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domenica 5 febbraio 2012

collins,

La conversione di Francis Collins
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Tempi num.28 del 12 luglio 2007
Lo scienziato che ha decodificato l'intero genoma umano ci racconta la sua conversione e ci spiega perché è proprio la sorprendente complessità del cosmo a convincerlo che aveva ragione C. S. Lewis

di Roberto Persico


Un'altra vittima di C. S. Lewis. Eppure c'erano tutte le premesse perché Francis Sellers Collins finisse come uno dei tanti pazienti ideali di Berlicche, quelli che arrivano quietamente all'inferno senza mai porsi neppure il problema. «Come figlio di liberi pensatori - scrive ne Il linguaggio di Dio, da poco uscito in Italia - ho avuto un'educazione tipicamente moderna per quanto riguarda l'atteggiamento nei confronti della fede: semplicemente, non era considerata una cosa importante». E quel «desiderio di qualcosa che stava al di fuori di me, spesso associato alla bellezza della natura o a un'esperienza musicale particolarmente profonda», che racconta di avere talvolta sperimentato nell'adolescenza, non trovò nessuno pronto ad accoglierlo. Anzi, approdato nelle aule universitarie, l'anticristianesimo militante che vi si era diffuso spinse il professor Collins da un agnosticismo in fondo indifferente al problema religioso a un deciso ateismo.
Intanto maturava un curriculum di tutto rispetto, passando dalla chimica alla fisica alla biologia, per approdare infine alla medicina. Ma proprio qui Dio era in agguato, tra le corsie in cui Collins faceva il suo tirocinio da medico, nel volto di morenti che trovavano nella fede la forza per affrontare lietamente l'ultima sofferenza. «Se la fede non era altro che la maschera di una tradizione culturale, perché quelle persone non alzavano il pugno a Dio e non chiedevano di smetterla con quelle chiacchiere su una potenza amorevole e benefica?». Di colpo, si rese conto che l'indifferenza non è una posizione degna di un uomo di scienza. «Non mi ritenevo uno scienziato? E uno scienziato tira forse conclusioni senza riflettere sui dati? Poteva esserci una domanda più importante di "Dio esiste"? Questa presa di coscienza fu un'esperienza assolutamente terrificante». E sulle prime tentò di offrire ragioni al proprio ateismo. Poi però incappò in "Scusi, qual è il suo Dio?" di Lewis. «Mi resi conto che tutti i miei costrutti contro la plausibilità della fede erano degni, al massimo, di uno scolaretto. Lewis pareva conoscere tutte le mie obiezioni, talvolta prima che fossi riuscito a formularle con precisione, e le risolveva invariabilmente nell'arco di una o due pagine».

Spiegare il Dna a Bill Clinton

 Dai giorni dell'università, Francis Collins ne ha fatta di strada, fino a diventare direttore del "Progetto Genoma", l'impresa internazionale che ha condotto alla mappatura dell'intero patrimonio genetico dell'uomo. E durante la presentazione ufficiale dei risultati, nel giugno del 2000 alla Casa Bianca, accanto al presidente Bill Clinton, così commentò l'evento: «Pensare che abbiamo potuto dare una prima fugace occhiata al nostro manuale di istruzioni, finora noto soltanto a Dio, mi fa sentire umile. Provo un grande timore reverenziale».
La sua carriera di studioso è cresciuta di pari passo con la sua fede, e ora con Il linguaggio di Dio ha voluto delineare una posizione che lui chiama "evoluzionismo teologico" - «espressione poco accattivante», riconosce - sostituendola col più sintetico e suggestivo "BioLogos": correttamente intesi, non c'è nessuna contraddizione tra i dati della conoscenza scientifica e la verità dell'esperienza religiosa. Una posizione lucidamente critica sia nei confronti di chi pretende di fare della scienza un sostegno dell'ateismo, sia rispetto agli integralismi religiosi che negano le evidenze scientifiche in nome di letture letterali della Bibbia. Ma vuole anche superare la teoria del "disegno intelligente", che fa intervenire Dio come "tappabuchi" di un'evoluzione difettosa. Chiuso il libro, abbiamo raggiunto Collins nel suo ufficio al National Human Genome Research Institute, e lui ha trovato il tempo di fare due chiacchiere con Tempi.
Gli argomenti che porta nel suo libro a sostegno della ragionevolezza dell'ipotesi di Dio sono fondamentalmente due. Uno è il cosiddetto principio antropico, cioè la sorprendente convergenza delle costanti fisiche fondamentali dell'universo verso le condizioni che rendono possibile la vita sulla Terra. L'altro è l'esistenza della legge morale, dell'altruismo, di valori che l'evoluzione (che pure chiarisce tante altre verità) non basta a spiegare. Al contrario dei sostenitori del principio antropico, gli scienziati che propendono per l'esistenza del "multiverso" teorizzano che il nostro universo non sarebbe che una delle infinite bollicine di una sconfinata schiuma cosmica, bollicine che continuamente si formano e si distruggono. Così la "sorprendente convergenza" delle costanti del cosmo sarebbe solo una delle infinite possibilità, che prima o poi avrebbe dovuto realizzarsi comunque. «Ma se le costanti che determinano le proprietà della materia e dell'energia nel nostro universo fossero anche solo lievemente differenti - ribatte Collins - non ci sarebbe nessuna possibilità per la vita. Perciò è difficile sfuggire alla conclusione che, come ha scritto Freeman Dyson, "l'universo sembrava sapere che stavamo arrivando noi"».

Darwin e il paradosso della morale

A proprio sostegno Collins cita anche la recente pubblica professione di fede fatta da Antony Flew, ateo da una vita, che «è stato pesantemente influenzato dalla scoperta del potere teologico del principio antropico. Una tale precisione nella regolazione di queste costanti non può essere liquidata come una "coincidenza". L'ipotesi del multiverso, secondo la quale il nostro non sarebbe che uno tra pressoché infiniti universi paralleli dove queste costanti assumono di volta in volta valori diversi, è a mio parere l'unica alternativa praticabile alla conclusione che tali valori siano stati definiti da un'intelligenza superiore. Molti osserverebbero, tuttavia, che credere nel multiverso richiede almeno tanta fede quanta credere in Dio. Uno come Leonard Susskind può supporre che la questione potrebbe essere definita se si potessero rilevare segnali dagli altri universi, ma al momento sembra altamente improbabile. E anche se accadesse, lascerebbe comunque senza risposta la domanda su come tutti questi universi abbiano avuto origine. Il che sembra riportarci alla necessità di una Causa Prima che stia fuori da tutti questi universi. E così torniamo a Dio».
Anche l'idea che la coscienza morale sia un segno di Dio ha trovato diversi critici, i quali suggeriscono che si potrebbe scoprire che i gruppi umani che sviluppano attitudini altruistiche sopravvivrebbero più facilmente di quelli che si scannano l'un l'altro: se così fosse, la teoria di Collins si rivelebbe un altro caso di "Dio tappabuchi". «Nessuno degli argomenti che sviluppo ne Il linguaggio di Dio ha la pretesa di essere una prova. Se l'argomento della legge morale dovesse risultare debole e saltasse fuori che le nostre tendenze altruistiche possono essere spiegate sulla base dell'evoluzione darwiniana, la mia fede non ne sarebbe scossa. Ma non credo che sia probabile, dato che, primo, l'evoluzione opera sugli individui, non sui gruppi (e Richard Dawkins su questo è d'accordo). Secondo, l'evoluzione riguarda solo la capacità di un individuo di trasmettere il proprio Dna meglio dei concorrenti. Terzo, proprio per questo il gesto di una persona che aiuta un'altra a rischio della vita è uno scandalo per l'evoluzione, e dovrebbe essere qualcosa a cui noi umani guarderemmo con scherno, non con ammirazione. Tenga presente anche la conseguenza dell'argomento che la legge morale sarebbe un puro risultato dell'evoluzione: vorrebbe dire che il nostro senso del bene e del male è una pura illusione, uno sporco trucco della selezione naturale, con significato di valore di alcun tipo. È una conclusione che trova riscontro nell'esperienza di ciascuno?»
Eppure scienziati come Dawkins, "il rottweiler di Darwin", o Daniel Dennet, autore di Illusioni filosofiche sulla coscienza, scrivono libri per dimostrare che «la fede è uno dei più grandi mali del mondo» o che la coscienza può essere totalmente ridotta alla neurobiologia. Collins nel suo libro li bastona duramente, smontando le loro tesi pezzo per pezzo. Ma sono sempre loro a tener banco agli occhi dell'opinione pubblica. «Circa il 40 per cento degli scienziati crede in un Dio personale - replica Collins - e per quel che ne so la maggior parte di loro aderisce alla prospettiva che ho definito BioLogos per tenere insieme quel che conoscono come scienziati e quel che credono come esseri spirituali. Ma discutere apertamente la propria fede nell'ambiente scientifico è generalmente tabù. Quelli che lo fanno corrono il rischio di essere considerati dei rammolliti intellettuali, così molti credenti tengono le proprie opinioni per sé. Inoltre, questa riluttanza a mettersi in gioco non è solo degli scienziati: le tensioni in atto fra atei conclamati da una parte e fondamentalisti religiosi dall'altra rende molti riluttanti ad affrontare la questione per timore di essere incasellati in uno dei due schieramenti».

Le forme diverse dello sguardo a Dio

 Malgrado l'inasprirsi del dibattito fra atei e credenti, però, è possibile tenere insieme l'affermazione della verità e la tolleranza. Scrive Collins: «Ciascuno deve intraprendere una propria ricerca della verità spirituale. Se Dio esiste, sarà lui a offrire aiuto. La tolleranza è una virtù, l'intolleranza un vizio. Mi turba profondamente sentire gli adepti di una tradizione di fede liquidare le esperienze spirituali di altri credenti. Tuttavia, se la fede è una ricerca della verità assoluta, non dobbiamo commettere l'errore di affermare che tutti i punti di vista in conflitto fra loro sono ugualmente veri. Il monoteismo e il politeismo non possono essere entrambi corretti.
Personalmente, credo che il cristianesimo abbia un particolare accento di verità. Ma ciascuno, come ho detto, deve condurre la propria ricerca». Una posizione troppo poco promossa oggi, spiega lo scienziato a Tempi: «Purtroppo, la nostra società sembra aver preso l'abitudine di amplificare solo le posizioni estreme. Io credo che moderazione, tolleranza e comprensione siano molto più diffuse di quel che comunemente si ritiene». E cosa si potrebbe fare, allora, per dare maggior eco a questa concezione del rapporto tra scienza e fede? «Potremmo cominciare - risponde Collins - chiedendo ai grandi scienziati di spendere un po' di tempo a cercar di capire il punto di vista dei più profondi pensatori religiosi, e allo stesso modo chiedere ai capi delle Chiese di immergersi nelle ultime scoperte scientifiche. Oggi entrambi i gruppi sono fin troppo pronti a fare una caricatura gli uni degli altri piuttosto che a cercare di capirsi seriamente. Bisognerebbe creare delle opportunità per mettere insieme i leader dalla mente aperta in un ambiente che incoraggi l'idea che la scienza e la fede sono forme diverse di conoscenza, ed entrambe possono offrire scorci impressionanti di Dio. E dovremmo lavorare molto di più nelle nostre scuole, per insegnare alle giovani generazioni la verità sulla natura come ce la mostra la scienza e insieme aiutarle ad apprezzare il valore permanente delle verità che derivano dalla fede».
 grazie ad: Amadigi

Postato da: giacabi a 17:28 | link | commenti
ateismo, collins, scienza - articoli

sabato, 18 luglio 2009
Credo che Dio ci abbia creato per avere con noi un rapporto attraverso la preghiera
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«Io credo che esista un progetto divino che è passato attraverso il Big Bang e l'evoluzione per arrivare agli esseri umani. E credo che Dio ci abbia creato per infonderci il concetto di giusto e sbagliato, il libero arbitrio, e avere con noi un rapporto attraverso la preghiera. Questo processo è passato attraverso il Dna, un linguaggio utilizzato come libro di istruzioni per la vita».».
Francis Collins

Postato da: giacabi a 18:20 | link | commenti
collins

domenica, 26 agosto 2007
 Roberto Grossatesta (1168 - 1253),
 il Big Bang nel ’200
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 da: www.avvenire.it 11-08-07
MEDIOEVO
Uno studio ripropone la figura del vescovo scienziato, che già nel Medioevo parlava di un universo nato da un punto di energia
Solo il cristianesimo, con la sua idea di creazione, rese possibile lo sviluppo della scienza. E il maestro di Oxford intuì il nesso tra il «Fiat lux» e la "genesi" cosmica riconosciuta nel Novecento

Di Francesco Agnoli
La prima domanda che si pone lo storico della scienza moderna è sicuramente perché essa sia nata in Europa, e non altrove. Le spiegazioni possibili sono tante, ma sicuramente ve ne è una che risulta fondamentale: perché solo qui esisteva il concetto di creazione. Solo il cristianesimo infatti si fonda sull’idea che il mondo non coincida con Dio, ma sia, semplicemente, una creatura. Si tratta di una idea fondamentale, perché libera l’universo da presenze divine immanenti, spirituali, che portano ad una visione magica ed astrologica della realtà, e che rendono impossibile la nascita del concetto di legge fisica. L’universo greco, romano, animista ecc., è un "grande animale", un’entità eterna, mai nata e destinata a esistere per sempre, secondo una visione ciclica del tempo. Solo l’universo cristiano non coincide con Dio, ma ha iniziato ad esistere nel tempo, un tempo lineare, ed è regolato da leggi fisiche poste in essere da un Creatore, inteso come Legislatore supremo, "divino Artefice", come scriveranno Copernico e Keplero. Quest’idea è talmente importante nella storia della scienza che proprio da essa nascono, già nel medioevo, una serie di riflessioni cosmogoniche straordinarie. Tra queste si segnala senza dubbio quella di Roberto Grossatesta, un vescovo legato alla scuola francescana di Oxford, che in Italia è purtroppo pressoché sconosciuto. Eppure Grossatesta non fu solamente un grande studioso di lenti, di specchi, e dei fenomeni della luce in genere, tanto da essere considerato uno degli inventori degli occhiali, ma è anche colui che ha proposto, forse per primo, una straordinaria ipotesi: che il mondo sia nato da una sorta di puntino piccolissimo di luce-energia, posto in essere dal Creatore, ed espansosi sino a formare l’universo intero. Grossatesta parte dal «Fiat lux» del Genesi, e dalle sue osservazione di ottica, per affermare che la luce, prima creatura, «è capace per natura di moltiplicare se stessa in ogni direzione. Naturalmente infatti la luce generando si moltiplica in ogni direzione, e, insieme con l’esistere, genera. Per questo riempie immediatamente ogni luogo circostante». Proseguendo spiega che la creazione della luce è anche l’origine di moto, tempo e spazio: il moto della luce crea lo spazio, e il rapporto tra moto e spazio dà vita al tempo. Moto, tempo e spazio, non sono quindi degli assoluti, ma dei relativi, che hanno iniziato ad esistere, in un istante di tempo che «dà inizio al tempo», non «continuazione del passato verso il futuro, ma solo inizio del futuro». Nelle sue riflessioni a metà tra lo scientifico e il filosofico, Grossatesta arriva quindi a negare l’esistenza di una materia eterna, teorizzata ad esempio nel Timeo platonico, e a sostenere che il moto degli astri non solo non abbisogna di anime astrali, ma neppure di intelligenze motrici, essendo il mondo materiale non un "grande organismo" vivente, ma una "mundi machina", una macchina del modo, regolata, come ogni meccanismo, da precise leggi intrinseche. In Grossatesta, ha scritto la Battisti Saccaro, «concezione creazionista del mondo e concezione meccanicistica della sua formazione sembrano poter coesistere grazie all’azione della luce: l’evento soprannaturale della sua posizione è, nel De luce, dato per scontato, e l’unico accenno che vi riscontriamo è là dove si parla della forma prima nella materia prima creata; può quindi essere delineato il successivo costituirsi del cosmo come sistema autoproducente senza l’ulteriore intervento del Creatore». Si capisce quindi, dopo quanto si è detto, perché diversi studiosi inglesi della scuola di Oxford, tra cui il Crombie, abbiano parlato di Grossatesta come di un precursore della scienza moderna e soprattutto dell’odierna teoria del Big Bang. Una teoria, è il caso di ricordarlo, che fu ripresa da Galileo Galilei in una lettera del 1615 a monsignor Pietro Dini, in cui partendo dal fiat lux del Genesi, ipotizzava appunto l’origine dell’universo da un punto di luce energia. La teorizzazione moderna di questa possibile origine del cosmo si deve però al gesuita Lemaitre, ideatore dell’"atomo primordiale". Franco Prattico racconta al riguardo questo aneddoto: «Si dice che quando Georges Lamaitre, un sacerdote scienziato che, con George Gamow, fu autore di una delle prime formulazioni del Big Bang, cercò di discutere con Einstein la possibilità di descrivere lo stato iniziale dell’universo, il più grande fisico del nostro secolo abbia scrollato le spalle: "Questa faccenda somiglia troppo alla Genesi", avrebbe detto, "si vede bene che siete un prete". E non manca ancora oggi chi considera questo modello con un certo sospetto, per la sua somiglianza appunto con un "atto di creazione"» (Franco Prattico, Dal caos… alla coscienza, Laterza). A ben vedere infatti il Big Bang, così chiamato con disprezzo dal fisico ateo sir Fred Hoyle, che lo considerava "troppo cristiano", è una teoria perfettamente compatibile con la fede, in quanto presuppone, come notava Grossatesta, un mondo originatosi dal nulla, in cui moto, spazio e tempo hanno iniziato ad esistere e potrebbero un giorno, magari con un Big Crunch, scomparire. Scrive Francis Collins, direttore del Progetto Genoma umano, nel suo Il linguaggio di Dio: «Per la tradizioni di fede secondo cui Dio ha creato l’universo dal nulla, questo [il Big Bang] è un risultato elettrizzante». A un evento così sbalorditivo si addice la definizione di miracolo? La sensazione di meraviglia generata dal Big Bang ha indotto parecchi scienziati agnostici ad esprimersi in termini nettamente teologici. L’astrofisico Robert Jastrow, per esempio, conclude così il suo God and Astronomy: «Sulla teologia, la teoria del Big Bang ha conseguenze profonde. Per lo scienziato che ha vissuto alla luce della fede nel potere della ragione, la storia finisce come un brutto sogno. Ha scalato le montagne dell’ignoranza; è sul punto di conquistare la vetta più alta ed ecco che, arrampicatosi sull’ultima roccia, viene accolto da un gruppo di teologi seduti lì da secoli». E Collins chiosa: «Il Big Bang domanda a gran voce una spiegazione divina. Non riesco a capire come la natura avrebbe potuto crearsi da sé. Solo una forza soprannaturale al di fuori del tempo e dello spazio avrebbe potuto fare una cosa simile».
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Postato da: giacabi a 05:45 | link | commenti (1)
medioevo, cristianesimo, collins, grossatesta

sabato, 14 luglio 2007
LO SCIENZIATO “CREDENTE”
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L’autobiografia di Francis Collins
Il guru del genoma alla caccia del linguaggio scientifico di Dio
IL GENETISTA CHE DIRIGE LO HUMAN GENOME PROJECT SPIEGA PERCHÉ SI OPPONE AGLI ESPERIMENTI SUGLI EMBRIONI
G. Meotti Il Foglio 18 agosto 2006
E’ cresciuto in una “sporca fattoria” di novanta acri della Virginia senza impianto idraulico. Si viveva di lavoro duro nei campi, un teatrino estivo e tanta musica. Figlio di un professore di letteratura attivista sociale e mangiapreti, Francis Collins, istruito a casa dalla madre letterata,aveva di fronte un brillante avvenire come scrittore (a nove anni rielaborò il “Mago di Oz”). I pochi contatti con Dio li teneva attraverso il coro di una chiesa episcopaliana: “I miei genitori mi mandavano in chiesa perché pensavano che fosse un buon posto per imparare musica”.
Collaboratori di Eleanor Roosevelt, si erano conosciuti in una comune utopistica. A 23 anni,dopo la laurea in fisica, Collins abbandonò lo studio della meccanica quantistica per “qualcosa di più umano”, il genoma. Oggi dirige lo Human genome project e gestisce qualcosa come 480 milioni di dollari. Evangelico, detto “il credente”, Collins ha scritto un libro su come essere genetisti e ferventi cristiani, dall’eloquente titolo “The language of God” (Free Press). E’ il gran cerimoniere delle tre miliardi di lettere biochimiche che compongono la cianografia umana che Collins, a cui non piace il termine “disegno intelligente”, ha definito affascinato “BioLogos”. Nel 2000 era accanto al raggiante Bill Clinton, Tony Blair era collegato via satellite, quando annunciò che avevano svelato “il linguaggio con cui Dio ha creato la vita”. Alla fede dice di essere arrivato con la lettura di C. S. Lewis e grazie a un amico che nel 1978 lo accompagnò in una chiesa metodista. “Capii che i miei argomenti contro la fede erano quelli di uno scolaretto.
Nel mio ventisettesimo anno divenni un ‘born again’. La fede in Dio è più razionale dellamiscredenza. Agostino, Tommaso e Lewis hanno spiegato che a fede in Dio è plausibile. La legge morale descritta da Lewis è una caratteristica umana universale”. Nei ritagli di tempo tiene una serie di lezioni, fra chiese e università, sull’opera dello scrittore inglese. Collins era un ateo indefesso prima di una gita alle Cascade Mountains. “La maestosità e la bellezza della creazione di Dio superò la mia resistenza. Come girai l’angolo e vidi una cascata, capii che la ricerca era finita. Il mattino successivo mi inginocchiai quando sorse il sole”. Da allora non è stato più lo stesso. Poi ci fu quella domanda inquietante, rivoltagli da una paziente su un
lettino della North Carolina University: “In cosa credi?”. La sua conversione, narrata in un libro degno delle migliori biografie scientifiche, coincise con i momenti più alti della sua carriera. Il giorno che gli chiesero di guidare la più affascinante corporation d’America, dopo che aveva scoperto il gene della fibrosi cistica, Collins trascorse un’intera giornata in una piccola cappella vicino casa. “Mi spaventa la visione deterministica della cultura popolare e del vocabolario.
Dio può intervenire, sono i miracoli. Il genoma ci dice quali componenti sono necessarie per costruire un organismo che ha le proprietà biologiche di un essere umano a partire dal singolo embrione. Ma la nostra ‘umanità’ è molto più di questo. Sulle grandi domande interessanti,come ‘perché siamo qui?’, o ‘perché gli esseri umani bramano per la spiritualità?’, trovo la scienza insoddisfacente. Vedo Oscar Schindler che sacrifica il proprio potenziale per salvare gli ebrei, vedo Madre Teresa che si dedica agli altri. Schindler è morto senza un penny. L’agape è uno scandalo per il modo di ragionare riduzionista. Quando scopro qualcosa sul genoma umano, faccio l’esperienza di un senso di timore per il mistero della vita e dico a me stesso, ‘woh, solo Dio lo sapeva prima’. E’ una sensazione bellissima che mi aiuta ad apprezzare Dio.Dio ha reso tutto questo possibile. E la scienza diventa qualcosa di più di una scoperta”.I suoi eroi sono l’ebreo Maimonide e sant’Agostino “lo scettico convertito che sentiva la visione evoluzionistica dell’essere umano in accordo con la Genesi. Dio usa il processo dell’evoluzione per creare l’uomo. Il Dio della Bibbia è il Dio del genoma. Può essere venerato nella cattedrale e nel laboratorio. Anche Albert Einstein vide la povertà di una visione del mondo naturalistica.Isaac Newton scrisse più interpretazioni della Bibbia che opere di matematica e fisica”.
Luminare della terapia genica, non ha problemi a credere che la resurrezione di Cristo sia “il personale interesse di Dio negli esseri umani”. La musica sacra è l’epifania della natura divinanell’uomo: “Alla morte degli atleti israeliani a Monaco ’72, la Filarmonica di Berlino suonò il lamento in c-minore di Beethoven allo stadio olimpico, mescolando nobiltà e tragedia, vita e morte. Per alcuni attimi fui sollevato dalla visione materialistica in una dimensione spirituale indescrivibile”. Collins è un argine, nella comunità dei genetisti americani, alla valanga di richieste di sperimentazione umana: “Mi oppongo all’idea di creare embrioni e farci degli esperimenti. Non siamo molto distanti dal periodo di devastante eugenetica del secolo scorso. Quando la tecnologia della diagnosi preimpianto sarà sempre più diffusa andremo incontro a una
eugenetica fatta in casa”. A spaventarlo di più è “la precipitosa fuga in avanti del riduzionismo,la corsa febbrile consiste nell’attribuire tutto, persino i tratti della personalità, al Dna”. Durante una conferenza, un giornalista liberal gli chiese: “Crede nella Vergine Maria?”. E lui, senza
battere ciglio e magari pensando ai leucociti rispose: “I do”.

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