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sabato 4 febbraio 2012

Campanile

I fogliolini desiderati  
di Achille Campanile
***
      Il denaro che circola per le strade non va mai al disotto di trenta centimetri (nelle calze di una donna bassina) e al disopra di un paio di metri (nelle mani di un granatiere che lo agiti festosamente) dal livello stradale. In questo spazio, circola da molti secoli e non s'è mai fermato, neppure per un minuto. Quando da noi è notte, circola agli antipodi. È una quantità minima quello che sta fermo, nei nascondigli degli avari. L'oro che sta nei sotterranei delle banche manda in giro i suoi rappresentanti in forma di fogliolini di carta. Essi passano ininterrottamente dalle mani dell'uno alle mani dell'altro.
      È difficilissimo fermarli. E, del resto, appena si fermano, diventano inutili. Per procurarsi questi fogliolini di carta, quasi tutti faticano il giorno intero. Alcuni cercano di averli per mezzo di astuzie, altri li rubano e altri arrivano a eccessi, come minacce, ferimenti e uccisioni. Qualcuno mira soltanto ad accaparrarne grosse risme. Molti incontrano enormi difficoltà per afferrarne uno almeno e c'è anche chi resta a mani vuote.
      Le persone che li hanno se li scambiano fra loro. È difficile che li diano a quelle che non li hanno, come parrebbe presumibile. La vita di questi fogliolini, generalmente, rallegra tutti.
      Chi, per una ragione o per l'altra, li perde, piange, si dispera e qualche volta giunge a togliersi la vita.
      È rarissimo che siano gettati via. Solo un pazzo lo farebbe. In questo caso, c'è sempre qualcuno che li raccoglie.
      Ce n'è una richiesta straordinaria.
      Qualcuno, pensando a questi fogliolini, la notte non può prender sonno.
      Se, all'improvviso, una suprema autorità dicesse; «Alt! chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato», e tutti questi fogliolini, che passano dalle mani dell'uno a quelle dell'altro, si fermassero, nessuno saprebbe più che cosa fare.
      Essi sono sempre troppo pochi. E - a sentire quello che se ne dice - ce ne vorrebbero tanti e tanti.

Postato da: giacabi a 21:18 | link | commenti
campanile

lunedì, 29 ottobre 2007
un po' di umorismo
Il giudizio sul prossimo senza la memoria del Mistero
Il biglietto da visita
***
Il viandante scalcagnato entrò col figlioletto nel vestibolo del sontuoso albergo, si diresse verso la cattedra del portiere e, dopo aver a lungo frugato nella rigonfia borsa spelacchiata che mai lo abbandonava, ne trasse un biglietto da visita e lo porse all'uomo gallonato.
«Mi annunzi al direttore» disse.
Il portiere, che intanto aveva squadrato dall'alto in basso lo strano personaggio, le sue scarpe malridotte e il nodoso bastone che a costui serviva per tener lontano i cani da pastore nelle sue lunghe peregrinazioni, dié un'occhiata al cartoncino. Di colpo, sbalordito, fece una riverenza al nuovo venuto e corse ad annunziarlo.
Sul biglietto si leggeva:
«S.E. prof. ing. avv. comm. Pasini».

Dopo poco dall'alto della scalea si precipitava giù il direttore dell'albergo in persona che, chiamato mentre stava per andare a letto, stava terminando di infilarsi il tight. Col biglietto in mano fece un profondo inchino al visitatore e: «In che posso servirla, eccellenza?» disse.
Il viandante scalcagnato si schermì.
«Non sono eccellenza» fece, modesto.
«Ma sul suo biglietto è stampato S.E.» osservò l'altro.
«Sono le iniziali del mio nome: Silvio Enea.»
Il direttore era rimasto un po' smontato.
«Bene professore,» fece «dica pure.»
 Nuovamente l'altro ebbe un cortese gesto di protesta come chi non ambisca i titoli.
«Non sono professore» disse.
«Ma questo "prof."?»
«Abbreviazione di profugo» spiegò il nuovo venuto. «Sono profugo d'un campo di concentramento.»
«Mi dispiace molto ingegnere» fece il direttore, dopo aver data un'altra occhiata al biglietto da visita.
«Non sono ingegnere» mormorò il visitatore.
«Eppure,» disse l'altro «qui c'è un "ing.". Non vorrà dirmi» aggiunse in tono rispettosamente scherzoso «ch'ella sia un ingenuo o un ingiusto, e tanto meno un ingeneroso.»
«Ingegnoso,» precisò il viandante «nient'altro che ingegnoso. E gliela prova fra l'altro il fatto d'indicare questa mia virtù con un' abbreviazione che talvolta mi procura dei vantaggi.»
«Ah,» fece il direttore, con una certa freddezza «allora la chiamerò soltanto col suo titolo di avvocato.»
Il nuovo venuto fece spallucce.
«Quale titolo?» esclamò tra stupito e divertito per l'equivoco. «Quale avvocato? Quando feci fare i biglietti da visita non ero in pianta stabile nel posto che occupavo. Ciò le spiega quell'"avv." che tanto l'ha impressionato e che sta per avventizio.»
«E qual era questo posto, commendatore?» domandò l'uomo in tight con deferenza; ché anche il titolo di commendatore, per quanto svalutato, merita qualche considerazione.
L'altro si fece serio.
«Non sono commendatore» precisò. «Non mi piace attribuirmi titoli che non ho. E ai quali non tengo.»
«Eppure qui dice "comm."» scattò il direttore. «Oh, perdio santissimo, non sono mica cieco. Leggete anche voi.» E sventolava il biglietto sotto gli occhi del portiere ammutolito.
Il viandante scalcagnato non si scompose.
«Abbreviazione di "commissionario"» disse con cortese fermezza. «Ero commissionario d'albergo.»
S'udì un tonfo.
Il portiere gallonato, che aveva assistito alla scena, cadde lungo disteso. Il fatto che colui ch'egli aveva ritenuto, non soltanto commendatore, ma addirittura eccellenza, fosse invece un semplice commissionario fu per il brav'uomo il crollo di un'illusione. Tanto più che, tratto in inganno da quella sfilza di presunti titoli, egli aveva elargito al personaggio parecchi rispettosi inchini. Non si risollevò più dal colpo. Colto da un febbrone, in breve volger di tempo morì. Ma per fortuna la catastrofe avvenne dopo la fine della scena che è oggetto del presente racconto.
Quindi non saremo tenuti a rattristare i lettori con la descrizione d'una degenza complicata da un doloroso delirio.
Per il direttore dell'albergo, intanto, la notizia che il presunto commendatore altri non fosse che un commissionario fu una doccia fredda sul suo entusiasmo di poc'anzi.
«Dica, Pasini» mormorò seccamente.
L'altro scosse il capo.
«Che?» urlò il direttore. «Scuote il capo? Non sarebbe per caso nemmeno Pasini? Questo è troppo.»
Ma l'altro lo tranquillizzò.
«Scuoto il capo per passatempo» disse.
«Bene, brav'uomo» borbottò il direttore; e dovette far forza a se stesso, ché non gli era facile dar del brav'uomo a uno che pochi istanti prima egli aveva creduto un commendatore. «Che cosa desidera?»
«Vorrei essere assunto come facchino
«E mi fa anche alzare dal letto?» urlò il direttore. «Siamo al completo!»
Gli voltò le spalle piantandolo in asso.
Il viandante scalcagnato affondò il biglietto nella borsa e col figlioletto per mano si allontanò nella notte.

Achille Campanile
(scrittore umoristico e giornalista italiano, 1899-1977)
Da:
Asparagi e immortalità dell'anima
Nel web: http://www.campanile.it

Postato da: giacabi a 08:57 | link | commenti
campanile

lunedì, 09 luglio 2007
IL SENSO RELIGIOSO
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"Il credente: Io sono un credente, Signore, afflitto dal dubbio che Dio non esista. L'ateo: Io, peggio. Sono un ateo, Signore, afflitto dal dubbio che Dio invece esista realmente. E' terribile."
Achille Campanile (1900-1977)

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