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sabato 4 febbraio 2012

Bobbio

Lo scrittore De Botton: «la società laica non funziona, guardiamo al cristianesimo»

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Abbiamo già avuto modo di parlare (cfr. Ultimissima 7/9/11) dello scrittore, giornalista ed editorialista Alain de Botton, autore di “Del buon uso della religione” (Guanda 2011), ovvero una sorta di risposta al libro di Giulio Giorello intitolato “Del buon uso dell’ateismo”. E’ un dialogo tra non credenti intelligenti e non certo razionalisti. In passato abbiamo apprezzato la posizione di Giorello.
De Botton parla ancora una volta parla della sua educazione forzata all’ateismo: «Sono cresciuto in una famiglia di atei convinti, figlio di ebrei non osservanti che mettevano la fede religiosa sullo stesso piano della fede in Babbo Natale. Nonostante fossi stato fortemente influenzato dall’atteggiamento dei miei genitori, passati i vent’anni il mio ateismo mi ha mandato in crisi». Al posto di approdare alla fede però, come spesso capita, è oggi convinto della necessità di “sfruttare” il benessere culturale che la vita religiosa, in particolare cristiana, offre: «Mi sono reso conto che la mia protratta resistenza alle teorie sull’aldilà o sugli abitanti del paradiso non era una giustificazione sufficiente per liquidare la musica, gli edifici, le preghiere, i rituali, le celebrazioni, i santuari, i pellegrinaggi, i pasti in comunione e i manoscritti miniati». Ed è opportuno farlo, secondo lui, per contrastare la disgregazione del senso di comunità nella società laica moderna, e per far fronte alle fragilità che minano l’equilibrio di tutti gli esseri umani. Afferma: «Nella società di oggi ci viene chiesto di fare una scelta, di dichiarare se siamo religiosi o se non lo siamo affatto. O si crede o non si crede, punto. Mettere le cose in questo modo mi sembra un po’ ridicolo, perché in realtà nella pratica religiosa si trovano elementi importanti che non riguardano in realtà solo “la fede” in senso stretto. In particolare, credo che un po’ tutti noi abbiamo bisogno di imparare dalla religione come organizzare la nostra vita spirituale». Propone quindi di «leggere le fedi, principalmente quella cristiana e, in misura minore, quella giudaica e quella buddista, alla ricerca di intuizioni che possano tornare utili nella vita laica, soprattutto in relazione ai problemi sollevati dalla convivenza all’interno di una comunità e dalle sofferenze mentali e fisiche. Non si tratta di negare i valori della laicità: la mia tesi è che spesso abbiamo laicizzato malamente, cioè che, mentre cercavamo di liberarci di idee inattuabili, abbiamo erroneamente rinunciato anche ad alcuni degli aspetti più utili e affascinanti della religione».
Uno spunto insolito quello dell’intellettuale svizzero, seppur non innovativo. Già Giuliano l’Apostata riteneva che i cristiani andassero combattuti sul loro campo, imitandoli nella sobrietà e nella benevolenza verso gli altri. Tuttavia l’intellettuale afferma indirettamente l’incapacità della realizzazione di una morale laica (almeno fino a prova contraria), così come aveva già sottolineato il “papa laico” Norberto Bobbio: «La morale razionale che noi laici proponiamo è l’unica che abbiamo, ma in realtà è irragionevole. Io non ho nessuna speranza. In quanto laico, vivo in un mondo in cui è sconosciuta la dimensione della speranza». E ancora in un’intervista inedita: «Gli uomini sono cattivi. Il male è la storia umana. È la sconfitta di Dio e la sconfitta della ragione. Questo secolo lo dimostra più di ogni altra epoca. E il cristianesimo, dov’è il cristianesimo? [...]. Come diceva Croce, non possiamo non dirci cristiani. Senza l’etica cristiana non c’è convivenza. Ma il cristianesimo come fede è un’altra cosa. E io non riesco a non dubitare». Il tentativo dello scrittore svizzero non appare comunque realizzabile, perché nessuna etica sopravvive se non è agganciata a qualcosa che sovrasti l’uomo. Detta in termini sportivi, i giocatori non sanno farsi le regole. Recentemente ha ampliato questo concetto il filosofo Benedetto Ippolito, docente presso l’Università degli Studi “Roma Tre”: «l’unico pilastro con cui è possibile salvaguardare l’intelligenza, la libertà dell’uomo e il rispetto della natura circostante è solo Dio creatore, perché Egli è il principio che permette di concepire il valore supremo della natura creata rispetto ai tanti interessi esistenti». E perfino il teologo dissidente Hans Küng: «L’umano è salvaguardato solo se viene fondato sul divino. Solo l’Assoluto può vincolare in maniera assoluta».
da
:
UCCR

Postato da: giacabi a 19:45 | link | commenti
ateismo, bobbio

martedì, 04 gennaio 2011
L'inesistenza dell'etica laica
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L'etica laica è fondata sull'utilità. Essere etici conviene, è utile. Conviene all'intera umanità, e quindi anche a ogni singolo individuo.
Eppure quel singolo individuo potrebbe chiedersi: Per quale motivo non dovrei agire direttamente per la mia utilità, per il mio interesse personale, anche se in contrasto con l'interesse dell'umanità?
Un'etica che si fonda sull'utilità è la negazione di se stessa. Semplicemente non esiste. 
Il laicismo, da sempre, maschera il proprio vuoto morale con un moralismo ipocrita, che si vanta di non avere certezze se non quella di essere onesto. Un moralismo che assume di volta in volta le forme dell'ambientalismo, del pacifismo o del giustizialismo, e che per convincere se stesso e gli altri di esistere ha bisogno di condannare. E di usare violenza.
La morale, quella vera, non si nutre di condanne, ma della Misericordia e dell'Amore di un Padre, se non ci fosse il quale non potremmo mai essere, come siamo, fratelli. 



    Giorgio Roversi     

Postato da: giacabi a 19:52 | link | commenti
laicismo, bobbio

sabato, 31 ottobre 2009
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Io sono stato discepolo di Norberto Bobbio, il quale diceva: Ricordino signori che la morale cosiddetta laica non è ragionevole”. Non è ragionevole perché manca del chiodo alla parete a cui può essere appesa. Nessuno è in grado di dare una risposta ragionevole alla domanda: “Perché fare il bene e non il male se facendo il male me ne viene un vantaggio e non sarò punito?”. Trovo inutile appellarsi alla coscienza, che è una realtà cristiana. Qual è la “coscienza” dell’indigeno antropofago? Perché Gesù è venuto sulla terra se fosse bastato un intellettuale per indicarci l’etica da seguire? Perché il Vangelo non sia svuotato dobbiamo pur segnalare dei comportamenti che ci sono richiesti proprio dal Vangelo. Se la ragione bastasse per stabilire l’etica, a che pro la rivelazione cristiana? Non sarebbe superflua? Non sarebbe bastato un Socrate qualsiasi?».
V. Messori         da  ilgiornale.it 11-01-2008

Postato da: giacabi a 21:11 | link | commenti (2)
bobbio, messori

giovedì, 14 maggio 2009
La morale cosiddetta laica non è ragionevole
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"Io sono stato discepolo di Norberto Bobbio, il quale diceva: “Ricordino signori che la morale cosiddetta laica non è ragionevole”. Non è ragionevole perché manca del chiodo alla parete a cui può essere appesa. Nessuno è in grado di dare una risposta ragionevole alla domanda: “Perché fare il bene e non il male se facendo il male me ne viene un vantaggio e non sarò punito?”. Trovo inutile appellarsi alla coscienza, che è una realtà cristiana. Qual è la “coscienza” dell’indigeno antropofago? Perché Gesù è venuto sulla terra se fosse bastato un intellettuale per indicarci l’etica da seguire? Perché il Vangelo non sia svuotato dobbiamo pur segnalare dei comportamenti che ci sono richiesti proprio dal Vangelo. Se la ragione bastasse per stabilire l’etica, a che pro la rivelazione cristiana? Non sarebbe superflua? Non sarebbe bastato un Socrate qualsiasi?"
Vittorio Messori

Postato da: giacabi a 23:39 | link | commenti
bobbio

giovedì, 27 marzo 2008
L’aborto è un omicidio
L’aborto è un omicidio
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Alla vigilia del referendum sull'aborto, il «Corriere della sera» dell'8 maggio 1981 pubblicò un'intervista di Giulio Nascimbeni a Norberto Bobbio. Il filosofo, tra i massimi esponenti della cultura laica del dopoguerra, spiega così le sue ragioni a favore della vita.


Sono con Norberto Bobbio nel suo studio di Torino, fra scaffali gremiti e tavoli coperti da giornali e riviste. «Non parlo volentieri di questo problema dell'aborto» mi dice. Gli chiedo perché. «È un problema molto difficile, è il classico problema nel quale ci si trova di fronte a un conflitto di diritti e di doveri».
Quali diritti e quali doveri sono in conflitto?
«Innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte. Si può parlare di depenalizzazione dell'aborto, ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all'aborto».
Lei parlava di diritti, non di un solo diritto
«C'è anche il diritto della donna a non essere sacrificata nella cura dei figli che non vuole. E c'è un terzo diritto: quello della società. Il diritto della società in generale e anche delle società particolari a non essere superpopolate, e quindi a esercitare il controllo delle nascite».
Non le sembra che, così posto, il conflitto fra questi diritti si presenti pressoché insanabile?
«È vero, sono diritti incompatibili. E quando ci si trova di fronte a diritti incompatibili, la scelta è sempre dolorosa».
Ma bisogna decidere.
«Ho parlato di tre diritti: il primo, quello del concepito, è fondamentale; gli altri, quello della donna e quello della società, sono derivati. Inoltre, e questo per me è il punto centrale, il diritto della donna e quello della società, che vengono di solito addotti per giustificare l'aborto, possono essere soddisfatti senza ricorrere all'aborto, cioè evitando il concepimento. Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere».
Quali critiche muove alla legge 194?
«Al primo articolo è detto che lo Stato "garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile". Secondo me, questo diritto ha ragione d'essere soltanto se si afferma e si accetta il dovere di un rapporto sessuale cosciente e responsabile, cioè tra persone consapevoli delle conseguenze del loro atto e pronte ad assumersi gli obblighi che ne derivano. Rinviare la soluzione a concepimento avvenuto, cioè quando le conseguenze che si potevano evitare non sono state evitate, questo mi pare non andare al fondo del problema. Tanto è vero che, nello stesso primo articolo della 194, è scritto subito dopo che l'interruzione della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite».
E se, abrogando la legge 194, si tornasse ai «cucchiai d'oro», alle «mammane», ai drammi e alle ingiustizie dell'aborto clandestino? L'aborto è una triste realtà, non si può negarla.
«Il fatto che l'aborto sia diffuso, è un argomento debolissimo dal punto di vista giuridico e morale. E mi stupisce che venga addotto con tanta frequenza. Gli uomini sono come sono: ma la morale e il diritto esistono per questo. Il furto d'auto, ad esempio, è diffuso, quasi impunito: ma questo legittima il furto? Si può al massimo sostenere che siccome l'aborto è diffuso e incontrollabile, lo Stato lo tollera e cerca di regolarlo per limitarne la dannosità. Da questo punto di vista, se la legge 194 fosse bene applicata, potrebbe essere accolta come una legge che risolve un problema umanamente e socialmente rilevante».
Esistono azioni moralmente illecite ma che non sono considerate illegittime?
«Certamente. Cito il rapporto sessuale nelle sue varie forme, il tradimento tra coniugi, la stessa prostituzione. Mi consenta di ricordare il Saggio sulla libertà di Stuart Mill. Sono parole scritte centotrent'anni fa, ma attualissime. Il diritto, secondo Stuart Mill, si deve preoccupare delle azioni che recano danno alla società: "il bene dell'individuo, sia esso fisico o morale, non è una giustificazione sufficiente"».
Questo può valere anche nel caso dell'aborto?
«Dice ancora Stuart Mill: "Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l'individuo è sovrano". Adesso le femministe dicono: "Il corpo è mio e lo gestisco io". Sembrerebbe una perfetta applicazione di questo principio. Io, invece, dico che è aberrante farvi rientrare l'aborto. L'individuo è uno, singolo. Nel caso dell'aborto c'è un "altro" nel corpo della donna. Il suicida dispone della sua singola vita. Con l'aborto si dispone di una vita altrui».
Tutta la sua lunga attività, professor Bobbio, i suoi libri, il suo insegnamento sono la testimonianza di uno spirito fermamente laico. Immagina che ci sarà sorpresa nel mondo laico per queste sue dichiarazioni?
«Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il "non uccidere". E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l'onore di affermare che non si deve uccidere».
 

Postato da: giacabi a 13:59 | link | commenti (2)
aborto, bobbio

martedì, 12 febbraio 2008

NORBERTO BOBBIO
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Perché non riesco a credere
IO NON sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi, però distinguo la religione dalla religiosità.
Religiosità significa per me, semplicemente, avere il senso dei propri limiti, sapere che la ragione dell'uomo è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo rispetto alla grandiosità, all'immensità dell'universo. L'unica cosa di cui sono sicuro, sempre stando nei limiti della mia ragione - perché non lo ripeterò mai abbastanza: non sono un uomo di fede, avere la fede è qualcosa che appartiene a un mondo che non è il mio - è semmai che io vivo il senso del mistero, che evidentemente è comune tanto all'uomo di ragione che all' uomo di fede. Con la differenza che l'uomo di fede riempie questo mistero con rivelazioni e verità che vengono dall'alto, e di cui non riesco a convincermi.
Resta però fondamentale questo profondo senso del mistero, che ci circonda, e che è ciò che io chiamo senso di religiosità.
La mia è una religiosità del dubbio, anziché delle risposte certe. Io accetto solo ciò che è nei limiti della stretta ragione, e sono limiti davvero angusti: la mia ragione si ferma dopo pochi passi mentre, volendo percorrere la strada che penetra nel mistero, la strada non ha fine. Più noi sappiamo, più sappiamo di non sapere. Qualsiasi scienziato ti dirà che più sa e più scopre di non sapere.
Credevano di sapere di più gli antichi, che non sapevano niente al confronto di quello che sappiamo noi.
Abbiamo allargato enormemente lo spazio della nostra conoscenza, ma più lo allarghiamo più ci rendiamo conto che questo spazio è grande.
Cos' è il cosmo? Cosa sappiamo del cosmo? Come e perché il passaggio dal nulla all'essere?
È una domanda tradizionale, ma io non ho la risposta: perché l'essere e non piuttosto il nulla? Io non mi sono mai nascosto di non avere una risposta, e non so chi sappia darla a questa domanda ultima, se non per fede. Secondo Severino l'essere è infinito, l'essere c'è. Ma non è che così siamo in grado di capire cosa c'era prima. È impossibile. E di fronte alle domande cui è impossibile dare una risposta - perché di questo sono certo: non posso dare una riposta, benché appartenga ad una umanità che ha realizzato progressi enormi - mi sento un piccolo granello di sabbia in questo universo. E negare che la domanda abbia senso, come potrebbe fare una certa filosofia analitica, mi pare un gioco di parole. Probabilmente dipende dalla mia incapacità di andare al di là.
Ma quando sento di essere arrivato alla fine della vita senza aver trovato una risposta alle domande ultime, la mia intelligenza è umiliata. Umiliata. E io accetto questa umiliazione. La accetto. E non cerco di sfuggire a questa umiliazione con la fede, attraverso strade che non riesco a percorrere. Resto uomo della mia ragione limitata - e umiliata. So di non sapere.
Questo io chiamo "la mia religiosità". Non so se è giusto, ma in fondo coincide con quello che pensano le persone religiose di fronte al mistero. Certo, probabilmente non si riesce a resistere a questo dubitare continuo, a questo continuo non sapere, e allora ci si affida alle credenze, come quella nella immortalità dell'anima.
Io però, il fondo religioso della mia persona continuo a intenderlo come questo non sapere. Ed è un fondo religioso che mi assilla, mi agita, mi tormenta.
Un giorno al cardinal Martini ho detto: per me la differenza non è tra il credente e il non credente (cosa vuol dire poi credere? In che cosa?), ma tra chi prende sul serio questi problemi e chi non li prende sul serio: c'è il credente che si accontenta di risposte facili (e anche il non credente, sia chiaro, che delle risposte facili si accontenta!).
Qualcuno dice: "sono ateo", ma io non sono sicuro di sapere cosa significa. Penso che la vera differenza sia tra chi, per dare un senso alla propria vita, si pone con serietà e impegno queste domande, e cerca la risposta, anche se non la trova, e colui cui non importa nulla, a cui basta ripetere ciò che gli è stato detto fin da bambino………………..
…. Qualche volta, pensando alla morte di una persona particolarmente cara - mio padre, ad esempio - so che quella persona che ho amato ora non c'è più. E che ci sia qualche cosa di lui in un altro luogo - che non so dove sia - a me non importa assolutamente nulla.
La persona che ho amato era quel particolare modo di sorridere, di farci giocare, di raggiungerci in campagna alla fine della settimana quando eravamo in vacanza, la nostra attesa sul cancello della casa per aspettarlo e poi salutarlo festosamente: questo so per certo che non c'è più.
Ho continuato a riflettere sui grandi temi dell'esistenza e nessuna delle risposte della religione mi ha mai convinto. Però,
nello stesso tempo, neppure io sono riuscito a dare delle risposte. E dunque, di nuovo, dico che ho un senso religioso della vita proprio per questa consapevolezza di un mistero che è impenetrabile. Impenetrabile!
 Norberto Bobbio  da: Repubblica 30 APRILE 2000

Postato da: giacabi a 20:39 | link | commenti
bobbio, senso religioso

venerdì, 09 novembre 2007
I mali del mondo
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«Un pericolo non meno grave del nichilismo è il fondamentalismo religioso, i cui seguaci, sparsi ormai in tutto il mondo e in rapido aumento, al grido di “Dio lo vuole”, commettono i più efferati delitti. Nichilismo e fondamentalismo minacciano da due versanti opposti l’avvenire dell’umanità. Chi vede nel nostro futuro solo il pericolo del nichilismo, vede i mali del mondo con un occhio solo»
 Norberto Bobbio

Postato da: giacabi a 18:43 | link | commenti
nichilismo, bobbio

sabato, 06 ottobre 2007
 Nichilismo e fondamentalismo
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«Un pericolo non meno grave del nichilismo è il fondamentalismo religioso, i cui seguaci, sparsi ormai in tutto il mondo e in rapido aumento, al grido di “Dio lo vuole”, commettono i più efferati delitti. Nichilismo e fondamentalismo minacciano da due versanti opposti l’avvenire dell’umanità. Chi vede nel nostro futuro solo il pericolo del nichilismo, vede i mali del mondo con un occhio solo».
 N. Bobbio

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