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sabato 4 febbraio 2012

Carducci




















Pieve di S. Donato a Polenta (Bertinoro, Forlì-Cesena)



Giosuè Carducci (1835-1907), il cantore del Risorgimento italiano, non fu certo un poeta religioso.

Il suo anticlericalismo è ben testimoniato da famose poesie. A parte la giovanile “chitarronata" (come lui stesso dice) dell’ Inno a Satana, basta leggere Alle fonti del Clitunno, oppure Agli amici della Val Tiberina, per farsi subito una precisa idea.

Quando c’era da dire male della Chiesa e del Papa, non si tirava certo indietro.

Verso il termine della sua vita il suo atteggiamento cambiò profondamente e cominciò a leggere la storia con occhi più sereni e oggettivi.
 
Nella storia della Chiesa egli vede l’origine della nostra civiltà, sopratutto nell'ode La Chiesa di Polenta (1897).
 
Riconosce infatti alla Chiesa il ruolo pacificatore tra i popoli germanici invasori e il popolo latino vinto e reso inzialmente schiavo. 
La pacificazione fu resa possibile con la conversione dei longobardi, rappresentati dalla regina Teodolinda, e con l’autorità morale di Papa Gregorio Magno che con la sua opera di evangelizzazione riuscì a liberare dal giogo della servitù i latini (“quei che Gregorio invidiava ai servi ceppi”, invidiare nel senso di sottrarre).
 
La Chiesa fu per i latini, nel tempo delle invasioni, l’unico luogo di rifugio e di salvezza ("patria, casa, tomba").
“Fuori stridea per monti e piani il verno/ de la barbarie”, dice il poeta in due precedenti versi (61-62).
 
In seguito la Chiesa, dopo essere riuscita a placare il furore degli invasori, diviene il luogo di incontro e di unione tra le due razze, quella latina e quella germanica, nel Battesimo e nel Matrimonio cristiano, dando origine ad una nuova realtà sociale e politica: il Comune, cioè la grande civiltà comunale, la nostra Europa.
 

È il passo più bello dell'ode: 

"Qui nel conspetto a Dio vendicatore
e perdonante, vincitori e vinti
... 
fanno il Comune".

Il Carducci paragona questa unione di popoli diversi alla vendemmia e alla spremitura dell’uva bianca e nera, che nel ribollir dei tini dà origine a un forte e profumato vino, di cui per altro egli era un buon intenditore…

Per tutto questo, il poeta si fece promotore nel 1897 del restauro dell’antica Pieve di S. Donato a Polenta, presso Bertinoro (Polenta era la celebre famiglia che aveva ospitato Dante nel suo esilio).

E per questo motivo scrisse  "La Chiesa di Polenta". I contributi giunsero e la Chiesa fu restaurata.

Questa antica Pieve viene chiamata con grande amore “madre vegliarda”, e “l’itala gente da le molte vite” viene invitata a non lasciar perire il suono delle sue campane, un suono che invita alla preghiera e ai grandi valori civili.

La poesia si conclude con una preghiera alla Madonna: l’Ave Maria.
L’ateo, massone e anticlericale Carducci al termine della sua attività poetica innalza una bellissima preghiera alla Vergine, associandosi così ad altri grandi poeti, come Dante e Byron.

La poesia è assai lunga. Riporto solo la parte finale (vv. 81-112), senza l’Ave Maria (113-128), che magari posterò in altra occasione, durante questo mese di maggio a Lei dedicato.

Invito gli amici a rileggerla tutta (o magari, per qualcuno, a leggerla). Sia per la bellezza della composizione, sia per il senso storico che la caratterizza. Una lezione per tutti.

È anche un modo per ricordare il Carducci, il nostro primo Premio Nobel (per la Letteratura, ovviamente, 1906),  oggi ingiustamente un po' dimenticato.


La Chiesa di Polenta

.....

Schiavi percossi e dispogliati, a voi
oggi la chiesa, patria, casa, tomba,
unica avanza: qui dimenticate,
qui non vedete.

E qui percossi e dispogliati anch’essi
i percussori e spogliatori un giorno
vengano. Come ne la spumeggiante
vendemmia il tino

ferve, e de’ colli italici la bianca
uva e la nera calpestata e franta
sé disfacendo il forte e redolente
vino matura;

qui, nel conspetto a Dio vendicatore
e perdonante, vincitori e vinti,
quei che al Signor pacificò, pregando,
Teodolinda,

quei che Gregorio invidiava a’ servi
ceppi tonando nel tuo verbo, o Roma,
memore forza e amor novo spiranti
fanno il Comune.

Salve, affacciata al tuo balcon di poggi
tra Bertinoro alto ridente e il dolce
pian cui sovrasta fino al mar Cesena
donna di prodi,

salve, chiesetta del mio canto! A questa
madre vegliarda, o tu rinnovellata
itala gente da le molte vite,
rendi la voce

de la preghiera: la campana squilli
ammonitrice: il campanil risorto
canti di clivo in clivo a la campagna
Ave Maria.



 da:
http://semperamicus.blogspot.com/

 

Postato da: giacabi a 06:52 | link | commenti
chiesa, carducci

giovedì, 04 ottobre 2007

Traversando la Maremma toscana
***

 Dolce paese, onde portai conforme
l’abito fiero e lo sdegnoso canto
e il petto ov’odio e amor mai non s’addorme,
pur ti riveggo, e il cor mi balza in tanto.

Ben riconosco in te le usate forme
con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto,
e in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
erranti dietro il giovenile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
e sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
e dimani cadrò. Ma di lontano

pace dicono al cuor le tue colline
con le nebbie sfumanti e il verde piano
ridente ne le pioggie mattutine.
 Giosuè Carducci


 


Postato da: giacabi a 22:34 | link | commenti
carducci

giovedì, 20 settembre 2007
SONETTO “A DIO”
 ***
Da le oscure latebre del mio core
D’induramento piene e di follia
Elevai la mia voce a te, o Signore,
non sprezzare, o Signor, la voce mia.
Ed in questo feral di notte errore
deh’ de ’l vero di te m’apri la via
e fai che a ‘l fin su questa tenebria
arridan giorni di più bel candore.
Io sempre te amerò, Bontà infinita,
incomprensibil santa Unità Trina,
fonte di verità, fiume di vita.
E la dolce pietà de la divina
Madre difenderà l’alma contrita
da la terribil mondana ruina.
Giosuè Carducci (aveva 13 anni)   Castagneto, maggio 1848
Molti anni dopo Carducci ritrovò questo scritto ed allora vi aggiunse una postilla:
«E voglio notare, sempre a mio ricordo e a mio conforto, quando nelle ore del dolore e della sventura, che purtroppo sento che amareggiano la mia vita, rileggerò queste pagine, che non composi già questo sonetto a tavolino a furia di cassature, ma mentre da una finestra della mia casa vagheggiavo una di quelle care sere di maggio che tanto parlano al cuore della prima gioventù, ed ispirato dalla campana che suonava la prima ora di notte. Ed infatti ognun vedrà che la prima quartina è una imitazione del “De profundis”. E mi ride l’anima quando ripenso che io mossi la mia poesia da Dio, da quel Dio che mi ha dato quest’anima sensibile e sdegnosa di cui lo ringrazio sempre; da quel Dio che io dovevo poi dimenticare e anche oltraggiare negli anni miei più belli, per correr dietro a pazze larve di virtù affettata e di gioie false e vili. Ei mi perdoni, oppur mi visiti con la sventura e con dolori e con quelle cure che sotto apparenze tranquille mi rodono sempre l’anima».
Giosuè Carducci


Postato da: giacabi a 13:59 | link | commenti
preghiere, carducci

giovedì, 24 agosto 2006
OMAGGIO A MARIA
DA DUE GRANDI POETI


1)….Giacomo Leopardi. Pare inoltre che avesse in mente - tra il 1819-1820 - la composizione di alcuni Inni sacri. Su un foglio manoscritto, in cui parla di tale progetto si legge:
.
.
A Maria

E' vero che siamo tutti malvagi,
ma non ne godiamo, siamo tanto infelici.
E' vero che questa vita e
questi mali son brevi e nulli,
ma noi pure siam piccoli e
ci riescono lunghissimi ed insopportabili.
Tu, Maria, che sei già grande e sicura,
abbi pietà di tante miserie.


2)….Qualcuno potrebbe storcere il naso vedendo comparire, in questa rassegna, anche se incompleta, il nome di GIOSUE' CARDUCCI (Valdicastello, 1835 - Bologna, 1907).
Il Carducci infatti viene abitualmente associato al suo conclamato anticlericalismo ed alla sua appartenenza alla Massoneria.
E' vero. Carducci si lasciò coinvolgere spesso in un clima risorgimentale tinto di asprezza e disprezzo verso la Chiesa e il Cristianesimo, tanto da mettere il suo estro e il suo genio in atteggiamento da ferire la sensibilità dei credenti. Basti ricordare "L'Inno a Satana". La sua scorza era ruvida, ma nell'intimo era pieno di elevati sentimenti spirituali, devoto alla Vergine, tanto da potersi definire - accanto a Dante e Manzoni - il cantore di Maria.

Tre anni prima della sua morte, il Poeta, sul Gran san Bernardo, si riconciliò con Dio, accostandosi ai sacramenti, come aveva fatto nell'età della trasparenza e della purezza.

Una sua quartina, scritta ai piedi di un Crocifisso a lui regalato dalla regina Margherita di Savoia, si può collocare ai vertici del più alto lirismo religioso. Probabilmente fu scritta dopo il suo ritorno alla fede:


"Le braccia di pietà che al mondo apristi
dolce Signor, da l'albero fatale,
piegale a noi che, peccatori e tristi,
teco aspiriamo al secolo immortale"

Poteva il Crocifisso non tendergli le braccia? Non è nello stile di Dio.
Maria non è soltanto occasionale nella mente e nella produzione carducciana. In un "Idillio" composto a diciassette anni; nelle Rime Nuove, in Rime e ritmi, nelle Odi barbare , nella Leggenda di Teodorico, il nome e la figura della Vergine ricorrono molto spesso e con accenti appassionati.
Per chiudere comunque con il Carducci, riportiamo la celebre Ave Maria che costituisce la parte finale de "La Chiesa di Polenta": quattro strofe piene di nostalgia; di "una ricca nostalgia che eleva l'uomo alle sublimi realtà di Dio, seguendo il cammino di fede di Dante e di Byron":


Ave Maria
Ave Maria! Quando su l'aure corre
L'umil saluto, i piccioli mortali
Scovrono il capo, curvano la fronte
Dante ed Aroldo.
Una di flauti lenta melodia
Passa invisibil fra la terra e il cielo:
spiriti forse che furon, che sono
e che saranno?
Un oblio lene de la faticosa
Vita, un pensoso sospirar quiete,
una soave volontà di pianto
l'anima invade.
Taccion le fiere e gli uomini e le cose,
roseo il tramonto ne l'azzurro sfuma,
mormoran gli alti vertici ondeggianti:
Ave Maria!
Anche il rude poeta maremmano, il Carducci anticlericale, di fronte a Maria non potè non scoprirsi il capo e piegare il ginocchio. E la Madonna gli fu vicino quando, alla fine della vita, gli tolse il velo dallo spirito offuscato e gli mostrò il "frutto benedetto del ventre suo, GESU'.

Maria+ocampo
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