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sabato 4 febbraio 2012

bianchi porro

L’amicizia
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"Tu sei la mia prima amica e amica per me vuol dire qualcosa di piu' di quel che gli altri intendono. L’amica deve essere qualcosa di noi stessi e tu sei per me la meta' dell’anima mia, l’acqua in cui io mi specchio".
Benedetta Bianchi Porro

Postato da: giacabi a 08:12 | link | commenti (1)
amicizia, bianchi porro

mercoledì, 23 aprile 2008

Dalle lettere di Benedetta Bianchi Porro
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« Si direbbe che il tempo scivoli, istante per istante, silenzioso e riservato: i giorni sono tristi e monotoni, nessuna novità, nessun entusiasmo, un po' di rassegnazione e molta infelicità. Il lago è grigio, il cielo è nebbioso: talvolta quando sento gli occhi pieni di lacrime e il pianto che mi chiude la gola non so se sia il freddo o i ricordi. Sai, Anna, mi sembra di essere in una palude infinita e monotona e di sprofondare lentamente, lentamente, senza dolore e rimpianto, così inconsciamente e indifferente verso ciò che avviene; quando anche l'ultimo tratto di cielo scomparirà e il fango si chiuderà sopra di me ».
« desiderare tanto la verità, e nessuno ne sa nulla».  a 17 anni prima della vera conversione
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« Quanto a me sto come sempre. Ma da quando so che c'è Chi mi guarda lottare cerco di farmi forte. Come è bello così mammina! lo credo all'Amore disceso dal cielo, a Gesù Cristo e alla sua croce gloriosa, sì, io credo all'amore ».
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 « Le mie giornate sono lunghe e faticose, però ugualmente dolci e con la luce di Dio. I ragazzi di GS mi hanno aiutato moltissimo... lo non posso offrire più nulla al Signore, le mie mani sono vuote, non ho che poche briciole di pane, ma anche qui dal mio letto sento tutta la tenerezza della primavera scaturita. E a Dio offro tutti i fiori del mondo che sono sotto il suo sole sbocciati. »
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   « Anch'io mi ricordo di te e ti voglio sempre molto bene.Io però sono molto cambiata... Ormai con me c'è Dio e sto bene. Noi siamo la terra che spera sotto la neve perché 'tutte le cose stanno dove devono stare, e vanno dove devono andare: nel luogo assegnato da una Sapienza che non è la nostra'... Sono cieca, sorda e quasi muta... Ma io dico... In principio era la Luce e la Luce era la vita degli uomini ».
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 « Per favore, prega per me: ho ancora poche briciole da dare al Signore... La mia mente a volte vacilla: è un deserto mortale. Ho paura. Se dirò cose a vuoto, domandaGli di farmi tacere, per favore... lo cammino nella mia via crucis, fra poco sarò ferma... Chi nel dolore si avvicina a Lui si addolcisce, chi si allontana incrudelirà a sua insaputa ».


Postato da: giacabi a 14:55 | link | commenti
bianchi porro

martedì, 22 aprile 2008
                Testimonianza di Benedetta Bianchi Porro
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Sirmione, 1963                       
 Caro Natalino,
in «Epoca» è stata riportata una tua lettera. Attraverso le mani, la mamma me l'ha letta. Sono sorda e cieca, perciò le cose, per me, diventano abbastanza difficoltose.
Anch'io come te, ho ventisei anni, e sono inferma da tempo. Un morbo mi ha atrofizzata, quando stavo per coronare i miei lunghi anni di studio: ero laureanda in medicina a Milano. Accusavo da tempo una sordità che i medici stessi non credevano all'inizio. Ed io andavo avanti cosi non creduta e tuffata nei miei studi che amavo disperatamente. Avevo diciassette anni quando ero già iscritta all'Università.
Poi il male mi ha completamente arrestata quando avevo quasi terminato lo studio: ero all'ultimo esame. E la mia quasi laurea mi è servita solo per diagnosticare me stessa, perché ancora (fino allora) nessuno aveva capito di che si trattasse.
Fino a tre mesi fa godevo ancora della vista; ora è notte.
Però nel mio calvario non sono disperata. lo so che in fondo alla via Gesù mi aspetta.
Prima nella poltrona, ora nel letto che è la mia dimora ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini.
Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia, certezza, fino alla consumazione dei secoli.
Fra poco io non sarò più che un nome; ma il mio spirito vivrà qui fra i miei, fra chi soffre, e non avrò neppure io sofferto invano.
E tu, Natalino, non sentirti solo. Mai
. Procedi serenamente lungo il cammino del tempo e riceverai luce, verità: la strada sulla quale esiste veramente la giustizia, che non è quella degli uomini, ma la giustizia che Dio solo può dare.
Le mie giornate non sono facili; sono dure, ma dolci, perché Gesù è con me, col mio patire, e mi dà soavità nella solitudine e luce nel buio.
Lui mi sorride e accetta la mia cooperazione con Lui.
Ciao, Natalino,
la vita è breve, passa velocemente. Tutto è una brevissima passerella, pericolosa per chi vuole sfrenatamente godere, ma sicura per chi coopera con Lui per giungere in Patria.
Ti abbraccio. Tua sorella in Cristo, Benedetta

Lettera di
Benedetta Bianchi Porro, ,da: Oltre il silenzio. Diari e lettere)
 

Postato da: giacabi a 14:41 | link | commenti
bianchi porro

lunedì, 21 aprile 2008

La stanza di Benedetta

 
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Autore: Bergamini, Paola  Curatore: Buggio, Nerella
Fonte: Tracce - luglio-agosto 2001
Una giovane romagnola muore dopo una lunga malattia. Una testimonianza che rincuora nel sopportare le circostanze drammatiche della vita e nella fatica della propria fede. Il cammino verso la santità, per tutti un ideale concretissimo.
Entra a passi veloci nella stanza piena di luce di questa giornata di inizio giugno. Si siede sul bordo del divano, prende la copia di Tracce lì appoggiata: "Bella copertina! È il suo giornale?". "Sì". Lo sguardo corre veloce su Corrado, sulla moglie Pia. Sorride: "Lui era il preferito di Benedetta. Io lo sgridavo perché perdeva tempo a scrivere poesie e lei lo difendeva dicendomi che non capivo. Aveva ragione". "La Benedetta aveva pazienza, un amore paziente per le persone…". Solo per un attimo alla mamma di Benedetta la voce si incrina e gli occhi s'annacquano. Ma chi era Benedetta Bianchi Porro, morta a 27 anni dopo una lunga malattia che negli ultimi sei mesi l'aveva resa sorda, cieca, semiparalizzata e immobile nel letto, e di cui è in atto la causa di beatificazione? Si riprende subito la signora Elsa, la voce torna ferma e squillante, tradendo l'origine romagnola. "La Benedetta… la Benedetta era una bella ragazza, molto intelligente - se la malattia non glielo avesse impedito, si sarebbe laureata in Medicina a 23 anni -, serena, allegra, con una capacità straordinaria di raccogliere intorno a sé le persone. Fino all'ultimo. La sua stanza era sempre piena di amici, di religiosi, che venivano a trovarla. Era un andirivieni continuo. Perché lei aveva qualcosa da comunicare: una fede concreta, vissuta in quella situazione di sofferenza. Ne ho visti tanti uscire da quella stanza con le lacrime agli occhi per quello che lei aveva detto loro. Ma su questo era molto schiva, non voleva essere elogiata. Spesso mi diceva: "Mamma, io non ho nessun merito. Il Signore mi ha dato dei doni. Bisogna solo ringraziarlo". Un fatto, forse, spiega meglio. Era Pasqua. L'ultima sua Pasqua. A tavola c'era stata una discussione molto animata. E lei, pur essendo sorda, se ne era accorta. Quando la portai a letto mi chiese il perché di tanta animazione. "Parlavamo di te. Dicevamo che tu sei santa. Per questo accetti tutto". E lei, di rimbalzo: "Finitela con questi discorsi. Se lo dite e non è vero, siete degli ipocriti. Se è vero, poche chiacchiere e cercate di imitarmi". Il giorno dopo riferii l'accaduto a un frate commentando: "La Benedetta è anche orgogliosa!". "Questo non è orgoglio. Se la segni, questa frase, perché è da santi". L'ho segnata nel mio cuore".

Alfabeto muto
Una stanza piena di gente. Ma come era possibile comunicare con lei, cieca e sorda? "Noi eravamo la sua penna - spiega Corrado -. All'inizio, quando era solo sorda, usavamo l'alfabeto muto; poi, quando è subentrata anche la cecità, lei appoggiava la sua mano sulla nostra per "leggere" le lettere dell'alfabeto. Così era un dialogo continuo. Carmen, l'altra sorella, era velocissima. Benedetta ci ha fatto toccare il paradosso della croce. Che salvezza può dare una malattia che via via ti fa perdere la possibilità di comunicare? E invece no.
Più la malattia progrediva, più la stanza si riempiva di gente. Benedetta ha accettato questa croce come dono per sé e per noi". La signora Elsa non riesce a stare zitta: "Mio marito non capiva come mai tanta gente venisse a trovarla. "Il Signore le ha tolto tutto. Cosa vengono a fare?". E io: "Non ti domandi perché?". "Sì, e non ho risposta. L'artista che recita, che scrive, che balla, raduna attorno a sé la gente. Ma lei non è neppure più bella!". "È lo Spirito Santo che parla in lei!". Abbassò gli occhi e disse: "Forse hai ragione". Lui che stravedeva per questa figlia definendola "un cervello unico". Lui che ha capito che la vita era una cosa seria quando Benedetta, si è ammalata tanto da cambiare la sua stessa vita. Tutte le mattine entrava nella sua stanza a fumare una sigaretta senza dire niente, non ha mai voluto imparare l'alfabeto. Ci fu un periodo in cui io e lui eravamo molto tesi. Benedetta, quando seppe il perché, mi disse che voleva parlare con il babbo. Per giorni tergiversò fino a quando lo affrontai: "Guarda che se Benedetta muore senza che tu le abbia parlato, avrai per sempre il rimorso". La mattina seguente venne in camera e lei, prendendogli le mani, disse: "Babbo, le tue manone grandi che lavorano per noi". "Sì, lavoro, ma sono contento di farlo per voi". Se ne andò piangendo. Io ero in un angolo. E sbottai: "È un mese che lo cercavi e poi cosa gli dici: buon lavoro. Sono senza parole". "Anch'io mamma". "Siamo in due!". "No, mamma, io sono senza parole perché sono molto meravigliata di te". "Di me? Io di te, Benedetta". "Mamma, quando tu preghi 'rimetti a noi i nostri debiti…' non sai cosa dici. Ma cosa pensi che il rimprovero agisca molto? Quando la persona sbaglia falle sentire di più che le vuoi bene. Forse così si vergognerà". Ammutolii. Parlava senza parole. E vedeva ciò che noi non vedevamo. La sua sensibilità si era affinata nella malattia. Ricordo che una volta le dissi che Manuela, l'altra sorella, piangeva per niente. Mi redarguì: "Quando uno piange non è mai per niente. Soffre. Anche se è per una sciocchezza, soffre". Tappò la mia linguaccia".

La paura
Ma la paura? "In una lettera - interviene Corrado -, ricordando il passo evangelico della tempesta sul lago, scrisse
: "Non bisogna aver paura di dire: 'Ho paura'. Solo così Dio saprà trarre il bene anche dal male"". La signora Elsa si alza di scatto: "È tardi. Devo andare. Mi lascia la copia del giornale? Bene. Facciamo il viaggio insieme?". Certo. Sul treno che da Como ci riporta a Milano mi racconta di sé, della sua gioventù, dei figli e, ricorrente, una parola torna sempre: Benedetta. Anzi, non una parola, una presenza. Benedetta era lì. Alla stazione di Cadorna ci salutiamo. Mi prende le mani e mi bacia. Come se ci conoscessimo da sempre. Di getto le dico: "Preghi Benedetta anche per me". "Certo. Ma lo faccia anche lei". Già, Benedetta ora è diventata anche per me una presenza. Succede così con i santi: invadono la vita e non ti lasciano più stare.

Postato da: giacabi a 23:07 | link | commenti
bianchi porro


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