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sabato 4 febbraio 2012

benedettoXVI,4

I peccati dei cristiani
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Tutti i peccati dei cristiani nella storia non derivano dalla loro fede nel Cielo, ma dal fatto che non credono abbastanza nel Cielo
J. Ratzinger

Postato da: giacabi a 17:28 | link | commenti
benedettoxvi

venerdì, 15 agosto 2008
Bellezza e ragione
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Fonte: CulturaCattolica.it
Il papa nella sua vacanza a Bressanone non cessa di essere padre e pastore, sollecitato infatti dalla domanda di un sacerdote ha proposto a tutti una straordinaria riflessione sulla bellezza come necessaria componente della verità.
Un tema a noi particolarmente caro grazie anche alla lezione di mons. Giussani che, dello sguardo alla Bellezza capace di rendere più acuto il vedere della ragione, ha fatto il leit motiv della sua vita.
Il Santo Padre afferma che «quando, in questa nostra epoca, discutiamo della ragionevolezza della fede, discutiamo proprio del fatto che la ragione non finisce dove finiscono le scoperte sperimentali, essa non finisce nel positivismo; la teoria dell’evoluzione vede la verità, ma ne vede soltanto metà: non vede che dietro c’è lo Spirito della creazione. Noi stiamo lottando per l’allargamento della ragione e quindi per una ragione che, appunto, sia aperta anche al bello e non debba lasciarlo da parte come qualcosa di totalmente diverso e irragionevole».

Un pensiero che non può non rimandare al grande Hans Urs von Balthasar e alla sua monumentale opera di teologia estetica intitolata Gloria.
Nel primo volume dal titolo Percezione della forma, egli fin dalle prime battute invita a riflettere come anche la Chiesa nel nostro tempo (e lo diceva già nel 1961) abbia privilegiato il verum e il bonum dimenticando il pulchrum. Si è data cioè maggior attenzione alla verità e alla ragione, all’aspetto più speculativo dell’esperienza umana, si è data maggior attenzione all’etica, alla dimensione morale della vita, dimenticando quell’aspetto strettamente contemplativo, che coinvolge così interamente lo stupore, quale è la Bellezza.
La Bellezza è il terzo trascendentale senza il quale l’uomo non può stare, è quella parola a cui il filosofo perviene ma dalla quale non potrà mai partire, è quella parola dalla quale certa scienza e financo certa teologia prenderà le distanze perchè anacronistica e fragile, mentre è la parola da cui l’uomo religioso, il credente parte perchè è la sola vera parola iniziale dalla quale anche il vero e il bene traggono forza.

«La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione, ma che, come maschera strappata al suo volto, mette allo scoperto dei tratti che minacciano di riuscire incomprensibili agli uomini. Essa è la bellezza alla quale non osiamo più credere e di cui abbiamo fatto un’apparenza per potercene liberare a cuor leggero. Essa è la bellezza infine che esige (come è oggi dimostrato) per lo meno altrettanto coraggio e forza di decisione della verità e della bontà, e la quale non si lascia ostracizzare e separare da queste sue due sorelle senza trascinarle con sé in una vendetta misteriosa. Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che - segretamente o apertamente - non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare. Il secolo XIX si è ancora aggrappato, in un’ebbrezza appassionata, alle vesti della bellezza fuggente, alle cocche svolazzanti del vecchio mondo che si dissolveva (“Elena abbraccia Faust, il corporeo svanisce, la veste e il velo gli rimangono tra le braccia... le vesti di Elena si dissolvono in nubi, circondando Faust, lo sollevano in alto e si dileguano con lui”, Faust II, atto III); il mondo illuminato da Dio diventa apparenza e sogno, romanticismo, presto ormai soltanto musica, ma, dove la nube si dissolve, rimane l’immagine insostenibile dell’angoscia, la nuda materia; poiché però non c’è più nulla e tuttavia si ha pur bisogno di abbracciar qualcosa, allora si spinge l’uomo del nostro tempo a questo Imene impossibile, che alla fine gli fa venire in uggia qualsiasi forma di amore. Ma ciò di cui l’uomo non è più capace, ciò per cui è diventato impotente, non può più, proprio perché si sottrae alla sua sottomissione, essere da lui sostenuto. Non resta che negarlo o circondarlo di un silenzio di morte.

In un mondo senza bellezza - anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso -, in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto più eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici? In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica: i sillogismi cioè ruotano secondo il ritmo prefissato, come delle macchine rotative o dei calcolatori elettronici che devono sputare un determinato numero di dati al minuto, ma il processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda più nessuno e la stessa conclusione non conclude più.

E se è così dei trascendentali, solo perché uno di essi è stato trascurato, che ne sarà dell’essere stesso? Se Tommaso poteva contrassegnare l’essere come “una certa luce” per l’ente, questa
luce non si spegnerà là dove si è disimparato il linguaggio della luce stessa e non si lascia più che il mistero dell’essere esprima se stesso? Ciò che avanza è solo una porzione di esistenza che per quanto, come spirito, pretenda attribuirsi anche una certa libertà, rimane tuttavia completamente oscura e incomprensibile a se stessa. La testimonianza dell’essere diventa incredibile per colui il quale non riesce più a cogliere il bello». [H. U. von Balthasar, Gloria, Jaca Book, Milano, 1985, vol. I, pagg. 10-12]

Una posizione affascinante se pensiamo a quali conseguenze stiamo assistendo per l’esilio di questo terzo trascendentale. La verità è precipitata in un relativismo inafferrabile, la morale è concepita solo dentro un soggettivismo cieco ed aberrante e la bellezza è stata confinata entro un’estetica svuotata di contenuti valoriali. Persino la ragione si è persa, direbbe il Magnificat, nei pensieri superbi del cuore se sganciata da questa mistero estatico della Bellezza carica di Mistero.

La riflessione di Benedetto XVI getta allora una luce straordinaria sul nostro vivere quotidiano: «Questo è il punto. Questo, penso, è in qualche modo la prova della verità del cristianesimo: cuore e ragione si incontrano, bellezza e verità si toccano. E quanto più noi stessi riusciamo a vivere nella bellezza della verità, tanto più la fede potrà tornare ad essere creativa anche nel nostro tempo e ad esprimersi in una forma artistica convincente»
Sì davvero questo è il punto. Il punto da cui partire e a cui tendere con tutta la propria condotta.
                                                                                                             
  ad:A.

Postato da: giacabi a 07:42 | link | commenti
bellezza, benedettoxvi, von balthasar

venerdì, 25 luglio 2008
La persona umana
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La persona umana non è d’altra parte soltanto ragione, intelligenza. Porta dentro di sé, nel più profondo del suo essere, il bisogno di amare, di essere amata e di amare a sua volta”.
 Benedetto XVI

Postato da: giacabi a 18:35 | link | commenti (2)
persona, benedettoxvi

giovedì, 12 giugno 2008
La dignità della persona
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 « Come ho scritto nella mia prima Enciclica Deus caritas est: "L’uomo diventa realmente se stesso quando corpo e anima si ritrovano in intima unità… Non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l’uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima" (n. 5). Tolta questa unità si perde il valore della persona e si cade nel grave pericolo di considerare il corpo come un oggetto che si può comperare o vendere (cfr ibid.). In una cultura sottoposta alla prevalenza dell’avere sull’essere, la vita umana rischia di perdere il suo valore. Se l’esercizio della sessualità si trasforma in una droga che vuole assoggettare il partner ai propri desideri e interessi, senza rispettare i tempi della persona amata, allora ciò che si deve difendere non è più solo il vero concetto dell’amore, ma in primo luogo la dignità della persona stessa. Come credenti non potremmo mai permettere che il dominio della tecnica abbia ad inficiare la qualità dell’amore e la sacralità della vita.»
Benedetto XVI UDIENZA AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE PROMOSSO DALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE, NEL 40° ANNIVERSARIO DELL’ENCICLICA "HUMANAE VITAE", 10.05.2008

Postato da: giacabi a 14:05 | link | commenti (1)
persona, benedettoxvi

sabato, 07 giugno 2008
Il caso?
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"Nel mondo non esiste solo la necessità, ma anche il caso, dice Monod. Come cristiani noi andremmo ancora un gradino più a fondo e diremmo: esiste anche la libertà. Ma ritorniamo a Monod. Egli ricorda che esistono in particolare due realtà, che non dovevano necessariamente esistere: potevano, ma non dovevano necessariamente esistere. Una delle due è la vita. Secondo le leggi fisiche, la vita poteva, e non doveva, aver origine. Anzi, egli aggiunge: era estremamente inverosimile che ciò si verificasse. La probabilità matematica in questo senso era pressoché nulla, per cui possiamo anche ritenere che la vita, questo evento estremamente improbabile, si sia verificata una sola volta sulla nostra terra.
La seconda realtà, che poteva ma non doveva necessariamente essere, è il misterioso essere uomo. Anche lui è così improbabile che Monod afferma in veste di scienziato: dato l’alto grado di improbabilità può darsi benissimo che solo una volta si sia verificato l’evento che ha dato origine a questo essere. Noi siamo un caso, conclude. Abbiamo estratto un numero fortunato alla lotteria, dobbiamo paragonarci a una persona che inaspettatamente ha vinto un miliardo alla lotteria.
 Nel suo linguaggio ateo egli non fa che ripetere quel che la fede dei secoli passati aveva chiamato la «contingenza» dell’uomo e quel che per la fede si era tramutato in preghiera: io non dovrei essere, ma sono, e tu, o Dio, mi hai voluto. Solo che al posto della volontà di Dio Monod mette il caso e la lotteria, che ci avrebbero dato origine. Se le cose stessero così, sarebbe davvero difficile affermare che si è trattato di un colpo di fortuna. Non molto tempo fa un taxista mi faceva osservare che un numero crescente di giovani spesso ripete: «Non mi è mai stato chiesto se volevo nascere». E un maestro mi riferiva: «Ho cercato di indurre un alunno ad essere grato ai genitori dicendogli: “Devi pur loro la vita!“. Ma egli mi ha risposto: “Di questo non sono proprio grato!”». Quel piccolo non vedeva alcuna fortuna nell’essere uomo. E in effetti, se siamo stati gettati dal caso cieco nel mare del nulla, abbiamo sufficienti motivi per ritenere questo fatto un colpo di sfortuna. Solo se sappiamo che esiste uno che non ha tirato ciecamente a sorte, che noi non siamo un caso, bensì siamo dalla libertà e dall’amore, allora noi, i non necessari, possiamo ringraziare per questa libertà e riconoscere con gratitudine che è un dono essere uomini."
Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, In principio Dio creò il cielo e la terra Riflessioni sulla creazione e il peccato, «I Pellicani» - religione, cristianesimo, spiritualità – Edizioni Lindau, Torino Ottobre 2006

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dio, benedettoxvi, senso religioso

venerdì, 06 giugno 2008
L’uomo ha bisogno di una compagnia
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cardinal Joseph Ratzinger Meditazioni sul Sabato Santo da: 30giorni


Se un bambino si dovesse avventurare da solo nella notte buia attraverso un bosco, avrebbe paura anche se gli si dimostrasse centinaia di volte che non c’è alcun pericolo. Egli non ha paura di qualcosa di determinato, a cui si può dare un nome, ma nel buio sperimenta l’insicurezza, la condizione di orfano, il carattere sinistro dell’esistenza in sé. Solo una voce umana potrebbe consolarlo; solo la mano di una persona cara potrebbe cacciare via come un brutto sogno l’angoscia. C’è un’angoscia – quella vera, annidata nella profondità delle nostre solitudini – che non può essere superata mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama. Quest’angoscia infatti non ha un oggetto a cui si possa dare un nome, ma è solo l’espressione terribile della nostra solitudine ultima. Chi non ha sentito la sensazione spaventosa di questa condizione di abbandono? Chi non avvertirebbe il miracolo santo e consolatore suscitato in questi frangenti da una parola di affetto? Laddove però si ha una solitudine tale che non può essere più raggiunta dalla parola trasformatrice dell’amore, allora noi parliamo di inferno. E noi sappiamo che non pochi uomini del nostro tempo, apparentemente così ottimistico, sono dell’avviso che ogni incontro rimane in superficie, che nessun uomo ha accesso all’ultima e vera profondità dell’altro e che quindi nel fondo ultimo di ogni esistenza giace la disperazione, anzi l’inferno. Jean-Paul Sartre ha espresso questo poeticamente in un suo dramma e nello stesso tempo ha esposto il nucleo della sua dottrina sull’uomo. Una cosa è certa: c’è una notte nel cui buio abbandono non penetra alcuna parola di conforto, una porta che noi dobbiamo oltrepassare in solitudine assoluta: la porta della morte. Tutta l’angoscia di questo mondo è in ultima analisi l’angoscia provocata da questa solitudine. Per questo motivo nel Vecchio Testamento il termine per indicare il regno dei morti era identico a quello con cui si indicava l’inferno: shêol. La morte infatti è solitudine assoluta. Ma quella solitudine che non può essere più illuminata dall’amore, che è talmente profonda che l’amore non può più accedere a essa, è l’inferno.
      «Disceso all’inferno»: questa confessione del Sabato santo sta a significare che Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, che è disceso nel fondo irraggiungibile e insuperabile della nostra condizione di solitudine. Questo sta a significare però che anche nella notte estrema nella quale non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo come bambini cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce. La solitudine insuperabile dell’uomo è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa
. L’inferno è stato vinto dal momento in cui l’amore è anche entrato nella regione della morte e la terra di nessuno della solitudine è stata abitata da lui. Nella sua profondità l’uomo non vive di pane, ma nell’autenticità del suo essere egli vive per il fatto che è amato e gli è permesso di amare. A partire dal momento in cui nello spazio della morte si dà la presenza dell’amore, allora nella morte penetra la vita: ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata – prega la Chiesa nella liturgia funebre.
      Nessuno può misurare in ultima analisi la portata di queste parole: «disceso all’inferno». Ma se una volta ci è dato di avvicinarci all’ora della nostra solitudine ultima, ci sarà permesso di comprendere qualcosa della grande chiarezza di questo mistero buio. Nella certa speranza che in quell’ora di estrema solitudine non saremo soli, possiamo già adesso presagire qualcosa di quello che avverrà. E
in mezzo alla nostra protesta contro il buio della morte di Dio cominciamo a diventare grati per la luce che viene a noi proprio da questo buio.

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amicizia, solitudine, gesù, benedettoxvi

giovedì, 05 giugno 2008
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di Andrea Tornielli
Tratto da Il Giornale del 20 maggio 2008



Sono quattro e sono i veri «angeli custodi» della casa di Papa Ratzinger. Non stiamo parlando dei gendarmi vaticani, ma di Loredana, Carmela, Cristina e Manuela, le laiche che curano la cucina, l’appartamento, il vestiario di Benedetto XVI.



La loro discrezione è assoluta, i loro nomi non compaiono sull’Annuario pontificio, svolgono un servizio nel più totale anonimato, riescono a sottrarsi ai flash dei fotografi perché non compaiono in pubblico accanto al Pontefice, nessuna di loro ha mai concesso interviste. Il loro è un compito importante, pur nel nascondimento, perché contribuiscono a creare un clima familiare che giova alla serenità del Papa, del suo segretario particolare don Georg Gänswein e del secondo segretario Alfred Xuereb, di origini maltesi.

La presenza di laiche al servizio dei Pontefici non è una novità: Pio XI, il brianzolo Achille Ratti, appena eletto, nel 1922 volle con sé a Roma la governante Teodolinda Banfi, che accudiva la sua casa da moltissimi anni. Era del tutto inusuale che un’esponente del gentil sesso si occupasse dell’appartamento papale, e quando fu fatto presente al Pontefice che si trattava di una prima volta e che sarebbe stato opportuno soprassedere, Pio XI non ci pensò due volte a confermare la decisione presa e rispose: «Vorrà dire che sarò il primo...». Di acqua sotto i ponti, da allora, ne è passata tanta. Giovanni Paolo II aveva con sé nell’appartamento alcune suore polacche.
Subito dopo l’elezione, Joseph Ratzinger, che già aveva avuto modo di conoscerle, le ha volute in Vaticano. Due di loro sono pugliesi, la terza è marchigiana, la quarta originaria del cesenate. Appartengono ai «memores Domini», l’associazione che riunisce laici di Comunione e Liberazione che seguono una vocazione di dedizione totale a Dio nella verginità, obbedienza e povertà, vivendo nel mondo.

Loredana è la colonna portante della spaziosa cucina pontificia,

rinnovata nell’estate del 2005 con mobili color metallo e ripiani grigi. Sul grande tavolo di marmo prendono forma i piatti serviti quotidianamente al Pontefice e ai suoi eventuali ospiti. Chi ha frequentato la mensa di Benedetto XVI ricorda in particolare i primi piatti, come la pasta al curry, i rigatoni al prosciutto, la pasta al salmone e zucchine, il risotto allo zafferano. Tra i secondi, particolarmente apprezzati sono gli involtini di pollo e gli straccetti con rucola e parmigiano. Loredana si occupa della spesa e tiene i contatti con il supermercato vaticano, oltre che selezionare le verdure che arrivano ogni mattina dagli orti di Castelgandolfo.

Anche Carmela lavora in cucina
, ed è specializzata nei dolci, che sono ottimi ma leggeri. Insieme all’immancabile strudel ci sono tiramisù alla frutta e le crostate. Oltre che provvedere ai dolci per le occasioni speciali, Carmela cura anche la stanza del Pontefice e il suo guardaroba.

A Cristina è invece affidata la cappella dell’appartamento papale, dove Benedetto XVI celebra la messa alle sette di ogni mattina e che rappresenta un po’ il cuore della casa, dove la speciale «famiglia» si riunisce in preghiera. Ma svolge anche di tanto in tanto dei lavori di segreteria, affiancando i collaboratori del Papa.


A Manuela infine tocca la cura degli appartamenti dei segretari. Inoltre, si occupa del magazzino dei doni rappresentati da generi alimentari e ne segue la redistribuzione, dato che Ratzinger e i suoi «familiari» non possono consumare tutto ciò che viene loro donato.

I quattro «angeli custodi» della casa del Papa fanno brevi vacanze a turno. E, insieme ai due segretari, quando Benedetto XVI non ha ospiti a pranzo, siedono a tavola con lui. Dall’esterno arrivano quotidianamente nell’appartamento suor Birgit, che batte a macchina i testi del Papa, e l’aiutante di camera Paolo Gabriele

Postato da: giacabi a 14:32 | link | commenti (2)
benedettoxvi

mercoledì, 04 giugno 2008

La Libertà
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"Una concezione della libertà, che voglia considerare come liberazione soltanto la dissoluzione sempre più ampia delle norme e l'ampliamento continuo delle libertà individuali fino alla totale liberazione da ogni ordinamento, è falsa. La libertà, se non intende portare alla menzogna e all'autodistruzione, deve orientarsi alla verità, ossia a ciò che veramente noi siamo e corrispondere a questo nostro essere. Poiché l'uomo è un'essenza nell'"essere da", nell'"essere con" e nell'"essere per", la libertà umana può consistere solo nell'ordinata concordia delle libertà. Il diritto non è pertanto il contrario delle libertà, ma la sua condizione, ne è anzi costitutivo. La liberazione non consiste nella progressiva abolizione del diritto e delle norme, ma nella purificazione di noi stessi e nella purificazione delle norme, così che esse rendano possibile la convivenza umana delle libertà.
 Card. Joseph Ratzinger clicca Qui
 Tratto da Studi Cattolici, 430, dicembre 1996

Postato da: giacabi a 14:33 | link | commenti (2)
libertà, benedettoxvi

lunedì, 02 giugno 2008
Ogni persona ha bisogno di un "centro" della propria vita
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Dall'orizzonte infinito del suo amore, infatti, Dio ha voluto entrare nei limiti della storia e della condizione umana, ha preso un corpo e un cuore; così che noi possiamo contemplare e incontrare l'infinito nel finito, il Mistero invisibile e ineffabile nel Cuore umano di Gesù, il Nazareno. Nella mia prima Enciclica sul tema dell'amore, il punto di partenza è stato proprio lo sguardo rivolto al costato trafitto di Cristo, di cui ci parla Giovanni nel suo Vangelo (cfr 19,37; Deus caritas est, 12). E questo centro della fede è anche la fonte della speranza nella quale siamo stati salvati, speranza che ho fatto oggetto della seconda Enciclica.
Ogni persona ha bisogno di un "centro" della propria vita, di una sorgente di verità e di bontà a cui attingere nell'avvicendarsi delle diverse situazioni e nella fatica della quotidianità. Ognuno di noi, quando si ferma in silenzio, ha bisogno di sentire non solo il battito del proprio cuore, ma, più in profondità, il pulsare di una presenza affidabile, percepibile coi sensi della fede e tuttavia molto più reale: la presenza di Cristo, cuore del mondo. Invito pertanto ciascuno a rinnovare nel mese di giugno la propria devozione al Cuore di Cristo, valorizzando anche la tradizionale preghiera di offerta della giornata e tenendo presenti le intenzioni da me proposte a tutta la Chiesa.
Accanto al Sacro Cuore di Gesù, la liturgia ci invita a venerare il Cuore Immacolato di Maria. Affidiamoci sempre a Lei con grande confidenza”
Papa Benedetto XVI all'Angelus del 1 giugno 2008
grazie a:Graciete

Postato da: giacabi a 12:36 | link | commenti (1)
benedettoxvi

domenica, 25 maggio 2008

Preghiamo per la Chiesa in Cina

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24 Maggio 2008

Oggi Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, indetta da Benedetto XVI, preghiamo secondo le intenzioni del Santo Padre «affinché l’unità sia sempre più profonda e visibile… chiedendo al Signore della storia il dono della perseveranza nella testimonianza» per i fratelli della Cina.
Preghiera a Nostra Signora di Sheshan scritta da Benedetto XVI
Vergine Santissima, Madre del Verbo incarnato e Madre nostra,
venerata col titolo di “Aiuto dei cristiani” nel Santuario di Sheshan
,
verso cui guarda con devoto affetto l’intera Chiesa che è in Cina,
veniamo oggi davanti a te per implorare la tua protezione.
Volgi il tuo sguardo al Popolo di Dio e guidalo con sollecitudine materna
sulle strade della verità e dell’amore, affinché sia in ogni circostanza
fermento di armoniosa convivenza tra tutti i cittadini.
Con il docile “sì” pronunciato a Nazaret tu consentisti
all’eterno Figlio di Dio di prendere carne nel tuo seno verginale
e di avviare così nella storia l’opera della Redenzione,
alla quale cooperasti poi con solerte dedizione,
accettando che la spada del dolore trafiggesse la tua anima,
fino all’ora suprema della Croce, quando sul Calvario restasti
ritta accanto a tuo Figlio che moriva perché l’uomo vivesse.
Da allora tu divenisti, in maniera nuova, Madre
di tutti coloro che accolgono nella fede il tuo Figlio Gesù
e accettano di seguirlo prendendo la sua Croce sulle spalle.
Madre della speranza, che nel buio del Sabato santo andasti
con incrollabile fiducia incontro al mattino di Pasqua,
dona ai tuoi figli la capacità di discernere in ogni situazione,
fosse pur la più buia, i segni della presenza amorosa di Dio
.
Nostra Signora di Sheshan, sostieni l’impegno di quanti in Cina,
tra le quotidiane fatiche, continuano a credere, a sperare, ad amare,
affinché mai temano di parlare di Gesù al mondo e del mondo a Gesù
.
Nella statua che sovrasta il Santuario tu sorreggi in alto tuo Figlio,
presentandolo al mondo con le braccia spalancate in gesto d’amore.
Aiuta i cattolici ad essere sempre testimoni credibili di questo amore,
mantenendosi uniti alla roccia di Pietro su cui è costruita la Chiesa.
Madre della Cina e dell’Asia, prega per noi ora e sempre.
Amen!
 grazie a:fontana vivace

Postato da: giacabi a 22:50 | link | commenti
cina, preghiere, benedettoxvi

martedì, 29 aprile 2008
L'amore di Dio è anche eros
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L'amore di Dio è anche eros... L'eros fa parte del cuore stesso di Dio: l’Onnipotente attende il "si" delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa... Nella Croce si manifesta l'eros di Dio per noi. Eros è infatti -come si esprime lo Pseudo Dìonigi - quella forza "che non permette all'amante di rìmanere in se stesso.., ma la spinge a unirsi all'amato". Quale più "folle eros" di quello che ha portato il Figlio di Dio ad unirsi a noi fino al punto di soffrire come proprie le conseguenze dei nostri delitti?.. Guardiamo a Cristo trafitto in Croce! E Lui la rivelazione più sconvolgente dell'amore di Dio, un amore in cui eros e agape, lungi dal contrapporsi, si illuminano a vicenda. Sulla Croce è Dio stesso che mendica l'amore della sua creatura: Egli ha sete dell'amore di ognuno di noi... Si potrebbe addirittura dire che la rivelazione dell'eros di Dio verso l'uomo è, in realtà, l'espressione suprema della sua agape. In verità, solo l'amore in cui si uniscono il dono gratuito di sé e il desiderio appassionato dì reciprocità infonde un'ebbrezza che rende leggeri i sacrifici più pesanti. Gesù ha detto: "Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me". La risposta che il Signore ardentemente desidera da noi è innanzitutto che noi accogliamo il suo amore e ci lasciamo attrarre da Lui, Accettare il suo amore, però, non basta. Occorre corrispondere a tale amore ed impegnarsi poi a comunicarlo agli altri: Cristo "mi attira a sé" per unirsi a me, perché impari ad amare i fratelli con il suo stesso amore.
Benedetto XVI MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2007 

Postato da: giacabi a 21:48 | link | commenti (1)
benedettoxvi

sabato, 26 aprile 2008

Il Papa in America

*** Video

Postato da: giacabi a 13:30 | link | commenti
benedettoxvi

sabato, 12 aprile 2008
IL PAPA CI INDICA A VOTARE  CHI RISPETTA DI PIÙ IL DECALOGO

*** 
«Guardare a Cristo!” Se questo noi facciamo, ci rendiamo conto che il cristianesimo è di più e qualcosa di diverso da un sistema morale, da una serie di richieste e di leggi. È il dono di un’amicizia che perdura nella vita e nella morte: “Non vi chiamo più servi, ma amici” (cfr Gv 15,15), dice il Signore ai suoi. A questa amicizia noi ci affidiamo. Ma proprio perché il cristianesimo è più di una morale, è appunto il dono di un’amicizia, proprio per questo porta in sé anche una grande forza morale di cui noi, davanti alle sfide del nostro tempo, abbiamo tanto bisogno. Se con Gesù Cristo e con la sua Chiesa rileggiamo in modo sempre nuovo il Decalogo del Sinai, penetrando nelle sue profondità, allora ci si rivela come un grande, valido, permanente ammaestramento. Il Decalogo è innanzitutto un sì” a Dio, a un Dio che ci ama e ci guida, che ci porta e, tuttavia, ci lascia la nostra libertà, anzi, la rende vera libertà (i primi tre comandamenti). È un sì” alla famiglia (quarto comandamento), un sì” alla vita (quinto comandamento), un “sì” ad un amore responsabile (sesto comandamento), un sì” alla solidarietà, alla responsabilità sociale e alla giustizia (settimo comandamento), un “sì” alla verità (ottavo comandamento) e un “sì” al rispetto delle altre persone e di ciò che ad esse appartiene (nono e decimo comandamento). In virtù della forza della nostra amicizia col Dio vivente noi viviamo questo molteplice “sì” e al contempo lo portiamo come indicatore di percorso in questa nostra ora del mondo.»

Postato da: giacabi a 09:38 | link | commenti
politica, benedettoxvi

domenica, 06 aprile 2008
Saluto al Santo Padre Benedetto XVI

***


 Grazie a:fontanavivace

Postato da: giacabi a 14:01 | link | commenti
benedettoxvi, carron

sabato, 05 aprile 2008
  Maria, stella della speranza
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49. Con un inno dell'VIII/IX secolo, quindi da più di mille anni, la Chiesa saluta Maria, la Madre di Dio, come « stella del mare »: Ave Maris Stella  La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicinedi persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza – lei che con il suo « sì » aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell'Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,14)?

BENEDETTO XVI  SPE SALVI              Ave Maris Stella - Edward Grieg
Ave Maris Stella                         Ave, stella del mare
Latino
Ave maris stella,
Mater Dei alma
Atque semper virgo
Felix caeli porta
Sumens illud ave
Gabrielis ore
Funda nos in pace
Mutans Evae nomen
Solve vincla reis
Profer lumen caecis
Mala nostra pelle
Bona cuncta posce
Monstra te esse matrem
Sumat per te preces
Qui pro nobis natus
Tulit esse tuus
Virgo singularis
Inter omnes mitis
Nos culpis solutos
Mites fac et castos
Vitam praesta puram
Iter para tutum
Ut videntes Jesum
Semper collaetemur
Sit laus Deo Patri
Summo Christo decus
Spiritui sancto
Honor, tribus unus
Amen.

Italiano
Ave, stella del mare
Eccelsa madre di Dio
E sempre Vergine,
Felice porta del cielo
Accogliendo quell'"Ave"
dalla bocca di Gabriele,
donaci la pace,
mutando il nome di Eva.

Sciogli i vincoli per i rei,
dà luce ai ciechi,
scaccia i nostri mali,
dacci ogni bene.

Mostrati Madre di tutti,
offri la nostra preghiera,
Cristo l'accolga benigno,
lui che si è fatto tuo Figlio.

Vergine santa fra tutte,
dolce regina del cielo,
rendi innocenti i tuoi figli,
umili e puri di cuore.

Donaci giorni di pace,
veglia sul nostro cammino,
fà che vediamo il tuo Figlio,
pieni di gioia nel cielo.

Lode all'altissimo Padre,
gloria al Cristo Signore,
salga allo Spirito Santo,
l'inno di fede e d'amore.
Amen.


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venerdì, 04 aprile 2008

Questa « cosa » ignota è la vera « speranza » ***
12. Penso che Agostino descriva lì in modo molto preciso e sempre valido la situazione essenziale dell'uomo, la situazione da cui provengono tutte le sue contraddizioni e le sue speranze. Desideriamo in qualche modo la vita stessa, quella vera, che non venga poi toccata neppure dalla morte; ma allo stesso tempo non conosciamo ciò verso cui ci sentiamo spinti. Non possiamo cessare di protenderci verso di esso e tuttavia sappiamo che tutto ciò che possiamo sperimentare o realizzare non è ciò che bramiamo. Questa « cosa » ignota   è   la     vera « speranza » che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi verso il mondo autentico e l'autentico uomo. La parola « vita eterna » cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta.
BENEDETTO XVI  SPE SALVI


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speranza, benedettoxvi

giovedì, 03 aprile 2008
  La  grande speranza
                          ***

31. Ancora: noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l'universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Proprio l'essere gratificato di un dono fa parte della speranza.
Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l'umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell'intimo aspettiamo: la vita che è « veramente » vita. Cerchiamo di concretizzare ulteriormente questa idea in un'ultima parte, rivolgendo la nostra attenzione ad alcuni « luoghi » di pratico apprendimento ed esercizio della speranza.
BENEDETTO XVI  SPE SALVI

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lunedì, 17 marzo 2008
Cristo è la vera speranza

***




«L'uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze più piccole o più grandi – diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze. Nella gioventù può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell'uno o dell'altro successo determinante per il resto della vita. Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l'uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere. In questo senso il tempo moderno ha sviluppato la speranza dell'instaurazione di un mondo perfetto che, grazie alle conoscenze della scienza e ad una politica scientificamente fondata, sembrava esser diventata realizzabile. Così la speranza biblica del regno di Dio è stata rimpiazzata dalla speranza del regno dell'uomo, dalla speranza di un mondo migliore che sarebbe il vero « regno di Dio ». Questa sembrava finalmente la speranza grande e realistica, di cui l'uomo ha bisogno. Essa era in grado di mobilitare – per un certo tempo – tutte le energie dell'uomo; il grande obiettivo sembrava meritevole di ogni impegno. Ma nel corso del tempo apparve chiaro che questa speranza fugge sempre più lontano. Innanzitutto ci si rese conto che questa era forse una speranza per gli uomini di dopodomani, ma non una speranza per me. E benché il « per tutti » faccia parte della grande speranza – non posso, infatti, diventare felice contro e senza gli altri – resta vero che una speranza che non riguardi me in persona non è neppure una vera speranza. E diventò evidente che questa era una speranza contro la libertà, perché la situazione delle cose umane dipende in ogni generazione nuovamente dalla libera decisione degli uomini che ad essa appartengono. Se questa libertà, a causa delle condizioni e delle strutture, fosse loro tolta, il mondo, in fin dei conti, non sarebbe buono, perché un mondo senza libertà non è per nulla un mondo buono.»                                                                                                          Benedetto XVI Spes Salvi

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venerdì, 14 marzo 2008
L'angoscia di una assenza.
 Meditazioni sul Sabato Santo
***
del cardinal Joseph Ratzinger
      PRIMA MEDITAZIONE
     
  
    Con sempre maggior insistenza si sente parlare nel nostro tempo della morte di Dio. Per la prima volta, in Jean Paul, si tratta solo di un sogno da incubo: Gesù morto annuncia ai morti, dal tetto del mondo, che nel suo viaggio nell’aldilà non ha trovato nulla, né cielo, né Dio misericordioso, ma solo il nulla infinito, il silenzio del vuoto spalancato. Si tratta ancora di un sogno orribile che viene messo da parte, gemendo nel risveglio, come un sogno appunto, anche se non si riuscirà mai a cancellare l’angoscia subita, che stava sempre in agguato, cupa, nel fondo dell’anima. Un secolo dopo, in Nietzsche, è una serietà mortale che si esprime in un grido stridulo di terrore: «Dio è morto! Dio rimane morto! E noi lo abbiamo ucciso!».  Cinquant’anni dopo, se ne parla con distacco accademico e ci si prepara a una “teologia dopo la morte di Dio”, ci si guarda intorno per vedere come poter continuare e si incoraggiano gli uomini a prepararsi a prendere il posto di Dio. Il mistero terribile del Sabato santo, il suo abisso di silenzio, ha acquistato quindi nel nostro tempo una realtà schiacciante. Giacché questo è il Sabato santo: giorno del nascondimento di Dio, giorno di quel paradosso inaudito che noi esprimiamo nel Credo con le parole «disceso agli inferi», disceso dentro il mistero della morte. Il Venerdì santo potevamo ancora guardare il trafitto. Il Sabato santo è vuoto, la pesante pietra del sepolcro nuovo copre il defunto, tutto è passato, la fede sembra essere definitivamente smascherata come fanatismo. Nessun Dio ha salvato questo Gesù che si atteggiava a Figlio suo. Si può essere tranquilli: i prudenti che prima avevano un po’ titubato nel loro intimo se forse potesse essere diverso, hanno avuto invece ragione.
     
Sabato santo: giorno della sepoltura di Dio; non è questo in maniera impressionante il nostro giorno? Non comincia il nostro secolo a essere un grande Sabato santo, giorno dell’assenza di Dio, nel quale anche i discepoli hanno un vuoto agghiacciante nel cuore che si allarga sempre di più, e per questo motivo si preparano pieni di vergogna e angoscia al ritorno a casa e si avviano cupi e distrutti nella loro disperazione verso Emmaus, non accorgendosi affatto che colui che era creduto morto è in mezzo a loro?
     
Dio è morto e noi lo abbiamo ucciso: ci siamo propriamente accorti che questa frase è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana e che noi spesso nelle nostre viae crucis abbiamo ripetuto qualcosa di simile senza accorgerci della gravità tremenda di quanto dicevamo? Noi lo abbiamo ucciso, rinchiudendolo nel guscio stantio dei pensieri abitudinari, esiliandolo in una forma di pietà senza contenuto di realtà e perduta nel giro di frasi fatte o di preziosità archeologiche; noi lo abbiamo ucciso attraverso l’ambiguità della nostra vita che ha steso un velo di oscurità anche su di lui: infatti che cosa avrebbe potuto rendere più problematico in questo mondo Dio se non la problematicità della fede e dell’amore dei suoi credenti?
      L’oscurità divina di questo giorno, di questo secolo che diventa in misura sempre maggiore un Sabato santo, parla alla nostra coscienza. Anche noi abbiamo a che fare con essa. Ma nonostante tutto essa ha in sé qualcosa di consolante. La morte di Dio in Gesù Cristo è nello stesso tempo espressione della sua radicale solidarietà con noi. Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini. E ancora una cosa: solo attraverso il fallimento del Venerdì santo, solo attraverso il silenzio di morte del Sabato santo, i discepoli poterono essere portati alla comprensione di ciò che era veramente Gesù e di ciò che il suo messaggio stava a significare in realtà. Dio doveva morire per essi perché potesse realmente vivere in essi. L’immagine che si erano formata di Dio, nella quale avevano tentato di costringerlo, doveva essere distrutta perché essi attraverso le macerie della casa diroccata potessero vedere il cielo, lui stesso, che rimane sempre l’infinitamente più grande.
Noi abbiamo bisogno del silenzio di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui.
      C’è una scena nel Vangelo che anticipa in maniera straordinaria il silenzio del Sabato santo e appare quindi ancora una volta come il ritratto del nostro momento storico. Cristo dorme in una barca che, sbattuta dalla tempesta, sta per affondare. Il profeta Elia aveva una volta irriso i preti di Baal, che inutilmente invocavano a gran voce il loro dio perché volesse far discendere il fuoco sul sacrificio, esortandoli a gridare più forte, caso mai il loro dio stesse a dormire. Ma Dio non dorme realmente? Lo scherno del profeta non tocca alla fin fine anche i credenti del Dio di Israele che viaggiano con lui in una barca che sta per affondare? Dio sta a dormire mentre le sue cose stanno per affondare, non è questa l’esperienza della nostra vita? La Chiesa, la fe­de, non assomigliano a una piccola barca che sta per affondare, che lotta inutilmente contro le onde e il vento, mentre Dio è assente? I discepoli gridano nella disperazione estrema e scuotono il Signore per svegliarlo, ma egli si mostra meravigliato e rimprovera la loro poca fede. Ma è diversamente per noi? Quando la tempesta sarà passata, ci accorgeremo di quanto la nostra poca fede fosse carica di stoltezza. E tuttavia, o Signore, non possiamo fare a meno di scuotere te, Dio che stai in silenzio e dormi, e gridarti: svegliati, non vedi  che affondiamo? Destati, non lasciar durare in eterno l’oscurità del Sabato santo, lascia cadere un raggio di Pasqua anche sui nostri giorni, accompàgnati a noi quando ci avviamo disperati verso Emmaus perché il nostro cuore possa accendersi alla tua vicinanza. Tu che hai guidato in maniera nascosta le vie di Israele per essere finalmente uomo con gli uomini, non ci lasciare nel buio, non permettere che la tua parola si perda nel gran sciupio di parole di questi tempi. Signore, dacci il tuo aiuto, perché senza di te affonderemo.
      Amen.

Grazie a: anna vercors


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sabato, 08 marzo 2008
La perdita della memoria provoca nell’individuo la perdita dell’identità
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"Oggi è la storiografia stessa ad attraversare una crisi più seria, dovendo lottare per la propria esistenza in una società plasmata dal positivismo e dal materialismo. Entrambe queste ideologie hanno condotto a uno sfrenato entusiasmo per il progresso che, animato da spettacolari scoperte e successi tecnici, malgrado le disastrose esperienze del secolo scorso, determina la concezione della vita di ampi settori della società. Il passato appare, così, solo come uno sfondo buio, sul quale il presente e il futuro risplendono con ammiccanti promesse. A ciò è legata ancora l'utopia di un paradiso sulla terra, a dispetto del fatto che tale utopia si sia dimostrata fallace.
Tipico di questa mentalità è il disinteresse per la storia, che si traduce nell’emarginazione delle scienze storiche. Dove sono attive queste forze ideologiche, la ricerca storica e l’insegnamento della storia all'università e nelle scuole di ogni livello e grado vengono trascurati. Ciò produce una società che, dimentica del proprio passato e quindi sprovvista di criteri acquisiti attraverso l’esperienza, non è più in grado di progettare un’armonica convivenza e un comune impegno nella realizzazione di obiettivi futuri. Tale società si presenta particolarmente vulnerabile alla manipolazione ideologica.
Il pericolo cresce in misura sempre maggiore a causa dell’eccessiva enfasi data alla storia contemporanea, soprattutto quando le ricerche in questo settore sono condizionate da una metodologia ispirata al positivismo e alla sociologia. Vengono ignorati, altresì, importanti ambiti della realtà storica, perfino intere epoche. Ad esempio, in molti piani di studio l’insegnamento della storia inizia solamente a partire dagli eventi della Rivoluzione Francese. Prodotto inevitabile di tale sviluppo è una società ignara del proprio passato e quindi priva di memoria storica. Non è chi non veda la gravità di una simile conseguenza: come la perdita della memoria provoca nell’individuo la perdita dell’identità, in modo analogo questo fenomeno si verifica per la società nel suo complesso.
E’ evidente come tale oblío storico comporti un pericolo per l’integrità della natura umana in tutte le sue dimensioni. La Chiesa, chiamata da Dio Creatore ad adempiere al dovere di difendere l’uomo e la sua umanità, ha a cuore una cultura storica autentica, un effettivo progresso delle scienze storiche. La ricerca storica ad alto livello rientra infatti anche in senso più stretto nello specifico interesse della Chiesa. Pur quando non riguarda la storia propriamente ecclesiastica, l’analisi storica concorre comunque alla descrizione di quello spazio vitale in cui la Chiesa ha svolto e svolge la sua missione attraverso i secoli. Indubbiamente la vita e l’azione ecclesiali sono sempre state determinate, facilitate o rese più difficili dai diversi contesti storici. La Chiesa non è di questo mondo ma vive in esso e per esso.”
 Benedetto XVI Udienza ai Membri del Pontificio Comitato di Scienze Storiche 07.03.2008

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domenica, 24 febbraio 2008
Non si diventa cristiani da soli
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 Per prima cosa mi sembra importante rilevare che la chiesa non concepisce il processo del divenire cristiani come risultato di un processo di insegnamenti o di un itinerario pedagogico, ma come sacramento. Ciò vuol dire che nessuno diventa cristiano grazie sol­tanto alla sua opera personale. Non ci si può fare cristiani da se stessi. Non è affare e capacità dell'uomo modellarsi, per così dire, prima in gentiluomo e, infine, in cristiano. Al contrario, si incomincia a diventare cristiani solo quando si abbandona l'illusione della autarchia e dell'autosufficienza, quando si capisce che l'uomo non può creare se stesso e non può da solo provvedere a se stesso, ma deve aprirsi, lasciarsi guidare. In tal modo, essere cristiani significa prima di tutto che noi riconosciamo la nostra insufficienza, che noi lasciamo agire Lui in noi, il Dio diverso da noi. Louis Evely un giorno ha osservato molto giustamente che il peccato di Adamo non consistette propriamente nel fatto che egli volle essere simile a Dio: questa infatti è la voca­zione dell'uomo, datagli dal suo stesso creatore. La sua colpa va vista, piuttosto, nel modo sbagliato con cui egli cercava una somi­glianza con Dio e nella meschina immagine di Dio che lo guidava in questo proposito; nel pensare che sarebbe divenuto come Dio, se fosse riuscito a sussistere con potere proprio, a dare in modo auto­nomo ed autosufficiente a se stesso la vita. In realtà, un simile con­cetto errato di una immaginaria divinità conduce all'autodistruzione, perché Dio stesso, come ce lo rappresenta una fede cristiana, non è un autarchico indipendente, ma colui che è completamente divino solo nel dialogo dell'amore, infinitamente richiedendo e ricevendo, donando se stesso. L'uomo diviene simile a Dio solo quando entra in questa dinamica; quando desiste dal voler creare se stesso e si lascia creare da Lui. Infatti è tuttora vero che l'uomo non è la creatura dell'uomo, ma egli può essere creato e dato a se stesso soltanto da Dio.
Forse, queste affermazioni ci sembrano un po' antiquate. Ma io credo che, proprio in questo nostro tempo, potremmo riscoprire la verità di questo concetto ed accorgerci come ciò che qui è stato detto, soprattutto del singolo, valga anche per l'umanità nella sua totalità. Oggi, quest'umanità pone se stessa come il tutto più grande di ogni realtà, vuole trasformare se stessa nell'umanità totale e non desidera più confidare in nessun altro aiuto che non sia quello che essa stessa si dà. Ma, proprio così facendo, si distrugge nella sua stessa umanità. Proprio mentre annuncia l'umanità totale e pura, essa dissolve - lo sperimentiamo da ogni parte - l'umanità vera dell'uomo. Anche l'umanità, nella sua totalità, non è autar­chica, ma rimanda oltre se stessa.
Sia cristiani che uomini non si diventa da se stessi, per con­quista propria. Per quanto strano ancor oggi ci possa sembrare, noi abbiamo necessità di aprirci nella fede all'azione di Dio.
Non si diventa cristiani da soli. Ciò significa che lo si può divenire soltanto nella comunità dei credenti, nella stretta reciprocità della fede comune e della preghiera. Certo, come abbiamo udito proprio nel vangelo di oggi, per essere cristiani è necessaria anche la «tranquilla cameretta», la solitudine di chi lotta e crede da solo con se stesso, di chi si pone dinanzi al volto di Dio. Ma non solo questo. Si esige anche l'essere insieme. Dio viene agli uomini solo per mezzo di uomini. Anche nell'ambito spirituale l'uomo è un essere aperto; anche nell'ambito spirituale è vero che noi uomini possiamo sussistere solo nella dipendenza reciproca e nell'essere gli uni per gli altri. Penso che dovremmo finalmente arrivare a superare la mo­derna illusione che la religione rappresenti il momento più intimo, che noi viviamo da soli con noi stessi e che non può entrare nella sfera pubblica. Volendo così mettere al sicuro la fede in una spiri­tualità irreale, la svuotiamo e con ciò stesso togliamo alla convivenza umana il suo elemento più prezioso. Nascono allora il puro collettivo da una parte, il puro individuo dall'altra. Una comunità, nella quale il singolo rimane se stesso, e dove, contemporaneamente, avviene un incontro con ciò che vi è di veramente umano nell'altro, una siffatta comunità non si forma dove l'uomo riserba solamente a sé quello che egli ha di più profondo. Eppure, per poter essere se stesso, l'uomo ha bisogno di una comunità del genere. Diventa compito nostro allora manifestare il nostro intimo, portando in ma­niera pregnante nel mondo attorno a noi. Spetta a noi non permet­tere che il mondo rimanga senza Dio, e comunicare ad esso Dio mediante la nostra fede.
Joseph Ratzinger Tratta da: Dogma e predicazione
                                                                                                 a M.

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“Si diventa e si rimane cristiani perché si prova un piacere nell'aderire a Gesù Cristo
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Il papa pellegrino dal santo "peccatore”
Libero, sabato 21 aprile, Il papa pellegrino dal santo "peccatore" (A. Socci)

Agostino, studente a Cartagine, a 17 anni inizia a convivere - una "coppia di fatto" - con una giovane nordafricana che amerà per 14 anni avendo da lei anche un figlio (all'età di 18 anni). Chi è questo giovane "avventuriero" che in pochi anni diventa uno degli intellettuali più brillanti di Roma e di Milano? Si tratta di Agostino d'Ippona, colui che - convertendosi a 32 anni - diventerà uno dei più grandi santi della storia della Chiesa, il più grande fra i padri e dottori della Chiesa, colui alla cui tomba, a Pavia, Benedetto XVI oggi va a in pellegrinaggio (Ratzinger si laureò con una tesi su di lui e ha sempre considerato Agostino come il suo maestro).
Giuliano Vigini nel libro "Sant'Agostino", che ha la prefazione proprio di Joseph Ratzinger, scrive che quella "unione di fatto ottiene il risultato di porre un freno al dilagare delle passioni amorose di Agostino e diventa un elemento equilibratore nella sua vita affettiva". Nel 1998 il senatore Andreotti, presentando con il cardinal Ratzinger un libro sull'attualità di sant'Agostino, disse: "Mi ha colpito una cosa leggendo l'Enciclopedia Cattolica: laddove si parla di Sant'Agostino si dice testualmente che, quando andò a Cartagine, questo giovane diciassettenne 'si piegava a una certa regola, unendosi senza matrimonio, con una grande fedeltà, alla donna madre del suo figlio' ". E' il caso di ricordare che l'Enciclopedia Cattolica è un'opera assolutamente ortodossa, addirittura emblematica del pontificato di Pio XII. Quelle considerazioni la dicono lunga sulla saggezza della Chiesa che non è per niente impaurita dalla vita e dall'umano (come oggi caricaturalmente la si vuol rappresentare) e sa cosa è l'uomo senza la Grazia di Cristo.
In una delle sue prime interviste da papa, Benedetto XVI disse: "il cristianesimo, non è un cumulo di proibizioni, ma una opzione positiva.questa consapevolezza oggi è quasi completamente scomparsa". Insomma la Chiesa è una possibilità di vita più umana, più appassionante e felice di qualunque esistenza senza Cristo.
Come scoprì e poi proclamò Agostino che, pur essendosi convertito giovane, a 32 anni, prima aveva sperimentato - scrive il Papa - "quasi tutte le possibilità dell'esistenza umana. Il suo temperamento passionale" ricorda Ratzinger "gli fece imboccare numerose strade".
Ma di fronte a tutte le "avventure" che precedono il battesimo, Ratzinger non mette affatto la sordina, né le derubrica a errori su cui stendere un pietoso velo. Al contrario nella prefazione al libro di Vigini, per spiegare la grandezza dell'opera teologica di Agostino, l'attuale Papa scrive che "la sua teologia (di Agostino) non nacque a tavolino, ma venne sofferta e maturata nell'odissea della sua vita".
Aggiunge perfino che "non sono le teorie bensì le persone quelle che rendono credibile un modo di vivere" e Agostino "è così umano, così credibile proprio perché la sua vita non ebbe un andamento lineare e le sue risposte non furono solo teorie". Ma come possono il Papa e la Chiesa indicare come esempio un uomo che ha percorso tante vie di peccato? Quello che in realtà indicano come esempio è il suo desiderio inappagato di verità e felicità. Perché - spiega Ratzinger - Agostino fu sempre leale col suo cuore e non si accontentò mai di "felicità" fittizie, finché non gli si rivelò la vera Felicità (ed era Gesù Cristo stesso). "Solo questo egli non poté e non volle mai" scrive Ratzinger "accontentarsi di una normale esistenza piccolo-borghese. La ricerca della verità bruciava in lui con troppa passione perché egli potesse accontentarsi di spendere la vita in modo convenzionale". In effetti Agostino riconosceva (anche per tutte le sue peripezie intellettuali oltreché esistenziali) cos'era la vita in se stessa: "tutto quello su cui posavo lo sguardo era morte. Ero infelice, in un profondissimo tedio della vita e la paura della morte. Io costituivo per me stesso un luogo desolato, dove non potevo stare e da cui non potevo fuggire. Non c'era sollievo né respiro in nessun luogo".
Da questo "nulla" - come racconta nelle Confessioni - fu portato alla vita vera attraverso una serie di incontri decisivi a Milano con persone innamorate di Cristo: con Ambrogio, con Simpliciano e una quantità di giovani che - perfino in accordo con le ex fidanzate - decidevano di scegliere la castità e la vita in comunità come gli apostoli (era il primo monachesimo). E' lì che Agostino sente l'attrattiva di Gesù più forte dei piaceri carnali "perché ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te". Così esplode in un nuovo sorprendente impeto di adesione: "mi avevi infatti così convertito a Te, che io non pensavo più a cercarmi una moglie". Quindi "fummo battezzati" (lui, con il figlio e gli amici) "e si dileguò da noi l'inquietudine della vita passata. Tu, che fai abitare in una casa i cuori umani, il Tuo perdono sprona il cuore a non assopirsi nella disperazione, a non dire 'non posso', a vegliare invece nell'amore, investito dalla Tua misericordia, forza di me debole".
La figura di Agostino è straordinariamente moderna. Su di lui esce in media nel mondo un libro al giorno. La sua riscoperta nella Chiesa, grazie a Benedetto XVI, potrà avere effetti straordinari. In che direzione? Nella "Sacramentum caritatis" il Papa ha scritto: "Con acuta conoscenza della realtà umana, sant'Agostino ha messo in evidenza come l'uomo si muova spontaneamente, e non per costrizione, quando si trova in relazione con ciò che lo attrae e suscita in lui desiderio".
E' un cambiamento di mentalità che Ratzinger da tempo chiede ai cattolici e che potrebbe trasformare la percezione che i moderni hanno della Chiesa. Don Giacomo Tantardini, che all'Università di Padova da ben dieci anni tiene un ciclo di lezioni sulla figura e l'opera di Agostino, ha indicato quella frase del papa come decisiva: "il tempo della Chiesa è caratterizzato proprio da questa dinamica: l'incontro con un'attrattiva presente che corrisponde al desiderio dell'uomo".
In particolare "sant'Agostino arriva a dire, seguendo san Paolo, che tutta la dottrina cristiana senza la delectatio e la dilectio, senza l'attrattiva amorosa della grazia, è lettera che uccide. Non è la cultura, neppure la dottrina cristiana, che può stabilire un rapporto con un uomo per il quale il cristianesimo è un passato che non lo riguarda. è qualcosa che viene prima della cultura. Questo qualcosa che viene prima sant'Agostino lo chiama delectatio e dilectio, cioè l'attrattiva amorosa della grazia. Questo diletto, questa felicità è il motivo e la ragione per cui si diventa e si rimane cristiani".
Queste lezioni di Tantardini sono raccolte adesso in libro, "Il cuore e la grazia in S. Agostino" (Città nuova) che sarà presentato il 27 novembre prossimo a Padova dal patriarca di Venezia Angelo Scola, personalità molto rappresentativa della Chiesa di Benedetto XVI. Esse "costituiscono un 'caso' di grande interesse culturale" secondo l'agostiniano Nello Cipriani. "L'idea che si diventa e si rimane cristiani perché si prova un piacere nell'aderire a Gesù Cristo non è solo di Agostino ma anche di don Giussani, autore di un libro intitolato 'L'attrattiva Gesù'. Io credo che don Giacomo Tantardini" scrive Cipriani "abbia colto la profonda consonanza esistente tra l'esperienza cristiana vissuta e proposta tanti secoli fa da sant'Agostino e quella proposta oggi da don Giussani". Le sue pagine aiutano "gli ascoltatori e i lettori a scoprire o a riscoprire la bellezza e la gioia di un'autentica esperienza cristiana, che, al di là delle dottrine teologiche e dei riti religiosi, è soprattutto un incontro personale con Cristo, che, sempre vivo e presente, è capace ancora oggi di suscitare una profonda attrattiva nel cuore dell'uomo".
E' questo che Benedetto XVI annuncia a tutti.

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benedettoxvi, socci, agostino

sabato, 23 febbraio 2008
Don Giussani
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"Lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa, attraverso di lui, un Movimento, il vostro, che testimoniasse la bellezza di essere cristiani in un'epoca in cui andava diffondendosi l’opinione che il cristianesimo fosse qualcosa di faticoso e di opprimente da vivere. Don Giussani s’impegnò allora a ridestare nei giovani l’amore verso Cristo "Via, Verità e Vita", ripetendo che solo Lui è la strada verso la realizzazione dei desideri più profondi del cuore dell'uomo, e che Cristo non ci salva a dispetto della nostra umanità, ma attraverso di essa."
da:DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO PROMOSSO DALLA FRATERNITÀ DI COMUNIONE E LIBERAZIONE

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benedettoxvi, giussani

domenica, 10 febbraio 2008
L’uomo non si fida di Dio
***

«L’uomo non si fida di Dio. Egli cova il sospetto che Dio, in fin dei conti, gli tolga qualcosa della sua vita, che Dio sia un concorrente che limita la nostra libertà e che noi saremo pienamente esseri umani soltanto quando l'avremo accantonato; insomma, che solo in questo modo possiamo realizzare in pienezza la nostra libertà. L'uomo vive nel sospetto che l'amore di Dio crei una dipendenza e che gli sia necessario sbarazzarsi di questa dipendenza per essere pienamente se stesso. L'uomo non vuole ricevere da Dio la sua esistenza e la pienezza della sua vita. Vuole attingere egli stesso dall'albero della conoscenza il potere di plasmare il mondo, di farsi dio elevandosi al livello di Lui, e di vincere la morte e le tenebre. Non vuole contare sull'amore che non gli sembra affidabile; egli conta unicamente sulla conoscenza, in quanto essa gli conferisce il potere. Piuttosto che sull'amore punta sul potere col quale vuole prendere in mano in modo autonomo la propria vita. E nel fare questo, egli si fida della menzogna piuttosto che della verità e con ciò sprofonda con la sua vita nel vuoto, nella morte. Amore non è dipendenza, ma dono che ci fa vivere. La libertà di un essere umano è la libertà di un essere limitato ed è quindi limitata essa stessa. Possiamo possederla soltanto come libertà condivisa, nella comunione delle libertà: solo se viviamo nel modo giusto l'uno con l'altro e l'uno per l'altro, la libertà può svilupparsi.
 Noi viviamo però nel modo giusto, se viviamo secondo la verità del nostro essere e cioè secondo la volontà di Dio. Perché la volontà di Dio non è per l'uomo una legge imposta dall'esterno che lo costringe, ma la misura intrinseca della sua natura, una misura che è iscritta in lui e lo rende immagine di Dio e così creatura libera. Se noi viviamo contro l'amore e contro la verità – contro Dio –, allora ci distruggiamo a vicenda e distruggiamo il mondo. Allora non troviamo la vita, ma facciamo l'interesse della morte. ».
Benedetto XVI 8 dic 2005

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sabato, 09 febbraio 2008
In principio


«In ultima analisi  si va a finire nell’alternativa su che cosa stia in principio: la ragione creatrice, lo Spirito creatore, che opera e lascia svilupparsi ogni cosa, o l’irrazionale, che in modo irragionevole produce stranamente un cosmo matematicamente ordinato e anche l’uomo e la sua ragione. Ma quest’ultima allora, sarebbe solo un caso dell’evoluzione e quindi, alla fin fine, un qualcosa di irrazionale.
Noi cristiani diciamo: io credo in Dio, creatore del cielo e della terra – nello Spirito creatore. Noi crediamo che all’inizio stia la Parola eterna, la ragione e non l’irrazionale».
Benedetto XVI

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ragione, benedettoxvi

venerdì, 01 febbraio 2008
Cristo non toglie nulla
 e dona tutto
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Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita. Amen.
BENEDETTO XVI  Piazza San Pietro 24 aprile 2005

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gesù, benedettoxvi

venerdì, 25 gennaio 2008

La dittatura del relativismo
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“Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.
Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna”
Da: OMELIA DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER
Lunedì 18 aprile 2005

Postato da: giacabi a 13:56 | link | commenti
nichilismo, benedettoxvi

martedì, 22 gennaio 2008
LAICI MA INTOLLERANTI
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DA PARIGI DANIELE ZAPPALÀ

«L’università come luogo di apertura non è minacciata dal sapere reale, fisico, storico o filologico. Ma da una perversione ideologica di questi saperi, oggi spesso di ritorno». È il principale monito valido per tutta l’Europa che il filosofo francese Rémi Brague lancia traendo spunto dagli sconcertanti fatti di Roma.

Professore alla Sorbona di Parigi ma anche a Monaco di Baviera, dove occupa la prestigiosa cattedra intitolata a Romano Guardini, autore di saggi tradotti in tutto il mondo, Brague invita a non abbassare la guardia di fronte ai nuovi estremismi antireligiosi.

Professore, l’ha sorpresa l’esplosione d’intolleranza alla 'Sapienza'?

«
Che l’intolleranza miri la Chiesa non mi sorprende. Non la si attacca a causa dei suoi nei, reali – che essa ammette e di cui si rincresce a giusto titolo – o immaginari, ma perché essa rappresenta il bersaglio ideale. Per due ragioni. La prima è superficiale: non si rischia di farsi sgozzare o annientare. La seconda è più profonda: crediamo ancora in modo cieco al progresso e constatiamo che il male non scompare, anzi aumenta.

Occorre dunque caricare tutto ciò sulle spalle del passato e trovare un capro espiatorio. Tutte le istituzioni del passato sono scomparse. Tranne due gruppi umani che rivendicano una continuità bimillenaria e che possono essere caricati di ogni crimine: il popolo ebraico e i cristiani. Gli ebrei hanno già pagato, e come! Le Chiese protestanti assumono tutto il passato cristiano, ma chi immagina di rimproverar loro tutto ciò che è avvenuto prima della Riforma? Resta la Chiesa cattolica
».

Certi intellettuali atei, come il francese Michel Onfray o gli anglosassoni Richard Dawkins e Christopher Hitchens, rilanciano oggi un anticlericalismo virulento. Un segnale dei tempi?

«Non metterei tutti nello stesso paniere. Fra gli atei militanti, accanto a fenomeni da baraccone, ci sono alcuni autentici intellettuali. E se alcuni si accontentano d’insultare, altri avanzano argomenti, forse deboli, ma che occorrerebbe discutere.

Ma il fenomeno più interessante è l’influenza dei più aggressivi fra loro, ben orchestrata dai media, la cui logica propria accentua ancor più il carattere caricaturale delle tesi. Tutto non è spiegato da delusioni personali. Il successo di libri grossolani è spia di un bisogno di odio che è un aspetto dell’odio dell’Occidente, e soprattutto dell’Europa, verso se stesso».

L’ideale di università è associato con l’apertura e la tolleranza. I fatti di Roma, in quest’ottica, appaiono paradossali. Una distorsione legata a laicismo e scientismo?

«
L’università è un fenomeno che è nato in Europa e non altrove. Vale la pena ricordare che essa deve la sua esistenza al Papa. Le università medievali erano delle corporazioni che raggruppavano studenti, assistenti e professori, come altre raggruppavano apprendisti, maestri ebanisti, eccetera. Esse poterono sottrarsi alla giurisdizione del vescovo del luogo ponendosi sotto la protezione diretta del vescovo di Roma: è lui il garante dell’autonomia universitaria. Va poi detto che il sapere scientifico è un processo indefinito di approssimazione e di correzione. L’ideologia scientista si crede invece in possesso di un sapere totale e definitivo. Essa immagina soprattutto che la scienza è il solo accesso possibile alla verità. Affermazione che non è più scienza, ma filosofia, e non della migliore qualità».

Gli estremisti di Roma paiono spinti da irrazionalità e paura.

L’opposto di quella ragione a cui invita il discorso censurato del Papa. Un Papa che ricorda la forza e la coerenza della ragione fa paura?

«
Stalin avrebbe chiesto, durante la guerra: 'Il Papa? Quante divisioni di blindati?' Noi sappiamo bene che non ne ha alcuna. Allora, perché fa paura? Forse proprio perché ricorda la via della ragione alla nostra civiltà. L’università è supposta come la guardiana della ragione e della saggezza. 'La Sapienza' vuol dire questo… Ma essa è ancora fedele a questo compito? Avrebbe per caso già capitolato di fronte alla forza? Non penso soltanto a quelle dell’economia o della politica, pur così reali. Penso soprattutto alla capitolazione volontaria davanti all’opinione secondo cui 'tutto si equivale', dal momento che vi si crede. O davanti ai simulacri di gruppi di pressione liberi di descrivere il mondo o di riscrivere la storia in modo arbitrario».

Dietro gli eventi di Roma, è in gioco anche la democrazia?

«
Il Papa doveva parlare alla 'Sapienza' su invito delle autorità legittime di quest’università.
Suppongo che esse siano democraticamente elette. Il problema è già interno all’università: imporre le proprie decisioni e non capitolare davanti a qualche agitatore. Se l’università capitola, perché lo Stato, su un’altra scala, dovrebbe far ancora rispettare le sue leggi?».

Queste nuove spie d’intolleranza laicista e scientista sono una novità o richiamano invece fasi storiche precise?

«
In Francia come in Italia, si può pensare al XIX secolo della Terza République e del Risorgimento. Allora, lo Stato cercava di contrastare l’influenza del clero sulla società. Ma si trattava anche di una strategia della borghesia per distogliere da sé il malcontento popolare. Si potrebbe anche pensare, in un registro ancora più tragico, al Messico dell’inizio del XX secolo, in cui un regime positivista e anticristiano affogò nel sangue le sollevazioni popolari. Il leninismo e il nazismo volevano entrambi farla finita col cristianesimo. Si consideravano entrambi fondati su una scienza, economica per il primo, biologica per il secondo, storica e sociologica per entrambi. La religione era per entrambi un ostacolo al progresso, sociale per l’uno, razziale per l’altro. Il fatto che si trattasse di pseudoscienze non cambia il fondo del problema. Il fanatismo può pervertire tanto la scienza quanto la religione».

© Copyright Avvenire, 18 gennaio 2008

Postato da: giacabi a 14:35 | link | commenti
benedettoxvi, brague

lunedì, 21 gennaio 2008
Grazie a Benedetto XVI per la sua testimonianza di fede e di vita
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di: Magdi Allam
Cari amici,
quando questa mattina verso la fine del suo discorso all’Angelus domenicale il Papa si è rivolto ai 200 mila fedeli che gremivano Piazza San Pietro e via della Conciliazione a Roma con la medesima espressione che mi è abituale da lunghi anni, “cari amici”,
mi si è aperto il cuore e si è consolidato in me il convincimento della profonda sintonia spirituale con l’uomo che io oggi considero l’unico vero faro e l’autentico paladino dei valori assoluti, universali e trascendenti che sostanziano l’essenza della nostra umanità, così come sono convinto che rappresenti l’estremo baluardo di difesa della civiltà occidentale dal cancro del relativismo cognitivo, etico, culturale e religioso, nonché di resistenza dall’aggressione del nichilismo dell’estremismo islamico globalizzato che ha messo solide radici all’interno stesso dell’Occidente.
Ugualmente ho sentito che Benedetto XVI mi era sempre più vicino quando ha usato, sempre nel finale dell’Angelus, un’altra espressione che mi è abituale, “andiamo avanti”, e quando ha indicato nella “verità e libertà” il percorso da intraprendere.
Ebbene il quel “cari amici”, “andiamo avanti” e “verità e libertà”, c’è la sintesi di un uomo che a fronte dell’acutezza intellettuale e profondità scientifica che contraddistinguono il suo eccezionale profilo teologico e accademico, è capace di una rara semplicità e disponibilità nel rapporto con l’altro, è animato da una solida volontà di affrontare con fermezza e vincere con determinazione le sfide imposte da un’umanità lacerata al suo interno e in conflitto con se stessa, è sorretto da una incrollabile fede nella verità che è tale sul piano terreno e trascendentale, nella sacralità della vita e nella libertà che s’identifica con la piena dignità della persona.
Che lezione di vita e di fede ci ha dato quando, sfiorando appena nella seconda metà dell’Angelus l’incresciosa vicenda che l’ha indotto, con una decisione fondata e saggia, a rinunciare “mio malgrado” alla visita all’Università La Sapienza, l’accademico di lunga data Joseph Ratzinger si è limitato ad esortare gli studenti: “Da professore vi dico, rispettate le opinioni altrui”. Che un Papa invochi il rispetto, con il sottinteso è che è venuto meno il rispetto nei suoi confronti, significa che in Italia è in crisi il fondamento della civiltà occidentale e il pilastro dei diritti dell’uomo: la libertà d’espressione. E giustamente il Santo Padre ci sollecita a focalizzare l’attenzione proprio sulla violazione del pilastro della civile convivenza, senza cui si precipita inevitabilmente nelle barbarie.
Il discorso del Papa ci chiarisce che chi lo teme, chi vorrebbe tacitarlo e chi gli ha impedito di parlare alla Sapienza, ha in realtà paura non delle supposte posizioni dogmatiche o peggio ancora oscurantiste di Benedetto XVI, bensì del confronto razionale.
Questo Papa è immensamente grande perché è in grado di sfidare e di vincere il confronto con i laicisti e i relativisti sul piano prettamente razionale. Ciò che i suoi nemici temono non è la sua solida fede che loro rigettano aprioristicamente, ma la forza della sua argomentazione razionale a cui non dovrebbero sottrarsi. Se lo fanno, e lo fanno, vuol dire che non sono solo poveri di spirito ma sono innanzitutto degli impostori che hanno sostituito l’ideologia al posto della scienza e della ragione.
Il Santo Padre ha vinto alla grande la battaglia impostagli dalla minoranza di docenti accecati dal fanatismo relativista e positivista e di un pugno di studenti inebriati dalla violenza ideologica vetero-comunista, ma la guerra è ancora lunga. La sfida che abbiamo di fronte sarà definitivamente vinta solo quando riusciremo a riscattare la certezza della verità dalla piaga del relativismo; a radicare in noi il sistema dei valori che corrisponde al bene comune affrancandoci dalla deriva etica; a compiere la buona azione che realizza il legittimo interesse della collettività bonificando il Tempio della politica dagli spregiudicati mercanti che l’hanno profanato per perseguire i propri egoistici interessi danneggiando l’insieme della collettività.
Ecco perché ho deciso di mantenere vivo e aperto a nuove adesioni l’Appello “Io sto con il Papa”. Nella consapevolezza che non è una vicenda che si conclude con il rammarico tardivo e ipocrita dei politici e dei docenti che non solo non hanno fatto nulla e non faranno nulla per sanzionare l’atteggiamento intollerante dei docenti e violento degli studenti della Sapienza, ma sono direttamente responsabili del marciume ideologico e del degrado scientifico in cui sono sprofondati le università e tutto il sistema dell’istruzione in Italia. Insieme al Papa diciamo “andiamo avanti” sulla via della verità, della sacralità della vita e della libertà.
Vi invito pertanto a continuare ad aderire e a far aderire all’Appello “Io sto con il Papa” tutti coloro che condividono i nostri valori e sentono la necessità di impegnarsi eticamente per risollevare le sorti del nostro Paese, al fine di testimoniare il vostro impegno etico per la verità contro la menzogna, per il bene contro il male, per la buona azione contro la cattiva azione. Lo potrete fare collegandovi al mio sito www.magdiallam.it e cliccando alla voce “Aderisci all’Appello”. Finora l’hanno già fatto oltre 850 persone con motivazioni articolate e approfondite che danno uno spaccato significativo di ciò che è nei cuori e nelle menti degli italiani. Vi invito a leggere queste adesioni e mi auguro che il loro numero cresca sempre di più.
Colgo infine l’occasione per chiedervi di proseguire questo nostro dialogo civile, responsabile e libero volto a costruire una comune civiltà dell’uomo, apportando il vostro contributo di riflessione e di proposta all’interno del mio sito.
Per farlo è necessario che vi registriate cliccando alla voce “Registrati”.
Non posso, prima di congedarmi, non ringraziare il Papa per la sua testimonianza di fede e di vita che ci illumina, ci conforta e ci da speranza. E grazie a voi tutti per il vostro impegno consapevole e risoluto per ergervi a protagonisti di un’Italia e di un mondo migliori. Vi saluto con i miei migliori auguri di successo e di ogni bene.
Magdi Allam

Postato da: giacabi a 14:15 | link | commenti
benedettoxvi, magdi allam

Grazie a Benedetto XVI per la sua testimonianza di fede e di vita
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di: Magdi Allam
Cari amici,
quando questa mattina verso la fine del suo discorso all’Angelus domenicale il Papa si è rivolto ai 200 mila fedeli che gremivano Piazza San Pietro e via della Conciliazione a Roma con la medesima espressione che mi è abituale da lunghi anni, “cari amici”,
mi si è aperto il cuore e si è consolidato in me il convincimento della profonda sintonia spirituale con l’uomo che io oggi considero l’unico vero faro e l’autentico paladino dei valori assoluti, universali e trascendenti che sostanziano l’essenza della nostra umanità, così come sono convinto che rappresenti l’estremo baluardo di difesa della civiltà occidentale dal cancro del relativismo cognitivo, etico, culturale e religioso, nonché di resistenza dall’aggressione del nichilismo dell’estremismo islamico globalizzato che ha messo solide radici all’interno stesso dell’Occidente.
Ugualmente ho sentito che Benedetto XVI mi era sempre più vicino quando ha usato, sempre nel finale dell’Angelus, un’altra espressione che mi è abituale, “andiamo avanti”, e quando ha indicato nella “verità e libertà” il percorso da intraprendere.
Ebbene il quel “cari amici”, “andiamo avanti” e “verità e libertà”, c’è la sintesi di un uomo che a fronte dell’acutezza intellettuale e profondità scientifica che contraddistinguono il suo eccezionale profilo teologico e accademico, è capace di una rara semplicità e disponibilità nel rapporto con l’altro, è animato da una solida volontà di affrontare con fermezza e vincere con determinazione le sfide imposte da un’umanità lacerata al suo interno e in conflitto con se stessa, è sorretto da una incrollabile fede nella verità che è tale sul piano terreno e trascendentale, nella sacralità della vita e nella libertà che s’identifica con la piena dignità della persona.
Che lezione di vita e di fede ci ha dato quando, sfiorando appena nella seconda metà dell’Angelus l’incresciosa vicenda che l’ha indotto, con una decisione fondata e saggia, a rinunciare “mio malgrado” alla visita all’Università La Sapienza, l’accademico di lunga data Joseph Ratzinger si è limitato ad esortare gli studenti: “Da professore vi dico, rispettate le opinioni altrui”. Che un Papa invochi il rispetto, con il sottinteso è che è venuto meno il rispetto nei suoi confronti, significa che in Italia è in crisi il fondamento della civiltà occidentale e il pilastro dei diritti dell’uomo: la libertà d’espressione. E giustamente il Santo Padre ci sollecita a focalizzare l’attenzione proprio sulla violazione del pilastro della civile convivenza, senza cui si precipita inevitabilmente nelle barbarie.
Il discorso del Papa ci chiarisce che chi lo teme, chi vorrebbe tacitarlo e chi gli ha impedito di parlare alla Sapienza, ha in realtà paura non delle supposte posizioni dogmatiche o peggio ancora oscurantiste di Benedetto XVI, bensì del confronto razionale.
Questo Papa è immensamente grande perché è in grado di sfidare e di vincere il confronto con i laicisti e i relativisti sul piano prettamente razionale. Ciò che i suoi nemici temono non è la sua solida fede che loro rigettano aprioristicamente, ma la forza della sua argomentazione razionale a cui non dovrebbero sottrarsi. Se lo fanno, e lo fanno, vuol dire che non sono solo poveri di spirito ma sono innanzitutto degli impostori che hanno sostituito l’ideologia al posto della scienza e della ragione.
Il Santo Padre ha vinto alla grande la battaglia impostagli dalla minoranza di docenti accecati dal fanatismo relativista e positivista e di un pugno di studenti inebriati dalla violenza ideologica vetero-comunista, ma la guerra è ancora lunga. La sfida che abbiamo di fronte sarà definitivamente vinta solo quando riusciremo a riscattare la certezza della verità dalla piaga del relativismo; a radicare in noi il sistema dei valori che corrisponde al bene comune affrancandoci dalla deriva etica; a compiere la buona azione che realizza il legittimo interesse della collettività bonificando il Tempio della politica dagli spregiudicati mercanti che l’hanno profanato per perseguire i propri egoistici interessi danneggiando l’insieme della collettività.
Ecco perché ho deciso di mantenere vivo e aperto a nuove adesioni l’Appello “Io sto con il Papa”. Nella consapevolezza che non è una vicenda che si conclude con il rammarico tardivo e ipocrita dei politici e dei docenti che non solo non hanno fatto nulla e non faranno nulla per sanzionare l’atteggiamento intollerante dei docenti e violento degli studenti della Sapienza, ma sono direttamente responsabili del marciume ideologico e del degrado scientifico in cui sono sprofondati le università e tutto il sistema dell’istruzione in Italia. Insieme al Papa diciamo “andiamo avanti” sulla via della verità, della sacralità della vita e della libertà.
Vi invito pertanto a continuare ad aderire e a far aderire all’Appello “Io sto con il Papa” tutti coloro che condividono i nostri valori e sentono la necessità di impegnarsi eticamente per risollevare le sorti del nostro Paese, al fine di testimoniare il vostro impegno etico per la verità contro la menzogna, per il bene contro il male, per la buona azione contro la cattiva azione. Lo potrete fare collegandovi al mio sito www.magdiallam.it e cliccando alla voce “Aderisci all’Appello”. Finora l’hanno già fatto oltre 850 persone con motivazioni articolate e approfondite che danno uno spaccato significativo di ciò che è nei cuori e nelle menti degli italiani. Vi invito a leggere queste adesioni e mi auguro che il loro numero cresca sempre di più.
Colgo infine l’occasione per chiedervi di proseguire questo nostro dialogo civile, responsabile e libero volto a costruire una comune civiltà dell’uomo, apportando il vostro contributo di riflessione e di proposta all’interno del mio sito.
Per farlo è necessario che vi registriate cliccando alla voce “Registrati”.
Non posso, prima di congedarmi, non ringraziare il Papa per la sua testimonianza di fede e di vita che ci illumina, ci conforta e ci da speranza. E grazie a voi tutti per il vostro impegno consapevole e risoluto per ergervi a protagonisti di un’Italia e di un mondo migliori. Vi saluto con i miei migliori auguri di successo e di ogni bene.
Magdi Allam

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