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domenica 5 febbraio 2012

Clement

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Lo Spirito Santo ”vincolo del Padre e del Figlio” è una persona, perché niente in Dio può essere impersonale. [Così anche il vincolo tra un uomo e una donna è Dio stesso, e prende un volto nel loro bambino…]
(O. Clément,
Alle fonti con i Padri. I mistici cristiani delle origini. Testo e commento, Città Nuova, Roma 1992, 59).

Postato da: giacabi a 14:40 | link | commenti
famiglia, clement

venerdì, 15 gennaio 2010

Gesù è fonte di ogni comunione
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Gesù appare come un’esistenza fraterna e filiale nel grande soffio di vita che noi chiamiamo Spirito santo. Egli testimonia di un Dio che è in Cristo stesso comunione e fonte di ogni comunione. È questo modo di essere, questa esistenza personale in comunione il suo apporto al cuore del mondo, ed egli ce ne fa dono in germe trionfando, con la sua risurrezione, sulle forze della separazione e del nulla. Egli rifiuta ogni contrapposizione fissa tra iniziati ed esclusi, tra buoni e cattivi. Sostituisce, al fondo di noi stessi, l’angoscia della morte con la gioia della risurrezione, in modo che non abbiamo più bisogno di nemici per farne i capri espiatori delle nostre paure, e che dobbiamo, paradossalmente, “amare i nostri nemici”. Perciò l’evangelo pone la persona e la comunione tra le persone al di sopra di ogni sistema, di ogni idea, anche del bene. Gli ideologi invece - e soprattutto forse gli ideologi delle religioni vogliono imporre il bene con la forza, al limite con la morte. Gesù irradia, con il rispetto e con l’amore, la pienezza della vita. “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27). Gesù va dritto al cuore, alla persona, svela il volto al di là della maschera, la maschera del partigiano nello “zelota”, del collaboratore nel pubblicano, dell’eretico nel samaritano, dell’impurità nella donna adultera o nella samaritana che ha avuto cinque mariti e vive con un uomo che non è suo marito. Nella forza dello Spirito, l’uomo intuisce da quel momento in Cristo che gli altri esistono. Si rifiuta di strumentalizzarli, di etichettarli: “Non giudicate e non sarete giudicati” (Lc 6,37).
 (Olivier Clément, Il potere crocifisso. Vivere la fede in un mondo pluralista).


Postato da: giacabi a 21:51 | link | commenti
gesù, clement

lunedì, 26 gennaio 2009
L'evangelo pone la persona e la comunione tra le persone al di sopra di ogni sistema


«Rileggiamo l'evangelo. Gesù appare come un' esistenza fraterna e filiale nel grande soffio di vita che noi chiamiamo Spirito santo. Egli testimonia di un Dio che è in Cristo stesso comunione e fonte di ogni comunione. È questo modo di essere, questa esistenza personale in comunione il suo apporto al cuore del mondo, ed egli ce ne fa dono in germe trionfando, con la sua risurrezione, sulle forze della separazione e del nulla. Egli rifiuta ogni contrapposizione fissa tra iniziati ed esclusi, tra buoni e cattivi. Sostituisce, al fondo di noi stessi, l'angoscia della morte con la gioia della risurrezione, in modo che non abbiamo più bisogno di nemici per farne i capri espiatori delle nostre paure, e che dobbiamo, paradossalmente, "amare i nostri nemici".

Perciò l'evangelo pone la persona e la comunione tra le persone al di sopra di ogni sistema, di ogni idea, anche del bene. Gli ideologi invece - e soprattutto forse gli ideologi delle religioni vogliono imporre il bene con la forza, al limite con la morte. Gesù irradia, con il rispetto e con l'amore, la pienezza della vita. "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato" (Mc 2,27). Gesù va dritto al cuore, alla persona, svela il volto al di là della maschera, la maschera del partigiano nello "zelota", del collaboratore nel pubblicano, dell'eretico nel samaritano, dell'impurità nella donna adultera o nella samaritana che ha avuto cinque mariti e vive con un uomo che non è suo marito. Nella forza dello Spirito, l'uomo intuisce da quel momento in Cristo che gli altri esistono. Si rifiuta di strumentalizzarli, di etichettarli: "Non giudicate e non sarete giudicati" (Lc 6,37).

b) Se l'essere in quanto tale è relazionale, se la verità s'inscrive, da persona a persona, in una relazione, dal momento che, dice Paolo, bisogna "fare la verità nella carità" (Ef 4,15), essa non può essere né posseduta, né diventare un mezzo per trasformare l'altro in oggetto che si possiede. Gli ideologi che pretendono di possedere la verità hanno giustificato e giustificano tutti i massacri. E questo fu anche il peccato, l'enorme peccato, delle sedicenti società cristiane.

Per noi, cristiani che rileggono l'evangelo, il pluralismo non può consistere solo nel fatto di sopportare l'esistenza dell'altro, ma nel comprendere e amare ciò che costituisce il senso di quell'esistenza. La vera relazione non deve cercare la simmetria: "Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete?" (Lc 6,32), chiede Gesù.

"Io sono responsabile dell' altro", ha scritto un grande filosofo ebreo, Emmanuel Lévinas, "senza attendermi la reciprocità, dovesse anche costarmi la vita". La reciprocità non è affar mio, ma dell'altro.»
     Olivier Clément

Postato da: giacabi a 20:13 | link | commenti
gesù, clement

domenica, 25 gennaio 2009
La  vecchiaia

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“Nell'Oriente cristiano - nell'Oriente in generale - si ama la vecchiaia, perché si pensa che sia fatta per pregare. Quando si è vecchi, e si avverte Dio vicino attraverso la parete sempre più sottile della vita biologica, si diventa come un bambino cosciente, che si affida al Padre, si sente alleggerito dalla prossimità della morte, trasparente a un'altra luce. Una civiltà in cui non si prega più è una civiltà in cui la vecchiaia non ha più senso. Si cammina all’indietro verso la morte simulando la giovinezza: è uno spettacolo straziante, perché, mentre ci è offerta una possibilità prodigiosa, attraverso l'estrema rinuncia e offerta di sé, non si coglie questa possibilità. Abbiamo bisogno di vecchi che pregano, che sorridono, che amano con amore disinteressato, che sanno meravigliarsi; essi soli possono mostrare ai giovani che vale la pena di vivere, e che il nulla non ha l'ultima parola. Ogni monaco nel quale l'ascesi ha portato il suo frutto è chiamato in Oriente, qualunque sia la sua età, un "bel vecchio": bello della bellezza che sale dal cuore. In lui le età della vita si compongono, sinfonizzano, si può dire; e, soprattutto, l'originale è ritrovato: bianco di una bianchezza trasfigurata, il "bel vegliardo" ha occhi di fanciullo
     Olivier Clément

Postato da: giacabi a 14:15 | link | commenti
clement

Olivier Clément:
sorpreso dalla gioia nel secolo del nichilismo
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Adriano Dell'Asta giovedì 22 gennaio 2009


Una cosa colpiva sempre quando si leggeva un libro o un articolo di Olivier Clément, il grande teologo ortodosso deceduto la sera del 15 gennaio scorso a 87 anni: il suo stupore davanti a quello che lui chiamava il miracolo dell’essere; tutto per lui era miracolo, degno di essere ammirato nella sua bellezza e interrogato sulla sua origine e sul suo significato; non c’era più il nulla, non c’era più la solitudine, solo il miracolo e, soprattutto, il miracolo degli incontri, con le cose e le persone e con il loro creatore.

Lui stesso era arrivato alla fede, da adulto (dopo essere stato quasi schiacciato dal nichilismo moderno) grazie a una serie di incontri, innanzitutto l’incontro con due filosofi religiosi russi esuli a Parigi dopo il colpo di Stato dell’ottobre del 1917: Nikolaj Berdjaev e Vladimir Losskij. Da loro aveva imparato alcune cose essenziali del cristianesimo: innanzitutto che l’uomo e la sua ragione non dovevano difendersi da Cristo ma che anzi solo in Lui potevano trovare la loro pienezza e la loro verità; e poi che questa pienezza e questa verità erano quelle della libertà. L’uomo, la persona umana è irriducibile, libera, non determinata ultimamente da nessuna circostanza, perché è rapporto con l’infinito; e questa irriducibilità, questa libertà non sono appunto uno spazio vuoto ma un rapporto reale, concreto. Cristo non era per Clément un principio, un valore, un modello da seguire, una legge da rispettare, ma una persona, la Persona: «Il cristianesimo è la religione dei volti e delle persone, perché “in Cristo Dio diventa persona e l’uomo stesso diventa persona”».

Essenzialmente vita, e più precisamente vita in Cristo, questo cristianesimo non aveva traccia di spiritualismo: quello che aveva attratto un giovane pagano mediterraneo (così si era definito Clément) era stato proprio un cristianesimo come forza di trasfigurazione di tutto il creato; non c’era più nulla che restasse estraneo alla salvezza e alla luce offerte da Cristo: a salire in Croce era stato un uomo nella sua pienezza e questo uomo si era rivelato Dio, il Signore, più forte della morte.

Quando aveva ritrovato la fede, alla fine degli anni Quaranta, Clément usciva dalla guerra, dall’esperienza di una morte che, dopo l’Olocausto e con la minaccia nucleare, rischiava di diventare planetaria e che comunque di lì a poco avrebbe trionfato nelle menti e nei cuori nella forma del nichilismo; diventando cristiano, dimostrando che si poteva essere cristiani nel XX secolo, Clément fu innanzitutto testimone di questa vittoria di Cristo sulla morte, testimone del Risorto. Il non senso, il male, il dolore, la morte non erano tolti, in un irrealistico lieto fine, ma vinti, resi impotenti; quando alla fine delle sue conferenze veniva sottoposto a un vero fuoco di fila di domande, non ce n’era mai una alla quale si sottraesse, ma non c’era mai una risposta che chiudesse il discorso: la risposta era che la vita ricominciava ogni volta, che in Cristo ogni volta l’uomo rinasceva alla libertà. In fondo era quello che aveva detto di sé e del proprio incontro con Cristo: «mi ha detto che esistevo, che voleva che io esistessi, e dunque che non ero nulla. Mi ha detto che non ero tutto, ma responsabile. Che il male era quello che facevo. Ma che, ancora più profondo, lui c’era. Mi ha detto che avevo bisogno di essere perdonato, guarito e ricreato. E che in lui ero perdonato, guarito e ricreato».

Capace di rispondere al mondo contemporaneo e alla sua domanda di vita e di senso proprio perché definito da questa sensibilità al Risorto, il cristianesimo di Clément aveva un’altra caratteristica essenziale: il suo essere radicato nella Chiesa, perché, senza Chiesa, Cristo rischia ogni volta di «restare un’astrazione» e di essere ridotto alla soggettività delle nostre idee o dei nostri buoni sentimenti. Per Clément, ortodosso in un paese tradizionalmente cattolico, questo aveva voluto dire vivere il proprio incontro con Cristo come una testimonianza di unità: non l’unità come conquista o come negazione della diversità e delle differenze, ma l’unità come mai conclusa conversione personale a Cristo, fonte dell’unità, Persona nella quale tutte le differenze diventano motivo di ricchezza, da quella dell’umano e del divino, uniti senza confusione e senza separazione a quella delle singole persone, unite nella comune figliolanza. Grande testimone dell’ecumenismo, Clément era stato tale soprattutto perché aveva vissuto la tensione all’unità come aspirazione alla propria conversione all’Unico.     

Postato da: giacabi a 14:07 | link | commenti
clement

sabato, 24 maggio 2008
Il nichilismo si vince con l’annuncio della risurrezione
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  «Il tessuto dell'esistenza - non è semplicemente stropicciato - al che si potrebbe rimediare con il ferro da stiro ben caldo delle nostre ricette umane - ma è anche strappato, e da questo strappo viene il nulla, il nichilismo. La nostra civiltà è circondata dal nulla. Ecco perché penso che il nichilismo attuale sia il luogo provvidenziale dove si deve far «scoppiare» l’annuncio della risurrezione».
§  Olivier Clément

Postato da: giacabi a 13:28 | link | commenti
nichilismo, clement

domenica, 30 marzo 2008
L'Eros è ragazze e teorie
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“Scoprivamo il sesso, cioè il sacro allo stato bruto (forza divina che spinge alla vita nell'immediatezza della sensibilità) e il loro vago Cattolicesimo non vi avrebbe resistito. "Eros e Thanatos", come dice Freud: l'uomo è attratto o dall'amore o dal suicidio. Ma nell'adolescenza il suicidio si cambia nello specchio di Narciso, e invece di distruggersi l'uomo contempla se stesso e soprattutto la sua forza erotica. Gli uomini della mia generazione non hanno conosciuto il suicidio per nichilismo, come si diffonde oggi ("mi uccido perché la vita non ha senso"). Noi avevamo bruciato il nostro capitale spirituale, ma ci restava un certo slancio biologico, e così l'Eros, l'Amore, l'attrazione erotica aveva la meglio sulla sua grande sorella, la Morte, e io potevo predicare l'ateismo senza suicidarmi, e potevo anche alzare il pugno chiuso per il Fronte popolare, con il fazzoletto rosso sulla giacca. L'Eros è ragazze e teorie. E' far l'amore con una donna o con un'idea. Non si vede altro nella vita: si va dritti con entusiasmo, con senso di potenza e tranquillità. L'uso erotico della ragione diviene per un momento l'oppio che fa dimenticare il nulla. Pur di far l'amore e di non pensare ad altro, ci son dei vecchi che si fanno innestare testicoli di scimmia. Ragazze e teorie, vissute con la forza dell'erotismo sono tavole gettate sull'abisso. E si sale sulle tavole e si recita la propria parte, per un certo tempo. Fino alla mezz'ora di silenzio in cielo di cui parla l'Apocalisse (Ap 8,1), il momento della verità che ci aspetta tutti.
Oggi i nostri maestri di pensiero sorridono con pietà quando si parla di sete di assoluto. Loro sono nel relativo, e vi ci si sono sistemati anche abbastanza bene. Per me che non sono un esperto, mi sembra che io cercassi Dio nella sua negazione stessa. Ateismo ed erotismo erano il mio grido a lui. E penso che anche lui mi cercasse.
Anche io ho conosciuto le grandi spiegazioni dell'ateismo, le spiegazioni dei tre grandi "maestri del sospetto", Marx, Nietzsche e Freud. Per il marxista Dio è solo quello che l'uomo ha perduto attraverso l'alienazione sociale. Per Nietzsche, Dio è invece il mondo illusorio delle idee e dei valori, perché tutto è volontà irrazionale di forza, gioco continuo. Per chi non ha questa forza in sé, per chi non è Superuomo, Dio è allora il rifugio della debolezza e l'arma del risentimento. E per Freud, infine, Dio non è altro che la proiezione del "padre castratore", colui che ti ha istillato fin da piccolo il senso della colpevolezza, il "Super-Io", quelle regole cui tu devi obbedire, se non vuoi perderti. Mi si dice che tutto questo finalmente libera, incarna, richiama alla vera responsabilità creatrice dell'uomo, senza false paure e falsi tabù. Eppure..
Eppure tutti questi esseri lucidi si sbranano a vicenda e così ciecamente e sanno ascoltare così poco! Tutti questi "coscienti" sono così incoscienti nella loro vita quotidiana! Il relativo, ciò che passa, ciò che non conta più di tanto, si gonfia di assoluto e diviene mostruoso. La passione in cui credevamo di esaltarci (che pensavo mi facesse essere) sfocia nel nulla. Perché quello che cerchi nell'incontro d'amore - il sentirti vivo e la verità di un'altra persona, l'incontro personale - non lo raggiungi che per brevi istanti furtivi. Qualche settimana dopo non ci si ricorda più di nulla, se non di quella canzone, tra le dune, canticchiata da una sconosciuta.
Nel 1956, battezzato da poco, mentre stavo imparando a poco a poco una vita di umiltà e di perdono in cui la fedeltà diventa possibile, parlavo con un giovane rivoluzionario ungherese sull'enigmatico incontro dell'uomo e della donna. "Non c'è nessun mistero, mi disse, e la fedeltà è un intralcio senza senso". "Eppure cosa sentite ogni volta che si chiude per voi un incontro più o meno breve?". Egli rifletté un momento, la sua aggressività si era spenta: "A volte, disse, è come se avessi ucciso un uccello". E la strada è cosparsa di uccelli morti!
Oggi abbiamo soltanto l'ordine quantitativo della società industriale, il cui macchinismo ignora i ritmi profondi della vita oppure il disordine dell'istinto, la frenesia sessuale. Sembra che non abbiamo più che il nostro corpo per uscire dall'astrazione e dalla solitudine. Tuttavia la soddisfazione erotica che spegne la tensione è solo un'immagine lontana di quella morte spirituale del nostro egoismo, della tensione al nostro io, necessaria perché l'altro sia per me una persona e non soltanto un oggetto. Invece ognuno è rimandato alla sua solitudine, perché il corpo ha espresso un egoismo narcisista e non un dialogo personale. La sete di assoluto e di infinito ti porta a cercare tutto da un povero essere precario che, anche lui, ha bisogno di essere salvato. E siccome egli non può estinguere questa sete, finiamo per rivoltarci contro di lui, per ferirlo e distruggerlo. Così finisce chi trasferisce la ricerca di assoluto sul piacere stesso. E la profanazione si esaspera nelle trasgressioni, fino al sadismo: far del male all'altro per sentirsi vivi in qualche modo.. Perché solo l'Amore salverà l'amore.
Oliver Clement  "L'altro sole"

Postato da: giacabi a 21:54 | link | commenti
nichilismo, imbecillità giovanile, clement, istintività

venerdì, 15 giugno 2007
LA MORTE
NELL’ERA DEL NICHILISMO
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 Noi, oggi, andiamo a ritroso verso la morte, crediamo di aiutare gli anziani facendo loro scimmiottare la gioventù, ma essi non hanno più nulla da dirci, non hanno più nulla da raccontare ai bambini, non hanno più memoria perché non hanno più speranza.
Nel XVII secolo, all'epoca del primo trionfo della razionalità, si rinchiusero nei manicomi gli « idioti », gli «innocenti », testimoni della precarietà dell'esistenza normale, testimoni di abissi senza fondo, che ora erano quelli dell'ossessione e dell'orrore, ora quelli di una insostenibile sapienza... Nel « secolo dei lumi », gli ossari che stavano ancora a cielo aperto in piena Parigi sono stati accuratamente ricoperti e i morti sono stati raccolti alla periferia delle città, nei cimiteri, sotto le pesanti lapidi dell’orgoglio familiare. Ai nostri giorni,  gli anziani vengono rinchiusi in ricoveri asettici, quando poi non li si lascia vegetare e morire nella solitudine. E così li dimentichiamo, per meglio convincerci di essere giovani, nella rassicurante pienezza di un tempo infinito. I malati incurabili, a loro volta, sono condannati alla segregazione scientifica degli ospedali, dove si muore soli, irti di sonde e di aghi, quasi sempre nell'incoscienza: senza amicizia, e soprattutto senza quella preghiera che guida l'anima sulle vie dell'invisibile. E ancora, senza che chi muore abbia la possibilità di lasciare a chi gli è vicino una parola che già viene dall'altro mondo, una parola che potrebbe prepararlo, a sua volta, per questo passaggio...
Ormai si è già detto tutto sulla censura della morte nell'occidente contemporaneo e, a quanto pare, le cose sono ancora più rozze nell'Unione Sovietica, dove i cimiteri sono spesso abbandonati nell'incuria più assoluta e con altrettanta facilità distrutti per lasciare il posto a degli stadi: largo alla vita! Negli Stati Uniti, si truccano i morti come se andassero ad un ultimo ricevimento Keep smile(continua a sorridere)  ancora una volta ,- e i cimiteri si stendono su vasti tappeti erbosi, innocenti come l'oblio. In un cantone svizzero, poi, per evitare lo choc psicologico della visione della bara, i cadaveri vengono portati via su una barella, come un malato o un ferito.
Si allontanano i bambini dai morti, quando invece il volto di certi morti, pacificato e bello, potrebbe aprire l'infanzia al mistero. Non si vegliano più i morti, cosi come non si dice più ai malati incurabili che stanno per morire. Per dire di queste cose, per vegliare, bisognerebbe saper assumere l'altro nella tenerezza e nella preghiera, nella Chiesa. La malattia e la morte sono presentate come dei casi che non hanno alcun significato, ma soprattutto non quello di mettere in causa la sufficienza di questo mondo. Ogni cosa viene rinchiusa nei limiti di questo mondo, e si cerca soltanto di eliminare le malattie, di ritardare la morte. Si vive, si muore, e, dato che c'è solo questo mondo, i sopravvissuti non possono né pensare né dire nulla. Il mutismo dei morti ci coinvolge tutti. Ci si dedica interamente a delle tecniche il cui « accanimento terapeutico» non è altro che un'esasperazione assurda. E se poi questo fa problema, lo fa soprattutto per dei motivi finanziari.
E l'angoscia avvelena tutto, produce una vera e propria nevrosi spirituale. Il desiderio dell'uomo ,nel senso in cui l'Apocalisse parla, in maniera assolutamente positiva, dell'« uomo dei desideri» -è coinvolto e sconvolto in un consumo nevrotico. La medicina psicosomatica conosce perfettamente la bulimia degli angosciati. Tutta la nostra civiltà ne è affetta: bulimia di cibo, di impressioni, di immagini, di suoni, e persino di divertimenti culturali; in tutto ciò affiora, viene alla superficie e diventa struttura storica il « peccato originale », quella captazione cos1 profondamente ripiegata su se stessa che ha fatto sl che Romano il Melode, il grande innografo del VI secolo, potesse definire l'atteggiamento di Adamo come un « rifiuto del digiuno ». E si può ingannare l'angoscia anche con l'attesa, lirica o violenta, di una società perfetta...
E così si sviluppa una civiltà di drogati: eccitanti e tranquillanti fatti proliferare dall'industria medica, proiezione sull'altro, sul nemico, dell’ombra che ci è perseguita e nella quale le civiltà arcaiche vedevano l'immagine dell'alter ego, o dell'anima. E sono allora le grandi paure e i grandi odi astratti della politica. E l'erotismo, le droghe propriamente dette, un certo uso della musica o della velocità, le varie tecniche della estasi sradicate dal loro ambiente originario: si vorrebbe dare alla vita un'intensità che faccia scomparire tutte le ombre, ogni morte. Ma la morte ha sempre l'ultima parola. Non c'è nulla che lasci soli, ed in una solitudine tanto agghiacciante, come il parossismo. E resta solo il gioco con il suicidio -che è forse l'altra faccia di un'invocazione di aiuto -o il desiderio di farla finita con la società, non solo perché, a partire da Rousseau e soprattutto a partire da Marx, si è attribuita alla società la responsabilità di tutti i mali, ma perché, fatte cadere tutte le maschere, si scopre immediatamente che questa civiltà della felicità è in realtà una civiltà della morte.
Si finisce per rimaner presi nelle proprie reti. Quanti giovani si uccidono oggi perché ai loro occhi non c'è più nulla che abbia senso? Quante depressioni nervose, rapidamente cronicizzate, sfuggono alla terapeutica freudiana e possono essere spiegate solo da questa assenza di senso? La tentazione del suicidio si diffonde e l'esistenza stessa della specie ne è minacciata. Con la dissociazione tecnica della sessualità e della procreazione, gli indici della natalità crollano in tutti i paesi industriali, all'est più ancora che all'ovest; questa tendenza si sta ora diffondendo in Giappone, in Cina e nell'Asia del sud-est. Il trionfo del nichilismo rende ormai possibile, un po' dappertutto, un suicidio della specie.
Ormai il silenzio è rotto. Il tema della morte appare sempre più insistentemente nel pensiero filosofico, storico e medico. Viene denunciato lo scandalo di tante morti solitarie ed inconsapevoli, di tanti anziani abbandonati ed  ossessionati dall'angoscia. Non c'è dubbio che così si prepari una metamorfosi dell'ateismo. E sembra che sia ormai giunto il tempo di una tenerezza seria e triste, senza speranza, un tempo in cui gli uomini ormai orfani si stringeranno infreddoliti gli uni agli altri, circondando i morenti di un'attenzione tenera e delicata, e tuttavia vuota perché interamente di questo mondo. Si morirà fra amici, in una specie di estasi prodotta dalle droghe. Questo ritorno al nulla si consumerà come un incesto: anche qui, infatti, in questa privazione definitiva, non ci sarà più posto per il Padre...
E c'è ancora bisogno di dirlo? Non sarà certo la guarigione dalla grande nevrosi occidentale. Sarà il tempo di crisi spirituali ancora più grandi, contrassegnate da tentativi anticristici, ma anche da un rinnovato annuncio della Risurrezione.”
Oliver Clement  da: La rivolta dello Spirito  ed. Jaca Book

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