CONSULTA L'INDICE PUOI TROVARE OLTRE 4000 ARTICOLI

su santi,filosofi,poeti,scrittori,scienziati etc. che ti aiutano a comprendere la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo


domenica 5 febbraio 2012

comunismo, 3

Auschwitz, Gulag e Laogai
***
Curatore: Cavallari, Fabio
lunedì 7 gennaio 2008

Abbiamo ricevuto questo appello e vi invitiamo a prenderlo in considerazione
I sottoscritti docenti dell’ITI Cobianchi, delle scuole di Verbania e di altre città italiane vogliono rompere il muro di silenzio sulle gravi violazioni dei diritti umani in Cina. Consapevoli della debolezza della nostra voce, tuttavia, facciamo tuttavia appello a quanti hanno a cuore la dignità della persona e dei valori universali, affinché la drammatica situazione del popolo tibetano, cinese e delle minoranze etniche (mongola, uigura, ecc) possa finalmente mutare. Ricordiamo che dopo l’invasione e il genocidio tibetano (1milione 200mila morti) continuano ancora oggi, in quello sfortunato paese, la negazione sistematica della libertà religiosa e la repressione, nel nome del materialismo ateo. È tuttora in corso una deportazione di massa (circa 250mila tibetani) su cui i media occidentali tacciono e recentemente al passo di Nang Pa la tibetani in fuga sono stati uccisi da guardie cinesi.
Continua, inoltre, lo sfruttamento degli operai attraverso turni di lavoro massacranti, condizioni di sicurezza insufficienti e salari pressoché nulli. Il gruppo dei Falung Gong viene schiacciato ed eliminato fisicamente, nel modo più brutale e i loro organi espiantati vengono venduti sul mercato anche via internet. La repressione religiosa si abbatte anche sui cattolici con l’arresto di vescovi, sacerdoti, seminaristi e laici impegnati. Inoltre, recentemente, 270 protestanti sono stati arrestati senza ragione.
Sono tuttora
in funzione 1046 laogai (campi di concentramento) in cui sono rinchiusi circa 6 milioni di detenuti (oppositori al regime comunista, prigionieri di coscienza, dissidenti, religiosi, ecc) che vengono sottoposti ai lavoro forzati, al lavaggio del cervello, alla tortura fisica.

Harry Wu, cattolico cinese detenuto per 19 anni, ha recentemente detto: “Auschwitz è stato smantellato; i Gulag sono stati chiusi. Perché i laogai devono restare aperti?”
Già, perché la dittatura del Partito unico e gli interessi economici, legati all’indifferenza morale prevalgono sul grido di dolore di milioni di vittime?


Comitato promotore

Maria Canale, Marcella Canzian, Laura Cristofari, Paolo Ferrante, Gianmichele Giordano, Lino Guizzardi, Marco Nifantani, don Angelo Nigro, Tiziano Maragno, Giuseppe Rago,Vincenzo Rizzo, Rodolfo Granafei.

Postato da: giacabi a 17:47 | link | commenti
comunismo

sabato, 22 dicembre 2007
Il Gulag è inscritto
 nel marxismo sin dall'inizio
 ***
 «Perché non si è mai detto, perché ci si rifiuta di comprendere che quest'Inferno terrestre deriva implacabilmente dal dogma dell'Innocenza?
Non c'è perdono perché non c'è peccato! I quaranta milioni di morti del Gulag sono e sono soltanto nella logica del marxismo, essendo, infine, l'unico freno al  sistema presso i dirigenti la paura di finirvi...». il Gulag, insomma, è inscritto nel marxismo sin dall'inizio, nel dogma eminentemente metafisico dell'innocenza e della felicità naturale dell'uomo. Così, nei paesi del socialismo reale, i più piccoli difetti, i peccatucci, le minime divergenze di linea sono mostruosità metafisiche incomprensibili, e come tali esigono una "Santa Inquisizione Universale".
Maurice  Clavel

Postato da: giacabi a 10:57 | link | commenti
comunismo, clavel

mercoledì, 12 dicembre 2007
Il comunismo
***
 Il comunismo è, un tentativo assai rozzo di spiegare la società. Ricorda un chirurgo che si serva per i suoi delicati interventi di una scure da macellaio. Tutto ciò che di più delicato nella psicologia dell'uomo e nella struttura di quell'organismo ancora più complesso che è la società, viene ridotto al rozzo processo economico.
L'essere umano torna ad essere materia. È caratteristico del comunismo, e indicativo di quanto sia privo di argomenti, il fatto che ai suoi detrattori, ad esempio nel nostro paese, esso non abbia assolutamente niente da opporre. Argomenti non ce ne sono e allora varrà il bastone, la prigione, il campo di concentramento, il ricovero coatto in manicomio. Il marxismo è sempre stato contro la libertà. Voglio citare a questo proposito qualche frase dei padri del comunismo, Marx e Engels. Cito dalla prima edizione sovietica del 1929-1930: «le riforme sono un segno di debolezza » (volume 23, pagina 339); «La democrazia. È peggiore della monarchia e dell’aristocrazia » (volume 2, pagina 269); « La libertà politica è una falsa libertà. Essa è peggiore della peggiore schiavitù » (volume 2, pagina 394). Nella loro corrispondenza Marx e Engels scrivono in più di un'occasione della necessità di ricorrere al terrore una volta al potere. Scrivono: «Bisognerà ripetere il 1793. Quando saremo al potere verremo considerati dei mostri ma questo naturalmente non ci farà né caldo né freddo»(volume 25, pagina 187).
Il comunismo non ha mai nascosto di rifiutare qualsiasi concezione morale assoluta. Ride dei concetti di bene e di male come categorie indiscutibili. Per il comunismo la morale è relativa, è di classe. Un qualsiasi atto, e quindi l'assassinio, e anche l'assassinio di centinaia di migliaia di uomini, può essere..ritenuto buono o malvagio a seconda della circostanza e della situazione politica ». Dipende dall'ideologia di classe. Ma chi definisce questa ideologia di classe? L'intera classe non può certo riunirsi per decidere ciò che è bene e ciò che è male. E allora a farlo è un gruppetto di persone. Ma devo dire che proprio in questa direzione il comunismo ha ottenuto i maggiori successi. Gli è riuscito di contaminare il mondo con la sua idea della relatività del bene e del male, cosicché essa ha oggi un largo seguito anche fra i non comunisti. Negli ambienti progressisti oggi si considera di cattivo gusto servirsi seriamente delle parole « bene » e « male ». Il comunismo è riuscito a screditare agli occhi di tutti dei concetti ch'esso considera ridicoli e sorpassati. Ma a toglierci i concetti  di bene e di male che cosa  ci resta? Ci restano soltanto le varie combinazioni pratiche. Ci abbassiamo ad un’esistenza animale. Sia la teoria che la pratica del comunismo sono assolutamente dunque antiumane.
Solzenicyn: Discorsi americani- Mondadori

Postato da: giacabi a 20:28 | link | commenti
comunismo, solzenicyn

domenica, 09 dicembre 2007
Comunismo in Russia
altro che inquisizione ma genocidio
 ***
 «.. Secondo i calcoli degli specialisti, basati sulle più precise e obiettive statistiche, nella Russia prerivoluzionaria, durante gli ottant'anni che precedettero la rivoluzione - e furono anni di movimenti rivoluzionari, di attentati contro lo zar e di vere e proprie rivoluzioni -furono mandate a morte, in media, diciassette persone all'anno. ~ Diciassette persone all'anno. La famosa Inquisizione, al  suo apogeo, eliminava forse dieci persone al mese. Nell'Arcipelago cito un libro pubblicato nel 1920 dalla stessa Cekà. I cekisti vi espongono, con orgogliosa soddisfazione, i risultati della propria attività rivoluzionaria negli anni 1918 e 1919 e si scusano per l'incompletezza delle cifre. Eccole: durante quei due anni la Cekà aveva fucilato senza processo più di mille persone al mese! L 'ha scritto la stessa Cekà, quando non arrivava ancora a capire quale effetto avrebbe avuto sui posteri. E al culmine del terrore staliniano degli anni 1937 e 1938, se dividiamo il numero complessivo delle persone giustiziate per il numero dei mesi, otterremo più di quarantamila vittime al mese!!! Eccole dunque le cifre: diciassette persone  all'anno, dieci persone al mese, più di mille al mese, più di quarantamila al mese!»
Solzenicyn: Discorsi americani- Mondadori

Postato da: giacabi a 07:52 | link | commenti
comunismo, solzenicyn

Aleksandr Sljapnikov
capo del partito comunista in Russia
 ***
 «.. restò fino alla fine della sua vita, un vero operaio, un tornitore altamente specializzato: Aleksandr Sljapnikov. Chi ricorda oggi questo nome? Nessuno proprio perché egli era il portavoce degli autentici interessi  operai presso i dirigenti comunisti. Fu Sljapnikov, e non Lenin che viveva all'estero, a dirigere negli anni che precedettero la rivoluzione l'intero partito comunista in Russia... Nel 1921 fu a capo dell'opposizione operaia, la quale provò che i capi comunisti avevano ingannato gli operai e tradito i loro interessi, calpestavano e opprimevano il proletariato ed erano ormai degenerati in burocrati. Sljapnikov scomparve senza più dar segno di vita. Fu arrestato più tardi e poiché mantenne un atteggiamento fermo venne fucilato in prigione; così è probabile che molti dei presenti non l'abbiano mai sentito neppure nominare. E invece, ripeto, alla vigilia della rivoluzione a capo del partito comunista in Russia si trovava Sljapnikov e non Lenin..»
Solzenicyn: Discorsi americani- Mondadori

Postato da: giacabi a 07:36 | link | commenti
comunismo, solzenicyn

sabato, 01 dicembre 2007
L'errore fondamentale di Marx.
***
«Marx ha descritto la situazione del suo tempo ed illustrato con grande capacità analitica le vie verso la rivoluzione non solo teoricamente: con il partito comunista, nato dal manifesto comunista del 1848, l'ha anche concretamente avviata. La sua promessa, grazie all'acutezza delle analisi e alla chiara indicazione degli strumenti per il cambiamento radicale, ha affascinato ed affascina tuttora sempre di nuovo. La rivoluzione poi si è anche verificata nel modo più radicale in Russia.
21. Ma con la sua vittoria si è reso evidente anche l'errore fondamentale di Marx. Egli ha indicato con esattezza come realizzare il rovesciamento. Ma non ci ha detto come le cose avrebbero dovuto procedere dopo. Egli supponeva semplicemente che con l'espropriazione della classe dominante, con la caduta del potere politico e con la socializzazione dei mezzi di produzione si sarebbe realizzata la Nuova Gerusalemme. Allora, infatti, sarebbero state annullate tutte le contraddizioni, l'uomo e il mondo avrebbero visto finalmente chiaro in se stessi. Allora tutto avrebbe potuto procedere da sé sulla retta via, perché tutto sarebbe appartenuto a tutti e tutti avrebbero voluto il meglio l'uno per l'altro. Così, dopo la rivoluzione riuscita, Lenin dovette accorgersi che negli scritti del maestro non si trovava nessun'indicazione sul come procedere. Sì, egli aveva parlato della fase intermedia della dittatura del proletariato come di una necessità che, però, in un secondo tempo da sé si sarebbe dimostrata caduca. Questa « fase intermedia » la conosciamo benissimo e sappiamo anche come si sia poi sviluppata, non portando alla luce il mondo sano, ma lasciando dietro di sé una distruzione desolante. Marx non ha solo mancato di ideare gli ordinamenti necessari per il nuovo mondo – di questi, infatti, non doveva più esserci bisogno. Che egli di ciò non dica nulla, è logica conseguenza della sua impostazione. Il suo errore sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l'uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l'uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva che, una volta messa a posto l'economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo: l'uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall'esterno creando condizioni economiche favorevoli.
22. Così ci troviamo nuovamente davanti alla domanda: che cosa possiamo sperare? È necessaria un'autocritica dell'età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza. In un tale dialogo anche i cristiani, nel contesto delle loro conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista veramente la loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece non possano offrire. Bisogna che nell'autocritica dell'età moderna confluisca anche un'autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici. Su questo si possono qui tentare solo alcuni accenni. Innanzitutto c'è da chiedersi: che cosa significa veramente « progresso »; che cosa promette e che cosa non promette? Già nel XIX secolo esisteva una critica alla fede nel progresso. Nel XX secolo, Theodor W. Adorno ha formulato la problematicità della fede nel progresso in modo drastico: il progresso, visto da vicino, sarebbe il progresso dalla fionda alla megabomba. Ora, questo è, di fatto, un lato del progresso che non si deve mascherare. Detto altrimenti: si rende evidente l'ambiguità del progresso. Senza dubbio, esso offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male – possibilità che prima non esistevano. Noi tutti siamo diventati testimoni di come il progresso in mani sbagliate possa diventare e sia diventato, di fatto, un progresso terribile nel male. Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell'uomo, nella crescita dell'uomo interiore (cfr Ef 3,16; 2 Cor 4,16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l'uomo e per il mondo.»
BENEDETTO XVI  LETTERA ENCICLICA  SPE SALVI


Postato da: giacabi a 21:20 | link | commenti
comunismo, marx, benedettoxvi

martedì, 27 novembre 2007
Il dio dell’illuminismo*
 ***

« Ma che Demone ottuso, che strano Mago avete dunque insediato nel vostro cielo,voi che oggi , osate definirlo deserto? E perché sotto un cielo vuoto cercate un mondo sensato e buono?»
Emmanuel  Lévinas

*  lager e gulag

Postato da: giacabi a 15:28 | link | commenti
comunismo, illuminismo, ideologia, levinas

sabato, 10 novembre 2007

La religione non è un fatto privato

***

"La tradizione laico-liberale, che anche noi abbiamo assorbito in ciò che ci sembrava la sua positività, ha sempre detto che la religione è un fatto privato, che non si devono fare persecuzioni religiose, che ognuno è libero nella propria coscienza di adorare il Dio che vuole; che la religione è un fatto privato e che la vita pubblica invece è un'altra cosa: i rapporti pubblici, sociali fra gli uomini si regolano appunto in modo laico, cioè senza riferimento ad alcuna dimensione religiosa o trascendente; questa cosa fa parte ormai della coscienza comune, e se provi a dire il contrario diventi immediatamente un integralista; ebbene, io comincio ad avere dei dubbi su questo, rispetto ai problemi che la società contemporanea pone; e certe volte mi sembra il contrario.

 Claudio Napoleoni

 

 

 

Postato da: giacabi a 15:17 | link | commenti
comunismo, cristianesimo

domenica, 04 novembre 2007
Veltroni il "di tutto di più"
 ***

Postato da: giacabi a 17:01 | link | commenti
comunismo, nichilismo

Il pacifista Che Guevara
 ***
 "amo l'odio, bisogna creare l'odio e l'intolleranza fra gli uomini, perché questo rende gli uomini freddi, selettivi e li trasforma in una perfetta macchina per uccidere"
 "sparate alla testa di ogni imperialista che abbia più di sedici anni".
Ernesto Che Guevara
CHE ASSASSINO
se vuoi saperne di più clicca sull'immagine

Postato da: giacabi a 16:48 | link | commenti
comunismo


Il frutto dell’ideologia
 ***
«La causa di questa terribile catastrofe è l'incarnarsi delle utopie socialiste dell'Illuminismo nel tessuto della vita contemporanea. L'uomo dell'Illuminismo respinse Dio con irrisione e si pose il suo posto. Si considerava detentore quasi divino delle verità assolute e ricettacolo della coscienza del mondo. Questa certezza lo spinse a istruire le masse e diventò sorgente di una colossale forza interiore, di quello slancio paternalistico che cercava di disperdere le tenebre dei pregiudizi clericali e nazionali con la luce sfolgorante della verità dell'unica ideologia scientifica. Dal momento però che questi pregiudizi erano radicati ontologicamente nella storia, benedetti dalla chiesa, avevano una profonda e reale vitalità, e quindi mal cedevano il passo all'azione illuminatrice; e l'illuminatore, desiderando essere padrone delle menti del popolo, creò efficienti strumenti di demagogia, rafforzati (perché fossero più convincenti) da uno sbalorditivo terrore. Il messianismo millenarista dell'ideologia tardo illuminista, prendendo il potere nelle proprie mani, cominciò a sacrificare all'idolo del radioso avvenire milioni di propri compatrioti. E mentre il mondo batteva le mani ai giganteschi sforzi illuministici, le popolazioni, irrigidite nella loro incapacità di accogliere la grande ideologia di salvezza, inzuppavano con il sangue le zone dell'Arcipelago.
Ma il volontarismo tardo illuminista non poté costringere uomini a edificare il loro mondo interiore secondo una sua immagine e non creò una nuova antropologia, ma offuscò la coscienza popolare in una atmosfera di sinistro terrore. La Russia cadde nel silenzio. Accanto a noi stanno generazioni mute. Esse attraversarono in silenzio la vita, portando con sé nella tomba il grido inespresso. E sopra il mondo avvolto nel terrore, come un fungo atomico si levò il fantasma nebbioso del socialismo.
E noi che viviamo all'ombra di tali tremendi avvenimenti ci apriamo un varco nel mondo degli spettri socialisti verso la realtà e la storia. Respingendo il conformismo, ci siamo decisi a misure estreme: l'abnegazione, salvare la nostra anima dall'autodissoluzione e dalla morte sotto le volte sante della Chiesa»

editoriale scritto da una comunità di giovani ortodossi russi convertitisi dall'ateismo ed arrestati prima che la loro rivista potesse essere divulgata.
Da: Russia Cristiana, n° 166

Postato da: giacabi a 08:55 | link | commenti
comunismo, illuminismo, ideologia

lunedì, 29 ottobre 2007
Il vero volto del comunismo

LA LEZIONE DEL 28 OTTOBRE…
***
Il 28 ottobre prossimo in Vaticano saranno beatificati 498 martiri della feroce persecuzione religiosa esplosa in Spagna dopo il 1931 e specialmente fra il 1934 e il 1936. Una cerimonia di massa di tali proporzioni non ha precedenti. Aveva cominciato Giovanni Paolo II beatificando nel 1987 tre suore carmelitane che erano state crudelmente massacrate per le strade di Madrid. Poi papa Wojtyla celebrò altre undici cerimonie di beatificazione per un totale di 465 martiri spagnoli. Domenica prossima saranno dichiarati beati 2 vescovi, 24 preti, 462 religiosi e religiose, 2 diaconi, 1 seminarista e 7 laici, tutti vittime di quella persecuzione. Sarà l’occasione per conoscere una delle più sanguinarie tempeste anticristiane scatenate nell’Europa del nostro tempo ad opera dei rivoluzionari repubblicani (una miscela di comunismo, socialismo, anarchia e laicismo).Mai nella storia d’Europa e forse in quella del mondo” ha scritto Hugh Thomas “si era visto un odio così accanito per la religione e per i suoi uomini”. Chiese e conventi (con una quantità di opere d’arte) furono incendiati e distrutti. In pochi mesi furono ammazzati 13 vescovi, 4.184 sacerdoti e seminaristi, 2.365 religiosi, 283 suore e un numero incalcolabile di semplici cristiani la cui unica colpa era portare un crocifisso al collo o avere un rosario in tasca o essersi recati alla messa o aver nascosto un prete o essere madre di un sacerdote come capitò a una donna che per questo fu soffocata con un crocifisso ficcato nella gola.

Molti vescovi o sacerdoti sarebbero potuti fuggire, ma restarono al loro posto, pur sapendo cosa li aspettava, per non abbandonare la loro gente. Non colpisce solo l’accanimento con cui si infierì sulle vittime, inermi e inoffensive (per esempio c’è chi fu legato a un cadavere e lasciato così al sole fino alla sua decomposizione, da vivo, con il morto).

Ma colpisce ancora di più la volontà di ottenere dalle vittime il rinnegamento della fede o la profanazione di sacramenti o orribili sacrilegi. Qua c’è qualcosa su cui non si è riflettuto abbastanza. Faccio qualche esempio. I rivoluzionari decisero che il parroco di Torrijos, che si chiamava
Liberio Gonzales Nonvela, data la sua ardente fede, dovesse morire come Gesù. Così fu denudato e frustato in modo bestiale. Poi si cominciò la crocifissione, la coronazione di spine, gli fu dato da bere aceto, alla fine lo finirono sparandogli mentre lui benediva i suoi aguzzini. Ma è significativo che costoro, in precedenza, gli dicessero: “bestemmia e ti perdoneremo”. Il sacerdote, sfinito dalle sevizie, rispose che era lui a perdonare loro e li benedisse. Ma va sottolineata quella volontà di ottenere da lui un tradimento della fede. Anche dagli altri sacerdoti pretendevano la profanazione di sacramenti. O da suore che violentarono. Quale senso poteva avere, dal punto di vista politico, per esempio, la riesumazione dei corpi di suore in decomposizione esposte in piazza per irriderle? Non c’è qualcosa di semplicemente satanico?

E il giovane
Juan Duarte Martin, diacono ventiquattrenne, torturato con aghi su tutto il corpo e, attraverso di essi, con terribili scariche elettriche? Pretendevano di farlo bestemmiare e di fargli gridare “viva il comunismo!”, mentre lui gridò fino all’ultimo “viva Cristo Re!”. Lo cosparsero di benzina e gli dettero fuoco. Qua non siamo solo in presenza di un folle disegno politico di cancellazione della Chiesa. C’è qualcosa di più. A definire la natura e la vera identità di questo orrore ha provato Richard Wurmbrand, un rumeno di origine ebraica che in gioventù militò fra i comunisti, nel 1935 divenne cristiano e pastore evangelico, quindi subì 14 anni di persecuzione, molti dei quali nel Gulag del regime comunista di Ceausescu.

Anch’egli aveva notato – nei lager dell’Est – questo oscuro disegno nella persecuzione religiosa. In un suo libro scrive: “
Si può capire che i comunisti arrestassero preti e pastori perché li consideravano contro rivoluzionari. Ma perché i preti venivano costretti dai marxisti nella prigione romena di Piteshti a dir messa sullo sterco e l’urina? Perché i cristiani venivano torturati col far prendere loro la Comunione usando queste materie come elementi?”. Non era solo “scherno osceno”. Al sacerdote Roman Braga “gli vennero schiantati i denti uno ad uno con una verga di ferro” per farlo bestemmiare. I suoi aguzzini gli dicevano: “se vi uccidiamo, voi cristiani andate in Paradiso. Ma noi non vogliamo farvi dare la corona del martirio. Dovete prima bestemmiare Iddio e poi andare all’inferno”. A un prigioniero cristiano del carcere di Piteshti, riferisce Wurmbrand, i comunisti ogni giorno ripetevano in modo blasfemo il rito del battesimo immergendogli la testa nel “bugliolo” dove tutti lasciavno gli escrementi e costringevano in quei minuti gli altri prigionieri a cantare il rito battesimale. Altri cristiani “venivano picchiati fino a farli impazzire per obbligarli a inginocchiarsi davanti a un’immagine blasfema di Cristo”.

Si chiede Wurmbrand, “cos’ha a che fare tutto ciò con il socialismo e col benessere del proletariato?
Non sono queste cose semplici pretesti per organizzare orge e blasfemie sataniche? Si suppone che i marxisti siano atei che non credono nel Paradiso e nell’Inferno. In queste estreme circostanze il marxismo si è tolto la maschera ateista rivelando il proprio vero volto, che è il satanismo”.

In effetti il libro di Wurmbrand s’intitola “Was Karl Marx a satanist?” ed è stato tradotto in italiano dall’ “editrice uomini nuovi” col titolo “L’altra faccia di Carlo Marx”. L’autore si spinge, indagando negli scritti giovanili di Marx e nelle sue vicende biografiche, fino a ritenere che trafficasse con sette sataniste. Peraltro nel brulicare di sette e società esoteriche di metà Ottocento sono tante le personalità che hanno avuto strane frequentazioni. E su Marx anche altri autori hanno fatto ipotesi del genere. Wurmbrand sostiene soprattutto che la filantropia socialista non era l’ispirazione vera di Marx, ma solo lo schermo, il pretesto per la sua vera motivazione che era la guerra contro Dio. Realizzata poi su larga scala con la Rivoluzione d’ottobre e quel che è seguito (nei regimi comunisti fatti, correnti, episodi e personaggi che portano in quella direzione sono chiari).

Sul satanismo non so pronunciarmi, ma
gli effetti satanici dell’esperimento marxista (planetario) sono sotto gli occhi di tutti anche se rimossi clamorosamente dalla riflessione pubblica: la più colossale e feroce strage di esseri umani che la storia ricordi e la più vasta guerra al cristianesimo di questi duemila anni. Siccome capita di sentir formulare, in ambienti cattolici, giudizi indulgenti sugli “ideali dei comunisti”, che sarebbero poi stati traditi nella pratica o mal tradotti, è venuto il momento di definire una buona volta la natura satanica dell’ideologia in sé e di tutto quel che è accaduto. Visto che un grande filosofo come Augusto Del Noce da anni ha dimostrato quanto l’ateismo sia fondamentale nel marxismo e niente affatto marginale o facoltativo. La tragedia spagnola, su cui il popolo cristiano non sa quasi niente (e che fu perpetrata anche da altre forze rivoluzionarie e laiciste) dovrebbe far riflettere, se non altro per le proporzioni di quel martirio.

Antonio Socci

Da “Libero”, 21 ottobre 2007


Postato da: giacabi a 17:13 | link | commenti
comunismo, santi, cristianesimo, ateismo, socci

domenica, 28 ottobre 2007
Da : AsiaNews

BIRMANIA
LE FOTO ORRIBILI DELLA VERGOGNA
***
“Carissimi, le parole vengono meno. Queste foto di un monaco assassinato sono state prese in segreto in un obitorio. Pensate quanti molti altri hanno subito lo stesso destino. Vi prego, diffondete queste fotografie a più gente possibile, perché il mondo sappia che c’è bisogno di molto più che a semplice condanna di questi bastardi [della giunta]”.
Con queste parole di dolore e d’ira, attraverso esuli birmani, ci sono giunte le due foto che abbiamo deciso di pubblicare con un avvertimento: sono foto molto crude e violente, forse non adatte a tutti i lettori.

Ma esse sono le foto della vergogna:
1)      Vergogna della giunta, che proprio oggi diffonde alle telecamere di tutto il mondo il suo goffo tentativo di “riconciliarsi” con i monaci buddisti, costringendoli ad accettare doni. Ma siccome le autorità dei monasteri hanno proibito ai loro bonzi di farlo, i militari hanno inscenato una farsa, con falsi monaci, per una falsa riconciliazione. La giunta cerca di far “comprendere” alle autorità buddiste la “necessità” della repressione. Ma queste foto accusano ogni buona intenzione ed esigono domanda di perdono e un cambiamento radicale nel Paese. Secondo fonti diplomatiche, questa nuova repressione del governo militare del Myanmar – che si definisce socialista e laico, ma cerca l’appoggio dei monaci per continuare il suo dominio – è costata a vita a centinaia di persone e l’arresto di oltre 6 mila.
2)      Vergogna per noi, che al di là di qualche sussulto di scandalo verso le violenze dei militari, abbiamo pensato che in fondo si tratta solo della soppressione di alcune manifestazioni, quando invece si tratta di un sistema che uccide, ammazza, schiavizza una popolazione di quasi 50 milioni di persone.
3)      Vergogna per l’Onu e la comunità internazionale, che non trova strumenti efficaci per garantire la democrazia a un popolo che l’ha scelta da tempo. Il problema è che si tratta con la giunta solo con il minuetto diplomatico, mentre occorre dare voce alla società civile mondiale per affrontare quella che è un’emergenza umanitaria. Occorre che la Croce Rossa internazionale possa andare in Myanmar a visitare le prigioni; che l’Ufficio Onu del lavoro visiti gli schiavi dei lavori forzati; che le Ong possano svolgere un lavoro a favore della popolazione impoverita dal dominio e dal commercio della giunta con Cina, India e Thailandia.

Papa Benedetto XVI ha chiesto a tutto il mondo di pregare per il popolo del Myanmar e per la “dolorosa prova” che sta attraversando, molto simile al martirio dei Santi Innocenti che, senza conoscerlo, hanno testimoniato per Cristo con il sangue, spazzati dalla furia del potere bestiale.

ATTENZIONE: LE FOTO SONO MOLTO CRUDE E FORSE NON ADATTE A TUTTO IL PUBBLICO
Per vedere le foto clicca qui sotto
m

Postato da: giacabi a 20:24 | link | commenti
comunismo

sabato, 13 ottobre 2007
Birmania: dove nasce la ribellione dei monaci
***

È la prima volta, da quasi vent'anni, che sui media internazionali si parla della Birmania (o Myanmar), Paese quasi sempre dimenticato. Dal 1962 è oppresso da una dittatura militar-socialista (o meglio, comunista), che schiaccia il popolo ma non rappresenta alcuna minaccia diretta per l'Occidente. Dalla metà dell'agosto scorso, a causa dell'aumento improvviso del prezzo di benzina e gasolio che ha tagliato le gambe alla piccola economia, il popolo è sceso nelle piazze e a settembre si sono uniti i monaci buddhisti, anch'essi sfilando per le città nelle loro tuniche color zafferano-rosso. Per un po' di giorni i militari non hanno reagito, poi s'è scatenata la repressione che ha rapidamente eliminato il fastidioso spettacolo, trasmesso da tutte le televisioni del mondo.
Era dal 1988 che non si verificava in Birmania una ribellione popolare su scala nazionale, iniziata dalla protesta degli studenti per la frequente chiusura delle scuole superiori e delle università. Com'è noto, allora la giunta militare aveva dovuto lasciare una qualche libertà alle opposizioni, a causa delle forti pressioni internazionali. Nel 1990 si erano tenute delle "libere" elezioni, dalle quali uscì trionfante la Lega per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, mentre il Partito socialista birmano dei militari aveva avuto il 10% dei voti. Qualche anno dopo tutto era tornato come prima: la Suu Kyi non ha mai governato, i suoi deputati eletti erano finiti in prigione o fuggiti all'estero.
C'erano state alcune migliaia di morti, ma molti arrestati in quelle manifestazioni erano finiti ai lavori forzati. Visitando la Birmania nel 1993, ho visto io stesso file di uomini legati a due a due con catene ai piedi e sorvegliati dai militari col fucile puntato, che costruivano la strada ai confini con la Thailandia (confine di Thachileik). Uno spettacolo da brividi, tanto più che mi accompagnava diceva: «Muoiono come mosche, vivono in capannoni di paglia, con poco cibo, senza riparo dal caldo e freddo dei monti e senza assistenza medica; e la grande maggioranza sono uomini di città, non più abituati a lavori pesanti e alla vita in foresta». Si teme che anche la recente ribellione con i monaci in prima fila finisca allo stesso modo, nonostante le pressioni internazionali, inconcludenti per il semplice motivo che dal 1990 a oggi la Birmania ha acquistato un potente protettore nella Cina comunista, oggi tornata alla ribalta come grande potenza e bisognosa di avere uno sbocco sull'Oceano indiano. Un testimone oculare un anno fa circa mi scriveva: «I militari stanno costringendo i contadini a coltivare l'oppio per loro e fanno della Birmania il maggior esportatore del mondo... Oggi la Cina rifornisce i militari di armi per ripagare i legni pregiati, i minerali, il gas e il petrolio; costruiscono strade, ci inondano dei loro prodotti».
I cinesi sono già in Birmania, "colonizzano" alcune regioni tribali di confine che sono autonome. Ne ho visitato una nel 2002, con la loro piccola capitale Mong Lar invasa dai cinesi: scritte cinesi, taxi cinesi, moneta cinese, ristoranti cinesi, lavori cinesi che modernizzano la città con palazzi mai visti da quelle parti, canalizzano l'acqua, assicurano elettricità e acqua corrente. È facile capire perché Cina e Russia si oppongono alle sanzioni decretate dall'Onu. Oltre all'interesse economico e strategico di queste due potenze c'è il fatto, di cui assolutamente non si parla, che il colpo di stato che il 2 marzo 1962 ha portato le forze armate al potere assoluto non era fatto solo da "militari", ma da militari "socialisti", cioè in pratica "comunisti", che si ispiravano ai modelli di sviluppo della Russia staliniana e della Cina maoista. L'hanno dimostrato subito quando hanno varato in quell'anno 1962 il Lanzin, cioè "la via birmana al socialismo", un socialismo "ispirato al buddhismo", anche se poi di buddhista non ha assolutamente nulla. Nel "Programma" del Lanzin, tra le idee di base da cui partire per una società nuova, si legge: «Al posto di dio (minuscolo) bisogna mettere l'uomo, che è l'essere supremo... La filosofia del nostro partito è una dottrina puramente mondana e umana. Essa non è una religione... La storia dell'umanità è non solo storia di nazioni e di guerre, ma anche di lotta di classe. Il socialismo intende mettere fine a questo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. L'ideale del socialismo è una società prospera, ricca, fondata sulla giustizia. Non c'è posto per la carità. Noi faremo di tutto, con metodi appropriati, per eliminare atti e opere di falsa carità e assistenza sociale. Lo stato pensa a tutto. Nutrire ed educare i figli dei lavoratori sarà esclusiva responsabilità dello stato, quando ci saranno abbastanza risorse economiche. L'attività di imprese sociali fondate sul diritto di proprietà privata è contro natura e non fa che sfociare in antagonismi sociali. La proprietà dei mezzi di produzione deve essere sociale... Un'azione può essere considerata come retta, morale, solo quando serve agli interessi dei lavoratori. Per un uomo, lavorare tutta la vita per il benessere dei suoi concittadini e per quello dell'umanità in spirito di fratellanza è il "Programma delle Beatitudini" per la Società dell'Unione Birmana».
In base a questi principi, uno dei primi decreti del governo è l'abolizione del buddhismo come "religione di stato" (lo era da subito dopo l'indipendenza del 1948). Poi il governo nazionalizza le banche, le industrie, le piccole e medie aziende artigianali, i negozi e le terre, i giornali e le radio, gli alberghi e i ristoranti e via dicendo. Scomparsa la proprietà privata, tutto è dello Stato, che orienta ogni cosa al bene pubblico. Infine, il 31 marzo 1964 vengono requisite le scuole e le strutture sanitarie private (con le loro terre e mezzi di trasporto: ai proprietari restano solo i debiti), in buona parte cattoliche e protestanti (soprattutto battiste e anglicane). Il regime nel 1966 espelle tutti i missionari entrati in Birmania dopo il 1964, fra i quali trenta del Pime, mentre altri trenta arrivati prima rimangono. Poi, a poco a poco, il governo si è accorto che avrebbe scontentato troppo il popolo e ha lasciato sopravvivere le religioni; fino al punto che i buddhisti si sono riconciliati e hanno appoggiato la giunta, che assicurava comunque stabilità a un Paese che nei 14 anni del governo democratico (1948-1962) aveva conosciuto la guerra civile. La svolta è avvenuta nel 1988 e da allora fino a oggi i buddhisti sono stati all'opposizione.
Occorre spiegare come mai il buddhismo, che predica il distacco dalle cose mondane, la rinunzia a tutto, l'accettazione passiva per assicurarsi una rinascita più felice, in Birmania oggi si impegna contro il governo. In sintesi, si può dire che la rinascita del buddhismo nel mondo moderno (parlo soprattutto della "piccola via", l'hinayana, praticata in Sri Lanka, Birmania, Thailandia, Cambogia e Laos) è iniziata alla fine dell'Ottocento col nascere del nazionalismo in questi Paesi allora colonizzati (eccetto la Thailandia). L'identità nazionale comprendeva la lingua, la storia e naturalmente la religione e la cultura buddhista, radicatissime in quei popoli. Questo movimento ha portato i bonzi, i monaci e i fedeli laici a capire che la loro religione, secondo i principi dottrinali antichi e la tradizione storica, non poteva sopravvivere nel mondo moderno, che dava importanza alla scuola, alla politica, all'organizzazione popolare, al benessere sociale. I nazionalismi in Asia sono stati tutti ispirati alle religioni popolari: basta pensare al Pakistan e, oggi, allo Sri Lanka, con la guerra civile fra maggioranza singalese buddhista e la minoranza tamil hindù.
Il rinnovamento del buddhismo ha avuto vari aspetti: modernizzazione delle scuole dei monasteri, fondazione di centri di studio e università buddhiste, inizio di associazioni laicali, fondazione di molte opere sociali per il popolo (a imitazione delle missioni cristiane), che prima assolutamente non esistevano. Ho visitato l'università buddhista di Kandy, in Sri Lanka, e mi sono reso conto della complessità del buddhismo, a partire dalla difficoltà di stabilire quali sono i testi di Buddha. Il vescovo di Kandy (che ha studiato in quella università) mi diceva che oggi i testi della tradizione in varie lingue (sanscrito e pali soprattutto) attribuiti a Buddha, che sono le Sacre Scritture del buddismo, sono 11 volte più lunghi dell'intera Bibbia (che ha 72 libri canonici). Gli studi critici, iniziati da studiosi inglesi e tedeschi poco più d'un secolo fa, sono praticamente ancora agli inizi, nel mare magnum di questa letteratura (anche in singalese, birmano, thailandese, cambogiano, vietnamita, ecc.). Scientificamente non è ancora possibile dire cosa ha detto o non detto Buddha. Questo vale anche, in misura minore, per Maometto e il Corano!
Tutto ciò non impedisce al buddhismo popolare birmano non solo di sopravvivere, ma di avere una seconda giovinezza e di essere sempre più l'anima del popolo, anche come unica forza di opposizione, data la pratica eliminazione di tutte le altre. La discesa in campo così massiccia dei monaci buddhisti contro il governo nel settembre scorso è il chiaro indice di come la situazione sia diventata insopportabile.
Inutile aggiungere altro. Se non riesce la pacifica rivolta popolare guidata e animata dai bonzi, per Myanmar si aprono scenari ancora più cupi: potrebbe diventare, per interposto governo "locale", una provincia cinese. I governi europei e quello italiano cosa fanno? L'unica minaccia efficace di boicottaggio spontaneo dell'Occidente sarebbe di non partecipare alle Olimpiadi del 2008 a Pechino, ma mi pare che non ci siano ancora state proposte e dibattiti seri in questo senso, nemmeno in Italia dove abbondano i democratici, i pacifisti e i gruppi pronti a mobilitarsi per i diritti dell'uomo. Per quale motivo?

Pietro Gheddo

Una povertà sempre più feroce. Un governo che schiaccia il popolo. E un regime che da quarant'anni pretende di eliminare Dio, "perché l'uomo è l'unico essere supremo". Per Tracce.it padre Piero Gheddo, storico missionario del Pime, spiega cosa c'è davvero alla radice della tragedia che sta dilaniando il Paese orientale.
 

Postato da: giacabi a 08:53 | link | commenti (2)
comunismo

martedì, 09 ottobre 2007
Che Guevara sconosciuto
***
Massimo CAPRARA

tratto da: Il Timone, anno 4 (2002) luglio/agosto, n. 20, p. 18s.

Spietato e crudele. Responsabile del sistema di repressione di migliaia di dissidenti e oppositori. Ecco quel che non si sa, o non si vuol dire, di Che Guevara, compagno di lotta del dittatore comunista Fidel Castro e idolo di tanti pacifisti cattolici


[...] Regis Debray, l'intellettuale francese oggi vivente che [...] raggiunse [Guevara] in Bolivia, ha scritto molto su di lui e sulla sua condotta nel libro "Révolution dans la révolution" e "Loués saient nos seigneurs le Che", edito a Parigi da Gallimard nel 1996. Egli ha tracciato un disincantato e veritiero affresco sulle incarnazioni del castrismo, come "lunga marcia dell'America Latina" e sulle sue diverse varianti. Che Guevara materializza quella più irriducibile, severa, spietata e crudele. A mezza strada tra la violenza proto-bolscevica della Ceka e della GPU e la ferocia primordiale perpetrata nelle campagne cinesi dal maoismo. Per Debray, egli è "il più austero tra i praticanti del socialismo". E' un medico, afflitto sin dal 1930 (era nato il 14 luglio del 1928 nella città di Rosario) da un inguaribile asma che lo farà soffrire nelle sue trasferte guerrigliere in Africa e in America Latina. Forse anche per questo egli è in grado di conoscere le tecniche più dolorose della punizione e segregazione per i dissidenti detenuti. Un'inflessibile ideologia con il corredo di una raffinata metodologia di persecuzione fisica.

Il Che, sin dalla clandestinità, polemizza duramente con i combattenti del "Llano", la pianura, contrapponendo alla loro malleabilità la durezza di condotta osservata in montagna, nella Sierra. Attacca Castro per lo scarso rigore e lo definisce per un pezzo, sprezzantemente, come "il leader radicale della borghesia di sinistra", sensibile alle sirene del politicantismo. Egli è in linea pregiudiziale sempre "favorevole ai processi sommari" e di lui si ricorda l'ingiunzione perentoria ai ribelli venezuelani: "Prendete un fucile e sparate alla testa di ogni imperialista che abbia più di quindici anni". Al punto che Debray, riassumendo, lo caratterizza come un "dogmatico, freddo, intollerante che non ha nulla da spartire con la natura calorosa e aperta dei cubani". Intelligente e risoluto, generoso ed egualitario con i suoi, inflessibile con i nemici, comanda energicamente il secondo Fronte di Las Villas nella conquista dell'esercito ribelle a Cuba. Durante l'avanzata, nel 1957, si distingue per l'efferatezza con la quale interpreta il suo modo di essere rivoluzionario e di liquidare nemici e presunti traditori. Eutimio Guerra, un guerrigliero, viene accusato di avere avuto una collusione con il nemico, cioè con l'esercito del dittatore Fulgencio Batista, e immediatamente deferito ad un'improvvisata Corte marziale. Il Che anticipa il verdetto. Raccontò successivamente un suo commilitone detto "Universo": "io avevo un fucile e in quel momento il Che tira fuori una pistola calibro 22 e pac, gli pianta una pallottola qui. Che hai fatto? Lo hai ucciso. Eutimio cadde a pancia in su, boccheggiando".

Nell'anno della "liberazione" di Cuba che è il 1959, il Che viene convocato da Castro e il 7 settembre riceve l'incarico provvisorio di Procuratore militare. E' una convulsa ma intensa fase della nuova Cuba che ne prefigura i caratteri sociali e civili, che deve giudicare i collaborazionisti con il passato regime, processarli e soprattutto toglierli dalla circolazione.
L'anno dopo, ai primi di gennaio, si apre a Cuba il primo "Campo di lavoro correzionale" (ossia di lavoro forzato). E' il Che che lo dispone preventivamente e lo organizza nella penisola di Guanaha. Trecento ottantuno prigionieri, arresisi alle truppe castriste sull'Escambray, vengono radunati, incarcerati a Loma de los Coches e tutti fucilati.

Jesus Carrera, anticastrista che è stato ferito negli scontri, chiede la grazia. Il Che gliela rifiuta ritenendolo un antagonista personale del capo Fidel. La stessa sanguinosa procedura viene riservata a Humberto Sori Marin per il quale aveva chiesto misericordia la madre. Sotto l'impegnativa e organica inclinazione del Che, prende corpo la "DSE". Il Dipartimento della Sicurezza di Stato, noto anche con il nome di "Direcciòn general de contra-intelligencia". Un dettagliato regolamento elaborato puntigliosamente dal medico argentino, fissa le punizioni corporali per i dissidenti recidivi e "pericolosi" incarcerati: salire le scale delle varie prigioni con scarpe zavorrate di piombo; tagliare l'erba con i denti; essere impiegati nudi nelle "quadrillas" di lavori agricoli; venire immersi nei pozzi neri.

Marta Frayde, già rappresentante di Cuba all'Unesco e, dopo i primi anni, incarcerata, ha descritto le celle riservate ai "corrigendi": sei metri per cinque, ventidue brandine sovrapposte, in tutto quarantadue persone in una cella. Le accuse nei Tribunali sommari rivolte ai controrivoluzionari vengono accuratamente selezionate e applicate con severità: religiosi, fra i quali l'Arcivescovo dell'Avana, Monsignor Jaime Ortega; adolescenti e bambini; omosessuali. La fortezza La Cabana di Santiago viene utilizzata come centro di smistamento. Il procuratore Guevara Lynch illustra a Fidel Castro e applica un "Piano generale del carcere", definendone anche la specializzazione. Vengono così organizzate le case di detenzione "Kilo 5,5" a Pinar del Rio. Esse contengono celle disciplinari definite "tostadoras", ossia tostapane, per il calore che emanavano. La prigione "Kilo 7" viene frettolosamente fatta sorgere a Camaguey: una rissa nata dalla condizioni atroci procurerà la morte di quaranta prigionieri. Il campo di concentramento La Cabanas ospita le "ratoneras", buchi di topi, per la loro angustia. La prigione Boniato comprende celle con le grate chiamate "tapiades", nelle quali il poeta Jorge Valls trascorrerà migliaia di giorni di prigione. Il carcere "Tres Racios de Oriente" include celle larghe un metro, alte un metro e ottanta centimetri e lunghe dieci metri, chiamate "gavetas". La prigione di Santiago "Nueva Vida" ospita cinquecento adolescenti. Quella "Palos", bambini di dieci anni; quella "Nueva Carceral de la Habana del Est", omosessuali dichiarati o sospettati. Ne parla il film su Reinaldo Arenas "Prima che sia notte", di Julian Schnabel uscito nel 2000.

Il Che lavora con strategia rivolta non solo al presente ma al futuro Stato ditattoriale. Nel corso dei due anni passati come responsabile della Seguridad del Estado, avendo come collaboratore Osvaldo Sanchez che era esperto principale comunista, si materializza la persecuzione contro la Chiesa. Pascal Fontanie, nel suo libro "America Latina alla prova", calcola che centotreuntuno sacerdoti hanno perduto la vita fino al 1961 nel periodo in cui Guevara era artefice massimo del sistema segregazionista dell'isola. Viene definito "il macellaio del carcere - mattatoio di La Cabana". Si oppone con forza alla proposta di sospendere le fucilazioni dei "criminali di guerra". Più che da Danton discende dall'incorruttibile, l'«incorruttibile» Robespierre. Quando ai primi del 1960 a lui viene assegnata la carica di Presidente del Banco Nacional, Fidel lo ringrazia con calore per la sua opera repressiva. Egli ne generalizza ancor più i metodi per cui ai propri nuovi collaboratori, per ogni minima mancanza, minaccia "una vacanza nei campi di lavoro di Guanahacabibes". Il medico argentino, il più coerente leninista dell'America Latina, il meno reticente delle proprie idee e propositi pratici, è l'autentico motore di una ideologia totalitaria e di una macchina penitenziaria statale. La sua azione, esplicitamente ispirata ad una concezione coercitiva, impersona, come egli scrisse:
"l'odio distruttivo che fa dell'uomo un'efficace, violenta, selettiva, fredda macchina per uccidere".

Postato da: giacabi a 17:42 | link | commenti
comunismo

sabato, 06 ottobre 2007

Il monaco non attira l’Italia delle marce della pace
***
Toni Capuozzo su "Il Foglio" del 28 settembre 2007

D’accordo, l’antipolitica. D’accordo: l’Afghanistan, Kyoto, l’Iran. Ma perché le tavole per la pace, le bandiere, i cappellani digiunatori, perché non c’è indignazione, solidarietà, entusiasmo, calore umano per quello che sta avvenendo in Birmania? Perché succede, con i colori ocra dei monaci, la stessa cosa che è successa con le rivoluzioni pacifiche e arancioni dell’est europeo, e cioè distanza, indifferenza?
D’accordo, a Kiev c’era un leader butterato e un’eroina che sembrava uscita da Heidi, e dall’altra parte la nostalgia. D’accordo, Aung San Suu Kye non ha un blog, non ha il passamontagna del subcomandante Marcos né il basco rosso di Chávez, né una mantellina india da presidente boliviano o da Rigoberta Menchù, ma il suo eterno confino domiciliare e ancor di più quella fotografia timida scattata con un cellulare da un monaco dovrebbe valere come un piccolo logo artigianale, o no? E invece stanno tutti a guardare quel che succede, così. E può succedere un bagno di sangue, anche se la truppa è stanca di reprimere. Può succedere una fuga della giunta, stracarica di bottino. Può succedere un’operazione cosmetica, con deposizione del decrepito Than Shwe. Ma intanto che aspettiamo che qualcosa succeda i monaci continuano. Sono soprattutto novizi, anche se nelle cariche è rimasto ferito pure un’ottantenne. I samanera, i novizi, per tre mesi conducono in monastero un’austera vita di meditazione, preghiera e studio dei testi religiosi. L’iniziazione avviene con una cerimonia detta shinbyu durante la quale, in segno di rinuncia ai valori materiali, dopo esser rapati a zero abbandonano gli abiti civili, sostituiti dal manto color arancione. Una volta concluso il periodo di noviziato chi decide di proseguire con la vita monastica può ricevere l’ordinazione religiosa, diventando monaco a tutti gli effetti. La schiera di monaci che manifesta per le strade è composta prevalentemente da novizi che, terminata l’esperienza in monastero, torneranno alla propria realtà quotidiana, costellata di enormi difficoltà. Anche nel 1988 i monaci ebbero un ruolo di rilievo: il regime rispose screditando pubblicamente quelli più in vista – donne e soldi le puntuali accuse inventate – e imponendo di sostituirli con altri facilmente manovrabili. Trascorsi quasi due decenni, ai vertici dei principali monasteri sono tornati monaci che imputano, correttamente, alla situazione politica le enormi sofferenze che attanagliano la popolazione. I testi sacri del buddismo Theravada sostengono che quando la società è nelle mani di persone che agiscono seguendo le indicazioni dell’Illuminato, al popolo si prospetta una vita felice. Altrimenti, è giusto marciare a piedi nudi inneggiando al Metta Sutta, i cantici del Buddha con cui si invita a trattare il prossimo con amore universale, rispetto, comprensione e gentilezza. Ho un debito infantile, con quei monaci, a causa di un film che mi colpì molto, e credo si intitolasse “L’arpa birmana”. Era la storia di un monaco che percorreva i campi di battaglia componendo le vittime. Adesso sono loro stessi le vittime, ma non si muove nulla, contano quanto conta la morte di un deputato libanese antisiriano, cioè niente. Eppure un po’ di multilateralismo nelle proteste diplomatiche c’è, e nel Consiglio di sicurezza solo Cina e Russia fanno orecchi da mercante.
Che cos’è che rende silenziosa l’Italia delle marce della pace, dei balconi imbandierati, dell’altro mondo possibile? Che cos’è che rende così poco eroici i monaci anche in quel mondo da tisane e spiritualismo di serie B che è il Buddha bar all’italiana? Non credo sia la via birmana al socialismo che i generali hanno pudicamente tralasciato di inalberare, dopo il bagno di sangue dell’88. Forse non è neppure quella non violenza così disarmante. Forse è solo che la religione, quando si fa motore di storia, insospettisce. O meglio: insospettì in Polonia, non insospettisce a Gaza, a Baghdad, a Peshawar. E allora? Forse è solo un dettaglio: che i monaci non sono antiamericani, che non si immolano nel fuoco come fecero i loro confratelli per protesta contro il regime fantoccio di Diem in Vietnam, e che George W. Bush, appoggiandoli, li ha condannati a essere poco simpatici.
.

Postato da: giacabi a 09:59 | link | commenti
comunismo

venerdì, 28 settembre 2007
BIRMANIA:
LA LIBERTA’ RELIGIOSA
NON E’ UN OPTIONAL
***


Assistiamo sgomenti a quello che sta accadendo in Birmania e la nostra sensibilità occidentale amante della libertà e dei diritti umani stenta a comprendere il perché di tale orrore che vede un governo andare contro tutto il popolo da esso governato. Per cercare di capire si potrebbe tentare di partire da alcuni punti fermi assodati.
Un primo dato di fatto è che il partito dei militari al potere è
"socialista" cioè si ispira a un'ideologia marxista-
comunista che, alla fine, per resistere di fronte al suo fallimento, deve fare ricorso alla forza totalitaria (e purtroppo anche la Cina sostiene i militari birmani).
Un’altra evidenza è che solo intorno ai Monaci si è coalizzata la popolazione che si oppone al regime autoritario e ciò lascia intendere che la religione è un fattore determinante nella società ed ha un ruolo pubblico fondamentale nella costruzione (e tutela) della democrazia...
Legittimo quindi il sospetto che non sia la
religione l’oppio dei popoli ma le ideologie che
narcotizzano le coscienze o le zittiscono (pensiamo al premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi e alle sue vicende)
E’ dunque altrettanto ovvio riconoscere che la libertà religiosa non è un optional per la democrazia, ma un prerequisito indispensabile.
Un ultimo aspetto da non trascurare è che nei Paesi occidentali, di solito sempre così attenti ai "diritti" dei popoli oppressi (palestinesi, irakeni, ecc.), i mezzi di informazione (salvo rare eccezioni) hanno praticamente ignorato per settimane quanto stava accadendo, forse per non essere costretti ad ammettere l’evidenza di un regime totalitario marxista-comunista che opprime il popolo e che solo intorno a dei religiosi (i Monaci buddisti) si è potuto creare questo grande movimento di protesta che speriamo non finisca in un bagno di sangue.
SamizdatOnLine
La Chiesa Birmana lancia una campagna nazionale di preghiera - Mentre continuano le proteste anti-giunta dei monaci buddisti, che gridano " democrazia" per le strade della capitale, l'arcivescovo di Yangon invita le diocesi di tutto il territorio ad unirsi in preghiera e fare il possibile per aiutare la popolazione e la nazione

Postato da: giacabi a 21:13 | link | commenti
comunismo

sabato, 22 settembre 2007
La sinistra europea
***


«La sinistra europea è antifascista, non antitotalitaria
G. Orwell


 

Postato da: giacabi a 21:15 | link | commenti
comunismo

lunedì, 20 agosto 2007
La menzogna del comunismo
                     ***
Il 5 marzo 1953, alle ore 21,50, moriva Giuseppe Stalin. Per causa sua, e dell'ideologia comunista, milioni di uomini furono processati, torturati, imprigionati, condannati ai lavori forzati ed infine sterminati.

 l'Unità, giornale del Partito Comunista Italiano, scriveva:
"I comunisti e i lavoratori italiani, inchinano le loro bandiere dinanzi al Capo dei lavoratori di tutto il mondo, al difensore della pace, al costruttore della società socialista, all'Uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso del genere umano"lUnità =menzogna

 

Postato da: giacabi a 21:48 | link | commenti
comunismo

venerdì, 17 agosto 2007
Il Comunismo
                     ***
"Il comunismo, nonostante tutta la sua incredibile forza, soffre di debolezza spirituale. Esso indietreggia davanti alla volontà ferma anche di un singolo individuo. Quando un uomo decide di resistere sino alla fine, senza curarsi della vita, il comunismo è impotente, perché non può vincerlo neppure uccidendolo: davanti a quest'uomo il comunismo è sconfitto. Bisogna solo decidersi realmente, non assumere una posa, ma disporsi al sacrificio".
"il comunismo ha una gran paura della religione e dell'arte, ma solo quando l'arte e la letteratura esprimono la sofferenza dell'uomo e la sua ricerca spirituale. Se invece l'artista si crede autosufficiente e concepisce l'arte come puro divertimento o come mezzo di sfogo a risentimenti e rancori, quest'arte si rivela pericolosa per chi la usa e non per il comunismo".
 Solzenicyn Ricostruire l'uomo, La Casa di Matriona, 1984

Postato da: giacabi a 21:32 | link | commenti
comunismo, solzenicyn

mercoledì, 04 luglio 2007
 VERITÀ E RAGIONE
NELLA STORIA
AUGUSTO DEL NOCE - Verità e ragione nella storia
Verità e ragione nella storia
Augusto Del Noce
a cura di Alberto Mina
384 pagine
10.20 €
da: www.illfoglio.it 16/06/2007

Il rifiuto del mistero della vita, del soprannaturale.
L’idea che il verificabile
sia la sola realtà e che l’uomo sia autosufficiente.
A salvarci, semmai, ci penserà la
scienza. Eccolo, secondo il filosofo cattolico
Augusto Del Noce (1910-1989), il marchio
di fabbrica della modernità: un razionalismo
ateo, vero e proprio dogma che fa da
sottofondo a tutte le ideologie totalitarie
del Novecento. Da Cartesio in su, dunque,
la modernità nasce da un opzione della ragione:
Dio non c’è, altrimenti l’uomo dipenderebbe
da qualcosa che non è sè stesso.
Ma attenzione, ci avverte Del Noce: questo
ateismo, questo divorzio tra fede e ragione,
è appunto una scelta aprioristica, un “postulato”,
non l’inesorabile destino dell’occidente.
Per il filosofo torinese (d’adozione,
essendo nato a Pistoia) non si tratta di cancellare
la modernità e di rifugiarsi nel passato,
piuttosto è il momento di raccogliere
la sfida che una certa idea di ragione germogliata
negli ultimi secoli ci pone. Considerazioni
di stretta attualità, sviluppate da
Del Noce trenta, quaranta, cinquant’anni
fa. Riscoperto già da qualche anno grazie
al lavoro di una pattuglia di studiosi raccolti
a Savigliano (Cuneo) dal professor
Giuseppe Riconda intorno alla Fondazione
Centro Studi che porta il nome del grande
filosofo, il pensiero delnociano viene adesso
condensato in una antologia di scritti appena
uscita dalla Biblioteca Universale
Rizzoli nella collana “I libri dello spirito
cristiano”. Il volume, intitolato “Verità e ragione
nella storia”, curato da Alberto Mina,
uno dei massimi specialisti del pensatore
piemontese, e con l’introduzione dello stesso
Riconda, contiene una selezione di testi
tratti da alcune delle opere più importanti
di Del Noce (“Il problema dell’ateismo” del
1964; “Il suicidio della rivoluzione” del
1978) oltre che articoli apparsi su riviste
specializzate, interventi preparati in occasioni
di conferenze, interviste. Prima di
ogni sezione con le riflessioni del grande
studioso su un determinato argomento, una
scheda introduttiva redatta da Mina consente
al lettore di acciuffare gli aspetti essenziali
del discorso. Tutta la prima parte
del libro è quindi dedicata alle origini della
filosofia moderna, all’ambiguità di Cartesio
dal quale paradossalmente scaturiscono,
secondo Del Noce, anche quei pensatori
come Malebranche, Pascal, Vico,
Gioberti, Rosmini, che rappresentano
un’alternativa “ontologista” al razionalismo.
“Perché – scrive Alberto Mina – tutte
le opere di Del Noce sono da leggersi come
tasselli di questa faticosa ricostruzione che
ha lo scopo di riaprire il problema che il
razionalismo vorrebbe chiudere, proprio in
merito al mistero dell’essere e della vita
dell’uomo”. Un’impostazione che legge il
marxismo, altro grande tema al centro di
questa antologia, nei termini di una filosofia
anticristiana che vuole “rifare completamente
il mondo”. Marx, osservava Del Noce,
voleva realizzare il rifiuto radicale di
ogni dipendenza dell’uomo da Dio, ma laddove
il comunismo si è realizzato ecco verificarsi
invece la peggiore schiavitù dell’uomo
sull’altro uomo. “La completa riuscita
del marxismo – scrive Del Noce – coincide
col suo completo scacco”. E’ l’“eterogenesi
dei fini”, una categoria mutuata da Giambattista
Vico, il rovesciarsi delle speranze
e delle profezie dei rivoluzionari dell’Ottocento
nel loro contrario, perché quelle utopie
distillate in laboratorio, abolendo Dio,
uccidono l’uomo e il senso della realtà.
“Del Noce – nota ancora Mina – parla dell’inevitabile
decomposizione del marxismo
in decenni di egemonia comunista: il tratto
profetico che gli è stato riconosciuto deriva
dall’estrema serietà con la quale ha fatto i
conti da subito con il marxismo per quello
che esso è”. Posizioni che gli sono costate
l’isolamento da parte dell’intellighenzia
laica, oltre che una certa freddezza del
mondo cattolico-progressista. Sì, perché dopo
uno sbandata per il pensiero cattolico
democratico negli anni Quaranta, il filosofo
e politologo Del Noce approda ad un giudizio
poco conciliante nei confronti dei cosiddetti
“cristiani adulti”. Gratta gratta, è come
se ci mettesse sull’avviso lo studioso, al
fondo del catto-comunismo trovi Pelagio, il
monaco bretone che nei primi secoli cristiani
arriva a negare il peccato originale,
sostenendo che l’uomo può salvarsi con le
sue sole forze. Il “male assoluto”, insiste
Del Noce, non è il fascismo, ma è questa
perdita del sacro (dunque della verità dell’umano)
nella quotidianità della vita, perdita
di cui fascismo e comunismo sono entrambi
figli. Il “male” è in questo “separatismo”
tra vita e opere, grazia e natura, vita
pubblica e privata, fede e ragione. E i
cattolici che abitano la storia convinti che
la sola lettura possibile della vicenda umana
sia quella dello schema fascismo-antifascismo,
modernità-reazione, vanno a rimorchio
di categorie altrui e si condannano all’insignificanza.
Del Noce, che mai fu fascista
considerando il movimento di Mussolini
un momento del percorso verso l’ateismo
e dunque un errore dentro la cultura
moderna e non contro di essa, analizza in
profondità il rapporto tra Giovanni Gentile
e Antonio Gramsci. Il libro ne dà conto,
ricordando come entrambi immaginassero
una “rivoluzione” nella quale la politica
sostituisse la religione. Ma questa cultura,
argomenta il filosofo, favorisce l’insorgere
di una società scientista (“il prodursi dello
scientismo – scriveva Del Noce – indica
sempre una crisi della filosofia”), sazia, ma
omologata. Una società sempre più borghese,
dalla mentalità radicale, prigioniera
dei suoi intellettuali dissacratori custodi
di un nichilismo per il quale “l’umanità
è considerata come mezzo e non come fine”.
Del Noce sperimentò la possibilità di
un’alternativa incontrando negli anni Settanta
i giovani di Cl. “Occorre una fede –
annotava – che salva la religione liberandola
dall’idolatria di se stessa, dal razionalismo”.
“Una fede – conclude Alberto Mina
– che continuamente contrasti il tentativo
di ridurre la ragione e di sterilizzarne
l’efficacia”.
 (Mauro Pianta)

Postato da: giacabi a 22:13 | link | commenti
comunismo, nichilismo, del noce, senso religioso

Il Comunismo
visto da don Milani
***
«Gli intellettuali comunisti, quasi tutti borghesi, sono i nostri nemici. Quasi tutti gli intellettuali borghesi sono i nostri nemici. Sono loro che vogliono quel laido "compromesso" fra gli sfruttati e gli sfruttatori. Lo vogliono in nome di Cristo e di Marx. Sono proprio dei figli di puttana!».
*********************************
« I capi del comunismo affermano che la loro ideologia viene da lontano e andrà lontano. Non è vero. Il comunismo viene da pochi decenni di storia e va avanti strisciando e speculando tra le innumerevoli miserie della terra. Dove è al potere ne lenisce qualcuna e ne fa nascere altre, ma di questo fallimento riesce a imporre che solo pochi ne parlino. Anche i serpi strisciano rapidamente, si ambientano alle asprezze del terreno, le superano ed attaccano per difendere le loro zone di influenza, ma non vanno lontani».
don Milani

Postato da: giacabi a 15:26 | link | commenti
comunismo, don milani

lunedì, 25 giugno 2007
IL COMUNISMO
 VISTO DA DON MILANI
***
 Il comunismo è la mediazione e l’organizzazione politica di ogni male, alfine di consentire ad una classe dirigente parassitaria e brutale, la gestione di ogni forma di potere sulle spalle degli ultimi
Don Lorenzo Milani


Postato da: giacabi a 15:27 | link | commenti
comunismo, don milani

domenica, 10 giugno 2007
In Cina si ripete il massacro di Tiananmen; l’occidente dimentica i diritti umani
 04/06/2007 10:18
CINA
Lu Decheng: In Cina si ripete il massacro di Tiananmen; l’occidente dimentica i diritti umani
Parla l’uomo che 18 anni fa ha lanciato uova e vernice contro il grande ritratto di Mao, alla vigilia del massacro contro studenti e operai. Per Lu Decheng la situazione attuale in Cina è simile, se non peggio, a quella dell’89.

Roma (AsiaNews) – “Voi occidentali commerciate con la Cina e non vi preoccupate della schiavitù che vi è diffusa; dite che la Cina è cambiata e tacete sulle violenze, i laogai e le mancanze di libertà. A causa di questo nel Paese ci sono rivolte e tensioni, come e più che nel maggio-giugno ’89. Ma voi avete dimenticato anche Tiananmen”.
Parla così Lu Decheng, 44 anni, da oltre un anno rifugiato politico a Calgary (Canada), dopo aver passato 9 anni in un lager cinese ed essere poi fuggito in Thailandia.
Per Lu è impossibile dimenticare Tiananmen: i moti studenteschi e operai dell’89 hanno segnato tutta la sua vita. La notte fra il 3 e il 4 giugno di 18 anni fa, l’esercito “per la liberazione del Popolo” è intervenuto coi carri armati a “liberare” la piazza occupata dagli studenti e operai, che chiedevano più democrazia e meno corruzione. Secondo organizzazioni internazionali (Croce Rossa e Amnesty International) oltre 2600 persone sono state uccise quella notte nella piazza e nelle vie adiacenti. Ma la notte del massacro Lu era già in prigione: era stato arrestato qualche settimana prima, il 23 maggio, quando con due suoi amici hanno lanciato uova e vernice contro il grande ritratto di Mao Zedong che sovrasta l’entrata del Palazzo imperiale.
Ora Lu è rifugiato in Canada, ma la moglie e suo figlio sono ostaggio del governo di Pechino che non li lascia emigrare. Il secondo che ha macchiato il ritratto di Mao, Yu Zhijian, 44 anni, rilasciato nel 2001, ha perso il suo lavoro di insegnante e vive con lavori saltuari. Il terzo, Yu Dongyue, è impazzito: durante la sua prigionia ha subito torture e pestaggi; una sbarra di ferro gli ha rotto la scatola cranica e ora vive mentalmente disabile. I suoi genitori, pur di averlo a casa vivo, hanno accettato di tacere sulle violenze subite dal figlio in prigione.
Il gesto dei tre è stato la prima espressione pubblica di disprezzo verso Mao Zedong. “Volevo mostrare – dice Lu ad AsiaNews -  tutto il mio rifiuto per l’opera di Mao, che ha fatto morire decine di milioni di miei connazionali e volevo fare un gesto per criticare il Partito comunista, che continuava lo stesso dispotismo di Mao”.
Per Lu Decheng anche le riforme economiche venute con Deng Xiaoping sono solo “un modo astuto per il Partito di conservare il suo potere”. Perfino le aperture all’occidente e il coinvolgimento delle ditte straniere nel mercato cinese è solo un modo per ricattare la comunità internazionale e farla tacere sui diritti umani.
Non pochi governi dicono che la situazione per il rispetto dei diritti dell’uomo è perfino migliorata. Lu non ci crede, anzi secondo lui vi è un peggioramento. “Ho passato 9 anni in un laogai [campo di lavoro forzato, di “riforma attraverso il lavoro”]. Era in realtà una fabbrica che produceva autoveicoli. Eravamo costretti al lavoro forzato per 15-16 ore al giorno.. Dopo il lavoro dovevamo seguire le ‘sessioni di studio’, di indottrinamento forzato, che dovevano trasformarci in persone fiduciose nel socialismo. La situazione oggi in molte fabbriche della Cina è come ai lavori forzati.
"Alcuni anni fa ho lavorato in una fabbrica tessile di Wenzhou (Zhejiang). Anche qui gli operai lavorano 12-14 ore a giornata e li pagano 15 yuan [15 centesimi di euro – ndr] al giorno. La notte gli operai vengono chiusi nei dormitori per non farli fuggire e vi sono cani-lupo che fanno la guardia e possono sbranarti”.
Lu elenca poi una lunga lista di arresti ad attivisti per i diritti umani (come Chen Guangchen, condannato a 4 anni di prigione un mese fa); avvocati a difesa di contadini e operai (come Gao Zhisheng, agli arresti domiciliari e vigilato giorno e notte); personalità religiose cristiane, musulmane, tibetane.
“La comunità internazionale dovrebbe denunciare queste violazioni. Quando essa alza la voce, la Cina, per timore, allenta la morsa. Basta un esempio: il giornalista di Hong Kong, Ching Cheong, accusato di aver diffuso segreti di stato, ha ricevuto solo 5 anni di prigione perché il mondo intero si è mosso. Il suo collaboratore, l’accademico cinese Lu Jianhua, per il quale nessuno ha fatto pressione, è stato condannato a 20 anni”.
Lu Decheng afferma che soprattutto i sindacati dei paesi liberi dovrebbero avere cura degli operai e dei contadini cinesi, sostenendo i loro diritti.
Ma anche i governi devono muoversi: “I dialoghi fra governi stranieri e la Cina sui diritti umani avvengono solo al chiuso, in privato. Ma questi colloqui segreti lasciano il tempo che trovano. Invece è tempo di coinvolgere anche le organizzazioni non governative, le commissioni nazionali sui diritti umani per verificare con viaggi e visite se vi sono davvero progressi”.
Alcuni sociologi cinesi affermano che la Cina si trova oggi in una situazione di tensione sociale peggiore che ai tempi di Tiananmen. “Il Partito – spiega Lu – con la corruzione e la protezione politica ha creato milioni di ricchi, ma sfruttando la fatica e la schiavitù di centinaia di milioni di poveri. Ormai in Cina vi sono centinaia di rivolte ogni giorno che chiedono – come nell’89 – più democrazia e meno corruzione”.
Poche settimane fa un disoccupato ha lanciato inchiostro contro il ritratto di Mao in piazza Tiananmen. Per Lu questo è il segno che la storia sta per ripetersi.

Postato da: giacabi a 18:43 | link | commenti
comunismo, cina

domenica, 29 aprile 2007
La cultura laico-illuministica
è morta
***
Dalla prefazione di “Un caffè in compagnia” di Renato Farina ed. Rizzoli
di : Pierluigi Battista*
“Al mondo che in don Giussani vede e riconosce il suo ispiratore vorrei rivolgere da ultimo una sommessa supplica: insistete, ma non infierite. La cultura laico-illuministica, così come l'abbiamo conosciuta sinora, è morta. O meglio, sopravvive a se stessa, ma non esiste più, non comunica più niente di vitale e di significativo, altro non sa trasmettere se non il balbettio di noiose litanie, principi che hanno oramai definitivamente smarrito la loro carica propulsiva. Anni fa abbiamo assistito al tracollo delle religioni secolari, delle utopie rivoluzionarie (e contro- rivoluzionarie), che hanno fondato le loro pretese su un surrogato di religione basato sulla promessa di un paradiso in terra così poco paradisiaco da disseminare il suo terreno di milioni di vittime innocenti, ostacolo "oggettivo" alla marcia trionfale del perfettismo. Oggi è sotto gli occhi di tutti il desolante senso di vuoto di una cultura che trasecola, sbanda e dà segni di ombrosa reattività solo in presenza di un crocifisso sulle pareti di un'aula scolastica e che avendo il terrore di ogni simbolo forte, di ogni parola impegnativa, finisce per stabilire la possibilità soltanto di un mondo spoglio, prosciugato, immiserito, depauperato di ogni valore vitale e perciò incapace di comprendere l'irrompere minaccioso di nuove sfide totalitarie, terroristicamente condotte e motivate dall'appello blasfemo a una divinità priva di misericordia. Un mondo che non deve dire più niente, semmai mantenersi nel limbo di una neutralità muta e incolore. Insistete, dunque, ma non infierite su un avversario che non sa accettare più nessuna sfida e vive incapsulato nelle sue anguste certezze e nelle sue formule sbiadite che sanno di imparaticcio. "Laico", del resto, è espressione che andrebbe bandita dalle classificazioni abituali, non foss' altro perché ci sono molti più punti di contatto e di intesa tra un liberale non credente e un cattolico-liberale di quanti ce ne possono essere tra un liberale non credente e un laico-giacobino fideisticamente aggrappato alle sue perentorie e intolleranti certezze. Don Giussani dimostra in queste interviste di aver saputo attraversare il deserto dell'amarezza e dell'altrui incomprensione con fie rezza e rigore. Con altrettanta misura saprà giudicare il penoso collasso dei suoi storici avversari.
Pierluigi Battista*(Roma, 3 luglio 1955) è vicedirettore del Corriere della Sera, conduttore televisivo ed anche scrittore

Postato da: giacabi a 06:43 | link | commenti
comunismo, nichilismo

giovedì, 26 aprile 2007
 A PROPOSITO DEL 25 APRILE
 E DEI PARTIGIANI  ROSSI DEL CLN*
***

...nel 1946 - subito dopo l'assassinio di un altro reverendo bolognese, don Giuseppe Rasori - don Primo Mazzolari aveva firmato un coraggioso articolo sui «preti uccisi proditoriamente»:
«Mutano i tempi, mutano i regimi, in nome di Mussolini o di Marx il nostro destino di poveri preti è sempre alla mercé del prepotente... E sui muri del paese, il giorno del funerale, puoi leggere un manifesto firmato da tutti i partiti e dagli stessi parenti che quasi si scusano per aver creduto alla calunnia che un prete sia stato ammazzato. La carità ciellenistica* ha più larghe braccia di quella del Vangelo. Il Vangelo insegna a perdonare, ma i fatti non li nega; e se ci sono birboni in giro, tali restano anche ai suoi occhi; mentre per gli altri, se c'è un torto, ce l'hanno i morti che non hanno saputo star vivi. Chi in Italia osasse parlare di delitti politici, insulterebbe la libertà, la repubblica, Marx, il proletariato, la Russia, la civiltà... Gli altri sì, che facevano morire; e se c'è qualche cosa che non va bene sono gli altri che opprimono e insanguinano il Paese col sangue dei preti».
Don Primo Mazzolari

Postato da: giacabi a 08:49 | link | commenti
comunismo, don mazzolari

mercoledì, 18 aprile 2007
Macciocchi,
da Mao a Wojtyla
***
È morta una delle intellettuali più vivaci del ’900. Dopo l’incontro con Giovanni Paolo II la rivisitazione del femminismo
.......
Amava definirsi «eretica» e sempre rifiutava l’omologazione dei media e dell’opinione pubblica dominante. Dopo la Resistenza, il ’68 e l’impegno politico. Nell’87 rimase colpita dal Papa polacco che le disse: «Credo nel genio delle donne»
Di Marina Corradi
...........
Nella mia vita ho più volte cambiato nazionalità: mi sono sentita cinese nella Pechino in rivolta contro il dominio di Mosca, spagnola a Madrid dove finii nelle prigioni di Franco, argentina a Buenos Aires con le madri dei desaparecidos, berlinese attraversando avanti e indietro quel Muro, al cui crollo, da dissidente, ho dedicato tante energie». Così si raccontava in una conferenza nel ’96 a Amsterdam Maria Antonietta Macciocchi, morta domenica a Roma all’età di 84 anni. E in quell’essere "appartenuta" alle storie di tanti paesi c’era una sintesi della sua biografia: una intellettuale che ha traversato il Novecento con una passione che l’ha messa spesso in aperta rottura con i suoi stessi compagni di strada. «Eretica», amava definirsi lei non senza fierezza, e nella sua vita non mancano gli elementi per darle ragione. Nata nel ’22 a Isola del Liri, in provincia di Frosinone, partecipa giovanissima alla Resistenza. Nel ’42 aderisce al Partito comunista, con cui è deputato nel ’68. Direttore di Noi donne, corrispondente de l’Unità da Parigi, entra in dissenso con il partito, che lascia nel ’77. Aderisce al Partito radicale, col quale è rieletta a Roma e a Strasburgo. Poi passa alla Sinistra Indipendente. Docente di Sociologia politica alla Sorbona, contribuisce dal Parlamento europeo alla abolizione della pena di morte in Francia. Mitterrand la insignisce della Legion d’onore per meriti culturali. Intanto pubblica numerosi saggi fra cui Lettere dall’interno del Pci e Dalla Cina.
Ma la sua passione di intellettuale di sinistra risente fortemente di un incontro con Giovanni Paolo II. E’ il 1987, la Macciocchi sta finendo il suo La donna con la valigia, viaggio nell’Europa ancora divisa dal Muro. Chiede di incontrare il Papa per inserirne la testimonianza nel libro. Era stata ricevuta da Mao, da De Gaulle, da Ho Chi Mihn e da Khomeini, ma Wojtyla la colpì come nessuno. Raccontò: «Dall’intensità del gesto irradiava una sorta di forza interiore, una piccola aura metafi sica gli faceva corona attorno al viso. Per me è un grande onore incontrarla, farfugliai. E di colpo fui esplicita, sincera, sorprendendo me stessa per quelle frasi che pronunciai: vengo da lontani lidi, quelli del marxismo-leninismo».
La conversazione a Castelgandolfo fu lunga. «Mi predisse, quasi, che l’Europa si sarebbe presto riunita: era l’estate del 1987. Poi parlò delle donne, della necessità di una autentica emancipazione della donna, e di certa scienza che si serve delle donne come business per il più scatenato affarismo». La passione del Papa colpisce la Macciocchi, femminista ma cosciente di quello che lei stessa definisce, in quegli anni Ottanta, «l’estuario di un femminismo a vele flosce». Quando esce La donna con la valigia, molti amici la accusano scandalizzati di filopapismo. Paris match scrisse incredulo: «Ma lei non ricorda di essere stata per noi il simbolo più avanzato della sinistra femminile?». Lei risponde cercando di spiegare di sentirsi «antistrategica» rispetto ai media imperanti. E c’era spesso, nell’opera della Macciocchi, il gusto di scavalcare le comode e acquisite verità delle ideologie dominanti. Puntuale rispuntava l’istinto di guardare la realtà scavalcando le risposte più facili e condivise, e una avversione a quella che definiva «la misteriosa regia della stampa omologata» come a certo sventolato laicismo, che chiamava «laicismo bigotto».
L’anima da «eretica» non mancò di prendere voce anche nella critica ad alcuni miti del femminismo. Riguardo al rapporto fra liberazione della donna e comunismo disse che «l’utopia universalista astratta della liberazione della donna sotto i regimi comunisti è stata una beffa ancora più drammatica di quella contro la classe operaia». Ma anche nelle pieghe del ’68 - momento storico che aveva vissuto a Parigi, e che l’aveva entusiasmata per la sua ansia antiautoritaria - la dissidente cronica Macciocchi ammette che le donne hanno ritrovato «misoginia, corruzione e mercimonio del loro corpo e del loro voto». Nè è più tenera con il facile luogo comune della "solidarietà fra le donne": «Le donne di potere sono dure, implacabili, crudeli e ciniche». Sull’aborto, lei pure fedele alla legge 194 afferma che «sarebbe tutto da rivedere: il rapporto tra donna e maternità è stato avvilito, e l’egoismo del singolo prevale sull’arricchimento della donna stessa e della società».
Un’intellettuale di traverso alla logica del facile consenso. Editorialista di Le Monde, El Pais e Corriere, negli ultimi anni scriveva su Avvenire. Certamente
quell’incontro del 1987 con il Papa - cui poi ne seguirono altri - lasciò un segno profondo. Ricordava sempre come Giovanni Paolo II le avesse detto: «Credo nel genio delle donne». «Queste parole - confessò - rivolte a una donna ritornata da tutto e anche da se stessa, furono così sorprendenti per il mio spirito che non si cancellarono più». E quando uscì la lettera apostolica Mulieris Dignitatem ne fu conquistata, tanto da scrivere il volume Le donne secondo Wojtyla. Ventinove chiavi di lettura della Mulieris Dignitatem. Attraverso la lettera di Giovanni Paolo II la intellettuale comunista, la femminista militante affermava di avere riscoperto nel Vangelo «un rapporto di tenerezza, di connivenza fra Gesù e le donne», contro la misoginia di cui il cristianesimo è tradizionalmente accusato dal pensiero femminista. Questo le attirò molte critiche ma lei, come al solito, non cercò di mediare: «L’originalità del pensiero di questo Papa verso le donne è una linea maestra dritta come una spada», scrive. E questa volta non si ravvede, morendo così in aria di eresia. Fine del lungo viaggio di una donna nel Novecento, una donna - per usare quella sua felice espressione - «ritornata da tutto, anche da se stessa»

Postato da: giacabi a 19:41 | link | commenti
comunismo, cristianesimo, macciocchi

lunedì, 02 aprile 2007
Il vero  Karl Marx
***
"Io mi sento di nuovo un uomo, perché provo una grande passione, e la molteplicità in cui lo studio e la cultura moderna ci impigliano, e lo scetticismo con cui necessariamente siamo portati a criticare tutte le impressioni soggettive e oggettive, sono fatti apposta per renderci tutti piccoli e deboli e lamentosi e irrisoluti. Ma l’amore non per l’uomo di Feuerbach, non per il metabolismo di Moleschott, non per il proletariato, bensì l’amore per l’amata, per te, fa dell’uomo nuovamente un uomo"
lettera di Karl Marx a Jenny Marx 21 giugno 1856, in Opere complete

Postato da: giacabi a 14:09 | link | commenti
comunismo

domenica, 01 aprile 2007

          Qualcuno era comunista
                              di Giorgio Gaber

 
***


Uh? No, non è vero, io non ho niente da rimproverarmi. Voglio dire non mi sembra di aver fatto delle cose gravi.
La mia vita? Una vita normale. Non ho mai rubato, neanche in casa da piccolo, non ho ammazzato nessuno figuriamoci, qualche atto impuro ma è normale no?
Lavoro, la famiglia, pago le tasse. Non mi sembra di avere delle colpe, non vado neanche a caccia.
Uh? Ah, voi parlavate di prima. Ah ma prima, ma prima mi sono comportato come tutti.
Come mi vestivo? Mi vestivo, mi vestivo come ora… beh non proprio come ora, un po’ più… sì jeans, maglione, l’eskimo. Perché, non va bene? Era comodo.
Cosa cantavo? Questa poi, volete sapere cosa contavo. Ma sì certo, anche canzoni popolari, sì…"Ciao bella ciao". Devo parlar più forte? Sì, "Ciao, bella, ciao" l’ho cantata d’accordo e anche l’Internazionale, però in coro eh, in coro.
Sì, quello sì, lo ammetto, sì, ci sono andato, sì, li ho visto anch’io gli intillimanni, però non ho pianto.
Come? Se in camera ho delle foto? Che discorsi, certo, le foto dei miei genitori, mia moglie, mia…
Manifesti? Non mi pare. Forse uno, piccolo però, piccolino: "Che Ghevara". Ma che cos’è un processo questo qui?
No, no, no, io quello no, il pugno non l’ho mai fatto, il pugno no, mai. Beh insomma una volta ma… un pugnettino rapido proprio…
Come? Se ero comunista? Eh. Mi piacciono le domande dirette. Volete sapere se ero comunista? No, no finalmente perché adesso non ne parla più nessuno, tutti fanno finta di niente e invece è giusto chiarirle queste cose, una volta per tutte, ohhh.


Se ero comunista? Mah? In che senso? No voglio dire…


qualcuno era comunista perché era nato in Emilia.
Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà… la mamma no.
Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il "Paradiso Terrestre".
Qualcuno era comunista perché si sentiva solo.
Qualcuno era comunista perché aveva avuto un’educazione troppo cattolica.
Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche… lo esigevano tutti.
Qualcuno era comunista perché: "La storia è dalla nostra parte!".
Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto.
Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto.
Qualcuno era comunista perché prima era fascista.
Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano ma lontano.
Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché era ricco ma amava il popolo.
Qualcuno era comunista perché beveva il vino e si commuoveva alle feste popolari.
Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio.
Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l’operaio.
Qualcuno era comunista perché voleva l’aumento di stipendio.
Qualcuno era comunista perché la borghesia - il proletariato - la lotta di classe. Facile no?
Qualcuno era comunista perché la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopo domani sicuramente…
Qualcuno era comunista perché: "Viva Marx, viva Lienin, Viva Mao Zetung".
Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre.
Qualcuno era comunista perché guardava sempre RAI TRE.
Qualcuno era comunista per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione.
Qualcuno era comunista perché voleva statalizzare tutto.
Qualcuno era comunista perché non conosceva gli impiegati statali, parastatali e affini.
Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il "materialismo dialettico" per il "Vangelo secondo Lienin".
Qualcuno era comunista perché era convinto d’avere dietro di sé la classe operaia.
Qualcuno era comunista perché era più comunista degli altri.
Qualcuno era comunista perché c’era il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista nonostante ci fosse il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista perché non c’era niente di meglio.
Qualcuno era comunista perché abbiamo il peggiore Partito Socialista d’Europa.
Qualcuno era comunista perché lo Stato peggio che da noi solo l’Uganda.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di quarant’anni di governi viscidi e ruffiani.
Qualcuno era comunista perché piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera.
Qualcuno era comunista perché chi era contro era comunista.
Qualcuno era comunista perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia.
Qualcuno credeva di essere comunista e forse era qualcos’altro.
Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana.
Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.
Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché era disposto a cambiare ogni giorno, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché forse era solo una forza, un volo, un sogno, era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.


Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso, era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita.
No, niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare, come dei gabbiani "ipotetici".


E ora? Anche ora ci si sente come in due, da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si era rattrappito.


Due miserie in un corpo solo.


Postato da: giacabi a 09:07 | link | commenti
comunismo, gaber

domenica, 21 gennaio 2007
 

Vaticano – Cina
Cattolici cinesi: L’Associazione patriottica è il vero ostacolo ai rapporti Cina-Vaticano
di Bernardo Cervellera
A termine dell’incontro in Vaticano sulla Chiesa in Cina, fedeli della Chiesa ufficiale e sotterranea puntano il dito sulle violenze, controlli, persecuzioni e ruberie dell’Ap, che rischia di vanificare il lavoro svolto dalla Santa Sede per riconciliare la Chiesa in Cina e minaccia i fondamenti sacramentali della fede cattolica. Ancora 5 sacerdoti prigionieri nell'Hebei.

Roma (AsiaNews) - “Il più grande ostacolo ai rapporti diplomatici fra Vaticano e Cina è l’onnipresenza dell’Associazione Patriottica (Ap). Essa è anche il problema più grave per la vita della Chiesa, perché rischia di inquinare i fondamenti dogmatici  del cattolicesimo. Il Vaticano deve cercare di neutralizzarla ”: lo hanno detto ad AsiaNews cattolici cinesi della Chiesa ufficiale e sotterranea.
Controllo ideologico
Fondata il 2 agosto 1957, con la funzione di mediare fra gli ideali del Partito e la Chiesa cattolica, l’Ap è ormai divenuta la vera piovra che domina e strangola la vita delle comunità cinesi.
Con oltre 3 mila segretari, vicesegretari e capo-uffici, più i diversi impiegati locali, l’Ap riesce a controllare  e dominare il piccolo gruppo di circa 5 milioni di cattolici ufficiali, così che nessun passo della Chiesa possa sfuggire: essi decidono le nomine dei vescovi; “consigliano” loro le nomine dei parroci; decidono gli insegnanti dei seminari; valutano le vocazioni maschili e femminili per l’entrata in seminario o nei conventi; sovrintendono alla gestione amministrativa delle diocesi.
Il controllo “ideologico” è pressoché totale. “Quando succede un fatto in una parrocchia o una diocesi – racconta un cattolico del nord della Cina – il segretario dell’Ap locale non avvisa anzitutto il vescovo, ma i suoi capi provinciali e regionali. Organizzano un incontro per vedere cosa fare e come affrontare i problemi e poi comunicano al vescovo il problema e le soluzioni”. Grazie alla loro solerte vigilanza, i seminaristi ricevono ogni mese un insegnamento supplementare sulla politica religiosa del Partito e vengono interrogati ogni volta per vedere e hanno assimilato o no la lezione.
La “democrazia” nella teologia
A differenza di quanto succede in tutte le chiese del mondo – dove l’autorità è dei vescovi e della conferenza episcopale – in Cina la massima autorità della Chiesa ufficiale è una “Assemblea unitaria dell’Ap e del consiglio dei vescovi cinesi”, formata dai rappresentanti di organizzazioni cattoliche (scelti dall’Ap), segretari dell’Ap e vescovi, dove questi sono in minoranza. Tutte le decisioni – almeno secondo lo statuto -  vengono prese “democraticamente”. “Questo aspetto democratico – dice un altro cattolico -  è falso: in realtà l’Ap decide e poi fa accettare le sue scelte. A Pechino, dove ci si prepara a sostituire il vescovo patriottico Fu Tieshan, molto malato, l’Ap ha già stabilito i nomi dei candidati alla successione e ha reso chiaro che non accetterà altri”.
Il punto è che l’Assemblea tratta anche di teologia, liturgia e sacramenti della Chiesa, fra cui le ordinazioni dei vescovi. In questo modo, la vita e il cuore stesso della Chiesa sono sottomessi alle decisioni politiche e a un metodo “democratico” che inquina e rischia di distruggere la dimensione apostolica e sacramentale della fede cattolica.
Negli ultimi decenni, molti vescovi della Chiesa ufficiale hanno riconosciuto la loro situazione ambigua e hanno segretamente chiesto perdono al papa, riconciliandosi con la Santa Sede e appartenendo all’Ap solo in modo formale. Grazie alle comunicazioni più frequenti con la Cina – e a una certa distensione con il governo cinese – la Santa Sede è pure riuscita a far eleggere come vescovi candidati scelti da lei. Ma la situazione è piuttosto precaria, come si vede dalle ultime ordinazioni illecite avvenute l’anno scorso. Almeno 45 diocesi (su 97) della Chiesa ufficiale non hanno vescovo o sono ormai molto anziani. Se l’Ap procede a una serie di ordinazioni a raffica essa rischia di creare una Chiesa parallela, vanificando il lavoro di riconciliazione compiuto dal Vaticano in questi anni.
I cattolici sotterranei arrestati dall’Ap
L’Ap è anche la causa della persecuzione. In Cina, tutti i cattolici che rifiutano il controllo dell’Ap si incontrano in luoghi non riconosciuti dal governo, con sacerdoti non registrati e vescovi legati alla Santa Sede, ma non riconosciuti dal Ministero degli Affari religiosi. Secondo un membro, ormai in pensione, di tale Ministero “sono i membri dell’Ap a svelare la sede delle comunità sotterranee, a guidare la polizia  e a esigere l’arresto dei cattolici non ufficiali”.
Secondo dati di AsiaNews almeno 17 vescovi sotterranei sono scomparsi, arrestati o tenuti in isolamento; 20 sacerdoti sono in arresto. L’ultimo arresto è avvenuto il 27 dicembre scorso nell’Hebei. Dei 9 sacerdoti arrestati, 5 rimangono ancora in prigione e 4 sono stati liberati.
Alcuni vescovi ufficiali affermano che negli ultimi anni si nota un inasprimento ideologico dell’Ap. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che “la maggior parte dei segretari non sono cattolici, ma atei, membri del Partito fra i più radicali, il cui scopo è distruggere le religioni o perlomeno controllarle da vicino”.
L’Ap unico ostacolo fra Cina e Santa Sede
Tale inasprimento si nota nella accresciuta persecuzione verso le comunità sotterranee e nel maggiore controllo verso le comunità ufficiali. Secondo i cattolici intervistati da AsiaNews, la ragione è da cercare proprio nei piccoli passi di dialogo fra Cina e Vaticano. “L’Ap – essi dicono - è ormai l’unico e vero ostacolo al ristabilimento dei rapporti diplomatici fra Roma e Pechino. Per questo essi bloccano ogni passo del governo e suggeriscono che non c’è bisogno dei rapporti con la Santa Sede perché la Cina è forte e potente. Il vaticano deve cercare di dare una spinta, una spallata per neutralizzare questa organizzazione”.
Anche le ultime ordinazioni illecite vengono considerate dei “bastoni fra le ruote” ai segni di distensione che stanno avvenendo fra Pechino e la Santa Sede.
Un altro elemento che accresce la tensione è l’aumento nei fedeli dell’adesione al papa e alla Chiesa cattolica, insieme al disprezzo verso l’Ap. Tale disprezzo è alimentato anche dagli scandali di cui sono protagonisti membri dell’Ap e del Ministero degli affari religiosi che in tutti questi anni si son impadroniti di edifici e proprietà delle diocesi. Secondo la legge cinese, dopo il sequestro avvenuto durante la Rivoluzione Culturale, essi dovrebbero essere restituiti alla Chiesa cattolica. Invece i “controllori” della Chiesa  le hanno intestate a proprio nome, vendendole, trasformandole in alberghi e intascando i ricavati. Secondo i dati dell’Holy Spirit Study Centre di Hong Kong, i beni ingiustamente intascati dall’Ap e dal ministero  si aggirano sui 130 miliardi di yuan (circa 13 miliardi di euro).

Nessun commento: