l'Angelus è la politica di Dio
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Dio fa politica.
La sua Costituzione si chiama Angelus
L’orazione che oggi pronuncia Ratzinger sintetizza la rivoluzione cristiana: a vincere sono i crocifissi…
di ANTONIO SOCCI
LIBERO 20 gennaio 2008
www.antoniosocci.it |
Postato da: giacabi a 23:03 |
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maria, benedettoxvi, socci
Parole del Papa dopo l'Angelus di oggi
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Desidero
anzitutto salutare i giovani universitari, i professori e voi tutti che
siete venuti oggi così numerosi in Piazza San Pietro per partecipare
alla preghiera dell'Angelus
e per esprimermi la vostra solidarietà; un pensiero di saluto va anche
ai molti altri che si uniscono a noi spiritualmente. Vi ringrazio di
cuore, cari amici; ringrazio il Cardinale Vicario che si è fatto
promotore di questo momento di incontro. Come sapete, avevo accolto
molto volentieri il cortese invito che mi era stato rivolto ad
intervenire giovedì scorso all'inaugurazione dell'anno accademico della
"Sapienza – Università di Roma". Conosco bene questo Ateneo, lo stimo e
sono affezionato agli studenti che lo frequentano: ogni anno in più
occasioni molti di essi vengono ad incontrarmi in Vaticano, insieme ai
colleghi delle altre Università. Purtroppo, com'è noto, il clima che si
era creato ha reso inopportuna la mia presenza alla cerimonia. Ho
soprasseduto mio malgrado, ma ho voluto comunque inviare il testo da me
preparato per l'occasione. All'ambiente
universitario, che per lunghi anni è stato il mio mondo, mi legano
l'amore per la ricerca della verità, per il confronto, per il dialogo
franco e rispettoso delle reciproche posizioni. Tutto ciò è anche
missione della Chiesa, impegnata a seguire fedelmente Gesù, Maestro di
vita, di verità e di amore. Come professore, per così dire, emerito che ha incontrato tanti studenti nella sua vita, vi
incoraggio tutti, cari universitari, ad essere sempre rispettosi delle
opinioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la
verità e il bene. A tutti e a ciascuno rinnovo l'espressione della mia gratitudine, assicurando il mio affetto e la mia preghiera.
Saluto
ora i responsabili, dirigenti, docenti, genitori e alunni delle scuole
cattoliche, convenuti in occasione della Giornata della scuola
cattolica, che la Diocesi di Roma celebra quest'oggi. Nell'educazione
alla fede dei ragazzi e dei giovani, un compito importante è affidato
anche alla scuola cattolica:
vi incoraggio, pertanto, a continuare nel vostro lavoro che pone al
centro il Vangelo, con un progetto educativo che punta alla formazione
integrale della persona umana. Nonostante le difficoltà che incontrate,
proseguite dunque con coraggio e fiducia in questa vostra missione,
coltivando una costante passione educativa e un generoso impegno a
servizio delle nuove generazioni.
da:anna vercors
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Postato da: giacabi a 22:25 |
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benedettoxvi
Da scienziato dico: ascoltiamo Benedetto XVI
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Oggi
il Pontefice è il massimo custode della grande alleanza tra fede e
scienza. Il Santo Padre ha posto la ragione al centro della cultura.
Galileo considerava la natura e la Bibbia due libri scritti dallo stesso
Autore. E chiamava "impronte del Creatore" le prime leggi fondamentali
da lui scoperte
Il Santo Padre ha posto la Ragione al centro dell'attenzione nella cultura del nostro tempo. Siamo infatti l'unica forma di materia vivente cui è stato dato il privilegio di essere dotata di Ragione. È grazie
al dono della Ragione che la forma di materia vivente cui noi
apparteniamo ha potuto scoprire il Linguaggio, la Logica e la Scienza. Esistono
centinaia di migliaia di forme di materia vivente, vegetale ed animale.
Nessuna di esse ha però saputo scoprire la Memoria Collettiva
Permanente - meglio nota come linguaggio scritto - né le forme rigorose
di Logica com'è ad esempio la Matematica, né la Scienza che, tra tutte
le logiche possibili, è quella che ha scelto il Creatore per fare
l'Universo, inclusi noi stessi. Senza Ragione non avremmo potuto
scoprire la Scienza. Questa straordinaria avventura intellettuale
inizia, appena 400 anni fa, con Galileo Galilei che chiamava «Impronte
del Creatore» le prime Leggi Fondamentali della Natura da lui scoperte.
Queste Impronte potevano anche non esistere. E invece Galilei era
convinto che dovevano essere presenti addirittura nella materia
«volgare». Per atto di Fede nel Creatore, Galilei iniziò a cercare
quelle Impronte studiando le pietre, da tutti considerate esempi di
materia che non avrebbe potuto essere depositaria di verità
fondamentali. Ecco il significato del «volgare». Basti un esempio: per
l'antica cultura cinese le verità fondamentali erano depositate nelle
stelle. E così per tante altre culture. Galilei pensava invece che,
essendo ogni cosa opera dello stesso Creatore, le impronte dovevano
essere dappertutto: nelle stelle e nelle pietre.Benedetto XVI il 6 aprile 2006, rispondendo a una domanda di un giovane che partecipava in piazza San Pietro a un incontro in preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù, rispose dicendo che il grande Galileo Galilei considerava la Natura e la Bibbia due libri scritti dallo stesso autore. Il libro della Natura in lingua matematica in quanto per costruire l'Universo è necessario il rigore della matematica; la Bibbia, essendo la parola di Dio, doveva essere scritta in linguaggio semplice, accessibile a tutti, come debbono essere i valori della nostra esistenza che è simbiosi di sfera immanentistica e di sfera trascendentale. La Scienza, ha ricordato Benedetto XVI, nasce da quell'atto galileiano di umiltà intellettuale: Colui che ha fatto il mondo è più intelligente di tutti noi, filosofi, poeti, artisti, matematici, nessuno escluso. Se vogliamo conoscere quale logica abbia scelto il Creatore per fare il mondo c'è una sola strada: porgli domande in modo rigoroso. È questo il significato di «esperimento di stampo galileiano». Nasce così la Scienza Galileiana che esige rigore e riproducibilità. Se nel 1965 avessi potuto con carta e penna, usando solo il rigore della matematica, dimostrare l'esistenza dell'antimateria nucleare, non avrei avuto bisogno di fare un esperimento estremamente difficile e che esigeva l'invenzione di uno speciale circuito elettronico per misurare i tempi di volo delle particelle subnucleari con precisioni mai prima realizzate: frazioni di miliardesimi di secondo. Per fare una scoperta scientifica è necessario arrendersi alla superiorità intellettuale del Creatore di tutte le cose visibili e invisibili, realizzando un esperimento. Ho citato l'esempio dell'antimateria nucleare. Potrei citare altri esempi. Ciascuna scoperta è sempre venuta dopo un esperimento che ha richiesto almeno un'invenzione tecnologica, come ad esempio quella del più potente rivelatore di neutroni per scoprire una formidabile proprietà dell'Universo subnucleare: l'enorme divario esistente tra le miscele mesoniche vettoriali e quelle pseudoscalari. Se bastasse il rigore logico-matematico per capire com'è fatto l'Universo Subnucleare, non avremmo bisogno di costruire strutture complesse e gigantesche com'è la nuova macchina che entrerà in funzione entro la fine di quest'anno al Cern di Ginevra: una pista magnetica lunga 27 km con enormi quantità di rivelatori mai prima da nessuno realizzati per riuscire ad avere una risposta alla domanda: com'era l'Universo un decimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang? Se non fosse per l'atto di umiltà intellettuale del padre della Scienza moderna, saremmo rimasti fermi, chissà per quanti secoli ancora, a ciò che pensavano i nostri antenati: basta essere intelligenti per capire com'è fatto il mondo. Nel corso di diecimila anni, dall'alba della civiltà al Sedicesimo secolo, tutte le culture si erano illuse di sapere decifrare il Libro della Natura senza mai porre una sola domanda al suo Autore. Ecco perché a nessuna cultura era toccato il privilegio di scoprire una Legge Fondamentale della Natura. Se oggi la Scienza è arrivata alla soglia del Supermondo, lo dobbiamo a quell'atto di Fede e di umiltà intellettuale, maturato nel cuore della cultura Cattolica con Galileo Galilei, che Giovanni Paolo II, il 30 marzo 1979, in Vaticano, presenti i rappresentanti dei fisici di tutta Europa, definì figlio legittimo e prediletto della Chiesa Cattolica. Giovanni Paolo II riportò a casa i tesori della Scienza Galileiana e Benedetto XVI di questo tesori è oggi il massimo custode nella continuità culturale del suo Apostolato con quello di Giovanni Paolo II che, spalancando le porte della Chiesa Cattolica alla Scienza Galileiana, dette vita alla grande alleanza tra Fede e Scienza. Di questa Alleanza è prova la frase «Scienza e Fede sono entrambe doni di Dio», incisa su ferro ed esposta agli scienziati di tutto il mondo al Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana a Erice. La cultura del nostro tempo è detta moderna, ma in effetti è pre-aristotelica. Infatti né la Logica Rigorosa né la Scienza sono ancora entrate nel cuore di questa cultura che - come ha scritto Benedetto XVI nel suo discorso alla Sapienza - «costringe la Ragione ad essere sorda al grande messaggio che viene dalla Fede Cristiana e dalla sua sapienza. Così facendo questa cultura agisce in modo da non permettere più alle radici della Ragione di raggiungere le sorgenti che ne alimentano la linfa vitale». Nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma c'è un'altra famosa frase di Giovanni Paolo II: «La Scienza ha radici nell'Immanente ma porta l'uomo verso il Trascendente». È la sintesi più bella di ciò che dice Benedetto XVI. Negare a Benedetto XVI il diritto di portare ai giovani il messaggio della grande alleanza tra Fede e Scienza è atto di oscurantismo, non di laicità. |
Postato da: giacabi a 21:26 |
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benedettoxvi, zicchichi
Domani in piazza per il Papa.
Ecco dieci motivi per andarci tutti
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Posted by nanto on Sabato, 19 gennaio 2008 alle ore 17:01
di RENATO FARINA
Ecco
dieci motivi per essere domani all'Angelus del Papa in piazza San
Pietro. Si avverte che alcune ragioni possono essere molto personali,
altre funzionano per atei, alcune persino per gaudenti. Talune molto
nobili, tal'altre meno. Ciascuno trovi la sua: e ci si vede lì, meglio
prima delle undici per sistemarsi vicini, con Feltri.
1) Riparazione di un torto.
Mettendo
Benedetto XVI nelle condizioni di non potersi esprimere gli si è negato
un diritto dell'uomo, stante che il Papa è un uomo e non un pastore
tedesco. L'offesa ha precisi autori diretti (chi lo ha accusato di aver
ri-condannato Galileo) e indiretti (le autorità politiche del nostro
Stato che non hanno tutelato il Pontefice). Ci piacciano oppure no,
costoro sono parte eminente e/o deficiente della nostra comunità
nazionale. Occorre un atto di pubblica ammenda. Invitiamo a mescolarsi
tra noi anche il presidente Giorgio Napolitano: in certi casi non è il
caso prevalga la diplomazia e i suoi aperitivi, ma il sentimento
popolare cui un capo dello Stato deve fornire sostegno semplice e forte.
2) Affetto e riconoscenza.
Come
si fa a non voler bene a questo Papa? In tempi di invasione islamica e
di paure d'ogni genere ripropone con la sua persona e il suo
insegnamento il cristianesimo nella semplicità della tradizione.
3) Identità dell'Occidente.
Come ci
ha insegnato Oriana Fallaci la nostra civiltà, fondata sulla libertà
dell'individuo ed insieme sulla responsabilità verso la libertà e il
benessere del prossimo, è figlia del cristianesimo; in Italia, in
particolare del cattolicesimo. Anche chi si professa ateo o agnostico è
impastato dei valori e dei sentimenti che arrivano da una storia
millenaria segnata dal crocefisso.
4) La ragione contro il rimbambimento.
Il
nostro amico Marco Pannella ha snocciolato delle cifre per dieci minuti
a Porta a Porta. Tesi: il Papa è sempre in televisione, se da qualche
parte non lo fanno parlare amen, che sarà mai. È come quelli che non
facevano entrare gli ebrei o i negri nel loro bar: e allora per ore e
ore elencavano i locali, le strade, i parchi per ebrei e negri, i tram
dove potevano avere accesso, molti di più di quelli riservati agli
ariani. Una logica da scienziato pazzo. Per i liberali di solito la
libertà è indivisibile. Censurare una pagina di un libro di mille pagine
resta censura: quella era la mia pagina, amico, lì dentro ci sono io,
tutto io; se mi amputi un braccio non ti ringrazio perché poi mi restano
tre arti e forse potevi tagliarmi la testa. La Stampa di Torino ieri
invece si è messa sulla stessa lunghezza d'onda: Ratzinger si vede più
in televisione di Napolitano e di Pannella! Mamma mia.
5) Ripicca.
Non
è un gran sentimento, ma dà le sue soddisfazioni. Secondo i padroni
sempiterni delle piazze, andare al colonnato del Bernini in San Pietro
significherebbe rialzare gli "storici steccati" tra cattolici e laici.
Vorrebbe dire mescolare religione e politica, cercando la prova di forza
contro i non credenti. Che panza- ne. Qui la prova di forza, anzi di
mitezza, è per distinguersi dalla teppa più o meno accademica. Chi ha
fatto scempio della libertà di espressione non era "laico", ma
apparteneva alla famiglia dei cretini. Poco male se uno è cretino per
conto suo, ma quando fa valere questa sua qualità per imbavagliare la
gente, si eleva a cretino intollerante. E - anche se poco caritatevole -
uno storico steccato per impedire agli asini violenti di scalciare gli
altri è legittima difesa della democrazia.
6) Orgoglio ateo.
Feltri
si è dimesso per un giorno da ateo. Altri come lui, recandosi sotto la
finestra del Palazzo Apostolico, impediranno le velleità di chi vorrà
pesare la gente convenuta come massa per un "partito cattolico". Non
c'entra, guai a chi farà questa conta un po' simoniaca. Si può stimare e
manifestare affetto al Papa anche senza trasformarsi in gente pia. Non è
una manifestazione di cattolici, ma semplicemente cattolica, che vuol
dire universale. 7) Unità. Chi ha già esperienza di incontri intorno a
un Papa lo potrà testimoniare. Si crea un clima intorno a quel puntolino
bianco dove non esiste la tensione nevrastenica della folla senza
volto, capace di ogni ribalderia. Ma ciascuno è misteriosamente se
stesso eppure unito. Non ci si raduna per fare volume e ribaltare questo
o quel governo o regime. Semplicemente
ci si porta dietro il fardello di desideri e speranze, di dolori e
angosce: è inevitabile, non si sa perché, ma accade così a tutti. Più
modestamente: è uno dei pochi posti dove si può portare la famiglia
senza paura di petardi o cazzotti, senza necessità di sorbirsi slogan da
galera.
8) Godurie.
Roma
vale sempre un viaggio, specie la domenica mattina ha uno speciale
incanto. Andare dal Papa e all'Angelus non implica particolari digiuni.
Ci si può caricare di energia forse mistica, certo foriera di buon
umore, con un cappuccino e un paio di maritozzi alla panna. Questo
prima. Poscia ci sono trattorie mica male. Se volete rovinare il pranzo a
Giuliano Ferrara andate a salutarlo alla "Campana", nel vicolo omonimo.
Cossiga invece va al buffet dell'Hotel de Russie, vicino a piazza del
Popolo.
9) Joseph Ratzinger.
Lui,
le parole che dice, il modo come spiega il Vangelo, con la chiarezza
del parroco di montagna e la finezza di un cherubino, valgono il
viaggio, ritemprano la mente stanca e il cuore desolato di credenti
peccatori e di atei incorruttibili.
10) L'Angelus in sé.
È
una preghiera bellissima. È l'essenza del cristianesimo: ricorda cioè
tempo, luogo e contemporaneità di Gesù che si incarna nel ventre della
Madonna. Prima ci sono le campane, il loro concerto che rallegra. Poi la
benedizione. E magari ci sarà pure qualche miracolo. E non è affatto
irrazionale sperarlo: in fondo la suprema categoria della ragione è la
possibilità. A Roma, a Roma.
© Copyright Libero, 19 gennaio 2008
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Postato da: giacabi a 17:34 |
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benedettoxvi
Alla Sorbona si insegna il pensiero di Ratzinger
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da: www.avvenire.it 19-01-2007
Nella laicissima università parigina un corso tenuto da un non credente
DI LORENZO FAZZINI I l Papa non può andare all’università La Sapienza di Roma, ma il suo pensiero viene insegnato e studiato nella laicissima Sorbona di Parigi. Paradossi della cultura contemporanea: Benedetto XVI è 'ostracizzato' dall’ateneo fondato da un pontefice per colpa di un manipolo di docenti e di studenti 'liberi pensatori'. Mentre nella patria del Sessantotto, all’interno della facoltà di filosofia di Parigi, un giovane professore di filosofia medievale, non credente, dedica un semestre di insegnamento istituzionale al Pensiero filosofico di Benedetto XVI. «Questo Papa è contemporaneamente rivoluzionario e molto conservatore. Porta avanti un’interpretazione estremamente audace, e pure simbolica, dell’anima, definendola ciò che della nostra esistenza potrà sempre essere mantenuto». Classe 1971, studi di Scienze politiche e Storia a Bruxelles, Cambridge e Parigi, Jacob Schmutz è maître de conférences all’università Paris IV della Sorbona: il suo titolo corrisponde a quello che nell’ordinamento italiano è il ricercatore universitario, altrimenti detto 'assistente'. Giusto lo scorso anno ha intrattenuto i suoi studenti affrontando il pensiero di Joseph Ratzinger in quanto filosofo: Schmutz si è concentrato sulla produzione intellettuale dell’allora docente di Münster, Tubinga e Regensburg, affrontando le opere ratzingeriane degli anni Sessanta e Settanta. Ma come è successo che questo intellettuale laico – traduttore di Eric Voegelin, braccio destro del filosofo Ruedi Imbach, considerato tra i maggiori interpreti di Tommaso d’Aquino – si sia focalizzato su Ratzinger? «Ci sono arrivato tramite San Bonaventura e Sant’Agostino, visto che sono un medievalista», afferma. Nel 2006 – ha raccontato Schmutz al quotidiano francese La Croix –, al termine del suo corso su Filosofia e religione nel Medio Evo, ha tenuto una lezione su Giovanni Paolo II e Benedetto XVI lettori dei teologi del Medio Evo. Di fronte all’entusiasmo degli studenti, ecco la decisione di dedicare un intero semestre – tra febbraio e giugno 2007 – alla filosofia del pontefice tedesco, sia in prospettiva ecclesiale sia guardando all’interpretazione della religione cattolica come fenomeno di civilizzazione portata avanti dall’autore di Introduzione al cristianesimo. Schmutz, che fa parte del Centro Pierre Abélard della Sorbona, è anche animatore del sito Internet 'Scholasticon', dedicato alla filosofia scolastica: paradosso vuole che tale sito sia stato in passato ospitato dal portale della Université libre di Bruxelles, considerata uno dei 'santuari' dell’anticlericalismo europeo. Schmutz non nasconde la sua irritazione per quella che definisce «l’ignoranza dei media» e la solita vulgata anti-Ratzinger: «Ogni volta che si parla di lui è per tirare fuori i soliti luoghi comuni sull’intellettuale freddo e sull’opposizione tra fede e ragione. Ma non sono per niente queste le sue credenziali». Anzi, per il professore della Sorbona, «Ratzinger è un vero filosofo. Perciò conquista gli studenti, anche gli atei». L’interesse accademico di Schmutz non ha niente di accomodante, dato che il docente pone un’obiezione: «Io giudico affascinante e 'pericoloso' il pensiero di Ratzinger. La sua convinzione è che la sola maniera di essere razionale è essere cristiani». Ma ciononostante a lui ha dedicato studio e passione, senza ostracismi, con rigore intellettuale. Rispettando l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede che, nel 1999, tenne proprio alla Sorbona una conferenza dal titolo «Verità del cristianesimo?». In essa Ratzinger argomentava: «Nel cristianesimo, la razionalità divenne religione e non più sua avversaria». |
Postato da: giacabi a 12:28 |
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benedettoxvi
Il Papa, la ragione etica e la Verità
*Da: www.Fattisentire.net
::.Il
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Il
messaggio cristiano dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la
verità e così una forza contro la pressione del potere e degli
interessi.
«Se
la ragione diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede
cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici
non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per
la verità e così non diventa più grande, ma più piccola».
Leggi il testo intergale dell’Allocuzione del Santo Padre per l’incontro con l’Università degli studi di Roma "La Sapienza"
Magnifico Rettore, Autorità politiche e civili, Illustri docenti e personale tecnico amministrativo, cari giovani studenti! È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell’anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l’istituzione era alle dirette dipendenze dell’Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo. Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l’impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l’Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell’accoglienza e dell’organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio". Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l’invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa può e deve dire un Papa in un’occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell’università "Sapienza", l’antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la "Sapienza" era un tempo l’università del Papa, ma oggi è un’università laica con quell’autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un’istituzione del genere. Ritorno alla mia domanda di partenza: Che cosa può e deve dire il Papa nell’incontro con l’università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: Qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: Qual è la natura e la missione dell’università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all’Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell’intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"–episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all’insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell’insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l’interno della comunità credente. Il Vescovo – il Pastore – è l’uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù – e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura – grande o piccola che sia – vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull’insieme dell’umanità. Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa – le sue crisi e i suoi rinnovamenti – agiscano sull’insieme dell’umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità. Qui, però, emerge subito l’obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale: Che cosa è la ragione? Come può un’affermazione – soprattutto una norma morale – dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee. Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica. Ma ora ci si deve chiedere: E che cosa è l’università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio – per menzionare soltanto un testo – alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b – c). In questa domanda apparentemente poco devota – che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino – i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore. Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l’università. È necessario fare un ulteriore passo. L’uomo vuole conoscere – vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa. Nella teologia medievale c’è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire – una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l’università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell’universitas significava chiaramente che era collocata nell’ambito della razionalità, che l’arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all’ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio. Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista. Ma qui emerge subito la domanda: Come s’individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo? A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo. È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica. I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono – lo sappiamo – prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico. Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: Che cos’è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: Che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d’interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza. Torniamo così alla struttura dell’università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c’erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull’essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda – in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta. Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d’Aquino – di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico – di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga in base alle sue forze. Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell’università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull’avvincente confronto che ne derivò. Io direi che l’idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino. Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi. Ebbene, finora ho solo parlato dell’università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell’università e del suo compito. Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell’università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma. Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro. Dal Vaticano, 17 gennaio 2008 BENEDICTUS XVI Sala Stampa vaticana 16.01.2008 |
Postato da: giacabi a 15:36 |
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fede, ragione, benedettoxvi
Il Papa in aula Nervi,
solidarietà dagli studenti universitari
di Comunione e Liberazione della Sapienza
da: Repubblica.it
LIBERTA', LIBERTA', LIBERTA' ...
(ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 16 GENNAIO 2008
All'ingresso di Benedetto XVI nella Sala Nervi per l'udienza generale, un gruppo di una trentina di studenti di CL ha innalzato uno striscione con la scritta "Comunione e Liberazione-Universitari La Sapienza" e ha gridato più volte "Libertà, libertà". Un lungo applauso degli oltre cinquemila fedeli ha accolto l'arrivo del Papa, che è apparso sorridente ma piuttosto teso in volto e ha ricambiato con ampi gesti di saluto.
All'ingresso di Benedetto XVI nella Sala Nervi per l'udienza generale, un gruppo di una trentina di studenti di CL ha innalzato uno striscione con la scritta "Comunione e Liberazione-Universitari La Sapienza" e ha gridato più volte "Libertà, libertà". Un lungo applauso degli oltre cinquemila fedeli ha accolto l'arrivo del Papa, che è apparso sorridente ma piuttosto teso in volto e ha ricambiato con ampi gesti di saluto.
Guarda le foto su : La Repubblica.it
postato da: fontanavivace
Postato da: giacabi a 20:23 |
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benedettoxvi
Ma a processare Galileo è stato un anarchico ateo
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PER ATTACCARE IL PAPA
I BARONI ROSSI RINNEGANO MARX
Pur di scagliarsi contro di lui, i critici del Pontefice gli rinfacciano le frasi dei loro maestri comunisti...
di ANTONIO SOCCI
Un gruppo di professori dell'Università di Roma, in nome della "tolleranza", vuole che il Papa non parli nell'ateneo romano (l'intervento era stato richiesto dalle autorità accademiche). Strana idea di tolleranza. Il Pontefice sarebbe una figura che non ha niente a che fare con l'università? A parte il fatto che a fondare l'università romana è stato proprio il papa. Praticamente è casa sua. Si legge infatti nello stesso sito internet dell'ateneo: «L'atto di nascita della Università di Roma reca la data del 20 aprile 1303; in questo giorno venne infatti promulgata da Papa Bonifacio VIII Caetani la Bolla In Supremae praeminentia Dignitatis, con la quale veniva proclamata la fondazione in Roma dello "Studium Urbis"». Cosa ovvia, essendo la Chiesa all'origine di gran parte delle nostre istituzioni culturali. A parte poi il fatto che Joseph Ratzinger è appunto un docente universitario, anzi un luminare, uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo, ed è casomai lui che fa onore all'Università di Roma intervenendo, e non l'Università che fa un favore al Papa. A parte il fatto, infine, che i laici ogni tre secondi citano Voltaire («non condivido ciò che dici, ma mi batterò fino alla fine perché tu possa dirlo») e poi lo contraddicono nella pratica. Ma l'aspetto più paradossale è un altro. Perché quello che viene imputato al Papa è di aver citato - in un discorso tenuto quando era cardinale - un intellettuale laico-agnostico, un antidogmatico, un libertario, uno che insegnava a Berkeley dove cominciò la contestazione e che - da anarchico - applaudì alla rivolta, insomma uno dei loro, il celebre epistemologo Paul Feyerabend. Ecco la sua frase citata dall'allora cardinale Ratzinger: «All'epoca di Galileo, la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina di Galilei. Il suo processo contro Galilei era razionale e giusto, mentre la sua attuale revisione si può giustificare solo con motivi di opportunità politica». IL PARADOSSO In effetti la vicenda Galilei fu molto più complessa di quanto racconti la storia a fumetti che vede un Sant'Uffizio tenebroso che opprime l'illuminato scienziato. E il cardinale Bellarmino, peraltro grande uomo di cultura, aveva le sue ragioni. Questo intendeva dire il filosofo Feyerabend. La sua provocazione sul processo non era condivisa da Ratzinger che, oltretutto, fu colui che volle la revisione del "caso Galileo" con Giovanni Paolo II. Quindi è l'ultimo a poter essere oggi accusato per questo. Ma - da studioso - ricostruendo il complesso dibattito moderno su quel caso, per far capire la complessità dei problemi e la pluralità delle posizioni, Ratzinger citò anche la celebre pagina di Feyerabend. Quindi Ratzinger viene oggi "scomunicato" in base non al proprio pensiero, ma al pensiero di un altro. Che oltretutto è uno "scettico", uno della loro stessa area culturale laica (ma lui è coerente e rifiuta tutti i dogmi, anche i loro). «Sono parole», scrivono i professori romani, «che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all'avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano». Ma - chiediamo, illustri professori - vi rendete conto che queste "parole" da voi citate e "scomunicate" appartengono non al Papa, ma ad un vostro illustre collega epistemologo che ha insegnato nei maggiori atenei? E come potete attribuire all'uno le parole dell'altro? No, i professori non sentono ragioni. E sentenziano: «In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l'incongruo evento possa ancora essere annullato». Quindi, «in nome del rispetto di ogni credo» chiedono che non sia fatto parlare Benedetto XVI. Tutti, ma non lui. Se non fossero fatti preoccupanti, ci sarebbe da ridere. Perché in quel discorso tenuto a Parma il 15 marzo 1990, evocato e "scomunicato" dai professori, il cardinale Ratzinger insieme a Feyerabend citava - su una linea analoga - anche un altro filosofo, il "marxista romantico" Ernst Bloch su cui sarebbe interessante sentire il parere dei professori della Sapienza. Secondo Bloch sia il geocentrismo sia l'eliocentrismo si fondano su presupposti indimostrabili perché la relatività di Einstein ha spazzato via l'idea di uno spazio vuoto e tranquillo: «Pertanto» ha scritto Bloch «con l'abolizione di uno spazio vuoto e tranquillo, non accade nessun movimento verso di esso, ma solo un movimento relativo dei corpi l'uno in relazione agli altri e la loro stabilità dipende dalla scelta dei corpi presi come punti fissi di riferimento: dunque, al di là della complessità dei calcoli che ne deriverebbero, non appare affatto improponibile accettare, come si faceva nel passato, che la Terra sia stabile e che sia il Sole a muoversi». Il filosofo marxista non tornava certo all'universo tolemaico, né alle conoscenze scientifiche del tempo di Bellarmino e di Copernico, per i quali si potevano fare solo delle ipotesi. Bloch parlava in nome delle più avanzate scoperte scientifiche del XX secolo, esprimeva così - spiegava Ratzinger - «una concezione moderna delle scienze naturali». Infatti un'altra mente eccelsa del Novecento, grande nome del pensiero ebraico, una combattente contro il totalitarismo, Hannah Arendt, nel libro "Vita activa", scrive la stessa cosa: «Se gli scienziati precisano oggi che possiamo sostenere con egual validità sia che la Terra gira attorno al Sole, sia che il Sole gira attorno alla Terra, che entrambe le affermazioni corrispondono a fenomeni osservati, e che la differenza sta solo nella scelta del punto di riferimento, ciò non significa tornare alla posizione del cardinale Bellarmino e di Copernico, quando gli astronomi si muovevano tra semplici ipotesi. Significa piuttosto che abbiamo spostato il punto di Archimede in un punto più lontano dell'universo dove né la Terra né il Sole sono centri di un sistema universale. Significa che non ci sentiamo più legati nemmeno al Sole, scegliendo il nostro punto di riferimento ovunque convenga per uno scopo specifico». IL SECOLO NICHILISTA Secondo la Arendt «per le effettive conquiste della scienza moderna il passaggio dal sistema eliocentrico a un sistema senza un centro fisso è tanto importante quanto fu, in passato, quello da una visione geocentrica del mondo a una eliocentrica». Ratzinger - uno dei grandi intellettuali del mondo moderno - lo ha capito molto bene e segnala, come la Arendt, la necessità di riflettere sulle conseguenze sociali di questo nuovo scenario e sull'uso che, in questa situazione, si fa della scienza. Invece il mondo accademico italiano, più provinciale e ideologizzato, sembra ancora fermo al Seicento. Penso che il professor Ratzinger si riconoscerebbe in quest'altro pensiero della Arendt: «I primi 50 anni del nostro secolo hanno assistito a scoperte più importanti di tutte quelle della storia conosciuta. Tuttavia lo stesso fenomeno è criticato con egual diritto per l'aggravarsi non meno evidente della disperazione umana o per il nichilismo tipicamente moderno che si è diffuso in strati sempre più vasti della popolazione; l'aspetto più significativo di queste condizioni spirituali è di non risparmiare nemmeno più gli scienziati». Ma vi pare che l'università italiana possa volare a queste altezze? Domina l'intolleranza, non c'è spazio per l'avventura della conoscenza e per l'inquietudine delle domande. C'è spazio solo per le piccole lotte di potere attorno al rettorato di cui ha parlato Asor Rosa al Corriere. Buonanotte Illuminismo. www.antoniosocci.it LIBERO 15 gennaio 2008 |
Postato da: giacabi a 22:28 |
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laicismo, benedettoxvi, scienza - articoli
SAPIENZA,
UN’ALTRA VERGOGNA
PER L’ITALIA
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I Papi hanno potuto parlare ovunque ne lmondo (Cuba,Nicaragua,Turchia, etc.).
L’unico posto dove il Papa non può parlare è La Sapienza, un’università fondata, tra l’altro, proprio da un pontefice.
Questo mette in evidenza due fatti gravissimi:
1)
l’incapacità del governo italiano a garantire la possibilità di
espressione sul territorio italiano di un Capo di Stato estero, nonché
Vescovo di Roma e guida spirituale di un miliardo di persone.
Piccoli
gruppi trovano, di fatto, protezioni anche autorevoli nell’impedire ciò
che la stragrande maggioranza della gente attende e desidera;
2) la
fatiscenza culturale dell’università italiana, per cui un ateneo come
La Sapienza rischia di trasformarsi in una “discarica” ideologica.
.m
Come
cittadini e come cattolici siamo indignati per quanto avvenuto e siamo
addolorati per Benedetto XVI, a cui ci sentiamo ancora più legati,
riconoscendo in lui il difensore – in forza della sua fede – della
ragione e della libertà.
Comunione e Liberazione
15 gennaio 2008
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Postato da: giacabi a 21:44 |
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laicismo, benedettoxvi
All'inizio dell'essere cristiano
***
"All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva"
Benedetto XVI, Deus Charitas Est
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Postato da: giacabi a 15:11 |
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benedettoxvi, avvenimento
La legge dell’esistenza è il dono di sé
***
«L'obiezione sull' eros che fa Nietzsche e che il Papa cita nell' enciclica Deus caritas est si potrebbe allargare a tutto il resto dell'esistenza. «il
cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da bere del
veleno all'eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a
degenerare in vizio. Con ciò il filosofo tedesco esprimeva una
percezione molto diffusa: la
Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la
cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio
là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una
felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?»
In
questo contesto sarà impossibile resistere alla pressione della
mentalità che ci circonda, se noi non facciamo un altro tipo di
esperienza. Non basta opporre il discorso giusto a quello sbagliato per vivere in questa situazione. Occorre un'esperienza diversa, un'esperienza di pienezza, altrimenti non resisteremmo e prima o poi soccomberemmo anche noi alla mentalità di tutti.
Questa è proprio la sfida e don Giussani vi risponde dicendo: «Quanto più uno lo accetta [di darsi], tanto più sperimenta già in questo mondo [attenzione alle parole!] una maggiore completezza»:è un'esperienza, non nell'al di là, ma in questo mondo. Sono parole che invitano all'esperienza, alla verifica di questa legge: che il darsi porta alla vita una maggiore pienezza. Non è ragionando, non è cercando di capire il paradosso che uno va avanti, ma guardando l'esperienza. Non ci sarà nessuno che ci potrà convincere a freddo, o con dei ragionamenti, di questo paradosso: è
soltanto se uno vede che quanto più ama, tanto più è se stesso, che la
vita è dono di sé e che in questo darsi non si perde, ma si guadagna. Si
intuisce questo quando, in un rapporto amoroso, il darsi al tu è la
pienezza del proprio io; chiunque abbia amato lo capisce. Chiunque abbia
amato qualcuno capisce che più ama, più dona sé all'altro e più
pienezza sperimenta.
Questo
ci fa capire qual è la strada per mettere in discussione il modo solito
di muoversi in cui noi diventiamo la misura. Tante volte sentiamo dire:
«Non lo faccio fin quando non lo capisco», cioè prima bisognerebbe
capire e poi fare. No! Perché noi non possiamo capire se il nostro criterio è la nostra ragione come misura; al contrario, è l'esperienza che rende evidente a me stesso questa legge. E per questo che don Giussani ha creato un gesto per aiutarci a capire questa legge partendo dall' esperienza: la caritativa. Egli dice che per capire non basta sapere, occorre fare.
Questo è il valore educativo, per tutti, del gesto della caritativa, dove uno impara, verifica la legge dell'esistenza come dono.»
J.Carron esercizi di fraternità 2007
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Postato da: giacabi a 08:43 |
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benedettoxvi, giussani, carron
I Santi
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"I santi sono come le stelle all'orizzonte della nostra storia, che
irradiano in continuazione luce nel mondo in mezzo agli annuvolamenti
di questo tempo, in mezzo alla sua oscurità, cosicché possiamo vedere
qualcosa della luce di Dio.
E se qualche volta siamo tentati di dubitare della bontà di Dio a causa
delle vicissitudini della storia, se siamo assaliti dal dubbio anche
nei confronti dell'uomo, perché non sappiamo se sia buono o piuttosto
intimamente cattivo e pericoloso, se dubitiamo anche della Chiesa a
causa delle controversie e delle miserie che la travagliano, allora guardiamo
a questi uomini che si sono aperti a Dio, a questi uomini nei quali Dio
ha preso forma. E da essi riceveremo di nuovo luce."
Benedetto XVI |
Postato da: giacabi a 13:40 |
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santi, benedettoxvi
Cristo nulla toglie di quanto avete in voi di bello e di grande, ma porta tutto a perfezione
***
“Entrati nella casa, videro il Bambino con Maria
sua madre, e prostratisi Lo adorarono”.
Possiamo immaginare lo stupore dei Magi davanti
al Bambino in fasce! Solo la fede permise loro di
riconoscere nei tratti di quel bambino il Re che
cercavano, il Dio verso il quale la stella li aveva
orientati. In Lui, colmando il fossato esistente tra il
finito e l’infinito, tra il visibile e l’invisibile, l’Eterno è
entrato nel tempo, il Mistero si è fatto conoscere,
consegnandosi a noi nelle membra fragili di un
piccolo bambino.
“I Magi sono pieni di stupore davanti a ciò che
vedono: il cielo sulla terra e la terra nel cielo; l’uomo
in Dio e Dio nell’uomo; vedono racchiuso in un
piccolissimo corpo chi non può essere contenuto da
tutto il mondo” (San Pietro Crisologo).
La felicità che cercate, la felicità che avete diritto di
gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di
Nazareth... Solo Lui dà pienezza all’umanità! Con
Maria, dite il vostro “sì” a quel Dio che intende
donarsi a voi. Vi ripeto oggi quanto ho detto all’inizio
del mio pontificato: “Chi fa entrare Cristo [nella
propria vita] non perde nulla, nulla - assolutamente
nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No,
solo in questa amicizia si spalancano le porte della
vita. Solo in questa amicizia si dischiudono realmente
le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in
questa amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e
ciò che libera”.
Siatene pienamente convinti: Cristo nulla toglie di quanto avete in voi
di bello e di grande,ma porta tutto a perfezione per la gloria di Dio,
la felicità degli uomini, la salvezza del mondo.
Benedetto XVI ~ Colonia 2005
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Postato da: giacabi a 16:56 |
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natale, benedettoxvi
Fissa gli occhi su Lui solo …
e vi troverai anche più di quanto chiedi e desideri
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“..solo il Bambino che giace nel presepe possiede il vero segreto della vita. Per questo chiede di accoglierlo, di fargli spazio in noi, nei nostri cuori, nelle nostre case, nelle nostre città e nelle nostre società. Risuonano nella mente e nel cuore le parole del prologo di Giovanni: “A quanti lo hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (1,12). Cerchiamo di essere tra quelli che lo accolgono. Dinanzi a Lui non si può restare indifferenti.
Anche noi, cari amici, dobbiamo continuamente prendere posizione. Quale
sarà dunque la nostra risposta? Con quale atteggiamento lo accogliamo? Ci
viene in aiuto la semplicità dei pastori e la ricerca dei Magi che,
attraverso la stella, scrutano i segni di Dio; ci è di esempio la
docilità di Maria e la sapiente prudenza di Giuseppe. Gli oltre duemila anni di storia cristiana sono pieni di esempi di uomini
e donne, di giovani e adulti, di bambini ed anziani che hanno creduto
al mistero del Natale, hanno aperto le braccia all’Emmanuele divenendo
con la loro vita fari di luce e di speranza. L’amore
che Gesù, nascendo a Betlemme, ha recato nel mondo, lega a sé quanti lo
accolgono in un duraturo rapporto di amicizia e di fraternità. Afferma san Giovanni della Croce: “Dio
dandoci tutto, cioè suo Figlio, ha detto ormai in Lui tutto. Fissa gli
occhi su Lui solo … e vi troverai anche più di quanto chiedi e desideri” (Salita del monte Carmelo, Libro I, Ep. 22, 4-5).”
BENEDETTO XVI 03-01-07
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Postato da: giacabi a 20:48 |
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natale, benedettoxvi
Il vero bisogno degli uomini: i Santi
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“ Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La
testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano
contro di Lui, ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto la porta
all’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo
bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a
cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare
all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli
altri.
Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini”.
Joseph Ratzinger 1 aprile 2005 a Subiaco,
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Postato da: giacabi a 19:10 |
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santi, benedettoxvi
L'errore fondamentale di Marx.
***
«Marx ha descritto la situazione del suo tempo ed illustrato con grande capacità analitica le vie verso la rivoluzione – non solo teoricamente: con il partito comunista, nato dal manifesto comunista del 1848, l'ha anche concretamente avviata. La
sua promessa, grazie all'acutezza delle analisi e alla chiara
indicazione degli strumenti per il cambiamento radicale, ha affascinato
ed affascina tuttora sempre di nuovo. La rivoluzione poi si è anche
verificata nel modo più radicale in Russia.
21. Ma con la sua vittoria si è reso evidente anche l'errore fondamentale di Marx. Egli ha indicato con esattezza come realizzare il rovesciamento. Ma non ci ha detto come le cose avrebbero dovuto procedere dopo. Egli
supponeva semplicemente che con l'espropriazione della classe
dominante, con la caduta del potere politico e con la socializzazione
dei mezzi di produzione si sarebbe realizzata la Nuova Gerusalemme.
Allora, infatti, sarebbero state annullate tutte le contraddizioni,
l'uomo e il mondo avrebbero visto finalmente chiaro in se stessi.
Allora tutto avrebbe potuto procedere da sé sulla retta via, perché
tutto sarebbe appartenuto a tutti e tutti avrebbero voluto il meglio
l'uno per l'altro. Così, dopo
la rivoluzione riuscita, Lenin dovette accorgersi che negli scritti del
maestro non si trovava nessun'indicazione sul come procedere. Sì,
egli aveva parlato della fase intermedia della dittatura del
proletariato come di una necessità che, però, in un secondo tempo da sé
si sarebbe dimostrata caduca. Questa « fase intermedia » la conosciamo benissimo e sappiamo anche come si sia poi sviluppata, non portando alla luce il mondo sano, ma lasciando dietro di sé una distruzione desolante. Marx
non ha solo mancato di ideare gli ordinamenti necessari per il nuovo
mondo – di questi, infatti, non doveva più esserci bisogno. Che egli di
ciò non dica nulla, è logica conseguenza della sua impostazione. Il suo errore sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l'uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l'uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva
che, una volta messa a posto l'economia, tutto sarebbe stato a posto.
Il suo vero errore è il materialismo: l'uomo, infatti, non è solo il
prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente
dall'esterno creando condizioni economiche favorevoli.
22.
Così ci troviamo nuovamente davanti alla domanda: che cosa possiamo
sperare? È necessaria un'autocritica dell'età moderna in dialogo col
cristianesimo e con la sua concezione della speranza. In un tale dialogo
anche i cristiani, nel contesto delle loro conoscenze e delle loro
esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista veramente la
loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece
non possano offrire. Bisogna che nell'autocritica dell'età moderna
confluisca anche un'autocritica del cristianesimo moderno, che deve
sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie
radici. Su questo si possono qui tentare solo alcuni accenni.
Innanzitutto c'è da chiedersi: che cosa significa veramente « progresso
»; che cosa promette e che cosa non promette? Già nel XIX secolo
esisteva una critica alla fede nel progresso. Nel XX secolo, Theodor W. Adorno ha formulato la problematicità della fede nel progresso in modo drastico: il progresso, visto da vicino, sarebbe il progresso dalla fionda alla megabomba.
Ora, questo è, di fatto, un lato del progresso che non si deve
mascherare. Detto altrimenti: si rende evidente l'ambiguità del
progresso. Senza
dubbio, esso offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche
possibilità abissali di male – possibilità che prima non esistevano. Noi
tutti siamo diventati testimoni di come il progresso in mani sbagliate
possa diventare e sia diventato, di fatto, un progresso terribile nel
male. Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell'uomo, nella crescita dell'uomo interiore (cfr Ef 3,16; 2 Cor 4,16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l'uomo e per il mondo.»
BENEDETTO XVI LETTERA ENCICLICA SPE SALVI
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Postato da: giacabi a 21:20 |
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comunismo, marx, benedettoxvi
Verità marxista
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«C'è una affermazione della critica marxista che contiene elementi di verità: ci sono religioni e pratiche religiose che sono davvero alienanti, che sono manifestamente malsane per l’uomo, che addirittura possono rendergli difficile essere buono, altruista, operoso»
Cardinal Ratzinger
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Postato da: giacabi a 20:23 |
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verità , benedettoxvi
Il Cristianesimo Progressista
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"E la tentazione di trasformare il cristianesimo in un moralismo e di concentrare tutto sull’azione morale dell’uomo è grande in tutti i tempi. Perché l’uomo
vede soprattutto sé stesso. Dio rimane invisibile, intoccabile, e
quindi l’uomo si appoggia soprattutto sulla sua propria azione. Ma
se Dio non agisce, se Dio non è un vero soggetto agente nella storia
che entra anche nella mia vita personale, allora che cosa vuol dire
redenzione? Che valore ha la nostra relazione con Cristo e così col Dio trinitario? Mi
sembra che la tentazione di ridurre il cristianesimo a un moralismo è
grandissima anche nel nostro tempo, e sono molto grato che 30Giorni sottolinei spesso questo problema. Perché noi viviamo un po’ tutti in un’atmosfera di deismo.
La nostra idea delle leggi naturali non ci permette più facilmente di
pensare a un’azione di Dio nel nostro mondo. Sembra che non ci sia
spazio perché possa agire Dio stesso nella storia umana e nella mia
vita. E così abbiamo l’idea che Dio non può più entrare in questo cosmo, fatto e chiuso contro di lui. Che cosa rimane? La nostra azione. E dobbiamo trasformare noi il mondo, dobbiamo noi creare la redenzione, dobbiamo noi creare il mondo migliore, un mondo nuovo. E
se si pensa così, ecco che il cristianesimo è morto, il linguaggio
religioso diventa un linguaggio puramente simbolico e vuoto."
Card.Ratzinger Presentazione del libro su S.Agostino Il potere e la grazia 30 giorni
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Postato da: giacabi a 12:40 |
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laicismo, benedettoxvi
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Nelle quattro che
abbiamo ascoltato, davanti a noi si apre un ampio spettro su cui
potremmo discutere molto a lungo, ma per cui purtroppo abbiamo poco
tempo a disposizione. Dopo la pausa possiamo ancora discutere alcune
questioni. Penso che soprattutto gli stessi relatori vogliano dirsi
qualcosa l’uno con l’altro, l’uno per l’altro, e l’uno contro l’altro,
ma sempre in una contrapposizione produttiva che mira a far sì che
conosciamo la verità e ce ne assumiamo la responsabilità.
Dobbiamo pensare a quello che vogliamo fare con il tesoro delle quattro relazioni. Anch’esse forse hanno un telos. Ho l’impressione che sia stata la provvidenza che ha indotto il cardinale Schönborn a scrivere una glossa sul New York Times, a rendere di nuovo pubblico questo tema e a indicare dove stiano le questioni: che non si tratta di decidersi né per un creazionismo, che si chiude sostanzialmente alla scienza, né per una teoria dell’evoluzione che dissimula i propri vuoti o lacune e non vuole vedere le questioni che travalicano le possibilità del metodo delle scienze naturali. Si tratta piuttosto di questa interazione fra diverse dimensioni della ragione, in cui si schiude anche la via alla fede. Quando egli fra ratio e fides mette l’accento sulla scientia o philosophia, allora in fondo si tratta di recuperare nuovamente una dimensione della ragione che avevamo perduta. Senza di essa la fede verrebbe esiliata in un ghetto e così si perderebbe il suo significato per la totalità della realtà e dell’essere umano. Quello che ora dico, in effetti, è già in certo qual modo superato dalle nuove relazioni, perché è derivato direttamente dall’ascolto della relazione del professor Schuster, ma lo vorrei dire comunque. Il professor Schuster ha da un lato indicato in modo sorprendente la logica della teoria dell’evoluzione che si è andata sviluppando, arrivando a poco a poco a una grande coesione, e anche le correzioni interne che nel contempo si sono trovate (soprattutto a Darwin); dall’altro, ha anche molto chiaramente messo in risalto le questioni che restano aperte. Non è che adesso io voglia stipare il buon Dio in questi vuoti: egli è troppo grande per trovare posto in quei vuoti. Ma a me pare importante sottolineare che la teoria dell’evoluzione implica delle domande che devono essere assegnate alla filosofia e che di per sé esulano dall’ambito proprio delle scienze naturali. A me pare importante, in particolare, come prima cosa, che la teoria dell’evoluzione in gran parte non sia dimostrabile sperimentalmente in modo tanto facile perché non possiamo introdurre in laboratorio 10.000 generazioni. Ciò significa che ci sono dei vuoti o lacune rilevanti di verificabilità-falsificabilità sperimentale a causa dell’enorme spazio temporale cui la teoria si riferisce. Come seconda cosa a me è parsa importante un’altra sua affermazione: la probabilità non equivale a zero ma neppure a uno. Per cui si pone la domanda: a quale altezza si situa la probabilità? Ciò è importante se vogliamo interpretare correttamente la frase di Papa Giovanni Paolo II: «La teoria dell’evoluzione è più di un’ipotesi». Quando il Papa disse questo, aveva i suoi buoni motivi. Ma nello stesso tempo è anche vero che la teoria dell’evoluzione non è ancora una teoria completa, scientificamente verificabile. Come terza cosa vorrei accennare ai salti di cui ha già parlato anche il cardinale Schönborn. Non basta la somma di piccoli passi. Ci sono dei «salti». La domanda sul loro significato va ulteriormente approfondita. Come quarta cosa è interessante che i mutanti positivi siano solo pochi e che il corridoio, in cui si poteva svolgere lo sviluppo, è stretto. Questo corridoio è stato aperto e attraversato. Le scienze naturali stesse e la teoria dell’evoluzione possono rispondere in modo sorprendente a molte cose, ma nei quattro punti menzionati rimangono ancora aperte questioni rilevanti. Prima che giunga alla mia conclusione, vorrei dire qualcosa, cui ha già accennato anche il cardinale Schönborn: non solo alcuni testi scientifico-popolari, ma anche scientifici sull’evoluzione affermano di frequente che la «natura» o l’«evoluzione» avrebbe fatto questo o quello. Qui ci si domanda: chi è propriamente la «natura» o l’«evoluzione» come soggetto? Infatti non esiste! Quando si dice che la natura fa questo o quello, ciò può essere solo un tentativo di raggruppare una serie di eventi in un soggetto che però non esiste come tale. A me pare evidente che questo espediente verbale – forse inevitabile – racchiuda in sé domande di un certo peso. Riassumendo potrei dire: le scienze naturali hanno schiuso grandi dimensioni della ragione che finora non erano state aperte, e ci hanno trasmesso così delle nuove conoscenze. Ma nella gioia per la grandezza della loro scoperta esse tendono a toglierci dimensioni della ragione di cui continuiamo ad avere bisogno. I loro risultati sollevano delle domande che vanno oltre la competenza del loro canone metodologico e alle quali in esso non è possibile dare una risposta. Tuttavia, sono domande che la ragione deve porre e che non possono essere lasciate solo al sentimento religioso. Bisogna considerarle come domande ragionevoli e trovare anche dei modi ragionevoli di trattarle. Sono le grandi domande fondamentali della filosofia che ci si presentano in forma nuova: la domanda sull’origine e sul futuro dell’uomo e del mondo. Inoltre, di recente, mi sono reso conto di due cose, che hanno illustrato anche le tre relazioni che si sono succedute: c’è da un lato una razionalità della stessa materia. Si può leggerla. Essa ha una matematica in sé, è essa stessa ragionevole, anche se nel lungo cammino dell’evoluzione c’è l’irrazionale, il caotico e il distruttivo; ma la materia come tale è leggibile. D’altro lato, a me pare che anche il processo come un tutto abbia una razionalità. Nonostante il suo errare e percorrere strade sbagliate lungo lo stretto corridoio, nella scelta delle poche mutazioni positive e nello sfruttamento della poca probabilità, il processo stesso è qualcosa di razionale. Questa doppia razionalità che si rende di nuovo accessibile corrispondendo alla nostra ragione porta inevitabilmente a una domanda che esorbita dalla scienza, ma che comunque è una domanda della ragione: da dove viene questa razionalità? C’è una razionalità originaria che si rispecchia in queste due zone e dimensioni della razionalità? Le scienze naturali non possono e non devono rispondere direttamente, ma noi dobbiamo riconoscere la domanda come ragionevole e osare credere alla ragione creatrice e affidarci a essa. Da una parte c’è la razionalità della materia, che apre una finestra sul Creator Spiritus. A questo non dobbiamo rinunciare. È la fede biblica nella creazione che ci ha indicato la via a una civiltà della ragione, nelle cui possibilità c’è anche naturalmente quella di annientarsi nuovamente. Questa è una dimensione che deve rimanere e che io definisco anche una dimensione di contatto fra il greco e il biblico, che dovettero ambedue fondersi in una interna ragione e in una interna necessità. D’altro lato, tuttavia, noi dobbiamo anche vedere i limiti. Naturalmente, nella natura c’è la razionalità, ma essa non ci permette di avere una visione totale del piano di Dio. Quindi nella natura permangono la contingenza e l’enigma dell’orribile, un po’ come lo descrive Reinhold Schneider dopo una visita al Museo di scienze naturali di Vienna. (Anch’io una volta ho visitato con mio fratello questo museo, ed eravamo sgomenti di fronte a tante cose orribili in natura.) Nonostante la razionalità, che c’è, noi possiamo constatare una componente di orrore, che non è più risolvibile filosoficamente. Qui la filosofia reclama qualcosa di ulteriore e la fede ci mostra il Logos, che è la ragione creatrice e che in modo incredibile poté farsi carne, morire e risuscitare. In questo modo ci si rivela un volto del Logos del tutto diverso da quello che noi possiamo presagire e cercare a tentoni partendo da una ricostruzione dei fondamenti della natura. Anche le due parti dell’anima greca vi alludono: da una parte la grande filosofia e dall’altra la tragedia, che in ultima analisi rimane senza risposta. |
Postato da: giacabi a 15:27 |
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benedettoxvi, evoluzionismo
Mendicanti davanti ad una Presenza
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Postato da: giacabi a 08:25 |
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cristianesimo, benedettoxvi, carron
Bisogno di amore
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La persona umana non è, d’altra parte, soltanto ragione e intelligenza. Porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta.
BENEDETTO XVI IV CONVEGNO NAZIONALE DELLA CHIESA ITALIANA VERONA 2007
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Postato da: giacabi a 19:36 |
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amicizia, benedettoxvi
Gesù tra la bellezza e il dolore
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Joseph Ratzinger (La Repubblica, 10 marzo 2004)
Ogni anno, nella liturgia delle ore del tempo di Quaresima, torna a colpirmi un paradosso che s'incontra nei vespri del lunedì della seconda settimana del Salterio. Qui, una accanto all'altra, rincorrono due antifone – una per il tempo di Quaresima, l'altra per la settimana Santa – che introducono il salmo 44, offrendone però una chiave interpretativa del tutto contrapposta. E' il salmo che descrive le nozze del re, la sua bellezza, le sue virtù, la sua missione, e poi si trasforma in un'esaltazione della sposa. "Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia". La Chiesa, ovviamente, legge questo salmo come espressione poetica/profetica del rapporto sponsale di Cristo con la sua Chiesa. Riconoscere Cristo come il più bello tra gli uomini; la grazia diffusa sulle sue labbra significa l'intima bellezza della sua parola, significa la gloria del suo annuncio. Non è dunque la bellezza esteriore del Redentore a essere glorificata: ciò che si manifesta in lui è invece la bellezza della Verità, la bellezza stessa di Dio che ci attira e nel contempo ci procura la ferita dell'Amore, l'eros (la "sacra Passione") che ci fa correre, assieme alla Chiesa e nella Chiesa/Sposa, incontro all'Amore che ci chiama. Ma il lunedì della Settimana santa la Chiesa cambia l'antifona, invitandoci a leggere il medesimo salmo alla luce di Isaia 53,2: "Non ha bellezza né apparenza; l'abbiamo veduto: un volto sfigurato dal dolore". Come si conciliano le due visioni? Il "più bello" tra i figli degli uomini è tanto misero d'aspetto che nemmeno lo si vuole vedere. Pilato lo mostra alla folla: Ecce homo! Cerca di suscitare un po' di pietà verso quell'essere maltrattato e percosso orami privo di ogni esteriore bellezza. Riferendosi al contenuto dei due testi citati, Agostino parla di "due trombe" che suonano in contrasto tra loro, eppure i loro suoni provengono da un medesimo soffio, dal medesimo Spirito. Nel paradosso egli vede contrapposizione, ma non contraddizione. Unico è infatti lo Spirito che suscita la Scrittura, traendone però differenti note e ponendoci proprio in questo modo di fronte alla perfezione della Bellezza e della Verità in sé. Chi crede in Dio, nel Dio che proprio nelle sembianze alterate del Crocifisso si manifestato come amore "sino alla fine" (Gv 13,1), sa che la bellezza è verità e che la verità è bellezza, ma nel Cristo sofferente apprende anche che la bellezza della verità include offesa, dolore e persino l'oscuro mistero della morte. Bellezza e verità possono rinvenirsi soltanto nell'accettazione del dolore, e non nel suo rifiuto. Di recente, da molte parti è stato detto che dopo Auschwitz non sarebbe più possibile fare poesia né tanto meno parlare di un Dio di bontà. Dove si era nascosto Dio quando funzionavano i forni crematori? Una simile contestazione – per la quale del resto di davano motivi sufficienti, assai prima di Auschwitz, in tutte le atrocità della storia – significa, in ogni caso, che un concetto assolutamente armonioso del bello non è sufficiente, non essendo in grado di reggere il confronto con la gravità della messa in discussione di Dio, della Verità, della Bellezza. Né può bastare il socratico dio Apollo, considerato da Platone il garante dell'imperturbabile bellezza "veramente divina". Non resta dunque che tornare alle "due trombe" della Bibbia da cui avevamo preso le mosse, cioè al paradosso di Cristo, del quale si può dire "Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo …", ma anche "Non ha bellezza né apparenza…un volto sfigurato dal dolore". Nella passione di Cristo, l'estetica greca – ammirevole per il suo presunto contatto con il divino, che tuttavia rimane indicibile – non viene recuperata, ma è del tutto superata. L'esperienza del bello riceve una nuova profondità, un nuovo realismo. Colui che è la "Bellezza in sé" si è lasciato percuotere sul volto, coprire di sputi, incoronare di spine: la sacra Sindone di Torino ci racconta tutto in maniera toccante. Ma proprio in quel volto sfigurato appare l'autentica, estrema Bellezza dell'Amore che ama "sino alla fine", mostrandosi così più forte di ogni menzogna e violenza. Soltanto chi sa cogliere questa bellezza comprende che proprio la verità, e non la menzogna, è l'estrema "affermazione" del mondo. E' semplicemente un trucco astuto della menzogna quello di presentarsi come "unica verità", quasi che al di fuori e al di là di essa non ne esista alcun'altra. Soltanto l'icona del Crocifisso è capace di liberarci da quest'inganno, oggi così prepotente. Ma ad un condizione: che assieme a Lui ci lasciamo ferire, fidandoci di quell'Amore che non esita a svestirsi della bellezza esteriore, per annunciare proprio in questo modo la Verità della Bellezza. La menzogna conosce anche un altro stratagemma: la bellezza ingannevole e falsa, quella bellezza che abbaglia e imprigiona gli uomini in se stessi, impedendo loro di aprirsi all'estasi che indirizza verso l'alto. Una bellezza che non risveglia nostalgia dell'indicibile, la disponibilità all'offerta, all'abbandono di sé; che alimenta invece la brama e la volontà di dominio, di possesso, di piacere. E' di questo genere di bellezza che parla la Genesi: Eva vide che il frutto dell'albero era "buono da mangiare e seducente per gli occhi…" (Gn 3,6). La bellezza, così come la donna la sperimenta, risveglia in lei il desiderio del possesso, la fa ripiegare su sé stessa. Con notevole frequenza amo citare Dostoevskij: " La bellezza ti salverà". Ma il più delle volte si dimentica che il grande autore russo pensa alla bellezza redentivi di Cristo. Occorre imparare a "vedere" Cristo. Non basta conoscerlo semplicemente a parole; bisogna lasciarsi colpire dal dardo della sua bellezza paradossale: così avviene la vera conoscenza, attraverso l'incontro personale con la Bellezza della verità che salva. |
Postato da: giacabi a 08:30 |
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bellezza, gesù, benedettoxvi
La dittatura del relativismo
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«Quanti
venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante
correnti ideologiche, quante mode del pensiero. La piccola barca del
pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde -
gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino al
libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale;
dall'ateismo ad un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al
sincretismo e così via. Ogni
giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo
sull'inganno degli uomini, sull'astuzia che tende a trarre nell'errore
(cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa,
viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo,
cioè il lasciarsi portare "qua e là da qualsiasi vento di dottrina",
appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si
va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla
come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le
sue voglie.
Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. E' lui la misura del vero umanesimo. "Adulta" non è una fede che segue le onde della moda e l'ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell'amicizia con Cristo. E' quest'amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito - in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde - una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell'esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come "un cembalo che tintinna" (1 Cor 13, 1).»
BENEDETTO XVI Omelia "Pro eligendo romano pontifice”
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Postato da: giacabi a 21:07 |
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nichilismo, benedettoxvi
Gesù Cristo,
è la Verità fatta Persona
***
«Con acuta conoscenza della realtà umana, sant'Agostino ha messo in evidenza come l'uomo
si muova spontaneamente, e non per costrizione, quando si trova in
relazione con ciò che lo attrae e suscita in lui desiderio. Domandandosi, allora, che cosa possa ultimamente muovere l'uomo nell'intimo, il santo Vescovo esclama: « Che
cosa desidera l'anima più ardentemente della verità? » (2). Ogni uomo,
infatti, porta in sé l'insopprimibile desiderio della verità, ultima e
definitiva. Per questo, il Signore Gesù, « via, verità e vita » (Gv
14,6), si rivolge al cuore anelante dell'uomo, che si sente pellegrino e
assetato, al cuore che sospira verso la fonte della vita, al cuore
mendicante della Verità. Gesù
Cristo, infatti, è la Verità fatta Persona, che attira a sé il mondo. «
Gesù è la stella polare della libertà umana: senza di Lui essa perde il
suo orientamento, poiché senza la conoscenza della verità la libertà si
snatura, si isola e si riduce a sterile arbitrio. Con Lui, la libertà si ritrova ».
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Postato da: giacabi a 17:51 |
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verità , gesù, benedettoxvi
IO e TU
***
" Chi oggi guarda, ad occhi aperti, a se stesso e agli altri, noterà subito che nei confronti dell'io non si tiene più una posizione per sè ovvia e priva di complicazioni.
Di un uomo che è sempre scoraggiato e insofferente la gente dice: egli non ama sè stesso. E in realtà il disaccordo con sè stesso è spesso la ragione più profonda del disaccordo con il tu. L'egoismo è tutt'altra cosa dall'accettazione di sè stessi, dal vero amore di sè, che può diventare nello stesso tempo apertura all'amore del prossimo. L'ultima annotazione che Bernanos fa registrare al suo parroco di campagna sul diario suona così: "Odiarsi è più facile di quanto si creda. La Grazia consiste nel dimenticarsi. Ma se in noi fosse morto ogni orgoglio, la grazia delle grazie sarebbe di amare umilmente sè stessi, allo stesso modo di qualunque altro membro sofferente di Gesù Cristo." Di fatto, quanto è facile essere in discordia con sè stessi: perchè questo io è fatto in modo tale da spingermi a rinunciare all'istinto, a cercare continuamente un accordo con il tu e l'es? Perchè mi è negata quella o questa dote che rende gli altri ricchi, liberi e felici? Perchè devo battermi con questo io testardo e intrattabile? Perchè esso è stato messo in un mondo con il quale non può andare d'accordo? La radice più profonda di ogni malattia psichica, così ci insegna l'esperienza di molti psichiatri, è la fallita accettazione di sè stessi, il conflitto con questa creatura del mio io che mi è data dalla nascita. E questa mancanza di unità sbarra la via al tu. Oppure è vero forse il contrario: soltanto chi riconosce che la sua esistenza è resa autentica da un altro dal quale egli la riceve, può anche accettare sè stesso? Intimamente connessi tra loro sono questi due aspetti: soltanto l'essere accolto da un tu rende possibile il si all'io; soltanto l'accordo con l'io apre la via al tu. Amore di sè e amore del prossimo sono indissolubilmente intrecciati l'uno con l'altro" 1972- Card. Joseph Ratzinger |
Postato da: giacabi a 11:47 |
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persona, benedettoxvi
La bellezza
***
La
bellezza strappa fuori il nostro cuore dall'accomodamento al
quotidiano, dal decadere nel niente, dal non essere presente a noi
stessi».
Ratzinger meeting 2002
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Postato da: giacabi a 14:40 |
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bellezza, benedettoxvi
BRAVO RATZINGER,
ORA MI SENTO PIÙ A CASA
***
di ANTONIO SOCCI
È
un grande Pontefice, Papa Benedetto, e avrà un'importanza storica per
la Chiesa. E da oggi, col ritorno alla libertà di celebrare anche la
Messa in latino, certi "progressisti" scateneranno una guerra feroce
contro di lui. Magari inventandosi falsamente il ripristino della
controversa preghiera sugli ebrei, che invece non c'è affatto. Sono
tanti i segni del coraggio di quest'uomo, che è mite e gentile, ma anche
deciso a «non anteporre nulla a Dio» e a «non fuggire davanti ai lupi».
Di recente la lettera ai cattolici cinesi (per riunire le due chiese e
reclamare libertà dal regime) e l'altro ieri il
simbolico riconoscimento del "martirio" degli ottocento abitanti di
Otranto che furono decapitati nel 1480 dai musulmani invasori perché non
vollero rinnegare Gesù Cristo.
Ma soprattutto ha un grande peso questo Motu proprio con cui il Papa
restituisce alla Chiesa, accanto alla messa in italiano, la sua
bimillenaria liturgia latina che con un colpo di mano - era stata
spazzata via nel 1969 contravvenendo alle regole della Chiesa stessa. La
liturgia per la Chiesa racchiude tutto il suo tesoro, cioè «l'integrità
della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde
alla sua legge di fede». E dunque il Messale latino non poteva essere
messo fuorilegge (infatti giuridicamente è sempre stata valido). Nel
delirio post-conciliare l'intolleranza progressista riuscì a far credere
che fosse stato messo al bando. Fu quello il tempo di una spaventosa
apostasia di fedeli e un'apocalittica crisi del clero: dal 1965 circa
100 mila sacerdoti abbandonarono l'abito e 107.600 monache e suore
lasciarono le loro congregazioni fra 1966 e 1988. Una tragedia senza
eguali nella storia della Chiesa. Segno, per una mente cristiana, che
Dio non aveva benedetto certi "rinnovamenti" che si dicevano
"conciliari", ma anzi ne era disgustato (Benedetto XVI infatti denuncia
«deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile»).
«UNA TRAGICA ROTTURA» Da cardinale, Ratzinger definì il colpo di mano contro la liturgia tradizionale come «una rottura» dalle conseguenze «tragiche». Un grande laico come Giuseppe Prezzolini, nel 1969 - l'anno della riforma liturgica - scrisse un editoriale intitolato: "La liquidazione della Chiesa". Pur essendo agnostico, constatava amaramente la febbre rivoluzionaria che aveva fatto irruzione nella Chiesa riducendola a una caricatura delle «sette protestanti» e della «civiltà moderna». Fu soprattutto la grande cultura laica a denunciare l'immensa perdita rappresentata dalla cancellazione dell'antica liturgia cattolica che aveva letteralmente dato forma alla cultura europea. Due appelli pubbici, nel 1966 e nel 1971, uscirono in difesa della Messa di s. Pio V, come grande patrimonio spirituale e culturale. E furono firmati dalle più grandi personalità della cultura come Borges, De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, Bresson, Dreyer, Del Noce, Julien Green, Maritain, Montale, Cristina Campo, Mauriac, Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Contini, Devoto, Macchia, Pallottino, Paratore, Bassani, Luzi, Piovene, Andrés Segovia, Harold Acton, Agatha Christie, Graham Greene e il pure direttore del Times, William Rees-Mogg. Fu inutile. Ormai la sbornia progressista (o meglio: "la dittatura del relativismo") dilagava nella Chiesa e pretendeva di fare a pezzi la sua tradizione. Anni dopo fu boicottato perfino Giovanni Paolo II quando varò uno speciale indulto, addirittura con due documenti, nel 1984 e nel 1988, affermando che la Messa di san Pio V non era mai stata abolita e la si poteva celebrare col permesso del vescovo. Il Papa aveva esortato «i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero», ma parte dei vescovi fece il contrario e di fatto annullò l'importante atto pontificio. Certi vescovi hanno dato locali per pregare ai musulmani, ma li hanno negati per le messe tradizionali. Dunque oggi, alla luce di questi abusi d'autorità, Benedetto XVI vara un Motu proprio dove i diritti del popolo cristiano sono protetti da Pietro stesso e non rimessi all'arbitrio dell'episcopato. Alberto Melloni, due giorni fa, sul Corriere della Sera, ha dato sfogo alla rabbia della fazione progressista, arrivando addirittura a definire il Motu proprio come «uno sberleffo villano al Vaticano II». È buffo. Uno "storico del Concilio" come Melloni ignora che durante il Concilio si celebrava proprio la liturgia a cui oggi il Papa ridà cittadinanza. E ignora che mai il Concilio Vaticano II ha messo fuorilegge questa liturgia: semmai fu l'atto dispotico del 1969 che andava contro il Concilio. Un altro buffo paradosso: questo gruppo di storici "progressisti" che hanno fatto di Giovanni XXIII il loro simbolo, oggi si oppongono proprio al Motu proprio che riconosce la validità del "Messale Romano di Giovanni XXIII" (infatti è l'edizione del 1962 che il Papa restituisce alla Chiesa). E sembrano ignorare il discorso di Papa Roncalli del 22 febbraio 1962, alla firma della "Veterum Sapientia", dove fra l'altro, esaltando la liturgia in latino, spiegò che essa aveva un legame profondo con "la Cattedra di Pietro". Il Papa aggiunse che la lingua latina «fu strumento di diffusione del Vangelo, portata sulle vie consolari quasi a simbolo della più alta Unità del Corpo Mistico. (...) E anche quando le nuove lingue delle singole individualità nazionali europee si fecero strada fino a sostituire l'unica lingua di Roma, questa è rimasta nell'uso della Chiesa Romana, nelle saporose espressioni della liturgia, nei documenti solenni della Sede Apostolica, strumento di comunicazione col centro augusto della cristianità». MARIA INTERCEDE Infine riaffermò la sua validità non solo per «motivi storici ed affettivi» ma anche perché «nel presente momento storico» è segno di unità fra i popoli e serve «all'opera di pacificazione e di unificazione». Anche per «i nuovi popoli che si affacciano fiduciosi alla vita internazionale. Essa infatti non è legata agli interessi di alcuna nazione, è fonte di chiarezza e sicurezza dottrinale, è accessibile a quanti abbiano compiuti studi medi superiori; e soprattutto è veicolo di reciproca comprensione». Cinque anni dopo la liturgia latina fu in pratica messa al bando. Melloni accusa oggi Benedetto XVI di aver «spezzato» una continuità ed aver esautorato i vescovi. Ma è vero l'esatto contrario: proprio il Novus ordo fu imposto nonostante la bocciatura della maggioranza dei vescovi. E fu la "proibizione" del Messale latino a "spezzare" la continuità millenaria della liturgia. Oggi questi strani progressisti si oppongono alla libertà che invece il Papa difende (dà la possibilità di celebrare in «due usi dell'unico rito romano»). E si oppongono ai diritti del popolo cristiano (difesi dal Papa). Essi rivendicano l'arbitrio di potere del ceto clericale. E poi parlano di democrazia nella Chiesa! Infine sono oscurantisti perché disprezzano un patrimonio che tutta la migliore cultura esalta. Benedetto XVI ha affidato le nuove norme alla «potente intercessione di Maria». E le ha pubblicate nel novantesimo anniversario delle apparizioni di Fatima, in uno dei primi sabati del mese (giorno della Madonna di Fatima), un 7 luglio, lo stesso giorno in cui Pio XII, nel 1952, promulgò la "Sacro vergente anno", dove finalmente consacrò la Russia al Cuore Immacolato di Maria come richiesto da lei a Fatima. Infine Benedetto XVI vara il suo Motu proprio dal 14 settembre, festa dell'Esaltazione della S. Croce, a ricordare la natura "sacrificale" della Messa che proprio nella riforma del 1969 era stata messa in ombra per avvicinarsi ai protestanti. Col rischio di perdere l'essenziale. Questo atto non è una concessione ai "lefebvriani", ma il ritrovamento di un tesoro da parte di tutta la Chiesa. www.antoniosocci.it Libero 8 luglio 2007 |
Postato da: giacabi a 08:59 |
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latino, benedettoxvi
L’incontro con Cristo è la vera risposta al bisogno umano
Dall’omelia pronunciata dal Cardinale Joseph Ratzinger
in occasione dei funerali di don Luigi Giussani Duomo di Milano, 24 febbraio 2005
***
..“Questa centralità di Cristo nella sua vita gli ha dato anche il dono del discernimento,
di decifrare in modo giusto i segni dei tempi in un tempo difficile,
pieno di tentazioni e di errori, come sappiamo. Pensiamo agli anni ’68 e
seguenti, un primo gruppo dei
suoi era andato in Brasile e qui si trovò a confronto con questa
povertà estrema, con questa miseria. Che cosa fare? Come rispondere? E
la tentazione fu grande di dire: adesso dobbiamo, per il momento,
prescindere da Cristo, prescindere da Dio, perché ci sono urgenze più
pressanti, dobbiamo prima cominciare a cambiare le strutture, le cose esterne, dobbiamo prima migliorare la terra, poi possiamo ritrovare anche il cielo. Era la tentazione grande di quel momento di trasformare il cristianesimo in un moralismo, il moralismo in una politica, di sostituire il credere con il fare. Perché, che cosa comporta il credere? Si può dire: in questo momento dobbiamo fare qualcosa. E tuttavia, di questo passo, sostituendo la fede col moralismo, il credere con il fare, si cade nei particolarismi, si perdono soprattutto i criteri e gli orientamenti, e alla fine non si costruisce, ma si divide. Monsignor Giussani, con la sua fede imperterrita e immancabile, ha saputo, che anche in questa situazione, Cristo, l’incontro con Cristo rimane centrale, perché chi non dà Dio, dà troppo poco e chi non dà Dio, chi non fa trovare Dio nel volto di Cristo, non costruisce, ma distrugge, perché fa perdere l’azione umana in dogmatismi ideologici e falsi, come abbiamo visto molto bene. Don Giussani ha conservato la centralità di Cristo e proprio così ha aiutato con le opere sociali, con il servizio necessario l’umanità in questo mondo difficile, dove la responsabilità dei cristiani per i poveri nel mondo è grandissima e urgente.”……. |
Postato da: giacabi a 21:27 |
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cristianesimo, benedettoxvi
L'uomo che si affida totalmente a Dio
trova la vera libertà,
Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Giovedì, 8 dicembre 2005
..“L'uomo non si fida di Dio. Egli, tentato dalle parole del serpente, cova
il sospetto che Dio, in fin dei conti, gli tolga qualcosa della sua
vita, che Dio sia un concorrente che limita la nostra libertà e
che noi saremo pienamente esseri umani soltanto quando l'avremo
accantonato; insomma, che solo in questo modo possiamo realizzare in
pienezza la nostra libertà. L'uomo
vive nel sospetto che l'amore di Dio crei una dipendenza e che gli sia
necessario sbarazzarsi di questa dipendenza per essere pienamente se
stesso. L'uomo
non vuole ricevere da Dio la sua esistenza e la pienezza della sua
vita. Vuole attingere egli stesso dall'albero della conoscenza il potere
di plasmare il mondo, di farsi dio elevandosi al livello di Lui, e di
vincere con le proprie forze la morte e le tenebre. Non vuole contare
sull'amore che non gli sembra affidabile; egli conta unicamente sulla
conoscenza, in quanto essa gli conferisce il potere.
Piuttosto che sull'amore punta sul potere col quale vuole prendere in
mano in modo autonomo la propria vita. E nel fare questo, egli si fida
della menzogna piuttosto che della verità e con ciò sprofonda con la sua
vita nel vuoto, nella morte. Amore non è dipendenza, ma dono che ci fa vivere. La libertà di un essere umano è la libertà di un essere limitato ed è quindi limitata essa stessa. Possiamo possederla
soltanto come libertà condivisa, nella comunione delle libertà: solo se
viviamo nel modo giusto l'uno con l'altro e l'uno per l'altro, la
libertà può svilupparsi. Noi viviamo nel modo giusto, se viviamo
secondo la verità del nostro essere e cioè secondo la volontà di Dio.
Perché la volontà di Dio non è per l'uomo una legge imposta dall'esterno
che lo costringe, ma la misura intrinseca della sua natura, una misura
che è iscritta in lui e lo rende immagine di Dio e così creatura libera. Se
noi viviamo contro l'amore e contro la verità – contro Dio –, allora ci
distruggiamo a vicenda e distruggiamo il mondo. Allora non troviamo la
vita, ma facciamo l'interesse della morte.
Tutto questo è raccontato con immagini immortali nella storia della
caduta originale e della cacciata dell'uomo dal Paradiso terrestre.
Cari fratelli
e sorelle! Se riflettiamo sinceramente su di noi e sulla nostra storia,
dobbiamo dire che con questo racconto è descritta non solo la storia
dell'inizio, ma la storia di tutti i tempi, e che tutti portiamo dentro
di noi una goccia del veleno di quel modo di pensare illustrato nelle
immagini del Libro della Genesi. Questa goccia di veleno la chiamiamo peccato originale. Proprio nella festa dell'Immacolata Concezione emerge in noi il
sospetto che una persona che non pecchi affatto sia in fondo noiosa;
che manchi qualcosa nella sua vita: la dimensione drammatica dell'essere
autonomi; che faccia parte del vero essere uomini la libertà del dire
di no, lo scendere giù nelle tenebre del peccato e del voler fare da sé;
che solo allora si possa sfruttare fino in fondo tutta la vastità e la
profondità del nostro essere uomini, dell'essere veramente noi stessi;
che dobbiamo mettere a prova questa libertà anche contro Dio per
diventare in realtà pienamente noi stessi.
Con una parola, noi pensiamo che il male in fondo sia buono, che di
esso, almeno un po', noi abbiamo bisogno per sperimentare la pienezza
dell'essere. Pensiamo che Mefistofele – il tentatore – abbia ragione
quando dice di essere la forza "che sempre vuole il male e sempre opera
il bene" (J.W. v. Goethe, Faust I, 3). Pensiamo che patteggiare
un po' col male, riservarsi un po' di libertà contro Dio, in fondo, sia
bene, forse sia addirittura necessario.Guardando però il mondo intorno a noi, possiamo vedere che non è così, che cioè il male avvelena sempre, non innalza l'uomo, ma lo abbassa e lo umilia, non lo rende più grande, più puro e più ricco, ma lo danneggia e lo fa diventare più piccolo. Questo dobbiamo piuttosto imparare nel giorno dell'Immacolata: l'uomo che si abbandona totalmente nelle mani di Dio non diventa un burattino di Dio, una noiosa persona consenziente; egli non perde la sua libertà. Solo l'uomo che si affida totalmente a Dio trova la vera libertà, la vastità grande e creativa della libertà del bene. L'uomo che si volge verso Dio non diventa più piccolo, ma più grande, perché grazie a Dio e insieme con Lui diventa grande, diventa divino, diventa veramente se stesso. L'uomo che si mette nelle mani di Dio non si allontana dagli altri, ritirandosi nella sua salvezza privata; al contrario, solo allora il suo cuore si desta veramente ed egli diventa una persona sensibile e perciò benevola ed aperta. Più l'uomo è vicino a Dio, più vicino è agli uomini. Lo vediamo in Maria”. ......... BenedettoXVI |
Postato da: giacabi a 14:56 |
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benedettoxvi
da :http://www.libero-news.it/libero/index.jsp 24-12-2006
MA – sinceramente !
ABBIAMO VERAMENTE
BISOGNO DI CRISTO per il 2007 ?
Nel
suo “Messaggio Urbi et orbi” per il Natale 2006, Benedetto XVI ha
voluto dare risposta proprio a questa domanda. Ha detto fra l’altro: d
Come
non sentire che proprio dal fondo di questa umanità gaudente e
disperata si leva un’invocazione straziante di aiuto? E’ Natale: oggi
entra nel mondo "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9).
"Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (ibid.,
1,14), proclama l’evangelista Giovanni. Oggi, proprio oggi, Cristo viene
nuovamente "fra la sua gente" e a chi l’accoglie dà " il potere di
diventare figlio di Dio"; offre cioè l’opportunità di vedere la gloria
divina e di condividere la gioia dell’Amore, che a Betlemme si è fatto
carne per noi. Oggi, anche oggi, "il nostro Salvatore è nato nel mondo",
perché sa che abbiamo bisogno di Lui. Malgrado le tante forme di
progresso, l’essere umano è rimasto quello di sempre: una libertà tesa
tra bene e male, tra vita e morte. E’ proprio lì, nel suo intimo, in
quello che la Bibbia chiama il "cuore", che egli ha sempre necessità di essere "salvato". E nell’attuale
epoca post moderna ha forse ancora più bisogno di un Salvatore, perchè
più complessa è diventata la società in cui vive e più insidiose si sono
fatte le minacce per la sua integrità personale e morale. Chi può
difenderlo se non Colui che lo ama al punto da sacrificare sulla croce
il suo unigenito Figlio come Salvatore del mondo? .
Di fronte a un anno nuovo che sta cominciando, proviamo a ragionare a ritroso nella storia e chiediamoci come sarebbe il mondo e la nostra vita e la storia se Gesù non fosse venuto… E SE GESU’ NON FOSSE VENUTO ? di Antonio Socci E se Gesù non fosse nato? Non ci sarebbero – per esempio – né università, né ospedali. E nemmeno la musica. E’ facile provare storicamente che queste istituzioni, nate nel medioevo cristiano (come le Cattedrali e l’arte occidentale), sarebbero state del tutto inconcepibili senza la storia cristiana. Se Gesù non fosse venuto fra noi non ci sarebbe neanche lo Stato laico, perché – come ha dimostrato Joseph Ratzinger in un memorabile discorso alla Sorbona – è Lui che ha desacralizzato il potere il quale da sempre ha usato le religioni per assolutizzare se stesso. Dopo Gesù, Cesare non si può più sovrapporre a Dio, non può avere più un potere assoluto sulle persone e le cose. Inizia la storia della libertà umana. Se Gesù non fosse nato le donne non avrebbero alcun diritto, sarebbero considerate ancora “cose” su cui gli uomini hanno potere di vita e di morte, com’era perfino nella Roma imperiale. Se Gesù non fosse nato vecchi e malati continuerebbero ad essere abbandonati. Se Gesù non fosse nato non esisterebbero i “diritti dell’uomo”. Né la democrazia (ripeto: la democrazia e la libertà sarebbero stati inconcepibili). Se Gesù non fosse venuto avremmo ancora un sistema economico fondato strutturalmente sulla schiavitù e quindi arretrato (oltreché disumano e bestiale), sempre al limite della sussistenza. Invece Gesù è venuto e il continente che l’ha accolto, il continente cristiano per eccellenza, l’Europa, di colpo ha fatto un balzo inaudito nella storia umana, lasciando indietro tutto il resto del mondo, perfino civiltà molto più antiche, come quella cinese. Gesù è venuto e l’essere umano è fiorito: la sua intelligenza, la sua genialità, la sua umanità, la sua creatività, la sua razionalità (soprattutto!). Chi – abbeverato alle fonti avvelenate dell’ideologia dominante - nutre qualche dubbio in proposito può trovare intere biblioteche che lo dimostrano, ma, per tagliar corto, in queste giorni di vacanze può cavarsela leggendosi un libro. L’autore non è un apologeta cattolico, ma un sociologo americano di una università yankee: Rodney Stark. Il suo libro è stato tradotto da Lindau col titolo: “La vittoria della Ragione”. Sottotitolo: “Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza”. Il suo excursus lungo i secoli è documentatissimo e chiaro. Spiega che quando gli europei per primi cominciarono a esplorare il mondo, ciò che li stupì fu “la scoperta del loro grado di superiorità tecnologica rispetto alle altre società”. Stark – per farsi capire - scende nei particolari: “Perché per secoli gli europei rimasero gli unici a possedere occhiali da vista, camini, orologi affidabili, cavalleria pesante o un sistema di notazione musicale?”. Il perché – come spiega Stark - risale a quella razionalità e a quel genio della realtà fioriti col cristianesimo. Gli esempi sembrano minimi (gli occhiali, i camini), ma si tratta di oggetti di uso quotidiano che hanno rivoluzionato la vita e la qualità della vita. Inoltre vanno compresi all’interno delle conquiste più grandi. Stark dimostra che è dal cristianesimo, dalla conoscenza di un Dio che ha razionalmente ordinato il cosmo, che deriva la “straordinaria fede nella ragione” che connota l’Occidente cristiano. “Sin dagli albori i padri della Chiesa insegnarono che la ragione era il dono più grande che Dio aveva offerto agli uomini… Il cristianesimo fu la sola religione ad accogliere l’utilizzo della ragione e della logica come guida principale verso la verità religiosa”. Da qui, da questa “vittoria della ragione”, da questa certezza che il mondo non è una divinità, né un capriccio inconoscibile degli dèi, ma è creato secondo un Logos razionale e può essere compreso e dominato dall’uomo, derivano la scienza, la tecnologia e – per esempio – come conseguenza ultima di tipo sociale, il “capitalismo”, cioè quel sistema di produzione regolato che ha portato a una prosperità mai conosciuta prima nella storia umana. Naturalmente andiamo per grandi lineee. Potremmo dettagliare tutte le cose che stanno dentro queste svolte storiche: la legittimazione teologica e morale della proprietà privata e del profitto, la limitazione dell’arbitrio dello Stato, il diritto della persona a non essere schiavizzato (che ha provocato una quantità di scoperte e conquiste tecnologiche). La teoria della democrazia e dei diritti dell’uomo fiorì nei grandi monasteri che hanno civilizzato l’Europa barbarica, poi nelle università medievali e nella teologia successiva. Ed è stata recepita nelle istituzioni. E’ tutto un sistema di pensiero e di valori che ha letteralmente dato forma al nostro vivere quotidiano e che deriva da ciò che il cristianesimo ha portato nella storia umana. Il progresso stesso è un concetto nato dai padri della Chiesa e che non è concepibile se non nella concezione cristiana della storia. Stark dettaglia fino a particolari a cui noi normalmente neanche facciamo caso. Accendere la luce, avere acqua e riscaldamento in casa, muoversi a velocità inaudita sul pianeta coprendo distanze immense, comunicare da un capo all’altro del mondo, disporre di cibo oltre ogni immaginazione, dominare lo spazio, debellare tante malattie allungando la vita umana di decenni…. Tutto questo – letteralmente – non sarebbe stato neanche immaginabile se quel giorno di duemila anni fa, a Betlemme di Giudea, non fosse nato Gesù. Non è un caso se le conquiste dell’Occidente cristiano hanno civilizzato e umanizzato tutto il mondo. Ma l’origine sta in quella strepitosa liberazione dell’umano e delle sue immense energie e potenzialità che è iniziata quando è venuto Gesù. Per questo – e non a caso - la storia di divide: prima di Cristo e dopo di Lui. Per questo anche un laico – se minimamente colto e avvertito – celebra il Natale come l’alba della prosperità e della libertà. Sia chiaro: non che l’occidente cristiano sia di colpo diventato immune dal male. Tutt’altro. Il rischio di ripiombare nelle tenebre della disumanità è stato sempre presente ed è continuo. Ma anche il male dell’uomo, nel corso dei secoli, ha trovato finalmente la forza inesausta di Cristo nella Chiesa che l’ha contrastato, l’ha perdonato e redento, dilagando nella storia dei popoli cristiani. Un grande poeta, Thomas. S. Eliot, ha colto questa drammatica lotta (di ogni giorno) dei popoli cristiani per vincere nel corso dei secoli la barbarie e la bestialità con questi versi: “Attraverso la Passione e il Sacrificio, salvati a dispetto del loro essere negativo;/ Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima;/ Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce./ Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via”. Infatti, nonostante la liberazione storica che ha prodotto, Gesù non è nato innanzitutto per civilizzare il mondo, ma per santificare gli uomini, per renderli, da bestiali, divini. Diceva S. Agostino: “Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre se lui non fosse nato nel tempo. Mai saresti stato libero dalla carne del peccato, se lui non avesse assunto una carne simile a quella del peccato. Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se Lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se Lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se Lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se lui non fosse arrivato”. Se non fosse nato Gesù, saremmo tutti dei disperati. Ma Lui è venuto fra noi. |
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