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sabato 4 febbraio 2012

brandirali


«I miei settant’anni da Mao a Berlusconi
passando per Cl»

di i
***

Gridavano «Stalin, Mao, Brandirali». Idolatrato e odiato come un capo carismatico, celebrava matrimoni comunisti col potere di un santone ideologico. Non c'è mai stato posto per le vie di mezzo, nella vita di Aldo Brandirali. La compagna, «la mia Teresa», in quegli anni ha devoluto al partito l'intera eredità di una famiglia della borghesia intellettuale. Qualcosa come 7 milioni di euro di ora. Eppure non ha rimpianti, ora che è a un passo dai 70 anni e ripensa a quei furori con un sorriso senza amarezza. Da Mao a don Giussani, dall'incontro con un ragazzino calabrese, sveglio e poverissimo, a un immigrato musulmano di via Padova. Tutto (e il contrario di tutto) si tiene in questa storia. Leader maoista nel '68, oggi consigliere comunale del Pdl, «ciellino». «Come mi sento? Benissimo. Sono contento di essere cristiano. Ero comunista e oggi sto con Berlusconi. Forse crede che dovrei sentirmi dilaniato, invece sono lo stesso Aldo che aveva 13 anni».
Che faceva a 13 anni?
«Politica. Contro la legge-Truffa».
Una normale legge elettorale...
«Sono nato comunista, padre partigiano, partecipava alle azioni della Volante rossa di Lambrate, ma non gli piaceva che si tenessero una parte dei soldi. Mia madre comunista anche lei, ma s'incazzò presto».
Cosa c'è prima del suo '68?
«La fabbrica, il sindacalismo. Ero a Roma ma fui uno dei pochi giovani dirigenti comunisti a fare il militare. C'era un accordo fra Andreotti e Pajetta. A me disse: “Compagno, qualche comunista che sappia sparare ci vuole”».
Lei invece uscì dal Pci..
«Il togliattismo mi sembrava una menzogna, fingeva di volere la rivoluzione ma non credevano nella democrazia. Nel '67-'68 c'è il gruppo Falce e Martello, l'Unione Comunisti Italiani marxisti-leninisti, il giornale Servire il Popolo».
Il Maoismo. Perch´ non le piaceva l'operaismo?
«La parola popolo è la chiave. Credevamo nel Meridione, nei contadini, le città per noi erano corrotte, gli operai una classe privilegiata».
Chi c'era con lei?
«Il mio primo amico, dissidente nel Pci, Ivan Della Mea. Poi, nel Pcml, eravamo 15mila. C'era Renato Mannheimer, ma non l'ho sposato io. Ricordo un giovane Michele Santoro, riccioluto e simpaticissimo».
Maoista anche lui. Che rapporto c'è fra voi?
«Allora, durante un ritiro a San Pellegrino ci fece trovare una chiesa imbrattata, ci mise contro tutta la gente del posto. Ora mi odia, per un fatto di coerenza credo, lui è l'esempio della rigidità della sinistra, un campione di astrattezza».
Lei si sente coerente? Qual è il filo conduttore di tutto?
«Il Comunismo era tutto teoria, io ho sempre buttato a mare la teoria. Poi non sono mai stato classe dirigente. Il filo conduttore, dalla fabbrica a oggi, è il tratto umano. L'uomo».
Perch´ scioglie il partito?
«Uno dei nostri disse: “Ho incontrato gente delle Br, vogliono parlare con te”. Il ragazzo in quella famosa foto con la pistola, a San Vittore, era dei nostri. Ma ci siamo fermati in tempo. Solo qualcuno è finito nella lotta armata».
Che succede allora? Cosa fa?
«Siamo nel '75. Anni durissimi. Io ho cercato l'errore del Marxismo. Mi sono avvicinato alla liberaldemocrazia. Ero molto amico di Pietro Bucalossi, l'ex sindaco. Questo liberalismo mi spiegava l'orrore della dittatura, ma non bastava».
Allora incontrò il dono della fede?
«Il Comunismo non fa i conti con l'uomo. Andavo per grotte allora. All'interno di un cunicolo lungo 300 metri, a Lascaux, in Francia, vidi dei disegni. Rimasi folgorato. Non erano fatti per essere visti. Era un dialogo col mistero. Ma chi mi poteva parlare del mistero?».
Don Giussani?
«Cercai nell'elenco telefonico Comunione e Liberazione. Lo invitammo nel nostro piccolo centro. Eravamo in 12, loro vennero in 15. Io mi dicevo: “Non essere estremista”, invece lui commentò: “Che entusiasmo!”. Mi riconobbe com'ero».
E com'è? Non mi dirà moderato? Integrista le piace?
«Sì, se si intende come bisogno di unità fra cuore e ragione. Moderato nel senso che il significato prevale sui contenuti».
Esiste il Formigonismo?
«No, è un errore parlarne. Formigoni è mio fratello, ha visione. Nel '92 lo salvai dai cattocomunisti che volevano far fuori i moderati dalla Dc».
E la Moratti?
«C'è un po' di distacco. Secondo lei forse conto poco».
Si era parlato di un suo passaggio a Fli, ma lei è ancora nel Pdl..
«Sì, ho lasciato che si dicesse, che venisse il dubbio. Ma il Pdl, che non è esente dal rischio che il potere faccia fuori la politica, è un movimento che ha ancora dentro la politica»
                         
da:

Postato da: giacabi a 18:56 | link | commenti
brandirali

sabato, 20 settembre 2008
Testimonianza di Aldo Brandirali
***
“D. Lei ha detto sui giornali c’era scritto che quelli di CL erano integralisti e
perciò ti interessavano. Perché mai?
R. Perché da quel che leggevo mi pareva di capire che erano persone le quali
volevano che la loro fede c’entrasse con quotidiano. Questa era sempre stata la mia questione: riuscire a capire lo scopo della vita rispetto all’agire nella vita. Mi ero sempre trovato davanti alla doppiezza, al doppio piano, dove la ragione e il cuore non coincidono mai. E il mio problema era, è sempre stato quello di far coincidere la ragione col cuore. Quindi lì è stata un’intuizione: ho pensato che probabilmente in CL avrei avuto un confronto a quel livello lì, anche se l’ipotesi di lavoro della telefonata era che cercavo don Giussani per fare un dibattito sul rapporto tra religione e rivoluzione. Perché non esistendo più la rivoluzione socialista, tuttavia il tema rivoluzionario rimaneva. La cosa poi andò completamente al contrario. Quando lo incontrai Giussani mi disse che come prima cosa dovevo guardare a me stesso, andare al fondo di ciò che mi caratterizzava. Prima ha esaltato la passione per la politica che avevo, poi ha continuato a dire che ero un santo, e questo a me faceva veramente impressione, perché non riuscivo a capire da dove cavolo traesse una cosa del genere… Ad ogni modo quello che capivo è che era lui l’uomo che cercavo. L’unitarietà dell’umano, della ragione e del cuore me la vedevo lì personificata in lui, anche se ero in disaccordo su tutto dal punto di vista dei ragionamenti, specialmente politici di allora. Da quel momento però non ho smesso di andargli dietro, proprio perché volevo capire che cosa costituisse quella struttura personale che mi colpiva così profondamente. Ci ho messo poi più di 15 anni a imparare che dovevo lavorare su di me, ossia a fare quello a cui mi ha invitato Giussani.”Lavorare su di me” infatti non aveva alcun significato, alcun senso, rispetto alla mia storia culturale. Ero sempre stato teso all’unità di cuore e ragione, ma per me doveva esser sempre un ragionamento sul mondo, non un ragionamento su di me; sull’uomo come categoria, sull’uomo come genere, ma non sull’io. La vera valenza della parola “io” ci ho messo un sacco di tempo a capirla. Forse non ho
ancora finito adesso. Forse non sono ancora completamente conquistato
all’evidenza che il dono di Dio è la vera genesi della vicenda umana.

Postato da: giacabi a 17:32 | link | commenti
brandirali

sabato, 05 gennaio 2008
TracceN. 4 > aprile 2007 Testimonianza
Politica, libertà e tensione ideale
Aldo Brandirali
***


Una vita passata sui banchi della politica. Gli incontri, le resistenze davanti «a una proposta di pienezza». Un’unica possibile verifica: l’esperienza



Cristo corrisponde pienamente alle esigenze del cuore. Questa affermazione di fede io posso pronunciarla perché ne sono certo e ho avuto la grazia di poterne fare esperienza.
La Grazia mi è venuta incontro nella persona di don Giussani, con il suo particolare carisma.
Dicendo questo faccio un balzo di duemila anni di storia, dal fatto raccontato nei Vangeli sono passato al testimone, che mi ha raggiunto concretamente facendomi sperimentare la realtà di Cristo fra noi.
Io, travagliato dalla vita moderna con le sue ideologie e il suo inseguimento del nulla, ho giocato la mia libertà aprendo la ragione a una ipotesi sul Mistero.
L’incontro con don Giussani ha suscitato in me stupore, improvvisamente mi ha preso un impegno affettivo, amavo questo uomo perché era decisivo per me. Eppure non avevo posto una domanda giusta e neppure avevo capito veramente quello che lui mi aveva detto.
Ho periodicamente incontrato di nuovo don Giussani, e ogni volta capivo e recepivo solo un pezzetto di quello che mi diceva. La mia mentalità resisteva in tutti i modi alla pienezza della proposta che mi veniva fatta. Il lavorio della ragione procedeva innanzitutto con la difesa delle mie idee e poi, via via, comprendevo la novità, il giusto giudizio sulle cose, il cambiamento del mio rapporto con la realtà.
Ma ne dovevo sempre fare esperienza e solo la convivenza con gli amici di Comunione e Liberazione mi permetteva di verificare la forte valenza del nuovo che mi veniva incontro.
Il costruttore della positività
Durante il primo incontro don Giussani mi disse: «Continua questa critica della politica, ma non perdere la passione con cui l’hai fatta». Io invece ero in crisi sulle mie idee politiche, ma cercavo di mettere da parte la passione per adattarmi alle cose possibili. Seguivo cioè il metodo dell’uomo che si fa da sé: sono io l’errore, devo distruggere l’io se voglio conformarmi alle posizioni vincenti.
Nel dicembre del 1985 l’incontro con don Giussani fu contrassegnato dalla evidenza del maestro autorevole. In
particolare disse del suo fermarsi una sera davanti a una coppia di giovani che si baciava dicendo loro: «Che c’entra con le stelle?».
Io dissi di slancio: «Dov’eri? Ti ho sempre cercato!». Effettivamente il mio precedente percorso nella politica era di rottura con una classe dirigente che mi appariva fatta da falsi maestri. Non riuscivo ad avere una persona di riferimento e per questo ho fondato io un nuovo movimento.
Invitato alla Assemblea responsabili di Cl della fine dell’87, mi accadde di domandarmi perché seguivo la compagnia di Giussani benché non fossi cattolico.
Facendo un’opera di carità con carcerati e stranieri mi resi pian piano conto che il costruttore della vera carità era Cristo presente fra noi. Fare “opera” per me non voleva dire dispiegare le mie abilità trovando i mezzi per aiutare. Voleva dire condividere bisogni sino al punto di imparare a chiedere, cioè a pregare, per poter ottenere risposte concrete al bisogno umano con cui ero coinvolto.
Infine nel 1992 mi inginocchiai in Chiesa, il Mistero aveva mostrato il suo volto, aveva un nome: Cristo. Il costruttore della positività della realtà.
La questione dell’“io”
Pochi mesi dopo incontrai Giussani che mi disse: «Aldo, spiegami cosa è la santità, perché io sto facendo una grande fatica su questa domanda». Io rimasi allibito. Mi ci vollero anni per capire quel che mi aveva detto. Non avevo ancora imparato a dire “io”, cercavo ancora giudizi e risposte per la comunità umana, ma non per me personalmente. Invece la riflessione sulla santità mi pone su di me, dicendomi che nella struttura dell’io, mosso da Cristo, c’è tutto quello che occorreva per dare senso alla vita. Quando questo emerge totalmente, si vede il santo.
Nel maggio del’94 io e mia moglie Teresa ci sposiamo in chiesa. Dopo 25 anni di convivenza secondo il legame che un comune ideale ci dava, Teresa si fida di me e decide di rispettare la mia conversione, accetta il matrimonio misto fra credente e non credente.
Poco dopo Giussani invita a pranzo me e Teresa. Lei gli spiega che non è convertita e lui le dice: «Sentiti libera, sii te stessa». Accade così che mia moglie si converte, perché scopre che per la prima volta era lei a essere presa pienamente in considerazione. Io nel contempo mi agitavo drammaticamente fra Buttiglione e Formigoni, avevo ripreso a far politica, ma avevo una mia personalità poco propensa a fare da pecora. Attendevo che don Giussani mi correggesse, mi sgridasse per le pubbliche critiche che facevo ad amici ciellini. Niente da fare, Giussani non mi ha mai fatto una critica, eppure vedevo che ad altri dava sonore ramanzine. Non capivo perché a me no. Anzi, addirittura spinse a sostenere miei tentativi di fare qualcosa di altro in politica.
Furono alcuni anni con “Popolo e Libertà”, con magnifici giovani universitari che ho amato con passione.
Ma cosa mi aveva insegnato Giussani con questo puntare sulla mia libertà? Egli mi vedeva disposto a spendermi totalmente per quello che credevo giusto fare, e nel contempo sapeva che non avrei capito superiori ragioni se non ne facevo esperienza. Infatti fu proprio l’esperienza di “Popolo e Libertà” a farmi comprendere che la politica non è il luogo delle mia identità, io sono di Cristo e nella politica ci devo andare come se andassi in Brasile a fare missione.
Voi “uno”
1997: Giussani mi invita a casa sua, a Gudo Gambaredo. Mi invita a collaborare con un amico importante e ricco, che aveva le mie stesse inquietudini nella politica. C’era la possibilità di un confronto con il cardinal Martini attorno alle questioni dell’ecumenismo. Giussani aveva capito che solo davanti alla totalità del mondo potevo far vivere una tensione ideale che nella politica si consumava nelle beghe del potere in Italia. Si profilava la questione dello scontro di civiltà, era indispensabile avere un punto d’azione dove politica e ideale si ritrovassero avendo evidente il protagonismo di Cristo nella storia. Solo in questo modo si evitava lo scontro di civiltà. Si è poi visto che un compito così grande è diventato della Chiesa e direttamente di Benedetto XVI, capace di giudicare i fatti del mondo senza la tentazione politica dell’arroccamento identitario.
Io cominciai a desiderare che il luogo ecumenico per eccellenza diventasse il paese dove abitava don Giussani. Avevo davvero forti tendenze utopistiche e sognavo di grandi spazi messi a disposizione di delegazioni da tutto il mondo per incontrare le varie culture con al centro la capacità di dialogo che aveva don Giussani. Naturalmente non sono riuscito a dare un contributo efficace, dovevo ancora fare i conti con la politica.
A fine dicembre 2003 l’ultimo incontro, io e Teresa a pranzo con don Giussani. Ci chiama: «Voi “uno”!». Affermando con questo il più vero miracolo della mia esperienza, io e mia moglie eravamo una cosa sola. Da questo dovrei prendere le mosse per capire questo affondo attorno al tema ecumenico, il mondo grida al miracolo dell’unità. Ma io devo ancora capire. Sono così inadeguato, vieni Signore, aiutami a capire il tempo che stiamo vivendo e quello che il mio impegno può concretamente fare per essere unito al Tuo popolo.

Postato da: giacabi a 10:14 | link | commenti (2)
testimonianza, brandirali

mercoledì, 02 gennaio 2008
Il mio politico preferito:
           Aldo Brandirali - Index
 
Cari ragazzi, vi dico io cosa è il 68  

***

di:   Aldo Brandirali - Index


Nel 68 avevo 27 anni, operaio da quando avevo 14 anni, poi diventato sindacalista, infine dissidente del PCI.
Nel corso degli anni 67-68, uscendo dal PCI, ho promosso un gruppo marxista-leninista che faceva riferimento alla Cina di Mao. Dopo sette anni ho provocato lo scioglimento di questo gruppo, dicendo ai suoi 15000 aderenti che sbagliavamo ma non sapevo spiegare perché.
Come è stato facile in quegli anni  avere successo contestando i partiti e la classe dirigente del Paese ! Il mio gruppo era solo uno dei trenta gruppi nati nel 68. Dai capelloni che contestavano il modo di vestire, fino ai bordighisti che ripescavano il comunismo dal lontano 1926.
Persino una marea di cattolici lasciarono la Chiesa per “cambiare il mondo e riscattare i poveri”.
Il prodotto più significativo di quegli anni di contestazione fu il “sei politico”, ovvero il voto all’esame universitario fatto in gruppo, con promozione sicura anche se al minimo.
Intanto i partiti di Sinistra si coprivano dietro i contestatori e fecero passare : divorzio,aborto, rigidità dello statuto dei lavoratori,compromesso storico e ingresso dei comunisti nel governo.
Sto dicendo che noi del 68 siamo stati i servi sciocchi del potere. Mentre credevamo di batterci per i grandi ideali di giustizia e di eguaglianza, nei fatti abbiamo cavalcato mode e opinione pubblica, facendoci mettere in bocca linee e progetti di un ben preciso bisogno di potere del modernismo borghese e del radicalismo intellettuale.
Eppure il desiderio era ben diverso, veramente per molti giovani di quegli anni era necessario spendersi fino in fondo per cambiare il mondo. Il mio gruppo, fra le tante cose, andava nelle case popolari di Baranzate a fare la mensa e l’asilo al “servizio del popolo”, oppure in Calabria , a Cetraro, nelle case dei contadini, prestando servizio gratuito di sostegno al lavoro e alla famiglia.
Siamo andati in molti ad abitare assieme facendo le comuni, cioè unendo i guadagni e facendo le spese insieme. Alle sei del mattino eravamo davanti alle fabbriche a distribuire volantini, la sera fino a dopo mezzanotte si studiava assieme la teoria politica.
Eravamo anti-borghesi eppure abbiamo servito la borghesia. E questo si spiega solo  ora, dopo tanti anni, eravamo gli ultimi romantici che sostenevano le ideologie del ventesimo secolo ormai agonizzanti. Non avevamo capito il dato profondo del dominio delle ideologie ( vale anche per quelli di destra di allora), cioè non avevamo capito che la pretesa illuministica dell’uomo che si fa con le sue mani e che non ha bisogno di Dio finisce con l’uomo che perde la propria libertà.
E quindi che cosa voglio dire ai giovani di oggi ? Semplicemente stare all’esperienza, non aver paura di sbagliare, ma prendere atto di quello che non va bene, aprire la ragione a tutti i dati che lo sguardo abbraccia. Imparare ad essere liberi non vuol dire non avere ideali ed essere più realisti del Re, vuol dire invece cercare il maestro vero, quello che salva il tuo cuore,il tuo desiderio.
Io non rimpiango i miei anni da contestatore, sono invece grato a quella misteriosa energia del cuore che mi ha fatto muovere continuamente, e per la quale mi sono lasciato convertire dai fatti , così la mia vita ha preso gusto in continuazione, come è anche oggi, che vivo nella gioia di aver ritrovato il desiderio del cuore di quando ero ragazzo.

Postato da: giacabi a 14:25 | link | commenti (11)
brandirali

venerdì, 23 novembre 2007
Chi   origina il popolo è Cristo
Tempi num.47 del 22/11/2007 0.00.00
Interni

Servire il popolo oggi
Difendeva «la teoria della classe operaia». Poi ha scoperto la realtà. L'ex sedicenne del Sessantotto Brandirali continua la sua battaglia di frontiera
di Brandirali Aldo

Questa mattina, in un nuovo giorno, ho potuto verificare l'infallibilità del cuore. Chi mi conosce rimarrà sorpreso che io possa dire infallibilità, avendo io una storia di continuo cambiamento, dunque di evidenza di un precedente errore. Eppure dico infallibilità perché dopo 50 anni, per Grazia, posso ridire quello che dicevo a 16 anni: «Voglio dare la vita per il mio ideale».
Ore 9, mia moglie Teresa riceve una telefonata sul telefono della sua associazione, con dolce pazienza ascolta il dolore di un'altra donna, mi racconta poi che si tratta di una vedova con figlio di 35 anni malato psichico, che le provoca un dolore indicibile. Di queste storie la Teresa me ne ha già raccontate decine, una più dolorosa dell'altra. E Teresa fa compagnia a queste persone, ristabilisce una speranza, rende ragione dell'attesa. E io vivo della luce di Teresa. Ma sono un politico, non posso non farci sopra tutti i miei ragionamenti. A 16 anni ho cercato per chi battermi, ho trovato una teoria che diceva di dare la vita per la classe operaia, ci ho provato, ma ho dovuto scoprire che la classe operaia non è una realtà è solo una teoria. Allora a 27 anni ho detto: «Servire il popolo». Ci ho messo tutto me stesso e infine, sbagliando e riprovando
, a 42 anni ho trovato chi origina il popolo: Cristo.
Dunque avevo trovato l'ideale per cui dare la vita. Ma ero ancora io che mi facevo da me, come mi si poneva culturalmente l'ideale a 16 anni. Mi ci sono voluti altri venti anni per farmi fare da Cristo, ovvero per cambiare posizione verso l'ideale: non io porto la bandiera rossa nella piazza, ma Cristo mi mette in mano la sua croce e mi dice «portala». è una diversità culturale sconvolgente.
Ma perché chi mi legge capisca, deve considerare che la passione ideale dei miei 16 anni era suscitata dal secolo delle ideologie, ovvero il secolo che ha capovolto le radici cristiane dell'Europa togliendo Dio dalle vicende umane.
Rimaneva il dare la vita per un altro, ma questo altro era diventata una idea astratta, il cui solo fatto reale era la lotta per il potere. Ed ora guardo mia moglie e vedo che lei dà la vita per un Altro, ovvero è motivata dal suo rapporto con Cristo e si pone con realismo davanti alla persona bisognosa di aiuto. Che spettacolo, che vittoria, essere come a 16 anni. Allora è proprio la salvezza quello che andavamo cercando: una preghiera ci ha condotto in tutta la nostra storia, «Signore salva il nostro cuore buono».
E io in politica? è dura da spiegare. Dai 16 ai 35 anni ho utilizzato un dono che mi era stato dato dalla nascita: avevo carisma, convincevo, attraevo, scaldavo i cuori. E mi sono abituato a fare il capo. Quando, a 35 anni, li ho mandati a casa tutti e quindicimila, dicendo che tutto era sbagliato, ma non sapevo spiegare perché, sono diventato un niente che rotolava sulla terra.
Dalla terra mi ha raccolto don Giussani. Mi ha rimesso in piedi, è ricominciata la mia libertà, infine sono tornato a fare politica su posizioni molto diverse dalle precedenti. Ma ancora mi portavo dietro la pretesa di essere uno che, con scarsa misura della realtà, voleva guidare l'affronto della lotta per il potere. Per questo sono stato continuamente ridimensionato, come se fossi sempre uno sconfitto. E invece di volta in volta ho verificato che il Signore mi conduceva sulla sua strada, e che lì dove mi aveva messo avevo veramente la battaglia giusta da fare.
Eccomi ora, consigliere comunale a Milano, presidente della commissione servizi sociali, affronto in questi giorni la discussione in Consiglio della delibera di programmazione dell'insieme dei servizi alla persona. I miei colleghi del centrodestra si assentano distratti, perché giustamente non credono alla programmazione, credono maggiormente alle singole azioni. Intanto la sinistra conduce una furiosa battaglia, incomprensibile perché in fondo la delibera corrisponde alle loro idee, ma loro combattono per imporre il fatto che le azioni devono essere concordate con il loro mondo associativo, come concertazione del potere.
Io voglio difendere la concretezza della azioni dell'amministrazione e nel contempo il riconoscimento del mondo associativo, come sussidiarietà e non come concertazione. Faccio un esempio: sostegno alle persone con disagio psichico. Il Comune ha pochi soldi su questa voce, e li usa per dare piccoli contributi economici ai malati che non sono in grado di lavorare. Siccome i soldi sono pochi, la questione diventa che si possono aiutare solo alcuni. Allora la sinistra propone di fare progetti sperimentali concordati al tavolo del Terzo Settore. La delibera propone di cercare criteri oggettivi per riconoscere i più bisognosi. Io dico che il criterio oggettivo è fare affidamento sulle famiglie e i gruppi associativi che riconoscono i diversi gradi di gravità della malattia. Nel contempo bisognerebbe aumentare i fondi.

Un atto di costruzione duratura
La destra mi viene dietro, ma non capisce, la differenza fra concertazione e sussidiarietà è praticamente fra sperimentazione e abbraccio concreto del bisogno. La sinistra aiuterebbe qualcuno nel quartiere dove sono forti loro, noi aiuteremmo quelli che si sono rivolti a una associazione o a un servizio che è in rete con fatti associativi capaci di abbraccio amorevole. I progetti sperimentali prima o poi finiscono e lasciano le cose come erano prima. Il sostegno a un popolo in azione è un atto di costruzione duratura. E così via.
La mia battaglia è volta a fare della politica un servizio per un popolo in azione, il che comprende anche una piena responsabilità degli atti di governo.
è una battaglia così di frontiera che mi rendo conto di essere molto utile per formare una nuova classe dirigente che in futuro possa governare il paese secondo questo realismo. Spero veramente di riuscire a dare la vita per questo cambiamento del mondo.
Capite adesso perché il gesto mattiniero di mia moglie mi ha messo in pace con tutto e ha tolto il mio atteggiamento da disperato nell'azione. In battaglia e in pace, ditemi voi se esiste altro da Cristo che permette questa apparente antinomia.
Aldo Brandirali *consigliere comunale a Milano (Forza Italia)

Postato da: giacabi a 16:43 | link | commenti
testimonianza, cristianesimo, brandirali

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