Il cristiano è il vero rivoluzionario
Massimo Caprara dal libro”Riscoprisi uomo” ed Marietti
***
D:Ora,
in chiusura delle nostre conversazioni, ti chiedo se non avverti nella
tua storia una sorta di simbolicità, di esemplarità...
M.C. La avverto soprattutto come dono e chiamata di libertà in mezzo agli altri. Sant' Agostino precisamente afferma: «Agisce con libertà chi agisce contento». Un dono che insegna umiltà, non umiliazione, dolore, mai scoramento. Il comunismo è il terrore, è il disprezzo della vita: per me finì in modo icastico quando Amendola mi disse: «Tu sei una cosa nostra», capii che non era per me, era violenza e mancanza di umanità. Perché sempre tutta la mia vita è stata animata da altro, da qualcosa d'altro che tentava di essere.
Negli anni Novanta, con l'incontro che mi capitò, diventai di nuovo
ricco, recuperai la mia umanità. Di certo non ho compiuto una impresa
storica, perché quello che mi è accaduto è normale, comune a molti: ho compiuto la vera storia del cristiano, vera povertà e insieme grande ricchezza.
Mi torna iÌ1 mente una frase di don De Luca: «Chi rileggesse san Paolo e
sant' Agostino o una vita qualsiasi d'un qualsiasi santo, si avvedrebbe
di subito che essere cristiano è essere eroe quotidiano e silenzioso, eroe senza fasto, eroe senza compensi, eroe senza gloria. Ama ed è crocifisso, redime ed è giustiziato, soffre e sorride, dà ed è battuto, rinnova il mondo intorno a lui ed è ignorato. Vive una continua morte sulla terra e morendo gl'incomincia, anche qui sopra la terra, la vita». La verità è una cosa povera, umile,
il Vangelo è stato scritto con pochissime parole, ma dal grande
significato, è la storia dell'uomo e dell'umanità intera: «Perché mi hai
abbandonato?». È
Dio che vive la povertà dell'uomo: ma la mia povertà è la verità, la
mia verità è povera, non posso raccontare null'altro che questo. E
tutto quello che ti accade nella vita, il lavoro, gli amori, diventa
secondario rispetto all'avvenimento che ti è capitato, necessario ma
secondario. Adesso
mi sento di essere veramente rivoluzionario, adesso che non sono più
comunista sono veramente rivoluzionario, nel senso in cui lo dice don
Giussani. E se qualcuno mi chiederà un giorno: «Tu cosa hai fatto nella tua vita?», io risponderò: «Sono stato rivoluzionario»
Massimo Caparra*
Massimo Caprara uomo politico e scrittore. Fu dal 1944 il segretario personale di Palmiro Togliatti, celebre uomo politico, che ebbe importanti cariche nel Comintern e, alla fine della II guerra Mondiale, fu in Italia ministro di Grazia e Giustizia e Segretario del Partito Comunista Italiano. Massimo Caprara fu per vent'anni il suo segretario, sempre vicino al leader, e da tale posizione ne conobbe le idee e le azioni. Massimo Caprara fu dal 1953 deputato eletto a Napoli per quattro legislature, segretario del gruppo comunista, membro del comitato centrale del partito, segretario regionale della Campania. Ebbe anche cariche locali, negli anni '50 fu Sindaco di Portici, consigliere comunale di Napoli fino al 1997.Fu uno dei fondatori del gruppo del Manifesto, e fu escluso dal PCI nel 1969 con gli altri aderenti al gruppo, per la posizione critica assunta dal gruppo a riguardo della invasione della Cecoslovacchia, con un articolo "Praga è sola", che non fu apprezzato dalla dirigenza del partito. Successivamente Massimo Caprara ha avuto un percorso critico e pur non aderendo ad alcun partito ha aderito alla democrazia abbandonando l'ideologia comunista. Giornalista: Fu redattore-capo di Rinascita, con Palmiro Togliatti come direttore. Collaborò al Mondo, all'Espresso, al Tempo Illustrato, al Il Giornale. |
Postato da: giacabi a 16:46 |
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comunismo, caprara
Il Comunismo sperimentato da uno che era rimasto affascinato da questa ideologia.
Cina: la porta proibita
Di Tiziano Terzani.
Tratto dalla prefazione a La Porta Proibita. Longanesi & C., 1984-1999, ISBN 88-462-0086-1.
Diventai Deng Tiannuo nel 1968
A quel tempo la Cina
era nel mezzo della Rivoluzione Culturale e Mao a Pechino era la
scintilla che accendeva la fantasia della gioventù occidentale ispirata
dal suo messaggio antiautoritario.
Vista da lontano, la Cina
appariva come il paese più creativo e Mao un genio impegnato nel più
grande esperimento di ingegneria sociale che l'umanità avesse mai
tentato: la ricerca di una società più giusta e più umana.
Da
che mondo è mondo le giovani generazioni si sono sempre lasciate
affascinare dalle idee nuove e spesso hanno dimenticato di considerare
le conseguenze che quelle causano nella pratica. La
mia generazione non fu da meno e molti furono affascinati dalla grande
illusione rappresentata da Mao e dalla sua Cina. Se il nostro era un
mondo vecchio e imperfetto, se le speranze del passato erano state
frustrate, ecco una nuova occasione. La Cina non sarebbe stata un'altra Unione Sovietica o un'altra Cuba. La Cina era qualcos'altro.
E così la Cina divenne un mito, appunto "il mito dell'altro".
Io
volli andare a vederlo coi miei occhi e mi preparai studiando la
lingua, la storia, la politica cinese e dandomi un nome cinese, Deng
Tiannuo, in modo da essere meno straniero quando mi fosse finalmente
toccato di vivere fra cinesi.
Mi
ci vollero anni di attesa, perché a quel tempo solo pochi fidati ed
eletti venivano ammessi in "paradiso". Dovetti aspettare che Mao morisse
e che Deng aprisse le porte della Cina per far rotta con la famiglia
verso Pechino.
Ci
arrivai nel gennaio 1980 e mi fu subito chiaro che la realtà era meno
affascinante dei sogni. Andai a cercare quella speciale forma di
socialismo che si diceva fosse stata costruita in Cina, ma non trovai
che le rovine di un esperimento fallitomalamente. Andai a cercare quella
nuova cultura che doveva esser nata dalla rivoluzione e non trovai che i
mozziconi di quella vecchia, splendida cultura che nel frattempo era stata sistematicamente distrutta. …"...Nel
1949, quando i comunisti la presero, Pechino era ancora una città unica
al mondo: un grande esempio di architettura, una città di struggente
splendore che pareva fatta per vivere in eterno. Non è più così. La
città aveva un magico incantesimo. Possedeva un fascino cui era
impossibile sfuggire. «Pechino è l'ultimo rifugio dello
sconosciuto e dei meraviglioso che esista al mondo», scriveva Pierre
Loti nel 1900. «Una città che incute rispetto», la definì Arnold Toynbee
nel 1930. Nel 1949, quando i comunisti la presero, Pechino era ancora
una città unica al mondo: un grande esempio di architettura, una città
di struggente splendore che pareva fatta per vivere in eterno. Non è più
così.
Pechino muore. Le mura sono scomparse, le porte sono scomparse, gli archi sono scomparsi. Scomparsa è la maggioranza dei templi, dei palazzi, dei giardini e ogni giorno che passa una fetta in più della secolare Pechino se ne va sotto i colpi inesorabili dei picconi e delle ruspe. La città ha perso quel suo ordine interno che era fatto per rispecchiare la geometria dell'universo. Dove un tempo c'erano armonia e perfezione, ci sono confusione e caos. «Se Venezia affonda, tutto il mondo piange e protesta. Se Pechino scompare, nessuno ci fa caso», dice Philippe Jonathan, un giovane urbanista francese che lavora all'Università Qing Hua e che conduce per ora, quasi da solo, una campagna per «salvare Pechino». «Le sorti di questa città dovrebbero interessare tutti, perché la grandezza di Pechino non è una questione soltanto cinese; appartiene alla cultura del genere umano».".
Fra le varie porte che Deng aveva aperto c'erano anche quelle dei campi di concentramento, dei campi di "rieducazione attraverso il lavoro" in cui almeno venti milioni di intellettuali erano finiti a causa del loro disaccordo col regime. Incominciai così a incontrare quelle che erano state le vittime della follia di Mao e ben presto capii che il sogno di Deng Tiannuo era stato l'incubo della Cina.
Leggere,
a tavolino, nell'ovattata atmosfera della Columbia University a New
York, gli slogan di Mao, tipo: "Non tagliate le teste della gente perché
non sono come i cavoli che ricrescono", era stato di grande
ispirazione; diverso era scoprire,
sul posto, che un sacco di teste erano state tagliate, che un sacco di
gente era stata torturata e che, alla fine della cosiddetta "Rivoluzione
Culturale", la Cina era ridotta a un deserto affollato da gente impaurita e disorientata.
Al contrario di quella di Mao, la Cina
di Deng Xiaoping si lasciava vedere da vicino. La gente parlava quasi
liberamente e per un po' persino i muri raccontavano storie di ciò che
era veramente accaduto. Il "muro della democrazia" divenne una delle
migliori fonti.
Fu
un momento particolare, un'occasione unica che non si poteva perdere e
così viaggiai, viaggiai dovunque mi fu possibile, dall'angolo più
occidentale della Cina, nella provincia del Xinjiang, alla punta più
orientale, nella provincia dello Shandong, dalla Manciuria del Nord
all'isola tropicale di Hainan nel Sud. Non sempre fu facile, perché
l'atteggiamento dei funzionari comunisti cinesi non era in fondo molto
diverso da quello del mandarino dell'Ottocento che, incontrando per la
prima volta uno straniero che parlava cinese, si rivolse al proprio
seguito e chiese: "Chi è il traditore che gli ha insegnato la nostra
lingua? "
Tentai di vivere in una normale casa cinese, in un quartiere cinese, ma mi fu assolutamente impossibile. Gli
stranieri possono abitare solo entro il recinto del cosiddetto
"quartiere diplomatico", le cui porte d'ingresso sono giorno e notte
guardate da poliziotti armati e dove ogni movimento di chi entra e di
chi esce viene registrato.
Cercai
di conoscere dei cinesi, di avere rapporti con loro, ma anche questo si
dimostrò complicato perché ogni contatto "non ufficiale" fra uno
straniero e un cittadino della Repubblica Popolare Cinese è un contatto
"illegale", anche se nessuno ricorda la legge che sostiene questo.
Un
anziano e colto signore, che avevo incontrato un paio di volte poco
dopo essere arrivato a Pechino e da cui volevo prendere lezioni di
calligrafia, mi fece sapere, attraverso un comune conoscente, che non
dovevo più farmi vivo con lui. Era stato chiamato dalla polizia e gli
era stato detto che poteva, sì, continuare a vedermi, ma a condizione
che ogni volta scrivesse un rapportino su quanto s'era fatto e s'era
detto. Per lui questa era un'umiliazione troppo grossa e così non ci si
vide più.
Nella
Cina di oggi un giornalista straniero che voglia incontrare un
qualsiasi funzionario o semplicemente vedere uno scrittore, un pittore,
un professore universitario o un operaio di una fabbrica deve anzitutto
presentare una domanda scritta a un apposito ufficio. Se il permesso
viene accordato, l'incontro si svolge nella solita stanza dei
ricevimenti che ogni ufficio, fabbrica, scuola, ospedale o caserma
possiede, dove tutti stanno seduti su poltrone coi pizzi bianchi, alla
presenza del segretario del partito locale, con qualcuno che prende nota
delle domande e delle risposte. Questa procedura mi fece presto passare
la voglia di incontrare la gente passando per la via ufficiale e così
mi misi alla ricerca di una mia via per conoscere la Cina.
Cominciai
a viaggiare in treno, ma non negli speciali scompartimenti a "sedili
morbidi" per stranieri, bensì in quelli a "sedili duri" dove stanno i
cinesi. Cominciai a girare in bicicletta attraverso le province
incontrando così gente comune, ascoltando semplici contadini che
raccontavano le storie dei loro villaggi e delle loro famiglie. Essendo
interessato ai vecchi giochi e passatempi di Pechino, mi misi ad
allevare grilli e piccioni e a frequentare i piccoli mercati della
capitale, dove incontravo regolarmente dei vecchi che m'insegnavano
quell'arte antica di fare "concerti" con gli animali.
Lentamente
venni a conoscere una splendida, umana Cina, una Cina su cui non avevo
molto sognato, ma una Cina molto più vera e particolare di quella che i
funzionari del governo e la stampa del regime presentavano al mondo
esterno.
In
questo modo feci anche le mie piccole scoperte: in Tibet, per esempio,
mentre il resto del gruppo con cui ero costretto a viaggiare andava a
visitare la solita fabbrica "Bandiera Rossa", io, con una bicicletta
presa in prestito, riuscii, da solo, a raggiungere il posto dove
avvenivano i "funerali del cielo", un'antichissima cerimonia che le
guide cinesi dicono non esista più e in cui i corpi dei morti tibetani
vengono tagliati a pezzi e dati in pasto agli avvoltoi.
Ma,
così facendo, lentamente mi allontanai dalla via che mi era stata
assegnata e, come nella favola del castello magico in cui l'ospite sa
che può fare tutto tranne che aprire una certa porta perché altrimenti
libererebbe gli spiriti malvagi, io non potei che aprire quella porta. E
puntualmente gli spiriti malvagi mi saltarono addosso.
Dopo
più di quattro anni in Cina, fui arrestato, interrogato e per un intero
mese, come fossi un cinese, fui rieducato. Eppure, proprio perché venni
trattato come un cinese, mi fu data la straordinaria possibilità di un
ultimo, eccezionale viaggio: questa volta nel cuore di tenebra della
Cina. Improvvisamente mi trovai come inghiottito nel ventre della balena e costretto a fare l'esperienza di quel potere poliziesco di cui avevo solo sentito parlare e che, nonostante gli enormi cambiamenti avvenuti di recente nel paese, resta il terrore di un miliardo di cinesi.
Alla fine, accusato di un crimine che non avevo commesso, fui espulso.
Lu Xun, il grande scrittore della Cina prerivoluzionaria, l'aveva già detto alcuni decenni fa: "Quando vuoi affogare un cane, accusalo d'avere la rabbia". La
mia "rabbia" è stata la pretesa di rompere il muro che mi separava
dalla realtà del paese. Il mio crimine è stato quello di aver scritto di
una Cina non addomesticata. Il mio crimine è stato l'aver cercato una
via d'uscita dal labirinto di proibizioni e tabù che avrebbero dovuto
tenermi lontano dalla gente.
Il
mio crimine è stato l'aver provato a essere un uomo fra uomini, l'aver
cercato di scrollarmi di dosso quell'insopportabile sensazione di essere
sempre uno straniero fra cinesi.
HongKong, 1984.
Da: “ la mia fine il mio inizio” di Tiziano Terzani
“ Folco quanti comunisti ha ammazzato Mao” in questa frase trovi l’essenza del fallimento delle ideologie totalitarie Marxiste e non, perché frutto si di bisogni umani ma non di processi culturali del popolo ( i comunisti erano i contadini cinesi non Mao o altri che per fare l’uomo nuovo distruggono la cultura del popolo).
Cosa ci aspetta in futuro! “ ho visto abbattere la prima statua di Stalin al grido di W Allah, Folco se il Marxismo e stato il fucile dei poveri nel XX secolo, Allah sarà quello del XXI secolo”. |
Postato da: giacabi a 17:26 |
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comunismo, terzani
Il sorriso di Cristo
Sono rimasto colpito positivamente dalla testimonianza di questo pastore protestante .
Richard Wurmbrand intellettualmente
dotato, padrone di diverse lingue, ebbe una giovinezza tempestosa, fu
attivo in politica con la sinistra. Convertitosi al cristianesimo fu arrestato prima dai nazisti e poi dai comunisti. Ha
conosciuto direttamente il volto del "vero" comunismo ed ha sofferto,
per la sua fede cristiana, quattordici anni di carcere nella Romania, suo paese natio. Dopo la scarcerazione emigrò negli Stati Uniti.Fondatore della Missione per la Chiesa Perseguitata, morto il 17 febbraio 2001 a Torrance, California, in seguito a lunga malattia.
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Pensateci: la Bibbia dice che avete il Consolatore nel vostro cuore. Allora andate in giro e consolate altri, sarete consolati voi stessi e sarete in grado di sorridere. Un professore universitario perse il favore dei comunisti che lo gettarono in carcere. Era nella nostra cella. Non era credente e si prendeva gioco dei cristiani. Nella stessa cella c'era un povero contadino analfabeta che amava Gesù. Parlò al professore di Gesù. Il professore lo schernì: "Ma che ne sai tu di Gesù? Come puoi pensare di parlarmi di Gesù?" "Signore, io cammino con lui. Io parlo con lui". "Ma guardatelo, questo raccontafavole. E così cammini con Gesù e parli con Gesù, eh? Ma se Gesù è vissuto in Palestina 2.000 anni fa! Se ti mostrassi un mappamondo non riusciresti nemmeno a indicarmi dov'è la Palestina. Ma come puoi mai camminare e parlare con Gesù?" "Signore, io vedo Gesù". Il povero contadino non sapeva come spiegare che non esiste solo la vista fisica, ma anche un altro tipo di vista. Posso chiudere gli occhi e vedermi davanti mio figlio. Vedo i miei nipoti. Vedo chiunque. C'è anche una vista spirituale. "E dimmi un po' , come sarebbe questo Gesù? E' adirato? E' arrabbiato? E' seccato? E' annoiato? E' contento di vederti? Ti sorride? " Il contadino replicò: "Signore, ha proprio indovinato: Gesù mi sorride". "Ma chi ha mai sentito una cosa del genere!?! Mostrami un po' come sorriderebbe questo Gesù". Ho 90 anni e quello è stato il momento più bello della mia vita. Il povero contadino analfabeta disse che avrebbe mostrato al professore come Gesù sorride. Immaginatevi davanti a uno scheletro d'uomo. - Lì in carcere eravamo tutti scheletri. Solo pelle e ossa. Anche quel contadino aveva cerchi neri intorno agli occhi, era lercio, indossava la lurida uniforme grigia da carcerato, ma all'improvviso il suo viso cominciò a risplendere e sul suo volto prese forma un sorriso, un sorriso meraviglioso. Non avevo mai visto un tale sorriso. C'era così tanta passione per l'anima, così tanto amore, così tanta compassione. Tutta la bellezza e lo splendore del paradiso erano racchiusi in quel sorriso. Il professore chinò il capo e disse al contadino: "Signore, lei ha visto Gesù". Voi siete datori di luce. Date quella luce.>> Cordialmente, Richard Wurmbrand |
Postato da: giacabi a 21:57 |
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comunismo, sorriso gesù, wurmbrant
Giovanni Lindo Ferretti
da Lotta Continua
alla Chiesa Cattolica:
L'articolo originale e' all'indirizzo http://italy.indymedia.org/news/2006/10/1169826.php Stampa i commenti.
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Postato da: giacabi a 17:21 |
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comunismo, cattolico, ferretti
da: www.asianews.it/view.php?l=it&art=7310 25 Settembre 2006 |
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CINA
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Wei Jingsheng: il valore della libertà in Cina e nel mondo
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di Wei Jingsheng
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Al
convegno su “Cina e libertà” organizzato dalla Fondazione Liberal a
Siena (22-23 settembre), il “padre della democrazia cinese”, il
dissidente Wei Jingsheng* è stato insignito del premio “Stefano
Bellaveglia”. Dopo la “laudatio” con le motivazioni del premio, espressa
dal giornalista Aldo Forbice, Wei ha tenuto il discorso che presentiamo
qui in edizione integrale. |
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Tutti parlano di libertà. Lo fanno i filosofi, così come gli esperti di letteratura e, sempre più, anche i politici giocano con questa parola. Ma la libertà ha davvero valore per noi? Perché paghiamo un prezzo così alto per la libertà? Credo che molti degli amici seduti in questa platea, oggi, si pongano come me questo interrogativo. Ricordo quando ero in prigione. Un detenuto, un ex funzionario pubblico, mi ha posto la stessa domanda. Diceva che quando era un funzionario non aveva mai capito quanto fosse preziosa la libertà. All’epoca, era una persona molto influente e, naturalmente, data la corruzione che caratterizza gli ambienti pubblici cinesi, era anche molto facoltoso. Molte persone sono state private della libertà per mano sua. Alcuni li ha privati della libertà senza pensarci su due volte: non riteneva che la libertà avesse rilevanza alcuna. Persino quando stava per essere privato della propria libertà continuava a non pensare che fosse importante. Quindi, ha accettato di assumersi la responsabilità delle azioni di un altro, prendendo il posto di un avido funzionario ed aggiungendo, così, diversi anni alla propria condanna. Ama ascoltare gli elogi per il suo gesto. Sapeva che altri avevano unto gli ingranaggi per lui in prigione. Non avrebbe dovuto subire i maltrattamenti subiti dai prigionieri comuni. Non avrebbe dovuto subire le punizioni inflitte ai detenuti comuni. Avrebbe goduto dei privilegi di cui non godevano i prigionieri comuni, compreso il trattamento speciale vietato dal regolamento carcerario. Tuttavia, era infelice lo stesso: si trattava di un’infelicità difficile da spiegare. Aveva sempre l’impressione che mancasse qualcosa alla sua salute e alla sua vita. Gli ho detto che, forse, gli mancava la libertà. La libertà è una cosa che accompagna l’uomo sin dalla nascita, come l’aria che respiriamo, è qualcosa che dobbiamo avere per natura. Quindi, non le annettiamo importanza. Soltanto una volta persa la libertà, capiamo che è la cosa più preziosa di tutte. Qualche tempo dopo mi ha chiesto: “sei stato messo in isolamento, ove si ha ancor meno libertà rispetto a qui. Perché non sembri essere tanto infelice? Sembri ogni giorno pieno di felicità”. Ho risposto: “Sono triste quanto te per aver perso la libertà. Però, poi penso che sebbene io abbia perso la libertà, un miliardo di cinesi ne acquisiranno un po’ di più proprio a seguito della mia perdita. Questa gioia supera la mia infelicità. Quel detenuto asseriva di non aver ancora compreso, perché in realtà la libertà altrui non poteva compensare quella che avevo perso. Diceva: “Comunque, tu resti privo della tua libertà”. Dopo aver riflettuto un minuto, gli ho raccontato quello che mi era stato riferito una volta da un poliziotto. Un poliziotto mi aveva visto nella cella buia. Oltre alle letture, c’era soltanto una cella lunga cinque passi nella quale camminare. Camminando, riflettevo sui problemi e il mio volto si illuminava di un sorriso: avevo un aspetto rilassato. Egli pensava che ciò fosse strano e, un giorno, mi chiese: ti sei battuto per la libertà altrui, ma ora hai perduto la tua, è vero che anche senza libertà esiste qualcosa di cui essere felici?”. Risposi senza esitare: “Non mi sento privo della libertà. Dimmi, tra noi due, chi è più libero”? Iniziò immediatamente a ridere e rispose: “io mi occupo della prigione, tu vivi in prigione, quindi, naturalmente, io sono più libero di te”. Ribattei: “non necessariamente”. Udite le mie parole, il poliziotto rise nuovamente, chiedendomi perché. A mia volta, gli chiesi: “Io posso essere rinchiuso in prigione, ma se voglio dire qualcosa, ho il coraggio di farlo. Tu hai lo stesso coraggio”? Rimase fermio, attonito, e non rispose. In quel momento mi resi conto che la libertà primaria di un individuo è la libertà interiore. Un corpo privo di libertà può essere dovuto ad altri, ma la libertà dello spirito è qualcosa di cui nessuno può privarci. Tuttavia, un’indole debole spesso ci induce a privarci della libertà interiore. Ci chiudiamo in una prigione interna dello spirito. Ciò accade soprattutto sotto i regimi tirannici o in presenza della tentazione di conseguire lauti guadagni. La gente sopprime spesso la propria coscienza per adattarsi alla tirannia o per soddisfare i propri interessi egoistici. Agire andando contro le proprie convinzioni, persino fino al punto di aiutare un governo tirannico a privare un numero infinito di persone della libertà. Esistono, però, anche persone che, per la libertà propria ed altrui, avversano il governo tirannico. Così, la libertà assume connotazioni politiche. La privazione della libertà e la lotta per la libertà sono diventate le tematiche principali della politica. Combattendo per la libertà, propria ed altrui, migliaia e migliaia di persone hanno perso la vita o la libertà a favore della tirannia. Nelle prigioni vi sono moltissimi detenuti di un nuovo tipo: i detenuti politici. I detenuti politici sono un sottoprodotto dei governi tirannici e corrotti. Cos’è un prigioniero politico? Ne sono state date innumerevoli definizioni. Mi sembra sempre che non siano perfettamente calzanti. Mentre ero in prigione, ho incontrato un detenuto. Veniva da una zona montuosa. Non sapeva leggere ed aveva compiuto un reato ignobile. Fu inviato dai responsabili del carcere a sorvegliare i prigionieri politici. Una volta, pensando di aver subito un torto, si rivolse a me lamentandosi: “Noi non siamo come voi prigionieri politici: persino la polizia vi rispetta”. Rimasi incredulo nell’udire le sue parole e gli chiesi: “sai cos’è un prigioniero politico”? Rispose: “Certo che lo so. Noi criminali abbiamo fatto del male ad altri per un nostro tornaconto, mentre voi, prigionieri politici, fate del male a voi stessi per il tornaconto altrui”. E’ questa la definizione più semplice e calzante che abbia mai udito. Nel corso degli ultimi millenni, l’umanità è riuscita ad avversare la tirannia perché esistono persone di tal fatta, persone pronte a sacrificarsi per la libertà. Sotto i regimi tirannici, questi santi e martiri si sono sacrificati, oppure sono diventati prigionieri politici, perché altri potessero conquistare la libertà. Nelle società libere, non sarebbero prigionieri politici, ma sacrificherebbero comunque il loro tornaconto per il bene altrui. Senza queste persone, la nostra libertà sarebbe inferiore a quella che è oggi. Grazie all’azione di queste persone, verranno ridotte la tirannia e le sofferenze del mondo. Tutti gli amici qui presenti si adoperano a favore della libertà e della riduzione delle sofferenze dell’umanità e, per farlo, pagano un prezzo più o meno alto. Grazie a tutti. Lavoreremo sodo insieme, senza mai fermarci. * Chi è Wei Jingshen Wei ha una lunga storia nel campo dei diritti umani e della democrazia in Cina. Il 5 aprile 1976, a 26 anni, partecipa al primo moto antigovernativo che scoppia in piazza Tiananmen. Due anni dopo appare, nei pressi di uno dei principali incroci della capitale, il Muro della Democrazia: un angolo di muro dove sono affissi i dazibao della contestazione democratica. Il 5 dicembre 1978 affigge il testo che lo renderà celebre – “La Quinta Modernizzazione” - dove sviluppa l’idea che il progresso economico del paese (le “quattro modernizzazioni” esaltate dal regime comunista) deve passare attraverso la democratizzazione del sistema, senza la quale il popolo non avrà alcun beneficio. Wei denuncia la detenzione per motivi politici, la miseria di una parte della popolazione, le origini politiche della delinquenza giovanile, la vendita di bambini per le strade di Pechino. Dal '79 al '93 è tenuto in prigione per volere di Deng Xiaoping. Dopo il rilascio, il primo aprile 1994 viene fatto sparire insieme alla sua compagna. Il 13 dicembre 1995, un anno e mezzo dopo il nuovo arresto, Wei riappare davanti alla Corte popolare di Pechino e condannato a 14 anni di prigione per “aver complottato contro il governo”. Il 16 novembre 1997 è stato scarcerato dalle autorità cinesi dopo fortissime pressioni da parte della comunità internazionali e mandato all'estero per "cure", ma in realtà condannato all’esilio. Al momento vive negli Stati Uniti ed è il presidente del Comitato oltreoceano del Movimento “Democratic China”. |
Postato da: giacabi a 20:19 |
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comunismo
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Il comunismo si impone con la violenza
ecco un esempio:
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15.9.2006 Oggi a Roma doveva esserci la presentazione di LAOGAI. IL GULAG CINESI, ed. L'Ancora del Mediterraneo - un libro sui lager cinesi,
i LAOGAI, appunto. Ma un'aggressione selvaggia anche allo stesso autore
del libro - Harry Wu, un sopravvissuto a 19 anni di lager - ha
impedito l'incontro
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Grave
episodio di intolleranza culturale e inciviltà politica questa mattina a
Roma. E’ stato impedito con la violenza e l’intimidazione la
presentazione di un libro sui crimini in Cina.
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Il fatto è avvenuto presso la libreria Tuma’s book bar di via Sabelli 17 nel popoloso quartiere di san Lorenzo poco dopo le ore 11. Orario in cui era stato fissato da tempo l’appuntamento: la presentazione
del libro, Loagai i Gulag di Mao Zedong autore Harry Wu, presidente
della Laogai Foundation, il primo testimone di una verità nascosta.
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Il primo libro di Harry Wu, che denuncia da oltre 15 anni le atrocità che si commettono in Cina, tradotto in italiano. Nel saggio viene descritta la vita nei campi di concentramento in Cina, dove ne sono funzionanti oltre 1100. Wu ha fondato l’Associazione Laogai, proprio per descrivere questi crimini. Lui stesso ha “trascorso” 19 anni nei Laogai.
La presentazione del libro non si è potuta svolgere perché una cinquantina di attivisti dei Centri sociali , armati di mazze, bastoni e spranghe, ha bloccato l’ingresso nella libreria. Successivamente alcune persone che volevano assistere al dibattito sono state aggredite selvaggiamente. Altri giovani sono stati rincorsi e malmenati per le strade del quartiere. Lo stesso Harry Wu a stento si è sottratto al linciaggio. Soltanto dopo mezz’ora sono intervenute le forze dell’ordine, ma ormai gli aggressori si erano dileguati. |
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Sul gravissimo episodio il presidente della Laogai Foundation Harry Wu ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Sono
rimasto veramente sconcertato che dopo il fallimento in tutto il mondo
dei regimi comunisti, ci sia ancora in Italia chi nel nome della
repressione, intolleranza e del disprezzo delle più elementari nozioni
di civiltà impedisca la divulgazione dei crimini che ogni giorno si
commettono in Cina”. Anche il presidente della Laogai Foundation Italia Antonio Brandi ha stigmatizzato l’aggressione e ha dichiarato: “Quello
che è avvenuto oggi a San Lorenzo è una riprova che i regimi comunisti
si possono imporre soltanto con la violenza e l’intimidazione e che
denunciare certi crimini dà fastidio a chi vuole imporre le idee con la
forza e impedire la denuncia della verità con l’aggressione. Ma questi teppisti non prevarranno e non riusciranno a riportare in Italia indietro di quaranta anni. Ma
nessuno fermerà le nostre denunce, il nostro atto di accusa nei
confronti di un ignobile regime che ha represso ogni libertà e cerca di
imporre in tutto il mondo il proprio negativo modello di sviluppo di
capitalismo di Stato”.
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Postato da: giacabi a 20:29 |
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comunismo
Continua l'offensiva della Cina
contro i cristiani
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di Vincenzo Merlo
Tratto dal sito RAGIONPOLITICA.it il 12 settembre 2006 La notizia, diffusa dall'Agenzia cattolica AsiaNews (sempre attenta alle discriminazioni dei cattolici nel continente asiatico), è del 4 settembre: distrutta l'ennesima chiesa nella Cina comunista. Non è la prima volta che ciò capita, purtroppo non sarà l'ultima; riteniamo però che non per questo debba venire meno la nostra indignazione e la nostra denuncia (Radio Vaticana ha definito l'episodio un «atto grave») per tali scempi, ripetuti sistematicamente e non ancora sufficientemente conosciuti da buona parte dell'opinione pubblica italiana. Ma andiamo ai fatti: la mattina del 1° settembre circa 500 poliziotti e funzionari della polizia di Pingtan hanno distrutto con bulldozer una chiesa delle cosiddette «comunità non ufficiali» del Fujian (sud-est della Cina), picchiando alcuni fedeli che vi si opponevano e ferendone due. La chiesa, la cui costruzione era stata terminata solo nello scorso luglio, aveva una superficie di 1000 mq ed era costata 400 mila yuan (40 mila euro). Sorgeva nel villaggio di Yutouchang, sull'isoletta di Pingtang al largo di Fuzhou (Fujian); tale isola, molto distante dalla costa cinese, ospita da tempo almeno 10 mila cattolici «non ufficiali». La polizia locale ha anche preannunciato che nei prossimi giorni distruggerà un'altra chiesa (non ancora ultimata) nel villaggio di Ao Quian, i cui 400 fedeli (in maggioranza pescatori) si sono autotassati per raccogliere gli oltre 500 mila yuan necessari alla sua costruzione. «I nostri fedeli - riporta un fedele ad AsiaNews - si sono sacrificati perfino risparmiando sul cibo, ma adesso il governo ignora il sangue e il sudore della povera gente e distrugge tutto. Ci sentiamo afflitti e indignati». La polizia giustifica queste distruzioni con «motivi di sicurezza». La Cina comunista permette infatti la pratica religiosa solo in luoghi di culto registrati presso l'Ufficio affari religiosi e ogni espressione di culto fuori da questi canali controllati è considerata illegale e pericolosa per l'ordine pubblico. Nel Fujian, in particolare, vi è una forte comunità non ufficiale che non accetta di essere registrata per timore di dover sottostare al controllo dell'Associazione Patriottica. Le vessazioni, come quella denunciata da AsiaNews (il cui sito Internet in Cina viene bloccato dalla censura) non risparmiano nemmeno le chiese evangeliche. «Le motivazioni - scrive Marco Del Corona sul Corriere della Sera del 6 settembre - sono le stesse: mancati permessi, mancato riconoscimento del gruppo da parte del governo. Spesso, poi, le demolizioni nascondono interessi speculativi sui terreni». Sempre nel Fujian, nel luglio 2005, era stato arrestato Padre Lin Daixian, sacerdote della Chiesa cattolica sotterranea di Fuhzou, insieme a un seminarista e a nove fedeli. Padre Lin stava celebrando la Messa insieme ad una cinquantina di parrocchiani in una casa privata a Pingtan; nel momento dell'arresto, molti di questi avevano cercato di liberarlo azzuffandosi con la polizia, che per tutta risposta aveva infierito caricando selvaggiamente i fedeli, ferendone alcuni in modo grave. Arrestato diverse volte dall'ottobre 2000 al luglio 2005, Padre Lin è solo uno dei tantissimi religiosi cattolici sequestrati negli ultimi anni dalle autorità comuniste cinesi. Di seguito una lista (aggiornata al marzo 2005), certamente provvisoria e non esaustiva, dei vescovi sequestrati, o impediti nel loro ministero, e dei sacerdoti di cui si ha traccia dell'arresto e della loro condanna ai lavori forzati. AsiaNews (da cui questo elenco è tratto) e altri siti cristiani hanno lanciato una campagna per la loro liberazione. Vescovi arrestati e scomparsi Questi vescovi sono dei veri e propri «desaparecidos»: sequestrati, arrestati dalla polizia senza alcuna accusa e da allora scomparsi. |
1. Mons. Giacomo Su Zhimin
(diocesi di Baoding,Hebei). Ha 72 anni. Arrestato e scomparso dal 1996.
Nel novembre 2003 è stato visto nell'ospedale di Baoding, controllato
dalla polizia, dove ha subito cure al cuore e agli occhi. Ma dopo pochi
giorni è scomparso ancora.
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2. Mons. Francesco An Shuxin (ausiliario diocesi di Baoding, Hebei). Ha 54 anni. Arrestato e scomparso dal 1997.
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3. Mons. Han Dingxian (diocesi di Yongnian/Handan, Hebei). Ha 66 anni. Arrestato nel dicembre '99. In
passato è stato in prigione per circa 20 anni. Rimane sempre isolato e
impossibilitato a incontrare chiunque. Nessuno dei suoi fedeli riesce
mai a visitarlo, nemmeno i parenti.
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4. Mons. Cosma Shi Enxiang (diocesi di Yixian, Hebei). Ha
83 anni. Arrestato il 13 aprile 2001. Mons. Shi è stato ordinato
vescovo nel '82. Era stato in prigione per 30 anni. L'ultima volta fu
arrestato nel dicembre '90, poi rilasciato nel '93. Da allora è vissuto
in isolamento forzato fino al suo ultimo arresto.
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5. Mons. Filippo Zhao Zhendong, (diocesi di Xuanhua, Hebei), anni 84, arrestato verso la fine di dicembre del 2004.
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6. Padre Paolo Huo Junlong,
amministratore della diocesi di Baoding, di anni 50 (circa) ordinato
nel 1987. Arrestato lo scorso Agosto 2004. Ancora detenuto in località
sconosciuta, senza processo, e senza accuse precise. Con lui sono stati
arrestati e scomparsi nelle mani della polizia due suoi compagni di
ordinazione: p. Zhang Zhenquan e p. Ma Wuyong (v. sotto).
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Vescovi impediti nel ministero Decine di altri vescovi non ufficiali sono sequestrati per un certo periodo, poi riportati nella loro chiesa. Rimangono sotto stretta sorveglianza e impediti di esercitare il loro ministero. Molti di essi sono malati e ormai anziani. Non possono ricevere visite di preti, suore o seminaristi. Tutte le loro visite sono controllate. Fra i vescovi più giovani e impediti nel loro ministero vi sono: |
1. Li Side,
vescovo non ufficiale di Tianjin. Ha 78 anni. È a domicilio coatto e
non può svolgere lavoro pastorale. In passato è stato arrestato nel
dicembre 1989 e rilasciato nel giugno 1991.
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2. Mons. Giulio Jia Zhiguo
(diocesi di Zhengding, Hebei), 68 anni. A fasi alterne è fermato e poi
rilasciato. In questo anno è stato arrestato ben 2 volte. La Santa Sede
ha fatto pubblici appelli per la sua liberazione. Ogni mese subisce
settimane di indottrinamento forzato sulla politica del governo.
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3. Mons. Zhang Weizhu (diocesi di Xinxiang, Henan). Ha
45 anni. È un pastore molto attivo e ha fondato due ordini religiosi. È
impedito a recarsi nella sua diocesi. È sotto controllo nell'Hebei.
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4. Diversi
vescovi sotterranei, perseguitati con asprezza in passato, sono ora
molto vecchi. Eppure molti di loro subiscono ancora controlli,
isolamento, lavaggio del cervello. Altri sono ormai resi immobili dalla
malattia.
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5. Mons. Bartolomeo Yu Cengti,
74 anni, vescovo di Hanzhong (Shaanxi), dal dicembre 2001 è agli
arresti domiciliari. Isolato: ai suoi sacerdoti è vietato incontrarlo.
E' molto malato, e non svolge lavoro pastorale.
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6. Mons. Li Hongye (diocesi di Luoyang, Henan); arrestato nel '97. Ha 83 anni. E' malato.
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7. Mons. Liu Guandong
(diocesi di Yixian, Hebei). Ha 84 anni. È sotto controllo, ma è
impedito a svolgere il ministero soprattutto a causa della sua malattia.
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8. Mons. Giuseppe Fan Zhongliang (diocesi di Shanghai). Ha 85 anni ed è malato. É sempre sorvegliato sebbene goda di una certa libertà.
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9. Mons. Han Jingtao
(diocesi di Sipin, Jilin). Ha 82 anni. Pur essendo molto malato, rimane
sotto controllo della polizia e non può lavorare in pubblico.
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10. Mons. Giovanni Yang Shudao
(diocesi di Fuzhou, Fujian). Ha 84 anni. L'arcivescovo Yang ha subito
in passato circa 30 anni di prigione. È stato arrestato nel '55 per
essersi rifiutato a entrare nell'associazione patriottica. Rilasciato
dopo 26 anni, nell'81, è arrestato di nuovo nell'88 per 3 anni. Ancora
adesso a periodi alterni, è sottoposto ad arresti e controlli. È molto
malato.
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11. Mons. Tommaso Zeng Jingmu (diocesi di Yujiang, Jiangxi), 83 anni.
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12. Mons. Xie Shiguang (diocesi di Mingdong, Fujian). Ha 86 anni. Arrestato nell'ottobre '99. Al suo arresto, secondo la polizia, era «stato invitato ad una chiacchierata»
con rappresentanti del governo e portato in una località sconosciuta.
Mons. Xie aveva sempre rifiutato la richiesta governativa di registrare
ufficialmente la chiesa sotterranea di Mindong. Il vescovo è ritornato
presto «libero, ma sotto controllo».
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13. Mons. Giacomo Lin Xili
(diocesi di Wenzhou, Zhejiang). Ha 84 anni. Arrestato dal settembre '99
e liberato all'inizio del 2002. Il vescovo rimane sempre sotto
controllo e non è libero. Cattolici della sua diocesi affermano che il
suo arresto, assieme a quello di diversi sacerdoti, è dovuta a una
campagna lanciata dalla locale Associazione Patriottica per costringere
clero e vescovo ad entrarvi. La campagna di convincimento avviene con
violenze e ricatti. Nella sua diocesi la chiesa non ufficiale è sempre
minacciata da arresti e distruzioni. A metà dicembre '99, 2 chiese sono
state fatte saltare a Wenzhou, altre 3 nell'aprile dello stesso anno.
Nel villaggio di Linjiayuan la chiesa è stata costruita 3 volte e 3
volte distrutta. L'ultima volta è stato alla fine dell'ottobre 2001.
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14. Shi Hongzhen,
vescovo coadiutore di Tianjin, 75 anni. Quest'anno ha compiuto 50 anni
di ordinazione sacerdotale. Non può lavorare, soprattutto a causa della
sua malattia. Non è a domicilio coatto.
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Sacerdoti arrestati e/o condannati |
1. Zhang Zhenquan,
Ma Wuyong (diocesi di Baoding, Hebei), arrestati nel luglio-agosto 2004
durante una cerimonia per l'anniversario di ordinazione, insieme a p.
Huo Junlong, amministratore della diocesi di Baoding.
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2. P. Li Wenfeng; p. Liu Heng; p. Dou Shengxia
(diocesi di Shijiazhuang, Hebei): arrestati il 20 ottobre 2003 insieme a
diversi seminaristi durante un ritiro spirituale a Gaocheng.
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3. P. Chi Huitian
(diocesi di Baoding, Hebei), arrestato il 9 agosto 2003 mentre
celebrava la messa durante un campo estivo di catechismo a dei ragazzi.
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4. P. Kang Fuliang, Chen Guozhen, Pang Guangzhao, Yin Ruose, Li Shujun
(diocesi di Baoding, Hebei): arrestati il 1 luglio 2003 perché in
visita a p. Lu Genjun, appena rilasciato da 3 anni di lager, perché
accusato di "evangelizzazione".
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5. P. Lu Xiaozhou (diocesi di Wenzhou, Zhejiang), arrestato il 16 giugno 2003 mentre stava per dare l'estrema unzione ad un moribondo.
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6. P. Lin Daoming
(diocesi di Fuzhou, Fujian). Arrestato il 3 maggio 2003, mentre è in
visita da sua madre. La madre era stata appena rilasciata dalla
prigione, arrestata perché era la cuoca del seminario sotterraneo di
Ch'angle.
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7. P. Zheng Ruipin
(diocesi di Fuzhou, Fujian). Arrestato il 12 aprile 2003 insieme a 18
seminaristi. I seminaristi sono stati rilasciati; il padre è tuttora in
carcere in luogo sconosciuto.
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8. P. Pang Yongxing, p. Ma Shunbao, p. Wang Limao
(diocesi di Baoding, Hebei). Arrestati rispettivamente nel dicembre
2001; il 24 marzo e il 31 marzo 2002 (domenica delle Palme e Pasqua). Il
7 luglio 2003 sono stati tutti condannati ai lavori forzati.
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9. P. Li Jianbo (diocesi di Baoding, Hebei). Arrestato il 19 aprile 2001 a Xilinhot (Mongolia Interna) e condannato ai campi di rieducazione attraverso il lavoro. Si dice che sia molto malato.
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Postato da: giacabi a 14:56 |
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comunismo, cina
Citazione dal grande Alain Finkielkraut ("L'imparfait du présent", mai tradotto in italiano
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I SINISTROIDI INTELLETUALI
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«E' schiumando di rabbia contro il fascismo in piena ascesa che l'arte contemporanea fa man bassa delle istituzioni culturali. Non c'è nessuna fessura nella corazza dei fortunati del mondo post-sessantottino. Hanno lo stereotipo sulfureo, il cliché ribelle, l'opinione sopra le righe e più buona coscienza ancora che i notabili del museo di Bouville descritti da Sartre ne "La Nausea". Perché essi occupano tutti i posti: quello, vantaggioso, del Maestro, e quello, prestigioso, del Maledetto. Vivono come una sfida eroica all'ordine delle cose la loro adesione piena di sollecitudine alla norma del giorno. Il dogma, sono loro; la bestemmia pure. E per darsi arie da emarginati insultano urlando i loro rari avversari. In breve, coniugano senza vergogna l'euforia del potere con l'ebbrezza della sovversione. Stronzi».
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Postato da: giacabi a 18:06 |
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comunismo, finkielkraut
Da: http://www.asianews.it/view.php?l=it&art=7112
4 Settembre 2006
CINA
Chiesa distrutta nel Fujian, un’altra sarà distrutta fra breve
La
polizia considera gli edifici un attentato alla sicurezza. Due fedeli
sono rimasti feriti. I fedeli hanno risparmiato per anni per finanziare
le costruzioni e ora si sentono “afflitti e indignati”.
Roma
(AsiaNews) – La polizia di Pingtan (Fujian) ha distrutto una chiesa del
villaggio di Yutouchang e ha giurato di demolirne un’altra in un
villaggio vicino.
Circa
500 poliziotti e funzionari locali si sono mobilitati la mattina del 1°
settembre alle 8 (ora locale) per distruggere una chiesa delle comunità
non ufficiali del Fujian. La chiesa sorgeva nel villaggio di
Yutouchang, sull’isoletta di Pingtang al largo di Fuzhou (Fujian).
L’isola, non molto distante dalla costa cinese, ospita da tempo almeno
10 mila cattolici non ufficiali.
Fonti
di AsiaNews in Cina hanno rivelato che la polizia è giunta con
bulldozer per distruggere l’edificio – illegale secondo la legge cinese –
e ha picchiato alcuni fedeli che ne volevano impedire la distruzione.
Due persone son rimaste ferite. La chiesa era stata terminata nel luglio
2006, con una superficie di 1000 mq, era costata 400 mila yuan (40mila
euro).
La
polizia ha anche avvertito che nei prossimi giorni distruggerà un’altra
chiesa in costruzione nel villaggio di Ao Qian. Negli ultimi anni, i
400 fedeli di Ao Qian, in maggioranza pescatori si sono tassati per
raccogliere oltre 500 mila yuan e costruire la chiesa, che ha una
superficie di 250 mq, ed è una costruzione a più piani. “I nostri fedeli
– dice la fonte di AsiaNews - si sono sacrificati perfino risparmiando
sul cibo, per potere costruire questa chiesa. Ma adesso il governo
ignora il sangue e il sudore della povera gente e distrugge tutto. Tutto
ciò è profondamente ridicolo e ci sentiamo afflitti e indignati!”.
La
polizia giustifica queste distruzioni con “motivi di sicurezza”. La
Cina permette la pratica religiosa solo in luoghi di culto registrati
presso l’Ufficio affari religiosi e considera un attentato alla
sicurezza la pratica in luoghi di culto illegali.
Nel
Fujian vi è una forte comunità non ufficiale che non accetta di essere
registrata per timore di dover sottostare al controllo dell’Associazione
Patriottica, il cui scopo è creare una chiesa nazionale staccata dalla
Santa Sede.
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