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domenica 5 febbraio 2012

cristianesimo,

Con Cristo tutti gli uomini hanno uguale dignità
***
Duemila anni fa l’unico uomo che aveva tutti
i diritti umani era il “civis romanus”.
Ma il “civis romanus” da chi era stabilito?
Il potere determinava il civis romanus”.
Uno dei più grandi giuristi romani, Gaio,
distingueva tre tipi di utensili che il civis,
cioè l’uomo con tutti i diritti, poteva possedere:
gli utensili che non si muovono e non parlano,
gli utensili che si muovono e non parlano, cioè gli animali;
e gli utensili che si muovono e parlano, gli schiavi.
V’è assenza totale della libertà come
essenziale dimensione della persona.

Don Giussani il Senso Religioso ed.Rizzoli

Postato da: giacabi a 17:57 | link | commenti
cristianesimo, giussani

venerdì, 30 settembre 2011
***
Al cardinale Benelli chiesero: "Che cosa c´è da fare per uscire da questa situazione di difficoltà?". Rispose: "Non c´è niente da fare, c´è tutto da essere: essere cristiani veri".

Postato da: giacabi a 20:57 | link | commenti
cristianesimo

***
"Ciò che fino ad oggi è mancato ai messaggeri del cristianesimo di ogni provenienza è la tenerezza"
(Heinrich Böll, premio Nobel per la letteratura nel 1972)
da:Lettera a un giovane cattolico

Postato da: giacabi a 20:54 | link | commenti
cristianesimo, amore

martedì, 27 settembre 2011
La diffusione del cristianesimo
***
Come fu possibile, dopo una fine così catastrofica, un nuovo inizio? Come germinò, dopo la morte di Gesù, questo movimento a lui ispirato, così gravido di conseguenze per le future vicende del mondo? Come si sviluppò una comunità che si riallaccia proprio al nome di un Crocifisso? Come si giunse alla formazione di una “Chiesa” cristiana? Si tratta, in poche parole, dell’enigma storico della genesi, dell’inizio, dell’origine del cristianesimo. Quanta diversità rispetto alla tranquilla, graduale diffusione delle dottrine di Buddha e Confucio, i saggi cui arrise il successo, quanta diversità rispetto alla diffusione in gran parte violenta della dottrina del vittorioso Maometto (si noti che tutto ciò avvenne mentre erano vivi)! Ecco nascere, immediatamente dopo il completo fallimento di Gesù e la sua morte disonorevole, e quasi esplosivamente diffondersi, appunto nel nome di un fallito, questo messaggio e questa comunità. Quale fu, dopo il catastrofico epilogo di quella vita, la scintilla che accese la miccia di uno straordinario sviluppo storico su scala mondiale? Come poté trarre origine dal patibolo di un uomo ignominiosamente appeso a una croce una “religione universale” veramente capace di trasformare il mondo?
(H. Küng, Essere cristiani, Mondatori, Milano 1976, 386s).

Postato da: giacabi a 14:52 | link | commenti
cristianesimo

domenica, 25 settembre 2011

Fonti storiche non cristiane
su Gesù

***
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Ritratto di Gesù, fine del IV-inizio del V secolo, catacombe di Commodilla, Roma.
I testi di autori non cristiani su Gesù sono parte delle fonti utilizzate nella ricerca sulla storicità di Gesù: si tratta di testi di autori greci, romani ed ebrei in gran parte risalenti al II secolo.
Le fonti antiche non cristiane sono in generale meno numerose e dettagliate dei testi cristiani su Gesù, ma consentono al tempo stesso di attingere a risorse indipendenti e di documentare l'atteggiamento dei contemporanei verso la vita di Gesù[1].

Indice

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Testi di origine ebraica [modifica]

Giuseppe Flavio, "Antichità giudaiche" [modifica]

Edizione del 1552 di "Antichità Giudaiche"
Riferimenti a Gesù sono presenti in alcuni passi delle Antichità giudaiche, un'opera scritta dallo storico ebreo Giuseppe Flavio (c.37 - c.100) nel 93 e dedicata alla storia del popolo ebraico dalle origini fino al 66. Nel testo tramandato ci sono tre riferimenti a Gesù e ai cristiani: il primo riguarda la morte di Giovanni Battista (XVIII, 116-119); il secondo la morte di Giacomo il Giusto, che Flavio Giuseppe qualifica come «fratello di Gesù chiamato il Cristo» (XX, 200); il terzo, il più noto, è conosciuto come Testimonium Flavianum (XVIII, 63-64).
In particolare il secondo brano recita:
  « Così (il sommo sacerdote Anano) convocò igiudici del Sinedrio e introdusse davanti a loro un uomo di nome Giacomo, fratello di Gesù, che era soprannominato Cristo, e certi altri, con l'accusa di avere trasgredito la Legge, e li consegnò perché fossero lapidati»
 
(Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, XX, 200)
Il testo, che contiene alcune informazioni sintetiche su Gesù (il nome, il titolo con cui era conosciuto, il nome e la sorte di un suo fratello), si presenta come genuino e non pone particolari problemi agli storici. Più complessa è invece la valutazione del terzo brano, noto appunto come Testimonium Flavianum, che afferma:
  «  Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani. »
 
(Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XVIII, 63-64. In corsivo i principali passi che potrebbero essere stati aggiunti successivamente al testo originale)
Su questo terzo passo, il Testimonium Flavianum, il giudizio degli studiosi è da tempo molto vario[2]. Molti studiosi ritengono che il testo sia stato rielaborato da copisti medioevali inserendo alcune note, in particolare sulla natura divina di Gesù e sulla sua risurrezione, in modo da allineare il contenuto con l'insegnamnento della Chiesa[3]. Alcuni studiosi lo ritengono comunque integralmente autentico[4] o al contrario interamente oggetto di interpolazione[5].

Giustino, in "Dialogo col giudeo Trifone" [modifica]

Giustino di Nablus, nel Dialogo col giudeo Trifone, riporta un avvertimento che sarebbe stato inviato dagli ebrei della Terra d'Israele a quelli della diaspora.[6]
  « È sorta un'eresia senza Dio e senza Legge da un certo Gesù, impostore Galileo; dopo che noi lo avevamo crocifisso, i suoi discepoli lo trafugarono nottetempo dalla tomba ove lo si era sepolto dopo averlo calato dalla croce, ed ingannano gli uomini dicendo che sia risorto dai morti ed asceso al cielo »
 
(Trifone, CVIII, 2)
È probabile che Giustino si sia servito di un artificio retorico per riportare l'opinione dei giudei del suo tempo a proposito dei cristiani.

Il Talmud di Babilonia [modifica]

Moderni volumi del Talmud di Babilonia
Il Talmud di Babilonia, testo ebraico che raccoglie tradizioni molto antiche e messo per iscritto nel V-VI secolo, contiene un riferimento a Gesù, nel quale si dice che egli fu giustiziato alla vigilia di Pasqua perché "praticava la stregoneria". Questo sembrerebbe confermare che Gesù abbia compiuto dei prodigi, che i suoi avversari attribuivano all'opera del demonio.
Esistono peraltro scarsissimi documenti storici relativi all'era del Secondo Tempio: a parte i lavori di Giuseppe Flavio, il più antico testo del periodo, è da ricordare la Mishnah, che è comunque più un codice di leggi piuttosto che un registro di procedimenti giudiziari o un testo di storia generale.
Dai documenti giudaici del periodo, sia orali che scritti, venne compilato il Talmud, una collezione di dibattiti legali e di aneddoti che riempiono trenta volumi. In essi non vi è menzionato mai il nome Gesù (ebraico Yehoshuah): il riferimento più vicino è il nome Yeshu presente nel Talmud di Babilonia e riferito ad uno o più individui, oltre a designazioni inderette e tramite epiteti[7].
La descrizione di Yeshu non corrisponde comunque a quella cristiana di Gesù; inoltre si pensa che la parola sia piuttosto un acronimo di yemach shemo vezichro ("sia cancellato il suo nome e la sua memoria") che indica chi cerca di convertire i Giudei dal Giudaismo. Per giunta, il termine non compare nella versione di Gerusalemme del testo, che ci si aspetterebbe menzionasse Gesù maggiormente rispetto alla versione di Babilonia.
Occorre comunque tener conto che l'esiguità dei riferimenti a Gesù negli scritti talmudici potrebbe semplicemente essere dovuto al fatto che il Cristianesimo fosse ancora una realtà di minore importanza ai tempi in cui la maggior parte del Talmud è stato redatto, unito al fatto che il testo è stato concepito più per insegnare la legge che come manuale storico.

Le Diciotto Benedizioni [modifica]

In una delle redazioni pervenute delle "Diciotto Benedizioni", testo liturgico ebraico, compare un riferimento ai cristiani (o "nazareni")
  « Che per gli apostati non vi sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il dominio dell'usurpazione, e periscano in un istante i Cristiani (nôserîm) e gli eretici (minim): siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti con i giusti. Benedetto sei tu, Signore, che schiacci gli arroganti »
La preghiera, chiamata Birkat Ha Minim, risale alla fine del I secolo, ma non è chiaro quando sia esattamente stato inserito il riferimento ai cristiani, visto che le altre redazioni del testo menzionano solo "gli eretici" [8].

Testi di origine romana [modifica]

Corrispondenza tra Plinio il Giovane e l'imperatore Traiano [modifica]

Circa nel 112, in una lettera[9] tra l'imperatore Traiano e il governatore delle province del Ponto e della Bitinia Plinio il Giovane, viene fatto un riferimento ai cristiani. Plinio chiede all'imperatore come comportarsi verso i cristiani che rifiutano di adorare l'imperatore e pregano "Cristo" come dio.
  « I Cristiani... Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell'esser soliti riunirsi prima dell'alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti. »
 
(Plinio il giovane a Traiano imperatore, Lettere 10.96 – 97)
Il testo si limita a indicare Cristo come persona (venerata quasi deo), ma non fornisce ulteriori informazioni dirette su Gesù: Charles Guignebert ha quindi evidenziato come questo breve passaggio non fornisca, da solo, elementi utili a definire i contorni della sua figura storica[10] [11]. La lettera documenta piuttosto la diffusione delle prime comunità cristiane e l'atteggiamento dell'amministrazione romana nei loro confronti[12]. Nella sua risposta a Plinio, che li considera colpevoli di una deplorevole superstitio[13], Traiano dispone che i Cristiani non debbano essere ricercati dalle autorità, ma possano essere perseguitati solo se denunciati da qualcuno, purché non anonimo, salvo che, sacrificando agli dei dell'impero, non rinneghino la loro fede.

Svetonio in "Vita dei dodici Cesari" [modifica]

Lo storico Svetonio (70-122), nella sua opera dedicata alle Vite dei dodici Cesari (112), scrive di "giudei, che, istigati da Cresto (sic) durante il regno di Claudio avevano provocato dei tumulti", e che perciò l'imperatore aveva espulsi da Roma. Questo passo, comunque, testimonia la presenza di cristiani a Roma in epoca molto antica (Claudio morì nel 54)[14], anche se l'utilizzo del termine cristiani per indicare i seguaci di Gesù a Roma è probabilmente più tardo[15].
(LA)
« Iudaeos, impulsore Chresto, assidue tumultuantes Roma expulit »
(IT)
« Dato che i Giudei, istigati da Cresto, provocavano costantemente dei tumulti, [Claudio] li espulse da Roma. »
(Gaio Svetonio, Vite dei dodici cesari)
Chrestus può essere interpretato come una distorsione del nome Christus (Cristo) e quindi un possibile riferimento a Gesù. Il termine Chrestus appare infatti anche in testi successivi riferito a Gesù: un errore di scrittura è quindi plausibile, anche perché forse le due parole in greco antico venivano pronunciate in modo identico, il che può aver influito nella redazione del testo. Del resto a quel tempo i termini crestiani e cristiani venivano usati comunemente e con lo stesso significato, così come documentato, ad esempio, da Tertulliano[16].
Secondo alcuni studiosi la scelta delle parole nel passo di Svetonio sembra però implicare la presenza di "Chrestus" a Roma nell'anno 54 dopo Cristo: in questo caso l'identificazione con Gesù sarebbe molto improbabile. Chrestus era inoltre un nome comune tra gli schiavi a Roma, significava buono o utile, ed il passo tratta di una rivolta di schiavi. L'interpretazione del passo è quindi, nel complesso, controversa[17][18].
Oltre al passo citato, Svetonio nelle sue opere fa inoltre un riferimento ai cristiani nella sua Vita di Nerone:
  « sottopose a supplizio i Cristiani, razza di uomini d'una superstizione nuova e malefica »
 
(Vita Neronis XVI, 2)

Cornelio Tacito negli "Annales" [modifica]

Publio (o Gaio) Cornelio Tacito, conosciuto semplicemente come Tacito (55 - 117), oratore, avvocato e senatore romano, è considerato uno degli storici più importanti dell'antichità.
Il nome di Cristo viene citato dallo storico latino Tacito (56-123) nel quindicesimo libro degli Annali, quando narra della persecuzione dei cristiani ad opera di Nerone: egli afferma che i cristiani avevano avuto origine da Cristo, il quale era stato condannato a morte sotto Ponzio Pilato[19].
Tacito scrive due paragrafi che menzionano Cristo e i Cristiani nel 116. Il primo afferma che alcuni cristiani erano presenti a Roma al tempo dell'imperatore Nerone (dal 54 al 68) e che egli, per evitare di essere accusato dell'incendio di Roma del 64 li incolpò:
(LA)
« subdidit reos et quaesitissimis poenis adfecit, quos per flagitia invisos vulgus Chrestianos appellabat. »
(IT)
« ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissìmi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti, chiamava Crestiani. »
(Annales, XV, 44)
Il secondo che la fede cristiana si era diffusa a Roma e in Giudea e che 'Cristo' fu messo a morte dal 'procuratore Ponzio Pilato'.
(LA)
« Auctor nominis eius Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat; repressaque in praesens exitiabilis superstitio rursum erumpebat, non modo per Iudaeam, originem eius mali, sed per urbem etiam, quo cuncta undique atrocia aut pudenda confluunt celebranturque. »
(IT)
« L'autore di questa denominazione, Cristo, sotto l'impero di Tiberio (imperatore dal 14 al 37), era stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l'Urbe, ove da ogni parte confluiscono tutte le cose atroci e vergognose »
(Annales, XV, 44)
La descrizione del cristianesimo è fatta in chiave decisamente negativa, bollata come "pericolosa superstizione" e "primitiva e immorale", cosicché è improbabile che il testo sia un'interpolazione di epoca cristiana.
Tacito si riferisce semplicemente a 'Cristo' - traduzione dal greco della parola ebraica "Messia" - invece di nominare esplicitamente "Gesù", e attribuisce a Ponzio Pilato la precisa carica di procuratore, carica differente sia da quelle menzionate nei Vangeli di prefetto e governatore, sia da quella attestata da evidenze archeologiche (un'iscrizione riporta che Pilato era prefetto).
Nel secondo paragrafo esprime il suo giudizio negativo sulla diffusione del cristianesimo. Alcuni studiosi ritengono che Tacito si basi comunque su fonti cristiane, mentre altri, tra cui Karl Adam, ritengono che Tacito, come nemico dei cristiani e storico, abbia investigato sull'esecuzione di Gesù prima di riportarne la notizia. Una minoranza di studiosi ipotizza che il passo sia stato falsificato.

Tiberio, riportato da Tertulliano [modifica]

Tertulliano (150-220) fa cenno nell'Apologetico al fatto che l'imperatore Tiberio avrebbe proposto al Senato romano di riconoscere Gesù come dio (i romani spesso incorporavano nel loro pantheon le divinità dei popoli da loro sottomessi). La proposta fu respinta il che, secondo l'autore, costituì la base giuridica per le successive persecuzioni dei cristiani, seguaci di un "culto illecito". Un frammento porfiriano (fr. 64 von Harnack) conferma la notizia di Tertulliano[20], Apol. 5, 2 sul senatoconsulto del tempo di Tiberio che, rifiutando la proposta dell’imperatore di riconoscere il Cristianesimo, faceva di questa religione una superstitio illicita, i cui seguaci potevano essere messi a morte come tali. Non tutti gli storici sono concordi nel ritenere attendibile la notizia poiché secondo loro potrebbe essere stata sia inventata dallo stesso Tertulliano (mai riluttante ad usare qualunque mezzo per sostenere le proprie tesi... con l'attenuante di scrivere oltre 160 anni dopo i presunti fatti, a Cartagine e in un periodo di persecuzioni), sia alterata successivamente.Secondo invece lo storico ebreo Edoardo Volterra,Tertulliano appunto perché cristiano in anni di persecuzioni, non aveva alcun interesse a inventare l' esistenza di un senatoconsulto che aveva dichiarato il cristianesimo una "superstitio illicita". Anzi, aveva l'interesse opposto. Proprio l'esistenza di quel senatoconsulto infatti rendeva legali le persecuzioni contro i cristiani.

Lo scritto dell'imperatore Adriano [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Rescritto di Adriano a Gaio Minucio Fundano.
Eusebio di Cesarea, nella sua Storia Ecclesiastica, riporta la risposta dell'imperatore Adriano al proconsole della provincia d'Asia Quinto Licinio Silvano Graniano che in una lettera aveva richiesto come comportarsi nei confronti dei cristiani che fossero stati oggetto di delazioni anonime o accuse[21].
  « Se pertanto i provinciali sono in grado di sostenere chiaramente questa petizione contro i Cristiani, in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura, e non ad opinioni o clamori. È infatti assai più opportuno che tu istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un'accusa. Allora, se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi secondo la gravità del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, stabiliscine la gravità e abbi cura di punirlo »
 
(Eusebio, Hist. Eccl., IV.9, 2-3)
La risposta era indirizzata a Caio Minucio Fundano, nuovo proconsole d'Asia, che fu in carica dal 122 al 123.

L'imperatore Marco Aurelio in "A se stesso" [modifica]

Marco Aurelio Antonino, imperatore dal 161 al 180, in un'opera intitolata "A se stesso" riporta un accenno ai cristiani[22].
  « Oh, come è bella l'anima che si tiene pronta, quando ormai deve sciogliersi dal corpo, o estinguersi, o dissolversi o sopravvivere! Ma tale disposizione derivi dal personale giudizio, e non da una mera opposizione, come per i Cristiani; sia invece ponderata e dignitosa, in modo che anche altri possano esserne persuasi, senza teatralità »
 
(Ad sem. XI, 3)

Lettera di Publio Lentulo [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce lettera di Publio Lentulo.
La lettera di Publio Lentulo è un presunto rapporto di un procuratore romano in Giudea, nel quale egli riferirebbe a Tiberio di Gesù, descrivendone anche l'aspetto fisico. Tutti gli storici concordano però che si tratti di un falso di epoca molto posteriore; questo Lentulo, a quanto si sa, non è mai neppure esistito.

Orazione di Frontone [modifica]

Minucio Felice in Octavius riporta una orazione di Marco Cornelio Frontone[23], che può essere ricostruita in base alle citazioni[24].
(LA)
« Qui de ultima faece collectis imperitioribus et mulieribus credulis sexus sui facilitate labentibus plebem profanae coniurationis instituunt, quae nocturnis congregationibus et ieiuniis sollemnibus et inhumanis cibis non sacro quodam, sed piaculo foederatur, latebrosa et lucifuga natio, in publicum muta, in angulis garrula, templa ut busta despiciunt, deos despuunt, rident sacra, miserentur miseri (si fas est) sacerdotum, honores et purpuras despiciunt, ipsi seminudi! [...]
Inter eos velut quaedam libidinum religio miscetur, ac se promisce appellant fratres et sorores, ut etiam non insolens stuprum intercessione sacri nominis fiat incestum. [...]
Audio eos turpissimae pecudis caput asini consecratum inepta nescio qua persuasione venerari [...]
Alii eos ferunt ipsius antistitis ac sacerdotis colere genitalia [...]
Et qui hominem summo supplicio pro facinore punitum et crucis ligna feralia eorum caerimonias fabulatur, congruentia perditis sceleratisque tribuit altaria, ut id colant quod merentur. [...]
Infans farre contectus, ut decipiat incautos, adponitur ei qui sacris inbuatur [...] occiditur. Huius, pro nefas! sitienter sanguinem lambunt, huius certatim membra dispertiunt, hac foederantur hostia [...]
Et de convivio notum est; passim omnes locuntur, id etiam Cirtensis nostri testatur oratio.
[...] infandae cupiditatis involvunt per incertum sortis, etsi non omnes opera, conscientia tamen pariter incesti, quoniam voto universorum adpetitur quicquid accidere potest in actu singulorum »
(IT)
« Essi, raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti e le donnicciuole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne per celebrare le sacre vigilie o per banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scelleraggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe, irridono gli dei, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore, essi che sono quasi nudi! [...]
Regna tra loro la licenza sfrenata, quasi come un culto, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicché, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. [...]
Ho sentito dire che venerano, dopo averla consacrata, una testa d'asino, non saprei per quale futile credenza [...]
Altri raccontano che venerano e adorano le parti genitali del medesimo celebrante e sacerdote [...]
E chi ci parla di un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e il legno della croce, che costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, attribuisce in fondo a quei malfattori rotti ad ogni vizio l'altare che più ad essi conviene [...]
Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli inesperti, viene posto innanzi al neofita, [...] viene ucciso. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e con questa vittima stringono un sacro patto [...]
Il loro banchetto, è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente una orazione del nostro retore di Cirta.
[...] si avvinghiano assieme nella complicità del buio, a sorte »
(Octavius VIII,4-IX,7 [25])

Il Satyricon di Petronio [modifica]

Non c'è accordo tra gli storici sui possibili riferimenti ai cristiani e al vangelo di Marco nel Satyricon[26] di Petronio Arbitro.
  « “Porta anche dell'unguento e un assaggio da quell'anfora, con cui voglio siano lavate le mie ossa” [...] Subito aprì l'ampolla del nardo, unse tutti noi e disse “Spero che possa piacermi da morto quanto da vivo”. Poi comandò che fosse infuso del vino in una brocca e disse “Fate come se foste stati invitati ai miei funerali »
Questo passo ha delle somiglianze con il vangelo di Marco:
  « Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l'unguento sul suo capo. [...]"Essa ha fatto ciò ch'era in suo potere, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura." »   (Marco 14,3-9)    
Un altro passo che potrebbe avere riferimenti evangelici:
  « Mentre diceva queste cose, un gallo domestico cantò. Turbato da quella voce, Trimalcione comandò che fosse versato del vino sotto la tavola e che anche la lucerna ne venisse cosparsa. Poi passò l'anello nella mano destra e disse: “Non senza ragione questo trombettiere ha dato il segnale; infatti o dovrà scoppiare un incendio, o qualcuno dei vicini dovrà morire. Lungi da noi! Per cui, chi mi porterà questo accusatore riceverà un premio”. In men che non si dica venne portato un gallo da una casa vicina, che Trimalcione ordinò venisse cotto in pentola” »
 
(Satyricon LXXIV, 1-4)
Il canto del gallo è visto come un segno di sciagura, contrariamente alla tradizione greca e romana in cui il canto del gallo simboleggia la vittoria ma simile all'episodio del tradimento di Pietro descritto in tutti i quattro vangeli canonici (mostra).
Anche il racconto della matrona di Efeso può essere significativo.
  « Una matrona di Efeso, [...] avendo perso il marito, [...] seguì il defunto persino nel sepolcro. [...] Nello stesso tempo il governatore della provincia comandò che fossero crocifissi dei ladroni proprio accanto al sepolcro nel quale la matrona piangeva il recente cadavere. La notte seguente, quando il soldato che sorvegliava le croci affinché nessuno togliesse i corpi per seppellirli, notò un lume splendere tra le tombe e udì il gemito di qualcuno che piangeva [...] volle sapere chi fosse e che cosa facesse. Scese quindi nella tomba. [...] Dunque giacquero assieme non solo quella notte nella quale fu consumato il loro imene, ma anche il seguente ed il terzo giorno, tenendo certamente chiuse le porte del sepolcro. [...] Ma i parenti di un crocifisso, come videro diminuita la sorveglianza, tirarono giù di notte l'appeso e gli resero l'estremo ufficio. E quando il giorno successivo il soldato [...] vide una croce senza cadavere, atterrito dal supplizio raccontò alla donna quello che era successo. [...] Ella disse allora di togliere il corpo del proprio marito dall'arca e di attaccarlo a quella croce che era vuota. Il soldato approfittò dell'ingegno dell'avvedutissima donna, ed il giorno dopo il popolo si meravigliava di come quel morto avesse potuto salire sulla croce »
 
(Sat. CXI-CXII)
Tutte questi passi possono comunque essere interpretati in modo indipendente dai vangeli, oppure si possono interpretare i vangeli come dipendenti da Petronio; peraltro se si accetta la possibilità che esista un rapporto tra il Satyricon il cristianesimo altri passi possono essere letti in modo simile.

Testi di origine greca [modifica]

Epitteto in "Dissertazioni" di Arriano [modifica]

In "Dissertazioni" del filosofo stoico Arriano (95 ca – 175 ca) è riportato uno degli insegnamenti del suo maestro Epitteto, che parlando della morte, indica i "galilei" (intendendo probabilmente i cristiani) come persone che non ne hanno paura[27].
  « Anche per follia uno può resistere a quelle cose (atti compiuti dai tiranni, ndr.), o per ostinazione, come i Galilei »
 
(Diss. Ab Arriano digestae IV, 6, 6)

Galeno in "Historia anteislamica" di Abulfida [modifica]

Abulfida nella "Historia anteislamica" riporta un giudizio di Galeno (129216) sui cristiani[28].
  « I più tra gli uomini non sono in grado di comprendere con la mente un discorso dimostrativo consequenziale, per cui hanno bisogno, per essere educati, di miti. Così vediamo nel nostro tempo quegli uomini chiamati Cristiani trarre la propria fede dai miti. Essi, tuttavia, compiono le medesime azioni dei veri filosofi. Infatti, che disprezzino la morte e che, spinti da una sorta di ritegno, aborriscano i piaceri carnali, lo abbiamo tutti davanti agli occhi. Vi sono infatti tra loro sia uomini che donne i quali per tutta la vita si sono astenuti dai rapporti; e vi sono anche coloro che sono a tal punto progrediti nel dominare e dirigere gli animi, e nella più tenace ricerca della virtù, da non cedere in nulla ai veri filosofi »
 
(De sentent. Pol. Plat[29])
Galeno non ha solo una visione positiva dei cristiani:
  « Nessuno subito da principio, come se fosse pervenuto alla dottrina di Mosè o Cristo, ascolti leggi indimostrate, nelle quali non si deve per nulla credere
[...]
Infatti si potrebbero dissuadere prima quelli che provengono da Mosè e Cristo, che non i medici o i filosofi, i quali si sono consumati sui loro principi »
 
(De differentia pulsuum libri quattuor II, 4 e III, 3)

Lettera di Mara Bar Sarapion [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce lettera di Mara Bar Serapion.
La lettera di Mara Bar Serapion fu scritta da Mara bar Sarapion, uno stoico siriano che si trovata in un prigione romana, a suo figlio; la lettera è stata variamente datata dal 73 al 260.[30]. In questa lettera si tratta dell'uccisione di tre uomini saggi della storia e uno di questi è stato da alcuni identificato con Gesù:
  « Quale vantaggio trassero gli Ateniesi dall'aver ucciso Socrate? Ne ottennero carestia e morte. O gli abitanti di Samo per aver bruciato Pitagora? In un momento tutto il loro paese fu coperto dalla sabbia. O i Giudei, per il loro saggio re? Da quel tempo fu sottratto loro il regno.
Dio vendicò giustamente la saggezza di questi tre uomini: gli Ateniesi morirono di fame, gli abitanti di Samo furono travolti dal mare, i Giudei furono eliminati e cacciati fuori dal loro regno, e sono ora dispersi per tutte le terre. Socrate non è morto, grazie a Platone; né Pitagora, grazie alla statua di Hera, né il saggio re, grazie alle nuove leggi che ha stabilito
»

Luciano di Samostata [modifica]

Luciano di Samostata (120 ca – 186 ca) riporta il suicidio di Peregrino Proteo facendo vari accenni ai cristiani ed al loro "primo legislatore"[31].
  « Allora Proteo venne a conoscenza della portentosa dottrina dei cristiani, frequentando in Palestina i loro sacerdoti e scribi. E che dunque? In un batter d'occhio li fece apparire tutti bambini, poiché egli tutto da solo era profeta, maestro del culto e guida delle loro adunanze, interpretava e spiegava i loro libri, e ne compose egli stesso molti, ed essi lo veneravano come un dio, se ne servivano come legislatore e lo avevano elevato a loro protettore a somiglianza di colui che essi venerano tuttora, l'uomo che fu crocifisso in Palestina per aver dato vita a questa nuova religione.
[...] Si sono persuasi infatti quei poveretti di essere affatto immortali e di vivere per l'eternità, per cui disprezzano la morte e i più si consegnano di buon grado. Inoltre il primo legislatore li ha convinti di essere tutti fratelli gli uni degli altri, dopoché abbandonarono gli dei greci, avendo trasgredito tutto in una volta, ed adorano quel medesimo sofista che era stato crocifisso e vivono secondo le sue leggi. Disprezzano dunque ogni bene indiscriminatamente e lo considerano comune, seguendo tali usanze senza alcuna precisa prova. Se dunque viene presso di loro qualche uomo ciarlatano e imbroglione, capace di sfruttare le circostanze, può subito diventare assai ricco, facendosi beffe di quegli uomini sciocchi »
 
(De morte Per. XI-XIII)

Celso in "Discorso Veritiero" [modifica]

Il filosofo Celso, nel II secolo, polemizza contro i cristiani nella sua opera "Discorso Veritiero" (Alethès lógos). Questo scritto ci è pervenuto attraverso il "Contra Celsum" di Origene, in cui l'autore riporta molti passi per confutarli[32].
In alcuni dei passi tratta direttamente di Gesù, ad esempio:
  « Spinto dalla miseria andò in Egitto a lavorare a mercede, ed avendo quindi appreso alcune di quelle discipline occulte per cui gli Egizi son celebri, tornò dai suoi tutto fiero per le arti apprese, e si proclamò da solo Dio a motivo di esse »
 
(Alethès lógos, I, 28)
  « Gesù raccolse attorno a sé dieci o undici uomini sciagurati, i peggiori dei pubblicani e dei marinai, e con loro se la svignava qua e là, vergognosamente e sordidamente raccattando provviste »
 
(Alethès lógos, I, 62)
  « Colui al quale avete dato il nome di Gesù in realtà non era che il capo di una banda di briganti i cui miracoli che gli attribuite non erano che manifestazioni operate secondo la magia e i trucchi esoterici. La verità è che tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità. È noto a tutti che ciò che avete scritto è il risultato di continui rimaneggiamenti fatti in seguito alle critiche che vi venivano portate »
 
(Celso, Contro i Cristiani, traduzione, premessa e note di Rizzo S., Biblioteca Universale Rizzoli, 1989)

Note [modifica]

  1. ^ Gerd Theissen e Annette Merz, citati in John Dickson, Alla ricerca di Gesù. Le indagini di uno storico", Edizioni San Paolo, Milano, 2011.
  2. ^ Già Voltaire nel suo Dizionario filosofico notava la contraddizione tra questo passo e l'ortodossia ebraica che caratterizzava Flavio Giuseppe
  3. ^ Cfr. J. Dickson, Alla ricerca di Gesù. Le indagini di uno storico, Edizioni San Paolo, Milano, 2011. Un esempio di studioso che propende per interpolazioni parziali è, tra gli altri, John Dominic Crossan, Gesù. Una biografia rivoluzionaria.
  4. ^ Étienne Nodet, Serge Badet
  5. ^ E. Schürer, The History of the Jewish People in the Age of Jesus Christ (175 B.C.- A.D. 135), 4 vols., Edinburgh: T.& T.Clark, 1973-87; H. Chadwick, The Early Church, 2nd edition, London: Penguin, 1993.
  6. ^ Trifone Giudeo, [1]
  7. ^ Cfr. Giuseppe Ricciotti, "Vità di Gesù", Mondadori
  8. ^ Tratto da [2]. Fonti: J. MAIER, Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, Brescia, 1994, p. 63, con altri passi paralleli; R. PENNA, L'ambiente storico culturale delle origini cristiane, Bologna, 1984, p. 248. Una trattazione di questa preghiera in E. SCHÜRER, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo, vol. II, Brescia, 1987, pp. 547-554, ove si trova una traduzione delle due recensioni babilonese e palestinese, ed una bibliografia esaustiva
  9. ^ Lettere tra Plinio il Giovane e Traiano, [3]
  10. ^ Charles Guignebert, "Gesù", 1933. Vedi Gesù (Charles Guignebert).
  11. ^ Luigi Cascioli e Guy Fau, entrambi sostenitori della non esistenza di Gesù, ritengono che Plinio non si riferisse a cristiani ma a Esseni. Si veda Guy Fau, 1967, Le Fable de Jesus Christ, pag. 235. [4]
  12. ^ Vedi Colin M. Wells, "L'Impero Romano", Il Mulino, 1984 (ristampa RCS quotidiani, 2004, pagg. 316-317); C. Barbagallo, "Storia Universale. Roma." Volume II, Parte II, UTET, 1964, pagg. 1396-1397; Chester G. Starr, "Storia del mondo antico", Edizioni CDE su licenza Editori Riuniti, 1983, pag. 620.
  13. ^ Il termine supersitio aveva al tempo un significato diverso dall'attuale, e indicava qualcosa di estraneo e di aggiunto alle religioni tradizionali (vedi C. Augias, M. Pesce, "Inchiesta su Gesù", Mondadori, 2006, pagg. 192 e 194).
  14. ^ Svetonio, [5].
  15. ^ Cfr. Pesce in Augias-Pesce, "Inchiesta su Gesù", Mondadori, 2006.
  16. ^ P. Lampe, "Christians at Rome in the first two centuries", pagg. 12-13, Continuum Books, Londra, 2003
  17. ^ M.Pesce in C. Augias e M. Pesce in "Inchiesta su Gesù", Mondadori, 2006
  18. ^ Alcuni studiosi ritengono che "Chrestus" fosse un esponente di una comunità esseno-zelota presente a Roma di cui avrebbero fatto parte i coniugi Priscilla e Aquila che ospitarono Paolo di Tarso (Atti 17-18); anche egli secondo questa interpretazione sarebbe stato un Nazireo[senza fonte].
  19. ^ Cornelio Tacito, [6]
  20. ^ Sordi,Ramelli, "Il senatoconsulto del 35 contro i Cristiani in un frammento porfiriano" in Aevum 2004, vol. 78,1, pp. 59-67
  21. ^ Adriano Imperatore, [7]
  22. ^ Marco Aurelio, [8]
  23. ^ Frontone, [9]
  24. ^ Il problema storico e letterario del testo è affrontato da P. Frassinetti, L'orazione di Frontone contro i Cristiani, in Giornale italiano di Filologia II, 1949, pp. 238-254
  25. ^ Ed. J. P. Waltzing, Louvain, 1903
  26. ^ Petronio, [10]
  27. ^ Epitteto, [11]
  28. ^ Galeno, [12]
  29. ^ d. Fleischer, Leipzig, 1831, p. 109
  30. ^ (EN) Robert E. Van Voorst, Jesus Outside the New Testament: An Introduction to the Ancient Evidence, Wm. B. Eerdmans Publishing, 2000, ISBN 080284368, pp. 53-58.
  31. ^ Luciano di Samostata, [13]
  32. ^ Celso, [14]

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cristianesimo, gesù

mercoledì, 14 settembre 2011
Il Cristianesimo
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La fiamma del Cristianesimo è a tutt'oggi la nostra guida più alta. Guardarla e montargli la guardia è il nostro primo interesse, sia spiritualmente che materialmente.
(Winston Churchil, Massachusetts I.T. - 31 mar 1949)

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cristianesimo

mercoledì, 03 agosto 2011
Il vero atteggiamento dei cristiani
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Oggi, per accostarsi all’angoscia e allo smarrimento del mondo,
ci vogliono dei
cristiani difficili; dei cristiani che non si lasciano
prendere dall’impazienza, che
non distribuiscono benedizioni
affrettate, ferendo sia la dignità del cristianesimo

che la dignità dei non cristiani, che vedono in questo modo
di fare un’annessione
ingenua o violenta. In vista di una consacrazione
futura di tutto l’apporto
positivo del mondo moderno,
bisogna che i cristiani si familiarizzino con tutto

ciò che non è nato da loro, in un lungo processo
d’accostamento e di scoperta, con un atteggiamento
aperto, attento, umile e mai socialmente chiuso… devono

muoversi come un esercito che va a combattere in campo
aperto, senza mai perdere il contatto col terreno d’azione,
e dialogare con coloro che vogliono raggiungere.

Come colui che sedeva alla tavola dei pubblicani
e viveva in mezzo ai pescatori del lago di Tiberiade,
con grande scandalo dei farisei.

E. Mounier

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cristianesimo, mounier

giovedì, 16 giugno 2011

La rivista “Nature” e la nascita della scienza dal cristianesimo
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Sul sito web di Nature, una delle riviste scientifiche più importanti del mondo, è apparso un articolo che recensisce l’ultimo lavoro di James Hannam, dottore in Storia e Filosofia della Scienza presso l’Università di Cambridge, intitolato “La genesi della scienza: come il cristianesimo medioevale ha lanciato la rivoluzione scientifica. Il libro è stato selezionato per l’assegnazione del Royal Society Science Book Prize.
Pochi sono i temi rischiano di essere fraintesi come il rapporto tra fede e ragione, introduce il ricercatore. «Lo scontro in corso tra l’evoluzione e il creazionismo oscura il fatto che il cristianesimo ha effettivamente avuto un ruolo molto più positivo nella storia della scienza di quanto comunemente si creda. Infatti, molti degli esempi sul fatto che la religione ostacoli il progresso scientifico si sono rivelati falsi». Il docente di Cambridge spiega che, per esempio, «la Chiesa non ha mai insegnato che la Terra fosse piatta e, nel Medioevo, nessuno la pensava così, comunque. I Pontefici non hanno cercato di vietare nulla, né hanno scomunicato qualcuno per la cometa di Halley. Nessuno, sono lieto di dirlo, è stato mai bruciato sul rogo per le sue idee scientifiche. Eppure, tutte queste storie sono ancora regolarmente tirate fuori come esempio di intransigenza clericale nei confronti del progresso scientifico».
Hannam cita ovviamente Galileo, che fu processato per essersi voluto intromettere in fatti religiosi senza avere alcuna prova, come la Chiesa cattolica chiedeva, ma solo con una semplice ipotesi. Tuttavia questo caso, «mette a malapena in ombra tutto il sostegno che la Chiesa ha dato alla ricerca scientifica nel corso dei secoli». La Chiesa ha sostenuto lo studio delle scienze anche dal punto di vista finanziario, ad esempio. Fino alla Rivoluzione francese, infatti, «la Chiesa cattolica è stata lo sponsor principale della ricerca scientifica. La chiesa anche insistito sul fatto che la scienza e la matematica avrebbero dovuto essere obbligatoria nei programmi universitari. Nel XVII secolo, l’ordine dei Gesuiti era diventata la principale organizzazione scientifica in Europa, con la pubblicazione di migliaia di documenti e la diffusione di nuove scoperte in tutto il mondo. Le cattedrali sono state progettate anche come osservatori astronomici per la determinazione sempre più precisa del calendario». Senza poi dimenticare che la sincera e devota fede di tutti i grandi scienziati della storia, i quali hanno fondato le discipline scientifiche come la geologia e la genetica.
Il sostegno alla ricerca scientifica è stato giustificato dal fatto che «i cristiani hanno sempre creduto che Dio ha creato l’universo e ordinato le leggi della natura. Studiare il mondo naturale significava ammirare l’opera di Dio. Questo “dovere religioso” ha ispirato la scienza quando c’erano pochi altri motivi per preoccuparsi di essa. È stata la fede che ha portato Copernico a respingere l’universo tolemaico, a spingere Keplero a scoprire la costituzione del sistema solare, e che convinse Maxwell dell’elettromagnetismo». Il Medioevo, l’epoca più dominata dalla fede cristiana, è stato un periodo di innovazione e progresso. L’autore cita l’invenzione dell’orologio meccanico, dei bicchieri, della stampa e la contabilità. Nel campo della fisica, gli studiosi hanno trovato oggi le teorie medievali sul moto accelerato, la rotazione della terra e l’inerzia.

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cristianesimo, scienza - articoli

domenica, 29 maggio 2011
L’Everest dell’umano
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[234]A frate N... ministro. Il Signore ti benedica!
Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di impedimento nell'amare ilSignore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia.
E così tu devi volere e non diversamente. E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente riconosco che questa è vera obbedienza. E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori.
[235] E questo sia per te più che stare appartato in un eremo.
E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera, e cioè:
che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli.
[236] E avvisa i guardiani, quando potrai, che tu sei deciso a fare così

SAN FRANCESCO D'ASSISI
***************************************************
Dice Francesco d’Assisi, rivolgendosi a un ministro, cioè a un ministro del culto: «Ama coloro che agiscono con te in questo modo», cioè in modo obbediente, rispettoso. Ma cosa vuol dire questo, rispetto alle segretarie, alle infermiere che lavorano con me? Immediatamente è una cosa grande! Ama coloro che si comportano così con te, non considerarli pezze da piedi. «Quelli che agiscono con te in questo modo»: era un ministro del culto quello, la gente gli andava dietro. «Ama coloro che agiscono con te in questo modo»: vale anche con i figli, perché non troviamo gusto nel tenerli sotto (tra l’altro, poi, psicologicamente, succedono tutti i disastri del mondo), ma ad amarli sì. «Non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te». Questo è troppo bello! «Non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te», e così come Dio dà a te quel che ti dà, e da te non si può pretendere di più, allo stesso modo tu non pretendere dagli altri più di quello che possono dare. Ma il prosieguo della frase è il massimo, l’Everest dell’umanità, una cosa che non ho mai sentito: «In questo amali [in questo amali: nella loro presenza], non pretendere che diventino cristiani migliori». Non pretendere che diventino cristiani migliori, perché quel “migliori” ce lo metti tu e vuol dire “come tu vuoi che diventino”. È il mistero di Dio presente che te li fa abbracciare, come ci fa abbracciare tra noi senza porci il problema se uno è più o meno cristiano. «Non pretendere che diventino cristiani migliori», perché sarebbero cristiani migliori secondo la tua testa. È veramente un’umanità grandissima.
ENZO PICCININI l'Everest dell'umano

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cristianesimo, piccinini, sfrancesco

mercoledì, 04 maggio 2011
Il Vangelo è quello di cui gli uomini hanno più bisogno
***
D. Mi sembra di capire che ci sono dei punti di frizione tra Bocca e la “sacra” Carta.
R. Ce ne sono parecchi. Della Costituzione italiana me ne frego. A me importa la costituzione morale. Credo di più al Vangelo che non alla Carta.
D. Questa è una notizia.
R. Mi sembra più convincente perchè nel Vangelo c'è qualcosa di divino che nelle costituzioni liberali non c'è.
D. Crede in Dio?
R. No perchè non l'ho mai incontrato. Possibile che questo Dio così potente non abbia mai trovato il tempo di manifestarsi?
D. E allora cos'è questo divino cui si riferisce?
R. Quello che vorrei che ci fosse. Ma sono ancora alla ricerca. Il Vangelo mi sembra più commovente, più umano, più vero. Le costituzioni sono delle fabbriche ben congegnate, ma sono politiche, mentre il Vangelo è quello di cui gli uomini hanno più bisogno.
Intervista
Giorgio Bocca a ruota libera.
di Gabriella Colarusso

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cristianesimo

mercoledì, 27 aprile 2011

Una nuova
intelligenza delle cose


di FRANCESCO VENTORINO
Nel motu proprio Ubicumque et semper, con il quale è stato istituito il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, il Papa mostra perché è necessario che le Chiese di antica formazione si presentino al mondo contemporaneo con un nuovo slancio missionario. E suggerisce preziose indicazioni di metodo.
Benedetto XVI, ricordando quanto ha scritto all'inizio della sua prima enciclica Deus caritas est - e cioè che "all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (n. 1) - afferma nel motu proprio istitutivo del nuovo dicastero: "Similmente, alla radice di ogni evangelizzazione non vi è un progetto umano di espansione, bensì il desiderio di condividere l'inestimabile dono che Dio ha voluto farci, partecipandoci la sua stessa vita".
Il cristiano è un uomo graziato perché ha fatto un incontro grazie a cui gli si sono aperti gli occhi. Si è imbattuto in colui senza il quale tutto sarebbe privo di senso, privo di una ragione adeguata e di una vera e fondata speranza. Ha riconosciuto che la verità è Cristo, ha capito che fuori dal rapporto con lui non potrebbe più vivere e morire. Ebbene, un uomo raggiunto e cambiato da questo incontro, affronta con drammaticità tutto, dalle questioni personali a quelle dell'ambiente in cui studia o lavora, e più in generale a quelle della società in cui vive.
Don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e liberazione, diceva che questa drammaticità consiste nell'avvertire dovunque la mancanza di "qualcosa" di insostituibile: Cristo stesso, colui che non può essere sostituito da nessun altro. È il senso della sproporzione tra il modo in cui tutti affrontano la vita e il diverso approccio derivante dalla memoria dell'incontro con lui.
Non c'è niente di moralistico, insomma, nella evangelizzazione cristiana. Una vera consapevolezza di ciò che essa implichi ci libera anzi da ogni affanno e, per così dire, da noi stessi: l'evangelizzazione, infatti, non è altro che questo, lui che vive in me, la memoria di lui divenuta luce ai miei passi e gusto delle cose. Secondo il fondatore di Comunione e liberazione, la moralità consiste nel "non sottrarsi alla traccia dell'incontro", anzi, in modo più preciso e completo, "all'attrattiva dell'incontro": quel presentimento di verità che è esploso dentro di noi davanti a Gesù.
All'origine della missione del cristiano vi è dunque il passaggio dall'incontro a una intelligenza nuova delle cose. Questo passaggio, che dovrebbe essere naturalissimo, si imbatte spesso in una resistenza derivante dalla soggezione al potere. Il quale cerca di impedire che l'incontro fatto diventi storia, perché pretende di "determinare la vita con i suoi progetti, con i suoi paradigmi, per i suoi scopi": in una parola, "tende a ridurre il desiderio" (così scrive ancora don Giussani nel volume L'io rinasce in un incontro). Questa pressione si fa sempre più forte. Nel nostro tempo - leggiamo in Ubicumque et semper - anche presso società e culture che da secoli apparivano impregnate dal Vangelo, si sono verificate delle trasformazioni sociali che "hanno profondamente modificato la percezione del mondo (...) e la comune comprensione delle esperienze fondamentali dell'uomo quali il nascere, il morire, il vivere in una famiglia, il riferimento ad una legge morale naturale".
La verità intuita nell'incontro cristiano può divenire oggi mentalità personale solo attraverso un lavoro critico e un'ascesi continua, lavoro e ascesi impensabili al di fuori della Chiesa, corpo sociale in grado di incidere nella società, di divenirne forza trainante. L'opposizione personale al potere non si reggerebbe senza l'appartenenza a una unità più grande.
È per questo che Benedetto XVI ha istituito un nuovo consiglio pontificio che tenga desta la coscienza personale ed ecclesiale in questo tempo in cui - come scriveva Giovanni Paolo II nella Christifideles laici (n. 34) - "certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana". Ma la condizione perché questo accada "è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali"; proprio quelle che vivono in Paesi tradizionalmente cristiani.

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cristianesimo, giussani, ventorino

venerdì, 15 aprile 2011

Perché il cristianesimo esplose da 12 apostoli a 32 milioni in 300 anni?

Da 12 apostoli a 32 milioni in soli 350 anni. La cristianità esplose letteralmente nell’impero romano non solo in virtù della forza della sua dottrina. Non avevano grandi mezzi economici, non erano protetti dai potenti, e al contrario predicavano tra poveri e deboli. Eppure il cristianesimo divenne la religione più diffusa nell’Impero romano (e oggi la situazione non è cambiata). Su questi e altri argomenti ha ragionato con estrema lucidità uno dei più importanti sociologi delle religioni viventi, Rodney Stark, docente di Scienze Sociali presso la Baylor University del Texas. Lo ha fatto attraverso due consigliatissimi volumi: Ascesa e affermazione del Cristianesimo. Come un movimento oscuro e marginale è diventato il pochi secoli la religione dominante dell’Occidente (Lindau 2007) e La città di Dio. Come il cristianesimo ha conquistato l’impero romano (Lindau 2010). In entrambi i volumi -riporta Zenit.it- l’autore raccoglie le diverse testimonianze storiche per cercare di svelare il mistero del successo cristiano attraverso la rigorosa applicazione di metodi scientifici e strumenti sociologici. Analizzando e mettendo insieme le testimonianze scritte di autori del tempo, relative alle diverse città dove erano presenti comunità cristiane, Stark disegna una curva che mostra l’aumento del numero dei cristiani dall’anno 40, in cui erano 1000, al 350 quando arrivarono a 32 milioni. Secondo Stark, non fu Costantino a permettere la crescita della Chiesa cristiana, al contrario fu l’enorme crescita dei cristiani a convincere l’Imperatore che il cristianesimo avrebbe sostenuto e rafforzato il cosmopolita popolo romano e quindi l’impero.
1) Cura del prossimo e prevenzione sociale. Il cristianesimo divenne più attraente del paganesimo e delle altre religioni presenti in quegli anni innanzitutto per l’attenzione e la cura per il prossimo da parte dei cristiani. I pagani fuggivano difronte ad epidemie, incendi e disastri naturali, mentre i cristiani rimanevano per accudire parenti, figli, mogli, nonni, amici. Il loro amore per gli altri era tale che rischiavano la vita pur di prestare carità, cura e attenzione per gli altri. L’assistenza verso i deboli e l’assistenza medica elementare, che i cristiani praticavano verso tutti, ridusse notevolmente la mortalità e li fece apparire di fronte ai pagani come degli eroi innamorati dell’umanità. La carità dei cristiani era tale che giungeva fino alla testimonianza eroica dei martiri. Tutti rimanevano impressionati dai cristiani che sopportavano torture e martirio senza ribellarsi e senza mai tradire il loro fondatore. Stupefacente era anche la mancanza di azioni di vendetta e di violenza dei cristiani, i quali addirittura pregavano Dio affinché perdonasse i persecutori.
2) Difesa, protezione e dignità delle donne. L’altro elemento fondamentale per il massiccio processo di conversione fu l’attenzione, la stima, il rispetto e la protezione che i cristiani praticavano nei confronti delle donne. Nella cultura cristiana le donne godevano di uno status più alto rispetto alle donne del mondo greco-romano. I cristiani combattevano la poligamia, la schiavizzazione e lo sfruttamento sessuale delle donne, proibivano la pratica dell’infanticidio e dell’aborto, che spesso veniva esercitato proprio nei confronti della nascita delle bambine. Questi elementi insieme al culto di Maria, fecero sì che nelle comunità cristiane fin dall’inizio ci fu una prevalenza numerica delle donne. La crescita di comunità sane con la presenza di molte donne virtuose fu decisiva per la crescita demografica dei cristiani: accadde infatti che i pagani trovavano donne virtuose per contrarre matrimoni nelle comunità cristiane. La percentuale di matrimoni misti tra donne cristiane e uomini pagani fu relativamente alta, e generò molte conversioni dei coniugi maschi al cristianesimo. La conseguenza ultima di questi fenomeni fu un aumento del tasso di natalità all’interno dei circoli cristiani.

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cristianesimo

domenica, 16 gennaio 2011

COMUNISMO/ Erika Kadlecová: solo la Chiesa salva la libertà di non credere in Dio

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lunedì 3 gennaio 2011

Erika Kadlecová (1924) è un nome che difficilmente si trova nelle pubblicazioni dedicate alla Primavera di Praga. Eppure questa sociologa in quel periodo ricopriva l’importante incarico di direttrice del Segretariato per gli affari delle Chiese presso il ministero della Cultura, che fino a poco tempo prima era stato retto dallo stalinista Hruza. Le cosiddette «democrazie popolari» erano solite istituire questi uffici non tanto per normalizzare i rapporti con la Chiesa, quanto perché intervenissero a limitarne il raggio d’azione.

La Kadlecová faceva parte di un gruppetto di sociologi marxisti, ricercatori presso l’Accademia cecoslovacca delle scienze, che dall’inizio degli anni ’60 cercavano un approccio meno ideologizzato al problema religioso, tentando di analizzarlo dal punto di vista sociologico. Dopo il colpo di Stato che nel ’48 a Praga aveva portato al potere i comunisti, la sociologia era stata espulsa dalle università, e fino agli inizi degli anni ’60 fu considerata una «pseudo-scienza borghese» che, quando si occupava del fenomeno religioso, lo faceva in chiave negativa.
Al contrario, la Kadlecová, durante il suo breve incarico durato dal marzo ’68 al giugno ’69, cercò di semplificare il ritorno della Chiesa alla normalità dopo decenni di politica antireligiosa. Ma dopo l’invasione sovietica di agosto e l’avvio del processo di «normalizzazione», iniziarono le epurazioni: l’«ateismo scientifico» prese il posto della sociologia della religione, la Kadlecová fu sostituita dal riciclato Hruza e il suo nome comparve solo nei rapporti della polizia (la sorvegliavano agli incontri degli ex-comunisti) e nei canali del samizdat.
Ed è proprio nel samizdat religioso che troviamo, alla metà degli anni ’80, un testo della Kadlecová in cui, a prescindere dalle domande ultime sul senso della vita, dove «se si elimina la premessa di Dio non esiste una risposta soddisfacente», la sociologa si interroga sulla rinascita di interesse per il fenomeno religioso.

Tracciando una breve panoramica del pensiero europeo, la Kadlecová giunge a conclusioni sconfortanti: «Scomparso il feudalesimo, il colonialismo, il capitalismo, sono andati al potere coloro che promettevano libertà, uguaglianza, fraternità e la rivoluzione dei proletari di tutto il mondo. I sogni però si sono infranti nel momento in cui venivano realizzati, e il risultato è la disillusione, la confusione, la paura del futuro, la perdita di prospettiva. È svanita anche l’illusione che l’uomo sia naturalmente buono e che compia il male solo perché indotto dalle circostanze: la crescente aggressività, il cinismo e l’indifferenza sono problemi presenti ovunque… Il marx-leninismo atrofizza la mente e la induce a pensare paradossalmente in modo religioso: siamo i primi ad imporre alla società, in maniera grossolana e ridicola, gran parte di quello che rinfacciamo alla religione come inaccettabile… Diamo la caccia all’uomo delle nevi, fotografiamo i dischi volanti, cerchiamo tracce di visite degli extraterrestri, meditiamo sulla parapsicologia - e questi sono ancora i problemi più concreti».
A parte alcune opinioni riduttive sulla Chiesa espresse dalla Kadlecová, retaggio della disinformazione, è interessante sorprendere l’onestà intellettuale con cui osserva l’esperienza della Chiesa. E qui il suo testo assume i toni di una moderna Lettera a Diogneto: «Le Chiese non hanno nessun mezzo coercitivo: la compattezza, la disciplina interna e l’ubbidienza possono fondarsi esclusivamente sull’autorità. E proprio in questa debolezza sta la sua forza e il suo carattere eccezionale. La loro dottrina, il loro modo di vita sono assolutamente diversi da quelli che inculchiamo: indicano la via di uscita e la speranza là dove gli altri non vedono nulla. Sono proprio queste le caratteristiche che attirano le persone annientate dalla futilità e dalla mancanza di prospettive. Diventare cristiano non è certo un modo per far carriera, lo sappiamo bene. Il contatto con i cristiani dà la sensazione di una comunità di persone generose e di una particolare positività. L’aiuto e il sostegno reciproco, l’ambiente di amicizia che nella società atomizzata è in grado di supplire alla mancanza di rapporti, nelle società religiose sono resi ancor più forti da un aspetto metafisico: l’incontro con Dio nel prossimo».

La sua analisi si estendeva oltreconfine: per dimostrare la disfatta della politica antireligiosa, bastava infatti gettare uno sguardo sulla situazione della Chiesa in Polonia, da dove per giunta era uscito un papa! Wojtyla - osserva la sociologa - non solo agisce conoscendo perfettamente i problemi dei paesi socialisti, ma comprende altrettanto bene la politica e la neolingua del Partito. E in questo contesto la Chiesa interviene come difensore dei diritti umani, salvaguardia dell’identità e dell’integrità nazionale, protettore degli interessi degli operai e dei contadini, e come tale è riconosciuta: «Dove siamo finiti - si chiede la Kadlecová - se la Chiesa cattolica lotta per la libertà di parola contro la censura introdotta dai marxisti, e per il diritto dei lavoratori ad unirsi in sindacati di cui si fidano?».
Sembra di sentire Peppone dal palco: «Reverendo, qui si bara: i comunisti siamo noi»…
 

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comunismo, cristianesimo

domenica, 02 gennaio 2011

Verdon:
Una rivoluzione in carne ed ossa

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Monsignor Verdon spiega perché «l’idea di persona deve tutto al senso e al valore cristiano del corpo. Da qui scaturiscono la libertà e la dignità dell’individuo»
di Cristina Uguccioni
Un viaggio dentro se stessi e prima ancora un percorso che si dipana attraverso la cultura occidentale alla scoperta dei suoi princìpi fondativi. L’esperienza della mostra “Gesù. Il corpo, il volto nell’arte” è un approfondimento continuo e lucido della concezione di persona e corporeità elaborata attraverso le raffigurazioni di Gesù. Una concezione che «oggi è necessario riscoprire», osserva monsignor Timothy Verdon, ideatore e curatore della mostra nonché docente alla Stanford University e alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale e direttore dell’Ufficio diocesano fiorentino per la catechesi attraverso l’arte. «Viviamo in una società che ha dimenticato il senso e il valore che il cristianesimo attribuisce al corpo; siamo immersi in una cultura dell’immagine che presenta ed enfatizza il corpo banalizzandolo, svilendolo, misurandone il valore in base alle performance atletiche o sessuali che garantisce. Abbiamo smarrito l’antica concezione del corpo come luogo della dignità e della libertà di ogni essere umano, del corpo come dono ricevuto da Dio, da offrire agli altri con amore, con semplice e totale generosità, come ha fatto Cristo».
Cosa c’entra una mostra di immagini sacre con il recupero della dignità del corpo umano?
La mostra vuole suggestivamente ricreare e far rivivere il mondo che è stato il contesto visivo, concettuale e spirituale degli europei fino all’età napoleonica, ossia un mondo in cui la maggior parte delle immagini viste dalle persone radunate in luoghi pubblici erano le raffigurazioni sacre: le pale d’altare, i mosaici, le vetrate delle chiese. Per almeno 17 secoli gli uomini hanno visto raffigurato soprattutto un volto, quello di Gesù, di un Dio che assume un corpo e che lo offre con amore per tutti gli uomini. L’idea di persona elaborata dall’Occidente negli ultimi duemila anni è debitrice di questa ricchissima tradizione iconografica, in cui libertà e dignità umana scaturiscono dal dono del corpo e si comunicano nel pathos dello sguardo. Proprio per ricreare questo mondo visivo, concettuale e spirituale abbiamo pensato a un allestimento che riproducesse il contesto sacro e liturgico nel quale le opere erano collocate in origine; alcuni dipinti, ad esempio, sono sistemati sopra ad un altare per evocare il rapporto visivo tra immagine e rito: diverso infatti è l’impatto che suscita una Pietà in un museo e la stessa opera sopra una mensa eucaristica.

Come descriverebbe l’esperienza emotiva e spirituale che gli uomini hanno fatto per secoli osservando queste opere nelle chiese? Qual era, e qual è ancora oggi, la funzione delle immagini sacre?
Quando guardiamo l’immagine attraente di un corpo scatta dentro di noi l’identificazione e il desiderio di emulazione: si tratta di una dinamica ben nota, che oggi la pubblicità sfrutta banalmente per scopi commerciali. Per secoli gli artisti ci hanno presentato un Gesù nel quale i fedeli riuscivano a identificarsi, un Gesù il cui volto esprime amore, compassione, tenerezza, misericordia, un Gesù il cui corpo traduce in azioni questi sentimenti, giungendo a salire sulla Croce. Osservando le immagini di Gesù, chi crede sente nascere dentro di sé il desiderio di emularlo, di diventare come lui, di donare tutto se stesso con gratuità. In passato queste immagini erano collocate nelle chiese e ciò arricchiva l’esperienza spirituale: osservando una raffigurazione di Gesù durante la Messa, il fedele non soltanto trovava un’immagine che era epifania ed apocalisse, manifestazione e rivelazione, del mistero che si celebrava sull’altare, ma – facendo la comunione – viveva la trasformazione che lo avrebbe reso sempre più somigliante al Gesù raffigurato. Per secoli l’immagine del corpo e del volto di Gesù è stata parte della vita di fede, di un processo dinamico che cambiava la vita degli uomini, rendendoli desiderosi di somigliare a Gesù e di entrare in comunione con lui.
Contrariamente al passato, oggi molte chiese, soprattutto quelle di recente costruzione, sono sguarnite di immagini raffiguranti Gesù. Come mai?
Purtroppo non solo nelle chiese ma anche nell’arte contemporanea il corpo è quasi del tutto assente e gli artisti che lavorano nell’ambito del sacro tendono a proporre raffigurazioni simboliche di Gesù, poiché vogliono evitare un realismo che richiami le immagini spesso banali e volgari che del corpo ci propongono la televisione, il cinema e la pubblicità. Con questa mostra vogliamo anche invitare la cultura cattolica e i fedeli a riscoprire l’importanza e il valore delle immagini del corpo e del volto di Gesù che sono parte costitutiva, essenziale, di quel sistema di segni di cui i sacramenti sono i punti apicali.
Le opere in mostra sono databili per la maggior parte tra il XIV e il XVII secolo, ossia il periodo che comprende la fine del Medioevo, il Rinascimento e il Barocco. Perché questa scelta?
Perché in questo periodo il corpo e il volto della persona umana tornano a essere primari portatori di significato. Nei suoi primi secoli di vita, la cultura cristiana rifiutò la grande tradizione figurativa greco-romana, considerata espressione di una cultura pagana e amorale: l’arte cristiana dei primi secoli raffigurò il corpo in modo simbolico, evitando di mostrarne in modo realistico la bellezza e la carica di affettività poiché volle prendere le distanze da quella cultura pagana che vedeva nel corpo uno strumento di piacere e un oggetto di desiderio. Poi in Italia, intorno al Duecento, in quello che molti storici definiscono pre-Rinascimento, ecco la svolta: viene riscoperta l’eloquenza unica del corpo e del volto umano della grande tradizione classica.
Quale fu la causa di questa riscoperta e rivalutazione?
Non fu in primo luogo l’Umanesimo, come molti potrebbero pensare, ma una nuova spiritualità che si stava diffondendo, guidata da san Francesco di Assisi e da altri nuovi ordini religiosi: furono loro, portando in modo nuovo la Parola di Dio nelle strade, nelle piazze, nelle campagne, a focalizzare l’attenzione dei credenti sull’umanità di Gesù. Emblematica in questo senso è l’invenzione francescana del presepio, che invita i fedeli a contemplare la nascita corporea di Gesù. È questa nuova spiritualità incentrata sull’uomo che nel Quattrocento e nel Cinquecento farà riscoprire l’arte greco-romana così adatta a descrivere il corpo con tutte le sue emozioni: il corpo di Gesù diventa il luogo in cui l’amore di Dio per gli uomini si esprime e l’arte lo rappresenta in tutta la sua naturale e attraente bellezza, portatrice di sentimenti di amore e misericordia, capace di toccare il cuore. Nelle diverse sezioni della mostra abbiamo voluto che le opere esposte mostrassero tutta le fasi della vita di Gesù, la nascita, gli intensi anni della predicazione, la morte e la Risurrezione.
Si può dire che la mostra va incontro al desiderio dell’uomo, che è anche uno dei temi delle Scritture: voler vedere Dio?
Proprio così: non si tratta di semplice curiosità, ma di un impulso fondamentale dell’esperienza giudaico-cristiana, basti ricordare quanto chiese Mosè a Chi gli parlava sul Sinai. Quando Filippo domanda a Gesù: «Mostraci il Padre», lui risponde: «Chi ha visto me ha visto il Padre». È in quel volto, è in quel corpo offerto per amore che l’uomo vede e incontra Dio e, allo stesso tempo, scopre se stesso, la propria dignità e la propria libertà, che è libertà di amare e donarsi».

Postato da: giacabi a 21:41 | link | commenti
cristianesimo

lunedì, 20 dicembre 2010
Credere Il Natale
e lo scacco del pensiero

di Jean-Luc Marion a colloquio con Joséphine Bataille

Ci tiene a non essere un filosofo mediatico. Jean-Luc Marion è un intellettuale di fama, riconosciuto internazionalmente. Un anno fa è stato ufficialmente accolto dall’Académie française e insediato nella poltrona del cardinale Jean­ Marie Lustiger, di cui fu amico e consigliere. Titolare della cattedra di metafisica alla Sorbona – succeduto a Emmanuel Lévinas, per lui uno dei massimi filosofi del ventesimo secolo – occupa all’università di Chicago quella che fu di Paul Ricoeur. Ci consegna la sua riflessione su Dio, la fede e la Chiesa.

Lévinas, Ricoeur, Lustiger: cosa evoca in lei questa imponente triplice successione?

«Cerco di non pensare a queste cose che un po’ mi spaventano, tanto più che non c’era nulla di premeditato. La mia vita è come m’immaginavo che sarebbe stata – ho sempre saputo che, grossomodo, avrei scritto libri di filosofia – eppure non avrei mai pensato che sarebbe andata in modo così istituzionalmente completo. Metto le mie opere una sopra l’altra, come si innalza un muro di mattoni; il resto è venuto ogni volta come un di più, quasi con facilità. Che si traducano i miei libri, che se ne scriva e che ciò crei un’immagine pubblica, non dico che mi sia del tutto indifferente ma in un certo senso non è più affar mio. Come se predisponessi le condizioni per uno sviluppo che, di fatto, non controllo».

Filosofo per il quale la questione di Dio è un tema fondamentale, lei è anche o innanzitutto un credente. Le due dimensioni sono collegate?

«Nato in una famiglia cattolica ferma sui principi ma disinvolta nei dettagli, non ho mai avuto conti in sospeso con la religione né la sensazione che possa esserci un conflitto tra ragione e fede. Ma ho sempre distinto gli ambiti. D’altra parte, per me, l’idea di dover giustificare filosoficamente la fede cristiana è ridicola. Da giovane ho sognato di diventare matematico, centravanti della squadra di calcio del Racing Club di Francia e campione olimpico dei 1.500 metri; ho preso in considerazione anche la pittura; dovevo scegliere e, dato che mi piaceva riflettere e discutere, la mai scelta è caduta sulla filosofia. Come tutte le attività, anch’essa può entrare in rapporto con la fede, ma non si tratta di un rapporto privilegiato né obbligato. Si è filosofo e cristiano come si è calciatore, pittore o falegname e cristiano».

In che cosa i pensatori che proclamano la 'morte di Dio' sono stati fondamentali nella sua riflessione su Dio?

«Negli anni in cui studiavo filosofia si leggeva Nietzsche e si parlava molto della 'morte di Dio'. Ma, alla fine, si tratta di una dimensione essenziale della rivelazione cristiana, secondo la quale Dio sopravvive alla propria morte e la integra! Dunque il tema mi è apparso subito troppo serio per lasciarlo alla polemica anticristiana. In realtà, che cos’è la 'morte di Dio' se non la constatazione che la definizione di Dio che ci si è dati – lo si pensi come origine del mondo, maestro della morale, responsabile del bene… – non regge? Si fanno i conti non con Dio, bensì con una certa filosofia (la metafisica) che ha costruito quel Dio. La 'morte di Dio' è la fine di un Dio che doveva morire perché non era più Dio da molto tempo! Lungi dal chiuderla, quei pensatori hanno riaperto la questione».

Per lei il punto non era tanto controbattere, quanto prendere atto di un fallimento del ragionamento filosofico?

«Che rapporto potrebbe avere Dio con tutte le definizioni che gli imponiamo quando parliamo di lui? Coloro che credono di sapere in cosa credono sono idolatri, proprio come quelli che affermano di sapere in cosa non credono. Che sia impossibile accedere a Dio come si accede al resto degli esseri è qualcosa su cui credenti e non credenti concordano da sempre. Nessuno ha mai visto Dio, dice il Vangelo di Giovanni (1, 18), e ci resta sempre profondamente sconosciuto, riconosce anche san Tommaso nella Somma contro i Gentili ».

Non si possono avere certezze sulla questione di Dio?

«Per spiegare come va il mondo non abbiamo bisogno di Dio, 'ipotesi' inutile, come diceva Laplace. D’altra parte, quando si consideri ciò che supera ogni possibile esperienza umana si è obbligati a porsi la questione di Dio, cioè di colui al quale nulla è impossibile. E a riconoscere al tempo stesso che si tratta di una questione alla quale non potremo mai rispondere da soli.

La peculiarità di Dio è di rientrare in ciò che a noi è impossibile. L’impossibile apre il luogo del divino».


Perché l’ateismo, secondo lei, manca di logica?

«Perché non si può affermare che Dio è impossibile solo perché noi uomini non possiamo conoscerlo: Dio sfugge alla nostra conoscenza per definizione! Quando si dice che non è possibile che Dio esista, semplicemente si abbatte una rappresentazione di Dio che ci eravamo fatti. Ma non si risolve certo la questione di Dio dimostrando che non esisterebbe. La questione di Dio non può essere mai risolta al negativo, resta aperta per definizione.

Sopravvive sempre alla 'morte di Dio', la storia del pensiero ne è testimone. Dio è sempre almeno 'possibile'. Questa è una certezza, e già dice molto!».


Dal momento che Dio è inconoscibile, in che modo la filosofia deve affrontare il tema di Dio?

«Interrogandosi non su ciò che Dio è – compito illusorio – ma sulla modalità di relazione che possiamo avere con lui. I pensatori della 'morte di Dio' hanno mostrato che entrare in un rapporto di conoscenza con Dio era inappropriato alla questione di Dio, poiché Dio non è un 'oggetto di conoscenza' come gli altri, che possa essere descritto e definito. La questione andava posta in termini nuovi. È quanto mi ha permesso di fare quella forma di filosofia che si chiama fenomenologia: essa descrive il modo in cui le cose – o le persone – si danno, si manifestano a noi, prima ancora che prendiamo a considerarle come oggetti in un’ottica di conoscenza.

Ciò apre un campo di riflessione molto più ampio».


Dunque la Rivelazione non è una 'risposta' alla questione dell’esistenza di Dio… «I credenti sono persone che centrano la questione di Dio sulla modalità di relazione che possiamo avere con lui. Ci ama? È amabile? Si ha accesso a lui? Salva dalla morte? Il cristianesimo è la rivelazione che tale relazione è un Dio che dice: voi siete miei e io sono vostro».

Nel suo cammino di fede non è mai passato attraverso interrogativi così umani?

«Confesso, senza voler scioccare, di non avere mai pensato seriamente che Dio non esistesse. E di non avere dubitato di un solo articolo del Credo. In realtà, ho piuttosto difficoltà a comprendere che si possa non credere, tanto più che invecchiando mi appare sempre più evidente l’armonia delle cose. D’altra parte, la possibilità per l’uomo di rifiutare l’evidenza è una questione filosofica che m’interessa molto: tutta la vita è fatta di evidenze che non si vedono.

Dunque non dubito dell’esistenza di Dio.

Dubito invece molto della mia, e questo mi sembra più razionale. Ci sono sempre ottime ragioni per dubitare di sé: conoscersi è conoscere i propri limiti. Ho sperimentato a volte, come tutti, difficoltà nel mio modo di essere cristiano: si fa così spesso il male che non si vuole, per riprendere la formula di san Paolo, e talvolta anche quello che si vuole. Ma se non sempre ho fatto tutto quello che si deve fare quando si è cristiani, non per questo ho concluso di dover cambiare la morale cristiana».


In quale momento la filosofia cede il passo alla fede?

«Il ragionamento filosofico stabilisce semplicemente che Dio è possibile. Non si è obbligati a spingersi oltre. Se lo si fa, è possibile farlo in diversi modi: teologia, ma anche poesia. Così la fede non è l’unico esito possibile della questione. Ma non può nemmeno essere considerata un salto fuori della ragione: rientra in un quadro assolutamente razionale».

La Rivelazione risponde alla questione lasciata aperta dalla filosofia?

«In realtà, no. Quando la Rivelazione arriva e s’impone storicamente non porta una 'risposta', poiché viene a modificare le domande facendo nascere una logica completamente nuova. La Rivelazione produce la propria razionalità, che gli uomini possono riconoscere, per quanto non sia il prodotto della loro intelligenza. E, per i suoi effetti civilizzatori, la rivelazione giudaico-cristiana è in buona posizione. Ha promosso lo sviluppo della pittura e della musica; ha imposto alla filosofia domande che non si era mai posta in precedenza; ha reclamato l’indipendenza della ragione e la laicità; a partire dall’interrogarsi sulla rappresentazione del sacro nell’icona, ha suscitato la riflessione sull’immagine, sulla sua capacità di imitazione, sul legame che essa intreccia di fatto tra visibile e invisibile».

Qual è il compito della teologia, se l’uomo non può dire nulla di Dio?

«La teologia deve partire dalla presa di coscienza che Dio non si riassume in alcuna definizione: essa non è chiamata a dire che cosa è Dio, ma come ci ama e come possiamo amarlo. In poche parole, essa deve spiegare nel dettaglio il contenuto della Rivelazione, che la spiritualità è un modo di mettere in opera».

Lei si è impadronito del vissuto amoroso. È questa, in definitiva, la questione centrale della filosofia?

«Ho sempre pensato che la realtà fosse solo una questione d’amore. Uno dei motivi per i quali trovo che sia razionale diventare cristiani è perché vi si parla al meglio dell’amore. Tutto quello che facciamo, in un modo o nell’altro, lo facciamo per rispondere a un’interrogazione amorosa, per sapere se amo e sono amato. Anche il motore della conoscenza è l’amore, poiché ci interessiamo a ciò che ci 'piace'. Dunque trovo irrazionale partire da un punto di vista diverso dall’amore, quando la vita quotidiana ci mostra che solo l’amore è determinante per l’uomo. E se l’amore fissa l’orizzonte ultimo della condizione umana, di fatto diventa anche quello della razionalità».

Se la razionalità agisce di concerto all’amore, allora intelligenza e verità sono affari di cuore.

«Diciamo che esistono livelli diversi di razionalità. Le questioni logiche, matematiche, fisiche, tecniche, astratte non richiedono una razionalità complessa, poiché in linea di principio se ne possono padroneggiare tutti i parametri. L’arte, la politica, la fede e l’amore sono più difficili della matematica, perché ci sono più informazioni contingenti da gestire. Quando si ha a che fare con fenomeni di questo tipo è più difficile sapere, dunque decidere, e si è più esposti all’errore. Ciò non significa che questi fenomeni non possano dar luogo a decisioni razionali. Ma hanno la loro forma di dimostrazione, i loro criteri specifici e dunque una verità propria. Si può assumere come vero che qualcuno ci ami da un insieme di indicatori che nulla hanno a che fare con quelli della dimostrazione scientifica, e tuttavia esserne certi!».

Queste verità complesse richiedono un’intelligenza superiore?

«Richiedono di giungere a collocarsi a un livello di razionalità più inglobante. È per questo che i grandi santi sono geniali: a partire dal punto di vista spirituale in cui si collocano, comprendono meglio la realtà di fondo rispetto a chi resta al proprio livello.
A mio vedere è il caso del cardinale Lustiger. È evidente che esiste una razionalità superiore dell’amore. O dell’odio: Hitler, come altri tiranni, era temibile non per l’efficacia tecnica ma per il progetto morale.
Generalmente, quanti negano la realtà del bene e del male, e di ogni dimensione spirituale, tralasciando una parte della complessità del dato, si condannano a perdere razionalità, e questo vale per la direzione politica del mondo. La rivelazione cristiana, al contrario, è di grandissimo aiuto per accedere a tale visione dall’alto».


Che cosa pensa della riforma della Chiesa, lei che ha vissuto l’epoca del Concilio?

«Il Vaticano II, sul momento, non mi ha interessato veramente e ci ho messo vent’anni ad accorgermi cosa era stato detto di fondamentale. Un Concilio provoca sempre una crisi, poiché interviene sui problemi esistenti; serve una generazione per confermare la diagnosi e applicare quanto è stato percepito e avviato. Oggi siamo a quel punto, e dunque è oggi che dobbiamo lavorare! Del resto, le istituzioni sono imperfette per definizione.

Immaginarsi che ci possa essere una Chiesa senza rapporti di potere, sognare un’istituzione pura e trasparente, mi pare infantile. La santità, nella Chiesa, coesiste con le strutture di potere, non le sostituisce. Tra i discepoli esistevano già rapporti di potere!».


La questione dell’istituzione ecclesiale per lei è importante?

«Confesso di non sentirmi direttamente implicato nei suoi successi né nei suoi errori. Penso alla mia esperienza di universitario che, in quarant’anni, ha visto passare una ventina di riforme dell’università e ha capito che il suo mestiere non dipendeva da tutte quelle fluttuazioni… Abbiamo spontaneamente un’interpretazione politica e profana del potere nella Chiesa, come se si trattasse di una qualsiasi multinazionale. Ma i problemi interni della Chiesa hanno sempre avuto un’unica via di risoluzione: quando i santi prendono in mano la situazione e creano nuovi movimenti, nuove spiritualità. Quello che mi stupisce non è che ci siano difetti nella Chiesa. È che non ci siano stati solo difetti e che essa si conservi da oltre venti secoli, pur trattandosi solo di uomini peccatori, e tanto più visibilmente peccatori in quanto pretendono di parlare in nome del Santo per eccellenza. Detto ciò, ho sempre avuto l’impressione di avere una grandissima libertà nella Chiesa cattolica e non ho mai avuto difficoltà a esprimere la mia opinione quando ne avevo una, a costo di inimicarmi i tradizionalisti o i progressisti. Nella Chiesa, come nella società, il vero problema non è la libertà di parola. È avere una parola che dica davvero qualcosa».

Lei è rimasto accanto all’arcivescovo di Parigi, Jean-Marie Lustiger, per vent’anni.

«Sì, ma in un certo senso Lustiger non era l’istituzione. L’ho conosciuto nel 1968 al Quartiere latino, poi a Sainte-Jeanne-de-Chantal dove mi recavo per ascoltare le sue omelie. Così siamo diventati amici e l’ho frequentato molto, facendogli conoscere quelli che frequentavo, come Emmanuel Lévinas. Quando è diventato vescovo di Parigi ha istituzionalizzato quel rapporto: ho fatto da consigliere e intermediario, in particolare per le questioni intellettuali. Ma non si consigliava Lustiger, era piuttosto lui a consigliare. Per il resto, sono un semplice battezzato, che è praticante, paga l’obolo e conserva un fondo di anticlericalismo come ogni vero cattolico. Semplicemente felice di vivere in questa Chiesa, l’unica che abbiamo e che basta».


(traduzione di Anna Maria Brogi)

 

Postato da: giacabi a 21:58 | link | commenti
cristianesimo, marion jean luc

mercoledì, 01 dicembre 2010
 Sostenuti da un grande Amore e da una rivelazione
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«L’idea genericamente diffusa è che i cristiani debbano osservare un’immensità di comandamenti, divieti, principi e simili, e che quindi il cristianesimo sia qualcosa di faticoso e oppressivo da vivere, e che si è più liberi senza tutti questi fardelli. Io invece vorrei mettere in chiaro che essere sostenuti da un grande Amore e da una rivelazione non è un fardello, ma sono ali»
.Benedetto XVI

Postato da: giacabi a 20:34 | link | commenti (2)
cristianesimo, benedettoxvi

domenica, 17 ottobre 2010
  1. Il cristianesimo
  2. ***
  3. "L'azione del cristianesimo nel nostro mondo ha creato una società che non è comparabile a nessun'altra, e questa tendenza oggi ha unificato il mondo. Per quanto si esaminino le testimonianze antiche e si facciano inchieste non si troverà nulla che assomigli anche solo da lontano alla preoccupazione moderna per le vittime. Nè la Cina dei mandarini, nè il Giappone dei samurai, nè le Indie, nè le civiltà precolombiane, nè la Grecia, nè la Roma della repubblica o dell'impero si curavano minimamente delle vittime che, con mano generosa, sacrificavano ai loro dei, all'onore della patria, all'ambizione di grandi o piccoli conquistatori.
    Ormai per sfuggire davvero al Cristianesimo, il nostro mondo dovrebbe rinunciare del tutto alla sensibilità per le vittime ed è appunto quello che Nietsche e il nazismo avevano compreso"

    (Gerard, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, Milano 2001, pag. 218-234)

Postato da: giacabi a 18:06 | link | commenti
cristianesimo, girard

sabato, 11 settembre 2010


È molto bello essere cristiani
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È molto bello essere cristiani per la forza e la gioia che l'essere cristiani dà al cuore, la trasfigurazione dell'amore, dell'amicizia, delle ore, della morte.
(Emmanuel Mounier, in Luigi Giussani, Le mie letture, BUR, Milano 1996, p.164)

Postato da: giacabi a 06:47 | link | commenti
cristianesimo, mounier

mercoledì, 01 settembre 2010

Zhao Xiao: «l’economia cinese trarrebbe vantaggio dalla diffusione del cristianesimo».

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pubblicata da Anti UAAR il giorno mercoledì 1 settembre 2010 alle ore 13.05

Zhao Xiao
è un economista cinese di primo piano, il quale ha guadagnato l'attenzione per aver sostenuto che l'economia cinese trarrebbe vantaggio dalla diffusione del cristianesimo. La sua biografia è anche presente su Wikipedia. L'economo ha recentemente scritto un saggio in cinese intitolato: «Dio è il mio presidente del consiglio», basato sull'ormai celebre ed apprezzato documento economico, intitolato: "Economie di mercato con le chiese ed economie di mercato senza Chiese" (vedi qui). Dopo averlo scritto si è convertito al cristianesimo. Frontline lo ha intervistato e lui ha raccontato: «Nel 2002 mi sono recato in America per studiare le differenze tra le economie di mercato degli Stati Uniti e la Cina. L'unica differenza fondamentale che ho scoperto è che in America ci sono chiese dappertutto. Così ho scritto quell'articolo famoso. Ho scoperto che c'è un fondamento basato sulla moralità cristiana dietro le spalle dell'economia americana. In Cina ci siamo concentrati molto sulle riforme economiche senza prestare attenzione al fondamento morale. Grazie a questo articolo, durante l'ultima riunione del Comitato Centrale del XIV Partito Comunista Cinese, si è deciso di approfondire i rapporti tra l'economia e i concetti di moralità».

Ma -ha chiesto l'intervistatore- che rapporto c'è tra l'economia e la moralità? Xiao ha dato una risposta molto lunga, che sintetizziamo: «La morale cristiana è in grado di fornire un tipo di motivazione che trascende la ricerca di profitto. Sappiamo che l'America è un paese fondato dai Puritani, il cui sogno era creare una città su una collina per permettere che il mondo vedesse la gloria di Gesù Cristo. Quindi il loro scopo era fare affari per la gloria di Dio, una motivazione che trascende il profitto. Non c'è cultura che può eguagliare quella della carità cristiana, dell'amore incondizionato». Poi l'economo ha parlato della sua conversione: «Nel 2002, quando ho scritto quell'articolo, non era un cristiano. Solo dopo le mie osservazioni da studioso ho cominciato ad osservare le chiese americane, ad entrarvi ed osservarle. Erano tutti molto amichevoli, tutti così felici. Soprattutto quando ho visto coppie di 70 o 80 anni ancora così giovani e innamorate. Questo mi ha veramente commosso. Ho visto l'amicizia, la buona volontà tra le persone e l'amore reciproco. Ho cominciato a studiare la Bibbia, ma volevo ancora dimostrare la non esistenza di Dio. Dopo più di tre mesi ho ammesso la sconfitta. Questo è il libro che manca nella cultura cinese».

Postato da: giacabi a 20:34 | link | commenti
comunismo, cristianesimo

domenica, 27 giugno 2010
La ragione  ortodossa e cattolica
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“Opera della ragione  ortodossa e cattolica, è raccogliere tutti i frammenti, la loro totalità,  mentre opera dell’intelletto eretico e settario è scegliere i frammenti che piacciono”
Pavel A. Florenskij (1882-1937
Grazie ad :anna vercors

Postato da: giacabi a 06:53 | link | commenti
cattolico, cristianesimo, florenskij

sabato, 05 giugno 2010
L’esperienza cristiana
mette in moto tutto l’io
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“Ciò che comprendo penetra in me, mentre lo comprendo, mi
afferra nel mio centro personale ed io mi tengo ad esso. Questo mentre deve essere compreso nel senso stretto della parola.(…). Nella fede, anche la comprensione non è una presa di conoscenza come la percezione. L’oggetto della fede non viene visto. (…). Ma, invisibile, inaccessibile ad alcun senso, tuttavia esso è per noi immediatamente presente, ci tocca, ci sostiene e rende possibile tenerci ad esso. L’oggetto è Dio.”


Edith Stein Natura Persona Mistica, Città Nuova, Roma 1997, p. 105.

Postato da: giacabi a 06:26 | link | commenti
cristianesimo, stein

domenica, 30 maggio 2010
Ciò che  manca oggi tra noi non è la Presenza

manca l’umano

 Cristo è risorto! Questo è l’annuncio che instancabilmente, da secoli,
la Chiesa ci rivolge. Questo è l’avvenimento che domina la storia, un
evento che nessuno sbaglio nostro o dei nostri fratelli può far fuori e
che tutto il male che possa capitare non può cancellare. Questo fatto è il
motivo della nostra speranza; è dunque questo fatto che deve dominare
in noi dal primo istante di questi giorni: la Sua presenza risorta. Non
sarebbe adeguato a tutti i fattori del reale, ora, uno sguardo sulla
nostra vita, sul sentimento di noi stessi, sul reale e sul mondo che non
cominciasse da questo riconoscimento; sarebbe menzognero, perché
mancherebbe il fattore decisivo di tutta la storia. Non c’è una novità più
grande, non c’è mai stata una novità più grande che il fatto che Cristo è
risorto.Per questo, nella misura in cui ci lasciamo invadere totalmente
da questa Presenza viva, ci lasciamo dominare da questa verità – che
è un fatto, non un pensiero creato da noi, ma un evento successo nella
storia –, noi vediamo cambiare il sentimento che abbiamo di noi stessi.
Ci ritroviamo insieme questi giorni per viverli sotto la pressione di
questa commozione, sotto l’onda tutta carica di questa commozione:
Cristo è morto e risorto per noi. Vi prego di lasciarGli spazio, cioè di
lasciarci trascinare da questo evento; non consentiamo che resti in noi
soltanto una parola. È successo: che luce, che respiro, che speranza
porta alla vita questo fatto! È il segno più evidente e più potente della
tenerezza del Mistero per ciascuno di noi, di questa carità sconfinata di
Dio per il nostro niente (compreso il nostro tradimento).
È la Sua presenza vittoriosa in mezzo a noi che ci spinge a continuare
il nostro percorso per cercare di superare sempre più la frattura tra il
sapere e il credere, affinché questo fatto riconosciuto dalla fede determini
la vita più di tutto il resto.Se invece questo fatto rimanesse soltanto a
livello pio o devoto, sarebbe come se non ci fosse stato, come se non
avesse tutta la densità di realtà per cambiare la vita, per incidere sulla
vita; e allora resteremmo determinati da tutto il resto, che ci travolge, che
ci confonde, che ci scoraggia, che ci impedisce di respirare, di vedere, di
toccare con mano la novità che Cristo risorto ha introdotto e introduce
nella nostra vita…
. La fede è il riconoscimento di questa Presenza eccezionale,
oggi resa carnalmente presente dai testimoni, dal popolo cristiano, dalla
Chiesa, che sarebbe impossibile se Lui non la generasse costantemente.
Ma l’anno scorso abbiamo approfondito che, malgrado tanti fatti
eccezionali che abbiamo visto, malgrado tanti testimoni che abbiamo
davanti, spesso dopo un istante ci sembra che tutto svanisca; e abbiamo
identificato la ragione in quella frattura tra il sapere e il credere che si
manifesta nella riduzione della fede a proiezione di un sentimento, a
un’etica o a una forma di religiosità estranea e opposta alla conoscenza.
La riduzione sta in ciò: la fede non viene più concepita e vissuta come
un percorso di conoscenza di una realtà presente, e questo ci rende
deboli e confusi come tutti. Una fede che non è conoscenza, che non è
il riconoscimento di una Presenza reale, non serve alla vita, non fonda
la speranza, non cambia il sentimento che noi abbiamo di noi stessi,
non introduce un respiro in ogni circostanza.E l’aspetto cruciale della
difficoltà l’avevamo identificato nella mancanza dell’umano: «Ciò che
manca oggi tra noi non è la Presenza (siamo circondati da segni, da
testimoni!); manca l’umano.Se l’umanità non è in gioco, il cammino
della conoscenza si ferma.Amici, non manca la Presenza, manca
il percorso», il percorso introdotto dalla curiosità davanti a questa
Presenza, con la quale vogliamo entrare sempre di più in una conoscenza
approfondita….
Dopo un anno ci sono segni che rendono evidente che la frattura tra
sapere e credere non è ancora superata.
Il primo è che non si capisce il nesso tra l’avvenimento cristiano e
l’umano: si continua a percepirli come estrinseci l’uno all’altro. ……
non abbiamo capito il rapporto che c’è tra l’avvenimento cristiano e la messa
 in moto dell’io, non si capisce che il segno che ho fatto un incontro è che mi
metto al lavoro, perché il mio umano è ridestato. Il lavoro
 è il segno più evidente che il cristianesimo è un
avvenimento, cioè che avviene in me
qualcosa che mi ridesta.
Il secondo segno è che l’avvenimento cristiano non
 produce  una mentalità nuova. ………

È come se vedessimo su di noi gli effetti di quello che Charles Péguy
descrive in modo così suggestivo: «Per la prima volta, per la prima volta
dopo Gesù, noi abbiamo visto, sotto i nostri occhi, noi stiamo per vedere
un nuovo mondo sorgere, se non una città; una società nuova formarsi,
se non una città; la società moderna, il mondo moderno; un mondo, una
società costituirsi, o almeno assemblarsi, (nascere e) ingrandirsi, dopo
Gesù, senza Gesù. E ciò che è più tremendo, amico mio, non bisogna
negarlo, è che ci sono riusciti. [...] È ciò che vi pone in una situazione
tragica, unica. Voi siete i primi. Voi siete i primi dei moderni».
Dopo Gesù, senza Gesù. Non si tratta soltanto di un progressivo
allontanamento da una pratica religiosa; il segno per eccellenza della
emarginazione di Cristo dalla vita è una mortificazione delle dimensioni
proprie dell’umano, una concezione ridotta della propria umanità, della
percezione di sé, un uso ridotto della ragione, dell’affezione, della
libertà, una censura della portata del desiderio. Giussani ha utilizzato
tanti anni fa la metafora dell’esplosione nucleare di Chernobyl, che ha
prodotto questa alterazione nell’animo degli uomini: «L’organismo,
strutturalmente, è come prima, ma dinamicamente non è più lo stesso.
Vi è come un plagio fisiologico».
Per questo mi domandavo:il cristianesimo è in grado di colpire il
nocciolo duro della nostra mentalità oppure riesce soltanto ad aggiungere
qualcosa di decorativo, di pio, di moralistico, di organizzativo a un io
già perfettamente costituito, refrattario a qualsiasi ingerenza?…..
È possibile in questa nostra
situazione la creatura nuova, qualcosa di veramente nuovo? Questa,
secondo me, è la sfida più grande che il cristianesimo ha davanti a sé
adesso: se – nella modalità in cui ci ha persuasivamente raggiunto: il
movimento – è in grado di perforare la crosta del modo con cui ciascuno
sta nel realeo se è condannato a rimanere estraneo, in fondo un’aggiunta.
Se non vi è un cambiamento nel modo di percepire, di giudicare la realtà,
vuol dire che la radice dell’io non è stata investita da alcuna novità, che
l’avvenimento cristiano è rimasto esterno all’io. Anche per noi la fede
può essere una cosa fra le altre, appiccicata, giustapposta, che convive
con il modo di vedere e di sentire di tutti.……
Ciascuno di noi può giudicare il lavoro di quest’anno, e verificare in
che misura questa novità è entrata nella radice del proprio io. Che novità
ha portato? Non sono nostri pensieri, non è una questione di opinioni, di
interpretazioni: se Cristo è entrato come novità nella radice del nostro io
e determina tutto in un modo nuovo, ce lo portiamo addosso nel modo
di vivere il reale. …..
Ma prima dobbiamo guardare in faccia l’obiezione cui accennavo
prima: a noi avvenimento e lavoro sembrano sempre in contrasto. Questo
è un esempio della distanza che a volte percepisco tra l’intenzione
di seguire don Giussani e il seguirlo veramente. Guardate quel che
dice a tutti quelli che contrappongono cristianesimo e lavoro: «Gesù
Cristo non è venuto nel mondo per sostituirsi al lavoro umano [questa
affermazione già basterebbe], all’umana libertà o per eliminare l’umana
prova – condizione esistenziale della libertà –. Egli è venuto nel mondo
per richiamare l’uomo al fondo di tutte le questioni, alla sua struttura
fondamentale e alla sua situazione reale. Tutti i problemi, infatti, che
l’uomo è chiamato dalla prova della vita a risolvere si complicano,
invece di sciogliersi, se non sono salvati determinati valori fondamentali.
Gesù Cristo è venuto a richiamare l’uomo alla religiosità vera, senza
della quale è menzogna ogni pretesa di soluzione. Il problema della
conoscenza del senso delle cose (verità), il problema dell’uso delle
cose (lavoro), il problema di una compiuta consapevolezza (amore),
il problema dell’umana convivenza (società e politica) mancano della
giusta impostazione e perciò generano sempre maggior confusione nella
storia del singolo e dell’umanità nella misura in cui non si fondano sulla
religiosità nel tentativo della propria soluzione (“Chi mi segue avrà la
vita eterna e il centuplo quaggiù”). Non è compito di Gesù risolvere i vari
problemi, ma richiamare alla posizione in cui l’uomo più correttamente
può cercare di risolverli. All’impegno del singolo uomo spetta questa
fatica, la cui funzione d’esistenza sta proprio in quel tentativo».
E ancora: «L’insistenza sulla religiosità è il primo assoluto dovere
dell’educatore, cioè dell’amico, di colui che ama e vuole aiutare l’umano
nel cammino al suo destino. E l’umano è inesistente originalmente,
se non nel singolo, nella persona. Questa insistenza è tutto quanto il
richiamo di Gesù Cristo. Non si può pensare di cominciare a capire il
cristianesimo se non partendo dalla sua origine di passione alla singola
persona».
E qualora non fosse abbastanza chiaro, don Giussani osserva che
il compito della Chiesa è lo stesso: «La Chiesa, dunque, non ha come
compito diretto il fornire all’uomo la soluzione dei problemi che egli
incontra lungo il suo cammino.Abbiamo visto che la funzione che essa
dichiara sua nella storia è l’educazione al senso religioso dell’umanità
e abbiamo visto anche come ciò implichi il richiamo a un giusto
atteggiamento dell’uomo di fronte al reale e ai suoi interrogativi,
giusto atteggiamento che costituisce la condizione ottimale per trovare
più adeguate risposte a quegli interrogativi. Abbiamo anche appena
sottolineato che la gamma dei problemi umani non potrebbe essere
sottratta alla libertà e alla creatività dell’uomo, quasi che la Chiesa
dovesse dar loro una soluzione già confezionata».10
Per questo il migliore omaggio che possiamo offrire a don Giussani
nel quinto anniversario della sua scomparsa è la nostra sequela, non
soltanto intenzionale, ma reale. Potremo vedere così come cinque anni
dopo la sua morte egli continua a esserci padre più che mai e, se noi ci
rendiamo veramente disponibili, a generarci.


Carrón agli Esercizi spirituali della Fraternità di Cl (Rimini, 23-25 aprile 2010)

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cristianesimo, giussani, carron, cl

giovedì, 20 maggio 2010
E'Gesù Cristo che ha dato sacralità ai  bambini
***
Nell’antichità, prima dell’arrivo del cristianesimo, era possibile qualsiasi perversione o abuso, fino a estremi criminali, anche sull’infanzia.
Svetonio – per dire – racconta che Nerone, “oltre al commercio con ragazzi liberi e al concubinato con donne maritate… dopo aver fatto tagliare i testicoli al ragazzo Sporo, cercò anche di mutarlo in donna, e se lo fece condurre in pompa magna, come nelle cerimonie nuziali solenni, e lo considerò come moglie legittima”.
Al di là del “caso Nerone”, è l’antichità in sé che è barbara e feroce. Pure l’antichità dei filosofi greci. Feroce con tutti i deboli, a cominciare dai bambini.
Poi arriva Gesù di Nazaret ed è un ciclone che rivoluziona tutto. Perfino la sottile violenza psicologica sull’anima pura dei bambini è per lui un crimine intollerabile: “chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina e fosse gettato negli abissi del mare” (Mt. 18,6).
Gesù va anche oltre: i bambini per lui costituiscono addirittura l’esempio da cui devono imparare i grandi e i sapienti. Sono i bambini i depositari della più vera e profonda sapienza. Sono loro – dice esplicitamente Gesù – i veri eredi del Suo Regno e chi segue Gesù deve “tornare come loro”.
Un giorno, in un villaggio, il Maestro si siede e chiede agli apostoli di cosa discutevano per la via. Loro sono imbarazzati perché – come certi ecclesiastici di oggi – si contendevano le poltrone pensando al “regno” da lui annunciato come a un regno mondano.
Allora Gesù li fissa negli occhi e ribalta i loro cuori, rivoluzionando il mondo: “se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. Quindi, “preso un bambino, lo pose in mezzo” e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini non entrerete nel regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt. 18, 2-5).
E’ proprio l’irrompere del cristianesimo infatti che dà per la prima volta alla vita nascente, ai bambini uno “status” umano, anzi divino. Il solo caso in cui Gesù pronuncia parole di condanna (e di condanna tremenda: la macina al collo) è quello che riguarda chi scandalizza i piccoli.
Perfino Mauro Pesce e Corrado Augias nel loro “Inchiesta su Gesù”, pur così acido con la Chiesa, riconoscono che “non si può apprezzare la forza di queste parole (di Gesù, nda) se non si considera che i bambini, in una società contadina primitiva, erano nulla, erano non persone, proprio come i miserabili. Un bambino non aveva nemmeno diritto alla vita. Se suo padre non lo accettava come membro della famiglia, poteva benissimo gettarlo per la strada e farlo morire, oppure cederlo a qualcuno come schiavo”.
E’ letteralmente Gesù ad aver inventato l’infanzia, ad aver affermato cioè, una volta per sempre, che i bambini sono esseri umani e che sono sacri e inviolabili.
Lo riconoscono anche i filosofi più laici. Richard Rorty – guru del neopragmatismo americano – in “Objectivity, relativism and Truth. Philosophical papers” osserva: “se si guarda a un bambino come a un essere umano, nonostante la mancanza di elementari relazioni sociali e culturali, questo è dovuto soltanto all’influenza della tradizione ebraico-cristiana e alla sua specifica concezione di persona umana”.
E’ con Gesù che si ribalta tutto e i piccoli o i malati o gli schiavi – che fino ad allora erano considerati oggetti da usare e abusare – diventano divini, quindi sacri e preziosi come il Figlio di Dio stesso che proprio in essi si è voluto identificare. Da qui l’atto d’accusa di Nietzsche: “Il cristianesimo ha preso le parti di tutto quanto è debole, abietto, malriuscito”.
E’ vero. Al contrario di quanto scrive Galli, se nel pensiero moderno ogni tanto fiorisce il seme dell’umanesimo è perché è la Chiesa che ce l’ha piantato. Dunque inconsapevolmente la stampa che attacca, contro la pedofilia, fa un’apologia del cristianesimo.
Per questo il papa, nelle scorse settimane, non ha gridato al complotto, ma ha denunciato il peccato più ancora della stampa, ha pianto con le vittime e ha giudicato “una grazia” provvidenziale perfino questa aggressiva campagna di stampa.
Perché pensa che Dio l’abbia permessa per purificare la sua Chiesa e farle ritrovare Gesù. Così l’umiltà del papa a Malta ha commosso le vittime e ha conquistato milioni di cuori. E’ la strana vittoria della debolezza. La “debolezza” della fede.

Antonio Socci

da “Libero”, 27 aprile 2010

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cristianesimo, gesù, socci



E’ grazie al Cristianesimo se i bambini hanno una dignità.

In Benefici cristianesimo e cattolicesimo nella storia on 27 aprile 2010 at 14:15 L’arrabbiato ateologo Corrado Augias nel suo libro Inchiesta su Gesù riconosce che “non si può apprezzare la forza di queste parole (di Gesù, nda) se non si considera che i bambini, in una società contadina primitiva, erano nulla, erano non persone, proprio come i miserabili. Un bambino non aveva nemmeno diritto alla vita. Se suo padre non lo accettava come membro della famiglia, poteva benissimo gettarlo per la strada e farlo morire, oppure cederlo a qualcuno come schiavo” (Augias e Pesce, Inchiesta su Gesù, Mondadori 2006, pag. 90). E’ proprio così. Nell’antichità, prima dell’arrivo del cristianesimo, era possibile qualsiasi perversione o abuso, fino a estremi criminali, anche sull’infanzia. Lo racconta oggi su Libero lo scrittore e giornalista Antonio Socci, citando Svetonio, e i filosofi più laici, da Nietzsche (nell’Anticristo: Il cristianesimo ha preso le parti di tutto quanto è debole, abietto, malriuscito” e “L’individuo fu tenuto dal cristianesimo così importante, posto così assoluto, che non lo si potè più sacrificare”) a Richard Rorty, guru del neopragmatismo americano (se si guarda a un bambino come a un essere umano, nonostante la mancanza di elementari relazioni sociali e culturali, questo è dovuto soltanto all’influenza della tradizione ebraico-cristiana e alla sua specifica concezione di persona umana”. ) Non solo, diede dignità alle donne grazie al matrimonio e al rifiuto dell’infanticidio (nonostante ancora oggi alcuni paladini atei come Peter Singer lo promuovano senza vergogna). Lo storico della medicina, Fielding Garrison, a proposito della cura di bambini deformi, ha scritto: “l’atteggiamento degli uomini verso la malattia e la sfortuna non era di compassione, il merito di aver dato sollievo su vasta scala alla sofferenza umana appartiene al Cristianesimo”.
da:
http://antiuaar.wordpress.com/2010/04/27/e-grazie-al-cristianesimo-se-i-bambini-hanno-una-dignita/

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cristianesimo

domenica, 02 maggio 2010


Il comandamento nuovo che fa incontrare Cristo
***
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

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cristianesimo, gesù

martedì, 06 aprile 2010
Padre Francisco de Vitoria

 ***
 
Tra i più illustri di questi pensatori vi fu Padre Francisco de Vitoria. Nel corso della sua critica alla politica spagnola, de Vitoria pose le basi della moderna teoria del diritto internazionale e perciò è spesso ricordato come «il padre del diritto internazionale», l'uomo che «per primo» presentò «il diritto internazionale in termini moderni». Con i suoi colleghi teologi giuristi, de Vitoria «difese la dottrina secondo cui tutti  gli uomini sono ugualmente liberi; sulla base, della loro libertà naturale essi hanno proclamato il loro diritto alla vita, , alla cultura e alla proprietà»6. In sostegno alle sue affermazioni, de Vitoria fece riferimento sia alla Bibbia sia alla ragione; nel far ciò,
«offrì al mondo della sua epoca il suo primo capolavoro sul diritto delle nazioni in pace come in guerra»7. Fu un sacerdote cattolico, dunque, che produsse il primo grande trattato di diritto delle nazioni: una conquista di non poco significato.
Nato intorno al 1483, de Vitoria entrò nell'ordine domenicano nel 1504. Era abile nelle lingue e conosceva i classici. Studiò in seguito presso l'Università di Parigi, dove completò gli studi nelle arti liberali per poi passare allo studio della teologia. Insegnò a Parigi fino al 1523, quando si trasferì a Valladolid, dove continuò l'insegnamento di teologia presso il Collegio di San Gregorio. Tre anni dopo gli fu conferita la cattedra principale di Teologia presso l'Università di Salamanca, dove tanta profondità di pensiero, in tanti campi, si sarebbe manifestata nel corso del Cinquecento. Nel 1532 de Vitoria tenne una famosa serie di lezioni, pubblicata in seguito con il titolo Refleccion de los Indios, nota come Lezione sugli Indios, che stabili importanti principi di diritto internazionale nel contesto di una difesa dei diritti degli Indios.Quando questo grande pensatore fu invitato a prendere parte al Concilio di Trento, disse che sarebbe stato più probabile che andasse all'altro mondo,cosa che avvenne nel 1546.
…….A partire dai principi derivati da san Tommaso, de Vitoria stabili che il peccato originale non potesse privare l'uomo dei propri diritti civili, e che il diritto di impossessarsi delle cose della natura per il proprio uso(per esempio, l'istituzione della proprietà privata) apparteneva a tutti gli uomini a prescindere dal loro essere pagani o da qualsivoglia vizio barbarico alcuni potessero avere. Gli Indiani del Nuovo Mondo, per il fatto di essere uomini, erano perciò uguali agli Spagnoli in tutto quel che riguardava i diritti naturali. Possedevano le loro terre per gli stessi principi per cui gli Spagnoli possedevano le proprie11. Come scrisse de Vitoria, «Il risultato di ciò che precede è, quindi, che gli aborigeni senza dubbio avevano pieni diritti sia nelle faccende pubbliche sia in quelle private, proprio come i Cristiani, e che né i principi né i privati avrebbero dovuto essere spogliati della propria proprietà col pretesto che non fossero veri proprietari»12.
T.Woods
da  :Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale  Cantagalli


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cristianesimo, de vitoria

mercoledì, 10 marzo 2010

PERSECUZIONI/Guitton:
il grave silenzio sui cristiani uccisi ricorda Hitler nel 1938

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INT.
René Guitton

mercoledì 10 marzo 2010

I 500 cristiani uccisi da musulmani in Nigeria in questi giorni sono l’ennesimo caso di una «cristianofobia sempre più preoccupante. I cristiani vengono perseguitati per la loro fede e perché sono una minoranza. Ma l’Occidente resta in silenzio». È la denuncia di René Guitton, lo scrittore francese capace di rilanciare a Parigi il dramma della persecuzione dei credenti in Cristo nel mondo con un saggio-inchiesta che ha conseguito il Premio per i diritti dell’uomo del Parlamento transalpino. Il volume si intitola «Cristianofobia» ed è edito da pochi giorni da Lindau. Partendo da esperienze e incontri concreti sul campo, Guitton traccia una sorta di mappa ragionata e documentata dell’avversione ai cristiani da parte dell’islamismo, del comunismo ateo e dell’hindutva, l’ideologia che vuole rendere l’intera India una nazione indù. Abbiamo raggiunto per una breve intervista Guitton, appena rientrato da una tournée in Canada.

I fatti di questi giorni in Nigeria ripropongono il tema dei cristiani perseguitati. Esiste, a suo avviso, una coscienza internazionale sull’avversione violenta verso i cristiani nel mondo?


Sì, questa coscienza c’è ma sono difficili le modalità con cui intervenire. Le pressioni possono essere fatte, per esempio, dall’Unione europea in maniera politica ed economica. Ad esempio: la Turchia vuole entrare in Europa (non mi pronuncio su tale fatto), quindi l’Unione europea può esigere che all’interno dell’armonizzazione legale prevista per l’ingresso in Europa, il governo Ankara sopprima l’obbligo di citare la religione di appartenenza sulla carte di identità, che è un fatto che in quel Paese causa discriminazione. Anche tramite l’Unesco, mediante l’educazione e l’aiuto culturale che viene offerto in vari Paesi con questa istituzione - per esempio l’Autorità palestinese -, si possono fare pressioni. Inoltre è possibile fare interventi economici sui governi: per esempio, su quello iracheno, che ha bisogno di aiuti finanziari esterni, oppure sui responsabili di Hamas a Gaza, che hanno un’impellente necessità di denaro per la ricostruzione.
 
Che fare di fronte al dramma dei cristiani oppressi in Medio oriente?

Ci sono stati Paesi che hanno offerto asilo ai cristiani iracheni rifugiatisi in Europa. Diversi Paesi europei l’hanno fatto, ma i responsabili dei cristiani che vivono ancora in Iraq sostengono che, agendo così, noi facciamo il gioco di quanti vogliono l’espulsione dei cristiani dall’Oriente. «Aiutateci a restare, non a partire» è il loro grido disperato. È importante tener conto di questo appello urgente. Che assomiglia a quello, assai poco ascoltato, dei cristiani libanesi durante le due guerre a Beirut. L’essenziale è agire, e farlo in fretta.

Quali sono i Paesi dove i cristiani vengono più osteggiati?


In India l’Orissa, dove i cristiani sono stati massacrati in gran numero, a volte addirittura bruciati nelle loro chiese. Poi vanno ricordati lo Sri Lanka, il Pakistan, l’Iraq, dove i terroristi islamisti vogliono cacciarli dal Paese. In Nigeria e in Sud Sudan si registrano massacri di centinaia di cristiani. In Egitto vengono assassinati da islamisti, che rimangono impuniti; qui le donne cristiane sono obbligate a portare il velo, costrette a convertirsi all’islam e a sposare uomini musulmani.

Perché ha scritto questo libro?


L’ho fatto in quanto mi sento un testimone in rivolta. Nell’ambito del mio lavoro viaggio regolarmente in Africa, Medio oriente e Asia per incontri interreligiosi e convegni. E ho constatato che per i cristiani la situazione, lungo gli anni, si è fatta sempre più preoccupante. Essi vengono perseguitati in quanto cristiani e perché minoranza. Ho vissuto con forza tutto ciò anche a causa del silenzio dell’Occidente e, troppo spesso, di certi media che non parlano di chi non è maggioranza. Si preferisce parlare di ciò che succede alle minoranze dei nostri Paesi. Certo, nessun atto di antisemitismo o islamofobia è accettabile. Ma non esistono vittime buone, di cui bisogna parlare, e vittime cattive di cui tacere. Mi sono ribellato agli atti anticristiani, li denuncio e stigmatizzo anche il silenzio che rischia di essere colpevole. Come, in altre epoche, avvenne in Europa, in particolare con l’ascesa di Hitler e i fatti di Monaco nel 1938.

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Se 500 cristiani macellati non fanno notizia

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martedì, 09 marzo 2010
  • 05 Mar 2010
     

    La globalizzazione dell’umanità ha portato alla ribalta un interrogativo importante, a cui ancora non si dà una risposta accettata dalla cultura corrente: come mai il “mondo moderno” è nato in Occidente e si sta diffondendo in tutto il mondo, perché accettato da tutti i popoli e preferito ai loro modi tradizionali di vita? Oppure, in altre parole: perché dalla caduta dell’Impero romano l’Occidente ha conosciuto un’evoluzione che l’ha portato per primo a quelle caratteristiche del “mondo moderno”, nelle quali tutti i popoli vorrebbero vivere? Caratteristiche sintetizzabili in pochi concetti: libertà, democrazia, progresso scientifico-tecnico ed economico-sociale, diritti dell’uomo e della donna, stabilità e sicurezza nei singoli paesi, istruzione e assistenza sanitaria per tutti, giustizia basata sulle leggi e non sull’arbitrio dei più forti, giustizia sociale fra ricchi e poveri, pace fra i popoli e le nazioni.
     Ecco il volume che dà una risposta articolata e documentata:

    Rodney Stark, “La vittoria della ragione – Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza”, Lindau Torino 2008, pagg. 377, Euro 24,00.

    Il sociologo americano delle religioni Rodney Stark ha esaminato le molte risposte che si danno all’interrogativo: la posizione geografica e il clima dell’Europa, la scoperta di altre terre e continenti, la colonizzazione, l’evoluzione storica e culturale favorevole al progresso, il pensiero greco-romano e tante altre. E giudica che non spiegano perché l’Occidente ha progredito e le altre parti del mondo sono rimaste per millenni bloccate nello sviluppo. Basti pensare alle grandi civiltà di Cina, India, Giappone, Vietnam, Corea, Paesi arabi e islamici, Americhe pre-colombiane, dove non c’è stato nemmeno l’inizio di quei processi storici che hanno portato l’Occidente alla supremazia.
     Rodney afferma con chiarezza: E’ stato il cristianesimo a creare la civiltà occidentale.Il mondo moderno è arrivato solamente nelle società cristiane. Non nel mondo islamico, non in Asia. Non in un società “laica”, perchè non ne sono esistite. Tutti i processi di modernizzazione finora introdotti al di fuori del cristianesimo sono stati importanti dall’Occidente, spesso attraverso colonizzatori e missionari”(pag. 343).
     Questo fatto storico che non si può smentire, viene documentato in  un modo non religioso, ma laico. Sono stati  il Vangelo, il pensiero dei Padri della Chiesa e la teologia cristiana la vera origine del progresso dell’Occidente e del mondo intero. Mentre le grandi religioni hanno posto l’accento sul mistero, sulla meditazione, sull’astrologia e la fuga dalla realtà, il cristianesimo è nato dalla Rivelazione di Dio e attraverso la Bibbia e Cristo ha affermato il valore assoluto della singola persona umana “creata ad immagine di Dio”, abbracciando la logica e il pensiero deduttivo e aprendo la strada alle scienze e al progresso moderno.

     Un secondo volume recente sembra quasi la continuazione del precedente:

     Thomas E Woods, “Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale”, Cantagalli, Siena 2007, pagg. 270, Euro 18, 50.

     Thomas E. Woods, anch’egli docente universitario americano, risponde allo stesso interrogativo che si pone l’autore precedente: come mai il “mondo moderno” è nato in Occidente e si sta diffondendo in tutto il mondo, perché viene accettato da tutti i popoli e preferito ai loro modi tradizionali di vita? Dimostra, in modo molto  concreto, diciamo storico, come le varie “novità” che hanno fatto grande l’Occidente, sono dovute non solo alla Parola di Dio ed a Gesù Cristo, ma alla Chiesa cattolica che nel corso dei secoli ha sostenuto quei principi e modelli evangelici, a volte pur nelle infedeltà di Papi, vescovi, sacerdoti e credenti in Cristo. La Chiesa è un’istituzione ispirata da Dio, ma fatta da uomini. Il volume percorre in vari capitoli la storia dell’Occidente, dalla caduta dell’Impero romano alle invasioni dei popoli “barbari” fino ai nostri tempi.
     Dopo l’Impero romano, in secoli di sbandamento dei popoli occidentali, i monaci salvarono la civiltà (capitolo I), poi la Chiesa fonda le Università, la vita accademica e la filosofia scolastica (capitolo II), poi ancora le scienze moderne e l’arte moderna, il diritto internazionale, l’economia e il capitalismo; le opere di assistenza per i poveri e “come la carità cattolica ha cambiato il mondo”. Gli ultimi capitoli “La Chiesa e il diritto occidentale”, “La Chiesa e la moralità occidentale”,  dimostrano, ripeto, con fatti storici concreti, come la Chiesa cattolica è all’origine, ad esempio, della separazione tra Chiesa e Stato (non così le Chiese ortodosse e protestanti), dell’abolizione della schiavitù, della condanna dei “duelli d’onore”, della promozione dei “diritti dell’uomo” e via dicendo.
    Infine, Thomas E. Woods esamina come vive “un mondo senza Dio” com’è oggi l’Occidente che si è staccato dal Vangelo e dal modello di Cristo, a volte ha anche perseguitato o marginalizzato la Chiesa cattolica, presentandola come nemica del progresso. Oggi, addirittura, l’Unione Europea non riconosce  le “Radici cristiane” della nostra civiltà. Una menzogna e assurdità storica.
     Formidabili le ultime pagine del libro, dove l’autore parte dall’affermazione di Nietzsche: “Il rifiuto dell’idea che il mondo sia stato creato da Dio per uno scopo…. rende l’uomo più libero di dare alla vita il significato che vuole darle. La vita così non ha alcun altro significato”.E Woods spiega, col trionfo di questa idea nel mondo secolarizzato e praticamente ateo di oggi, la degenerazione e la disumanità dell’arte, dell’architettura e di molte altre espressioni dell’uomo, fino al nichilismo di Jean-Paul Sartre (l’universo è assolutamente assurdo e la vita stessa completamente priva di significato), sempre più arido, vecchio e pessimista. Cioè, così com’è
che esprime bene la cultura trionfante dell’Occidente moderno,, l’Occidente è senza futuro.
       Prima di pensare o dire che tutto questo è “trionfalismo”, bisogna prima leggere il volume e controbattere le prove storiche che vi sono portate. Non con ragionamenti, luoghi comuni e chiacchiere, ma con altre prove storiche che rispondono all’interrogativo posto dai due volumi
.
                                                                                 
 Piero Gheddo

 da:
http://gheddo.missionline.org

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cristianesimo, stark, wodds, gheddo

venerdì, 05 marzo 2010


HMEMAN/

Quel cristianesimo che permette di innamorarsi ma non di amare

 ***

Romano Scalfi


venerdì 5 marzo 2010  

Da: http://www.ilsussidiario.net

 
 «
I russi non amano, ma si innamorano». Troviamo questa affermazione nel diario di padre Aleksandr Shmeman, uno dei più noti pensatori dell’emigrazione russa, scomparso nel 1983. L’innamoramento,dice Shmeman, si distingue dall’amore perché indebolisce le facoltà intellettuali concentrandole su un particolare staccato dal tutto. Se l’autentica cultura mette il particolare in rapporto con l’assoluto, la subcultura ha come caratteristica l’esaltazione del particolare chiuso in se stesso e preso come assoluto. Così la libertà, slegata dalla vita diventa arbitrio, la felicità si disintegra nelle voglie, la scienza si chiude nella specializzazione, l’arte diventa una tecnica, l’economia venerata come idolo prepara inesorabilmente la crisi, il progresso è condannato al degrado, e così di seguito.
Shmeman vede l’origine storica di questa “frantumazione” nel Rinascimento, letto come rivolta contro il cristianesimo in nome della persona. L’autonomia della persona, passata attraverso l’illuminismo, il razionalismo, lo scientismo, è giunta a maturazione diventando un idolo, e com’è destino di ogni idolo, si è autodissolta nel relativismo.
In questo processo di frantumazione i cristiani hanno una precisa responsabilità. Se infatti il Rinascimento è stato una rivolta contro il cristianesimo è anche perché i cristiani avevano collaborato a “frantumare” la fede in tante devozioni particolari che mettevano in ombra “Cristo tutto in tutti”. «Sono degli innamorati, ma non sanno più amare». Le singole parti hanno il sopravvento sul Tutto.Ed evidentemente questo discorso non vale soltanto per i russi.
La cosa più tremenda nella storia attuale è la quasi completa assenza del cristianesimo come concezione capace di illuminare tutti gli aspetti della vita, di creare storia, di esaltare le potenzialità umane.
Ci sono stati due momenti di svolta nella dissoluzione della presenza del cristianesimo nella coscienza umana, il primo, come si è detto, è stata la rivolta in nome della persona nel Rinascimento. Il secondo, nel nostro secolo, è stato la rivolta contro il cristianesimo “in nome dell’impersonalità”, quando la persona, trasformata in idolo, nella sua arbitrarietà si è frammentata e per garantirsi un’improbabile sopravvivenza, si è aggrappata all’ultima traballante sponda: esaltare ogni frammento particolare come se costituisse il significato sufficiente del tutto. Shmeman sottolinea che anche quest’ultima rivolta del laicismo moderno contro il cristianesimo è, più in profondità, una rivolta contro il tradimento operato dal cristianesimo contro se stesso. Ciò che il cristianesimo aveva rivelato come novità assoluta, verità assoluta, bene assoluto, felicità autentica, i cristiani non sono stato capaci di viverlo. «Hanno trasformato il cristianesimo in una religione», peggio, in una religione burocratica. I cristiani hanno tradito il cristianesimo delle origini: allora tutto scaturiva dalla conoscenza di Cristo, dal suo amore, «oggi invece tutto nasce dal desiderio di santificarsi». Alle origini si approdava alla comunione attraverso la sequela di Cristo, oggi si tende a ridurre Cristo a puntello dei nostri progetti, magari spirituali; lo usiamo per condannare ciò che noi deploriamo, a destra come a sinistra, non ha importanza.
Per Shmeman non si tratta semplicemente di tornare al passato. Anche il tradizionalismo, esattamente come il progressismo, può diventare un idolo e il cristianesimo può diventare semplicemente un puntello. La tradizione vale se restaura la centralità di Cristo in tutti i tempi e per tutte le scelte. Se la verità è Cristo, è soltanto in lui che la vita fiorisce in tutti i suoi aspetti. «Tu che sei presente in ogni luogo ed ogni cosa porti a compimento, vieni ad abitare in noi» dice la Liturgia bizantina invocando lo Spirito.In questo modo il particolare non è sacrificato a Cristo, al contrario, soltanto in Lui può raggiungere la sua piena maturazione. «Ogni cosa che da Lui si allontana invecchia, e ogni cosa che a Lui si avvicina si rinnova. E sorprendentemente la sua novità deriva da ciò per cui Egli è l’Anticdiceva l’abate Guerrico nel XII secolo. In Cristo tradizione e progresso non sono termini contradditori, ma semplicemente antinomici, cioè più profondamente veri.
 

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