternità ritrovata appartiene al tempo perduto».
 Gustave Thibon, "L'uomo maschera di Dio", trad. it., SEI, Torino 1971, p. 262

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bellezza, thibon

sabato, 13 settembre 2008
Da dove nasce la bellezza della musica…
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«bisogna fare tutto il bene possibile, amare la libertà sopra ogni cosa e non tradire mai la verità».

«O divinità tu vedi nel mio intimo, tu lo conosci; tu sai che vi dimorano amore del prossimo e inclinazione a fare il bene».
Ludwig Von Beethoven

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bellezza

sabato, 30 agosto 2008
EXEMPLA. LA RINASCITA DELL'ANTICO NELL'ARTE ITALIANA
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Volto del Creatore, Jacopo Torriti (attr.), 1290 c., Museo del Tesoro della Basilica di San Francesco, Assisi


Calco di chiave di volta con testa di sileno, Castel del Monte, Gipsoteca del Castello Normanno Svevo, Bari


Calco del corteo di cavalieri, Castel del Monte, Gipsoteca del Castello Normanno Svevo, Bari.


Testa laureata (Frammento Molajoli), testa laureata di Federico II da Castel del Monte. Scultore gotico, secolo XIII, Pinacoteca provinciale "Corrado Giaquinto", Bari.


Federico II, De Arte venandi cum avibus, seconda metà XIII secolo, pergamena, Biblioteca Universitaria, Bologna.


Testa di Zeus dalla Porta di Capua, Museo Provinciale Campano di Capua, Capua


Disegno della statua di Federico II di Capua, cod. Vat. Lat. 9840, foglio 50r (originale) Séroux d’Agincourt, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano.


De Arte venandi cum avibus, cod. Vat. Pal. lat. 1071 (facsimile) Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano.


Testa di Cristo (Volto del Redentore), Scuola o bottega del Cavallini, 1300c., Collegio Teutonico di Santa Maria in Camposanto, Città del Vaticano.


Clipeo con testa di putto, sec XIV, Museo dell'Opera di Santa Maria del Fiore, Firenze.


Lo scultore (Fidia), Formella esagonale in marmo, Andrea Pisano, 1337-1339, marmo, Museo dell'Opera di Santa Maria del Fiore, Firenze.


Clipeo con puer Apulie, scultore d'ambito federiciano, sec XIV, Museo di Sant'Agostino, Genova.


Clipeo con testa di Paggio, scultore d'ambito federiciano, sec XIV, Museo di Sant'Agostino, Genova.


Frammento di sarcofago con leone, Castello di Lagopesole, Lagopesole


Clipeo con volto maschile a destra, Collezione Privata, Milano


Cammeo con Poseidone e Anfitrite, Museo Archeologico Nazionale, Napoli.


Cammeo con Traiano a cavallo, Museo Archeologico Nazionale, Napoli.


Cammeo con Ercole e il leone, Museo Archeologico Nazionale, Napoli.


Cammeo con Poseidone e Atena, Museo Archeologico Nazionale, Napoli.


Madonna col Bambino, Andrea Pisano, Museo dell'Opera del Duomo, Orvieto.


La lupa con Romolo e Remo, Rea Silvia, Nicola e Giovanni Pisano, sec XIII (1278) Galleria Nazionale dell'Umbria, Perugia.


Figura femminile con brocca, Arnolfo di Cambio, sec XIII (1281), Galleria Nazionale dell'Umbria, Perugia.


Testa frammentaria di Chierico, Bottega di Arnolfo, 1290-1300, Museo del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo, Perugia


Danzatrice, Giovanni Pisano, Museo dell'Opera del Duomo, Pisa.


Busto di donna diademata (Busto di Sigilgaida), Nicola da Foggia, 1272, Museo del Duomo, Ravello.


Lastra con teoria funeraria, Arnolfo di Cambio, Basilica di San Giovanni in Laterano (chiostro), Roma.


Incisione con ritratto di Federico II, diaspro, Fondazione Privata, Roma.


Rilievo raffigurante Ifigenia, II sec, Museo di Villa Doria Pamphili, Roma.


Testa maschile, prima metà sec XIII, Museo Nazionale del Ducato (deposito comunale del Santo Chiodo), Spoleto.


Statuetta di Ecate, bronzo, Museo di Santa Caterina, Treviso


Coperchio di Urna cineraria, Arte etrusca, Museo Guarnacci, Volterra


Volto virile barbato, maestranze federiciane, collezione privata, Roma

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bellezza

sabato, 16 agosto 2008
La nobiltà dell’uomo
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L'unica nobiltà dell'uomo, la sola via di salvezza consiste nel riscatto del tempo per mezzo della bellezza, della preghiera e dell'amore. Al di fuori di questo, i nostri desideri, le nostre passioni, i nostri atti non sono che "vanità e soffiar di vento", risacca del tempo che il tempo divora. Tutto ciò che non appartiene all'eternità ritrovata appartiene al tempo perduto.
(Gustave Thibon, "L'uomo maschera di Dio", trad. it., SEI, Torino 1971, p. 262).
grazie a:  Dixit Definitivo

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preghiere, bellezza

venerdì, 15 agosto 2008
Bellezza e ragione
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Fonte: CulturaCattolica.it
Il papa nella sua vacanza a Bressanone non cessa di essere padre e pastore, sollecitato infatti dalla domanda di un sacerdote ha proposto a tutti una straordinaria riflessione sulla bellezza come necessaria componente della verità.
Un tema a noi particolarmente caro grazie anche alla lezione di mons. Giussani che, dello sguardo alla Bellezza capace di rendere più acuto il vedere della ragione, ha fatto il leit motiv della sua vita.
Il Santo Padre afferma che «quando, in questa nostra epoca, discutiamo della ragionevolezza della fede, discutiamo proprio del fatto che la ragione non finisce dove finiscono le scoperte sperimentali, essa non finisce nel positivismo; la teoria dell’evoluzione vede la verità, ma ne vede soltanto metà: non vede che dietro c’è lo Spirito della creazione. Noi stiamo lottando per l’allargamento della ragione e quindi per una ragione che, appunto, sia aperta anche al bello e non debba lasciarlo da parte come qualcosa di totalmente diverso e irragionevole».

Un pensiero che non può non rimandare al grande Hans Urs von Balthasar e alla sua monumentale opera di teologia estetica intitolata Gloria.
Nel primo volume dal titolo Percezione della forma, egli fin dalle prime battute invita a riflettere come anche la Chiesa nel nostro tempo (e lo diceva già nel 1961) abbia privilegiato il verum e il bonum dimenticando il pulchrum. Si è data cioè maggior attenzione alla verità e alla ragione, all’aspetto più speculativo dell’esperienza umana, si è data maggior attenzione all’etica, alla dimensione morale della vita, dimenticando quell’aspetto strettamente contemplativo, che coinvolge così interamente lo stupore, quale è la Bellezza.
La Bellezza è il terzo trascendentale senza il quale l’uomo non può stare, è quella parola a cui il filosofo perviene ma dalla quale non potrà mai partire, è quella parola dalla quale certa scienza e financo certa teologia prenderà le distanze perchè anacronistica e fragile, mentre è la parola da cui l’uomo religioso, il credente parte perchè è la sola vera parola iniziale dalla quale anche il vero e il bene traggono forza.

«La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione, ma che, come maschera strappata al suo volto, mette allo scoperto dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli uomini. Essa è la bellezza alla quale non osiamo più credere e di cui abbiamo fatto un’apparenza per potercene liberare a cuor leggero. Essa è la bellezza infine che esige (come è oggi dimostrato) per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che - segretamente o apertamente - non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare. Il secolo XIX si è ancora aggrappato, in un’ebbrezza appassionata, alle vesti della bellezza fuggente, alle cocche svolazzanti del vecchio mondo che si dissolveva (“Elena abbraccia Faust, il corporeo svanisce, la veste e il velo gli rimangono tra le braccia... le vesti di Elena si dissolvono in nubi, circondando Faust, lo sollevano in alto e si dileguano con lui”, Faust II, atto III); il mondo illuminato da Dio diventa apparenza e sogno, romanticismo, presto ormai soltanto musica, ma, dove la nube si dissolve, rimane l’immagine insostenibile dell’angoscia, la nuda materia; poiché però non c’è più nulla e tuttavia si ha pur bisogno di abbracciar qualcosa, allora si spinge l’uomo del nostro tempo a questo Imene impossibile, che alla fine gli fa venire in uggia qualsiasi forma di amore. Ma ciò di cui l’uomo non è più capace, ciò per cui è diventato impotente, non può più, proprio perché si sottrae alla sua sottomissione, essere da lui sostenuto. Non resta che negarlo o circondarlo di un silenzio di morte.

In un mondo senza bellezza - anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso -, in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto più eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici? In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica: i sillogismi cioè ruotano secondo il ritmo prefissato, come delle macchine rotative o dei calcolatori elettronici che devono sputare un determinato numero di dati al minuto, ma il processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda più nessuno e la stessa conclusione non conclude più.

E se è così dei trascendentali, solo perché uno di essi è stato trascurato, che ne sarà dell’essere stesso? Se Tommaso poteva contrassegnare l’essere come “una certa luce” per l’ente, questa
luce non si spegnerà là dove si è disimparato il linguaggio della luce stessa e non si lascia più che il mistero dell’essere esprima se stesso? Ciò che avanza è solo una porzione di esistenza che per quanto, come spirito, pretenda attribuirsi anche una certa libertà, rimane tuttavia completamente oscura e incomprensibile a se stessa. La testimonianza dell’essere diventa incredibile per colui il quale non riesce più a cogliere il bello». [H. U. von Balthasar, Gloria, Jaca Book, Milano, 1985, vol. I, pagg. 10-12]

Una posizione affascinante se pensiamo a quali conseguenze stiamo assistendo per l’esilio di questo terzo trascendentale. La verità è precipitata in un relativismo inafferrabile, la morale è concepita solo dentro un soggettivismo cieco ed aberrante e la bellezza è stata confinata entro un’estetica svuotata di contenuti valoriali. Persino la ragione si è persa, direbbe il Magnificat, nei pensieri superbi del cuore se sganciata da questa mistero estatico della Bellezza carica di Mistero.

La riflessione di Benedetto XVI getta allora una luce straordinaria sul nostro vivere quotidiano: «Questo è il punto. Questo, penso, è in qualche modo la prova della verità del cristianesimo: cuore e ragione si incontrano, bellezza e verità si toccano. E quanto più noi stessi riusciamo a vivere nella bellezza della verità, tanto più la fede potrà tornare ad essere creativa anche nel nostro tempo e ad esprimersi in una forma artistica convincente»
Sì davvero questo è il punto. Il punto da cui partire e a cui tendere con tutta la propria condotta.
                                                                                                             
  ad:A.

Postato da: giacabi a 07:42 | link | commenti
bellezza, benedettoxvi, von balthasar

lunedì, 16 giugno 2008
Belli perché simili a Lui
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Tutta la vostra infelicità consiste nell'ignorare di essere belli! Ognuno di voi potrebbe rendere felici tutti; e questo potere è concesso a tutti, soltanto che è sepolto così profondamente dentro di voi stessi che non ci credete neppure più.
DOSTOEVSKIJ

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