CINA
Le false immagini delle Olimpiadi di Pechino
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di Bernardo Cervellera da:AsiaNews Il falso della bambina che canta la canzone (con la voce di un’altra) alla cerimonia di inizio dei Giochi è solo una delle tante trappole di queste Olimpiadi che preferiscono l’immagine alla realtà: per coprire i disastri ecologici ed umani portati dal Partito comunista al potere. Si vuole eliminare l’individuo e il popolo e per questo si nega la libertà religiosa. Il consiglio di Benedetto XVI.
Pechino (AsiaNews) - Lin Miaoke, la bambina che ha cantato l’Ode alla madrepatria
alla cerimonia di apertura dei Giochi di Pechino, ha solo mimato la
canzone. Chen Qigang, direttore musicale della serata ha dichiarato che
la piccola Lin prestava soltanto la sua immagine. La voce veniva da
un’altra bambina, Yang Peiyi, con una voce più bella, ma con una
dentatura non perfetta e un volto meno accattivante. Nei blog
cinesi si accusano gli organizzatori della serata di aver preferito
l’immagine ai contenuti e ci si domanda come si fa a disprezzare il
volto semplice di una bambina di 7 anni, che non solo canta, ma anche
dipinge e ama l’opera di Pechino. Chen Qigang ha sottolineato
che la scelta di immagine, più che del contenuto è avvenuta addirittura
per salvare “gli interessi nazionali”.
Un’altra
rivelazione – confermata dal Comitato organizzatore dei Giochi - è
quella per cui nella trasmissione televisiva si sono visti fuochi
d’artificio per tutta la città: essi non erano reali, ma generati dal
computer. L’artificio era necessario perché la sera dell’8 agosto il
cielo di Pechino era nuvoloso e nebbioso – a causa dell’inquinamento e
del caldo - e la visione da lontano non chiara.
Per
evitare imbarazzanti domande sull’inquinamento, anche qui – sempre per
“l’interesse nazionale” – si è preferito giocare d’immagine più che di
sostanza.
Tutto
questo non stupisce per nulla. Tutto il carrozzone delle Olimpiadi è
usato dalla Cina per questo motivo: promuovere un’immagine del Paese
moderna, aperta, gioiosa, pulita, giovane forse per attrarre nuovi
investimenti e turisti, cercando di far dimenticare problemi e
contraddizioni che pure restano acuti nella popolazione .
L’ambiente
Per
rimanere alla cerimonia di apertura, la retorica dei bambini che
disegnano il sole (che si vede raramente a Pechino), o le nuvole bianche
(anch’esse rare) fa a pugni con la situazione concreta della Cina
attuale. Secondo un’inchiesta recente, oltre il
90% dei cinesi reputa l’emergenza ecologica il problema più grave del
Paese, che crea mancanza di acqua potabile in città e campagne e la
morte di almeno 400 mila persone all’anno per problemi respiratori.
In
questi giorni i visitatori stranieri sono bombardati alla tivù da
immagini turistiche di sogno, nel Zhejiang o nel Sichuan, con laghi
tranquilli e azzurri, foreste verdi, panda giocosi, mentre la realtà è fatta di industrie che inquinano e di intere regioni terremotate a rischio infezione e di inquinamento nucleare.
La cultura
Una
simile operazione di immagine avviene per la cultura. Non c’è
trasmissione televisiva o giornale quotidiano che non abbia ormai
rubriche sull’antica cultura cinese: calligrafia, musica, opera, riti,
feste, tradizioni… Tutto però viene spiegato come delle “cose” da
praticare. Si pubblicizzano riti, cibi, tradizioni senza andare a fondo
dei motivi che li hanno fatti emergere. Si danno solo “istruzioni per
l’uso” (oggi mangiate ravioli; oggi mangiate spaghetti; oggi mangiate
quella verdura;…) senza mai avvicinarsi ai perché: perché oggi si dovrebbero praticare queste cose?
Anche
la cerimonia di apertura ha glorificato i saggi confuciani, la
scrittura, la stampa, la Via della seta, l’architettura del passato e
poi si è lanciata verso il futuro, l’astronave, il mondo fraterno
sperato, senza dire nulla del presente così doloroso per centinaia di milioni di cinesi.
Un grande assente: il Partito comunista
Alla
cerimonia di inizio si è messo fra parentesi tutto il periodo comunista
dell’ideologia pura: nel far scorrere i grandi momenti della storia
cinese si è passati dai costumi e dalle colonne rosse del periodo Ming e
Qing alle imprese spaziali di Yang Liwei, il primo astronauta cinese.
Tutto questo è dovuto anzitutto al fatto che il
Partito comunista in Cina sta soffrendo la più profonda crisi
ideologica dalla sua fondazione, minato com’è dalla corruzione e dal
decadere del suo “servizio al popolo”. Ma è anche dovuto al fatto che
l’organismo più criticato – e forse più odiato – dai cinesi è proprio il
Partito. Le decine di migliaia di rivolte che avvengono ogni anno e che
sempre di più giungono fino ad assalire le sedi del Partito, metterle a
ferro e fuoco, scontrarsi con la polizia e l’esercito a causa di
espropri, inganni, inquinamenti, licenziamenti, ingiustizie dicono
quanto la gente ami il Partito. Per “migliorare l’immagine”, il Ministero
della propaganda, preoccupato di questo trend, si è detto pronto a
pagare 5 mao (5 centesimi di euro) ad ogni persona che nei blog su
internet infili una lode al Partito. Anche nella cerimonia
d’inizio, per questioni di “immagine”, si è preferito saltare a piè pari
ogni riferimento a Mao – che propose il disastroso Balzo in Avanti e la
sanguinaria Rivoluzione culturale - e a Deng, che ha imposto le
modernizzazioni economiche senza la democrazia. E così si evita di fare
un lavoro di “purificazione della memoria”: di rivedere la storia, per
confessare i propri errori.
Manca l’uomo e la sua libertà
Da tutte le cerimonie olimpiche manca l’uomo e il popolo.
Tutti i tedofori sono stati scelti fra personalità del Partito, del
commercio, dello spettacolo e dello sport. Nessuna traccia dei milioni
di lavoratori migranti che per anni sono stati sfruttati per costruire i
faraonici impianti olimpici; nessuna traccia di qualche pechinese,
costretto a subire i problemi delle Olimpiadi (traffico, sicurezza,
difficoltà di movimento, controlli,…) senza godere di nessun vantaggio.
Al
popolo viene richiesto di ubbidire: non sputare per terra; non gridare
per strada; non manifestare le proprie opinioni… Non si chiede il loro
coinvolgimento. La gente di Pechino soffre e subisce accanto alle Olimpiadi, ma non vi partecipa. Ne è prova i molti posti vuoti agli stadi:i
biglietti sono stati dati agli sponsor che non si sono nemmeno presa la
briga di distribuirli. L’importante è solo l’immagine, che il logo
dello sponsor appaia alla televisione.
Coinvolgimento
e partecipazione implicano un appello alla responsabilità della
persona. Ma questo è ciò che il potere teme di più.
Ma
anche i progetti che la Cina vorrebbe raggiungere, come ad esempio la
pulizia dell’ambiente, senza esaltare la responsabilità dell’individuo e
della persona, rischiano di non produrre frutti.
La libertà religiosa
Dopo
le critiche dei media internazionali sulla censura operata dalla Cina
su internet, rimangono oscurati ancora i siti religiosi e soprattutto
quelli cattolici e della Falun Gong. Io penso che questo sia perché la
religione è la strada della riscoperta dell’individuo, che invece il
potere cinese cerca di eliminare. La proposta
che il potere fa ai giovani è solo quella di un materialismo
consumista: cose da possedere, ricchezza da sperare, potenza cinese da
espandere, niente per l’anima. E si elimina la religione. Quanto il papa ha detto giorni
fa - “è importante che questo grande Paese si apra al Vangelo” - non è
solo una richiesta di libertà religiosa: è una necessita per la Cina,
perché sia esaltata la responsabilità dell’individuo, senza di cui
nessun ideale, nemmeno quello di un mercato vibrante, potrà essere mai
pienamente attingibile.
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Postato da: giacabi a 08:04 |
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comunismo, cina
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Il
professor Harry Wu è innanzitutto un sopravvissuto. Nel 1960 quando
venne accusato di essere un controrivoluzionario era un semplice
studente di geologia di 23 anni. Si ritrovò in un campo di lavoro e ci
uscì solo 19 anni dopo. Gran parte dei suoi compagni di prigionia
morirono di fame o stenti. Lui promise a se stesso di sopravvivere per
raccontare quell’inferno.
Liberato
nel 1979 e fuggito negli Stati Uniti Harry Wu è oggi il più conosciuto
dissidente cinese grazie alle campagne contro i campi di lavoro e alle
denunce dei traffici di organi umani espiantati ai condannati a morte
cinesi. Ma il 71enne professore Harry Wu, da ieri in Italia per un ciclo
di conferenze, continua a non darsi pace e promette di continuare la
sua battaglia fino a quando il termine «laogai» sarà entrato in tutti i
dizionari del mondo.
«I
laogai - spiega Harry Wu - sono come i gulag sovietici, sono il simbolo
del comunismo cinese. In Cina oggi chi critica il regime finisce lao
gai. I lao gai sono il simbolo della mancanza di libertà».
Per molti italiani i “laogai” sono una reliquia del passato...
«Sbagliano.
Oggi in Cina esistono oltre mille campi di lavoro. Nei lao gai la
rieducazione attraverso il lavoro punta a trasformare il detenuto in un
perfetto comunista e a cancellarne tutti i tratti devianti, compresa la
religione e l’aspirazione alla libertà individuale. E se non ti adegui a
quelle regole la pena si estende. Il lavoro di quei detenuti viene
utilizzato per produrre prodotti a basso prezzo molti dei quali arrivano
nel vostro Paese. In Europa fingete di non saperlo, ma un terzo del tè
cinese, la gran parte delle suole di gomma o delle luminarie di Natale
vengono prodotti da migliaia di schiavi di Stato. E voi pagate la loro
schiavitù».
Perché accusa l’Europa e non gli Stati Uniti?
«La
dogana degli Stati Uniti possiede una lista di prodotti i cui
componenti arrivano dal sistema dei lao gai e blocca alla frontiera quei
beni. I lao gai sono un segreto di Stato e molto sfugge ai controlli,
ma almeno negli Stati Uniti il principio e la regola esistono. L’Unione
Europea non si è mai preoccupata di fare niente di simile».
In Europa il dibattito sul boicottaggio delle Olimpiadi è però molto vivace.
«Le
Olimpiadi sono un fatto transitorio, dibattere sul boicottaggio è una
stupenda forma d’ipocrisia. Fra tre mesi sarà tutto finito e la Cina
tornerà quella di sempre. Fareste meglio ad appassionarvi meno alle
Olimpiadi ed affrontare più seriamente il problema della violazione dei
diritti umani. Le Olimpiadi passano, il comunismo resta».
Lei definisce comunista un Paese che commercia con tutto il mondo ed ha aperto le sue frontiere all’economia occidentale.
«Come
definirebbe un Paese dove la proprietà della terra è solo dello Stato e
dove qualsiasi forma di religione non è tollerata? In Cina lei può
comprare un palazzo, ma non la terra su cui è costruito, quella resta
allo Stato che incassa un affitto. In Cina puoi costruire una Chiesa, ma
dentro quella chiesa non potrai mai propagandare la liberta di
religione. Capitalismo e libertà in Cina restano mere finzioni».
Da dove incomincerebbe la battaglia in difesa dei diritti umani? «Dalla legge sul controllo delle nascite. Quella legge è il simbolo dell’aberrazione perché toglie a donne e famiglie il diritto naturale alla procreazione. In Cina per mettere al mondo un bimbo bisogna ottenere il permesso dello Stato, ma quel diritto si esaurisce dopo il primo figlio. Per imporre questo sistema aberrante lo stato spinge all’aborto milioni di donne e ne condanna altrettante alla sterilizzazione. Non esiste nulla di simile sulla faccia della terra».
Lei denuncia anche l’utilizzo degli organi dei condannati a morte nei trapianti eseguiti dalle cliniche di Stato. Che prove ha?
«Nel
2006 le autorità cinesi hanno riconosciuto che il 95 per cento degli
organi utilizzati per i 13mila trapianti di quell’anno arrivavano dalle
esecuzioni capitali. Io ho raccolto e divulgato le testimonianze di
medici cinesi coinvolti in quel traffico e di
pazienti consapevoli di essersi salvati grazie ai reni o al cuore di un
condannato. Le prove sono raccolte in Traffici di morte, il libro
realizzato dalla mia fondazione».
In
Cina le esecuzioni avvengono all’aperto con un colpo alla nuca, ma per
espiantare un cuore il sangue deve ancora circolare, per un rene non
possono passare più di 15 minuti dal decesso. Le sue affermazioni
sembrano tecnicamente incompatibili...
Leggete
le testimonianze di medici e infermieri mandati con le ambulanze sui
luoghi delle esecuzioni. Raccontano di corpi raccolti dieci secondi dopo
gli spari, di condannati ancora in agonia espiantati in tutta fretta.
Nel caso dei trapianti
congiunti cuore polmone qualche condannato è stato ucciso in salette
all’interno dell’ospedale. Gli ospedali cinesi sono statali e lavorano
in stretta collaborazione con le autorità governative. Chi commina le
pene capitali e chi cura i pazienti fa parte dello stesso sistema. I
medici vanno a visitare i condannati, ne analizzano il sangue per
determinare la compatibilità con i pazienti in attesa, archiviano i dati
e attendono il momento dell’esecuzione. Ricordatevi che in Cina il
numero delle esecuzioni capitali è uno dei segreti di Stato meglio
custoditi, ma ricordate soprattutto che il comunismo non ha alcun
rispetto per la dignità dell’essere umano. Tanto meno dopo morto».
il Giornale, 26 mag 2008.
Sopravviverà la Cina a se stessa? Incontro con Harry Wu
Centro Culturale di Milano 26/05/2008 incontro con Harry Wu coordina Rodolfo Casadei
Harry Wu: un grido di libertà per la Cina
Clicca sul logo per ascoltare l’intervista del 29.5.2008 a cura di RF
a Rodolfo Casadei – giornalista inviato del settimanale “Tempi”
grazie a : Graciete
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Postato da: giacabi a 15:15 |
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comunismo, cina
Preghiamo per la Chiesa in Cina
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24 Maggio 2008
Oggi Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, indetta da Benedetto XVI, preghiamo secondo le intenzioni del Santo Padre «affinché l’unità sia sempre più profonda e visibile… chiedendo al Signore della storia il dono della perseveranza nella testimonianza» per i fratelli della Cina.
Preghiera a Nostra Signora di Sheshan scritta da Benedetto XVI
Vergine Santissima, Madre del Verbo incarnato e Madre nostra,
venerata col titolo di “Aiuto dei cristiani” nel Santuario di Sheshan, verso cui guarda con devoto affetto l’intera Chiesa che è in Cina, veniamo oggi davanti a te per implorare la tua protezione. Volgi il tuo sguardo al Popolo di Dio e guidalo con sollecitudine materna sulle strade della verità e dell’amore, affinché sia in ogni circostanza fermento di armoniosa convivenza tra tutti i cittadini. Con il docile “sì” pronunciato a Nazaret tu consentisti all’eterno Figlio di Dio di prendere carne nel tuo seno verginale e di avviare così nella storia l’opera della Redenzione, alla quale cooperasti poi con solerte dedizione, accettando che la spada del dolore trafiggesse la tua anima, fino all’ora suprema della Croce, quando sul Calvario restasti ritta accanto a tuo Figlio che moriva perché l’uomo vivesse. Da allora tu divenisti, in maniera nuova, Madre di tutti coloro che accolgono nella fede il tuo Figlio Gesù e accettano di seguirlo prendendo la sua Croce sulle spalle. Madre della speranza, che nel buio del Sabato santo andasti con incrollabile fiducia incontro al mattino di Pasqua, dona ai tuoi figli la capacità di discernere in ogni situazione, fosse pur la più buia, i segni della presenza amorosa di Dio. Nostra Signora di Sheshan, sostieni l’impegno di quanti in Cina, tra le quotidiane fatiche, continuano a credere, a sperare, ad amare, affinché mai temano di parlare di Gesù al mondo e del mondo a Gesù. Nella statua che sovrasta il Santuario tu sorreggi in alto tuo Figlio, presentandolo al mondo con le braccia spalancate in gesto d’amore. Aiuta i cattolici ad essere sempre testimoni credibili di questo amore, mantenendosi uniti alla roccia di Pietro su cui è costruita la Chiesa. Madre della Cina e dell’Asia, prega per noi ora e sempre.
Amen!
grazie a:fontana vivace
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Postato da: giacabi a 22:50 |
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cina, preghiere, benedettoxvi
In Cina si ripete il massacro di Tiananmen; l’occidente dimentica i diritti umani
04/06/2007 10:18
CINA Lu Decheng: In Cina si ripete il massacro di Tiananmen; l’occidente dimentica i diritti umani Parla l’uomo che 18 anni fa ha lanciato uova e vernice contro il grande ritratto di Mao, alla vigilia del massacro contro studenti e operai. Per Lu Decheng la situazione attuale in Cina è simile, se non peggio, a quella dell’89.
Roma
(AsiaNews) – “Voi occidentali commerciate con la Cina e non vi
preoccupate della schiavitù che vi è diffusa; dite che la Cina è
cambiata e tacete sulle violenze, i laogai e le mancanze di
libertà. A causa di questo nel Paese ci sono rivolte e tensioni, come e
più che nel maggio-giugno ’89. Ma voi avete dimenticato anche
Tiananmen”.
Parla così Lu Decheng, 44 anni,
da oltre un anno rifugiato politico a Calgary (Canada), dopo aver
passato 9 anni in un lager cinese ed essere poi fuggito in Thailandia.
Per
Lu è impossibile dimenticare Tiananmen: i moti studenteschi e operai
dell’89 hanno segnato tutta la sua vita. La notte fra il 3 e il 4 giugno
di 18 anni fa, l’esercito “per la liberazione del Popolo” è intervenuto
coi carri armati a “liberare” la piazza occupata dagli studenti e
operai, che chiedevano più democrazia e meno corruzione. Secondo
organizzazioni internazionali (Croce Rossa e Amnesty International)
oltre 2600 persone sono state uccise quella notte nella piazza e nelle
vie adiacenti. Ma la notte del massacro Lu era già in prigione: era
stato arrestato qualche settimana prima, il 23 maggio, quando con due
suoi amici hanno lanciato uova e vernice contro il grande ritratto di
Mao Zedong che sovrasta l’entrata del Palazzo imperiale.
Ora
Lu è rifugiato in Canada, ma la moglie e suo figlio sono ostaggio del
governo di Pechino che non li lascia emigrare. Il secondo che ha
macchiato il ritratto di Mao, Yu Zhijian, 44 anni, rilasciato nel 2001,
ha perso il suo lavoro di insegnante e vive con lavori saltuari. Il
terzo, Yu Dongyue, è impazzito: durante la sua prigionia ha subito
torture e pestaggi; una sbarra di ferro gli ha rotto la scatola cranica e
ora vive mentalmente disabile. I suoi genitori, pur di averlo a casa
vivo, hanno accettato di tacere sulle violenze subite dal figlio in
prigione.
Il gesto dei tre è stato la prima espressione pubblica di disprezzo verso Mao Zedong. “Volevo mostrare – dice Lu ad AsiaNews
- tutto il mio rifiuto per l’opera di Mao, che ha fatto morire decine
di milioni di miei connazionali e volevo fare un gesto per criticare il
Partito comunista, che continuava lo stesso dispotismo di Mao”.
Per
Lu Decheng anche le riforme economiche venute con Deng Xiaoping sono
solo “un modo astuto per il Partito di conservare il suo potere”.
Perfino le aperture all’occidente e il coinvolgimento delle ditte
straniere nel mercato cinese è solo un modo per ricattare la comunità
internazionale e farla tacere sui diritti umani.
Non
pochi governi dicono che la situazione per il rispetto dei diritti
dell’uomo è perfino migliorata. Lu non ci crede, anzi secondo lui vi è
un peggioramento. “Ho passato 9 anni in un laogai [campo di lavoro
forzato, di “riforma attraverso il lavoro”]. Era in realtà una fabbrica
che produceva autoveicoli. Eravamo costretti al lavoro forzato per 15-16
ore al giorno.. Dopo il lavoro dovevamo seguire le ‘sessioni di
studio’, di indottrinamento forzato, che dovevano trasformarci in
persone fiduciose nel socialismo. La situazione oggi in molte fabbriche
della Cina è come ai lavori forzati.
"Alcuni anni fa ho lavorato in una fabbrica tessile di Wenzhou (Zhejiang). Anche qui gli
operai lavorano 12-14 ore a giornata e li pagano 15 yuan [15 centesimi
di euro – ndr] al giorno. La notte gli operai vengono chiusi nei
dormitori per non farli fuggire e vi sono cani-lupo che fanno la guardia
e possono sbranarti”.
Lu
elenca poi una lunga lista di arresti ad attivisti per i diritti umani
(come Chen Guangchen, condannato a 4 anni di prigione un mese fa);
avvocati a difesa di contadini e operai (come Gao Zhisheng, agli arresti
domiciliari e vigilato giorno e notte); personalità religiose
cristiane, musulmane, tibetane.
“La
comunità internazionale dovrebbe denunciare queste violazioni. Quando
essa alza la voce, la Cina, per timore, allenta la morsa. Basta un
esempio: il giornalista di Hong Kong, Ching Cheong, accusato di aver
diffuso segreti di stato, ha ricevuto solo 5 anni di prigione perché il
mondo intero si è mosso. Il suo collaboratore, l’accademico cinese Lu
Jianhua, per il quale nessuno ha fatto pressione, è stato condannato a
20 anni”.
Lu
Decheng afferma che soprattutto i sindacati dei paesi liberi dovrebbero
avere cura degli operai e dei contadini cinesi, sostenendo i loro
diritti.
Ma
anche i governi devono muoversi: “I dialoghi fra governi stranieri e la
Cina sui diritti umani avvengono solo al chiuso, in privato. Ma questi
colloqui segreti lasciano il tempo che trovano. Invece è tempo di
coinvolgere anche le organizzazioni non governative, le commissioni
nazionali sui diritti umani per verificare con viaggi e visite se vi
sono davvero progressi”.
Alcuni
sociologi cinesi affermano che la Cina si trova oggi in una situazione
di tensione sociale peggiore che ai tempi di Tiananmen. “Il
Partito – spiega Lu – con la corruzione e la protezione politica ha
creato milioni di ricchi, ma sfruttando la fatica e la schiavitù di
centinaia di milioni di poveri. Ormai in Cina vi sono centinaia di
rivolte ogni giorno che chiedono – come nell’89 – più democrazia e meno
corruzione”.
Poche
settimane fa un disoccupato ha lanciato inchiostro contro il ritratto
di Mao in piazza Tiananmen. Per Lu questo è il segno che la storia sta
per ripetersi.
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Postato da: giacabi a 18:43 |
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comunismo, cina
Continua l'offensiva della Cina
contro i cristiani
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di Vincenzo Merlo
Tratto dal sito RAGIONPOLITICA.it il 12 settembre 2006 La notizia, diffusa dall'Agenzia cattolica AsiaNews (sempre attenta alle discriminazioni dei cattolici nel continente asiatico), è del 4 settembre: distrutta l'ennesima chiesa nella Cina comunista. Non è la prima volta che ciò capita, purtroppo non sarà l'ultima; riteniamo però che non per questo debba venire meno la nostra indignazione e la nostra denuncia (Radio Vaticana ha definito l'episodio un «atto grave») per tali scempi, ripetuti sistematicamente e non ancora sufficientemente conosciuti da buona parte dell'opinione pubblica italiana. Ma andiamo ai fatti: la mattina del 1° settembre circa 500 poliziotti e funzionari della polizia di Pingtan hanno distrutto con bulldozer una chiesa delle cosiddette «comunità non ufficiali» del Fujian (sud-est della Cina), picchiando alcuni fedeli che vi si opponevano e ferendone due. La chiesa, la cui costruzione era stata terminata solo nello scorso luglio, aveva una superficie di 1000 mq ed era costata 400 mila yuan (40 mila euro). Sorgeva nel villaggio di Yutouchang, sull'isoletta di Pingtang al largo di Fuzhou (Fujian); tale isola, molto distante dalla costa cinese, ospita da tempo almeno 10 mila cattolici «non ufficiali». La polizia locale ha anche preannunciato che nei prossimi giorni distruggerà un'altra chiesa (non ancora ultimata) nel villaggio di Ao Quian, i cui 400 fedeli (in maggioranza pescatori) si sono autotassati per raccogliere gli oltre 500 mila yuan necessari alla sua costruzione. «I nostri fedeli - riporta un fedele ad AsiaNews - si sono sacrificati perfino risparmiando sul cibo, ma adesso il governo ignora il sangue e il sudore della povera gente e distrugge tutto. Ci sentiamo afflitti e indignati». La polizia giustifica queste distruzioni con «motivi di sicurezza». La Cina comunista permette infatti la pratica religiosa solo in luoghi di culto registrati presso l'Ufficio affari religiosi e ogni espressione di culto fuori da questi canali controllati è considerata illegale e pericolosa per l'ordine pubblico. Nel Fujian, in particolare, vi è una forte comunità non ufficiale che non accetta di essere registrata per timore di dover sottostare al controllo dell'Associazione Patriottica. Le vessazioni, come quella denunciata da AsiaNews (il cui sito Internet in Cina viene bloccato dalla censura) non risparmiano nemmeno le chiese evangeliche. «Le motivazioni - scrive Marco Del Corona sul Corriere della Sera del 6 settembre - sono le stesse: mancati permessi, mancato riconoscimento del gruppo da parte del governo. Spesso, poi, le demolizioni nascondono interessi speculativi sui terreni». Sempre nel Fujian, nel luglio 2005, era stato arrestato Padre Lin Daixian, sacerdote della Chiesa cattolica sotterranea di Fuhzou, insieme a un seminarista e a nove fedeli. Padre Lin stava celebrando la Messa insieme ad una cinquantina di parrocchiani in una casa privata a Pingtan; nel momento dell'arresto, molti di questi avevano cercato di liberarlo azzuffandosi con la polizia, che per tutta risposta aveva infierito caricando selvaggiamente i fedeli, ferendone alcuni in modo grave. Arrestato diverse volte dall'ottobre 2000 al luglio 2005, Padre Lin è solo uno dei tantissimi religiosi cattolici sequestrati negli ultimi anni dalle autorità comuniste cinesi. Di seguito una lista (aggiornata al marzo 2005), certamente provvisoria e non esaustiva, dei vescovi sequestrati, o impediti nel loro ministero, e dei sacerdoti di cui si ha traccia dell'arresto e della loro condanna ai lavori forzati. AsiaNews (da cui questo elenco è tratto) e altri siti cristiani hanno lanciato una campagna per la loro liberazione. Vescovi arrestati e scomparsi Questi vescovi sono dei veri e propri «desaparecidos»: sequestrati, arrestati dalla polizia senza alcuna accusa e da allora scomparsi. |
1. Mons. Giacomo Su Zhimin
(diocesi di Baoding,Hebei). Ha 72 anni. Arrestato e scomparso dal 1996.
Nel novembre 2003 è stato visto nell'ospedale di Baoding, controllato
dalla polizia, dove ha subito cure al cuore e agli occhi. Ma dopo pochi
giorni è scomparso ancora.
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2. Mons. Francesco An Shuxin (ausiliario diocesi di Baoding, Hebei). Ha 54 anni. Arrestato e scomparso dal 1997.
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3. Mons. Han Dingxian (diocesi di Yongnian/Handan, Hebei). Ha 66 anni. Arrestato nel dicembre '99. In
passato è stato in prigione per circa 20 anni. Rimane sempre isolato e
impossibilitato a incontrare chiunque. Nessuno dei suoi fedeli riesce
mai a visitarlo, nemmeno i parenti.
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4. Mons. Cosma Shi Enxiang (diocesi di Yixian, Hebei). Ha
83 anni. Arrestato il 13 aprile 2001. Mons. Shi è stato ordinato
vescovo nel '82. Era stato in prigione per 30 anni. L'ultima volta fu
arrestato nel dicembre '90, poi rilasciato nel '93. Da allora è vissuto
in isolamento forzato fino al suo ultimo arresto.
|
5. Mons. Filippo Zhao Zhendong, (diocesi di Xuanhua, Hebei), anni 84, arrestato verso la fine di dicembre del 2004.
|
6. Padre Paolo Huo Junlong,
amministratore della diocesi di Baoding, di anni 50 (circa) ordinato
nel 1987. Arrestato lo scorso Agosto 2004. Ancora detenuto in località
sconosciuta, senza processo, e senza accuse precise. Con lui sono stati
arrestati e scomparsi nelle mani della polizia due suoi compagni di
ordinazione: p. Zhang Zhenquan e p. Ma Wuyong (v. sotto).
|
Vescovi impediti nel ministero Decine di altri vescovi non ufficiali sono sequestrati per un certo periodo, poi riportati nella loro chiesa. Rimangono sotto stretta sorveglianza e impediti di esercitare il loro ministero. Molti di essi sono malati e ormai anziani. Non possono ricevere visite di preti, suore o seminaristi. Tutte le loro visite sono controllate. Fra i vescovi più giovani e impediti nel loro ministero vi sono: |
1. Li Side,
vescovo non ufficiale di Tianjin. Ha 78 anni. È a domicilio coatto e
non può svolgere lavoro pastorale. In passato è stato arrestato nel
dicembre 1989 e rilasciato nel giugno 1991.
|
2. Mons. Giulio Jia Zhiguo
(diocesi di Zhengding, Hebei), 68 anni. A fasi alterne è fermato e poi
rilasciato. In questo anno è stato arrestato ben 2 volte. La Santa Sede
ha fatto pubblici appelli per la sua liberazione. Ogni mese subisce
settimane di indottrinamento forzato sulla politica del governo.
|
3. Mons. Zhang Weizhu (diocesi di Xinxiang, Henan). Ha
45 anni. È un pastore molto attivo e ha fondato due ordini religiosi. È
impedito a recarsi nella sua diocesi. È sotto controllo nell'Hebei.
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4. Diversi
vescovi sotterranei, perseguitati con asprezza in passato, sono ora
molto vecchi. Eppure molti di loro subiscono ancora controlli,
isolamento, lavaggio del cervello. Altri sono ormai resi immobili dalla
malattia.
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5. Mons. Bartolomeo Yu Cengti,
74 anni, vescovo di Hanzhong (Shaanxi), dal dicembre 2001 è agli
arresti domiciliari. Isolato: ai suoi sacerdoti è vietato incontrarlo.
E' molto malato, e non svolge lavoro pastorale.
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6. Mons. Li Hongye (diocesi di Luoyang, Henan); arrestato nel '97. Ha 83 anni. E' malato.
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7. Mons. Liu Guandong
(diocesi di Yixian, Hebei). Ha 84 anni. È sotto controllo, ma è
impedito a svolgere il ministero soprattutto a causa della sua malattia.
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8. Mons. Giuseppe Fan Zhongliang (diocesi di Shanghai). Ha 85 anni ed è malato. É sempre sorvegliato sebbene goda di una certa libertà.
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9. Mons. Han Jingtao
(diocesi di Sipin, Jilin). Ha 82 anni. Pur essendo molto malato, rimane
sotto controllo della polizia e non può lavorare in pubblico.
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10. Mons. Giovanni Yang Shudao
(diocesi di Fuzhou, Fujian). Ha 84 anni. L'arcivescovo Yang ha subito
in passato circa 30 anni di prigione. È stato arrestato nel '55 per
essersi rifiutato a entrare nell'associazione patriottica. Rilasciato
dopo 26 anni, nell'81, è arrestato di nuovo nell'88 per 3 anni. Ancora
adesso a periodi alterni, è sottoposto ad arresti e controlli. È molto
malato.
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11. Mons. Tommaso Zeng Jingmu (diocesi di Yujiang, Jiangxi), 83 anni.
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12. Mons. Xie Shiguang (diocesi di Mingdong, Fujian). Ha 86 anni. Arrestato nell'ottobre '99. Al suo arresto, secondo la polizia, era «stato invitato ad una chiacchierata»
con rappresentanti del governo e portato in una località sconosciuta.
Mons. Xie aveva sempre rifiutato la richiesta governativa di registrare
ufficialmente la chiesa sotterranea di Mindong. Il vescovo è ritornato
presto «libero, ma sotto controllo».
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13. Mons. Giacomo Lin Xili
(diocesi di Wenzhou, Zhejiang). Ha 84 anni. Arrestato dal settembre '99
e liberato all'inizio del 2002. Il vescovo rimane sempre sotto
controllo e non è libero. Cattolici della sua diocesi affermano che il
suo arresto, assieme a quello di diversi sacerdoti, è dovuta a una
campagna lanciata dalla locale Associazione Patriottica per costringere
clero e vescovo ad entrarvi. La campagna di convincimento avviene con
violenze e ricatti. Nella sua diocesi la chiesa non ufficiale è sempre
minacciata da arresti e distruzioni. A metà dicembre '99, 2 chiese sono
state fatte saltare a Wenzhou, altre 3 nell'aprile dello stesso anno.
Nel villaggio di Linjiayuan la chiesa è stata costruita 3 volte e 3
volte distrutta. L'ultima volta è stato alla fine dell'ottobre 2001.
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14. Shi Hongzhen,
vescovo coadiutore di Tianjin, 75 anni. Quest'anno ha compiuto 50 anni
di ordinazione sacerdotale. Non può lavorare, soprattutto a causa della
sua malattia. Non è a domicilio coatto.
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Sacerdoti arrestati e/o condannati |
1. Zhang Zhenquan,
Ma Wuyong (diocesi di Baoding, Hebei), arrestati nel luglio-agosto 2004
durante una cerimonia per l'anniversario di ordinazione, insieme a p.
Huo Junlong, amministratore della diocesi di Baoding.
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2. P. Li Wenfeng; p. Liu Heng; p. Dou Shengxia
(diocesi di Shijiazhuang, Hebei): arrestati il 20 ottobre 2003 insieme a
diversi seminaristi durante un ritiro spirituale a Gaocheng.
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3. P. Chi Huitian
(diocesi di Baoding, Hebei), arrestato il 9 agosto 2003 mentre
celebrava la messa durante un campo estivo di catechismo a dei ragazzi.
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4. P. Kang Fuliang, Chen Guozhen, Pang Guangzhao, Yin Ruose, Li Shujun
(diocesi di Baoding, Hebei): arrestati il 1 luglio 2003 perché in
visita a p. Lu Genjun, appena rilasciato da 3 anni di lager, perché
accusato di "evangelizzazione".
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5. P. Lu Xiaozhou (diocesi di Wenzhou, Zhejiang), arrestato il 16 giugno 2003 mentre stava per dare l'estrema unzione ad un moribondo.
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6. P. Lin Daoming
(diocesi di Fuzhou, Fujian). Arrestato il 3 maggio 2003, mentre è in
visita da sua madre. La madre era stata appena rilasciata dalla
prigione, arrestata perché era la cuoca del seminario sotterraneo di
Ch'angle.
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7. P. Zheng Ruipin
(diocesi di Fuzhou, Fujian). Arrestato il 12 aprile 2003 insieme a 18
seminaristi. I seminaristi sono stati rilasciati; il padre è tuttora in
carcere in luogo sconosciuto.
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8. P. Pang Yongxing, p. Ma Shunbao, p. Wang Limao
(diocesi di Baoding, Hebei). Arrestati rispettivamente nel dicembre
2001; il 24 marzo e il 31 marzo 2002 (domenica delle Palme e Pasqua). Il
7 luglio 2003 sono stati tutti condannati ai lavori forzati.
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9. P. Li Jianbo (diocesi di Baoding, Hebei). Arrestato il 19 aprile 2001 a Xilinhot (Mongolia Interna) e condannato ai campi di rieducazione attraverso il lavoro. Si dice che sia molto malato.
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Postato da: giacabi a 14:56 |
link | commenti
comunismo, cina
Da: http://www.asianews.it/view.php?l=it&art=7112
4 Settembre 2006
CINA
Chiesa distrutta nel Fujian, un’altra sarà distrutta fra breve
La
polizia considera gli edifici un attentato alla sicurezza. Due fedeli
sono rimasti feriti. I fedeli hanno risparmiato per anni per finanziare
le costruzioni e ora si sentono “afflitti e indignati”.
Roma
(AsiaNews) – La polizia di Pingtan (Fujian) ha distrutto una chiesa del
villaggio di Yutouchang e ha giurato di demolirne un’altra in un
villaggio vicino.
Circa
500 poliziotti e funzionari locali si sono mobilitati la mattina del 1°
settembre alle 8 (ora locale) per distruggere una chiesa delle comunità
non ufficiali del Fujian. La chiesa sorgeva nel villaggio di
Yutouchang, sull’isoletta di Pingtang al largo di Fuzhou (Fujian).
L’isola, non molto distante dalla costa cinese, ospita da tempo almeno
10 mila cattolici non ufficiali.
Fonti
di AsiaNews in Cina hanno rivelato che la polizia è giunta con
bulldozer per distruggere l’edificio – illegale secondo la legge cinese –
e ha picchiato alcuni fedeli che ne volevano impedire la distruzione.
Due persone son rimaste ferite. La chiesa era stata terminata nel luglio
2006, con una superficie di 1000 mq, era costata 400 mila yuan (40mila
euro).
La
polizia ha anche avvertito che nei prossimi giorni distruggerà un’altra
chiesa in costruzione nel villaggio di Ao Qian. Negli ultimi anni, i
400 fedeli di Ao Qian, in maggioranza pescatori si sono tassati per
raccogliere oltre 500 mila yuan e costruire la chiesa, che ha una
superficie di 250 mq, ed è una costruzione a più piani. “I nostri fedeli
– dice la fonte di AsiaNews - si sono sacrificati perfino risparmiando
sul cibo, per potere costruire questa chiesa. Ma adesso il governo
ignora il sangue e il sudore della povera gente e distrugge tutto. Tutto
ciò è profondamente ridicolo e ci sentiamo afflitti e indignati!”.
La
polizia giustifica queste distruzioni con “motivi di sicurezza”. La
Cina permette la pratica religiosa solo in luoghi di culto registrati
presso l’Ufficio affari religiosi e considera un attentato alla
sicurezza la pratica in luoghi di culto illegali.
Nel
Fujian vi è una forte comunità non ufficiale che non accetta di essere
registrata per timore di dover sottostare al controllo dell’Associazione
Patriottica, il cui scopo è creare una chiesa nazionale staccata dalla
Santa Sede.
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