Lo stupore
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“Nessun uomo ha veramente misurato la vastità del debito verso quel qualsiasi essere che l'ha creato e che lo ha reso capace di chiamarsi qualcosa.
Dietro il nostro cervello, per così dire, v'era una vampa o uno scoppio
di sorpresa per la nostra stessa esistenza: scopo della vita artistica e
spirituale era di scavare questa sommersa alba di meraviglia, cosicché un uomo seduto su una sedia potesse comprendere all'improvviso di essere veramente vivo, ed essere felice”.
Gilbert Keith Chesterton Autobiografia
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Postato da: giacabi a 20:51 |
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stupore, chesterton
La fantasia
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“La fantasia scaturisce dallo stupore senza il quale non saremmo veramente in grado di conoscere le cose ed amare la realtà”
Chesterton
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Postato da: giacabi a 14:48 |
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stupore, chesterton
Ringraziare Dio
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“Ringraziate Dio anche per le anatre giù nella vasca".
II celebre pessimista espresse a mezza voce il suo vivo desiderio di
ringraziare Dio per le anatre della vasca. "E non dimenticate i paperi",
insisté Innocenzo, implacabile. Eames concedette fievolmente anche i
paperi. "Nulla, mi raccomando, dovete dimenticare. E cosi rendete
grazie al Cielo per le Chiese, le Cappelle, i villini, la gente
ordinaria, le pozzanghere, le pentole e i tegami, i bastoni, i cenci,
gli ossi, e le tende a pallini". "Sta bene, sta bene" ripeteva la vittima disperata "bastoni, cenci, ossi, tende". "Tende a pallini, mi pare di avere detto".
Chesterton in Le avventure di un uomo vivo |
Postato da: giacabi a 21:00 |
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chesterton
La fede rende veri uomini
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“La fede restituisce all'uomo il corpo, l'anima, la ragione, la volontà e la vita stessa.
L'uomo che la riceve, riceve insieme l'attitudine a tutte le antiche
funzioni umane che le altre filosofie stanno sottraendogli. Si sarebbe
molto vicini al vero dicendo che egli, soltanto possiede la libertà e la volontà, perché egli soltanto crederà nel libero arbitrio; che egli soltanto possiederà la ragione perché il dubbio assoluto nega tanto l'autorità che la ragione; che egli solo potrà veramente agire, perché l'azione non si esegue se non per un fine. E' una visione non impossibile: tutto questo indurirsi dell'intelletto e tutta questa disperazione senza fine, faranno sì che, alla fine, egli sarà, in una città di paralitici, l'unico cittadino in grado di muoversi e di parlare“.
Chesterton , in The Thing, 1929 |
Postato da: giacabi a 20:38 |
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fede, chesterton
Il cuore di ogni uomo
desidera la stessa cosa
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“Una volta trovai un amico. “Fortunato me – dissi – è stato fatto per me”. Ma ora trovo nuovi e nuovi amici, che sembrano essere fatti per me, e altro e altro ancora, fatto per me. E' mai possibile che noi tutti, su tutta la terra, siamo stati fatti l'uno per l'altro?»”
G.K. Chesterton, Autobiografia
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Postato da: giacabi a 14:49 |
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chesterton, senso religioso
Lo pseudo progresso
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Una nube pesava sulla mente degli uomini, e gemendo passava il vento:-sì,una nube malaticcia sull'anima quando eravamo giovani tutti e due.-La scienza proclamava il nulla l'arte ammirava la decadenza:- il mondo era vecchio e finito; ma tu ed io eravamo lieti.
-Intorno a noi, grottesca schiera, strisciavano i suoi vizi deformi: la lussuria che non sapeva più ridere, la paura che non sapeva più la vergogna.
G.K. Chesterton, "L'uomo che fu giovedì"
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Postato da: giacabi a 14:06 |
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laicismo, chesterton
OMAR E IL SACRO VINO
O di come gustarsi veramenre il vino
Una
nuova morale si è rovesciata su di noi con qualche violenza in
relazione al problema dell'alcolismo; e gli entusiasti nel campo vanno
dall'uomo che viene buttato fuori con violenza alle 12.30 alla signora
che fracassa gli American bar con un'ascia. In queste discussioni, quasi
sempre appare una posizione molto saggia e moderata quella secondo cui
si dovrebbe bere il vino o roba consimile solo come medicina. Su questo
punto, io mi spingerei a dissentire con particolare ferocia. L'unico
modo veramente pericoloso e immorale di bere il vino è quello di berlo
come medicina. E per questo motivo. Colui che beve il vino per averne
piacere, sta cercando di avere qualcosa di eccezionale, qualcosa che non
si aspetta a ogni ora del giorno, qualcosa che, a meno che sia un po’
folle, non cercherà di avere a ogni ora del giorno. Ma colui che beve il
vino per avere la salute, sta cercando di avere qualcosa di naturale;
qualcosa, insomma, di cui non dovrebbe mancare; qualcosa di cui, forse,
troverebbe difficile accettare la mancanza. Colui che ha visto l'estasi
di essere estatico forse non si lascerà sedurre; è più abbagliante
cogliere uno scorcio dell'estasi che essere normale. Se ci fosse un
unguento magico, e lo portassimo a un uomo robusto e gli dicessimo:
«Questo ti permetterà di saltare giù dal Monument», senza dubbio quel
tale salterebbe giù dal Monument, ma non salterebbe giù dal Monument
tutto il giorno per la gioia della City. Se però portassimo l'unguento
magico a un cieco, dicendogli: «Questo ti permetterà di vedere», il
cieco si troverebbe esposto a una più forte tentazione. Sarebbe
difficile per lui non strofinarlo sugli occhi ogni volta che sentisse
gli zoccoli di un nobile cavallo o gli uccelli che cantano all'alba. È
facile negarsi le occasioni di festa; è difficile negarsi la normalità.
Di qui deriva la conseguenza nota a qualunque medico, per cui è spesso
pericoloso somministrare alcolici ai malati anche quando ne hanno
bisogno.
È
quasi inutile aggiungere che non voglio dire che, a mio parere, sia in
ogni caso ingiustificabile somministrare alcolici ai malati come
stimolanti. Ma voglio dire che somministrarli ai sani per loro spasso è l'uso appropriato, un uso assai meglio compatibile con la salute.
La
regola sensata nella questione sembrerebbe presentarsi come molte altre
regole sensate, ovvero, come un paradosso. Bevete perché siete felici,
ma mai perché siete infelici. Non bevete mai quando, senza l'alcool, vi
sentite derelitti, o sarete come il bevitore di gin dalla faccia
grigiastra nel suo tugurio; ma bevete quando, anche senza alcol, sareste
felici, e sarete come il ridente contadino italiano. Non bevete mai
perché ne sentite il bisogno, perché è un modo razionale di bere, e la
via per la morte e per l'inferno. Bevete perché non ne sentite il
bisogno, perché questa è la maniera irrazionale di bere e l'antica
salute del mondo.
Da
più di trent'anni, l'ombra e la gloria di una grande figura
dell'Oriente si è distesa sopra la letteratura inglese. La traduzione di
Omar Khayam per opera di Fitzgeraldz ha concentrato in un'immortale
intensità tutto l'oscuro e fluttuante edonismo del nostro tempo. Dello
splendore letterario di quell'opera sarebbe semplicemente banale
parlare; in pochi altri libri degli uomini c'è mai stato qualcosa che
combinasse così bene la gaia combattività di un epigramma con la vaga
tristezza di un canto. Ma sulla sua influenza filosofica, etica e
religiosa, che è stata grande quanto la sua genialità, vorrei dire una
parola e, lo confesso, una parola di irriducibile ostilità. Molto si
potrebbe dire contro lo spirito delle Rubayat e contro la loro
prodigiosa influenza.
Ma
un capo di accusa torreggia sinistro su tutto il resto, un autentico
disonore per l'opera, un'autentica calamità per noi. Intendo alludere al
terribile colpo che questa grande poesia ha inferto alla socievolezza e
alla gioia della vita. Qualcuno ha definito Omar «il triste, lieto
vecchio persiano». Triste, lo è; lieto, no davvero, in nessun senso
della parola. Omar è stato, per la letizia, un nemico peggiore dei
puritani.
Un
pensoso e aggraziato orientale è disteso sotto il roseto con la sua
anfora di vino e il suo rotolo di poesie. Può sembrare strano che il
pensiero di qualcuno, nel momento in cui lo contempli, voli all'indietro
allo scuro capezzale dove il medico elargisce il brandy. Può sembrare
ancora più strano che debba tornare al grigio buono a nulla di
Houndsditch' tremante per il troppo gin. Ma una grande unità filosofica
lega le tre figure in un laccio maligno. Le
libagioni di vino di Omar Khayam sono riprovevoli, non in quanto
libagioni di vino. Sono riprovevoli, e assai riprovevoli, in quanto
libagioni terapeutiche. Sono le libagioni di un uomo che beve perché non
è felice. Il suo è il vino che esclude l'universo, non il vino che lo
rivela. Non è il modo di bere poetico, che è gioioso e istintivo; è il
modo di bere razionale, che è prosaico come un investimento, insipido
come una dose di camomilla. Interi firmamenti al di sopra, dal punto di
vista del sentimento, anche se non da quello dello stile, si leva lo
splendore di certe vecchie canzoni conviviali inglesi:
«Corra dunque la tazza, compagni miei / e che il sidro scorra»..
Perché
questa canzone fu colta da uomini felici per esprimere il valore di
cose veramente degne, della fratellanza e dell'allegria, e il breve e
gentile svago dei poveri. Naturalmente,
la maggior parte degli stolidi rimproveri mossi contro la moralità di
Omar sono falsi e infantili come, di solito, sono simili rimproveri. Un
critico, di cui ho letto l'opera, è giunto all'incredibile balordaggine
di definire Omar un ateo e un materialista. Per un orientale, è quasi
impossibile essere l'uno e l'altro; l'Est comprende troppo bene la
metafisica.
Naturalmente, la vera obiezione che un cristiano versato nella
filosofia muoverebbe contro la religione di Omar, non è che egli non
assegni alcun posto a Dio, ma che Gli assegni un posto eccessivo. Il suo
è quel terribile teismo che non sa immaginare null'altro che la
divinità e nega completamente i contorni della personalità umana e della
volontà umana:
«Mai
questione fa la palla di sì o no, / ma sospinta dai colpi vaga intorno;
/ e Colui che vi lanciò dall'alto in campo, / Lui conosce tutto, tutto,
né vi è scampo». Un
pensatore cristiano, come Agostino o Dante, avrebbe da obiettare a
questo perché ignora il libero arbitrio che costituisce il valore e la
dignità dell'anima. Il più alto cristianesimo dissente con questo
scetticismo, non certo perché nega l'esistenza di Dio, ma perché nega
l'esistenza dell'uomo.
In
questo culto del pessimistico amante dei piaceri, le Rubaiyat si levano
sicuramente al primo posto nella nostra epoca; ma non da sole. Molti
dei più brillanti intelletti del nostro tempo ci hanno spinto verso la
stessa consapevole attitudine ad afferrare un godimento raro. Walter
Pater ha detto che noi siamo tutti condannati a morte e che la sola via
possibile è di godere momenti squisiti in se stessi. La medesima lezione
insegnava la filosofia, così potente e così desolata, di Oscar Wilde. È
la religione del carpe diem; ma la
religione del carpe diem non è la religione di persone felici, bensì di
persone molto infelici. La grande gioia non coglie i boccioli di rosa
finché può; i suoi occhi sono fissati sulla rosa immortale che Dante
poté vedere. La grande gioia ha in sé il senso dell'immortalità; lo
stesso splendore della giovinezza risiede nella sensazione di avere
tutto lo spazio per distendere le gambe. In
tutta la grande letteratura comica, in Tristram Shandy' o in Pickwick,
c'è il senso dello spazio e dell'incorruttibilità; noi sentiamo che i
personaggi sono esseri immortali in un racconto interminabile.
Naturalmente,
è abbastanza vero che una felicità penetrante sopraggiunge soprattutto
in certi momenti fuggevoli; ma non è vero che noi dovremmo pensare quei
momenti come fuggevoli, o goderli semplicemente «per se stessi». Un
simile atteggiamento significa razionalizzare la felicità e quindi
distruggerla. La felicità è un mistero come la religione e non si
dovrebbe mai razionalizzarla. Supponete che un uomo sperimenti un
momento veramente splendido di piacere. Non intendo qualcosa legato a un
oggettino di smalto, intendo qualcosa colmo di una violenta felicità,
quasi una felicità dolorosa. Un uomo può avere, per esempio, un momento
di estasi nel primo amore, o un momento di vittoria in battaglia.
L'amante ama il momento ma mai per se stesso. Ne gode in grazia della
donna, o di se stesso. Il guerriero gode il momento, ma non per se
stesso; lo gode per la sua bandiera. La causa per cui si leva la
bandiera può essere sciocca o effimera; l'amore può essere
un'infatuazione giovanile e durare una settimana. Ma il patriota pensa
la bandiera come eterna; l'amante pensa il suo amore come qualcosa che
non può finire. Questi momenti sono colmi di eternità; questi momenti
sono gioiosi perché non sembrano momentanei. Guardateli per una volta
come momenti al modo di Pater, e diventeranno freddi come Pater e il suo
stile. L'uomo non può amare le cose mortali. Può solo amare cose immortali per un istante.
L'errore
di Pater si rivela nella sua frase più famosa. Egli ci chiede di ardere
con una fiamma dura, simile a una gemma. Le fiamme non sono mai dure e
mai simili alle gemme: non è possibile maneggiarle o sistemarle. Così,
le emozioni umane non sono mai dure e mai simili alle gemme; sono sempre
pericolose, come le fiamme, da toccare o anche solo da esaminare. C'è
solo un modo per cui le nostre passioni possono diventare dure e simili
alle gemme, vale a dire, diventando fredde come gemme. Nessun colpo,
dunque, è stato mai vibrato agli amori e al riso naturali degli uomini,
avvilente come questo carpe diem degli esteti. Per
qualunque genere di piacere, è necessario uno spirito del tutto
diverso; una certa timidezza, una certa speranza indeterminata, una
certa aspettativa fanciullesca. La purezza e la semplicità sono
essenziali alle passioni, sì, anche alle passioni malvagie. Perfino il
vizio richiede una sorta di verginità.
L'effetto
di Omar (o di Fitzgerald) sull'altro mondo, possiamo anche trascurarlo,
ma la sua mano su questo mondo si è rivelata greve e paralizzante. I
puritani, come ho detto, sono molto più allegri di lui. I nuovi asceti
che seguono Thoreau° o Tolstoj sono una compagnia assai più vivace;
perché la rinuncia alle abbondanti libagioni e a lussi del genere, per
quanto possa sembrarci un'inutile negazione, può lasciare l'uomo con
innumerevoli piaceri naturali e, soprattutto, con la naturale capacità
dell'uomo per la felicità. Thoreau poteva godere del sorgere del sole
senza una tazza di caffè. Tolstoj, se non può ammirare il matrimonio,
perlomeno è abbastanza sano per ammirare il fango. È possibile godere
della natura anche senza i lussi più naturali. Un buon cespuglio non ha
nessun bisogno del vino. Ma noi non potremo godere della natura, né del
vino, né di alcun'altra cosa, se avremo l'atteggiamento sbagliato verso
la felicità, e Omar (o Fitzgerald) aveva l'atteggiamento sbagliato verso
la felicità. Lui
e quanti ha influenzato non vedono che, se dobbiamo essere veramente
gai, dobbiamo credere che c'è una qualche eterna gaiezza nella natura
delle cose. Non possiamo neppure godere appieno di un pas‑de‑quatre a un
ballo benefico, se non crediamo che le stelle stiano danzando alla
stessa musica. Nessuno può essere veramente ilare, se non l'uomo serio.
«Il vino», dice la Sacra Scrittura, «allieta il cuore dell'uomo», ma
solo dell'uomo che ha un cuore. Solo lo spirituale può avere il morale
alle stelle. Alla fin fine, un uomo non può rallegrarsi di nulla, se non
della natura delle cose. Alla fin fine, un uomo non può godere di
nulla, se non della religione.
Una
volta, nel mondo della storia, gli uomini credevano che le stelle
danzassero alla musica dei loro templi, e danzavano come gli uomini, da
allora, non hanno mai più danzato. Con questo antico eudemonismo pagano,
il saggio delle Rubaiyat non ha a che fare più che con qualunque
varietà del cristianesimo. Non è un seguace di Bacco più di quanto sia
un santo. Dioniso e la sua chiesa si fondavano su una seria
joie‑de‑vivre come quella di Walt Whitman. Dioniso
faceva del vino, non una medicina, ma un sacramento. Omar, invece, ne
fa, non un sacramento, ma una medicina. Egli si dà al piacere perché la
vita non è gioiosa; gozzoviglia perché non è lieto. «Bevi,» dice,
«poiché non sai donde vieni né perché. Bevi, perché non sai quando te ne
andrai né dove. Bevi, perché le stelle sono crudeli e il mondo è vano
come una trottola musicale. Bevi, perché non c'è nulla degno di fiducia,
nulla degno di lotta. Bevi, perché tutte le cose sono scivolate in una
meschina uniformità e in una pace maligna.» Così si leva offrendoci la
coppa nella sua mano. E sull'eccelso altare del cristianesimo si leva
un'altra figura, nella cui mano è un'altra coppa di vino. «Bevete,»
dice, «perché l'intero mondo è rosso come questo vino, per il vermiglio
dell'amore e della collera divina. Bevete, perché le trombe chiamano
alla battaglia e questo è il bicchiere della staffa. Bevete, per questo
mio sangue del nuovo testamento che è sparso per voi. Bevete, perché io
so donde venite e perché. Bevete, perché io so quando ve ne andrete e
dove».
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Postato da: giacabi a 21:51 |
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chesterton
Il cuore segreto del Vangelo ***
Il cuore segreto del Vangelo: lo scandalo per cui l'amore vale molto più che l'intelligenza.
G.K. Chesterton
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Postato da: giacabi a 15:13 |
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chesterton
Il miracolo
dell’amicizia in Cristo
***
"Non è vero che uno più uno fa due; ma uno più uno fa duemila volte uno".
Chesterton
"Là dove saranno due o tre riuniti in mio nome, io sarò con loro.”
Gesù
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Postato da: giacabi a 14:22 |
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gesù, chesterton
La difficoltà
***
Un'avventura è soltanto un fastidio considerato nel modo giusto. Un fastidio è soltanto un'avventura considerata nel modo sbagliato.
Gilbert Keith Chesterton (1874 – 1936),
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Postato da: giacabi a 07:07 |
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chesterton
L’amicizia misericordiosa
***
" Così, è il fascino irripetibile di questo “evento reale”
che fa dire al grande teologo, al grande pensatore, al grande maestro
di spiritualità, che oltre a tutto e più di tutto, più dei libri, più della capacità speculativa, più dell’introspezione, conta nel cristianesimo l’esperienza dell’amicizia misericordiosa di Colui che scelse di affidare al discepolo che Lo aveva rinnegato tre volte (a
“un povero pescatore, in una lontana provincia, presso un piccolo mare,
quasi segreto la custodia e la guida della Sua barca, la Chiesa, tra le
onde della storia..”
G. K. Chesterton
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Postato da: giacabi a 23:06 |
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chiesa, chesterton
La meraviglia
***
“ Il mondo non morirà mai di fame per la mancanza di meraviglie, quanto per la mancanza di meraviglia”
G. K. Chesterton
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Postato da: giacabi a 16:53 |
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stupore, chesterton
Le virtù lasciate in balia di se stesse fanno terribili danni
***
«Gli
uomini moderni non sono cattivi, in un certo senso, son fin troppo
buoni. Il mondo è pieno di virtù selvagge e messe in subbuglio. Quando
un sistema religioso è sconvolto, come il Cristianesimo all'epoca della
Riforma, non si scatenano soltanto i vizi. I vizi - rilasciati -
dilagano e danneggiano. Ma
anche le virtù, lasciate in balia di se stesse, si diffondono più
selvaggiamente e fanno anche più terribili danni. Il mondo moderno è
pieno di antiche virtù cristiane che sembrano come folli: sono divenute
folli perché sono scisse una dall'altra e vagano senza mèta.»
G. K. CHESTERTON, L'ortodossia, Morcelliana, Brescia, 1947,.
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Postato da: giacabi a 22:12 |
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chesterton
Il cristianesimo è ragionevole
***
“Ho
voluto (...) a lungo (...) esaminare il tema principale: come, cioè la
mia posizione verso il Cristianesimo sia razionale. Razionale è, ma non è
semplice: è come un'accumulazione di fatti svariati, come
l'atteggiamento dell'agnostico, con la differenza che l'agnostico ha preso tutti i suoi fatti alla rovescia. Egli è un incredulo, per moltissime ragioni, ma sono tutte ragioni false. Egli dubita perché dice che il medio evo era barbarico, e non è vero; dice che il darwinismo è dimostrato - e non è; che i miracoli non sono accaduti - e invece sono accaduti; che i frati erano oziosi - ed erano laboriosissimi; che le monache sono infelici - e sono allegre e contente; che l'arte cristiana fu triste e pallida - ed ebbe i coloro più vividi e la gaiezza dell'oro;
che la scienza moderna rifugge dal soprannaturale - e non è esatto:
essa va verso il soprannaturale con la rapidità del treno lampo".
G. K. Chesterton, Ortodossia
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Postato da: giacabi a 22:35 |
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ragione, bellezza, cristianesimo, chesterton
La benefica follia del riso
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“La più semplice verità sull'uomo e' che egli e' un essere veramente strano: strano quasi nel senso che è straniero a questa terra ... solo, fra tutti gli animali, e' scosso dalla benefica follia del riso;
quasi avesse afferrato qualche segreto di una più vera forma
dell'universo e lo volesse celare all'universo stesso.
Questo fu il mio primo problema, quello di indurre gli uomini a capire la meraviglia e lo splendore dell’essere vivi.” Chesterton da: L’uomo eterno
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Postato da: giacabi a 21:08 |
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felicità, chesterton
La misura di ogni felicita' e' la riconoscenza
***
“La misura di ogni felicita' e' la riconoscenza. Tutte
le mie convinzioni sono rappresentate da un indovinello che mi colpì
fin da bambino, L'indovinello dice: che disse il primo ranocchio? La
risposta e' questa: "Signore come mi fai saltare bene". In succinto c'è
tutto quello che sto dicendo io. Dio fa saltare il ranocchio e il ranocchio e' contento di saltellare.”
Chesterton Ortodossia
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Postato da: giacabi a 18:50 |
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felicità, chesterton
La gioia di essere cristiano
***
"La gioia, che fu piccola appariscenza del pagano, è il gigantesco segreto del cristiano…. Il pathos [di Gesù] fu naturale, quasi casuale. Gli
stoici antichi e moderni ebbero l‘orgoglio di nascondere le loro
lacrime. Egli non nascose mai le Sue lacrime. Egli le mostrò chiaramente
sul Suo viso aperto ad ogni quotidiano spettacolo come quando Egli vide
da lontano la Sua nativa città. Ma Egli nascose qualche cosa. I
solenni superuomini, i diplomatici imperiali sono fieri di trattenere
la loro collera. Egli non trattenne mai la sua collera. Egli rovesciò i
banchi delle mercanzie per i gradini del Tempio e chiese agli uomini
come sperassero di sfuggire alla dannazione dell’inferno. Pure
Egli trattenne qualche cosa. Lo dico con riverenza: c’era in questa
irrompente personalità un lato che si potrebbe dire di riserbo: c’era qualche cosa che egli nascose a tutti gli uomini quando
andò a pregare sulla montagna: qualche cosa che egli coprì
costantemente con un brusco silenzio o con un impetuoso isolamento. Era qualche cosa di troppo grande perché Dio lo mostrasse a noi quando Egli camminava sulla terra; ed io qualche volta ho immaginato che fosse la Sua allegrezza.”
Chesterton da: Ortodossia
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Postato da: giacabi a 18:41 |
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felicità, chesterton
La fede cristiana è una grande cattedrale da ammirare stando dentro
***
«Gli amici uscirono dalla chiesa e guardando in su, dall'esterno, alla finestra che avevano ammirato da dentro, non vedevano nient'altro che il semplice contorno di un'ombra tetra.
Niente poteva più essere distinto, né il singolo ritratto di un santo,
di un angelo o del Salvatore, né tanto meno lo schema complessivo e il
significato del disegno. "Tutto
questo", pensò lo scultore, "è il più sconvolgente emblema di quanto
sia diverso l'aspetto di una verità religiosa o di una storia sacra
quando è visto dall'interno della fede oppure dal suo freddo e cupo
esterno. La
fede cristiana è una grande cattedrale, con vetrate divinamente
dipinte. Stando fuori, tu non vedi alcuna gloria, né riesci a
immaginarne una; stando dentro, ogni raggio di luce rivela un'armonia di
ineffabili splendori"». Nathaniel Hawthorne da:Il fauno di marmo
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Postato da: giacabi a 19:53 |
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chiesa, chesterton
Vivere è stupirsi
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Postato da: giacabi a 15:33 |
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stupore, chesterton
***
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Postato da: giacabi a 15:18 |
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chiesa, chesterton
La vera gioia
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"La
stessa lezione (di chi cerca pessimisticamente il piacere fine a se'
stesso) viene dalla desolata filosofia di Oscar Wilde. È la religione
del carpe diem; ma la religione del carpe diem non è la religione della gente felice, ma delle persone estremamente infelici. La gioia non coglie i boccioli di rosa mentre ancora può farlo; i suoi occhi fissano la rosa immortale che vide Dante".
Chesterton in Eretici" (1905)
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Postato da: giacabi a 08:07 |
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chesterton
La Chiesa è fondata su un’uomo debole
***
“Il signor Shaw non riesce a capire che ciò
che è prezioso e degno d’amore ai nostri occhi è l’uomo, il vecchio
bevitore di birra, creatore di fedi, combattivo, fallace, sensuale e
rispettabile. E le cose fondate su questa creatura restano in perpetuo; le cose fondate sulla fantasia del Superuomo sono morte con le civiltà morenti che sole le hanno partorite. Quando, in un momento simbolico, stava ponendo le basi della Sua grande società, Cristo non scelse come pietra angolare il geniale Paolo o il mistico Giovanni, ma un imbroglione, uno snob, un codardo: in una parola, un uomo. E su quella pietra Egli ha edificato la Sua Chiesa, e le porte dell’Inferno non hanno prevalso su di essa. Tutti
gli imperi e tutti i regni sono crollati, per questa intrinseca e
costante debolezza, che furono fondati da uomini forti su uomini forti. Ma
quest’unica cosa, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo
debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è
più forte del suo anello più debole.”
Chesterton in Eretici" (1905)
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Postato da: giacabi a 21:20 |
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chiesa, chesterton
La miseria dell’uomo
***
«Nessun uomo può essere veramente buono finché non conosce la sua malvagità, o quella che potrebbe avere; finché non abbia esattamente compreso quanto poco abbia diritto di esprimere tutti quei giudizi e questo disprezzo e di parlare di "criminali"
come se fossero scimmie di una foresta lontana mille miglia; (...)
finché egli non ha spremuto dalla sua anima l'ultima goccia dell'olio
dei farisei...
G.K.Chesterton Da I racconti di p.Brown, Paoline 1966,Io non cerco di guardare l'uomo dall'esterno, cerco di penetrare nell'interno dell'assassino... Anzi, molto di più, non le pare? Io sono dentro un uomo. (...) aspetto di essere dentro un assassino (...) finché penso i suoi stessi pensieri, e lotto con le sue stesse passioni, (...) finché vedo il mondo con i suoi stessi biechi occhi (...). Finché anch'io divento veramente un assassino» a P.
***
Sono un uomo -rispose p.Brown, gravemente- e perciò ho il cuore pieno di diavoli.G.K.Chesterton Da L'innocenza di p.Brown, Il martello di Dio |
Postato da: giacabi a 18:05 |
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persona, chesterton
***
L'uomo veramente grande è colui che fa sentire grande ogni altro uomo
G. K. Chesterton |
Postato da: giacabi a 17:46 |
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chesterton
L’amicizia
***
Non ci sono parole per esprimere l'abisso che corre fra l’essere soli e l’avere un alleato. Si può concedere ai matematici che quattro è due volte due; ma due non è due volte uno: due è duemila volte uno.
G.K.Chesterton L’uomo che fu Giovedì, sull’amicizia
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Postato da: giacabi a 20:23 |
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amicizia, chesterton
Omar e il sacro vino
***
Dionisio faceva del vino non una medicina, ma un sacramento.
Omar, invece, ne fa non un sacramento, ma una medicina.
Egli si dà al piacere perché la vita non è gioiosa;
gozzoviglia perché non è lieto.
“Bevi” dice “poiché non sai donde vieni né perché.
Bevi, perché non sai quando te ne andrai né dove.
Bevi, perché le stelle sono crudeli
e il mondo è vano come una trottola musicale.
Bevi, perché non c’è nulla degno di fiducia, nulla degno di lotta.
Bevi perché tutte le cose sono scivolate
in una meschina uniformità e in una pace maligna”.
Così si leva offrendoci la coppa nella sua mano.
E sull’eccelso altare del cristianesimo si leva un’altra figura,
nella cui mano è un’altra coppa di vino.
”Bevete”dice “perché l’intero mondo è rosso come questo vino,
per il vermiglio dell’amore e della collera divina.
Bevete, perché le trombe chiamano alla battaglia
e questo è il bicchiere della staffa.
Bevete per questo mio sangue del nuovo testamento
che è sparso per voi.
Bevete, perché io so donde venite e perché.
Bevete, perché io so quando ve ne andrete e dove”.
Chesterton Eretici
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Postato da: giacabi a 18:11 |
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cristianesimo, chesterton
Il filosofo moderno
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Il delinquente più pericoloso, oggi, è il filosofo moderno che non riconosce legge alcuna. In
paragone a lui, gli scassinatori e i bigami sono essenzialmente morali;
il mio cuore palpita per loro: essi accettano gli ideali essenziali del
genere umano, sono colpevoli soltanto di raggiungerli per una via
sbagliata. I ladri rispettano la proprietà: essi desiderano
semplicemente che la proprietà diventi loro, per poterla rispettare in
modo più perfetto; ma i filosofi odiano la proprietà in se stessa, vogliono distruggere l'idea stessa di possesso personale.
I bigami rispettano il matrimonio o non passerebbero attraverso la
formalità altamente ufficiale e perfino religiosa della bigamia; ma i filosofi disprezzano il matrimonio in quanto matrimonio.
Gli assassini rispettano la vita umana: essi aspirano semplicemente a
conquistarsi una maggior pienezza di vita sacrificando quelle che
considerano esistenze inferiori; ma i filosofi odiano la vita stessa.
G.K.Chesterton |
Postato da: giacabi a 21:18 |
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chesterton
L’avventura del nascere
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Gilbert Keith Chesterton |
Postato da: giacabi a 21:47 |
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chesterton, senso religioso
La menzogna
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Gilbert Keith Chesterton |
Postato da: giacabi a 21:43 |
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ideologia, chesterton
Il nulla ci aiuta ad apprezzare il Tutto
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Fino a che non ci rendiamo conto che le cose potrebbero anche non essere, non possiamo renderci conto che le cose sono. Fino a che non vediamo lo sfondo di tenebra, non possiamo ammirare la luce anche di una sola cosa creata. Non appena vediamo quella tenebra, tutta la luce è fulminea, improvvisa, accecante e divina.
Fino a che non ci dipingiamo l'assenza, noi svalutiamo la vittoria di Dio e non possiamo apprezzare nessuno dei trionfi della Sua antica guerra.
È uno dei milioni di folli scherzi giocati dalla verità, il fatto che noi non conosciamo nulla, fino a che non conosciamo il Nulla.
Fino a che non ci dipingiamo l'assenza, noi svalutiamo la vittoria di Dio e non possiamo apprezzare nessuno dei trionfi della Sua antica guerra.
È uno dei milioni di folli scherzi giocati dalla verità, il fatto che noi non conosciamo nulla, fino a che non conosciamo il Nulla.
G.K.Chesterton
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