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domenica 5 febbraio 2012

chiesa

Il mio valore è questa compagnia che mi abbraccia
***


Se uno vive o pretende di vivere di principi, di criteri
ideali, quando è incoerente non sa più cosa fare e allora,
per non disperarsi, per non diventare cinico, censura
quello che ha fatto, o addirittura idealizza, giustifica in un
modo o nell’altro quello che ha fatto.

Altro è, invece, uno che vive della compagnia
che lo abbraccia nella sua incoerenza,
lo abbraccia nella sua meschinità, lo abbraccia
nella sua chiusura mentale, affettiva, lo abbraccia nella
grettezza delle sue pretese, lo abbraccia nella vergogna
delle sue recriminazioni: lo abbraccia perché sono le braccia
di Cristo stesso.
Una compagnia che lo abbraccia:
questo è l’annuncio cristiano.
Non è mai il giorno del mio
trionfo, ma è sempre il giorno del trionfo del dolore di
quel che si è e dell’amore per cui si è fatti, dell’amore di
Cristo a noi, della Sua pietà, e quindi in noi del dolore di
quello che siamo, perché il dolore per noi è amore; il
dolore è riconoscere un amore contro cui siamo andati e
contro cui resistiamo.
Allora bisogna sempre ripetere, riprendere, ricominciare
tutti i giorni il riconoscimento che il mio valore è
questa compagnia che mi abbraccia nonostante quel che
sono. Riconoscere questo è continuamente ricominciare.

Ora, per continuamente ricominciare ci vuole un’umiltà
che solo Cristo può dare, insieme a una possibilità di
dolcezza che il nostro temperamento magari non avrebbe
mai conosciuta; e in questo abbraccio nulla è censurato.

don giussani da: Ciò che abbiamo di più caro  ed.Rizzoli

Postato da: giacabi a 08:38 | link | commenti
chiesa, giussani

mercoledì, 30 novembre 2011
La Chiesa
***
tempoliturgico36“Un giorno trovò nel Vangelo di San Matteo la frase 'Chi cercherà di conservare la sua vita la perderà; chi avrà perduto la propria vita per me, la ritroverà' e questa frase gli fece una profonda impressione... Sentì che qui gli si apriva la via verso la verità, non quella della scienza però, ma quella della vita, dell'esistenza. E ora tutto dipendeva dal percorrerla passo per passo, dal seguirla. Sì, disse il mio intimo, voglio; voglio dare l'anima. Ma a chi? E come?... La risposta è: solo Dio! A Lui posso dare veramente l'anima in quella pura completezza, che va fino al fondo e rende liberi... Ma se lo si doveva incontrare in modo tale da potergli dare la propria anima, Egli doveva scoprirsi, venire incontro, chiamare. Ma dove accadeva ciò? Era quindi una nuova domanda, provocata dalla risposta precedente; e la nuova risposta, che l'uomo dovette dare a se stesso, era: in Cristo... Il movimento verso la verità spingeva avanti e l'ultima risposta comportava una nuova domanda: chi protegge Cristo da me stesso? Chi lo mantiene libero dall'astuzia del mio io, che vuole sfuggire ad un vero dono di se stesso? E la risposta è: la Chiesa. Secondo il significato della sua missione Cristo non si trova in un posto qualsiasi del flusso della storia o dell'esperienza, ma è ordinato a Lui uno spazio strutturato in modo adeguato a farvelo vedere e percepire giustamente: la Chiesa... Per l'uomo di cui parlo la risposta definitiva è venuta davanti alla Chiesa - ed in fondo qui viene per ognuno. Inizialmente sembrava solo un pensiero di vita; quando poi divenne cosa seria, ne sgorgarono una conseguenza dopo l'altra; ognuna divenne un'esigenza e portò ancor oltre, fino a sfociare da ultimo nella decisione definitiva”.
Romano Guardini
da:
Segnalibri

Postato da: giacabi a 15:02 | link | commenti
chiesa, guardini

martedì, 29 novembre 2011
Gioia = Comunionalità
***
Nel vocabolario che usiamo, la parola più vicina alla
parola «gioia» – più dettagliata di essa – è «comunionalità
»: è la comunione, la comunione tra gli uomini, la
comunione tra gli uomini e le cose e, quindi, la comunione
cosmica. Ma la comunione è una generazione, è qualcosa
che l’uomo genera, che si genera nella carne dell’uomo;
la comunionalità è un ordine che nasce dall’essere
implicati nello stesso fatto, da un fatto riconosciuto,

amato, i
n cui e da cui ci si lascia coinvolgere, da cui ci si
lascia afferrare. È solo questo fatto, in cui tutta la nostra
persona è implicata, che può generare, essere generativo,
rendere generativa la nostra vita, generativa di comunionalità,
cioè di gioia.
......
........Senza utilità
non si può neanche parlare di letizia. Nel dolore ci può
essere la letizia, ma senza utilità non c’è letizia
. Ora, l’utilità
a livello umano, nella sua interezza, non posso non
pretendere di identificarla con la parola «generare», «generazione
». L’utilità della nostra vita è generare. Che cosa
generare? Qual è l’esito di questa generazione? L’ho già
accennato stamattina, ma lo ripeto, perché sarà da approfondire
bene: è una comunionalità
. La parola è cristiana,
ma la densità che essa ricupera è pre-cristiana, è da Adamo
ed Eva in poi. Il peccato originale è stato proprio una
presunzione di comunionalità senza il Mistero.
«Comunionalità
» è un tessuto di rapporto tra gli uomini, tra gli
uomini e le cose, fra tutte le cose, una cosmicità che si
riflette in ogni particolare e che da ogni particolare rifluisce
nel tutto. Questa è l’origine della gioia; l’accorgersi
di questo, la coscienza di questo, il sentimento di questo
è la gioia.


don Giussani da: Ciò che abbiamo di più caro ed. Rizzoli
Io sono Tu che mi fai
***
«Bussò l’amante alla porta dei cieli. Dal di
dentro una voce si udì: “Chi è?”. “Sono io”, rispose. E la
voce: “In questa casa non c’è posto per te e per me”
, e la
porta rimase chiusa. Allora l’amante si ritirò nel deserto

[come farete oggi], pregò [questo non so], digiunò [questo
no certamente]
nella solitudine. In capo a un anno
ritornò e bussò ancora alla porta. Di nuovo la voce chiese:
“Chi è?”. Egli rispose: “Sono tu”, e la porta si aprì.
»

leggenda indù
da: Ciò che abbiamo di più caro ed. Rizzoli

Postato da: giacabi a 15:12 | link | commenti
chiesa, giussani

martedì, 13 settembre 2011

Primato di Pietro
***

Il primo documento extra-biblico che afferma il Primato del Vescovo di Roma sulla Chiesa universale risale alla fine del I secolo. Papa Clemente (88-97) scrisse una lettera ai fedeli della comunità di Corinto, che avevano ingiustamente allontanato alcuni presbiteri. Il Papa è conscio della sua autorità ("Vi scriviamo tutto questo per riprendervi"), minaccia sanzioni spirituali ("se alcuni non obbediscono a ciň che per mezzo nostro Egli [Cristo] dice, sappiano che si vedranno implicati in una colpa e in un pericolo non indifferente") e chiede che le sue disposizioni vengano osservate ("se obbedendo a quanto vi abbiamo qui esposto [...], conformandovi all’esortazione, alla pace e alla concordia che in questa lettera vi abbiamo rivolto").
Non solo il Vangelo, dunque, ma anche la storia della Chiesa primitiva conferma la veritŕ cattolica sul Primato del Vescovo di Roma.

[Da "Il Timone" - Anno II, numero 6 - Marzo/Aprile 2000]

Postato da: giacabi a 19:53 | link | commenti
chiesa

martedì, 16 agosto 2011
L'espressione casta meretrix
***
"L'espressione casta meretrix - osserva […] Giacomo Biffi, al quale dobbiamo finalmente l'esegesi esatta del testo di sant'Ambrogio - lungi dall'alludere a qualche cosa di peccaminoso e di riprovevole, vuole indicare - non solo nell'aggettivo ma anche nel sostantivo - la santità della Chiesa; santità che consiste tanto nell'adesione senza tentennamenti e senza incoerenze a Cristo suo sposo (casta) quanto nella volontà di raggiungere tutti per portare tutti a salvezza (meretrix)".
Della meretrice la Chiesa imita, quindi, non il peccato, ma la disponibilità, solo che è una "casta" disponibilità, cioè una larghezza di grazia.
Ma riportiamo per intero l'audace testo ambrosiano, tutto costruito secondo l'esegesi allegorica: "Rahab nel tipo (ossia nel simbolo e nella profezia) era prostituta, ma nel mistero (in quello che significava) è la Chiesa, vergine immacolata, senza ruga, incontaminata nel pudore, amante pubblica, meretrice casta, vedova sterile, vergine feconda: meretrice casta, perché molti amanti la frequentano per l'attrattiva dell'affetto ma senza la sconcezza del peccato; vedova sterile, perché non è suo uso partorire quando il marito è assente; vergine feconda, perché ha partorito questa moltitudine, vendendo i frutti del suo amore e senza esperienza di libidine" (Expositio evangelii secundum Lucam, III, 23).
da Inos Biffi, La casta donna di tutti. Chiesa santa e uomini peccatori, L'Osservatore Romano, 18/6/2010

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chiesa, sambrogio

domenica, 19 giugno 2011

BISOGNA USCIRE DALLA SACRESTIE.
MA COME?

***
19 giugno 2011 / In News
Qui lo spiego partendo da un pensiero di Dostoevskij e da uno di S. Agostino. Per arrivare al grande cardinale Newman che afferma: “La Chiesa E’ necessariamente un partito”. Se non capiamo questo …
 
“I cattolici sono stati determinanti” nell’esito dei referendum, come dice orgogliosamente l’Azione cattolica?
O così hanno tradito la dottrina sociale della Chiesa e vanno verso il suicidio come argomenta Luigi Amicone (con il suicidio aggiuntivo dell’ethos pubblico come aggiunge Pietro De Marco)?
Alcune realtà del mondo cattolico sottolineano festosamente il “risveglio” dell’ impegno per il bene comune.
Ma un volantino di Comunione e liberazione invita saggiamente “ad essere meno ingenui sul potere salvifico della politica”.
Al tempo stesso bisogna rispondere all’appello del Papa e dei vescovi che chiamano i cattolici all’impegno politico.
Come si vede una situazione in cui è difficilissimo orientarsi e capire, tanto per i semplici cristiani che per gli addetti ai lavori.
Cosa sta succedendo nel mondo cattolico? E cosa accadrà con i nuovi scenari politici?
CHE FARE?
Si può parlare ancora di unità dei cattolici? E su cosa, come e dove? O si torna alla diaspora? C’è il rischio della subalternità culturale degli anni Settanta? C’è in vista una Dc di ricambio? O forse è meglio puntare su più partiti?
O addirittura su un movimento cattolico che lavori nella società, dove sono nati tutti i movimenti che oggi condizionano i partiti?
Negli ambienti della Cei si valorizza molto la relazione di Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica, al X Forum del “Progetto culturale” dedicato ai 150 anni del’Unità d’Italia.
Ornaghi invita i cattolici a “tornare ad essere con decisione ‘guelfi’ ”, spiegando: “abbiamo sempre più bisogno di una visione politica dalle radici e dalle qualità genuinamente e coerentemente ‘cattoliche’ ”.
Quel tornare decisamente “guelfi” per Ornaghi significa che i cattolici devono rivendicare la radice cattolica dell’italianità e devono affermare che “rispetto ad altre ‘identità’ culturali che sono state protagoniste della storia unitaria (…) disponiamo di idee più appropriate alla soluzione dei problemi del presente. E siamo ancora dotati di strumenti d’azione meno obsoleti o improvvisati”.
Affermazioni importanti, ma che dovrebbero essere spiegate nel dettaglio, sostanziate e anche discusse. In ogni caso affermazioni di cui ancora non si vede la conseguenza pratica, fattuale. Così le domande aumentano.
Solo che rispondere direttamente ad esse è impossibile perché – quando si parla della Chiesa – bisogna partire da altro, da una questione che sembra esterna ed è di natura teologica. Tutti la danno per scontata, ma non lo è.
Riguarda la natura stessa del fatto cristiano e la concezione della Chiesa. E’ su questo che non c’è chiarezza dentro lo stesso mondo cattolico. E da qui deriva poi la confusione sulle scelte storiche.
IL CUORE DI TUTTO
Provo a riassumere con due citazioni quella che a me pare la strada giusta. La prima è di Dostoevskij:
“Molti pensano che sia sufficiente credere nella morale di Cristo per essere cristiano. Non la morale di Cristo, né l’insegnamento di Cristo salveranno il mondo, ma precisamente la fede in ciò, che il Verbo si è fatto carne”.
Il grande scrittore russo qui coglie il punto: i cristiani non portano nel mondo anzitutto un “supplemento d’anima”, un richiamo etico, una concezione della politica o del Paese o una cultura. Queste sono conseguenze.
Portano anzitutto un fatto, un corpo misterioso, umano e divino, un popolo che è anche – di per sé – un soggetto politico che ha cambiato e cambia la storia.
A conferma vorrei richiamare una pagina memorabile di sant’Agostino rivolto ai “pelagiani”, cioè coloro che degradavano il cristianesimo a una costruzione umana, a un proprio sforzo morale:
Questo è l’orrendo e occulto veleno del vostro errore: che pretendiate di far consistere la grazia di Cristo nel suo esempio, e non nel dono della sua Persona”.
Leggendo questi due grandi autori cristiani si capisce ciò che insegna la tradizione cristiana: il gesto più potente di cambiamento del mondo – per i cristiani – è la Messa.
Più potente di eserciti, poteri finanziari, stati e rivoluzioni, perché è l’irrompere di Dio fatto uomo nella storia, l’atto con cui Dio prende su di sé tutto il Male e lo sconfigge, liberando gli uomini.
Ma non capirebbe nulla di cristianesimo chi credesse che la messa sia solo quel famoso rito domenicale. No.
Per il popolo cristiano la messa, da quel 7 aprile dell’anno 30 in cui il Salvatore fu crocifisso, non è mai finita: è una sinfonia la cui ultima nota coinciderà con la trasfigurazione dell’intero universo.
Quell’evento abbraccia tutta la giornata e tutta la vita, tutta la realtà, tutta la storia e tutto il cosmo. E li cambia.
“LA CHIESA E’ UN PARTITO”
Non a caso uno dei più grandi pensatori cattolici moderni, il cardinal Newman afferma che la Chiesa stessa “è” un partito:
“Strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito.
Può essere un partito trionfante o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano e che è dotato, per il suo latente carattere divino, di enorme forza ed influenza fino alla fine dei tempi.
Fin dall’inizio fu concessa stabilità non solo alla mera dottrina del Vangelo, ma alla società stessa fondata su tale dottrina; fu predetta non solo l’indistruttibilità del cristianesimo, ma anche quella dell’organismo tramite cui esso doveva essere manifestato al mondo.
Così il Corpo Ecclesiale è un mezzo divinamente stabilito per realizzare le grandi benedizioni evangeliche”.
E’ tanto vero ciò che dice Newman che la Chiesa è stata la più grande forza di cambiamento della storia: ha letteralmente costruito civiltà (tutte le “istituzioni” del mondo moderno, dagli ospedali alle università, dalla democrazia al diritto internazionale, fino al progresso scientifico-tecnologico-commerciale, sono nate nell’alveo cattolico).
Perfino quel sacro Romano Impero che ha generato l’Europa e poi partiti, dal partito guelfo del medioevo alle Democrazie cristiane del novecento (il nostro stesso Paese è stato letteralmente salvato dalla Dc che gli ha garantito libertà, unità e prosperità nell’Europa dei totalitarismi).
C’è chi ha cercato e cerca di impedire in ogni modo ai cristiani di esprimersi e costruire. Lo hanno fatto i totalitarismi moderni e le ideologie degli anni Settanta che pure in Italia pretendevano di zittire violentemente i cattolici.
Ma anche una certa cultura laica occidentale oggi prova a delegittimare la presenza dei cattolici.
Ancora Newman scriveva:
Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove.
E’ vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo.
 I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, nelle corti dei re o tra le varie moltitudini.
E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la Verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli”.
IL PROBLEMA 
La cosa peggiore però è quando il sale diventa scipito, cioè quando sono i cattolici stessi a escludersi, a rinchiudersi nelle sacrestie o ad andare a ruota delle ideologie mondane più forti.  
Dunque la Chiesa deve avere una sola preoccupazione: che (anche nei seminari e nelle facoltà teologiche) si annunci davvero il fatto cristiano nella sua verità e integralità, che nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti  lo si viva in tutte le sue dimensioni (la cultura, la carità e la missione) alla sequela del Papa.
Che non si lasci solo Radio Maria a fornire ai semplici cristiani l’aiuto per un giudizio cristiano sulla realtà. Che il popolo cristiano si veda e illumini la vita pubblica.
Antonio Socci
Da “Libero”, 19 giugno 2011

Postato da: giacabi a 21:52 | link | commenti
chiesa, socci, newman, agostino

martedì, 07 giugno 2011

 - Chi sei?- domandò l’imperatore.
- Sono Atanasio.
- Lo immaginavo. - Il pensiero passò come una freccia nella mente di Giuliano. - Incredibile, incredibile, ma lo sapevo… Che sfacciataggine!
Si avvicinò lentamente all’alta persona, che stava lì ritta, immobile, senza nemmeno un accenno d’inchino. Giuliano sapeva che gli occorreva guadagnare tempo, raccogliersi. Era il nemico, il peggiore, il più pericoloso fra tutti i suoi nemici, colui che impersonava i seguaci della dottrina galilea. Il concilio di Nicea non aveva, trent’anni prima, accettato la definizione che costui dava della dottrina del Galileo? Ma ciò accadeva trent’anni prima (cinque anni prima che Giuliano nascesse), ed ora egli, Giuliano, era imperatore, e quest’uomo era stato, per suo comando, esiliato dalla diocesi, scacciato… No, ciò non giovava a nulla: costui poteva esser vinto soltanto dalla verità. Nella mente di Giuliano le idee s’inseguivano febbrilmente.
Non deve sopraffarmi con la sua tattica di sorprese. Atanasio, a te devo molto, vero? Esiliato tre volte sotto tre imperatori, vuoi dunque vivere eterno, come dice il tuo nome? Aspetta, aspetta: hai voluto prendermi di sorpresa, ma io passerò all’attacco.
- Vieni in buon punto, Atanasio: la tua visita non avrebbe potuto trovare momento più opportuno. I tuoi galilei hanno appiccato il fuoco al tempio di Apollo e ai boschetti sacri di Dafne. Sei forse venuto a scusarti in loro nome? O quei birbanti hanno agito per tua istigazione?
Atanasio taceva; ma a Giuliano sembrò che sulle sue labbra aleggiasse l’ombra d’un sorriso sprezzante.
- Devi ammettere - continuò l’imperatore irritato - che dove tu appari scoppia l’uragano. L’ultimo, in Egitto, è stato troppo anche per la mia clemenza, sicché ho dovuto mandarti di nuovo in esilio. E le conseguenze? Mi si comunica che, in grave dispregio ai miei ordini, sei rimasto in Egitto. Come prima, ai tempi dell’imperatore Costanzo, giri di qua e di là e capiti inaspettato nei luoghi più diversi, e ora hai l’ardire di comparirmi dinanzi. Che cosa m’impedirebbe di farti arrestare immediatamente?
- La tua coscienza.
Giuliano rimase stupito. Si era aspettato una lunga risposta: spiegazioni, accuse, ripieghi, e invece quelle tre parole! Si riprese.
- Dovrei sentirmi lusingato dal fatto che tu mi concedi ancora di avere una coscienza. A leggere le prediche del vescovo Gregorio di Nazianzo, mio antico compagno di studi ad Atene, dubito di averla mai avuta. Secondo lui, non sono nemmeno un uomo, ma un demonio, o almeno un posseduto dai demoni.
Ancora quella leggera, fine ombra di sorriso sprezzante, ma nessuna risposta.
Giuliano diventò rosso come un papavero. - Parla una buona volta, prete! A che scopo sei venuto qua?
- Per la tua anima.
L’imperatore gettò indietro la testa, ridendo. - La mia anima è in ottimo stato, prete. Io non sono una tua pecorella.
- La tua anima, al pari della mia, appartiene a Dio. Tu sei battezzato, quindi sei cristiano.
- Io cristiano? Sei pazzo!
- Sei cristiano, anche se ti ribelli.
Giuliano scosse le spalle con disprezzo: - La ripetizione è una cattiva dialettica, prete.
- Non m’intendo di dialettica, - rispose Atanasio - ma conosco la verità, perché conosco Cristo… Cristo, che è il tuo signore in cielo, quantunque tu lo abbia tradito, Come hai tradito l’imperatore, tuo signore sulla terra.
Giuliano, pallido come un morto, rispose: - Devi essere ben stanco della vita per parlare con me in questo modo.
- È la verità. - ribatté Atanasio, con semplicità. - In tutta la mia vita ho sempre detto la verità, ai mendichi come agli imperatori.
- Tutti e due, Costantino e Costanzo, sono stati rappresentanti della tua fede… più o meno - schernì Giuliano. - Se ben ricordo, vi sono state certe sottili divergenze. Ma io non sono della tua fede, io la disprezzo. Ho la fede mia e ne sono il sommo sacerdote.
- Sei sommo sacerdote e comunità dei fedeli in una persona sola - rispose Atanasio. - Sogni un inesistente regno spirituale di tuo gusto, un semplice fantasma della tua immaginazione, nato dalla mezza conoscenza della mistica di Efeso. Quanti credi che parteciperanno della tua così detta fede?
- Tutto il mondo vi parteciperà! - esclamò Giuliano.
- Neanche un’anima, - ribatté Atanasio con calma - anche se c’è un paio di cortigiani che ti scimmiottano per adularti e per i loro fini… E perché ciò? Perché le cose di cui sogni oltrepassano i limiti dello spirito umano, non costruiscono il ponte di congiunzione con l’anima nostra. Mai potranno colmare un cuore umano, mai senza la fede in Cristo. La tua religione è una casa senza fondamenta. Ti domando: quale ne è lo spirito, lo spirito nuovo, che crea una nuova umanità? Cristo ci ha porto il dono eterno del suo amore. È morto per noi, e ancor oggi, dopo trecento anni, noi siamo pronti a morire per lui. E così sarà fra altri trecento anni e trecento ancora, così sarà fino al giorno del Giudizio. Ora, in questo momento, mentre stiamo parlando, vi sono uomini che muoiono per Cristo, uomini della cui vita tu sei responsabile. Molti ne hai uccisi e ancor più, forse, ne ucciderai. Ma non conquisterai una sola anima, non farai che perdere la tua. Non siamo noi in pericolo, ma tu. Perciò sono venuto da te.
Giuliano incrociò le braccia. - Non conosci bene la tua situazione, Atanasio. Io assumo la piena responsabilità delle mie azioni. Hai osato parlare della mia insubordinazione di fronte a Costanzo, che, dici, fu un tempo mio signore sulla terra. Ma non sei stato tu pure disobbediente nei miei confronti? Io ti avevo comandato di andar via dall’Egitto, eppure ci sei rimasto.
- Tu non sei il mio signore - rispose breve Atanasio. - Tu non lo sarai mai: sei salito al trono mercé uno spergiuro.
- Prete!
- Sai che questa è la verità! E perché hai infranto il tuo giuramento? Perché temevi per la tua vita, perché i tuoi soldati rivoltosi ti minacciavano? Potrebbe darsi, ma non lo credo. Tu non sei vile… in queste cose.
- Che intendi dire?
- Probabilmente i tuoi moventi erano di natura diversa, peggiore. Hai mentito a te stesso, immaginando che i tuoi dei ti avessero eletto, che tu fossi il loro beniamino, il loro strumento. Ti sei veramente preoccupato della loro grandezza? Avevano bisogno di te per la loro grandezza? Le potenti divinità dell’Olimpo avevano davvero bisogno di quel granello di sabbia che si chiama Giuliano? Non eri tu piuttosto ad aver bisogno di loro per alzarti sullo scudo, per darti ai tuoi occhi il diritto alla ribellione? Forse hai sentito voci, pensieri, sogni…
- Taci! - mormorò Giuliano. - Taci, tu…
- È possibile che tu non abbia mai guardato entro di te, che non abbia mai fatto un esame di coscienza? È stata la vera essenza del tuo io a farti agire? O non sei caduto in potere del demone dell’ambizione? Dimmi: hai salvato i tuoi dei per amor loro… o per amor tuo?
Silenzio. Poi: - Ti odio, - proruppe Giuliano digrignando i denti - ti odio, te e il tuo Cristo e tutti coloro che lo sostengono. Massa di ipocriti miserabili!
- “Amore” sta scritto sulla vostra bandiera, e per amore commettete i delitti più obbrobriosi! Le vostre sette non si sono forse combattute fra loro come tribù selvagge? Non ricomincerebbero, se io non lo impedissi col rigore della legge?
Sul volto dell’arcivescovo si dipinse un profondo dolore: - Aggredisci perché non puoi difenderti! Sì, è stato sparso sangue e ancora ne scorrerà, forse per molti e molti secoli. Il male dell’umanità è radicato troppo profondamente per venire estirpato in poco tempo. Le passioni selvagge possono convertire l’amore in odio, temporaneamente. Noi poveri pazzi abbiamo ancora da studiare a lungo; le parole di Cristo, pur tanto chiare, sono ancora da molti interpretate falsamente Non intendi che dobbiamo combattere il male entro la Chiesa ancor più energicamente che fuori di essa?C’è molta gente cattiva nelle nostre file, anche cattivi sacerdoti, e ce ne saranno ancor più. Ma la stessa base, la Chiesa, non è toccata. Foglie e rami possono cadere dall’albero o venire recisi, ma l’albero resiste. Così poco ti hanno insegnato nel convento di Macellum da non sapere nemmeno che la Chiesa è il corpo mistico di Gesù? Allorché le mani di soldati ignoranti cacciarono chiodi attraverso le sue adorate mani e i suoi piedi gli trapassarono le carni e sparsero il suo sangue, il suo corpo non rimase forse il suo corpo? Come lui, così anche noi vivremo; egli lo ha promesso e nulla, più della sua parola è certo in cielo e in terra. Terribile è la follia degli uomini; essi impiegano le proprie virtù, il proprio spirito per la propria distruzione. In verità, in verità ti dico: verrà tempo in cui gli uomini cadranno in ginocchio dinanzi alla loro stessa follia e grideranno che il cristianesimo è stato un errore; nemmeno allora comprenderanno che sono essi che hanno errato verso Cristo! Migliaia di falsi profeti cercheranno di traviarli; Cristo stesso ce ne ha avvisato. Non c’è che una sola verità e una sola salvezza. Fra tutta quell’ondata di miseria e di delusione noi staremo saldi come roccia. Nemmeno fra millenni ci potranno vincere, benché non mancheranno i tentativi. Le porte dell’inferno non prevarranno. Ad onta di tutte le nostre debolezze, abbiamo dalla nostra l’amore, l’amore di Dio che ascolta chiunque lo invochi. Tempo verrà in cui il sacrificio della Messa sarà celebrato su tutta la terra e in tutti i momenti, perché Cristo sarà con noi, in carne e sangue, di mattina, a mezzogiorno e di notte. Allora soltanto potrà esser pace, di dentro e di fuori.
Giuliano aveva l’impressione che l’aria si appesantisse, come nei sogni, quando un peso opprimente ci schiaccia le membra, e tuttavia si deve correre, correre per salvare la vita.
Si riprese con enorme sforzo: - Purtroppo non ho tempo di aspettare il tuo regno millenario, sono responsabile di fronte agli dei per il tempo del mio dominio, e ho poca pazienza verso una religione d’amore i cui seguaci si odiano. Dovresti leggere ciò che ho scritto contro la religione cristiana e i suoi fedeli; ho dato prove che non lasciano sussistere alcun dubbio. Ma dimenticavo che sei un uomo dalla fede cieca e che per te la dimostrazione logica significa ben poco, per non dir niente. Ebbene, vedrai come convinco di menzogna il tuo Galileo. Non ha forse detto che il tempio degli ebrei sarà distrutto in modo che non resterà pietra su pietra? Non sapeva che io, Giuliano, lo farò ripristinare com’era… a suo dispetto.
Atanasio scosse il capo: - Non vi riuscirai. Che cos’è il miserabile odio di un transfuga a paragone dell’amore di Dio? Ed è realmente odio? Non hai mai cercato di nascondere a te stesso di non aver mai rinunciato interamente alla fede della tua infanzia? Non sei fuggito in realtà dall’amore di Cristo?
- Che osi dire? - gridò Giuliano, fuori di sé.
- Il tuo odio non è che una fuga - ripeté Atanasio.

dal Romanzo "Così Tramontò il sole di De Wohl"
GRAZIE A :
Utente: todikaion Armando

Postato da: giacabi a 21:46 | link | commenti
chiesa, de wohl

sabato, 23 aprile 2011

Il luogo della verifica: l'esperienza umana

Autore: Graziola, Don Matteo
Fonte: Centro Culturale Rebora
Abbiamo svolto un percorso che dal senso religioso dell'uomo ci ha portato ad incontrare l'avvenimento di Cristo e la sua pretesa di essere la realizzazione di ciò per cui la vita è fatta. Abbiamo visto come questo avvenimento si prolunga nella storia attraverso il fenomeno della Chiesa; infine abbiamo cercato di identificare i fattori fondamentali di questo fenomeno e la coscienza che la Chiesa ha di sé come realtà umana che veicola il divino.

Ora dobbiamo porci una domanda fondamentale: tutto questo risponde al vero?
Il fenomeno della Chiesa è inconfondibilmente identificato, ma il messaggio per cui essa eccede la sua fenomenicità è vero o no? La Chiesa è veramente il prolungarsi di Cristo nel tempo e nello spazio?

Per rispondere a queste domande dobbiamo anzitutto chiarire i criteri necessari per poter dare una risposta.

Ciò che la Chiesa reclama come fattore giudicante

La Chiesa, come Gesù, si rivolge a quella che abbiamo chiamato ne Il senso religioso la esperienza elementare: vale a dire quel complesso di evidenze ed esigenze originali… con cui l'essere umano si protende sulla realtà.
La proposta della Chiesa vuole entrare nel dramma dell'universale confronto in cui l'uomo è proiettato da quelle evidenze ed esigenze.
Questa è la sfida della Chiesa: essa scommette sull'uomo, ipotizzando che il messaggio di cui essa è strumento, vagliato dall'esperienza elementare, rivelerà la presenza prodigiosa.
La risposta che il messaggio cristiano contiene alle esigenze del cuore umano sarà senza paragone rispetto a qualunque altra ipotesi.


Attenzione però che la Chiesa si rivolge all'esperienza stesso dell'uomo, non alle maschere di umanità dominanti le diverse forme di società. La Chiesa si vuole misurare con l'uomo che usa autenticamente del suo senso critico, si affida al giudizio della nostra esperienza sinceramente valutata: "Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?", ebbe a dire Cristo stesso in un episodio del Vangelo.

Un criterio di giudizio utilizzato al culmine della sua espressione

La Chiesa ripete con Gesù che può essere riconosciuta credibile in nome di una corrispondenza alle esigenze elementari dell'uomo nella loro più autentica fioritura. È ciò che Gesù intendeva promettendo il 'centuplo' su questa terra. È come se, dunque, anche la Chiesa dicesse all'uomo: "Con me otterai una esperienza di pienezza di vita che non otterresti altrove".
Così la Chiesa mette audacemente alla prova se stessa, proponendosi come prolungamento di Cristo a tutti gli uomini.
Del resto ognuno di noi cerca proprio quella maggiore pienezza. È questo il criterio che ci guida, anche nelle minime scelte.
Ora, il messaggio della Chiesa nella storia dell'umanità proclama di avere come unico interesse portare a compimento l'anelito supremo dell'uomo. Senza chiedergli di dimenticare alcuno dei suoi desideri autentici, delle sue esigenze prime, promettendogli anzi un risultato molto superiore alle sue stesse capacità di immaginazione. Il centuplo.
Avendo lanciato nei secoli questa sua inaudita scommessa, la Chiesa non può barare.

La disponibilità del cuore

Nella sua proposta, come abbiamo detto, la Chiesa non può barare; non può consegnare un libro e delle formule in mano a degli esegeti soltanto. Essa è vita e deve offrire vita.
Anche l'uomo però non può accingersi ad una verifica di questa portata senza un impegno che coinvolga la vita. Se la Chiesa si pone come vita, vita pienamente umana e carica di divino, l'uomo dovrà impegnarsi con la vita ad accettare quella sfida.
Se la Chiesa non può barare, neanche l'uomo può barare.
Ciò che occorre è la disponibilità all'impegno e la 'povertà dello spirito' evangelica: povertà dello spirito è l'occhio teso a ciò che costituisce il tesoro dell'uomo, a quell'oro che occorre desiderare per poter trovare.

Al cammino di verifica affrontato con l'animo aperto e disponibile è promessa una realizzazione esistenziale che la Chiesa dichiara di saper ottenere in paragone o in sfida con qualunque altra proposta.
Il 'cento volte tanto' promesso dal Vangelo è solo l'alba della totalità. Il tutto è incommensurabilmente di più. Ma il centuplo è l'indicazione che il tutto si sta avvicinando.
Come suggerisce la liturgia della Chiesa: "Dio che hai preparato beni invisibili per coloro che ti amano, infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio".

Se, dunque, la Chiesa è una vita, bisogna coinvolgersi con la vita per poterla giudicare. Si tratta innanzitutto di convivere con la vita della Chiesa là dove essa è vissuta autenticamente, là dove essa è vissuta sul serio.
Per questo la Chiesa proclama i santi: per dare delle indicazioni di come sia possibile vivere sul serio la proposta cristiana.
Ed è per questo che la Chiesa usa anche suggerire con la sua approvazione associazioni, movimenti, luoghi non solo di culto, ma anche di incontro: se vengono vissuti per quello che sono possono far percepire che cosa sia una esperienza cristiana vera. Esperienza vera che comunque dovrebbe essere valutabile dovunque vi siano dei cristiani: in scuole, fabbriche, case, quartieri, parrocchie, in ogni ambiente.
Se la Chiesa in tutte le sue esperienze seriamente vissute, è davvero il prolungamento di Cristo, si dovrà poterne rilevare le caratteristiche di efficacia.
"Se prendete un albero buono anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l'albero" (Mt 12,33). "Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produce frutti buoni" (Mt 7,16-18).

Ci sono quattro categorie di "frutti" della presenza di Cristo nella vita della Chiesa attraverso i quali egli continua la sua azione nella storia, e che costituiscono sintomi della efficacia della Chiesa sulla vita e sulla storia dell'uomo. Sono i 'segni di riconoscimento' del valore divino della Chiesa. La Chiesa li ricorda nel Credo: "Credo la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica".

Unità

L'unità è la caratteristica prima di ciò che vive, come richiama il dogma del Dio uno e trino. "Tale unità non è in alcun modo confusione, come la distinzione non è separazione… L'unione vera non tende a dissolvere gli uni negli altri gli esseri che riunisce, ma a perfezionarli gli uni con gli altri" (H. De Lubac).

Tale caratteristica di vitalità unitaria, che siamo chiamati a verificare, proviene da quanto direttamente Gesù ci ha rivelato del suo essere e da quanto ci ha chiesto come partecipazione.
"Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato… Custodisci nel tuo nome colore che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi" (Giovanni 17).
"È l'auspicio che la comunità dei discepoli… perseveri in quella sfera divina che le è stata dischiusa da Gesù… l'unità è espressione e segno dell'essenza divina, un'immissione nell'unità di Dio e di Gesù… che si manifesta ed opera nell'amore. L'unità esistente tra Gesù e il Padre non è soltanto archetipo e modello, ma anche fondamento vitale e base di realizzazione dell'unità dei credenti… Si tratta di unità fondata in Dio, vivente del suo amore" (R. Schnackenburg).

a) Unità della coscienza
La caratteristica dell'unità anzitutto si documenta in una unità di coscienza nel percepire, sentire e valutare l'esistenza.
Si deve poter trovare nella Chiesa una lucidità nel senso dell'esistenza, per cui il principio da cui si giudica se stessi e il mondo è un'unica Presenza inequivocabile.
È una unità di atteggiamento che valorizza tutto, senza scandalizzarsi di nulla, senza dimenticare o rinnegare qualcosa: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché il mondo si salvi per mezzo di Lui" (Giovanni 3, 16-17).
Tale unità di atteggiamento si scontra con tutte le possibili parzialità. "Io sono la via, la verità, la vita" (Gv 14): l'affermazione di Gesù "è una rivelazione di altissima certezza, una parola sovrana, che a tutt'oggi non ha perduto nulla della sua forza illuminante" (R. Schnackenburg). Tale parola di 'altissima certezza' ricapitola in un atteggiamento unitario tutta l'esistenza dell'uomo e porta con sé una profonda possibilità di pace.
"Cristo ha abbattuto con la sua incarnazione il muro divisorio fra cielo e terra… Così è tolto per l'uomo redento ogni motivo di paura: l'angoscia è cacciata e superata una volta per sempre" (H. U. von Balthasar). Ciò non esime dalla lotta, ma offre tutti i mezzi per sostenerla. È l'unico antidoto all'esasperazione dell'angoscia umana e alla disperazione.

b) Unità come spiegazione della realtà
Tale unità di coscienza, venendo a contatto con le cose, gli avvenimenti, gli uomini, organicamente tende a comprenderle, in modo aperto a tutte le possibilità e adeguato ad ogni incontro.
"Questa è la meravigliosa sicurezza del cristiano, una sicurezza che annulla tutta l'evidente tragicità della vita insicura… Il cristiano può già fin d'ora guardare indietro con lo stesso sguardo di Dio, vedendo e abbracciando come trasfigurate tutte le realtà terrene" (Hugo Rahner). Il cristiano è chiamato ad affermare la realtà con un instancabile anelito di valorizzazione, perché il suo criterio di interpretazione unitaria del reale non è un principio intellettuale, ma una persona. Quella del cristiano è la certezza di essere affidati a che è veramente grande, veramente comprensivo: diventa unità di comprensione e di inclusività, diventa atteggiamento e principio di cultura.
È in tale abbraccio che l'uomo viene educato ad una maturità critica vera: "Esaminate ogni cosa, trattenete ciò che vale" (1 Tess 5,21). La Chiesa è in grado di offrire dunque una capacità di critica che, per le radici da cui fiorisce, non è rinvenibile altrove. È ancorata infatti in una radicale assenza di estraneità nei confronti di cose e persone, nell'apertura verso tutto e con il perdono.

c) Unità come impostazione di vita
La vita riceve dunque valore in ogni minimo dettaglio e ogni gesto acquista una dimensione comunitaria.
La comunità diviene così sorgente dell'affermazione della personalità: attribuisce valore alla proporzione tra il gesto del singolo e il disegno totale di Cristo. Ogni gesto ha così valore eterno, in quanto gesto responsabile per il destino del mondo.
La comunità, come mistero di comunione, diventa fattore determinante il singolo e il senso che ha di sé. Paradossalmente mai la vita e la responsabilità personale è così valorizzata come lo è in questa visione dell'uomo e della comunità.
· Il paradigma è nella liturgia: "La liturgia abbraccia tutto quello che esiste… tutto il contenuto e tutti gli avvenimenti della vita... la totalità corale della creazione, compresa e inserita nella relazione di preghiera a Dio... La liturgia è la creazione che crede e prega" (R. Guardini).
Come recita un inno di S. Ambrogio: "Orsù leviamoci animosi e pronti… Gesù Signore, guardaci pietoso quando, tentati, incerti vacilliamo: se tu ci guardi, le macchie si dileguano e il peccato si stempera nel pianto. Tu, vera luce, nei cuori risplendi".
· L'eco della liturgia è il concetto cristiano di lavoro: l'espansione del mistero della salvezza in ogni momento e attività. Il lavoro è il tentativo dell'uomo di investire di sé, del suo progetto, tempo e spazio, è il lento inizio di un dominio dell'uomo sulle cose, di un governo cui egli aspira realizzando l'immagine di Dio, 'il Signore'. Dopo l'illusione di autonomia dell'uomo (peccato originale), la realtà è divenuta ambigua, ostacolo all'espressione umana. Gesù Cristo è l'istante della storia in cui la realtà cessa di essere ambigua e ridiventa gloriosamente tramite a Dio. Gesù Cristo è il punto in cui storia e universo riprendono il loro vero significato. È la conseguenza della sua resurrezione. Per questo nel suo lavoro il cristiano fa continuamente l'esperienza del miracolo: la redenzione che comincia a svelarsi in un certo ambito.

2. Santità

È la seconda grande categoria di efficacia che occorre poter rilevare nella Chiesa.
Santo è l'uomo che realizza più integralmente la propria personalità, ciò che deve essere. È caratterizzato dalla coscienza del vero e dall'uso significativo della propria libertà. Rende la presenza di Cristo attuale in ogni momento, perché questa Presenza determina, in modo trasparente, ogni sua azione.
· Una vicenda emblematica è quella di Ermanno lo storpio, vissuto attorno all'anno 1000, Nato orribilmente deforme, a trent'anni diventerà monaco benedettino, mostrando un'incredibile letizia nell'incontro con ogni persona. Dotato di mente considerevole, scrisse numerosi trattati, oltre al testo della Salve Regina e dell'Alma Redemptoris. Lo si è chiamato 'la meraviglia del suo tempo'. Un'esistenza nel dolore come può divenire così ricca ed amabile? Quell'energia di adesione alla realtà ultima delle cose permette di utilizzare anche ciò che tutto il mondo intorno riterrebbe non utilizzabile: il male, il dolore, la fatica di vivere, l'handicap fisico e morale, la noia e persino la resistenza di Dio. Tutto ciò essere trasformato se vissuto in rapporto con la realtà vera, se 'offerto a Dio'. Diceva don Gnocchi, che alla sofferenza altrui ha dedicato la vita, che la felicità del mondo è data dal dolore umano offerto a Dio. Tale offerta è chiave di volta per il senso dell'universo. "Un cristiano non può essere un uomo rassegnato, dev'essere un uomo che assume la sofferenza nella carità e nella gioia" (Charles Moeller).

La santità si può sorprendere attraverso tre caratteristiche che la qualificano.

a) Il miracolo
Il miracolo è un avvenimento sperimentabile attraverso cui Dio costringe l'uomo a badare a Lui, ad accorgersi della Sua Realtà. È cioè un modo con cui Egli impone sensibilmente la sua Presenza.

1. Da questo punto di vista tutte le cose sono miracolo. È lo sguardo con cui Gesù guardava la natura: in lui la coscienza del nesso tra l'oggetto e il destino, il Padre, era di una trasparenza immediata. In lui ogni cosa sorgeva dal gesto creatore del Padre, ed era perciò miracolo.
2. Vi sono poi momenti particolari in cui Dio straordinariamente richiama il singolo. Può essere una improvvisa buona notizia, o anche un dolore imprevisto, a costituire un miracolo per il singolo, mentre per gli altri è interpretabile come casualità! Per questo occorre avvicinarsi al fatto con spirito religioso, cioè con un animo aperto a Dio: senza una precedente, almeno implicita simpatia per Dio, non si può cogliere un avvenimento come miracolo.
3. Il miracolo in un senso più ristretto e proprio è un fatto oggettivamente inspiegabile per tutti, che richiama non solo il singolo, ma la collettività alla Sua presenza.

b) L'equilibrio
L'equilibrio della santità non è imperturbabilità o appiattimento, ma è una ricchezza che ha la sua origine in una coscienza decisamente orientata a Dio. È una visione della vita di una semplicità grandissima: una sola Realtà investe della sua luce tutte le cose, per cui l'io si sente uno con tutte le cose e in tutte le cose, perfino di fronte alla morte. Tanto che il culmine della cultura medioevale sta nell'affermazione di S.Francesco di Assisi per cui anche la morte può essere chiamata 'sorella', in quanto sottoposta al disegno di Cristo Risorto.
Così la santità nella Chiesa realizza una comprensione e una compiutezza umane sorprendenti, una capacità di abbracciare tutto il reale alla luce di un unico criterio, senza terrori e dimenticanze.
L'origine dell'equilibrio della santità cristiana è dunque la straordinaria ricchezza dell'essere che è donato all'umanità. Nella santità cristiana "l'Assoluto non è da raggiungere…, piuttosto è Lui stesso che ha raggiunge noi, sopraffacendoci là dove la nostra capacità di immaginazione è alla fine" (H. U. von Balthasar). Non si tratta dunque di restringere l'orizzonte dell'esperienza umana, ma di allargarlo. L'equilibrio realizzato dalla santità cristiana proviene da una ricchezza che non è dell'uomo, ma di Dio.
È l'equilibrio dell'homo viator, è una dinamica destinata a rendere più completo e concreto il cammino, più pieno il pellegrinaggio su questa terra, poiché a noi si è affiancato, camminando con noi, Colui la cui pienezza spiega la vita e la dispensa a piene mani. "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?" (Lc 24).

c) L'intensità
"Il cristianesimo deve generare dei santi, cioè dei testimoni dell'eterno… Santo è chi riesce a farci intravedere l'eternità, malgrado la grave opacità del tempo" (H. De Lubac).
È ciò che è avvenuto nella storia della Chiesa in ogni tempo e in ogni condizione, in ogni continente e nella più sconcertante varietà delle circostanze.
La forma e la documentazione della santità nella Chiesa sono qualitativamente e quantitativamente presenti nella storia in modo incommensurabile e imparagonabile rispetto a qualsiasi altro luogo di esperienza religiosa.
"I santi sono la dimostrazione della possibilità del cristianesimo. Perciò possono essere guide su una strada verso la carità di Dio che sembra altrimenti impossibile. E Dio, fondando tutti i modi della santità, ha operato infinite possibilità, delle quali almeno alcune sono senz'altro agibili per me" (Adrienne von Speyr).
"Se furono beati coloro che vissero nei primi tempi e videro le tracce recenti del Signore, e udirono l'eco della voce degli Apostoli, siamo beati anche noi che abbiamo avuto in sorte di vedere il Signore rivelato nei suoi santi. I prodigi della grazia nel cuore dell'uomo, la sua potenza creativa, le sue risorse inestinguibili, i suoi molteplici effetti, noi li conosciamo come i primi cristiani non poterono conoscerli. Essi non sentirono mai nominare san Gregorio, san Bernardo, san Francesco e san Luigi… Perciò quando noi fissiamo i nostri pensieri sulla storia dei santi, non facciamo altro che approfittare di quel sollievo e di quel compenso alle nostre particolari tribolazioni, che nostro benigno Signore ha provveduto nella nostra necessità" (J. H. Newman).

Naturalmente si può passare accanto a tutto questo (al miracolo, all'equilibrio umano, all'intensità dell'esperienza della santità nella Chiesa) con un atteggiamento di perfetta estraneità. Ciò però significherebbe non aver voluto passare al vaglio della propria esperienza autentica le caratteristiche della Chiesa, così come essa stessa desidera. Per 'vedere' e per 'credere' gli occhi devono sapersi posare sul loro oggetto con uno sguardo animato da un minimo di capacità simpatetica, che è del resto la condizione naturale di ogni conoscenza. Occorre cioè il desiderio della verità.

Cattolicità

"Katholicòs, in greco classico, era usato dai filosofi per indicare una proposizione universale… La Chiesa non è cattolica perché attualmente è diffusa su tutta la faccia della terra e conta un gran numero di aderenti. Essa era già cattolica il mattino della Pentecoste, quando tutti i suoi membri erano contenuti in una piccola stanza; e lo sarà ancora domani, se apostasie in massa le facessero perdere quasi tutti i fedeli… La Chiesa, in ogni uomo, si rivolge a tutto l'uomo, comprendendolo secondo tutta la sua natura" (H. De Lubac).
La cattolicità è dunque una dimensione essenziale della Chiesa, ed esprime fondamentalmente la sua pertinenza all'umano in tutte le variabili delle sue espressioni. Ciò che essa proclama e l'esperienza cui introduce, possono essere veicolati e assimilati da qualsiasi cultura e mentalità. La Chiesa reclama per sé la prerogativa dell'umano genuino per cui qualsiasi cultura e mentalità può sperimentare la verità che la Chiesa proclama e l'esperienza che essa propone come il più adatto completamento di sé, come l'adempimento più adeguato. Il cattolicesimo infatti dichiara di corrispondere semplicemente a ciò cui è destinato l'uomo.
Chi legge la storia della Chiesa con animo aperto non può esimersi dal notare come l'esperienza cristiana abbia incessantemente assimilato e valorizzato tutto quanto mostrava una ricchezza autenticamente umana.
· La terminologia e le categorie mentali ebraiche furono subito messe a confronto con la cultura ellenistica. Lo scopo degli scrittori cristiani era soprattutto di mostrare l'accordo del messaggio cristiano con la ragione umana.
· Il monachesimo ha mostrato la capacità di assumere dati provenienti da diverse culture.
· Riguardo ai missionari dell'epoca moderna possiamo citare come esempio due gesuiti, Matteo Ricci e Roberto de Nobili. Il primo, designato alla fine del '500 per una missione in Cina, si era preparato con passione alla sua opera apostolica, cercando di conoscere i filosofi, la letteratura e le religioni della terra in cui stava per sbarcare. Morì in Cina nel 1610, onorato alla corte imperiale come astronomo e matematico e non cessò mai di predicare il cristianesimo, tentando sempre di mostrarne la concreta vivibilità, anche da parte di chi fosse stato cresciuto all'ombra di valori ben diversi da quelli occidentali, valori che la tradizione cristiana avrebbe aiutato a comprendere e non a sacrificare.
· Roberto de Nobili aveva introdotto lo stesso spirito di adattamento nella sua missione in India. Egli si era immedesimato seriamente nel modo di vivere e di pensare dell'India, e per tutta la vita cercò di introdurre il Vangelo nell'universo mentale indiano: conosceva il sanscrito, ma sapeva anche predicare nell'idioma popolare e valorizzò in coloro che convertiva tutte le abitudini indù che non fossero apertamente in contraddizione con il messaggio cristiano.
· Quando la Chiesa si assunse il compito di dirigere l'attività missionaria con una apposita istituzione - la Congregazione de Propaganda Fide nel 1622 - essa nelle istruzioni che invia ai missionari mostra di aver colto l'importanza di quelle esperienze: impone infatti la conoscenza delle lingue e delle culture del luogo e ricorda accoratamente che i missionari sono sul posto per proporre la fede e non per imporre una cultura particolare.
"Un tipo specifico di spiritualità cristiana deve emanare dal genio particolare del popolo di ogni paese. L'universalità qualitativa della Chiesa (che in nessuna terra è straniera ma è contemporanea a tutte le epoche e connaturale a tutte le civiltà) non è che l'armonia finale e la sintesi di tutte le civiltà, assunta dal Cristo, l'Uomo assoluta, nella sua pienezza" (H. De Lubac).

La cattolicità, come qualità intrinseca della Chiesa, deve essere dimensione personale di ogni cristiano. È quello che De Lubac annota parlando del padre Jules Monchanin, missionario in India: "Sapeva ascoltare: ascoltava con intensità, per cogliere la sorgente nascosta da cui sgorgavano le parole. E la sua risposta disvelava al suo interlocutore delle prospettive che lo attiravano ad una soddisfazione più intera. Mettendosi interamente al suo ascolto, gli dava anche la sensazione di essere pienamente compreso, lo spiegava in qualche modo a se stesso… Il suo metodo era quello medesimo di Gesù: proporre a tutti un mistero che supera tutti, ma in una forma così connaturale che ognuno vi possa attingere la sua vita e vi riconosca ciò che c'è in lui di più familiare e di segreto".

4. Apostolicità

È la caratteristica della Chiesa che indica la sua capacità di affrontare in modo organicamente unitario il tempo. È la dimensione storica. La Chiesa afferma la sua autorità unica di essere depositaria di una tradizione di valori che deriva dagli apostoli. Come Cristo ha voluto legare la sua opera e la sua presenza nel mondo agli apostoli, indicando uno di essi come punto di riferimento autorevole, così la Chiesa è legata ai successori di Pietro e degli apostoli (papi e vescovi).
Gli apostoli per la conservazione del loro messaggio non si sono affidati soltanto a delle scritture, ma anche a delle persone viventi. Così la tradizione, trasmessa dagli apostoli, è conservata come un deposito mediante la catena di una successione.
"Non si deve cercare presso altri la Verità, che è facile prendere dalla Chiesa, poiché gli apostoli accumularono in lei, come in un ricco tesoro, nella maniera più piena tutto ciò che riguarda la Verità, affinché chiunque vuole prenda da lei la bevanda della Vita" (S. Ireneo di Lione, II secolo).
· Il valore di tale successione apostolica sta nel carattere di miracolo che conferisce al fenomeno stesso della Chiesa. La resistenza costruttiva nel tempo proprio in quelle espressioni ideali e in quelle strutture è, nella dimensione storica della Chiesa, il miracolo più grande. La Chiesa afferma la sua capacità di affrontare il tempo non solo come forza di conservare un passato, ma, forte delle promesse di Gesù, come sfida all'avvenire. La superiorità della Chiesa sul tempo infatti è una sfida inimmaginabile, è dono che la Chiesa accoglie come tale, frutto della presenza di Gesù nel mondo fino alla fine dei tempi, realizzato dal suo Spirito.

Ricordiamo infine che la categoria dell'unità è l'orizzonte in cui si collocano tutte le altre: santità, cattolicità, apostolicità… L'umanità intera ha una origine, un destino, nella compagnia di quell'Uno che ha voluto rendersi dono umano perché non smarrissimo la strada.

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chiesa, giussani

lunedì, 11 aprile 2011
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Lei, la Chiesa di Cristo, la Santa Chiesa, che ha subito fin dalla sua nascita le più feroci persecuzioni e che nel XX secolo ha dovuto sopportare il più oceanico macello della sua storia (45 milioni di credenti che hanno perduto la vita, in modo diretto o indiretto a causa della loro fede: dati provenienti da Oxford non dal Vaticano)
Antonio Socci

Che spettacolo. Ogni giorno valanghe di fango, da quei cannoni che sono i mass media e i potenti di questo mondo, contro la Chiesa. Ogni giorno oltraggi, calunnie, dileggi. E lei, bella, dolce, inerme, indifesa che subisce cercando - come una madre premurosa - di proteggere i suoi figli più piccoli dallo scandalo continuo. Come si fa a non amare questa Chiesa, così vulnerabile, indifesa, così umanamente povera da rendere evidentissimo che è sorretta dalla presenza formidabile di un Altro. Altrimenti mai avrebbe potuto arrivare al XX secolo e abbracciare il mondo intero e continuare a far innamorare tanti cuori di quel volto. Del Salvatore.

Lei, la Chiesa di Cristo, la Santa Chiesa, che ha subito fin dalla sua nascita le più feroci persecuzioni e che nel XX secolo ha dovuto sopportare il più oceanico macello della sua storia (45 milioni di credenti che hanno perduto la vita, in modo diretto o indiretto a causa della loro fede: dati provenienti da Oxford non dal Vaticano), lei che è stata perseguitata a tutte le latitudini, sotto tutti i regimi (da quello della Cina dei Boxers di inizio secolo, a quello massonico messicano, da quelli comunisti a quelli nazisti e fascisti fino a quelli pagani e a quelli islamici), lei che ha subìto il primo genocidio del Novecento, quello degli armeni. Ma non interessano a nessuno i morti cristiani, le suore rapite, i missionari uccisi i cristiani cacciati da tanti Paesi. E' forse interessato a qualcuno il lungo genocidio consumatosi a Timor Est o quello ventennale del Sudan ad opera del regime jihadista contro i cristiani del Sud, con due milioni di morti, quattro milioni di profughi e centinaia di migliaia di donne e bambini catturati e venduti come schiavi al Nord? A nessuno. Se ne accorse il New York Times nel 1998.
Ma Gesù lo aveva detto: "Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi", "hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi", "diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia", vi trascineranno davanti ai loro tribunali, vi tortureranno, vi metteranno a morte. Infatti non ci si è accontentati di macellare i cristiani: li si vuole anche infangati, disonorati. Anche quando loro - vittime di tutte le ideologie totalitarie - si sono presi cura, pressoché da soli, di altre vittime come i loro fratelli ebrei, anche quando il Papa Pio XII con migliaia di preti e suore, a rischio della loro stessa vita (vedi padre Kolbe), minacciati loro stessi di morte, hanno salvato centinaia di migliaia di poveri ebrei braccati da quell'ideologia pagana che già faceva strage di cattolici polacchi, anche dopo questa immensa e commovente impresa - che dopo la guerra fece sgorgare i più sinceri ringraziamenti dei maggiori esponenti del mondo ebraico e dei tanti salvati (anche esponenti politici avversi alla Chiesa) - anche dopo un evento del genere in cui la Chiesa pressoché da sola (come scrisse Albert Einstein) si oppose al Satana pagano hitleriano, anche dopo ciò alla Chiesa tocca l'onta dell'accusa di razzismo, ideologia biologista che è l'esatto opposto del cattolicesimo e che è nata proprio in odio al cristianesimo...
Ma questa sembra essere la sua sorte: la stessa di Gesù. L'odio del mondo. La mano assassina non è arrivata a colpire perfino il Papa stesso in piazza San Pietro? E già sul suo predecessore, Pio XII, non gravava un progetto di deportazione da parte dei nazisti? E un altro predecessore non era stato già deportato, 150 anni prima, da Napoleone?
Del resto perfino nella democrazie - se proprio non vogliamo ricordare il bagno di sangue cristiano che fu la Rivoluzione francese o le feroci persecuzioni della conquista piemontese (più di 60 vescovi italiani arrestati o esiliati, migliaia di frati e suore cacciati dai loro conventi e la Chiesa espropriata di tutto) - perfino nelle democrazie, dicevo, la Chiesa è odiata, perseguitata.
C'è qualcuno che ricordi come nella Inghilterra madre della democrazia (quella che proprio dalla Chiesa aveva imparato da democrazia con la Magna Charta) oggi, a 500 anni dalla svolta anglicana (imposta da un re tiranno) è ancora proibito a un cattolico diventare cancelliere? Blair ha dovuto aspettare, a dare la notizia della sua conversione, di aver perduto la carica. Pensate se vigesse un'analoga proibizione - che so - per gli atei o gli ebrei, o gli islamici...
E perfino negli Usa si è dovuto aspettare duecento anni perché un cattolico, nel 1960, diventasse presidente americano. E quante rassicurazioni dovette dare Kennedy, attaccato proprio in quanto cattolico che - come tale - non doveva andare alla Casa Bianca (in ogni caso fece subito una brutta fine e nessun cattolico più ci è tornato).
Ma, si sa, è proibito guardare la storia per quello che è. Sempre e solo sul banco degli accusati devono stare i cattolici. Ciononostante la Chiesa non fa mai vittimismo, non polemizza, non si perde in discussioni e controversie. Addirittura per volere di quel grandissimo Papa che è stato Giovanni Paolo II, che pure aveva provato sulla sua pelle sia la persecuzione nazista, che quella comunista e infine le pallottole di Ali Agca, arrivò quel gesto inaudito, stupendo che fu il grande "mea culpa" dell'Anno Santo: dalla Chiesa di Roma, che avrebbe avuto tutti i titoli, alla fine del Novecento, per puntare il dito su tutti i poteri e le ideologie del mondo che l'avevano straziata, venne questo struggente atto di umiltà, perché il mondo sapesse, capisse, che ai cristiani non interessa rivendicare meriti, né interessa aver ragione, ma - riconoscendosi peccatori, ultimi fra gli uomini e veramente indegni del dono che hanno avuto da Dio - a loro interessa solo indicare quel volto bellissimo che ci salva, in cui Dio si è fatto carne ed è venuto a salvarci.
Con il cui amore (cantato attraverso duemila anni di bellezza dagli artisti cristiani) hanno insegnato all'umanità a prendersi cura dei sofferenti, dei derelitti, coprendo il mondo di opere di carità e di ospedali. E ancora oggi, come sempre, la Chiesa quasi da sola, sentendo tutti gli uomini come suoi figli (anche coloro che la odiano), premurosamente fa sentire la sua voce contro l'immane massacro delle vite più indifese e innocenti (un miliardo in 40 anni), contro le risorgenti ideologie della morte, contro l'orrore della fame, dell'industria della guerra, contro l'odio che dilania i cuori e il mondo, contro tutte le violenze.
Ma ancora una volta la Chiesa è per questo vilipesa, oltraggiata, infangata, derisa (ora accusata falsamente di tacere, ora accusata dagli stessi di parlare: sempre in ogni caso odiata). Che spettacolo! Come si fa a non accorgersi che è veramente una cosa dell'altro mondo in questo mondo. E' divina. Così la considerò uno dei suoi persecutori, arrivato alla fine della vita, nell'esilio di Sant'Elena, Napoleone Bonaparte: "Tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione c'è la distanza dell'infinito. Conosco gli uomini e vi dico che Gesù non è (solo) un uomo...".
I pensieri del Bonaparte, riportati in "Conversazioni religiose" (Editori riuniti), sono di questo tenore: "Tutto di Gesù mi sorprende. Il suo spirito mi supera e la sua volontà mi confonde. Tra lui e qualsiasi altra persona al mondo non c'è possibilità di paragone. E' veramente un essere a parte... E' un mistero insondabile... Cerco invano nella storia qualcuno simile a Gesù Cristo o qualcuno che comunque si avvicini al Vangelo... Nel suo caso tutto è straordinario.... Anche gli empi non hanno mai osato negare la sublimità del Vangelo che ispira loro una specie di venerazione obbligata! Che gioia procura questo libro!". "Dal primo giorno fino all'ultimo, egli è lo stesso, sempre lo stesso, maestoso e semplice, infinitamente severo e infinitamente dolce... Che parli o che agisca, Gesù è luminoso, immutabile, impassibile...". "Gesù è il solo che abbia osato tanto. E' il solo che abbia detto chiaramente e affermato senza esitazione egli stesso di sé: io sono Dio...".
Napoleone constata il suo potere divino nei fatti storici: "Voi parlate di Cesare e di Alessandro, delle loro conquiste e dell'entusiasmo che seppero suscitare nel cuore dei soldati" osservava Napoleone "ma quanti anni è durato l'impero di Cesare? Per quanto tempo si è mantenuto l'entusiasmo dei soldati di Alessandro?".
Invece per Cristo "è stata una guerra, un lungo combattimento durato trecento anni, cominciato dagli apostoli e proseguito dai loro successori e dall'onda delle generazioni cristiane. Dopo san Pietro i trentadue vescovi di Roma di Roma che gli sono succeduti sulla cattedra hanno, come lui, subito il martirio. Durante i tre secoli successivi, la cattedra romana fu un patibolo che procurava sicuramente la morte a chi vi veniva chiamato... In questa guerra tutti i re e tutte le forze della terra si trovano da una parte, mentre dall'altra non vedo nessun esercito, ma una misteriosa energia, alcuni uomini sparpagliati qua e là nelle varie parti del globo e che non avevano altro segno di fratellanza che una fede comune nel mistero della Croce... Potete concepire un morto che fa delle conquiste con un esercito fedele e del tutto devoto alla sua memoria? Potete concepire un fantasma che ha soldati senza paga, senza speranza per questo mondo e che ispira loro la perseveranza e la sopportazione di ogni genere di privazione?... Questa è la storia dell'invasione e della conquista del mondo da parte del cristianesimo... I popoli passano, i troni crollano e la chiesa rimane! Quale è, dunque, la forza che mantiene in piedi questa chiesa, assalita dall'oceano furioso della collera e dell'odio del mondo? Qual è il braccio, dopo diciotto secoli, che l'ha difesa dalle tante tempeste che hanno minacciato di inghiottirla?"

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chiesa, socci

sabato, 26 marzo 2011

« Soltanto la Chiesa cattolica conserva il culto vero. Essa è la fonte della verità; questo è il domicilio della fede, questo il tempio di Dio; se qualcuno non vi entrerà, o da esso uscirà, resterà lontano dalla speranza della vita e della salvezza. E non conviene cercare d’ingannare se stesso con dispute pertinaci. Qui si tratta della vita e della salvezza: se a ciò non si provvede con diligente cautela, esse saranno perdute e si estingueranno »

Lucio Cecilio Firmiano Lattanzio

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chiesa

domenica, 13 febbraio 2011
«Nelle nostre mani i libri, nei nostri occhi i fatti»
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Julián Carrón
Beatissimo Padre, Venerabili Padri, Fratelli e sorelle:
L’Instrumentum laboris e la relazione generale hanno messo in evidenza che l’interpretazione della Bibbia è una delle preoccupazioni più sentite oggi nella Chiesa (Instrumentum laboris 19-31). Il nocciolo della sfida sollevata dalla vicenda della interpretazione moderna della Sacra Scrittura l’aveva identificato anni fa l’allora cardinale Ratzinger: «Come mi è possibile giungere ad una comprensione che non sia fondata sull’arbitrio dei miei presupposti, una comprensione che mi permetta veramente d’intendere il messaggio del testo, restituendomi qualcosa che non viene da me stesso?» (“L’interpretazione biblica in conflitto. Problemi del fondamento ed orientamento dell’esegesi contemporanea”, in AA.VV., L’esegesi cristiana oggi, Casale Monteferrato 1991, pp. 93-125).
In merito a questa difficoltà, il Magistero recente della Chiesa ci offre elementi per uscire da ogni possibile riduzione.
È stato pregio del Concilio Vaticano II aver recuperato un concetto di rivelazione come avvenimento di Dio nella storia. In effetti, la Dei Verbum permette di comprendere la rivelazione come l’avvenimento dell’autocomunicazione della Trinità nel Figlio «mediatore e pienezza di tutta intera la Rivelazione», nel quale risplende la «profonda verità […] su Dio e sulla salvezza degli uomini» (DV 2), mediante lo Spirito Santo nella storia umana
. È Cristo che «col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione» (DV4). A buon diritto l’enciclica Deus caritas est ribadisce che «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (DCE 1; cfr. FR 7).
Questo avvenimento non appartiene soltanto al passato, a un momento del tempo e dello spazio, ma rimane presente nella storia, comunicandosi attraverso la totalità della vita della Chiesa che lo accoglie. Infatti «la contemporaneità di Cristo rispetto all’uomo di ogni tempo si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa» (VS25; cfr. FR 11). Come gli Apostoli trasmisero «ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con lui e guardandolo agire» (cfr. DV 7), così «la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede» (DV 8). Precisamente per questo carattere di avvenimento proprio della rivelazione e della sua trasmissione, la Costituzione conciliare sottolinea che, sebbene «espressa in modo speciale nei libri ispirati» (cfr. DV 8), l’evento della rivelazione non coincide con la Sacra Scrittura. La parola della Bibbia attesta la Rivelazione; ma non la contiene in modo tale da poterla esaurire in se stessa. Per questo «la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura» (DV 9).
Se la rivelazione ha il carattere di un avvenimento storico, quando entra in contatto con l’uomo non può che colpirlo, provocando la sua ragione e la sua libertà. È quanto mostrano, nella loro semplicità, le narrazioni evangeliche, testimoniando lo stupore che suscitava la persona di Gesù in chi lo incontrava (cfr.  Mc 1,27; 2,12; Lc 5,9). La presenza di Gesù dilata lo sguardo affinché possiamo vedere e riconoscere ciò che abbiamo davanti (cfr. Lc 24, Emmaus). È ciò su cui insiste l’enciclica Fides et ratio quando afferma che «questa verità [della rivelazione], donata all’uomo e da lui non esigibile, si inserisce nel contesto della comunicazione interpersonale e spinge la ragione ad aprirsi ad essa e ad accoglierne il senso profondo» (FR 13).
L’enciclica, dunque, caratterizza l’impatto che la verità rivelata provoca nell’uomo che la incontra secondo un duplice impulso: a) dilatare la ragione per adeguarla all’oggetto; b) facilitarne l’accoglimento del suo senso profondo. Invece di mortificare la ragione e la libertà dell’uomo, la rivelazione permette di sviluppare entrambe al massimo della loro condizione originale.
Il rapporto con la tradizione vivente nel corpo della Chiesa consente a ciascun uomo di partecipare all’esperienza di coloro che incontrarono Gesù. Questi, stupiti dalla Sua eccezionalità unica, iniziarono un cammino che permise loro di raggiungere la certezza sulla Sua pretesa assoluta, cioè divina. Chi fa questo percorso non accetta in modo ingenuo la tradizione incontrata; al contrario, la sottopone a verifica permettendo così alla propria ragione di coglierne la verità.
L’esperienza dell’incontro con Cristo presente nella tradizione viva della Chiesa è un avvenimento e diventa, perciò, il fattore determinante dell’interpretazione del testo biblico. È l’unico modo di entrare in sintonia con l’esperienza testimoniata dal testo della Scrittura. Infatti, «la giusta conoscenza del testo biblico è accessibile dunque solo a chi ha un’affinità vissuta con ciò di cui il testo parla»
(PCB 70). Ho potuto documentare questo criterio ermeneutico in un episodio semplice ma significativo, capitato anni fa a Madrid. Una giovane che non aveva avuto alcun contatto con il cristianesimo, nell’incontrare una comunità cristiana viva ha cominciato a frequentarla, e a partecipare alla S. Messa. Dopo le prime occasioni in cui ascoltava il Vangelo ha commentato: «A loro è successo come a noi!». Era il presente ecclesiale che apriva al senso del racconto evangelico.
In sintesi, «la capacità di credere [degli apostoli] era completamente sostenuta e operata dalla persona rivelatrice di Gesù», secondo la bella espressione di H.U. von Balthasar, e consentiva loro di cogliere il mistero della Sua persona e aderirvi. Analogamente oggi la nostra ragione ha bisogno dell’Avvenimento presente nella tradizione dei testimoni viventi per aprirsi al Mistero di Cristo, che ci viene incontro in loro. Ma soltanto potremo riconoscere in questi testimoni i tratti inconfondibili di Gesù Cristo, se abbiamo familiarità con la testimonianza unica, canonica, dei Suoi tratti assolutamente originali, offerta dalle Sacre Scritture. Icasticamente lo riassumeva sant’Agostino: «In manibus nostris sunt codices, in oculis nostris facta».«Nelle nostre mani i libri, nei nostri occhi i fatti»

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chiesa, benedettoxvi, carron

sabato, 25 dicembre 2010
 
La stalla di Betlemme
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La stalla di Betlemme è immagine della Chiesa
piena di paglia, letame, animali puzzolenti e insetti fastidiosi eppure è lì che si è manifestato il Salvatore.

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chiesa, natale

lunedì, 04 ottobre 2010
LA VERA ATTRATIVA
«Una Chiesa che cerca soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata. Perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri e così il proprio potere. La Chiesa è al servizio di un Altro, serve non per sé, per essere un corpo forte, ma serve per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo, le grandi verità e le grandi forze di amore, di riconciliazione apparse in questa figura e che sempre vengono dalla presenza di Gesù Cristo. In questo senso la Chiesa non cerca la propria attrattività, ma deve essere trasparente per Gesù Cristo».
BENEDETTO XVI

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chiesa, benedettoxvi

domenica, 22 agosto 2010
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I cristiani sono capaci di installarsi comodamente persino sotto la croce di Cristo
(Bernanos)

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La tristezza è entrata nel mondo con Satana
(Bernanos
).
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Ho perso l’infanzia e non la potrò riacquistare che attraverso la santità
(Bernanos).
***
La nostra Chiesa è la Chiesa dei santi. Per essere un santo quale vescovo non darebbe il suo anello, la mitra e il pastorale, quale cardinale non darebbe la sua porpora, quale pontefice tutto il suo patrimonio temporale? Chi non vorrebbe avere la forza di correre questa meravigliosa avventura? Chi l’ha compreso una volta, è penetrato nel cuore della fede cattolica, ha sentito trasalire nella sua carne un tremore diverso da quello della morte, una speranza sovrumana. Tutto il grande apparato di sapienza, di forza, di docile disciplina, di magnificenza e di maestà della Chiesa non è nulla di per sé se la santità non lo anima
(Bernanos, Jeanne relapse et sainte).


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chiesa, bernanos

La Chiesa è madre
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La Chiesa è madre e le mamme piangono, perdonano, sperano, amano.
(P. Mazzolari).


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chiesa, don mazzolari

lunedì, 02 agosto 2010



















Pieve di S. Donato a Polenta (Bertinoro, Forlì-Cesena)



Giosuè Carducci (1835-1907), il cantore del Risorgimento italiano, non fu certo un poeta religioso.

Il suo anticlericalismo è ben testimoniato da famose poesie. A parte la giovanile “chitarronata" (come lui stesso dice) dell’ Inno a Satana, basta leggere Alle fonti del Clitunno, oppure Agli amici della Val Tiberina, per farsi subito una precisa idea.

Quando c’era da dire male della Chiesa e del Papa, non si tirava certo indietro.

Verso il termine della sua vita il suo atteggiamento cambiò profondamente e cominciò a leggere la storia con occhi più sereni e oggettivi.
 
Nella storia della Chiesa egli vede l’origine della nostra civiltà, sopratutto nell'ode La Chiesa di Polenta (1897).
 
Riconosce infatti alla Chiesa il ruolo pacificatore tra i popoli germanici invasori e il popolo latino vinto e reso inzialmente schiavo. 
La pacificazione fu resa possibile con la conversione dei longobardi, rappresentati dalla regina Teodolinda, e con l’autorità morale di Papa Gregorio Magno che con la sua opera di evangelizzazione riuscì a liberare dal giogo della servitù i latini (“quei che Gregorio invidiava ai servi ceppi”, invidiare nel senso di sottrarre).
 
La Chiesa fu per i latini, nel tempo delle invasioni, l’unico luogo di rifugio e di salvezza ("patria, casa, tomba").
“Fuori stridea per monti e piani il verno/ de la barbarie”, dice il poeta in due precedenti versi (61-62).
 
In seguito la Chiesa, dopo essere riuscita a placare il furore degli invasori, diviene il luogo di incontro e di unione tra le due razze, quella latina e quella germanica, nel Battesimo e nel Matrimonio cristiano, dando origine ad una nuova realtà sociale e politica: il Comune, cioè la grande civiltà comunale, la nostra Europa.
 

È il passo più bello dell'ode: 

"Qui nel conspetto a Dio vendicatore
e perdonante, vincitori e vinti
... 
fanno il Comune".

Il Carducci paragona questa unione di popoli diversi alla vendemmia e alla spremitura dell’uva bianca e nera, che nel ribollir dei tini dà origine a un forte e profumato vino, di cui per altro egli era un buon intenditore…

Per tutto questo, il poeta si fece promotore nel 1897 del restauro dell’antica Pieve di S. Donato a Polenta, presso Bertinoro (Polenta era la celebre famiglia che aveva ospitato Dante nel suo esilio).

E per questo motivo scrisse  "La Chiesa di Polenta". I contributi giunsero e la Chiesa fu restaurata.

Questa antica Pieve viene chiamata con grande amore “madre vegliarda”, e “l’itala gente da le molte vite” viene invitata a non lasciar perire il suono delle sue campane, un suono che invita alla preghiera e ai grandi valori civili.

La poesia si conclude con una preghiera alla Madonna: l’Ave Maria.
L’ateo, massone e anticlericale Carducci al termine della sua attività poetica innalza una bellissima preghiera alla Vergine, associandosi così ad altri grandi poeti, come Dante e Byron.

La poesia è assai lunga. Riporto solo la parte finale (vv. 81-112), senza l’Ave Maria (113-128), che magari posterò in altra occasione, durante questo mese di maggio a Lei dedicato.

Invito gli amici a rileggerla tutta (o magari, per qualcuno, a leggerla). Sia per la bellezza della composizione, sia per il senso storico che la caratterizza. Una lezione per tutti.

È anche un modo per ricordare il Carducci, il nostro primo Premio Nobel (per la Letteratura, ovviamente, 1906),  oggi ingiustamente un po' dimenticato.


La Chiesa di Polenta

.....

Schiavi percossi e dispogliati, a voi
oggi la chiesa, patria, casa, tomba,
unica avanza: qui dimenticate,
qui non vedete.

E qui percossi e dispogliati anch’essi
i percussori e spogliatori un giorno
vengano. Come ne la spumeggiante
vendemmia il tino

ferve, e de’ colli italici la bianca
uva e la nera calpestata e franta
sé disfacendo il forte e redolente
vino matura;

qui, nel conspetto a Dio vendicatore
e perdonante, vincitori e vinti,
quei che al Signor pacificò, pregando,
Teodolinda,

quei che Gregorio invidiava a’ servi
ceppi tonando nel tuo verbo, o Roma,
memore forza e amor novo spiranti
fanno il Comune.

Salve, affacciata al tuo balcon di poggi
tra Bertinoro alto ridente e il dolce
pian cui sovrasta fino al mar Cesena
donna di prodi,

salve, chiesetta del mio canto! A questa
madre vegliarda, o tu rinnovellata
itala gente da le molte vite,
rendi la voce

de la preghiera: la campana squilli
ammonitrice: il campanil risorto
canti di clivo in clivo a la campagna
Ave Maria.



 da:
http://semperamicus.blogspot.com/

 

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chiesa, carducci

martedì, 29 giugno 2010
La Chiesa
Affinché sia possibile comprendere la natura della Chiesa nella sua profondità, bisogna vivere in un ambiente ecclesiale, essere membri della Chiesa.
“Porto dove trova quiete l’ansia del cuore, dove si piegano le pretese del raziocinio, dove una grande pace scende sulla ragione”
"Sono penetrato all’interno di ogni guscio, sono andato al di là dei difetti. Davanti a me si è aperta la vita, forse un po’ turbolenta, ma vita, si è aperto senza dubbio il nucleo santo. E allora ho capito che non me ne sarei più andato dal luogo dove ho visto tutto questo.
"
Pavel A. Florenskij

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chiesa, florenskij

sabato, 26 giugno 2010
Senza vera comunione non esiste nè la Chiesa nè il cristianesimo
***
<l'amicizia,  come nascita come nascita misteriosa del "Tu", è l'ambiente nel quale incomincia la rivelazione della Verità">
***
"realizzare un'autentica, piena comunione come garanzia della vita della Chiesa. E io non trovo da nessuna parte questa comunione: solo carte e mai l’oro. Non dico che nella Chiesa non ci sia dell’oro puro, ma a me non è capitato di trovarlo. Se non c’è comunione non esiste né Chiesa né cristianesimo. Mi  si ordina di credere, e io credo, ma questa non è ancora vita: la vita inizia appunto dal momento in cui vedi e tocchi con mano questo fatto fondamentale”
Pavel A. Florenskij (1882-1937),

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chiesa, amicizia, florenskij

giovedì, 20 maggio 2010
Piero Ostellino
 «Ci hanno ricordato di essere in debito con i valori cristiani»

 L a folla radunata sotto il balcone del Papa? Il segno più evidente del debito che l’intera società occidentale ha con il messaggio cristiano. Parola di un «non credente, ma ben che vada un aspirante cre­dente », come si definisce Piero Ostellino, ex direttore ed edito­rialista del «Corriere della Se­ra ».
 Che impressione le ha fatto l’even­to di domenica a Roma?

 Questi eventi mi colpiscono sem­pre, per una ragio­ne semplice e 'lai­ca': noi che vivia­mo in Paesi liberi nei quali la perso­na è al centro, sia­mo tutti debitori del messaggio cri­stiano. E quindi se ci sono centinaia di migliaia di per­sone che vanno sotto al balcone del Papa lo fanno certamente per­ché sono dei cre­denti, ma lo fanno anche perché sia­mo tutti debitori di questo mes­saggio che considera la perso­na come sacra e inviolabile. Un messaggio che definirei di libe­razione. Anche al non creden­te questo non può non lasciare un segno profondo.
 La fede è ancora una forza po­sitiva per il Paese?

 Ho sempre creduto che l’edu­cazione religiosa contribuisca anche a fare un buon cittadino. Credo che i valori del cristiane­simo con al centro la dignità della persona siano valori che hanno una funzione educativa e insegnano anche al non cre­dente ad essere un buon citta­dino.
 Come mai oggi si respira astio nel confronto dei credenti?

 Io sono «cavouriano», la separazione, e non opposizione, tra Stato e Chiesa la considero un dato positivo per lo Stato ma anche per la Chiesa. L’astio, però, è forse espressione di un’eredità di matrice illumini­sta razionalista. Questo Papa, invece, sta cercando di far ca­pire che fede e ragione non so­no antitetiche. Per questo l’o­stilità da parte dei cosiddetti lai­cisti a me sembra una forma di reli­giosità all’oppo­sto, intollerante, integralista. È to­talmente incom­prensibile perché io sono dell’opi­nione che quan­do esponenti del­la Chiesa espri­mono la propria opinione, abbia­no il diritto di far­lo come qualsiasi altro cittadino e quindi non la considero un’in­terferenza negli affari miei o dello Stato.
 I cattolici italiani sono riusciti a comunicare il lo­ro
affetto per il Papa?
 Secondo me sì, sarebbe strano il contrario. E lo capisco anche per una mia esperienza perso­nale: nel 1985 ho avuto la pos­sibilità di cenare da solo con e Giovanni Paolo II, su suo invi­to. Mi ricordo che mi ha saluta­to molto vigorosamente, ma senza porgermi la mano da ba­ciare, perché sapeva evidente­mente che io non sono creden­te. Ebbene quella cena per me è stata una delle esperienze più straordinarie della mia vita. Per me lui non era il mio «pastore d’anima», ma restava il fatto che era il rappresentante di una grandissima istituzione, non soltanto religiosa ma anche ci­vile.
 Matteo Liut

 L’editorialista del Corriere della Sera: «Quei volti, segno della liberazione portata dal Vangelo alla nostra società»

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chiesa

venerdì, 26 febbraio 2010

 
 
Il primato di Pietro
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È stato detto e scritto che almeno fino al VI secolo nella Chiesa nessuno riconosceva alcun potere primaziale, giurisdizionale e spirituale al Papa. Scorrendo i testi degli antichi autori ecclesiastici scopriamo che non è vero.
Clemente romano
Terzo successore di Pietro, governò la Chiesa fra il 92 e il 101, conobbe Paolo ed è citato in Fil 4,3. È pure detto martire, ma anche questo è incerto. È l'autore di una lettera indirizzata ai Corinti nel 95..
Clemente Romano, in nome della Chiesa di Roma, spedì una lettera alla comunità di Corinto intorno al 95 d.C., quindi circa sessant'anni dopo la morte di Gesù, venticinque dopo quella di Pietro: in ogni caso una lettera più antica, o tutt'al più contemporanea, della stessa Apocalisse di Giovanni! In questa lettera il suo autore era consapevole di essere responsabile dell'intera Chiesa, ed esortava con autorità i renitenti ad ascoltare i presbiteri e a fare penitenza (c. 57). Pur riconoscendo che la lettera non contiene un esplicito insegnamento sul primato, è lecito domandarsi: perché mai il vescovo della città di Roma si sentì in dovere di scrivere ai Corinti, nella certezza di essere ascoltato? Perché mai ai sediziosi Corinti scrisse il vescovo di Roma e non il più prossimo patriarca di Antiochia o di Gerusalemme? Come mai i Corinti conservarono gelosamente questa lettera, tanto che è giunta fino a noi, se non furono certi che con Clemente parlò Pietro, e con Pietro Cristo?
Ignazio di Antiochia, successore proprio di Pietro nella sede vescovile di Antiochia e condannato ad essere sbranato dalle belve sotto il regno di Traiano (98-117), innalzò, con la forma solenne del saluto a lei rivolto, la comunità di Roma al di sopra delle altre. In quel saluto egli annunciò due volte che essa ha la presidenza, termine questo che esprime rapporto di superiore ad inferiore (cfr. Magn. 61). Scrivendo ai Romani aggiunse:
« Non vi darà ordini come Pietro e Paolo » (Rom. 4,3)
e riferendosi alla lettera di Clemente più sopra citata, disse:
« Voi ammaestrate gli altri » (Rom. 3,1).
Ireneo di Lione (130-202) definì la chiesa di Roma come « la più grande, la più antica e la più conosciuta di tutte le Chiese », attribuendole esplicitamente la preminenza su tutte le altre. Se si vuol conoscere la vera fede, disse, è sufficiente individuare la dottrina di questa sola Chiesa com'è stata tramandata dalla successione dei suoi vescovi:
« Ma poiché sarebbe troppo lungo in un volume come questo, enumerare le successioni di tutte le chiese, prenderemo la chiesa più grande, più antica e nota a tutti, fondata e stabilita in Roma dai due gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo; mostreremo che la tradizione che essa ha ricevuto dagli apostoli e l'insegnamento che ha annunciato agli uomini sono pervenuti fino a noi attraverso la successione dei vescovi. E ciò sarà a confusione di tutti coloro che, in qualsiasi maniera, sia per compiacenza verso se stessi, sia per vana gloria, sia per accecamento o per falso giudizio, costituiscono dei raggruppamenti illegittimi. Poiché è con questa chiesa a causa appunto dell'alta sua preminenza (propter potentiorem principalitatem) che deve stare d'accordo ogni Chiesa, vale a dire tutti i fedeli che sono nell'universo, poiché in essa è stata conservata sempre la tradizione apostolica dai fedeli che sono ovunque. » (Adv. haer. III,3,2)
È decisivo che a questo punto Ireneo enumeri tutti i vescovi romani che si sono succeduti dopo Pietro e fino ai suoi giorni, quindi fino ad Eleuterio (175-189), e concluda con queste parole:
« In questo ordine e attraverso questa successione sono pervenute fino a noi la tradizione che è nella Chiesa a partire dagli Apostoli, e la predicazione della verità. »
Di fatto basterebbe già questa citazione per confutare la tesi di cui parlavamo sopra, ma non si tratta della presa di posizione di un unico vescovo, bensì della fede di tutta una chiesa in questo stesso periodo.
Fra il 154 e il 165 venne a Roma Policarpo di Smirne per trattare con Papa Aniceto (154-167) sulla data di Pasqua (Eusebio di Cesarea, H. E., IV, 14, 1). Il vescovo Policrate di Efeso trattò per la stessa questione con il Papa Vittore I (189-199), che minacciò di scomunicare le comunità dell'Asia Minore perché si attenevano alla pratica quartodecimana (ivi V,24,1-9). Egisippo giunse a Roma sotto papa Aniceto per conoscere la vera tradizione della fede (ivi, IV, 22,3). Da notare che queste ultime tre citazioni sono tratte da Eusebio di Cesarea, simpatizzante del movimento ariano, che non aveva alcun interesse a queste sottolineature, se non fosse che in questo periodo era pacifico il ruolo del Pontefice romano.
Tertulliano è da molti citano come antiromano, ma essi dimenticano che divenne tale nel vivo della polemica montanista (De pud. 21); subito dopo la conversione, invece, era un deciso sostenitore del primato:
« Se stai in Italia, tu hai Roma da cui anche a noi (in Africa) viene l'autorità » (De praescr. 36)
Cipriano di Cartagine, martire nel 258, che come il suo precedente collega è indicato come nemico di Roma, arrivò a riconoscere la Chiesa romana come « madre e radice della Chiesa cattolica » (Ep. 48,3), « locus Petri » (Ep. 55,8), « cathedra Petri » ed « ecclesia principalis, unde unitas sacerdotalis exorta est » (Ep. 59,14).
La verità è che nella controversia sul battesimo agli eretici entrò in pesante polemica con Roma, ed in particolare con papa Stefano I (254-257): qui trovano sistemazione le sue affermazioni antiromane. Papa Stefano I, nella detta controversia, affermò, secondo la testimonianza del vescovo Firmiliano di Cesarea, di « possedere la successione di Pietro sul quale poggiano le fondamenta della Chiesa » (in Cipriano – sic! – Ep.75,17)
Sant'Ambrogio (337-397) disse poi:
« Dov'è Pietro, ivi è la Chiesa » (Enarr. in Ps. 40,30)
San Girolamo (che morì novantenne nel 419) scrisse a papa Damaso:
« Io so che la Chiesa è fondata su questa roccia », cioè Pietro (Ep. 15,2)
Sant'Agostino asserì della Chiesa romana che in essa:
« semper apostolicae cathedrae viguit principatus » (Ep. 43,3,7)
In altri frangenti ritenne decisivo l'intervento del papa Innocenzo I nella controversia pelagiana:
« Su questo argomento furono già inviati gli atti di due concili alla Sede Apostolica, di cui abbiamo già pure ricevuto i responsi. La causa e finita (causa finita est). Possa così aver fine l'errore » (Sermo 131, I, 10)
Papa Leone I (440-461) volle che nella sua persona fosse scorto e venerato colui « nel quale continua la cura di tutti i pastori con la protezione delle pecore che gli sono affidate » (Sermo 3,4), e in altro luogo:
« Come sussiste per sempre ciò che Pietro ha creduto in Cristo, così sussiste per sempre quello che Cristo ha istituito in Pietro » (Sermo 3,2)
Il legato pontificio Filippo davanti al Concilio di Efeso (449) fece una chiara dichiarazione circa il primato del papa:
« Questi, Pietro, vive ed opera fino ad oggi e per sempre nei suoi successori » (D. 112, 1824)
I Padri del Concilio di Calcedonia (451) risposero al "Tomus Leonis" con l'acclamazione:
« Pietro ha parlato per bocca di Leone! »
Pietro Crisologo, arcivescovo di Ravenna prima del 431, in una lettera ad Eutiche disse del vescovo di Roma:
« Il beato Pietro, che continua a vivere e continua a presiedere sulla sua cattedra episcopale, offre, a chi la cerca, la vera fede » (in Leone, Ep. 25,2).
Il primato dottrinale del papa emerse sin dall'antichità nella lotta e nella condanna di dottrine eretiche. Vittore I (189-199) e Zefirino (199-217) condannarono il montanismo. Callisto I (217-222) scomunicò Sabellio. Cornelio (251-253) condannò il novazianismo. Stefano I (254-257) respinse la ripetizione del battesimo agli eretici. Dionisio (259-268) scrisse contro le idee subordinazioniste del vescovo Dionigi di Alessandria. Innocenzo I (401-417) combatté il pelagianesimo. Celestino I (422-432), il nestorianesimo. Leone I (440-461), il monofisismo. Agatone (678-681), il monotelismo.
È evidente che in questo studio ci siamo soffermati solo sugli autori precedenti il VI secolo, per dimostrare che già dal periodo apostolico la Chiesa ha sempre visto in Pietro e nei suoi successori i vicari di Gesù Cristo. Ciò non toglie che anche dopo il VI secolo esistano prove di questa certezza della Chiesa. I dubbi al contrario sono molto recenti, appartengono all'età della Riforma, e non poteva essere altrimenti. Le affermazioni dei Padri e la Scrittura, cioè la Parola di Dio e non degli uomini, confortano invece la nostra fede nel primato petrino.
 

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chiesa, agostino, sambrogio

domenica, 07 febbraio 2010

Il mistero di una chiesa abitata da peccatori,
 ma senza peccato
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Il teologo Cottier spiega perché le polemiche di questi giorni non sono inedite. B-XVI mette in guardia dalla “tentazione del potere”

Forse non è il caso di scomodare i Borgia per una vicenda intrisa di piccole vanità, ripicche e carrierismo. Grazie a Dio, i pugnali sono solo metaforici anche se la caduta di stile ha fatto arricciare il naso a un colonnello della vecchia guardia diplomatica come Achille Silvestrini, braccio destro di Agostino Casaroli (”Ai nostri tempi non sarebbe mai successo”).
In qualche commentatore, però, il ricorso agli intrighi della Grande Babilonia papalina è la premessa per un appassionato richiamo alla purezza della fede, finalmente sciolta da vincoli istituzionali. Sarebbe infatti troppo pesante, per il credente di oggi, il fardello della chiesa post tridentina con i suoi occhiuti tribunali della coscienza, i confessionali, e tutto l’enorme apparato di controllo dispiegato da una christianitas ormai tramontata. Meglio affrancarsi il più possibile - ragiona un certo cattolicesimo corrivo e sfiduciato -
da una struttura in cui la grazia e il peccato sono pericolosamente mescolati. Ecco, la chiesa vergine e puttana, casta meretrix . L’ossimoro è usato spesso in questi giorni per far intendere che queste bagattelle di cronaca vaticana sono la riprova che, in fondo, la chiesa è sempre stata così: Francesco d’Assisi e le crociate, l’inquisizione e Savonarola, Marcinkus e Madre Teresa.
Come se santi e peccatori si annullassero a vicenda, due piatti della bilancia in perfetto equilibrio
. Una banale simmetria che elude la sostanza teologica del discorso. Ce la spiega il domenicano George Cottier, cardinale e teologo emerito della casa pontificia. ” Casta meretrix è un’espressione che risale ai Padri della chiesa rimessa in circolazione da Hans Urs von Balthasar; anche il cardinale Biffi ha scritto un testo interessante sul tema. Più precisamente, è la rilettura che sant’Ambrogio fa di un passo dell’Antico Testamento: la prostituta che accoglie gli esploratori inviati da Giosuè in avanscoperta nella Terra promessa è la figura della chiesa fatta di peccatori ma che, in quanto tale, è santa. Su questo sono d’accordo con Charles Journet: la chiesa non è senza peccatori ma è senza peccato. Journet aggiungeva che la frontiera della chiesa attraversa il nostro cuore. In questo trovo una certa corrispondenza con quanto ha scritto Giovanni Paolo II nella ‘Tertio millennio adveniente’, laddove parla della domanda di perdono della chiesa per i peccati dei cristiani. La vita cristiana comporta la testimonianza, cioè vivere secondo il Vangelo e la grazia di Cristo. Se non c’è testimonianza c’è scandalo. Il grande predicatore Bossuet diceva che la chiesa è ‘Jésus-Christ répandu et communiqué’, Gesù Cristo diffuso e comunicato.
Il peccato come tale, quindi, è offesa a Cristo e alla chiesa, è un’infedeltà”
.
 Chiedere mea culpa alla chiesa è però diventata una moda.
Quando facevo parte della commissione che se ne occupava - ricorda Cottier - abbiamo organizzato convegni sull’antisemitismo e sull’inquisizione. Ebbene, uno storico ci disse: non si chiede perdono dei miti ma della realtà. Ma per farlo ci vuole un’analisi storica seria. Ciò che oggi non accettiamo non sempre è stato peccato.
Il criterio di discernimento non è l’epoca storica ma il Vangelo”.
La chiesa a volte sembra non sia fiera della propria storia.
“Certo
, la fierezza è una virtù e noi dobbiamo sentirci fieri di essere cristiani, anche se siamo sempre in difetto di fronte a questa vocazione. La rilettura seria della storia aiuta molto la chiesa a fare progressi, in senso escatologico: approfondire le esigenze del Vangelo. E’ questo che insegnano le vite dei santi”. Eppure l’opinione pubblica è scettica, e a volte lo sono anche i cristiani.
“Certo alcuni mettono l’accento più su meretrix che su casta … - sorride il cardinale ginevrino - anche se Ambrogio non intendeva questo. La grazia di Cristo raggiunge tutti. Essere cristiani è vivere un cammino continuo di conversione. La fierezza cristiana non è orgoglio né arroganza ma testimonianza di valori che stanno sopra di noi”.
E poi il Novecento ha crudelmente dimostrato come ci siano altri che devono fare mea culpa. Invece c’è una cultura che non ha fatto i conti con la radice illuminista delle tragedie totalitarie, un’eclissi di Dio pagata a caro prezzo, come ha ricordato qualche tempo fa Benedetto XVI.
Cottier osserva come “Giovanni Paolo II ha pensato alla chiesa, ma anche nell’ordine politico si deve fare qualcosa di analogo. La comunità deve ripensare il proprio passato, altrimenti è destinata a ripeterlo nelle sue forme malsane. L’Europa del secolo scorso ha commesso crimini orrendi, il nazismo certo ma anche il comunismo. Ci vuole lucidità sugli sbagli commessi, sulle complicità e i compromessi. Non dobbiamo essere prigionieri del passato, ma non si guarda bene l’avvenire senza avere una coscienza in ordine davanti alla storia”. Le polemiche di questi giorni attorno al potere ecclesiastico non sono certo inedite. Storicamente la chiesa ha sempre resistito alla tentazione di escludere i peccatori perché rimanessero solo i giusti, i perfetti. Da qui la condanna di novaziani, montanisti, donatisti, catari, albigesi, hussiti fino al pronunciamento vaticano contro il giansenista Quesnel. Nel post Concilio il dibattito si è riacceso, sulla formula casta meretrix hanno scritto due personaggi antitetici come il cardinale emerito di Bologna, Giacomo Biffi, e il padre della scuola di Bologna, Giuseppe Alberigo. La posta in gioco è la sorte del cristianesimo nella modernità e oltre, non certo il trascurabile destino di qualche carriera. Benedetto XVI, intuendo le possibili distorsioni della formula “santa e peccatrice”, preferisce parlare di una chiesa “santa e composta di peccatori”. L’altroieri ha messo in guardia dalla “tentazione della carriera, del potere, una tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella chiesa”. Un richiamo salutare e molto più pratico di quella specie di donatismo strisciante che serpeggia nel mondo cattolico e, inconsapevolmente, nei mass media, per cui il sacerdote indegno squalifica senza rimedio il sacro.

© Copyright Il Foglio, 5 febbraio 2010

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chiesa

lunedì, 25 gennaio 2010

La Chiesa
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La Chiesa non è altro che la grande comunità  dei credenti,condotta e sostenuta dallo Spirito Santo. Non sei solo dunque: sei nella Chiesa che dai tempi degli Apostoli ha sempre sostenuto ciascun credente affinché nella sua  solitudine la fede non gli si facesse troppo ardua. Questa comunità sostiene anche te. In questa comunità tu sei protetto, sei unito a tutti coloro che credono in Cristo sparsi nel mondo intero. Sei unito a quelli che “ passando” attraverso la Chiesa  sono arrivati alla Casa del Padre.
   ( Vittorio Messori  - Scommessa sulla morte)

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chiesa, messori

sabato, 16 gennaio 2010


La Chiesa
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Con la Chiesa e come la Chiesa, noi, a causa del mondo, siamo in stato di emergenza. Tutto ciò che facesse di noi dei pensatori, delle persone ripiegate nell’introspezione, dei problematici cronici, ci impedirebbe di far fronte a tale emergenza ... Invece, mentre si cammina, si può pensare, ci si può raccogliere, si può riflettere.
Poiché siamo nella Chiesa, siamo persone incalzate, in essa e con essa, da urgenze.

Ora, noi siamo sempre indotti nella tentazione di dimenticare questa condizione della Chiesa, questo stato di emergenza, e di trasformare le soste della nostra vita in immobilismo o in chiacchiere.
Le stesse parole del Signore e la interpretazione che Egli ne dà, possiamo sclerotizzarle, dimenticando che esse sono spirito, vita.
Perfino gli appuntamenti che Cristo ci ha dato: “Là dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, noi possiamo trasformarli in conferenze.
Anche la preghiera, questo mezzo datoci da Gesù per ottenere ciò che a noi è necessario, possiamo ridurla a qualcosa di meccanico o a una richiesta di soccorso.
Le stesse soste necessarie: “Venite in disparte e prendetevi un po’ di riposo”, sì, possiamo non dico trasformarle, in un campeggio, però c’è il rischio che vi studiamo l’arte del campeggiatore.
Nelle curve delle nostre strade, vicino alle persone che incontriamo, corriamo il rischio di dimenticare che Cristo è la nostra unica via e che Egli è presente in ogni nostro incontro. Allora siamo anche capaci di fermarci a dipingere un paesaggio ... o a fare analisi psicologiche.
Da tutte queste tendenze è necessario che il Signore ci scampi. Bisogna chiedergli che la nostra ... guida tascabile ci insegni a sincronizzare i nostri passi, a portare i bagagli gli uni degli altri, a far nostra la fatica di tutti, a sorridere quando i piedi ci fanno male, a sorridere davvero per non essere ingrati.
Lungo il cammino: “Tutto ciò che capita è adorabile”*, lungo il cammino: “Tutto è grazia”.
Fino alla fine dei tempi la Chiesa resterà una sposa novella, ed è proprio così che san Giovanni la presenta. Fino alla fine dei tempi la Chiesa combatte contro la morte, e sulla morte consegue la vittoria che già le è stata data. La Chiesa partorisce dei risorti.
In tal modo la Chiesa avanza indefinitamente, finché dura il tempo, verso la pienezza della sua giovinezza.
In essa è la legge della vita eterna in noi.
La Chiesa ci alleva, ci educa, ci istruisce, ci forma perché in essa diventiamo Vangelo vivente. Tutto nella Chiesa mira a ciò. E noi, da quelle infinite terminazioni nervose che siamo nel corpo della Chiesa, dobbiamo, come tutto il resto, diventare questo Vangelo vivente.

Dobbiamo diventarlo attraverso ciò che la Chiesa a tale scopo incessantemente ci comunica.
Ma dobbiamo diventarlo anche attraverso ciò che l’intimo contatto con il mondo, senza tregua, ci impone, ci propone, ci oppone.
Dobbiamo seguire l’istinto della Chiesa che rivendica il diritto di camminare su tutte le strade.
Affinché in essa Gesù Cristo vada nel mondo per salvare il mondo, è necessario che la Chiesa ogni giorno si incarni nel mondo: la sua carne siamo tutti noi, contrastati e trafitti come il mondo e dal “mondo”


Madeleine Delbrel “Indivisibile amore” pagg 138-140

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chiesa, delbrel

sabato, 19 settembre 2009
 

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 "Due cose io ho avute principalmente di mira nelle osservazioni precedenti: l'una di porre in salvo la morale della Chiesa cattolica da ogni eccezione, di provare che ella è perfetta, e che tutti i mali morali fuori ed entro la Chiesa vengono dall'ignorarla, dal non seguirla, dall'interpretarla a rovescio. L'altra che nelle accuse di fatto che si danno alla disciplina pratica dei cattolici, conviene andar guardinghi prima di creder tutto, perché molte sono dettate da spirito di parte, e ricevute inconsideratamente per un falso spirito d'imparzialità, quasiché per essere imparziale si dovesse stare a tutto ciò che si ode di contrario alla propria causa. Molte di queste accuse sono esaggerate, molte sono assolutamente false, molte, benché vere, sono ingiuste nelle conseguenze perché si attribuiscono ai soli cattolici, molte nascono dal desiderio di trovare guasti tutti i frutti per condannar l'albero e gittarlo al fuoco".
Alessandro Manzoni
grazie a: Amadigi
 

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chiesa, manzoni

sabato, 08 agosto 2009
Credo nella Chiesa Cattolica
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« Quale membro della vera e venerabile Chiesa ortodosso-orientale o greco-russa, che non parla per mezzo di un sinodo anticanonico, ne per mezzo di impiegati del potere secolare, ma con la voce  dei suoi grandi Padri e Dottori, io riconosco come giudice supremo, in materia religiosa, colui che è stato riconosciuto da sant’Ireneo, da Dionigi il grande, sant’Atanasio il Grande, san Giovanni Crisostomo, san Cirillo, San Flaviano, il Beato Teodoro lo Studita, Sant’Ignazio ecc.- ossia l’apostolo Pietro che vive nei suoi successori e che non ha udito invano le parole del Signore:« Tu Sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Con ferma i tuoi fratelli. Pasci le mie pecorelle, pasci i miei agnelli»
Vladimir Solov’ev da :La Russia e la Chiesa universale

Postato da: giacabi a 11:38 | link | commenti
chiesa, cattolico, soloviev

La Chiesa
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" Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione , e nessuno dirà : Eccolo qui , o eccolo là .  Perché il regno di Dio è in mezzo a voi ! "
( Vangelo di Luca , 17 (21))

Postato da: giacabi a 07:31 | link | commenti
chiesa

lunedì, 06 luglio 2009
Cristo se non è contemporaneo non opera su di noi
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Che Dio sia diventato uomo per aiutare gli uomini a ridiventare uomini non è semplicemente un fatto di 2000 anni fa. E’ cominciato 2000 anni fa, ponendo l’inizio di una memoria che riempie il presente: riempie il presente rendendo presente il passato. Vale a dire, è incominciato 2000 anni fa, ma è un avvenimento che accade e mi investe ora, è un problema di oggi. Si chiama avvenimento l’immettersi dentro l’esperienza di un fattore nuovo: Cristo è il fattore nuovo entrato nella storia 2000 anni fa, Cristo è il fattore nuovo che entra nella mia giornata oggi, mi rende capace di camminare verso il destino, mi permette di ridiventare uomo oggi. Oggi, perché devo essere uomo oggi. Come diceva Kierkegaard, l’ideale non può che essere contemporaneo:L’unico rapporto che si può creare con la grandezza (cioè con Cristo, Dio fatto uomo) è la contemporaneità”. Non si può essere in rapporto con Cristo se non ora. Se non è contemporaneo non opera su di noi. L’avvenimento di duemila anni fa è un avvenimento che continua. E’ un inizio di ogni giorno e di ogni ora, è qualcosa di nuovo che incontri ora, altrimenti non è stato vero neanche allora. Soltanto che non ha la forma di un bell’uomo, come facilmente ci adagiamo ad immaginare – un bell’uomo che incontriamo per la strada, cui si può star seduti vicino, e guardarlo e sentirlo parlare ed esser commossi di quel che dice, che ci tocca l’occhio cieco e ci fa vedere. No! Ha un’altra forma, come l’uomo che nasce bambino, e poi si sviluppa, e il suo faccino grazioso s’ingrandisce e si modifica in ogni sua parte. Così, il modo con cui Egli è presente ora, il modo con cui l’avvenimento di Cristo diventa presente ora, è l’introdursi nella nostra vita di una presenza umana diversa.
Gesù Cristo, quell’uomo di 2000 anni fa, si cela, diventa presente, sotto la tenda, sotto l’aspetto di una umanità diversa. L’incontro, l’impatto, è con una umanità diversa, che ci sorprende perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce l’aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è reperibile altrove. La diversità umana in cui Cristo diventa presente sta propriamente in ciò: nella maggior corrispondenza, nell’impensabile e impensata corrispondenza maggiore di questa umanità in cui ci imbattiamo, alle esigenze del cuore – alle esigenze della ragione. Quest’imbattersi della persona in una diversità umana è qualcosa di semplicissimo, di assolutamente elementare, che viene prima di tutto, prima di ogni catechesi, riflessione e sviluppo: è qualcosa che non ha bisogno di essere spiegato, ma solo di esser visto, intercettato, che suscita uno stupore, desta una emozione, costituisce un richiamo, muove a seguire, in forza della sua corrispondenza all’attesa strutturale del cuore. L’imbattersi in una presenza di umanità diversa viene prima e non solo all’inizio, ma in ogni momento che segue l’inizio: un anno o vent’anni dopo.
mons. Luigi Giussani Appunti da una conversazione di con alcuni universitari di Milano  Febbraio 1993

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chiesa, gesù, giussani

domenica, 05 luglio 2009
Ogni creatura è buona
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« Omnis creatura bona (…) è la frase più grande di tutta la storia del pensiero umano; perché tutta la storia del pensiero umano divide ciò che è bene da ciò che è male, mentre il Cristianesimo dice: male non è niente, non c’è nessuna creatura cattiva; la cattiveria sta nell’atto di scelta di ciò che è in contraddizione con il tuo destino. Male è solo nell’atto di scelta della libertà; perciò il fattore di peccato è l’uomo, è la libertà dell’uomo; ma anche questa è travolta  dominata da qualcosa d’altro: dal fatto che il destino ti riprende e ti richiama, e ti dà l’energia per riprenderti e richiamarti. Questa energia per riprenderti e richiamarti è venuto a dartela Lui direttamente: è la comunità in cui vivi dentro la Chiesa, a cui appartieni; ti fa appartenere ad una comunità in cui Lui ti aiuta così. La comunità è ciò a cui si appartiene: è più del padre, della madre e della famiglia".
L. Giussani, da “Si può vivere così?” di pag. 97-98

Postato da: giacabi a 21:12 | link | commenti
chiesa, giussani

giovedì, 02 luglio 2009
L’Incontro
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«…Allora compresi che tutta la mia Vita
sarebbe trascorsa nella memoria di quello che mi era accaduto:
e il suo ricordo mi riempie di silenzio».
(Laurentius Eremita)

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chiesa

domenica, 28 giugno 2009
Il gruppo di fraternità
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"La fraternità, il gruppo di fraternità, è una trama di rapporti, non una seconda scuola di comunità. Può capitare questo: che uno si raduna, ma poi quando gli si domanda:«Ma  con chi condividi la tua vita?» non c’è risposta. Il gruppo di fraternità non è un raduno in più: è questa trama di rapporti che sostiene la vita. Se non è questo, non serve a niente, perché non abbiamo bisogno di un raduno in più, ma di una trama rapporti che ci accompagni nella vita, che ci sostenga nella vita, con cui condividere la vita, con cui condividere i bisogni. È questa trama di rapporti non è per risparmiarmi il dramma del mio rapporto con il Mistero (non voglio che nessuno mi risparmi il dramma di dire «Tu» a Cristo ogni mattina, voglio dirlo io), ma per destare in continuazione questo dramma. Perché senza un luogo cosi, una trama di rapporti così, il Mistero rimane estraneo e vince la mentalità moderna dove il Mistero è estraneo e tutta la speranza delude. Abbiamo bisogno di un luogo così, perché altrimenti la nostra compagnia diventa utopia, cioè tante volte l’immagine  che abbiamo della compagnia è quella di un luogo che meccanicamente ci risparmi il dramma di vivere, invece di destarlo in continuazione.
Abbiamo bisogno…. di un luogo, di una trama di rapporti che desti  continuamente il desiderio, che ci metta in moto, perché l’incontro con Cristo si manifesta proprio nel destarsi del desiderio, che dà allo stesso tempo una impossibile serenità. Altrimenti aspettiamo tutto dal meccanicismo della compagnia, contro la quale il don Gius dice di lottare. Accade così che la compagnia diventa qualcosa di schiavizzante."
Don Carron Esercizi di fraternità Rimini 2005

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