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domenica 5 febbraio 2012

Chesterton, 2

Lo stupore
***
 “Nessun uomo ha veramente misurato la vastità del debito verso quel qualsiasi essere che l'ha creato e che lo ha reso capace di chiamarsi qualcosa. Dietro il nostro cervello, per così dire, v'era una vampa o uno scoppio di sorpresa per la nostra stessa esistenza: scopo della vita artistica e spirituale era di scavare questa sommersa alba di meraviglia, cosicché un uomo seduto su una sedia potesse comprendere all'improvviso di essere veramente vivo, ed essere felice”.
Gilbert Keith Chesterton Autobiografia

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stupore, chesterton

venerdì, 17 ottobre 2008
La fantasia
***
La fantasia scaturisce dallo stupore senza il quale non saremmo veramente in grado di conoscere le cose ed amare la realtà
Chesterton

Postato da: giacabi a 14:48 | link | commenti
stupore, chesterton

venerdì, 10 ottobre 2008
Ringraziare Dio
 ***
 Ringraziate Dio anche per le anatre giù nella vasca". II celebre pessimista espresse a mezza voce il suo vivo desiderio di ringraziare Dio per le anatre della vasca. "E non dimenticate i paperi", insisté Innocenzo, implacabile. Eames concedette fievolmente anche i paperi. "Nulla, mi raccomando, dovete dimenticare. E cosi rendete grazie al Cielo per le Chiese, le Cappelle, i villini, la gente ordinaria, le pozzanghere, le pentole e i tegami, i bastoni, i cenci, gli ossi, e le tende a pallini". "Sta bene, sta bene" ripeteva la vittima disperata "bastoni, cenci, ossi, tende". "Tende a pallini, mi pare di avere detto".
Chesterton in Le avventure di un uomo vivo

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chesterton

La fede rende veri uomini
 ***
 La fede restituisce all'uomo il corpo, l'anima, la ragione, la volontà e la vita stessa. L'uomo che la riceve, riceve insieme l'attitudine a tutte le antiche funzioni umane che le altre filosofie stanno sottraendogli. Si sarebbe molto vicini al vero dicendo che egli, soltanto possiede la libertà e la volontà, perché egli soltanto crederà nel libero arbitrio; che egli soltanto possiederà la ragione perché il dubbio assoluto nega tanto l'autorità che la ragione; che egli solo potrà veramente agire, perché l'azione non si esegue se non per un fine. E' una visione non impossibile: tutto questo indurirsi dell'intelletto e tutta questa disperazione senza fine, faranno sì che, alla fine, egli sarà, in una città di paralitici, l'unico cittadino in grado di muoversi e di parlare“.
Chesterton , in The Thing, 1929


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fede, chesterton

martedì, 30 settembre 2008
Il cuore di ogni uomo
desidera la stessa cosa 
 ***

Una volta trovai un amico. “Fortunato me – dissi – è stato fatto per me”. Ma ora trovo nuovi e nuovi amici, che sembrano essere fatti per me, e altro e altro ancora, fatto per me. E' mai possibile che noi tutti, su tutta la terra, siamo stati fatti l'uno per l'altro?»
G.K. Chesterton, Autobiografia

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chesterton, senso religioso

giovedì, 04 settembre 2008
Lo pseudo progresso
 ***
Una nube pesava sulla mente degli uomini, e gemendo passava il vento:-sì,una nube malaticcia sull'anima quando eravamo giovani tutti e due.-La scienza proclamava il nulla l'arte ammirava la decadenza:- il mondo era vecchio e finito; ma tu ed io eravamo lieti.
-
Intorno a noi, grottesca schiera, strisciavano i suoi vizi deformi: la lussuria che non sapeva più ridere, la paura che non sapeva più la vergogna.
G.K. Chesterton, "L'uomo che fu giovedì"

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laicismo, chesterton

giovedì, 21 agosto 2008
OMAR E IL SACRO VINO
O di come gustarsi veramenre il vino
dal libro “Eretici” di Gilbert Keith Chesterton  DA: FRANOI
              
Una nuova morale si è rovesciata su di noi con qualche violenza in relazione al problema dell'alcolismo; e gli entusiasti nel campo vanno dall'uomo che viene buttato fuori con violenza alle 12.30 alla signora che fracassa gli American bar con un'ascia. In queste discussioni, quasi sempre appare una posizione molto saggia e moderata quella secondo cui si dovrebbe bere il vino o roba consimile solo come medicina. Su questo punto, io mi spingerei a dissentire con particolare ferocia. L'unico modo veramente pericoloso e immorale di bere il vino è quello di berlo come medicina. E per questo motivo. Colui che beve il vino per averne piacere, sta cercando di avere qualcosa di eccezionale, qualcosa che non si aspetta a ogni ora del giorno, qualcosa che, a meno che sia un po’ folle, non cercherà di avere a ogni ora del giorno. Ma colui che beve il vino per avere la salute, sta cercando di avere qualcosa di naturale; qualcosa, insomma, di cui non dovrebbe mancare; qualcosa di cui, forse, troverebbe difficile accettare la mancanza. Colui che ha visto l'estasi di essere estatico forse non si lascerà sedurre; è più abbagliante cogliere uno scorcio dell'estasi che essere normale. Se ci fosse un unguento magico, e lo portassimo a un uomo robusto e gli dicessimo: «Questo ti permetterà di saltare giù dal Monument», senza dubbio quel tale salterebbe giù dal Monument, ma non salterebbe giù dal Monument tutto il giorno per la gioia della City. Se però portassimo l'unguento magico a un cieco, dicendogli: «Questo ti permetterà di vedere», il cieco si troverebbe esposto a una più forte tentazione. Sarebbe difficile per lui non strofinarlo sugli occhi ogni volta che sentisse gli zoccoli di un nobile cavallo o gli uccelli che cantano all'alba. È facile negarsi le occasioni di festa; è difficile negarsi la normalità. Di qui deriva la conseguenza nota a qualunque medico, per cui è spesso pericoloso somministrare alcolici ai malati anche quando ne hanno bisogno.
È quasi inutile aggiungere che non voglio dire che, a mio parere, sia in ogni caso ingiustificabile somministrare alcolici ai malati come stimolanti. Ma voglio dire che somministrarli ai sani per loro spasso è l'uso appropriato, un uso assai meglio compatibile con la salute.
La regola sensata nella questione sembrerebbe presentarsi come molte altre regole sensate, ovvero, come un paradosso. Bevete perché siete felici, ma mai perché siete infelici. Non bevete mai quando, senza l'alcool, vi sentite derelitti, o sarete come il bevitore di gin dalla faccia grigiastra nel suo tugurio; ma bevete quando, anche senza alcol, sareste felici, e sarete come il ridente contadino italiano. Non bevete mai perché ne sentite il bisogno, perché è un modo razionale di bere, e la via per la morte e per l'inferno. Bevete perché non ne sentite il bisogno, perché questa è la maniera irrazionale di bere e l'antica salute del mondo.
Da più di trent'anni, l'ombra e la gloria di una grande figura dell'Oriente si è distesa sopra la letteratura inglese. La traduzione di Omar Khayam per opera di Fitzgeraldz ha concentrato in un'immortale intensità tutto l'oscuro e fluttuante edonismo del nostro tempo. Dello splendore letterario di quell'opera sarebbe semplicemente banale parlare; in pochi altri libri degli uomini c'è mai stato qualcosa che combinasse così bene la gaia combattività di un epigramma con la vaga tristezza di un canto. Ma sulla sua influenza filosofica, etica e religiosa, che è stata grande quanto la sua genialità, vorrei dire una parola e, lo confesso, una parola di irriducibile ostilità. Molto si potrebbe dire contro lo spirito delle Rubayat e contro la loro prodigiosa influenza.
Ma un capo di accusa torreggia sinistro su tutto il resto, un autentico disonore per l'opera, un'autentica calamità per noi. Intendo alludere al terribile colpo che questa grande poesia ha inferto alla socievolezza e alla gioia della vita. Qualcuno ha definito Omar «il triste, lieto vecchio persiano». Triste, lo è; lieto, no davvero, in nessun senso della parola. Omar è stato, per la letizia, un nemico peggiore dei puritani.
Un pensoso e aggraziato orientale è disteso sotto il roseto con la sua anfora di vino e il suo rotolo di poesie. Può sembrare strano che il pensiero di qualcuno, nel momento in cui lo contempli, voli all'indietro allo scuro capezzale dove il medico elargisce il brandy. Può sembrare ancora più strano che debba tornare al grigio buono a nulla di Houndsditch' tremante per il troppo gin. Ma una grande unità filosofica lega le tre figure in un laccio maligno. Le libagioni di vino di Omar Khayam sono riprovevoli, non in quanto libagioni di vino. Sono riprovevoli, e assai riprovevoli, in quanto libagioni terapeutiche. Sono le libagioni di un uomo che beve perché non è felice. Il suo è il vino che esclude l'universo, non il vino che lo rivela. Non è il modo di bere poetico, che è gioioso e istintivo; è il modo di bere razionale, che è prosaico come un investimento, insipido come una dose di camomilla. Interi firmamenti al di sopra, dal punto di vista del sentimento, anche se non da quello dello stile, si leva lo splendore di certe vecchie canzoni conviviali inglesi:
«Corra dunque la tazza, compagni miei / e che il sidro scorra»..
Perché questa canzone fu colta da uomini felici per esprimere il valore di cose veramente degne, della fratellanza e dell'allegria, e il breve e gentile svago dei poveri. Naturalmente, la maggior parte degli stolidi rimproveri mossi contro la moralità di Omar sono falsi e infantili come, di solito, sono simili rimproveri. Un critico, di cui ho letto l'opera, è giunto all'incredibile balordaggine di definire Omar un ateo e un materialista. Per un orientale, è quasi impossibile essere l'uno e l'altro; l'Est comprende troppo bene la metafisica. Naturalmente, la vera obiezione che un cristiano versato nella filosofia muoverebbe contro la religione di Omar, non è che egli non assegni alcun posto a Dio, ma che Gli assegni un posto eccessivo. Il suo è quel terribile teismo che non sa immaginare null'altro che la divinità e nega completamente i contorni della personalità umana e della volontà umana:
«Mai questione fa la palla di sì o no, / ma sospinta dai colpi vaga intorno; / e Colui che vi lanciò dall'alto in campo, / Lui conosce tutto, tutto, né vi è scampo». Un pensatore cristiano, come Agostino o Dante, avrebbe da obiettare a questo perché ignora il libero arbitrio che costituisce il valore e la dignità dell'anima. Il più alto cristianesimo dissente con questo scetticismo, non certo perché nega l'esistenza di Dio, ma perché nega l'esistenza dell'uomo.
In questo culto del pessimistico amante dei piaceri, le Rubaiyat si levano sicuramente al primo posto nella nostra epoca; ma non da sole. Molti dei più brillanti intelletti del nostro tempo ci hanno spinto verso la stessa consapevole attitudine ad afferrare un godimento raro. Walter Pater ha detto che noi siamo tutti condannati a morte e che la sola via possibile è di godere momenti squisiti in se stessi. La medesima lezione insegnava la filosofia, così potente e così desolata, di Oscar Wilde. È la religione del carpe diem; ma la religione del carpe diem non è la religione di persone felici, bensì di persone molto infelici. La grande gioia non coglie i boccioli di rosa finché può; i suoi occhi sono fissati sulla rosa immortale che Dante poté vedere. La grande gioia ha in sé il senso dell'immortalità; lo stesso splendore della giovinezza risiede nella sensazione di avere tutto lo spazio per distendere le gambe. In tutta la grande letteratura comica, in Tristram Shandy' o in Pickwick, c'è il senso dello spazio e dell'incorruttibilità; noi sentiamo che i personaggi sono esseri immortali in un racconto interminabile.
Naturalmente, è abbastanza vero che una felicità penetrante sopraggiunge soprattutto in certi momenti fuggevoli; ma non è vero che noi dovremmo pensare quei momenti come fuggevoli, o goderli semplicemente «per se stessi». Un simile atteggiamento significa razionalizzare la felicità e quindi distruggerla. La felicità è un mistero come la religione e non si dovrebbe mai razionalizzarla. Supponete che un uomo sperimenti un momento veramente splendido di piacere. Non intendo qualcosa legato a un oggettino di smalto, intendo qualcosa colmo di una violenta felicità, quasi una felicità dolorosa. Un uomo può avere, per esempio, un momento di estasi nel primo amore, o un momento di vittoria in battaglia. L'amante ama il momento ma mai per se stesso. Ne gode in grazia della donna, o di se stesso. Il guerriero gode il momento, ma non per se stesso; lo gode per la sua bandiera. La causa per cui si leva la bandiera può essere sciocca o effimera; l'amore può essere un'infatuazione giovanile e durare una settimana. Ma il patriota pensa la bandiera come eterna; l'amante pensa il suo amore come qualcosa che non può finire. Questi momenti sono colmi di eternità; questi momenti sono gioiosi perché non sembrano momentanei. Guardateli per una volta come momenti al modo di Pater, e diventeranno freddi come Pater e il suo stile. L'uomo non può amare le cose mortali. Può solo amare cose immortali per un istante.
L'errore di Pater si rivela nella sua frase più famosa. Egli ci chiede di ardere con una fiamma dura, simile a una gemma. Le fiamme non sono mai dure e mai simili alle gemme: non è possibile maneggiarle o sistemarle. Così, le emozioni umane non sono mai dure e mai simili alle gemme; sono sempre pericolose, come le fiamme, da toccare o anche solo da esaminare. C'è solo un modo per cui le nostre passioni possono diventare dure e simili alle gemme, vale a dire, diventando fredde come gemme. Nessun colpo, dunque, è stato mai vibrato agli amori e al riso naturali degli uomini, avvilente come questo carpe diem degli esteti. Per qualunque genere di piacere, è necessario uno spirito del tutto diverso; una certa timidezza, una certa speranza indeterminata, una certa aspettativa fanciullesca. La purezza e la semplicità sono essenziali alle passioni, sì, anche alle passioni malvagie. Perfino il vizio richiede una sorta di verginità.
L'effetto di Omar (o di Fitzgerald) sull'altro mondo, possiamo anche trascurarlo, ma la sua mano su questo mondo si è rivelata greve e paralizzante. I puritani, come ho detto, sono molto più allegri di lui. I nuovi asceti che seguono Thoreau° o Tolstoj sono una compagnia assai più vivace; perché la rinuncia alle abbondanti libagioni e a lussi del genere, per quanto possa sembrarci un'inutile negazione, può lasciare l'uomo con innumerevoli piaceri naturali e, soprattutto, con la naturale capacità dell'uomo per la felicità. Thoreau poteva godere del sorgere del sole senza una tazza di caffè. Tolstoj, se non può ammirare il matrimonio, perlomeno è abbastanza sano per ammirare il fango. È possibile godere della natura anche senza i lussi più naturali. Un buon cespuglio non ha nessun bisogno del vino. Ma noi non potremo godere della natura, né del vino, né di alcun'altra cosa, se avremo l'atteggiamento sbagliato verso la felicità, e Omar (o Fitzgerald) aveva l'atteggiamento sbagliato verso la felicità. Lui e quanti ha influenzato non vedono che, se dobbiamo essere veramente gai, dobbiamo credere che c'è una qualche eterna gaiezza nella natura delle cose. Non possiamo neppure godere appieno di un pas‑de‑quatre a un ballo benefico, se non crediamo che le stelle stiano danzando alla stessa musica. Nessuno può essere veramente ilare, se non l'uomo serio. «Il vino», dice la Sacra Scrittura, «allieta il cuore dell'uomo», ma solo dell'uomo che ha un cuore. Solo lo spirituale può avere il morale alle stelle. Alla fin fine, un uomo non può rallegrarsi di nulla, se non della natura delle cose. Alla fin fine, un uomo non può godere di nulla, se non della religione.
Una volta, nel mondo della storia, gli uomini credevano che le stelle danzassero alla musica dei loro templi, e danzavano come gli uomini, da allora, non hanno mai più danzato. Con questo antico eudemonismo pagano, il saggio delle Rubaiyat non ha a che fare più che con qualunque varietà del cristianesimo. Non è un seguace di Bacco più di quanto sia un santo. Dioniso e la sua chiesa si fondavano su una seria joie‑de‑vivre come quella di Walt Whitman. Dioniso faceva del vino, non una medicina, ma un sacramento. Omar, invece, ne fa, non un sacramento, ma una medicina. Egli si dà al piacere perché la vita non è gioiosa; gozzoviglia perché non è lieto. «Bevi,» dice, «poiché non sai donde vieni né perché. Bevi, perché non sai quando te ne andrai né dove. Bevi, perché le stelle sono crudeli e il mondo è vano come una trottola musicale. Bevi, perché non c'è nulla degno di fiducia, nulla degno di lotta. Bevi, perché tutte le cose sono scivolate in una meschina uniformità e in una pace maligna.» Così si leva offrendoci la coppa nella sua mano. E sull'eccelso altare del cristianesimo si leva un'altra figura, nella cui mano è un'altra coppa di vino. «Bevete,» dice, «perché l'intero mondo è rosso come questo vino, per il vermiglio dell'amore e della collera divina. Bevete, perché le trombe chiamano alla battaglia e questo è il bicchiere della staffa. Bevete, per questo mio sangue del nuovo testamento che è sparso per voi. Bevete, perché io so donde venite e perché. Bevete, perché io so quando ve ne andrete e dove».

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chesterton

sabato, 16 agosto 2008
Il cuore segreto del Vangelo ***
Il cuore segreto del Vangelo: lo scandalo per cui l'amore vale molto più che l'intelligenza.
G.K. Chesterton

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chesterton

martedì, 12 agosto 2008
Il miracolo
dell’amicizia in Cristo
***
"Non è vero che uno più uno fa due; ma uno più uno fa duemila volte uno".
Chesterton
"Là dove saranno due o tre riuniti in mio nome, io sarò con loro.”
Gesù

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gesù, chesterton

domenica, 29 giugno 2008
La difficoltà
***
 Un'avventura è soltanto un fastidio considerato nel modo giusto. Un fastidio è soltanto un'avventura considerata nel modo sbagliato.
Gilbert Keith Chesterton (1874 – 1936),

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chesterton

mercoledì, 25 giugno 2008
L’amicizia misericordiosa
***
" Così, è il fascino irripetibile di questo “evento reale” che fa dire al grande teologo, al grande pensatore, al grande maestro di spiritualità, che oltre a tutto e più di tutto, più dei libri, più della capacità speculativa, più dell’introspezione, conta nel cristianesimo l’esperienza dell’amicizia misericordiosa di Colui che scelse di affidare al discepolo che Lo aveva rinnegato tre volte (a “un povero pescatore, in una lontana provincia, presso un piccolo mare, quasi segreto la custodia e la guida della Sua barca, la Chiesa, tra le onde della storia..
G. K. Chesterton

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chiesa, chesterton

martedì, 17 giugno 2008
La meraviglia
***
  Il mondo non morirà mai di fame per la mancanza di meraviglie, quanto per la mancanza di meraviglia”
G. K. Chesterton

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stupore, chesterton

martedì, 03 giugno 2008
Le virtù lasciate in balia di se stesse fanno terribili danni
***
 «Gli uomini moderni non sono cattivi, in un certo senso, son fin troppo buoni. Il mondo è pieno di virtù selvagge e messe in subbuglio. Quando un sistema religioso è sconvolto, come il Cristianesimo all'epoca della Riforma, non si scatenano soltanto i vizi. I vizi - rilasciati - dilagano e danneggiano. Ma anche le virtù, lasciate in balia di se stesse, si diffondono più selvaggiamente e fanno anche più terribili danni. Il mondo moderno è pieno di antiche virtù cristiane che sembrano come folli: sono divenute folli perché sono scisse una dall'altra e vagano senza mèta.»
G. K. CHESTERTON, L'ortodossia, Morcelliana, Brescia, 1947,.

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chesterton

venerdì, 09 maggio 2008
Il cristianesimo è ragionevole
***

 Ho voluto (...) a lungo (...) esaminare il tema principale: come, cioè la mia posizione verso il Cristianesimo sia razionale. Razionale è, ma non è semplice: è come un'accumulazione di fatti svariati, come l'atteggiamento dell'agnostico, con la differenza che l'agnostico ha preso tutti i suoi fatti alla rovescia. Egli è un incredulo, per moltissime ragioni, ma sono tutte ragioni false. Egli dubita perché dice che il medio evo era barbarico, e non è vero; dice che il darwinismo è dimostrato - e non è; che i miracoli non sono accaduti - e invece sono accaduti; che i frati erano oziosi - ed erano laboriosissimi; che le monache sono infelici - e sono allegre e contente; che l'arte cristiana fu triste e pallida - ed ebbe i coloro più vividi e la gaiezza dell'oro; che la scienza moderna rifugge dal soprannaturale - e non è esatto: essa va verso il soprannaturale con la rapidità del treno lampo".

G. K. Chesterton, Ortodossia

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ragione, bellezza, cristianesimo, chesterton

giovedì, 08 maggio 2008
La benefica follia del riso
***

 La più semplice verità sull'uomo e' che egli e' un essere veramente strano: strano quasi nel senso che è straniero a questa terra ... solo, fra tutti gli animali, e' scosso dalla benefica follia del riso;
quasi avesse afferrato qualche segreto di una più vera forma
dell'universo e lo volesse celare all'universo stesso.
 Questo fu il mio primo problema, quello di indurre gli uomini a capire la meraviglia e lo splendore dell’essere vivi. Chesterton da: L’uomo eterno

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felicità, chesterton

La misura di ogni felicita' e' la riconoscenza
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 La misura di ogni felicita' e' la riconoscenza. Tutte le mie convinzioni sono rappresentate da un indovinello che mi colpì fin da bambino, L'indovinello dice: che disse il primo ranocchio? La risposta e' questa: "Signore come mi fai saltare bene". In succinto c'è tutto quello che sto dicendo io. Dio fa saltare il ranocchio e il ranocchio e' contento di saltellare.”


Chesterton Ortodossia

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felicità, chesterton

La gioia di essere cristiano
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 "La gioia, che fu piccola appariscenza del pagano, è il gigantesco segreto del cristiano. Il pathos [di Gesù] fu naturale, quasi casuale. Gli stoici antichi e moderni ebbero l‘orgoglio di nascondere le loro lacrime. Egli non nascose mai le Sue lacrime. Egli le mostrò chiaramente sul Suo viso aperto ad ogni quotidiano spettacolo come quando Egli vide da lontano la Sua nativa città. Ma Egli nascose qualche cosa. I solenni superuomini, i diplomatici imperiali sono fieri di trattenere la loro collera. Egli non trattenne mai la sua collera. Egli rovesciò i banchi delle mercanzie per i gradini del Tempio e chiese agli uomini come sperassero di sfuggire alla dannazione dell’inferno. Pure Egli trattenne qualche cosa. Lo dico con riverenza: c’era in questa irrompente personalità un lato che si potrebbe dire di riserbo: c’era qualche cosa che egli nascose a tutti gli uomini quando andò a pregare sulla montagna: qualche cosa che egli coprì costantemente con un brusco silenzio o con un impetuoso isolamento. Era qualche cosa di troppo grande perché Dio lo mostrasse a noi quando Egli camminava sulla terra; ed io qualche volta ho immaginato che fosse la Sua allegrezza.”

Chesterton da: Ortodossia

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mercoledì, 30 aprile 2008
La fede cristiana è una grande cattedrale da ammirare stando dentro
***
«Gli amici uscirono dalla chiesa e guardando in su, dall'esterno, alla finestra che avevano ammirato da dentro, non vedevano nient'altro che il semplice contorno di un'ombra tetra. Niente poteva più essere distinto, né il singolo ritratto di un santo, di un angelo o del Salvatore, né tanto meno lo schema complessivo e il significato del disegno. "Tutto questo", pensò lo scultore, "è il più sconvolgente emblema di quanto sia diverso l'aspetto di una verità religiosa o di una storia sacra quando è visto dall'interno della fede oppure dal suo freddo e cupo esterno. La fede cristiana è una grande cattedrale, con vetrate divinamente dipinte. Stando fuori, tu non vedi alcuna gloria, né riesci a immaginarne una; stando dentro, ogni raggio di luce rivela un'armonia di ineffabili splendori"».                    Nathaniel Hawthorne    da:Il fauno di marmo

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domenica, 27 aprile 2008
Vivere è stupirsi
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L'avventura suprema è nascere. Così noi entriamo all'improvviso in una trappola splendida e allarmante. Così noi vediamo qualcosa che non abbiamo mai sognato prima. Nostro padre e nostra madre stanno acquattati in attesa e balzano su di noi, come briganti da un cespuglio. Nostro zio è una sorpresa. Nostra zia, secondo la bella espressione corrente, è come un fulmine a ciel sereno. Quando entriamo nella famiglia, con l'atto di nascita, entriamo in un mondo imprevedibile, un mondo che ha le sue strane leggi, un mondo che potrebbe fare a meno di noi, un mondo che non abbiamo creato. In altre parole, quando entriamo in una famiglia, entriamo in una favola.                                G. K. Chesterton, da Eretici,

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stupore, chesterton

***

"La cinta esterna del Cristianesimo è un rigido presidio di abnegazioni etiche e di preti professionali; ma dentro questo presidio inumano troverete la vecchia vita umana che danza come i fanciulli e beve vino come gli uomini. (…) Nella filosofia moderna avviene il contrario: la cinta esterna è innegabilmente artistica ed emancipata: la sua disperazione sta dentro".                                                                  G. K. Chesterton, da Ortodossia

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chiesa, chesterton

sabato, 19 aprile 2008
La vera gioia
***
"La stessa lezione (di chi cerca pessimisticamente il piacere fine a se' stesso) viene dalla desolata filosofia di Oscar Wilde. È la religione del carpe diem; ma la religione del carpe diem non è la religione della gente felice, ma delle persone estremamente infelici. La gioia non coglie i boccioli di rosa mentre ancora può farlo; i suoi occhi fissano la rosa immortale che vide Dante".
Chesterton  in Eretici" (1905)

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chesterton

venerdì, 18 aprile 2008
La Chiesa è fondata su un’uomo debole
***

 Il signor Shaw non riesce a capire che ciò che è prezioso e degno d’amore ai nostri occhi è l’uomo, il vecchio bevitore di birra, creatore di fedi, combattivo, fallace, sensuale e rispettabile. E le cose fondate su questa creatura restano in perpetuo; le cose fondate sulla fantasia del Superuomo sono morte con le civiltà morenti che sole le hanno partorite. Quando, in un momen­to simbolico, stava ponendo le basi della Sua grande società, Cristo non scelse come pietra angolare il geniale Paolo o il mistico Giovanni, ma un imbroglione, uno snob, un codar­do: in una parola, un uomo. E su quella pietra Egli ha edi­ficato la Sua Chiesa, e le porte dell’Inferno non hanno pre­valso su di essa. Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati, per questa intrinseca e costante debolezza, che furono fon­dati da uomini forti su uomini forti. Ma quest’unica cosa, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è più forte del suo anello più debole.”
Chesterton  in Eretici" (1905)


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chiesa, chesterton

mercoledì, 12 marzo 2008
La miseria dell’uomo
***
«Nessun uomo può essere veramente buono finché non conosce la sua malvagità, o quella che potrebbe avere; finché non abbia esattamente compreso quanto poco abbia diritto di esprimere tutti quei giudizi e questo disprezzo e di parlare di "criminali" come se fossero scimmie di una foresta lontana mille miglia; (...) finché egli non ha spremuto dalla sua anima l'ultima goccia dell'olio dei farisei...
Io non cerco di guardare l'uomo dall'esterno, cerco di penetrare nell'interno dell'assassino... Anzi, molto di più, non le pare?
Io sono dentro un uomo. (...) aspetto di essere dentro un assassino (...) finché penso i suoi stessi pensieri, e lotto con le sue stesse passioni, (...) finché vedo il mondo con i suoi stessi biechi occhi (...). Finché anch'io divento veramente un assassino»                                            a P.
G.K.Chesterton  Da I racconti di p.Brown, Paoline 1966,
***
 Sono un uomo -rispose p.Brown, gravemente- e perciò ho il cuore pieno di diavoli.
G.K.Chesterton  Da L'innocenza di p.Brown, Il martello di Dio


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persona, chesterton

mercoledì, 05 marzo 2008
 
***
L'uomo veramente grande è colui che fa sentire grande ogni altro uomo
G. K. Chesterton

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chesterton

venerdì, 21 dicembre 2007
L’amicizia
***

Non ci sono parole per esprimere l'abisso che corre fra l’essere soli e l’avere un alleato. Si può concedere ai matematici che quattro è due volte due; ma due non è due volte uno: due è duemila volte uno.
G.K.Chesterton L’uomo che fu Giovedì, sull’amicizia

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amicizia, chesterton

lunedì, 29 ottobre 2007
Omar e il sacro vino
***
Dionisio faceva del vino non una medicina, ma un sacramento.
Omar, invece, ne fa non un sacramento, ma una medicina.
Egli si dà al piacere perché la vita non è gioiosa;
gozzoviglia perché non è lieto.
“Bevi” dice “poiché non sai donde vieni né perché.
Bevi, perché non sai quando te ne andrai né dove.
Bevi, perché le stelle sono crudeli
e il mondo è vano come una trottola musicale.
Bevi, perché non c’è nulla degno di fiducia, nulla degno di lotta.
Bevi perché tutte le cose sono scivolate
 in una meschina uniformità e in una pace maligna”.
Così si leva offrendoci la coppa nella sua mano.
E sull’eccelso altare del cristianesimo si leva un’altra figura,
nella cui mano è un’altra coppa di vino.
Bevete”dice “perché l’intero mondo è rosso come questo vino,
per il vermiglio dell’amore e della collera divina.
Bevete, perché le trombe chiamano alla battaglia
 e questo è il bicchiere della staffa.
Bevete per questo mio sangue del nuovo testamento
che è sparso per voi.
Bevete, perché io so donde venite e perché.
Bevete, perché io so quando ve ne andrete e dove”.
Chesterton  Eretici


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cristianesimo, chesterton

sabato, 29 settembre 2007
Il filosofo moderno
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Il delinquente più pericoloso, oggi, è il filosofo moderno che non riconosce legge alcuna. In paragone a lui, gli scassinatori e i bigami sono essenzialmente morali; il mio cuore palpita per loro: essi accettano gli ideali essenziali del genere umano, sono colpevoli soltanto di raggiungerli per una via sbagliata. I ladri rispettano la proprietà: essi desiderano semplicemente che la proprietà diventi loro, per poterla rispettare in modo più perfetto; ma i filosofi odiano la proprietà in se stessa, vogliono distruggere l'idea stessa di possesso personale. I bigami rispettano il matrimonio o non passerebbero attraverso la formalità altamente ufficiale e perfino religiosa della bigamia; ma i filosofi disprezzano il matrimonio in quanto matrimonio. Gli assassini rispettano la vita umana: essi aspirano semplicemente a conquistarsi una maggior pienezza di vita sacrificando quelle che considerano esistenze inferiori; ma i filosofi odiano la vita stessa. 
G.K.Chesterton

Postato da: giacabi a 21:18 | link | commenti
chesterton

sabato, 22 settembre 2007
L’avventura del nascere
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L'avventura suprema è nascere. Così noi entriamo all'improvviso in una trappola splendida e allarmante. Così noi vediamo qualcosa che non abbiamo mai sognato prima. Nostro padre e nostra madre stanno acquattati in attesa e balzano su di noi, come briganti da un cespuglio. Nostro zio è una sorpresa. Nostra zia, secondo la bella espressione corrente, è come un fulmine a ciel sereno. Quando entriamo nella famiglia, con l'atto di nascita, entriamo in un mondo imprevedibile, un mondo che ha le sue strane leggi, un mondo che potrebbe fare a meno di noi, un mondo che non abbiamo creato. In altre parole, quando entriamo in una famiglia, entriamo in una favola.
Gilbert Keith Chesterton
 

Postato da: giacabi a 21:47 | link | commenti
chesterton, senso religioso

La menzogna
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La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. E una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. E una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l'incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l'erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.
Gilbert Keith Chesterton
 

Postato da: giacabi a 21:43 | link | commenti
ideologia, chesterton

mercoledì, 12 settembre 2007
Il nulla ci aiuta ad apprezzare il Tutto
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Fino a che non ci rendiamo conto che le cose potrebbero anche non essere, non possiamo renderci conto che le cose sono. Fino a che non vediamo lo sfondo di tenebra, non possiamo ammirare la luce anche di una sola cosa creata. Non appena vediamo quella tenebra, tutta la luce è fulminea, improvvisa, accecante e divina.
Fino a che non ci dipingiamo l'assenza, noi svalutiamo la vittoria di Dio e non possiamo apprezzare nessuno dei trionfi della Sua antica guerra.
È uno dei milioni di folli scherzi giocati dalla verità, il fatto che noi non conosciamo nulla, fino a che non conosciamo il Nulla.
G.K.Chesterton

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