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domenica 5 febbraio 2012

corradi marina


La dimensione in cui si compie la storia

Il nostro sguardo pagano che rende spaventoso il tempo

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La dimensione in cui si compie la storia      da:www.ilsussidiario.net
di Marina Corradi
 
«Di tutte le cose, quella che mi fa più paura è il tempo», mi ha detto un figlio, quello di 15 anni. Anche a me. Il tempo mi ha sempre fatto paura. Fin da quando, bambina, nel fienile della casa di montagna in cui passavo l’estate perlustravo fra vecchie cose abbandonate. C’erano slitte con i pattini rugginosi, e un arcolaio che gemeva gentilmente, nello sfiorarne la ruota. E giornali ingialliti di giorni lontani, con storie di guerra e di armistizi che a me sembravano perdutamente remoti. Nella penombra che sapeva di fieno e di polvere mi incantavo, ipnotizzata dal tempo. Mi sbalordiva pensare che quella slitta tarlata avesse scivolato sulla neve fra grida di bambini che ora erano morti da un pezzo. E che fine avevano fatto le ragazze sorridenti nelle foto di quei giornali? Facendo i conti, dovevano essere ormai vecchie, le facce di fanciulle avvizzite di rughe.
Il tempo che corrode ogni cosa, già da bambina mi incuteva spavento. Benché allora le montagne, la città, le case attorno mi guardassero dall’alto – mi sembrava – con benevolenza: noi siamo vecchie e abbiamo visto ogni cosa, ma tu, piccola, sei vergine di questo nostro sguardo usurato.
Crescendo ho poi scoperto che misteriosamente quelle stesse cose, città e palazzi, nel tempo rimangono uguali e indifferenti; mentre noi uomini invecchiamo e passiamo. Le facciate delle case di via San Marco sono identiche a quando le sfioravo, al mattino presto, andando a scuola; e i tram in corso Sempione corrono con  l’identico fruscio d’acciaio sui binari di quando dalla finestra di casa mio padre li stava a guardare. Le cose sfrontatamente intatte, e noi che scompariamo.
Quindi capisco mio figlio che dice: mi fa paura, il tempo. Questa dimensione immateriale eppure granitica che procede uguale, imperterrita, sovrana. Mi accorgo però ora, a cinquant’anni, che il mio sguardo sul tempo è pagano. «Il tempo che passa è Dio che viene», ho letto anni fa sul portale di una chiesa, e quella frase mi si è impigliata in mente. Il tempo non è la dimensione in cui si compie la storia, quindi il disegno di Dio? Il tempo cristiano non è cieco, non annienta, ma costruisce per pieghe indecifrabili un destino buono. «Niente di ciò che abbiamo amato andrà perduto», ha scritto Benedetto XVI. Neanche dunque gli sguardi dei nostri figli, da piccoli, e le risate di antichi sconosciuti bambini in una mattina di neve sulle Dolomiti di cui più nessuno ha il ricordo.
In questa memoria vorrei guardare senza paura lo scatto metodico e implacabile delle lancette sugli orologi dei campanili;
e il calendario intonso dell’anno 2011, che ho comprato stamane e che sto a guardare pensierosa. Comunque, saranno giorni, e ore, e secondi dentro a un disegno; non tempo annichilito nel buio atterrito del caso.

Postato da: giacabi a 15:53 | link | commenti
corradi marina

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