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sabato 4 febbraio 2012

Brague

CRISTIANI E CRISTIANISTI ***

Intervista a Rémi Brague
di Gianni Valente

A Rémi Brague, professore di Filosofia araba alla Sorbona e anche all’Università Ludwig-Maximilian di Monaco, è sempre piaciuto usare le parole con fantasia. Ma forse non pensava che uno dei suoi geniali neologismi, nascosto nelle pagine di un libro scritto già dodici anni fa, potesse fotografare con disarmante efficacia i termini del rapporto tra fede cristiana e civiltà occidentale oggi tanto dibattuti anche all’interno della Chiesa. Il volume Europe. La voie romaine – tradotto in quindici lingue, ormai è quasi un classico – Brague lo scrisse nel ’92 per documentare con un’angolazione originale e moderna il contributo di Roma e della “romanità” alla fioritura della civiltà europea. Ma in quelle pagine, quasi en passant, il professore introdusse anche la distinzione che corre tra cristiani e “cristianisti”...

Professore, partiamo da qui. Lei definisce i cristiani come coloro che credono in Cristo. I “cristianisti”, invece, sono quelli che esaltano e difendono il cristianesimo, la civiltà cristiana…


RÉMI BRAGUE
(Intervista apparsa in "3ogiorni", ottobre 2004)

: La parola “cristianista” forse non è molto carina. Ma non mi dispiace averla proposta. Prima di tutto perché è divertente. E poi perché spinge le persone a riflettere su ciò che vogliono veramente. Quelli che difendono il valore del cristianesimo e il suo ruolo positivo nella storia mi sono di certo più simpatici di quelli che lo negano. Io non intendo certo scoraggiarli. Mi piacerebbe persino che in Francia fossero più numerosi. E questo non perché costoro siano degli “alleati oggettivi”. Ma soltanto perché quello che dicono è vero. Dunque, grazie ai “cristianisti”. Soltanto, io vorrei ricordare loro che il cristianesimo non si interessa a sé stesso. S’interessa a Cristo. E anche Cristo stesso non s’interessa del proprio io: Lui s’interessa a Dio, che chiama in un modo unico, «Padre». E all’uomo, a cui propone un nuovo accesso a Dio.

In una certa valorizzazione del cristianesimo in chiave ideologico-culturale non si riaffaccia l’approccio già manifestatosi ai tempi dell’Action française?

BRAGUE:
L’Action française, dopo la Prima guerra mondiale, aveva potuto attirare dei cristiani autentici e intelligenti: Bernanos, per esempio. Ma l’ispirazione ultima del movimento era meramente nazionalista. La Francia era stata plasmata dalla Chiesa. Per questo loro si dicevano cattolici, perché si volevano francesi al cento per cento. Il loro principale pensatore, Charles Maurras, era un discepolo di Auguste Comte; ammirava la chiarezza greca e l’ordine romano. Si dichiarava ateo, ma cattolico. La Chiesa era per lui una garanzia contro «il veleno giudeo del Vangelo». Al fondo, era un’idolatria, nel suo aspetto peggiore: mettere Dio al servizio del culto di sé stessi. Che si tratti dell’individuo o della nazione, la sostanza non cambia. E agli idoli bisogna sempre sacrificare qualcosa di vivo, come la gioventù europea, massacrata a Verdun o altrove.

Alcuni rimproverano alla Chiesa una debolezza nel sostenere certi contenuti di verità. Qual è l’immagine di Chiesa che piace a loro?


BRAGUE:
Per questa gente, la Chiesa deve “difendere certi valori”, e non transigere sulle regole morali. Ma loro stessi le seguono? Non sempre... Loro vogliono un’organizzazione con una linea ferma, con un “numero uno” ben stabilito. Alla fine, mi chiedo se non sognino una Chiesa fatta con lo stampo del Partito comunista dell’Unione Sovietica.

Si discute molto delle radici cristiane dell’Europa e più in generale della civiltà occidentale. Come giudica la loro lettura di questo rapporto?


BRAGUE:
Il cristianesimo non ha niente d’occidentale. È venuto da Oriente. I nostri avi sono diventati cristiani. Hanno aderito a una religione che all’inizio era per loro straniera. Le radici? Che immagine strana... Perché considerarsi come una pianta? In gergo francese, “piantarsi” vuol dire sbagliarsi, o fare un errore... Se si vogliono a ogni costo delle radici, allora diciamo con Platone: noi siamo degli alberi piantati al contrario, le nostre radici non sono sulla terra, ma in cielo. Noi siamo radicati in ciò che, come il cielo, non si può afferrare, sfugge a ogni possesso. Non si possono piantare bandiere su una nuvola. E noi siamo anche animali mobili. Il cristianesimo non è riservato agli europei. È missionario. Crede che ogni uomo abbia il diritto di conoscere il messaggio cristiano, che ogni uomo meriti di diventare cristiano.

Lei, attraverso i suoi studi e i suoi libri, ha descritto il rapporto innegabile tra il cristianesimo e la civiltà europea. Come andò veramente?


BRAGUE:
La civiltà dell’Europa cristiana è stata costruita da gente il cui scopo non era affatto quello di costruire una “civiltà cristiana”. La dobbiamo a persone che credevano in Cristo, non a persone che credevano nel cristianesimo. Pensate a papa Gregorio Magno. Ciò che lui ha creato – ad esempio il canto gregoriano – ha sfidato i secoli. Ora, lui immaginava che la fine del mondo fosse imminente. E dunque, non ci sarebbe stata alcuna “civilizzazione cristiana”, per mancanza di tempo. Lui voleva soltanto mettere un po’ d’ordine nel mondo, prima di lasciarlo. Come si rassetta la casa prima di partire per le vacanze. Cristo non è venuto per costruire una civiltà, ma per salvare gli uomini di tutte le civiltà. Quella che si chiama “civiltà cristiana” non è nient’altro che l’insieme degli effetti collaterali che la fede in Cristo ha prodotto sulle civiltà che si trovavano sul suo cammino. Quando si crede alla Sua resurrezione, e alla possibilità della resurrezione di ogni uomo in Lui, si vede tutto in maniera diversa e si agisce di conseguenza, in tutti i campi. Ma serve molto tempo per rendersene conto e per realizzare questo nei fatti. Per questo, forse, noi siamo solo all’inizio del cristianesimo.

Lei per descrivere il cammino della civiltà europea ha usato una formula originale, quella della “secondarietà”. Cosa intendeva suggerire con tale espressione?

BRAGUE
: L’espressione è forse maldestra, ma non ne ho trovata una migliore. Nel mio libro Europe. La voie romaine io la integro con altre formule, come quella della “cultura d’inserzione”, in opposizione alle “culture di digestione”. Intendo dire soltanto che il Nuovo Testamento viene dopo l’Antico Testamento, e i Romani dopo i Greci. Non solo riguardo al tempo, ma anche nel senso che quelli che venivano dopo percepivano la propria dipendenza rispetto a ciò che li precedeva, e che costituiva un modello. I Romani hanno fatto del bene e del male, come è capitato a tutte le civiltà. Ma occorre dar loro atto che si sono riconosciuti culturalmente inferiori in rapporto ai Greci, e hanno compreso che il loro compito storico era anche di diffondere una cultura che non era la loro. Essere “secondari” significa sapere che ciò che si trasmette non proviene da sé stessi, e che lo si possiede solo in modo fragile e provvisorio. Questo implica tra l’altro che nessuna costruzione storica ha niente di definitivo. Deve essere sempre rivista, corretta, riformata.

Alcuni denunciano lo “stile di vita osceno” dell’Occidente, proponendo le verità cristiane come antidoto al nichilismo e al relativismo che lo ammalano. Come giudica questi ragionamenti?

BRAGUE:
Contengono una parte di vero. Se fossero totalmente falsi, nessuno li prenderebbe in considerazione. È vero che siamo malati. E i sintomi più allarmanti li si può chiamare “relativismo” e “nichilismo”, che, certo, hanno qualcosa di buono: rendono impossibile l’intolleranza (non si può né morire né uccidere in nome di qualcosa a cui non si crede che relativamente, o non si crede affatto). La seccatura è che il nichilismo non fa neanche vivere. Rousseau già l’aveva visto bene: l’ateismo non uccide gli uomini, impedisce loro di nascere. Ma non c’è bisogno del cristianesimo per combattere il relativismo e il nichilismo. In fondo, non c’è proprio bisogno di combatterli: si annullano da soli, come una pianta parassita che finisce per soffocare l’albero di cui vive, seguendolo nella morte. Il cristianesimo sarebbe l’antidoto a questi veleni? Io porrei due questioni. Una di principio. L’altra puramente pragmatica.
Innanzitutto, si ha il diritto di fare della fede uno strumento? Io mi chiedo anche se sia sempre giusto parlare di cristianesimo. Il suffisso può essere percepito, a torto, come designante una teoria, al pari di altri “ismi”: liberalismo, marxismo, eccetera. Sant’Agostino dice da qualche parte: ciò che c’è di cristiano tra i cristiani è Cristo. Essere cristiani è essere in contatto con una persona. Ora, non si può trasformare una persona in uno strumento.
La mia seconda domanda è semplice: se utilizzare la fede come strumento è permesso, è per questo fattibile? Funziona così? Io direi di sì. Ma non come certi fondamentalisti americani, che quantificano gli effetti positivi della religione sulla produttività dei manager! L’ho già scritto nel mio libro: la fede non produce effetti che là dove essa resta fede, e non calcolo.

Nel dibattito sulle radici cristiane dell’Europa cosa l’ha colpita?

BRAGUE
: Nel dibattito sulla citazione nella Costituzione europea delle radici cristiane dell’Europa, avrei voglia di non dar ragione né ai “cristianisti” né ai loro avversari. Cominciamo dai loro avversari. Direi loro: se si vuole fare della storia, allora bisogna chiamare le cose col loro nome, e dire che le due religioni che hanno segnato l’Europa sono l’ebraismo e il cristianesimo, e nessun’altra. Perché limitarsi a parlare di eredità religiosa e umanista? Un professore di storia non si accontenterebbe di tale definizione e scriverebbe in rosso, sul margine: «Troppo vago, precisate!». Ciò che mi dà fastidio è lo stato d’animo che in questo si manifesta, e cioè l’impulso tipicamente ideologico di negare la realtà e riscrivere il passato. E negare la realtà porta necessariamente a distruggerla. Allo stesso tempo, ai “cristianisti” direi: non è perché il passato è stato quello che è stato che l’avvenire gli debba necessariamente rassomigliare. La domanda giusta da porsi è se la nostra civiltà ha ancora il desiderio di vivere e di agire. E se, piuttosto che circondarla di barriere di ogni sorta, non sarebbe meglio che gli fosse ridonato questo desiderio. Per questo occorre attingere alla sorgente stessa della vita, alla Vita eterna.

Sant’Agostino, a chi gli chiedeva perché Gesù risorto non si era manifestato anche ai nemici, in modo da cancellare ogni dubbio sulla realtà della Sua resurrezione, rispondeva che per Gesù «era più importante insegnare l’umiltà ai suoi amici che sfidare con la verità i suoi nemici». Cosa suggerirebbe oggi Agostino a chi parla della testimonianza cristiana in termini di sfide?


BRAGUE:
Non inganniamoci su quello che vuole il Dio di Gesù Cristo. Non è quello che noi, noi vogliamo. Ciò che vuole non è schiacciare i suoi nemici. Ma liberarli da ciò che li rende suoi nemici, cioè una falsa immagine di Lui, quella di un tiranno al quale bisogna sottomettersi. Lui, essendo libero, non si interessa che alla nostra libertà. Cerca di guarirla. Il suo problema è di montare un dispositivo che permetta di veder risanata la libertà ferita degli uomini, così da poter scegliere liberamente la vita, contro tutte le tentazioni di morte che si portano dentro. Questo dispositivo i teologi lo chiamano “economia della salvezza”. Ne fanno parte le Alleanze, la Chiesa, i sacramenti, e via dicendo. Il ruolo delle civilizzazioni è indispensabile, ma non è lo stesso. E anche i loro mezzi sono differenti. Esse devono esercitare una certa costrizione, fisica o sociale. La fede invece può solo esercitare un’attrattiva sulla libertà, per la maestà del suo oggetto. Forse si potrebbe tornare a ciò che i papi dicevano agli imperatori d’Occidente, intorno alla riforma gregoriana, nell’XI secolo: non compete a voi la salvezza delle anime, contentatevi di fare il meglio possibile il vostro mestiere. Fate regnare la pace.

Postato da: giacabi a 18:02 | link | commenti
brague

martedì, 22 gennaio 2008
Una certa idea di uomo.
Lo spirito europeo e i tormenti della modernità.
***
alcuni brani dell’intervento di Rémi Brague, Roma 12 dicembre 2007
da: www.meetingrimini.org  

....il fatto cristiano non è un messaggio, ma un fatto, una persona. Se vi è messaggio cristiano, non è certo “quello di Gesù”. Gesù non ci trasmette un messaggio che sarebbe, ad esempio, un metodo di salvezza, sulla scorta di quanto aveva fatto Buddha, prima di lui. Estremizzando in senso inverso, non ci fornisce neppure un libro dettato da Dio, da cui poter dedurre quello che bisogna mettere in atto per fare la volontà del Signore, come avverrà, dopo di lui, per Maometto. Gesù è il messaggio. Il messaggio degli apostoli, il « kerigma » annuncia la risurrezione di questo Gesù. Lui è il messaggio, ed ecco spiegato perché il Vangelo secondo Giovanni lo chiama “IL VERBO”  (Logos)……..
......Come definire l’idea cristiana dell’uomo?
L’uomo non può essere definito. Mi preoccupa sempre un po’ quando si vuole definire l’uomo. Temo che non lo si possa delimitare, ed è quello che vuol dire “definire”. Questo potrebbe essere fatto solo escludendo.
L’impossibilità di definire l’uomo, d’altronde, è stata ribadita magnificamente da Gregorio di Nissa, avvicinando due idee molto semplici, due affermazioni della Bibbia: l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio (Genesi 1, 26). Dio nessuno l’ha mai veduto (Giovanni 1, 18 et passim). Le proprietà dell’originale si ritrovano nella copia. Di conseguenza, anche l’uomo non è mai stato visto e definito da alcuno (aperigraptos) .

La parola « idea », quindi, non mi soddisfa appieno. L’ «idea cristiana dell’uomo» non è un’idea, intendendo modello da costruire. Non è nemmeno un ideale che dovrebbe rimanere al di fuori di qualsiasi realizzazione possibile. I cristiani, infatti, confessano che questo ideale è già stato realizzato. L’idea cristiana dell’uomo non è altro che il riconoscimento di una presenza in un essere molto concreto che già esiste. Nel Cristianesimo, l’uomo non è un’idea, è piuttosto un volto.
Il volto di una persona, quella che ha come nome proprio il nome comune « Uomo », in ebraico: Adamo. Di uomini, sotto una data ottica, ce ne sono stati solo due. E il primo comunque era una brutta copia. L’uomo è l’ultimo Adamo (Lettera prima ai Corinzi, 15, 45).
Questo Adamo ha solamente i tratti che ogni uomo dovrebbe possedere. Gesù non è un profondo filosofo, né un grande generale e neppure un asceta virtuoso, ecc.
Le conseguenze sono basilari : non si tratta di escludere dall’umanità in funzione del possedere o meno tali proprietà e neppure di graduare l’appartenenza all’umanità in base alla presenza di quanto sopra, e soprattutto di non rifare l’uomo derivante da tale funzione.


…………………………………
1
) Il Cristianesimo ha modificato tutte le civiltà in cui è stato presente, cominciando da quella su cui si è innestato in prima battuta, vale a dire l’Antichità greco-romana.
Tuttavia, non ha mai cercato di sostituire una civiltà precedente con una civiltà cristiana. Non v’è dubbio che abbia apportato novità, come la dignità della persona, l’immagine di Dio, da cui poi sono scaturite conseguenze decisive per quanto attiene allo status degli schiavi, della donna, ecc. L’essenziale, però, è probabilmente che ha lasciato essere la cultura profana. Il cristianesimo è l’unica religione che si accontenta di essere solo una religione. Non esiste una cucina cristiana, una medicina cristiana, un diritto cristiano, una filosofia cristiana. L’uomo può scoprire tutto questo da solo. Il Cristianesimo ha davvero lasciato in pace l’intera cultura profana.

2) Allorché il Cristianesimo ha superato una civiltà, non se ne è mai « sbarazzato » nel senso di un rifiuto. La Chiesa ha mantenuto l’Antico Testamento contro la tentazione rappresentata da Marcione. Ha conservato il diritto romano e la filosofia greca contro tutti i fideismi. Ha mantenuto il rispetto dell’autonomia della società civile e della sua organizzazione in Stato, contro tutti gli entusiasmi settari.
E la stessa Europa non è esclusivamente europea. Ha attinto dovunque, dall’Egitto e dalla Mesopotamia, alla Grecia e a Roma naturalmente, fino ai mondi vicini, bizantino e arabo. Se un Cristianesimo non europeo dovesse rifiutare tutto ciò che è arrivato dall’Europa e soprattutto attraverso l’Europa, quale spaventoso impoverimento ne scaturirebbe!
........

Postato da: giacabi a 16:06 | link | commenti
cristianesimo, brague

LAICI MA INTOLLERANTI
***
DA PARIGI DANIELE ZAPPALÀ

«L’università come luogo di apertura non è minacciata dal sapere reale, fisico, storico o filologico. Ma da una perversione ideologica di questi saperi, oggi spesso di ritorno». È il principale monito valido per tutta l’Europa che il filosofo francese Rémi Brague lancia traendo spunto dagli sconcertanti fatti di Roma.

Professore alla Sorbona di Parigi ma anche a Monaco di Baviera, dove occupa la prestigiosa cattedra intitolata a Romano Guardini, autore di saggi tradotti in tutto il mondo, Brague invita a non abbassare la guardia di fronte ai nuovi estremismi antireligiosi.

Professore, l’ha sorpresa l’esplosione d’intolleranza alla 'Sapienza'?

«
Che l’intolleranza miri la Chiesa non mi sorprende. Non la si attacca a causa dei suoi nei, reali – che essa ammette e di cui si rincresce a giusto titolo – o immaginari, ma perché essa rappresenta il bersaglio ideale. Per due ragioni. La prima è superficiale: non si rischia di farsi sgozzare o annientare. La seconda è più profonda: crediamo ancora in modo cieco al progresso e constatiamo che il male non scompare, anzi aumenta.

Occorre dunque caricare tutto ciò sulle spalle del passato e trovare un capro espiatorio. Tutte le istituzioni del passato sono scomparse. Tranne due gruppi umani che rivendicano una continuità bimillenaria e che possono essere caricati di ogni crimine: il popolo ebraico e i cristiani. Gli ebrei hanno già pagato, e come! Le Chiese protestanti assumono tutto il passato cristiano, ma chi immagina di rimproverar loro tutto ciò che è avvenuto prima della Riforma? Resta la Chiesa cattolica
».

Certi intellettuali atei, come il francese Michel Onfray o gli anglosassoni Richard Dawkins e Christopher Hitchens, rilanciano oggi un anticlericalismo virulento. Un segnale dei tempi?

«Non metterei tutti nello stesso paniere. Fra gli atei militanti, accanto a fenomeni da baraccone, ci sono alcuni autentici intellettuali. E se alcuni si accontentano d’insultare, altri avanzano argomenti, forse deboli, ma che occorrerebbe discutere.

Ma il fenomeno più interessante è l’influenza dei più aggressivi fra loro, ben orchestrata dai media, la cui logica propria accentua ancor più il carattere caricaturale delle tesi. Tutto non è spiegato da delusioni personali. Il successo di libri grossolani è spia di un bisogno di odio che è un aspetto dell’odio dell’Occidente, e soprattutto dell’Europa, verso se stesso».

L’ideale di università è associato con l’apertura e la tolleranza. I fatti di Roma, in quest’ottica, appaiono paradossali. Una distorsione legata a laicismo e scientismo?

«
L’università è un fenomeno che è nato in Europa e non altrove. Vale la pena ricordare che essa deve la sua esistenza al Papa. Le università medievali erano delle corporazioni che raggruppavano studenti, assistenti e professori, come altre raggruppavano apprendisti, maestri ebanisti, eccetera. Esse poterono sottrarsi alla giurisdizione del vescovo del luogo ponendosi sotto la protezione diretta del vescovo di Roma: è lui il garante dell’autonomia universitaria. Va poi detto che il sapere scientifico è un processo indefinito di approssimazione e di correzione. L’ideologia scientista si crede invece in possesso di un sapere totale e definitivo. Essa immagina soprattutto che la scienza è il solo accesso possibile alla verità. Affermazione che non è più scienza, ma filosofia, e non della migliore qualità».

Gli estremisti di Roma paiono spinti da irrazionalità e paura.

L’opposto di quella ragione a cui invita il discorso censurato del Papa. Un Papa che ricorda la forza e la coerenza della ragione fa paura?

«
Stalin avrebbe chiesto, durante la guerra: 'Il Papa? Quante divisioni di blindati?' Noi sappiamo bene che non ne ha alcuna. Allora, perché fa paura? Forse proprio perché ricorda la via della ragione alla nostra civiltà. L’università è supposta come la guardiana della ragione e della saggezza. 'La Sapienza' vuol dire questo… Ma essa è ancora fedele a questo compito? Avrebbe per caso già capitolato di fronte alla forza? Non penso soltanto a quelle dell’economia o della politica, pur così reali. Penso soprattutto alla capitolazione volontaria davanti all’opinione secondo cui 'tutto si equivale', dal momento che vi si crede. O davanti ai simulacri di gruppi di pressione liberi di descrivere il mondo o di riscrivere la storia in modo arbitrario».

Dietro gli eventi di Roma, è in gioco anche la democrazia?

«
Il Papa doveva parlare alla 'Sapienza' su invito delle autorità legittime di quest’università.
Suppongo che esse siano democraticamente elette. Il problema è già interno all’università: imporre le proprie decisioni e non capitolare davanti a qualche agitatore. Se l’università capitola, perché lo Stato, su un’altra scala, dovrebbe far ancora rispettare le sue leggi?».

Queste nuove spie d’intolleranza laicista e scientista sono una novità o richiamano invece fasi storiche precise?

«
In Francia come in Italia, si può pensare al XIX secolo della Terza République e del Risorgimento. Allora, lo Stato cercava di contrastare l’influenza del clero sulla società. Ma si trattava anche di una strategia della borghesia per distogliere da sé il malcontento popolare. Si potrebbe anche pensare, in un registro ancora più tragico, al Messico dell’inizio del XX secolo, in cui un regime positivista e anticristiano affogò nel sangue le sollevazioni popolari. Il leninismo e il nazismo volevano entrambi farla finita col cristianesimo. Si consideravano entrambi fondati su una scienza, economica per il primo, biologica per il secondo, storica e sociologica per entrambi. La religione era per entrambi un ostacolo al progresso, sociale per l’uno, razziale per l’altro. Il fatto che si trattasse di pseudoscienze non cambia il fondo del problema. Il fanatismo può pervertire tanto la scienza quanto la religione».

© Copyright Avvenire, 18 gennaio 2008

Postato da: giacabi a 14:35 | link | commenti
benedettoxvi, brague

venerdì, 14 dicembre 2007
Brague: «Ai valori preferisco i beni»
***
da:  http://www.avvenire.it/  13-12-2007
DA ROMA PAOLA SPRINGHETTI

«
Non è certo mestiere della scienza quello di salvare l’uomo».

Rémi Brague, professore di Filosofia araba alla Sorbona, si trova in perfetta sintonia con Papa Benedetto XVI, e della sua enciclica Spe Salvi.
Ieri sera era a Roma, per intervenire all’incontro su «Una certa idea di uomo. Lo spirito europeo e i tormenti della modernità», organizzato dall’Associazione Meeting per l’Amicizia tra i Popoli: un ragionamento di ampio respiro, con un approccio nuovo a molti problemi di cui oggi si discute.
«D’altronde – continua, – neanche le altre religioni hanno questo obiettivo: si preoccupano della sua riuscita, che nel buddhismo, per esempio, viene vista come liberazione, nell’islam come completa obbedienza a Dio. Solo il cristianesimo pone la problematica nella sua interezza.
È infatti una specificità del cristianesimo quella di evidenziare che l’uomo è ferito nella sua volontà: non è più capace di volere il bene né di darsi gli strumenti appropriati per raggiungerlo. Solo Dio può guarire questa volontà, affinché si arrivi alla salvezza. Ma Dio non può semplicemente sanare questa ferita della volontà dell’uomo: deve mettere in atto una riparazione che parta dall’interno, cioè deve far sì che l’uomo voglia di nuovo il suo bene. Alla salvezza dell’uomo la scienza non può apportare nulla: può descrivere sempre meglio la realtà, può apportare sempre più efficacia ed efficienza, può mettere in atto dispositivi e tecniche che sfocino nelle realizzazioni che vogliamo. Ma non ci può insegnare a desiderare il nostro bene, e di conseguenza a raggiungerlo».

Nella cultura moderna, però, a volte l’uomo sembra sospeso tra due fedi: quella in Dio, che atterrebbe alla sfera privata, e quella nella scienza, che invece si occupa del bene di tutti.

«La fede nella scienza è una metafora: in realtà essa non chiede che le si creda, perché è una verità obiettiva. Il termine 'fede', invece, cambia completamente significato quando lo riferiamo a Dio: in questo caso è una virtù teologale, ed è un atto di volontà attraverso il quale esprimiamo il nostro assenso nei confronti di una verità che la nostra ragione non riesce a comprendere appieno.
La credibilità della scienza oggi è legata all’applicazione delle tecniche che da essa provengono: abbiamo bisogno di guarire un paziente, abbiamo bisogno di potenza, ricchezza, felicità e la scienza ci permette tutto questo. La religione non 'funziona' a questo modo: ci invita a cambiare l’oggetto del nostro desiderio, a capire se quello che abbiamo è effettivamente quello che desideriamo o se abbiamo bisogno di altro. Ci propone una ricchezza fatta di altre cose, che non possono venire dalla scienza. Ci insegna cosa dobbiamo volere
».

Che cosa dobbiamo volere… sembra un’affermazione che nega la libertà. Benedetto XVI nella «Spe Salvi» scrive che il bene non è mai raggiunto definitivamente proprio perché l’uomo è libero, e la sua libertà è fragile.

«San Paolo nella lettera ai Galati (5,1) dice che Cristo ci ha liberato per la libertà: la libertà non è un mezzo per un’altra cosa, ma è un fine. È compimento dell’amore: niente è più libero di Dio, niente è più divino della libertà. Ciò che bisogna fare è liberare la libertà da tutti gli ostacoli che le impediscono di svilupparsi nella sua interezza. La libertà liberata troverà da sola il proprio compimento nell’incontro con il Signore».

Lei ha detto che bisognerebbe smettere di parlare di valori, e parlare invece di beni. Perché?

«Mi disturba il fatto di parlare di valori che si sta facendo da alcuni anni in ambito cattolico.
Ovviamente i contenuti di questi valori non li metto in discussione, ma noto una certa ingenuità nell’impiego di questo termine che è di moda, ma è stato usato anche, ad esempio, da Nietzsche, che non era propriamente un buon cattolico.Propongo allora una specie di esercizio: sostituire al termine 'valore' il termine 'beni', al plurale.
Il valore esiste nella misura in cui lo attribuiamo ad una determinata cosa, dunque è soggettivo.
Nietzsche, in Così parlò Zaratustra, analizza questo problema e dice che l’atto con cui diamo importanza alla cosa ha più importanza della cosa che acquista valore grazie all’atto. A questo i cattolici devono stare attenti. I beni invece sono oggettivi, concreti, rispondono a dei bisogni e sono condivisibili. Nel cristianesimo non c’è nulla che sia buono solo per i cristiani».

Però tra i cattolici si sta diffondendo la sensazione di essere minoranza, e quindi il bisogno di difendere i propri valori.

«L’impero romano era una specie di mercato delle opinioni: c’erano offerte filosofiche e religiose di ogni tipo a disposizione di chi le cercava. I cristiani erano una piccola minoranza: non c’è nessuna novità da questo punto di vista. Dobbiamo solo convincerci che il nostro è un ottimo 'prodotto', e in un mercato libero, noi saremmo ben collocati.
Solo il cristianesimo può rispondere a una domanda: ha senso la presenza degli uomini su questa terra?».

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