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su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo


sabato 4 febbraio 2012

bellezza, 4

La bellezza
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La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio.
 Franz Kafka

Postato da: giacabi a 08:48 | link | commenti
bellezza, kafka

sabato, 14 giugno 2008

Verità e Bellezza

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Lo studio e la ricerca della verità e della bellezza rappresentano una sfera di attività in cui è permesso di rimanere bambini per tutta la vita.
 Albert Einstein

Postato da: giacabi a 13:56 | link | commenti
einstein, bellezza, verità

La Bellezza divina
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Vorrei comunicarvi alcuni tra gli aspetti più affascinanti e persuasivi del cammino che ho fatto nella mia vita.
Innanzitutto mi
permetterete di ricordare l’istante della mia vita in cui, per la prima volta, ho capito che cos’era l’esistenza di Dio. Ero in prima liceo classico, in seminario, e facevamo lezione di canto; normalmente, per il primo quarto d’ora, il professore spiegava storia della musica, facendoci anche ascoltare alcuni dischi. Anche quel giorno si fece silenzio, incominciò a girare il disco a 78 giri e improvvisamente, si udì il canto di un tenore allora famosissimo, Tito Schipa; con una voce potente e piena di vibrazioni ha incominciato a cantare un’aria del quarto atto de La Favorita di Donizetti: «Spirto gentil de’ sogni miei, brillasti un dì ma ti perdei. Fuggi dal cor lontana speme, larve d’amor fuggite insieme». Dalla prima nota a me è venuto un brivido.
Che cosa significasse quel brivido l’avrei capito lentamente con gli anni che passavano; solo il tempo, infatti, fa capire che cosa è il seme, come dice l’omonima, bella canzone, e cosa ha dentro. Uno può capire cos’è un seme se ne ha già visto lo sviluppo; ma la prima volta che vede il seme non può capire che cosa contenga. Così fu per me quel primo istante di brivido in cui ebbi la percezione di quello struggimento ultimo che definisce il cuore dell’uomo quando non è distratto da vanità che si bruciano in pochi istanti.    
Luigi Giussani Realtà e giovinezza. La sfida, Sei, Torino 1995                          

***
« Associo il fatto accaduto a Princeton, dove egli(Einstein) si unì al gruppo di preghiera con il suo violino, con un altro evento accaduto nel 1929 a Berlino e raccontatomi da Max Jammer in una sua
lettera. L'occasione fu quando Yudi Menhuin, il grande violinista ebreo, dette a Berlino un suo recital durante un concerto con musiche di Beethoven, Bach e Brahms, eseguite dall'orchestra filarmonica di Berlino diretta da Bruno Walter. Einstein, sopraffatto dalla bellezza della musica, attraversò in tutta fretta il palcoscenico e andò fino al camerino di Menhuin esclamando: «Adesso io so che c'è un Dio in cielo ( Jetzt weiss ich, dass es einen Gott imHimmel gibt )».         Thomas F. Torrance

Postato da: giacabi a 07:55 | link | commenti
dio, einstein, bellezza, giussani

martedì, 10 giugno 2008
La Bellezza
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« Nella contemplazione dello splendore universale del mondo, la bellezza stessa diventa, per così dire, voce e ti grida: non mi sono fatta da sola, è Dio che mi ha creata. »

 sant’Agostino, Confessioni

Postato da: giacabi a 22:05 | link | commenti (2)
bellezza, agostino

La Bellezza
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« L’anima tende per sua natura alla  vera bellezza. sorretta dalla speranza di passare da una bellezza inferiore precedentemente ammirata a una bellezza superiore ancora nascosta, accende di continuo il suo desiderio. Per questa sua struttura l’anima tende a spingersi irresistibilmente verso la bellezza, nella speranza di giungere a cogliere pienamente la figura stessa dell’archetipo. Qui sta l’oggetto dell’ardita preghiera di Mosè, che supera i confini stessi del desiderio.
     Egli vuol godere della bellezza, ma non riflessa in uno specchio, bensì faccia a faccia. la risposta di Dio, nelle brevi parole con cui respinge simile preghiera, apre davanti a noi un abisso immenso di pensiero.
    Dio gli concesse il dono di soddisfare il suo desiderio, ma non gli diede la cessazione e la sazietà di esso, se Mosè, contemplando la visione di Dio, avesse estinto in se la brama che ne aveva, Dio non gli si sarebbe mostrato. Comprendiamo allora che vedere Dio consiste realmente nel non saziarsi mai del desiderio di lui»
(Gregorio Nisseno la vita di Mosè)


Postato da: giacabi a 22:02 | link | commenti (2)
bellezza, gregorio di nissa

lunedì, 19 maggio 2008
L'entusiasmo della fede
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   Dobbiamo pregare lo Spirito perché ci faccia ritrovare l'entusiasmo della fede. Siamo troppo aridi e freddi nella nostra fede, troppo intellettuali. La missione fa ritrovare l'entusiasmo della fede e la gioia di vivere. Il Vangelo è comunicazione di una "Buona Notizia". (vedi mio testo già al computer)

   Lo Spirito dà la vera vita che è gioia ed entusiasmo, bellezza. Lo Spirito Santo rende la persona bella. Uno può anche avere un volto brutto a vedersi nella sua umanità, squadrato male, ma se è illuminato dalla luce dello Spirito, quel volto diventa bello, significativo, profondamente umano, cordiale, pieno di gioia. Mi viene in mente frate Lino da Parma, il santo Francescano che all'inizio del secolo (morto nel 1924) nella Parma rossa e anticlericale era l'uomo amato da tutti, ricercato, benvoluto anche dai più lontani, Che solo a vedere un prete o una suora toccavano ferro. Eppure padre Lino, che era piccolo e  storto, brutto a vedersi, tutti dicevano bene e lo ricordano come un bell'uomo, pieno di umanità. Giorgio dice: era davvero brutto, ma aveva una luce dentro che lo rendeva bello!

    Lo Spirito Santo comunica la vita di Dio in modo personale e la vita di Dio è bellezza, simpatia. Pensate a Madre Teresa, che se c'era una donna piccola, storta, gobba, brutta era proprio lei. Eppure, che fascino aveva! Madre Teresa è un segno di speranza per milioni di poveri. Ha risolto misteriosamenmte mille problemi che la Chiesa si affanna a voler risolvere:
   - non ha mai parlato o fatto il dialogo con i non cristiani, eppure al suo funerale ci sono state dichiarazioni di indù, musulmani, buddhisti che commuovono;
   - non ha mai parlato di teologia missionaria
.... (vedi testo di Cagnasso in M.M. febbraio 1998).
   - Era una straniera ma nell'India nazionalista ha avuto il Premio Nehru dato solo agli indiani benemeriti della patria...
   - In Cambogia, ancora sotto un governo comunista nel 1989, ottiene per la prima volta l'ingresso di un missionario del Pime per assistere spiritualmente le sue suore.
    (vedi testo di p. Franco Cagnasso, in Mondo e Missione, febbraio 1998)
    Una volta hanno chiesto a Madre Teresa qual'è la fame più grande dell'uomo d'oggi. Ha risposto: "La fame di Dio. Nella società del benessere gli uomini evoluti hanno allontanato Dio dalla loro vita, l'hanno perso di vista o l'hanno rifiutato. Sono affamati di Infinito e non lo sanno, cercano le cose materiali e hanno fame della vita che solo Gesù può dare". 
P.Piero  Gheddo Rai Due 1998

Postato da: giacabi a 21:09 | link | commenti
fede, bellezza

giovedì, 15 maggio 2008
La realtà è ultimamente positiva
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"Vorrei che i personaggi che rappresento avessero sempre il carattere proprio della loro condizione così che non sia assolutamente possibile immaginarli diversamente. Personaggi e cose devono essere lì per una regione precisa. Io desidero dipingere pienamente e fortemente solo ciò che è necessario, perchè le cose dette senza energia è meglio che non siano dette in quanto apparirebbero gracili e sciupate"
Jean-Francois Millet, pittore realista

Postato da: giacabi a 16:16 | link | commenti
bellezza

sabato, 10 maggio 2008
Ringraziate Dio
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"Ringraziate Dio anche per le anatre giù nella vasca". Il celebre pessimista espresse a mezza voce il suo vivo desiderio di ringraziare Dio per le anatre della vasca. "E non dimenticate i paperi", insisté Innocenzo, implacabile. Eames concedette fievolmente anche i paperi. "Nulla, mi raccomando, dovete dimenticare. E cosi rendete grazie al Cielo per le Chiese, le Cappelle, i villini, la gente ordinaria, le pozzanghere, le pentole e i tegami, i bastoni, i cenci, gli ossi, e le tende a pallini". "Sta bene, sta bene" ripeteva la vittima disperata "bastoni, cenci, ossi, tende". "Tende a pallini, mi pare di avere detto".

G.K. Chesterton, Le avventure di un uomo vivo
Grazie ad:annina

Postato da: giacabi a 07:41 | link | commenti
dio, bellezza

venerdì, 09 maggio 2008
Il cristianesimo è ragionevole
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 Ho voluto (...) a lungo (...) esaminare il tema principale: come, cioè la mia posizione verso il Cristianesimo sia razionale. Razionale è, ma non è semplice: è come un'accumulazione di fatti svariati, come l'atteggiamento dell'agnostico, con la differenza che l'agnostico ha preso tutti i suoi fatti alla rovescia. Egli è un incredulo, per moltissime ragioni, ma sono tutte ragioni false. Egli dubita perché dice che il medio evo era barbarico, e non è vero; dice che il darwinismo è dimostrato - e non è; che i miracoli non sono accaduti - e invece sono accaduti; che i frati erano oziosi - ed erano laboriosissimi; che le monache sono infelici - e sono allegre e contente; che l'arte cristiana fu triste e pallida - ed ebbe i coloro più vividi e la gaiezza dell'oro; che la scienza moderna rifugge dal soprannaturale - e non è esatto: essa va verso il soprannaturale con la rapidità del treno lampo".

G. K. Chesterton, Ortodossia

Postato da: giacabi a 22:35 | link | commenti
ragione, bellezza, cristianesimo, chesterton

mercoledì, 07 maggio 2008
Segno di Dio
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Si dice segno una cosa  il cui senso è un’altra cosa. Segno è dunque una realtà che non avrebbe spiegazioni se non implicando l’esistenza di un’altra realtà.
Don Giussani Il Senso religioso ed.Jaca Book1981
 i miei gattini

Postato da: giacabi a 14:44 | link | commenti
dio, bellezza

sabato, 03 maggio 2008
Non conosco niente di così bello  in tutto il mondo

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Ora lo dico, dice Dio, non conosco niente di così bello  in tutto il mondo
Che un piccolo bambino che s'addormenta dicendo la  sua preghiera
 Sotto l'ala del suo angelo custode
E che sorride agli angeli iniziando a dormire.
 E che già confonde tutto insieme e che non ne capisce  più nulla
" E che affastella le parole del Padre Nostro a vanvera alla rinfusa con le parole dell'Ave Maria
Mentre un velo già gli cala sulle palpebre
Il velo della notte sul suo sguardo e sulla sua voce.
Ho visto i più grandi santi, dice Dio. Ebbene io ve lo dico. Non ho mai visto niente di così simpatico e quindi
non conosco niente di così bello nel mondo
Come questo bambino che s'addormenta dicendo la sua preghiera
(Come questo piccolo essere che s'addormenta confi- dando)
E che confonde il suo Padre Nostro con la suaAve Maria  Niente è così bello ed è anche un punto
Sul quale la Santa Vergine è del mio parere.
Su questo.
E posso ben dire che è l'unico punto sul quale abbiamo lo stesso parele. Perché generalmente siamo di parere diverso.
Perché lei è per la misericordia.
E io bisogna bene che sia per la giustizia.
§   Charles Peguy,  Lui è qui  pagine scelte Rizzoli

Postato da: giacabi a 08:48 | link | commenti
bellezza, peguy

martedì, 29 aprile 2008
Come salvare la bellezza dallo svanire lontano?
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di Antonio Spadaro     
 Questa sembra la domanda fondamentale che genera l’ispirazione di Gerard Manley Hopkins. In lui risuona un’eco di piombo: l’unica possibilità di saggezza è quella di cominciare a disperare perchè non resta altro che l’età, i mali dell’età, canuti capelli, / pieghe e rughe, e il mancare e il morire, l’orrore della morte, avvolti sudari, le tombe, i vermi, e il crollare alla corruzione. A questa eco però ne segue subito un’altra, un’esplosione di suoni che festeggia la presenza di una via di fuga, un’eco d’oro: quanto sembra fuggire veloce, finito e disfatto, è invece destinato ad essere avvinto dalla più tenera verità / alla perfezione del suo essere, alla sua giovanile bellezza. Ecco: ciò che colpisce Hopkins è l’eccesso di presenza che solo la bellezza sa comunicare. Questa bellezza giovane è la Bellezza screziata da cui prende il titolo una sua splendida poesia. In essa Hopkins dà gloria a Dio per le cose chiazzate -/ per i cieli d’accoppiati colori come vacca pezzata;/ per i nèi rosa in puntini sulla trota che nuota; per tutte le cose contrarie, originali, impari, strane;/ quel ch’è instabile, lentigginoso (chi sa come?).

Nei versi di Hopkins tutto sembra percorso da una scossa. Il mondo è come carico della grandezza di Dio. Carico (charged), sia nel senso del peso sia nel senso della carica elettrica, così che questa grandezza fiammeggerà, come fulgore da percossa lamina. La grandezza di Dio scuote e fa vibrare, imprime guizzo e slancio esuberante, sempre in movimento, mai in stallo. Hopkins esalta dunque Dio non in quanto stabile sicurezza dell’essere, al di là delle singole forme, ma in quanto autore delle differenze e delle energie polarizzanti, di ciò che è instabile nella durata e nella forma. Ecco dunque la certezza: vive in fondo alle cose la freschezza più cara. E così, grazie a questa visione profonda delle cose, Hopkins sarà acuto osservatore di vento, gradine e chicchi, dei flussi e riflussi del mare, delle forme degli alberi e delle curvature di acque che scorrono sopra le pietre, di sottili sfumature cromatiche nei tramonti del sole e delle infinite figure di nuvole di continuo cangianti. L’atto poetico comincia non nella coscienza autistica del poeta, ma nella visione attiva e vibrante del mondo: «è possibile che in certi tempi la bellezza di un albero, la sua forma, un determinato effetto, ecc. mi trasporti nella massima stupefazione», scrive Hopkins in una lettera.
Nel mondo resta sempre immediatamente visibile la gloria della creazione: Cos’è tutta questa linfa e tutta questa gioia?/ Un’eco del dolce essere della terra all’origine, scrive. Nel gheppio come nel sasso, nella libellula come nel corpo umano, nell’aria come nella zolla, nella trota iridata come nella mucca pezzata, Hopkins percepisce un eccesso, un’esuberanza, una bellezza sbocciante, una freschezza fumante, un rigoglio di godimento giovane, una brulicante giovinezza nel reale da cui viene attratto irresistibilmente. La realtà è infiammata, avvampa. E tutto questo fuoco è ancora l’eco caldo della creazione, dell’inizio.
Che la bellezza sia mortale o immortale è, se così possiamo dire, di secondaria importanza rispetto a ciò che essa opera: la rottura dell’io, la sua apertura, lo sconvolgimento della sua pigrizia. La bellezza è sempre bruta e pericolosa, e persino barbarous. Per quanto la bellezza «mortale» possa rapire l’anima di chi la contempla, alla fine essa non è che un filo di Arianna per chi è toccato dalla Grazia. Il principio primo della poesia hopkinsiana è che ogni bellezza appartiene a Cristo e a lui deve essere sempre rapportata. Per questo motivo egli è anche il giudice estetico ultimo di ogni arte umana. Infatti scrive il poeta in una lettera all’amico Dixon: «L’unico critico letterario giusto è Cristo». E all’amico poeta R. Bridges: «Come io faccio la critica a te, anche Cristo la fa, ma in maniera più giusta e più amabile, a te sia come poeta che a te come uomo».
Hopkins attraverserà momenti tremendi tra il 1885 e il 1887 nei quali scriverà i suoi terrible sonnets, ritrovati solo dopo la sua morte: un percorso dolorosissimo. Qui lo sguardo aperto e guizzante sul reale sembra perdersi nel buio della depressione e dello sconforto. La percezione del baratro si fa amara: Sono fiele, / sono bruciore. Il più fondo segreto di Dio / l’amaro volle che gustassi: il mio gusto ero io. Ma, seguendo questi pensieri, alla fine Hopkins stesso esplode in un fragoroso Basta! per frenare i pensieri di desolazione. Morte, piombo, buio cedono allo squillo del cuore (heart’s-clarion), la Resurrezione: in un lampo, a uno squillo,/ subito sono quel che è Cristo, poiché lui fu quel che sono, e/ questo poveraccio, scherzo, povero coccio, toppa, legno di zolfanello, diamante immortale, è diamante immortale. Ciò che è nulla, un piccolo truciolo, un fiammifero, diventa al fuoco della resurrezione un diamante.
Alla fine l’invocazione folgorante resta intatta nella sua richiesta di vita: o tu signore di vita, manda pioggia alle mie radici.
Da:   Bombacarta

Postato da: giacabi a 15:35 | link | commenti
bellezza, hopkins

domenica, 27 aprile 2008
La Bellezza
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Esiste qualcosa di inspiegabilmente commovente nella nostra natura pietroburghese quando, con il sopraggiungere della primavera, mostra ad un tratto tutta la sua potenza, tutte le forze datele dal cielo per ricoprirsi, abbellirsi, colorarsi di fiori... In qualche modo mi ricorda involontariamente quella ragazza tisica e deperita che voi guardate a volte con compassione, a volte con un certo affetto pietoso, a volte semplicemente non la notate neppure, ma che improvvisamente, per un attimo solo, in modo disperato, diventa inspiegabilmente di una meravigliosa bellezza, e voi, colpito e inebriato, vi chiedete inconsapevolmente: qual è la forza che dà un tale splendore, un tale fuoco a quei tristi occhi pensosi? Che cosa ha fatto affluire il sangue a quelle pallide gote incavate? Che passione si è riversata sui teneri lineamenti del volto? Per quale ragione il petto ansima così? Che cosa ha provocato improvvisamente la forza, la vita e la bellezza sul volto di quella povera ragazza, lo ha fatto brillare di un simile sorriso e ravvivare da una gaia e scintillante risata? Vi guardate intorno, cercate qualcuno, pensate di intuire... Ma l'attimo fugge, il giorno dopo incontrate di nuovo lo stesso sguardo pensoso e distratto, lo stesso viso pallido di prima, la stessa sottomissione e mitezza nei movimenti e persino un certo pentimento, persino tracce di una tristezza mortale e di stizza per quell'effimero piacere... E vi fa pena che quella bellezza apparsa per un attimo sia svanita così in fretta e così irrevocabilmente e che, ingannevole e vana, abbia brillato davanti ai vostri occhi lasciandovi il rammarico di non aver fatto in tempo ad innamorarvi di lei... Dostoevskij Notti Bianche, Prima Notte                                                    grazie a:Karommah

Postato da: giacabi a 23:05 | link | commenti (3)
bellezza, dostoevskij

lunedì, 07 aprile 2008
Matisse a mano libera
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Arte
 

Cristina Terzaghi                                             traccen°10  novembre 2001
Insieme a Picasso è stato il pittore che più ha lasciato il segno nell’arte del secolo scorso. Henri Matisse, il pittore de La joie de vivre, alla fine della sua vita trovò la felicità nel dipingere gli interni di una chiesa. Una storia poco nota che riaffiora in un libro di testimonianze e lettere inedite
Tutti lo conoscono come il maestro sfolgorante dell’era fauve; il maestro capace di inseguire il filo della bellezza in un secolo che l’aveva smarrito. Henri Matisse è stato senza dubbio un sole rimasto acceso all’interno di un secolo dominato da ben altri bagliori. Il pittore de La danza e dell’Icaro, di Tangeri: paesaggio visto da una finestra che compare sulla copertina dell’ultima Tischreden, colui che è stato capace di cogliere l’essere come sfolgorio di luce e di colori. Sotto la sua mano le linee ritrovavano una misteriosa continuità e armonia: una vera eccezione in un contesto che ha visto le linee, nelle mani dei pittori, infrangersi, spezzarsi, piegarsi nell’enfatizzazione o nel racconto del dramma. Matisse era di un’altra pasta. E lo dimostra una storia poco nota, riaffiorata grazie a un libro, che l’ha ricostruita attraverso lettere e testimonianze: la storia dei celebri dipinti che Matisse, ormai anziano e malato, dipinse per la cappella di Saint Paul de Vence, il suo ultimo capolavoro.
Ricoverato nel 1942 nell’ospedale di Nizza, Matisse si trova nella necessità di un’assistenza notturna, gli viene mandata la giovane Monique Bourgeois alla sua primissima esperienza infermieristica. Di Monique, uno di quegli incontri che hanno cambiato la vita del pittore, sappiamo assai poco. Doveva essere piuttosto dotata, a giudicare dal quaderno di disegni mostrati dopo molto tempo all’artista, che li trovò eccellenti, e doveva essere molto bella, dal momento che Matisse la ritrasse più volte, col permesso della madre. Due anni dopo il loro primo incontro, l’infermiera entra nel convento domenicano di Vence. Per Matisse è un duro colpo: lo apprende al telefono e quasi interrompe la comunicazione, altri erano i suoi progetti per Monique, voleva farne una grande pittrice.
Diceva Chesterton che l’universo risponde il vero se lo si interroga onestamente: nessuno avrebbe potuto immaginare quale capolavoro sarebbe nato da quella amicizia che allora sembrava sul punto di naufragare.
Fu in una delle successive visite a Matisse che Monique, ormai suor Jacques-Marie, mostrò all’artista un disegno di una Madonna con il Bambino, che quasi distrattamente aveva dipinto. Matisse trovò che sarebbe stato perfetto per una vetrata. Fu così che nacque l’idea della cappella del Rosario di Vence.
Matisse era ormai vecchio e quasi paralizzato, così Giovanni Testori racconta quell’impresa: «Vetrate, pianete, pissidi: fece tutto lui. E pensare che in quegli anni era ormai immobile, e non poteva più usare nemmeno le mani. Allora disegnava su fogli colorati, rossi, azzurri, servendosi di un gran bastone, e poi, sempre con un bastone, li tagliava e li incollava. Verso la fine della vita, poi, smise anche il colore. Forse scoprì che il suo grande sogno era sempre stato la vetrata, ossia il colore, ma, insieme, qualcosa che oltrepassa il colore: la concentrazione della luce (…). Una concentrazione che diviene fulgore».
Suor Jacques-Marie e Lidia, da molti anni assistente di Matisse, furono costantemente al suo fianco nell’impresa, tanto che il vecchio maestro avrebbe voluto i loro nomi accanto al suo nella cerimonia della posa della prima pietra. La cappella fu benedetta il 25 giugno 1951, due anni prima della scomparsa del pittore, che in quell’occasione scrisse al Vescovo di Nizza: «Eccellenza, Vi presento in tutta umiltà la cappella del Rosario dei Domenicani di Vence. Vi prego di scusarmi di non aver potuto presentarvi io stesso questo lavoro a causa dell’età e della mia salute. L’opera ha richiesto quattro anni di un lavoro esclusivo e assiduo, essa è il risultato di tutta la mia vita attiva. Io la considero nonostante tutte le sue imperfezioni come il mio capolavoro. Che l’avvenire possa rendere ragione di questo giudizio mediante un interesse crescente, anche al di là del significato più alto di questo monumento. Conto, Eccellenza, sulla vostra vasta esperienza degli uomini e sulla vostra profonda saggezza nel giudicare uno sforzo che è il risultato di una vita consacrata alla ricerca della verità». Non pare poco per chi quarant’anni prima aveva affermato: «Io sogno un’arte equilibrata, pura, tranquilla, senza soggetto inquietante o preoccupante, che sia per ogni lavoratore intellettuale, per l’uomo d’affari come per l’artista di lettere, per esempio, un lenitivo, un calmante cerebrale, qualcosa di analogo a una buona poltrona che lo riposi delle sue fatiche fisiche», una dimora, insomma: Matisse la costruì per davvero.
Chi era
«Dalla sua finestra lui vedeva solo il mare, e una casa bianca in mezzo al blu, nella casa una donna, Maria», racconta una poetica canzone di Lucio Dalla, una sensazione di riposo, refrigerio e libertà non troppo diversa da quella, intensissima e profonda, trasmessa da Tangeri: paesaggio visto da una finestra, lo straordinario dipinto di Henri Matisse (oggi al Museo Puskin di Mosca), azzeccatissima copertina di Affezione e dimora, l’ultimo libro pubblicato da don Luigi Giussani, per i tipi della Bur.
Autore anche del cosiddetto Icaro (titolo originale Jazz), uno dei manifesti pasquali del movimento di Comunione e Liberazione, vien fatto di chiedersi chi è Henri Matisse, questo pittore che illustra la vita secondo una sensibilità tanto affine a quella della storia e della tradizione cristiana.
«Spesso, quando mi metto al lavoro, nella prima seduta annoto sensazioni fresche e superficiali. Fino a qualche anno fa questo risultato talvolta mi bastava. Se oggi me ne accontentassi, convinto come sono di vedere la realtà con una maggiore profondità, resterebbe qualcosa di indefinito nel mio dipinto; avrei registrato sensazioni fuggitive, legate a un istante che non mi definirebbe interamente, e che a stento riconoscerei il giorno dopo». Così si esprimeva nel 1908 il trentasettenne Henri Matisse, ormai famoso per aver scosso il mondo dell’arte con i colori puri e urlanti delle sue tele. Esse, esposte a una mostra parigina nel 1905 intorno a una statua rinascimentale, strapparono a un critico l’esclamazione: «È Donatello in mezzo alle belve (fauves, in francese, come vennero in seguito definiti gli artisti che aderirono a questa poetica)».
Ai primi passi di un lungo cammino, che si concluderà quarantaquattro anni dopo quel lontano 1908, quando la morte lo sorprenderà ancora al lavoro, Matisse osserva le cose, gli oggetti, le persone, la realtà tutta, indagandola fino a raggiungere «un accordo vivente di colori, un’armonia analoga a quella di una composizione musicale». E le sue tele sprigionano in effetti questo magico accordo, assiduamente ricercato in una assoluta fiducia nella positività del reale, quasi un miracolo se si tiene conto che la storia di Henri, unico artista al mondo ad avere dipinto un quadro intitolato La joie de vivre, la gioia di vivere, si dipana attraverso due guerre mondiali.
Il percorso pittorico di Matisse è costellato di “finestre”, aperte su Tangeri, su Nizza, su Parigi. Gli interni danno quasi sempre su una finestra e persino le donne, tanto amate dall’artista, sono spesso raffigurate nei pressi di un davanzale, come se il pittore non potesse fare a meno di uno squarcio su quanto sta oltre quel che in quel momento colpisce l’attenzione, un dato indispensabile all’equilibrio e all’armonia di quel che appare: «Devo dipingere un corpo di donna: per prima cosa dovrà avere grazia, fascino; ma il problema è dargli qualcosa di più. Cerco allora di condensare il significato di questo corpo indagandone le linee essenziali. Il fascino sarà meno apparente al primo sguardo, e dovrà invece scaturire alla lunga dalla nuova immagine che avrò ottenuto, e che avrà un significato più ampio, più pienamente umano. Il fascino sarà meno rilevante, non essendo l’unica caratteristica, ma continuerà a esistere ugualmente, racchiuso nel concetto generale della mia figura (…). Ciò che mi interessa di più non è la natura morta né il paesaggio, è la figura umana. Solo questa mi consente di esprimere meglio il mio sentimento quasi religioso della vita».
di Cristina Terzaghi                                      grazie : a graciete

Postato da: giacabi a 12:58 | link | commenti (2)
bellezza, matisse

mercoledì, 02 aprile 2008
  La gratuità del Creato
                          ***

Esistere è esser lì, semplicemente; gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare, ma non li si può mai dedurre. C’è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Orbene, non c’è alcun essere necessario che può spiegare l’esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza, un’apparenza che si può dissipare; è l’assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare… ecco la Nausea
Jean-Paul Sartre Da La nausea

Postato da: giacabi a 19:40 | link | commenti
bellezza, sartre

sabato, 29 marzo 2008


“L’essenziale è invisibile agli occhi
                          ***             Saint Exupery
Le cose più belle al mondo non possono essere viste o toccate: vanno sentite dentro al cuore.
Helen Keller divenuta cieca e sorda 19 mesi dopo la nascita




§   

Postato da: giacabi a 07:53 | link | commenti
bellezza, keller

giovedì, 20 marzo 2008
Una tenebra caduta...   
***

La bellezza non è che
il disvelamento di una tenebra
caduta e della luce
che ne è venuta fuori
.
Così è la resurrezione,
così è il miracolo di un Dio
che rimane in noi,

e ogni giorno viviamo
perché insieme alla nostra ala
si alza la tenebra del corpo
che è la casa dell’anima,
la nostra casa tenebrosa,
la nostra casa
che non è aperta a nessuno.
 Alda Merini


Postato da: giacabi a 11:33 | link | commenti
bellezza

lunedì, 17 marzo 2008
E LA BELLEZZA DOV’ E’ ?
***



C’è qualcuno – fra i partiti che si azzuffano alle elezioni per poi spartirsi la torta del potere – che metterà al primo punto del suo programma la Bellezza, la difesa della Bellezza, il diritto alla Bellezza in questa Italia che fu (e dolentemente sarebbe ancora) la patria della Bellezza? E c’è qualcuno che se ne ricorderà soprattutto a Roma che è la città della Bellezza? Sicuramente no. Eppure la Bellezza non è un lusso, è il pane dei poveri, la loro unica ricchezza. La Bellezza non è fatta di lustrini e veline, povere ombre effimere di un teatro di cannibali (il volto di Madre Teresa era bellissimo e quello di Karol Wojtyla più bello di qualunque attoruncolo hollywoodiano). La Bellezza dà senso alla vita. Ammoniva Dostoevskij nei “Demoni” (che è il suo romanzo più politico, quello dove profetizza l’orrore che l’ideologia provocherà nel Novecento): “Sappiate che l’umanità può fare a meno degli Inglesi, che può fare a meno della Germania, che niente è più facile per lei che fare a meno dei Russi, che per vivere non ha bisogno né di scienza né di pane, ma che soltanto la bellezza le è indispensabile, perché senza bellezza non ci sarà più niente da fare in questo mondo”.

Non c’è nessuno che abbia il senso tragico del momento che viviamo. Nessuno che si alzi di un centimetro sopra gli avvenimenti e ne sappia leggere la logica (suicida), il punto di approdo e di crollo. Non solo nella “classe dirigente” (si fa per dire) italiana. La tecnocrazia europea è assai peggiore. Eppure la gente lo sente, avverte che abbiamo perduto l’essenziale. Vorrei sentir dire a qualcuno le parole di Robert Kennedy: Il dramma della gioventù americana è che sa tutto eccetto una cosa. E questa cosa è l’essenziale”. Continuerà a ignorarlo e ad affossarsi, la nostra gioventù, se – per esempio – le università saranno sempre nelle mani di minoranze fanatiche che inalberano cartelli dove sta scritto: “Non vogliamo padri” (come è accaduto all’Università di Roma per impedire l’arrivo del Papa).

A volte mi viene in mente un’invettiva
dell’autore del “Piccolo principe” che dice brandelli di verità: “Odio la mia epoca con tutte le mie forze. In essa l’uomo muore di sete e non esiste al mondo un problema più grande di questo: dare agli uomini un senso spirituale, un’inquietudine spirituale. Non si può vivere di frigoriferi, di bilanci e di politica. Non si può! Non si può vivere senza poesia, senza colore, senza amore. Lavorando unicamente per acquistare dei beni materiali finiremo con il fabbricarci una vera e propria prigione”.

Un inferno. Popolato di demoni e beni di consumo. Di monnezza e di palline da golf perdute. Di vecchi abbarbicati al potere e di giovani incapaci della più piccola nobiltà d’animo. Di assatanati del sesso. Di incapaci di rispettare i deboli. Di ragazze ridotte a cose da possedere anche a costo di violentarle. Di figli ridotti a prodotti da “fabbricare” a proprio gusto o da scartare ed eliminare se “difettosi”. Di una cultura che esalta solo e sempre la brama di possesso, il potere e il denaro (e soprattutto la loro esibizione), mentre la vita reale della metà delle famiglie italiane sta sprofondando letteralmente nella povertà. E se ne approfitta per produrre parole parole parole…

Giorni fa vedevo un programma d’informazione in tv che da anni fa la stessa puntata: non parla che delle bollette e delle buste paga, della finanziaria e della rata del mutuo. Da mesi e da anni. Oltretutto un parlare del tutto vano perché la gente, sempre più impoverita, non si sente dire la verità, non si sente dire “per colpa di chi”. E ora non riesce più neanche ad acquistare le medicine per curarsi. Nessuno ha il coraggio di dire la verità e nessuno la difende.

Ma mi chiedo se la vita e il destino di un popolo sia tutto e solo lì, nelle bollette. Oltretutto questo popolo non fa più figli, perché fare figli significa essere condannati alla povertà; perciò fra venti anni il popolo italiano sarà vicino all’estinzione. Senza speranza. Dicono certi sondaggi che quello italiano è un popolo triste e senza speranza. Nel dopoguerra eravamo molto più poveri, addirittura fra le macerie, un paese in ginocchio. Ma avevamo una grande risorsa che ha fatto “il miracolo”. Qual era? Cosa abbiamo perduto? Perché nessuno sa dirlo? Beh, lo dirò io: la fede cristiana. Questo abbiamo perso. Cioè l’amore alla vita.
“L’umanità è giunta a un punto vergognoso! Non siamo liberi da noi stessi. Io parlo perché tutti capiate che la vita è semplice e che per salvarvi, salvare voi stessi e salvare i vostri figli, la vostra discendenza, il vostro futuro, dovete ritornare al punto dove vi siete persi, dove avete imboccato la via sbagliata! Bisogna tornare al punto di prima, in-quel-punto dove voi avete imboccato la strada sbagliata”.

E’ il “folle di Dio”, Domenico, nel film “Nostalghia” di Andrej Tarkovskij, che grida queste parole, poco prima di sacrificare se stesso sopra la statua del Marco Aurelio in Campidoglio. Ma in quale punto abbiamo “imboccato la via sbagliata”? A quale crocevia ci siamo smarriti? Sfogliando un libro di antiche icone russe, Alexander, il protagonista del “Sacrificio” (il successivo e ultimo film di Tarkovskij), si dice colpito da quelle splendide tavole per la “saggezza e spiritualità (…) profonda e virginale nello stesso tempo. Incredibile come una preghiera”. Ma aggiunge, con sconcerto: “tutto questo è andato perduto. Non siamo più neppure capaci di pregare”.

Due sequenze con le quali Tarkovskij ci dice che si sono perdute (o abbandonate) al tempo stesso la Bellezza e la Fede. Che poi sono la stessa cosa. Pavel Edvokimov scrive: “Ciò che è bello è la presenza di Dio fra gli uomini”. Un cataclisma si è dunque consumato agli esordi del Novecento. Preparato da qualche secolo. Si è preteso di cancellare – anche al prezzo di stragi e persecuzioni bestiali – la presenza di Dio fra gli uomini.

Così si è cancellato l’uomo. E si è cancellata anche la bellezza. Infatti non c’è più bellezza, neanche nelle chiese. Non c’è più la forma umana. E non c’è più neanche lo stupore per la realtà creata. Un filosofo straordinario come
Wittgenstein diceva: “E ora descriverò l’esperienza di meravigliarsi per l’esistenza del mondo, dicendo: è l’esperienza di vedere il mondo come un miracolo”. Non è più così. I “miracoli” sono stati aboliti innanzitutto dai teologi che si scagliano contro i santi e pretendono di legare le mani alla bontà di Dio. Ebbe modo di prevedere questa china quel grande che era Franz Kafka quando notò:Non ci sono più miracoli, ma solo istruzioni per l’uso. Ci sono solo norme, regole, vademecum, anche nella Chiesa che pure è il luogo dei miracoli, che pure sarebbe cielo e terra nuova, dove i miracoli veramente accadono. Dice Tarkovskij: “non si è più capaci di ammettere, neppure per ipotesi, il miracolo”. Perduto il significato siamo precipitati tutti – uomini, popoli e cose create - nell’assurdo e quindi anche nel brutto. L’arte si è disumanizzata e ha celebrato la distruzione del “personaggio uomo” e della realtà creata. Sono diventate “opere d’arte” gli orinatoi e la “merda d’artista”. Così “l’abolizione della bellezza è la fine dell’intelligibilità del mondo” (F. Schuon). Ma è anche la fine del mondo.

Antonio Socci
(da “Libero”, 24 febbraio 2008)

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bellezza, dostoevskij, socci, tarkovskij, saintexupery

mercoledì, 12 marzo 2008

La possibilità intravista della Bellezza

***


A una passante

Ero per strada, in mezzo al suo clamore.
Esile e alta, in lutto, maestà di dolore,
una donna è passata. Con un gesto sovrano
l'orlo della sua veste sollevò con la mano.

Era agile e fiera, le sue gambe eran quelle
d'una scultura antica. Ossesso, istupidito,
bevevo nei suoi occhi vividi di tempesta
la dolcezza che incanta e il piacere che uccide.

Un lampo... e poi il buio! - Bellezza fuggitiva
che con un solo sguardo m'hai chiamato da morte,
non ti vedrò più dunque che al di là della vita,

che altrove, là, lontano - e tardi, e forse mai?

Tu ignori dove vado, io dove sei sparita;
so che t'avrei amata, e so che tu lo sai
!
Charles Baudelaire

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baudelaire, bellezza

lunedì, 03 marzo 2008
La bellezza
***

“Ignaro di tutto ciò, e innamorato delle bellezze terrene, io allora camminavo verso l’abisso e dicevo ai miei amici: "Noi non amiamo che il bello. Cos’è il bello? e cos’è la bellezza? Cosa ci attrae e ci avvince agli oggetti del nostro amore? La convenienza e la grazia, perché se ne fossero privi non ci attirerebbero affatto". Avvertivo cioè e notavo che nei corpi altra cosa è la bellezza, per così dire, complessiva, in quanto sono un complesso, e altra la convenienza, ossia l’armonia con altri corpi, come una parte del nostro corpo si armonizza col tutto, o un calzare col piede e così via.”
 S.Agostino, da Confessioni, IV, 13, 20

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bellezza, agostino

domenica, 02 marzo 2008
La bellezza
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"Ma io dichiaro- strillò Stepan Trofimovic al massimo grado del furore- ma io dichiaro che Shakespeare e Raffaello stanno più in alto della liberazione dei contadini, più in alto dello spirito popolare, più in alto del socialismo, più in alto della giovane generazione, più in alto della chimica, quasi più in alto dell'umanità intera, giacchè sono il frutto, il vero frutto di tutta l'umanità e, forse, il frutto più alto che mai possa essere! é già stata conseguita la forma di bellezza senza il cui conseguimento forse non acconsentirei nemmeno a vivere...(....)...uomini piccini, che cosa vi occorre per capire? ma sapete voi, sapete voi che senza l'inglese l'umanità può ancora vivere, può vivere senza la Germania, può vivere anche troppo facilmente senza i russi, può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe vivere, perchè non ci sarebbe più nulla da fare al mondo? tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui! "
"Dostoevskij, da "I demoni"

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bellezza, dostoevskij

mercoledì, 13 febbraio 2008
Guardare le stelle
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Siamo tutti nella fogna, ma alcuni di noi guardano alle stelle.”
Oscar Wilde

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bellezza, wilde

 La Bellezza
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La Bellezza è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio perché non necessita di spiegazioni. Essa è uno dei grandi fatti del mondo, come la luce solare, la primavera, il riflesso nell'acqua scura di quella conchiglia d'argento che chiamiamo luna. Non può essere interrogata: regna per diritto divino
Oscar Wilde

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sabato, 02 febbraio 2008
LA BELLEZZA
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«Noi non ci accontentiamo di vedere la Bellezza, anche se il Cielo sa che gran dono sia questo. Noi vogliamo qualcos'altro, che è difficile esprimere a parole. Vogliamo sentirci uniti alla bellezza che vediamo, trapassarla, riceverla dentro di noi, immergerci in essa, diventarci parte.».

C.S. Lewis, Il peso della gloria


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bellezza, lewis

domenica, 06 gennaio 2008
La bellezza
apre l’animo al mistero
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«Il titolo dell’incontro di quest’anno – “Il sentimento delle cose, la contemplazione della bellezza” – presenta una tematica molto interessante. Cristo ha detto: “Io sono la verità” (cfr. Gv 14,6) e chi lo ha incontrato sulle strade della Palestina ha visto in Lui anche “il più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 44,3). La singolare coincidenza tra verità e bellezza, che si realizza nel Verbo fatto uomo, si ripropone spesso nelle rappresentazioni dell’arte cristiana suscitando, anche nella nostra epoca, il desiderio di poterla ritrovare nelle odierne composizioni. In effetti, in questo nostro tempo, il pensiero tende spesso a sostenere che la verità sarebbe estranea, come tale, al mondo dell’arte. La bellezza, poi, riguarderebbe soltanto il sentimento e rappresenterebbe una dolce evasione dalle ferree leggi che governano il mondo. Ma è proprio così?
La natura, le cose, le persone, a ben vedere, sono capaci di stupirci per la loro bellezza. Come non vedere, ad esempio, in un tramonto di montagna, nell’immensità del mare, nei lineamenti di un volto qualcosa che ci attrae e, nello stesso tempo, ci invita ad approfondire la conoscenza della realtà che ci circonda? Tale constatazione spinse il pensiero greco a sostenere che la filosofia nasce dalla meraviglia, mai disgiunta dal fascino della bellezza. Anche ciò che esula dal mondo sensibile possiede una sua intima bellezza, che colpisce lo spirito e lo apre all’ammirazione. Si pensi alla potenza d’attrazione spirituale esercitata da un atto di giustizia, da un gesto di perdono, dal sacrificio per un grande ideale vissuto con letizia e generosità.
Nel bello traspare il vero, che attrae a sé attraverso il fascino inconfondibile che emana dai grandi valori. Sentimento e ragione si trovano così ad essere radicalmente uniti da un appello rivolto alla persona tutta intera. La realtà, con la sua bellezza, fa sperimentare l’inizio del compimento e quasi ci sussurra: “Tu non sarai infelice; la domanda del tuo cuore si realizzerà, anzi già si realizza”.
Talora la bellezza può sedurre e corrompere, ma questa degenerazione, come ricorda il Vangelo, rappresenta un amaro frutto d’una scelta non buona che nasce nel cuore della persona, perché “non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo” (Mc 7,15). In questo caso, lo sguardo dell’uomo si ferma a ciò che appare e, negando il richiamo ad andare oltre, richiamo presente in ogni cosa bella, ne nega il valore di segno e ne pretende il possesso cancellando così nel tempo ogni traccia di bellezza.
A questa amara esperienza si riferisce sant’Agostino  nelle Confessioni quando riconosce: “Mi gettavo sulle cose belle che hai creato. Mi tenevano lontano da Te le tue creature, che non esisterebbero se non fossero in Te” (X, 27, 38). Il Vescovo di Ippona ricorda,  però, che fu proprio la bellezza a liberarlo da questa angustia: “Mi hai chiamato, hai gridato, e hai vinto la mia sordità. Hai mandato bagliori, hai brillato, e hai dissipato la mia cecità. Hai diffuso la tua fragranza, io l’ho respirata, e ora anelo a te” (ivi).
Il fulgore della bellezza contemplata apre l’animo al mistero di Dio. Già il Libro della Sapienza rimproverava coloro che “dai beni visibili non hanno saputo riconoscere Colui che è” (13, 1), giacché dall’ammirazione della loro bellezza avrebbero dovuto risalire  all’Autore (cfr. 1,3,  3). Infatti “dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’Autore” (13, 5). La bellezza possiede una sua forza pedagogica nell’introdurre efficacemente alla conoscenza della verità. In definitiva, essa conduce a Cristo che è la Verità. Quando infatti l’amore e la ricerca della bellezza scaturiscono da uno sguardo di fede, si riesce a penetrare più a fondo le cose e a entrare in contatto con Colui che è la fonte d’ogni cosa bella.
L’arte cristiana, nelle sue migliori espressioni, costituisce una splendida conferma di questa intuizione, presentandosi come un omaggio della bellezza trasfigurata, resa eterna dallo sguardo della fede.»
MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II
AL XXIII MEETING PER L’AMICIZIA FRA I POPOLI


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bellezza, giovanni paoloii

venerdì, 21 dicembre 2007
Confessione sull’arte moderna
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Il popolo non chiede più all’arte né consolazione né entusiasmi. I più raffinati, gli agiati, i fannulloni, i distillatori della quintessenza, cercano il nuovo, la cosa non comune, l’originale, lo scandaloso. Io, dai tempi del cubismo e dopo di esso, accontentavo questi signori e questi critici con le innumerevoli stranezze che mi brulicavano nella mente, ed essi quanto meno li comprendevano tanto più li ammiravano. Tanto mi divertivano tutti questi giochi con tutte le loro sciocchezze, i rebus, gli arabeschi che divenni noto in breve tempo. Per un pittore la notorietà significa vendita, guadagno, successo, ricchezza. Oggi, come vedete, io sono diventato noto a tutti e molto ricco: ma quando mi trovo solo con me stesso non ho il coraggio di considerarmi pittore nell’antico senso di questa parola. Grandi pittori sono stati Giotto, Tiziano, Rembrandt, Goya. Io sono stato soltanto un burlone pubblico che ha sentito il proprio tempo. Allora se gli artisti sono insoddisfatti di quelle correnti che seguono forse solo per interesse, perché i critici le esaltano? Forse troppi oggi si dilettano con l’arte e tanti riescono abbastanza bene (specie in pittura): così i critici lodano le stramberie perché pochi ad esse si dedicano e, quindi, vi è più possibilità di guadagno?
di Pablo Picasso

Postato da: giacabi a 08:30 | link | commenti
bellezza

mercoledì, 19 dicembre 2007
Il bello
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“Tutti gli scrittori, non soltanto i nostri, ma anche tutti quelli europei che hanno pensato di raffigurare un uomo positivamente bello, si sono sempre dati per vinti. Perché si tratta di un compito sconfinato. Il bello è l’ideale, e l’ideale, sia quello nostro, sia quello della civilizzata Europa, è ancora lungi dall’essere elaborato. Al mondo c’è una sola persona positivamente bella:
Cristo, sì che l’apparizione di questa persona sconfinatamente, infinitamente bella è, naturalmente, già un miracolo infinito... Tra le persone belle della letteratura cristiana la più compiuta è Don Chisciotte. Ma egli è bello unicamente perché nello stesso tempo è ridicolo
 da F. M. Dostoevskij
Lettera del 1/13 gennaio 1868 alla nipote Sonja  


Postato da: giacabi a 15:10 | link | commenti
bellezza, dostoevskij

giovedì, 13 dicembre 2007
Il mondo segno di Dio
***
 Giovani che frequentate l’Università,
studenti di fisica, di chimica o di qualunque
altra materia, non date retta a quei
delinquenti dello spirito, a quegli omicidi
dell’anima che distruggono nei vostri cuori
la realtà della fede e vengono a dirvi che la
scienza ha dimostrato che Dio non c’è.
Ma come ti vediamo, o Signore, palpitare
nella luce delle stelle noi che raccogliamo
nei nostri telescopi, nei nostri radioscopi, le
vibrazioni delle galassie lontane milioni e
miliardi di anni-luce e troviamo che le leggi
degli atomi, dei protoni, dei neutroni che
sono lassù risultano identiche alle leggi
degli atomi, dei protoni, dei neutroni di
questo microfono, che compongono queste
mie mani, che fanno di quel tappeto
un’opera d’arte o di questo arco un monumento. Noi che vediamo
tutto questo ne dobbiamo concludere:
se voi protoni, se voi neutroni
siete uguali, c’è un’unica Mano che uguali
 vi ha fatto perché gli uni
e gli altri non vi conoscete
 Enrico Medi, conferenza tenuta nella
chiesa di S. Domenico in Prato, 11 febbraio 1972.

Postato da: giacabi a 16:45 | link | commenti
bellezza, scienza - articoli

martedì, 11 dicembre 2007
La bellezza segno di Dio
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"Interroga la bellezza della terra, del mare, dell'aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo... interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un inno di lode. Ora, queste creature, così belle ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è bello in modo immutabile?"
S. Agostino (Sermo 241)

Postato da: giacabi a 16:46 | link | commenti
bellezza, agostino

domenica, 02 dicembre 2007
L’uomo creatura di Dio
***
 :
« L'uomo è un grande mistero, i suoi
milioni di neuroni cerebrali costituiscono un tipo di macchina che uno spirito potrebbe far funzionare, anche se uno spirito è l'agente che fino ad ora è sfuggito alle ricerche degli strumenti più raffinati. Io credo che il nostro io sia una creazione soprannaturale, sia cioè quello che la religione definisce "anima". Attraverso i miei studi ho capito l'unicità di ciascun individuo in quanto creazione di Dio»."

Sir John Eccles Premio Nobel per la Medicina 1963,:

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