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Postato da: giacabi a 09:00 |
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cristianesimo
Testimonianza Uganda:
amare una figlia frutto di violenza
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Avvenire 14.3.2009
La
sera del mercoledì delle ceneri ero letteralmente sfinito: avevo
celebrato tre sante Messe e imposto le ceneri sulla testa a qualche
migliaio di persone. Anche se non è festa di precetto, tanta gente,
nell’intervallo del pranzo o alla sera subito dopo il lavoro, viene alla
santa Messa per ricevere le ceneri. Portano anche i bambini e guai a
non mettere le ceneri anche a loro.
Molti poi, oltre a ricevere la cenere sul capo, la vogliono pure in mano o in un pezzetto di carta o in un fazzoletto, così da poterla portare a casa per coloro che non hanno potuto venire in chiesa. È un atto penitenziale e qualche volta mi viene persino il dubbio che ci sia un po’ di fanatismo, ma vedendo la devozione che ci mettono, debbo dire che è fede ed è un modo per esprimere pentimento del proprio essere peccatori. Tutto quanto detto non c’entra nulla con la ragione per cui le scrivo, ma in qualche modo fa da contorno. Stavo per andare a letto ed entrai nel mio ufficio solo per assicurarmi che le porte anteriori fossero chiuse. Notai sul mio tavolo una lettera che non avevo ancora aperto. La aprii e lessi.
Eccoti il contenuto:
Caro Padre, sono una ragazza di 14 anni, nativa di Gulu, Layibi. Nel 1993 mia madre era una studentessa del terzo anno di scuola superiore presso il collegio del Sacro Cuore di Gulu. Mentre era in vacanza i ribelli del Lra ( Lord’s Resistance Army, Esercito di resistenza del Signore: gruppo di ribelli ugandesi, Ndr) arrivarono al suo villaggio, uccisero i suoi genitori, violentarono mia mamma e sono nata io. Oltre ad aver concepito me, mia mamma ha pure ricevuto il virus dell’Aids e ora è sieropositiva Hiv. Io invece sono nata pulita. Non posso sapere chi può essere stato mio padre, ma la mamma sì: mi ha fatta nascere, mi ha cresciuta e pure mandata a scuola. Per pagare la mia scuola elementare ha lavorato cucendo e ha avuto molta cura di me, però ora non riesce a guadagnare soldi sufficienti per la scuola superiore. Ho saputo che tu aiuti gli orfani e hai una scuola ove c’è molta disciplina. Mi potresti prendere e aiutare a pagare la retta? Io voglio studiare per poter aiutare e aver cura di mia mamma che sta diventando sempre più debole. Spero che tu consideri questa mia domanda e io pregherò per te perché Dio ti benedica e assista ad aiutare coloro che hanno bisogno. Maria Goretti Anena
Dopo
aver letto la lettera, sono andato a letto ma non sono riuscito a
dormire. Ero disturbato dentro di me da un misto di gioia, di rabbia, di
soddisfazione e di riconoscenza verso Dio che sa trarre atti eroici
dalle persone semplici e insignificanti come possono essere queste
nostre ragazze appena cristianizzate.
Perché la rabbia ? Perché un esempio come questo dovrebbe far ammutolire quegli spacciatori di civiltà fasulla che abbiamo nel mondo progredito pronto a legiferare contro il diritto alla vita. Come è andata a finire questa storia? Al mattino mi sono alzato; sono andato alla scuola; mi sono assicurato che il direttore mi trovasse un posto per inserire questa ragazza (solo la mattina precedente gli avevo promesso che non avrei portato alcun nuovo studente). E il direttore mi disse che dovremo farla dormire per terra, perché anche i letti a tre piani sono tutti occupati. Se la ragazza accetta, la prendiamo. Chiamai la ragazza; le dissi di venire con la madre e vennero il giorno dopo. Feci un po’ di domande trabocchetto per assicurarmi che non mi avessero detto bugie e le proposi di dormire per terra su un materasso di gomma piuma. Si inginocchiò davanti a me e mi disse: ora sono contenta perché so di avere un papà anch’io! La madre mi ringraziò e mi disse: «Padre, io finché posso continuerò a lavorare e contribuirò per le spese della mia figlia». Le chiesi pure: perché hai dato il nome di Maria Goretti a tua figlia? Rispose che era stata la piccola a volere quel nome quando era in terza elementare: il catechista raccontò la storia di Maria Goretti e lei la scelse come nome e santa protettrice. Qui alla scuola abbiamo 10 ragazze che negli anni novanta furono rapite dai ribelli alla scuola di Aboke; passarono 8 anni come mogli schiave dei ribelli; quando fuggirono scapparono tutte coi loro figli e vennero da me a chiedermi se le accettavo alla scuola. Accettai le ragazze alla scuola e i figli furono lasciati in varie famiglie e ora pure loro vanno a scuola col nostro aiuto. Scusate se ho disturbato, ma ho pensato che forse potreste far sapere che esistono ragazze che hanno il coraggio di tenersi e amare il frutto della violenza. Chissà che non serva! padre John Scalabrini |
Postato da: giacabi a 18:08 |
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cristianesimo
Ma quale Averroé?
I monaci di Mont Saint-Michel diffusero la filosofia classica
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STORIA/
Redazione martedì 10 marzo 2009
Sylvain
Gouguenheim, medievista all’École Normale Supérieure di Lione, ha
recentemente pubblicato un libro (Aristotele contro Averroè. Come
Cristianesimo e Islam salvarono il pensiero greco) che ha scatenato
un’accesa polemica sia in patria che in Italia.
In
buona sostanza, le posizioni dello storico francese invitano a
considerare con maggiore ponderatezza il debito dell’Europa medievale
nei confronti della vicina cultura araba. Partendo da una serie di
riflessioni ed evidenze storiche, Gougenheim ha ritenuto possibile
impugnare e confutare l’ipotesi che l’Europa debba esclusivamente al
mondo islamico la conoscenza di Aristotele e dunque la nascita del
proprio pensiero filosofico.
Non
si tratta, è chiaro, di un problema secondario. Come ricorda l’autore,
dietro alla teoria del “debito dell’Europa” sta la convinzione che
l’Occidente medievale sia uscito dalla barbarie e dalla rozzezza
culturale solo grazie all’apporto benefico degli arabi. «Tutto
l’Occidente nel suo insieme è stato edificato sull’innegabile apporto
dell’islam […]. È grazie ai pensatori arabi che l’Europa ha conosciuto
il razionalismo» (Zeinab Abdel Aziz).
Al
centro del dibattito è dunque il cuore dell’identità culturale europea.
L’odierna interpretazione afferma che i pensatori medievali siano
riusciti ad impossessarsi delle principali opere di Aristotele solo
quando – a seguito della conquista cristiana della Spagna – cominciarono
a circolarne le traduzioni dall’arabo. La risposta di Gouguenheim si
articola sostanzialmente su tre argomentazioni: la ricerca del sapere
greco autonomamente promossa dagli europei, il ruolo di
Mont-Saint-Michel nella diffusione delle opere aristoteliche prima degli
esiti della Reconquista, il rapporto tra islam e filosofia.
Procediamo
con ordine. Non è vero, sostiene lo storico, che le vie attraverso le
quali Aristotele giunse in Europa siano passate necessariamente
dall’Islam. Gli Europei non smisero mai di interrogarsi sul pensiero
greco, né avrebbero potuto farlo: l’apporto greco al pensiero cristiano
ed il perdurare della tradizione greca all’interno del mondo bizantino
(sempre in fecondo contatto con la civiltà medievale europea)
costringevano l’Occidente ad un serrato confronto. Dall’attivissimo
cantiere intellettuale di Antiochia, ad esempio, giungevano
continuamente opere di pensatori e filosofi greci. L’Europa ha dunque
cercato consapevolmente i testi greci, senza dover aspettare che gli
arrivassero fatalmente in dono dagli arabi. Tra questi testi, vi furono
certamente gli scritti di Aristotele.
Lo
provano, tra gli altri, i manoscritti prodotti a Mont-Saint-Michel (non
a caso il titolo originale del libro è Aristote au Mont-Saint-Michel).
Nello scriptorium dell’antica abbazia, verso la prima metà del XII
secolo, le opere del grande filosofo furono infatti tradotte
direttamente dal greco ad opera dei monaci copisti. Non conosciamo il
loro nome, ad eccezione dell’italiano – ma educato a Costantinopoli e
perciò grecofono – Giacomo Veneto. A lui dobbiamo la trascrizione della
Fisica, della Metafisica e degli Analitici secondi, allora sconosciuti
in Europa. Il nodo del dibattito accademico suscitato da Gougenheim
ruota soprattutto intorno all’attività di Giacomo, avviata molto prima
che da Toledo giungessero le trascrizioni dall’arabo.
È una semplice questione di date, sottolinea Gouguenheim: Giacomo ha
cominciato le traduzioni prima del 1127 e le ha proseguite fino alla
morte (1145-1150); Gerardo da Cremona – colui che per primo tradusse
Aristotele dall’arabo - ha iniziato le sue dopo il 1165 (traduce la
Fisica nel 1187, esattamente quarant’anni dopo il monaco italiano
dell’abbazia normanna). Il punto è fondamentale, poiché Giacomo Veneto
ed i suoi compagni benedettini - e non più gli arabi - diventano così
«l’anello mancante nella storia del passaggio della filosofia
aristotelica dal mondo greco al mondo latino». Le traduzioni del
Mont-Saint-Michel ebbero fin da subito una diffusione vastissima: se ne
trovano copie a Bologna, a Chartres, ad Oxford. Grazie ad esse le
maggiori figure del mondo occidentale hanno avuto accesso ai testi di
Aristotele. E con quale immenso profitto, rispetto ai tentativi messi in
atto dagli arabi.
Qui giace infatti il terzo fattore considerato dallo storico: gli
arabi - egli dice - presero dai greci solo quello che ritenevano utile,
senza tuttavia assimilarne lo spirito. La filosofia, per l’Islam, fu
quindi semplicemente una “somma di conoscenze”, senza mai diventare un
“problema”. In Occidente il confronto fu del tutto diverso. Davanti ad
Aristotele, i teologi medievali - avvezzi ad una cultura che si
riconosceva radicata nel pensiero greco - seppero interloquire con
efficacia, arrivando a modificare e rinnovare la propria concezione del
mondo e dello spirito. Perciò, secondo la teoria di Gouguenheim, non
solo l’Europa guadagnò Aristotele in assoluta autonomia rispetto
all’islam, ma seppe anche appropriarsene con una profondità radicale
altresì impossibile alla sensibilità coranica.
(Andrea Bennegi)
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Postato da: giacabi a 21:38 |
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cristianesimo
CRISTIANESIMO
La leggerezza della vita cristiana
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Guglielmo
di Saint-Thierry, Bernardo di Clairvaux, Aelredo di Rievaulx, frate
Ivo, Riccardo di San Vittore non parlano della vita celeste, ma
soprattutto della vita terrena. Sanno di essere ancora lontani da Dio, che sta altrove, lontanissimo, al culmine dei cieli. Ma, mentre
abitano questa terra, pregano, viaggiano, predicano, ripetono i riti,
essi anticipano la vita celeste, la rendono attuale e quotidiana, come
si fosse già incarnata tra le pianure, le colline e i conventi d’Europa.
Ciò che è futuro è presente. Ciò che è invisibile viene visto. Per usare il robusto linguaggio fisico dei padri, essi pregustano la vita celeste. Il
loro amore per Dio cresce: viene via via appagato, ma continua a
crescere; non ha fine e non può mai avere fine. Conosce soltanto il
desiderio ininterrotto, mai l’ansia.
Quanti
toni aveva il linguaggio dei Padri! [...]. Soprattutto, era leggero,
perché “il giogo del Signore è soave e il suo peso leggero”, ripetevano
Guglielmo, Bernardo, Aelredo, Ivo, Riccardo, ricordando il passo di Matteo. Il
primo segno del cristianesimo è proprio quello di trasformare tutti i
pesi – il peso del dolore, della sventura, della legge, del comando,
dell’incertezza, dell’analisi, dell’inquietudine, del dubbio,
dell’angoscia – in qualcosa di sovranamente leggero: leggero come il
respiro e il battito di una piuma. Chi non conosce la leggerezza, diceva
Aelredo, non conosce nemmeno la fede cristiana».
Pietro Citati recensendo su la Repubblica del 19 giugno Trattati d’amore cristiano del dodicesimo secolo.
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Postato da: giacabi a 09:21 |
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cristianesimo, aelredo
IO SONO UNA FORZA DEL PASSATO
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"Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo
dai ruderi, dalle Chiese, dalle pale d'altare, dai borghi dimenticati
sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli. Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l'Appia come un cane senza padrone. O
guardo i crepuscoli, le mattine su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria, cui io sussisto, per privilegio
d'anagrafe, dall'orlo estremo di qualche età sepolta. Mostruoso
è chi è nato dalle viscere di una donna morta. E io, feto adulto, mi
aggiro più moderno d'ogni moderno a cercare i fratelli che non sono più".
Pier Paolo Pasolini
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Postato da: giacabi a 07:30 |
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pasolini, cristianesimo, tradizione
Medioevo
lettere d'amore
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IL PIU' ANTICO manoscritto italiano su come scrivere lettere d'amore risale al Medioevo. L'hanno
rintracciato degli studiosi dell'Università di Siena cercando antichi
testi inediti di retorica nelle biblioteche italiane e spagnole. L'hanno trovato alla Biblioteca Capitolare di Verona. Per i ricercatori si tratta del primo manuale di scrittura epistolare del Medioevo arrivato a noi, in cui si insegnano a scrivere anche lettere d'amore.
Il testo, in latino e su pergamena, è della metà del XII secolo.
L'autore è un certo Guido, chierico forse del Casentino, zona al confine
tra la Toscana e l'Emilia.
I consigli vanno da come si saluta via lettera l'amata a come ci si congeda. Ma anche come una moglie deve scrivere al marito, un amante all'amata. Si raccomanda di lodare sempre la bellezza e le qualità del destinatario ricorrendo a paragoni mitologici di celebri coppie (Paride e Elena, Piramo e Tisbe), a similitudini con pietre preziose oppure inviando "tanti saluti quanti sono i pesci nel mare", o "i fiori portati dall'estate". Si deve ricorrere a espressioni che indichino l'incapacità di descrivere un così grande sentimento ("quanto profondamente ti amo non riuscirei ad esprimere con parole, nemmeno se tutte le membra del mio corpo potessero parlare"). Quando poi il mittente deve raccontare qualcosa al destinatario lo può apostrofare con espressioni tipo "la tua bellezza sa", "la tua dolcezza conosce", "è noto alla tua nobiltà". La lontananza dal soggetto amoroso o il ricordo dei momenti felici trascorsi insieme assume già in questo periodo le caratteristiche del mal d'amore: "la mente viene meno", "l'animo non regge a tanta gioia". Ci sono poi passaggi più espliciti che alludono all'amore fisico: si parla di abbracci, baci, desiderio, di dolci cose da fare insieme. Il maestro di retorica insegna ai suoi studenti come scrivere lettere - non solo d'amore ma fra genitori e figli, maestri e discepoli, signori laici ed ecclesiastici, come rivolgersi al Papa o all'imperatore - prendendo brani di missive e copiandoli nel manuale a mo' di esempi. "Secondo i nostri studi - spiega Francesco Stella, ordinario di Letteratura latina medievale alla facoltà di Arezzo (Università di Siena) e coordinatore delle ricerche - siamo davanti al primo manuale epistolare con un capitolo, il quarto, riservato alle lettere d'amore. Il maestro, tra l'altro, dà consigli di scrittura anche alle donne a conferma dell'esistenza di un pubblico femminile laico e alfabetizzato già nel Medioevo". Le novità non sarebbero finite qui. "Molte lettere - prosegue Stella - riguardano i conti Guidi, padroni di parte della Toscana del Nord, dell'Emilia e della Romagna, feudatari potentissimi di Matilde di Canossa e poi di Federico I. In particolare ce n'è una che noi sospettiamo essere il più antico modello di lettera d'amore del Medioevo". Le incertezze dipendono dal fatto che manca l'originale, che esistono soltanto poche righe in latino copiate su pergamena dal chierico Guido nel manuale "Modi dictaminum" conservato a Verona. "A Imilde, moglie carissima": comincia così. È un marito di cui conosciamo soltanto l'iniziale del nome G. che scrive alla moglie mentre è lontano: "Voglio che tu sappia, che per grazia del Signore mi trovo a Pisa e sto bene e ho venduto tutta la merce (...). Il tuo affetto, amica mia dolcissima, sa che per il profumo del tuo amore non rifiuterei di valicare i monti o attraversare a nuoto i mari". Gli indizi che fanno pensare a questo come al più antico modello di lettera d'amore medievale a noi pervenuto si basano sul fatto che gran parte degli esempi di missive citate dall'autore del manuale si riferiscono ai conti Guidi al cui archivio si pensa che lui potesse attingere. G. che scrive alla moglie Imilde potrebbe essere Guido II. "Sappiamo infatti - racconta Elisabetta Bartoli, dottoranda alla facoltà di Lettere che sta preparando l'edizione critica dei "Modi dictaminum" - che Guido II e Imilde fanno la donazione a una chiesa del Casentino nel 1017 e da un altro documento che nel 1029 Imilde è già morta. Se è così, siamo un secolo prima dei più noti epistolari d'amore, a cominciare da Abelardo ed Eloisa".
(9 febbraio 2009)
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Postato da: giacabi a 06:38 |
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cristianesimo
CL:
preghiamo per Eluana
06/02/2009 - Pubblichiamo il comunicato stampa di Comunione e Liberazione in merito agli ultimi sviluppi della vicenda di Eluana Englaro
Accogliendo le parole del Segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata - «Quando ci avviciniamo al mistero del dolore e della morte bisogna, per chi crede, pregare» -, Comunione e Liberazione, oltre che alle iniziative di dialogo e di giudizio di queste settimane, invita
a partecipare ai momenti di preghiera per Eluana organizzati dalle
diocesi e a promuoverne nei luoghi di vita, di studio e di lavoro.
Da don Giussani abbiamo imparato che «solo il divino può “salvare” l’uomo, cioè le dimensioni vere ed essenziali dell’umana figura e del suo destino solo da Colui che ne è il senso ultimo possono essere “conservate”, vale a dire riconosciute, conclamate, difese». Tanto è vero che quando viene meno il riconoscimento del Mistero presente nella storia, risulta difficile riconoscere tutta la grandezza dell’uomo. Per questo invitiamo a pregare per una vita che è affidata al Mistero buono che fa tutte le cose, e perché Dio possa illuminare coloro che hanno responsabilità a tutti i livelli. l’ufficio stampa di CL Milano, 6 febbraio 2009. |
Postato da: giacabi a 20:54 |
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eutanasia, cristianesimo, cl
Suor Albina Corti e Margherita Coletta raccontano chi è Eluana
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grazie ad: annavercors
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Postato da: giacabi a 21:09 |
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eutanasia, cristianesimo
Vi racconto Beppino ed Eluana
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INTERVISTA
il fatto La moglie del carabiniere assassinato in Iraq nel 2003
racconta il suo rapporto con la Englaro e con il padre «Rispetto Beppino
e provo sempre affetto per lui, ma non è giusto quello che sta facendo»
Parla la vedova Coletta: ragazza libera e senza alcuna cannula
DA ROMA PINO CIOCIOLA
Avvenire – 04 / 02 / 2009
Ha
chiamato ancora papà Beppino ieri mattina poco prima delle nove: « Ma
nemmeno l’hai accompagnata Eluana? », gli ha detto subito. Margherita
Coletta è la vedova di Giuseppe, carabiniere assassinato a Nasiriyah il
12 novembre 2003, nell’attentato
che spazzò la base italiana 'Maestrale', carabiniere che non aveva mai
ucciso e che sceglieva le missioni all’estero per aiutare i bimbi più
indifesi, quelli colpiti dalla guerra. Lo faceva per ritrovare il
sorriso di suo figlio Paolo, morto a sei anni stroncato dalla leucemia: «
Quando capimmo che era finita e i medici ce lo spiegarono chiaramente –
racconta lei – facemmo interrompere la chemioterapia ». Margherita
in questi mesi è volata dalla Sicilia a Lecco per andare a trovare
Eluana, accompagnata da Beppino. Spesso e a lungo l’ha accarezzata, l’ha
baciata, le ha parlato. E spesso ha parlato col papà, scontrandosi
anche duramente, ma senza che mai lui le negasse il dialogo: in qualche
modo forse sono diventati amici. Ecco perché ancora ieri mattina lei gli
ha telefonato dicendogli: «Speravo che coi giorni fossi rinsavito».
Cos’ha provato, Margherita, entrando nella stanza di Eluana?
La
prima volta mi sono fermata sulla soglia della sua porta. Pensavo di
essere più forte. Ho respirato a fondo, poi sono entrata. Quando l’ho
vista, abituata com’ero alle foto di lei ragazza, mi ha scosso, oggi è
una donna. Ma poco dopo è diventato tutto così normale, come fossi a
trovare una persona in ospedale. Anzi, ho sentito tanta dolcezza e
nessun ribrezzo o pena. Né ho visto alcun 'sacco di patate', come
qualcuno descrisse Eluana, ma una persona che è tutt’altro. Una persona.
La sensazione più bella?
Quando
l’ho accarezzata. Con la sensazione netta, nettissima, che lei
avvertisse le carezze. Certo è che pensavo d’andare a dare io a lei,
invece ho ricevuto assai più di quanto le abbia dato.
Cosa?
La maggiore certezza nelle cose in cui credo. La consapevolezza che non si può ridurre una persona alla sua forma fisica.
Papà Beppino la accompagnava in quella stanza?
Sì.
La prima volta che l’ho incontrato mi aveva fatto molta tenerezza:
pensavo a mio marito Giuseppe, a quando è morto nostro figlio. E poi mi sembrava quasi di parlare con mio padre: mi diceva «sei una birba ».
Adesso è cambiato qualcosa?
Rispetto comunque Beppino e provo sempre grande affetto per lui. Ma non è giusto quello che sta facendo. I
figli non sono di nostra proprietà: ci sono soltanto affidati. Ci
prendiamo cura di loro, li aiutiamo, li assistiamo e semmai li
accompagniamo alla morte, preparandoli se deve accadere, anche da
piccoli.
Ma lui non si rende conto di tutto questo, si sente incapace di tornare
indietro: credo sia soprattutto lui in uno stato simile a quello
vegetativo. Quando si risve- glierà da questo torpore si renderà conto e
starà male, tanto.
Lei che rapporto ha, Margherita, col papà di Eluana?
Ci
siamo confrontati tante volte, ma è sempre stato cortese con me. È
convinto di quanto fa, forse perché non vede più Eluana come lui la
vorrebbe. Ma a me pare evidente che in qualche modo sia stato plagiato
da tanta gente alla quale non interessa nulla di Eluana. E lui ora è
strumentalizzato, è finito in un vortice: ha anche momenti nei quali io
credo vorrebbe tornare indietro, perché non pare convinto fino in fondo
di quanto sta facendo, ma non ne ha la forza.
Com’era trattata Eluana nella casa di cura lecchese?
Come
una regina. Le suore che le stanno accanto ogni giorno la curano, la
lavano, la profumano, la portano a spasso sulla carrozzella. Addirittura
la depilano, perché Eluana come ogni ragazza non sopportava d’avere
peli sulle gambe.
E come sta?
Lei
è una donna. Una donna di trentotto anni: ha la mia stessa età. Ha il
ciclo mestruale come ogni donna. Apre gli occhi di giorno e li chiude la
notte. Respira benissimo e da sola, serenamente. Il suo cuore batte da
solo, tenace e forte. Ci sono momenti nei quali forse sorride e altri
nei quali forse socchiude gli occhi. Ma quanti sanno davvero che Eluana
non è attaccata a nessuna macchina? Quanti
sanno che nella sua stanza non c’è un macchinario, ma due orsacchiotti
di peluche sul suo letto? Che non ha una piaga da decubito? Che in diciassette anni non ha preso un antibiotico?
La notte scorsa hanno portato Eluana a morire: lei, Margherita, cosa sta provando?
Ho
un pugnale dentro. Prego, spero fino all’ultimo che lui si renda conto
di quel che sta facendo. Quanto sia sbagliato. Quanto non sia paterno.
Quanto non sia umano. Io so che lui soffre dentro di sé, e tanto.
Ci ha parlato appena ieri mattina: secondo lei cosa prova Beppino?
Non
so come possa vivere con un peso addosso come questo: Eluana da
diciassette anni è in quelle condizioni, ma lui fino a ieri mattina non
si era mai svegliato sapendo che sua figlia sta per morire.
Come mai, Margherita, lei e suo marito Giuseppe decideste d’interrompere la chemioterapia a vostro figlio?
Paolo
ne aveva fatti quattro cicli, ne mancavano due, ma ormai il male aveva
invaso tutto il suo corpo e i medici ci spiegarono bene la situazione. I
dolori e il vomito e tutte le devastazioni provocate dalla chemio a
quel punto sì che sarebbero stati accanimento terapeutico: così ci
fermammo, affidandoci e affidando Paoletto a Dio.
Perché invece con Eluana non ci sarebbe accanimento terapeutico?
Ma Eluana
non ha una malattia, non è terminale, non ha un dolore, non ha un
macchinario nella stanza, non c’è nulla che possa far pensare ad un
accanimento per tenerla in vita! È accudita, curata, amata. La si deve
solamente aiutare a mangiare!
Beppino però sostiene che la morte di Eluana servirà a liberarla...
Liberarla
da cosa? Come fa lui a sapere che lei è in catene? Una persona che
soffre lo si vede. Non lo capisco proprio cosa voglia dire Beppino,
cerco di sforzarmi, ma non ci arrivo.
Quella giovane donna da ieri è ricoverata nella sezione maschile del 'Reparto Alhzeimer' della clinica udinese 'La Quiete'...
Ma
si rende conto?! È lì, da sola, con nessuno che la conosce, che l’ha
curata, che la ama, perché le suore di Lecco la amano: se sapesse ieri
sera ( lunedì, ndr) quando ho chiamato suor Rosangela come piangeva.
Anzi, mi permetta di ringraziare proprio le suore della casa di cura
'Beato Talamone' e tutte le persone che per quindici anni hanno avuto
quella tale cura per Eluana.
Margherita, ma perché lei decise d’andare a trovarla?
Non
lo so. Una sera ero a casa, ho visto la notizia al telegiornale e ne ho
avuto il desiderio. So di non valere nulla, ma ho cercato il numero di
Beppino, perché volevo fargli sentire la mia vicinanza. L’ho chiamato,
gli ho spiegato chi ero e che sarei stata felice se avessi potuto
incontrare Eluana. Lui fu molto gentile, mi disse: «Signora, davanti al
suo dolore m’inchino e mi fa piacere se viene». Appena poi arrivai a
Lecco, mi chiese subito: «Margherita, tu da che parte stai?».
Lei cosa gli rispose?
«Beppino,
io non sto dalla parte di nessuno: sono venuta a trovare Eluana come se
tu fossi venuto a trovare un mio parente caro»: andai da lei non per
far cambiare idea a Beppino né per altro, solo perché mi era sembrato
giusto farlo.
Come mai lei ha accettato di raccontare tutto questo solamente adesso?
Beppino sa che io non avrei mai detto nulla e l’ha visto finora. Però è giunto il momento di dare voce a Eluana.
Un’ultima domanda, Margherita: ha speranze per Eluana?
La
prima volta andai a trovarla nel novembre scorso: le promisi che sarei
tornata per Natale e Beppino, certo e tranquillo, mi disse: «A Natale
non ci sarà più». Io le sussurrai nell’orecchio sotto voce « non ti
preoccupare, ci rivediamo » e così poi è stato.
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Postato da: giacabi a 19:49 |
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eutanasia, cristianesimo
La bellezza cristiana
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«Poi andammo dai Greci, ed essi ci condussero al loro servizio divino.
E noi non sapevamo se ci trovavamo in Cielo o sulla Terra, giacché
sulla Terra non si vede spettacolo di tale bellezza. Noi non sappiamo
descrivere con parole quello che abbiamo veduto. Soltanto questo
sappiamo, che ivi gli uomini si trovano in presenza di Dio'".
Il racconto emozionato con cui i messi riferirono a Vladimir, il Gran
Principe di Kiev, del loro soggiorno a Costantinopoli segnò sicuramente
una svolta decisiva nella storia del mondo slavo; al punto che, nell'anno 988, il sovrano e tutto il suo popolo si convertirono al Cristianesimo, abbracciandone il rito ortodosso.
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Postato da: giacabi a 19:43 |
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bellezza, cristianesimo
La democrazia
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«La democrazia è una pagina strappata dal vangelo».
Arnold Toynbee
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Postato da: giacabi a 12:44 |
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cristianesimo
Il cristianesimo non predica la Legge
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«Il cristianesimo non predica la Legge; al contrario esso predica quel che Dio, con infinito amore, ha fatto per gli uomini.
A Dio certamente deve sembrare che questo sia un tale eccesso d'amore
da dover commuovere le pietre. Allora la predicazione, per cosi dire, si
arresta: si ha una pausa,
perche Dio non ordina la gratitudine, pero egli se l'aspetta, cioe
attende che il suo eccesso d'amore commuova l'uomo a tal punta da
decidersi ad amare Dio»,
Soren Kierkegaard, Diario
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Postato da: giacabi a 09:28 |
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cristianesimo, kierkeergaard
Il cristianesimo procura la felicità ***
Cosa strana! Il cristianesimo che sembra teso a procurare agli uomini solo la felicità eterna, in realtà procura loro tutta la felicità che è possibile in questo mondo
C. L. Montesquieu
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Postato da: giacabi a 14:47 |
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cristianesimo
Il cristianesimo non è certo triste
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“Il cristianesimo non è certo triste: al contrario, è la buona novella per i tristi. Ma, per i leggeri, non è certamente la buona novella, perché prima li vuole rendere seri .”
S. Kierkegaard
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Postato da: giacabi a 14:54 |
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cristianesimo, kierkeergaard
Il cristiano è contento
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“Liberaci, o Signore, dalle sciocche devozioni dei santi dalla faccia triste”
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Postato da: giacabi a 19:44 |
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cristianesimo, steresa
Il cristiano è contento
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“Voglio veder ridere. Un cristiano non ha alcun motivo per essere triste e ne ha tanti per essere contento.”
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Postato da: giacabi a 19:36 |
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cristianesimo
Bisogna che i cristiani si familiarizzino con tutto ciò che non è nato da loro
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" Oggi, per accostarsi all’angoscia e allo smarrimento del mondo, ci vogliono dei cristiani difficili;
dei cristiani che non si lasciano prendere dall’impazienza, che non
distribuiscono benedizioni affrettate, ferendo sia la dignità del
cristianesimo che la dignità dei non cristiani, che vedono in questo
modo di fare un’annessione ingenua o violenta. In vista di una
consacrazione futura di tutto l’apporto positivo del mondo moderno, bisogna
che i cristiani si familiarizzino con tutto ciò che non è nato da loro,
in un lungo processo di accostamento e di scoperta, con un
atteggiamento aperto, attento, umile e mai socialmente chiuso,… devono
muoversi come un esercito che va a combattere in campo aperto, senza mai
perdere il contatto col terreno d’azione, e dialogare con coloro che
vogliono raggiungere.
Come colui che sedeva alla tavola dei pubblicani e viveva in mezzo ai
pescatori del lago di Tiberiade, con grande scandalo dei farisei.
E. Mounier
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Postato da: giacabi a 14:52 |
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cristianesimo, mounier
L’umanesimo laico viene dal cristianesimo
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“Dobbiamo rassegnarci, noi umanisti, ogni nostra morale sedicente laica non è che un cristianesimo senza Cristo”.”
Léo Moulin
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Postato da: giacabi a 14:18 |
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cristianesimo, moulin
L’umanesimo laico viene dal cristianesimo
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“Gli umanesimi che si credono laici, i decaloghi che si vorrebbero nati dalla sola ragione, vengono in realtà dalla sensibilità cristiana che è divenuta midollo insostituibile della nostra cultura”.
Arturo Carlo Jemolo
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Postato da: giacabi a 14:15 |
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cristianesimo
L’essenza del Cristianesimo ***
«L’essenza del Cristianesimo è l’essenza dei sentimenti che albergano nel nostro cuore. Le verità di fede del cristianesimo sono desideri appagati del cuore umano».
Ludwig Feuerbch (1804-1872)
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Postato da: giacabi a 21:31 |
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cristianesimo
Gesù Cristo
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«Conosco gli uomini e vi dico
che Gesù non è un uomo.
Gli spiriti superficiali scorgono una somiglianza tra il Cristo e i
fondatori di Imperi, i conquistatori e le divinità di altre religioni.
Questa somiglianza non esiste. Tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione c'è la distanza dell'infinito.»
Napoleone,Conversazioni religiose Editori Riuniti
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Postato da: giacabi a 14:06 |
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cristianesimo, gesù, napoleone
Il cristianesimo soddisfa completamente la ragione
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“Fondata sulla Bibbia, questa dottrina spiega meglio di ogni altra le tradizioni del mondo. Le chiarisce e gli altri dogmi vi si raccordano strettamente come gli anelli ben fermati della stessa catena. L'esistenza
del Cristo è da un capo all'altro un tessuto misterioso, lo ammetto. Ma
questo mistero risponde a delle difficoltà che si ritrovano in tutte le
esistenze. Rifiutatele e il mondo diventa un enigma. Accettatele e
avrete una soluzione ammirevole della storia umana.
Il cristianesimo ha un vantaggio su tutti i filosofi e su tutte le religioni. I cristiani non si fanno illusioni sulla natura delle cose. Ad
essi non si può rimproverare né la sottigliezza, né la ciarlataneria
degli ideologi, che hanno creduto di risolvere il grande enigma delle
questioni teologiche con delle inutili dissertazioni su questi grandi
argomenti. Insensati, la cui follia rassomiglia a quella di un bambino
che vuole toccare il cielo con la mano o che chiede la luna come
giocattolo e curiosità! Il
cristianesimo dice con semplicità: "Nessun uomo ha visto Dio, se non è
egli stesso Dio. Dio ha rivelato ciò che egli è: la sua Rivelazione è un
mistero che né la ragione né lo spirito possono concepire. Ma poiché
Dio ha parlato, bisogna credere". Questo è di grande buon senso.
Il
Vangelo possiede una virtù segreta, un non so che affascina il cuore.
Nel meditarlo si prova la stesso sentimento che a contemplare il cielo. Il
Vangelo non è un libro, è un essere vivente, con una capacità di
azione, con una potenza che invade tutto quello che si oppone alla sua
espansione. Eccolo su questo tavolo, questo che è il libro per eccellenza (e qui l'Imperatore lo sfiora con rispetto). Non mi stanco mai di leggerlo, ogni giorno e sempre con lo stesso piacere.
Il
Cristo non muta. Non esita mai nel suo insegnamento e la sua più
piccola affermazione ha un'impronta di semplicità e di profondità che
cattura l'ignorante e il sapiente, per poco che vi prestino la loro
attenzione. Da
nessuna parte si ritrova questa serie di belle idee, di belle massime
morali, che sfilano come battaglioni della milizia celeste e producono
nel nostro animo lo stesso sentimento che si prova considerando la
.distesa infinita del cielo quando, in una bella notte d'estate,
risplende di tutta la luce degli astri. Non
soltanto il nostro spirito è occupato, ma è dominato da questa lettura e
l'anima con questo libro non corre mai il rischio di smarrirsi. Una
volta diventato padrone del nostro spirito, il fedele Vangelo ci ama. Dio stesso è nostro amico, nostro padre e veramente nostro Dio. Una madre non ha maggior cura per il bambino che allatta. L'anima,
sedotta dalla bellezza del Vangelo, non si appartiene piu, Dio se ne
impadronisce d'un tratto, ne dirige i pensieri e tutte le facoltà. Essa
gli appartiene interamente.
Quale
prova della divinità di Cristo! Con un dominio cosi assoluto non ha
avuto che un unico scopo, il miglioramento spirituale degli individui,
la purezza della coscienza, l'unione a ciò che è vero, la santità
dell'anima, Ecco una vera religione e vi riconosco un pontefice.
Ciò che strappa la convinzione sono tutti i vantaggi e la felicità che derivano da una simile credenza. L'uomo che crede è felice!
Voi ignorate che cosa vuol dire "' credere! Credere è vedere Dio perché
si hanno gli occhi fissi su di lui! Felice chi crede! Non tutti
credono, Questo è il cristianesimo, che soddisfa completamente la ragione che
ne posseggono il principio originario, che spiega se stesso con una
rivelazione dall'alto e che spiega poi mille difficoltà che non hanno
altra soluzione possibile se non grazie alla fede.”
Napoleone,Conversazioni religiose Editori Riuniti
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Postato da: giacabi a 19:54 |
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cristianesimo, napoleone
Fa splendere il Tuo volto
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Un pittore non disegna il posto in cui si trova. Ma osservando il suo quadro, io conosco la sua posizione rispetto alle cose disegnate. … Secondo
la concezione della vita umana espressa negli atti e nelle parole di un
uomo, io so (…) se egli guarda questa vita da un punto situato quaggiù o
dall’alto del cielo. … Il Vangelo contiene una concezione della vita umana, non una teologia. Se
di notte all’aperto, accendo una torcia elettrica, non è guardando la
lampadina che ne giudico la potenza, ma guardando la quantità di oggetti
illuminati. … Il
valore di una forma di vita religiosa, o più in generale spirituale, lo
si valuta in base all’illuminazione proiettata sulle cose di quaggiù.
Le cose carnali sono il criterio delle cose spirituali. … Solo le cose spirituali hanno valore, ma le cose carnali sono le uniche ad avere un’esistenza constatabile. Quindi il valore delle prime è constatabile solo come illuminazione proiettata sulle seconde. (Q IV 185)
Simone Weil
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Postato da: giacabi a 20:27 |
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cristianesimo, weil
La contemporaneità di Cristo
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“Una
persona in un paese vicino a Madrid aveva incontrato i nostri amici.
Questa persona non aveva avuto fino a quel momento nessun rapporto con
la Chiesa; ha incominciato a diventare amico dei nostri e vedeva che
cosa succedeva, che novità incominciava a introdursi nella vita; e poi,
stando con loro, è andata anche a messa e, sentendo il Vangelo, a un
certo momento commenta: «Ma a quelli del Vangelo capitava lo stesso che capita tra di noi». Aveva
identificato che quella novità che vedeva accadere davanti ai suoi
occhi nel rapporto con gli amici della comunità cristiana, che aveva
incontrato, erano le stesse cose che capitavano a quelli che erano
intorno a Gesù! Non si rendeva conto che era il contrario, che era a
questi suoi amici che capitava lo stesso che ai discepoli, ma questo è
secondario. Perché i Vangeli sono e saranno sempre il canone,
la regola che ci aiuta a scoprire quando un’esperienza è cristiana,
quando ci troviamo veramente davanti a un’esperienza cristiana.
Perché nel presente e in ogni momento della storia accade lo stesso
(con altri volti, con altre facce) che capitava all’inizio; passa
attraverso volti diversi, ma Egli si rende contemporaneo a noi dentro
volti con tratti inconfondibili, che sono Suoi. Non è che i discepoli
hanno incontrato Gesù e noi dobbiamo accontentarci di un succedaneo. Ciò che sperimentiamo sono esattamente i tratti inconfondibili di Lui, che si rende presente oggi per pietà del nostro niente.
Come scopro che questi tratti sono Suoi? Dobbiamo guardare bene, perché a noi rischia di sembrare tutto uguale. Guardiamo bene, per esempio, quello che racconta Vicky. «Prima
di incontrare Rose nessuno ci sorrideva, tutti ci odiavano in famiglia,
come se ci fossimo procurate da sole la malattia. E all’improvviso in
quella situazione compare una presenza nuova: Rose è venuta a sedersi di
fianco a me. Io mi scostavo perché non emanavo certo un buon odore, lei
si avvicinava e io continuavo a scostarmi, ma Rose continuava ad
avvicinarsi». E a questa persona, in questa situazione in cui tutti la
evitano, che ha un odore così, Rose dice una cosa strana: «Tu hai un
valore più grande della tua malattia». Occorre una certa familiarità con
Uno che diceva queste cose strane. Come è strano dire a una madre che
va a seppellire il figlio: «Non piangere!» (Lc 7,13). O a uno che l’ha
tradito dire: «Mi ami tu?» (Gv 21,16). O al più odiato di tutta la città
dire: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5).
Se,
nello stesso tempo, quando noi vediamo questi fatti, non abbiamo anche
questa familiarità con il Vangelo, ci sembrano “di chiunque” questi
tratti diventano “di chiunque”; cioè possiamo dire così di Gesù o
Maometto o Buddha o vattelapesca, perché tutto è uguale.
Ma
dove è successo che uno si avvicini così a chi tutti hanno rifiutato
come un lebbroso? Dove è successo che uno si avvicini a chi tutti
considerano un peccatore abominevole nella città? Dove è successo che
uno continui ad affermare il valore dell’uomo nella situazione più
disperata? Non è successo ovunque, ma nel momento della storia in cui
Egli si è mostrato!
Noi facciamo difficoltà perché ci manca l’immedesimazione con Gesù, col Vangelo,
che Giussani ci ha testimoniato lungo tutta la sua vita, perché noi non
sapremmo immedesimarci con questi episodi, se non avessimo sentito don
Giussani ripeterceli tantissime volte. Ma noi
- sembra - abbiamo altro da fare: leggere il Vangelo ci sembra una cosa
spiritualistica, e perciò quando vediamo gli stessi fatti davanti ai
nostri occhi, facciamo fatica a dire il Suo nome. Allora perché dovremmo credere? Si capisce bene che così la fede non è ragionevole. Invece se uno continua a immedesimarsi, è impossibile che non scatti un’affezione dell'altro mondo che ci rende sempre più caro Cristo.
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Postato da: giacabi a 06:23 |
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cristianesimo, carron
Cristo, vita della vita
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Luigi Giussani
Un avvenimento presente
L’uomo e il suo destino. In cammino,
Marietti, Genova 1999, pp. 56-57
Diceva sant’Agostino: In manibus nostris sunt codices, in oculis nostris facta (sant’Agostino, Sermo sancti Augustini cum pagani ingrederentur, in Codice di Magonza). In manibus nostris sunt codices, i Vangeli da leggere, la Bibbia da leggere; ma non sapremmo come leggerli, senza l’altra clausola: in oculis nostris facta. La presenza di Gesù è alimentata, confortata, dimostrata dalla lettura dei Vangeli e della Bibbia, ma è assicurata e si rende evidente tra noi attraverso un fatto, attraverso fatti come presenze. Per
ognuno c’è un fatto che ha avuto un significato, una presenza che ha
influito su tutta la vita: ha illuminato il modo di concepire, di
sentire e di fare. Questo si chiama avvenimento. Quello in cui siamo introdotti resta veramente vivo, si avvera tutti i giorni; perciò tutti i giorni noi prendiamo coscienza, dobbiamo prendere coscienza dell’avvenimento come ci è accaduto, dell’incontro fatto.
Concludo questa sottolineatura di mie preoccupazioni, dicendo: Cristo,
questo è il nome che indica e definisce una realtà che ho incontrato
nella mia vita. Ho incontrato: ne ho sentito parlare prima da piccolo,
da ragazzo, ecc. Si può diventar grandi e questa parola è risaputa, ma
per tanta gente non è incontrato, non è realmente sperimentato come
presente; mentre Cristo si è
imbattuto nella mia vita, la mia vita si è imbattuta in Cristo proprio
perché io imparassi a capire come Egli sia il punto nevralgico di tutto,
di tutta la mia vita. È la vita della mia vita, Cristo. In Lui si
assomma tutto quello che io vorrei, tutto quello che io cerco, tutto
quello che io sacrifico, tutto quello che in me si evolve per amore
delle persone con cui mi ha messo.
Come diceva Möhler in una frase che ho citato molte volte: «Io penso di non poter più vivere se non lo sentissi più parlare»
(cfr. A.J.Möhler, Dell’unità della Chiesa, Tipografia e libreria
Pirotta e C., Milano 1850, p. 52). È una frase che avevo messo sotto
un’immagine del Carracci raffigurante Cristo quando ero al liceo. Forse
una delle frasi che ho più ricordato nella mia vita.
Cristo, vita della vita, certezza del destino buono e compagnia per la
vita quotidiana, compagnia familiare e trasformatrice in bene: questo
rappresenta l’efficacia di Lui nella mia vita.
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Postato da: giacabi a 20:25 |
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cristianesimo, giussani
La rinascita cattolica
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Spuntò un movimento di ben diverso, i cui principali rappresentanti furono Pèguy e Bernanos in Francia e Chesterton in Inghilterra. Ciò
che questi uomini odiavano nel mondo moderno non era la democrazia, ma
la sua mancanza. Ciò che aspiravano era la libertà per il popolo e la
ragione per le menti.
In
loro vi era un odio profondo per la società borghese, che sapevano
essere antidemocratica e fondamentalmente corrotta. Ciò contro cui si
battevano senza requie era l'insidiosa invasione della morale e dei
valori borghesi in tutti gli stili di vita e in tutte le classi sociali.
Non
vi sono polemiche più devastanti, divertenti o meglio scritte contro
quell'insieme di superstizioni moderne che vanno dalla scienza cristiana
alla ginnastica come mezzo di salvezza, dal proibizionismo a
Krishnamurti, di quelle contenute nei saggi di Chesterton.
Quando
Chesterton descrive il ricco che per un presunto amore dell'umanità
adotta qualche nuova regola vegetariana come l'uomo che " ha abolito la
carne perchè i poveri amano la carne "riesce a descrivere le ambizioni
delle classi dominanti meglio delle discussioni accademiche sulle
funzioni dei capitalisti.
Nel
Cristianesimo vi era qualcosa di più della denuncia della malvagità
della ricchezza. L'insistenza sui limiti della condizione umana bastava
ai suoi adepti per farsi un'idea dell'essenziale disumanità dei
tentativi odierni di trasformare l'uomo in un mostruoso superuomo.
Erano consapevoli che una ricerca della felicità che elimini le lacrime è destinata a cancellare anche le risa. Il
Cristianesimo insegnava che non può esistere nulla di umano al di là
delle lacrime e delle risa, fatta eccezione per il silenzio della
disperazione.
Per questo Chesterton, accettate senza remore le lacrime, potè far spazio al riso.
Hannah Arendt
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Postato da: giacabi a 22:36 |
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cristianesimo, arendt
Il cristianesimo
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Al confronto delle altre religioni, il
cristianesimo assolve la funzione di una compagnia d'assalto, di un
drappello di arditi gettato sul punto più pericoloso ed infuocato del
fronte.
Da
qualche parte ci dev'essere un'artiglieria, un'aviazione; ma
nell'attacco alla baionetta è questo manipolo di votati alla morte che,
dopo aver bruciato dietro di sè i ponti, viene lanciato a ridosso delle
trincee nemiche nella fornace ardente.
Di
qui la decisione dell'urto, la risolutezza di andare fino in fondo, la
difficoltà dell'eroismo, l'intolleranza della dottrina (a differenza, ad
esempio, degli indù), cioè la concentrazione e lo slancio di tutte le
forze impegnate a sferrare un unico attacco.
Guardate gli eroi del cristianesimo: non
molti i contemplativi, numerosi invece i militanti che acquistano la
gloria con la fermezza e con la morte. Le vite dei santi sono una
casistica di torture ed esecuzioni sopportate da un'armata che ha
seguito le orme di un Dio giustiziato. Sono soldati che mostrano al
mondo cicatrici e ferite, come decorazioni al valore. Ma da chi è composta questa armata ?
Da
tutte le nazioni, da qualsiasi accozzaglia, persino da delinquenti che
si caricano la croce. Ognuno può arruolarsi, anche l'ultimo, il più
ignorante, il più peccatore, purchè sia pronto a buttarsi sul fuoco.
Ciascuno a corpo a corpo, ognuno a tu per tu col nemico.
E'
la religione della più grande speranza, nata dalla disperazione; è la
religione della purezza che si afferma nella coscienza esasperata del
peccatore; la religione della resurrezione della carne tra il lezzo
della corruzione.
Solo
nel cristianesimo c'è un contatto diretto con la morte. Il terrore
della morte non vi è eliminato, ma sviluppato fino a diventare forza
capace di aprire una breccia nel sepolcro e balzare dall'altro lato. Non
ha la contemplazione dell'eternità, ma la conquista nella lotta, nella
battaglia, armati di un'arma sola, la prontezza a morire
Sinjavskij
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Postato da: giacabi a 14:28 |
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cristianesimo, sinjavskij
La crisi delle borse ed i cristiani…..
18-08-2008
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Antonio Socci
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Postato da: giacabi a 23:46 |
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cristianesimo, socci
Una casa para todos
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«Non
avete solo costruito le vostre abitazioni, ma siete protagonisti della
vostra vita». Storia dell’Atst, dai primi “miracoli” alla scoperta di Cl
I
volti di rame risaltano impassibili sotto la luce fredda del neon.
Fredda come l’aria di questo inverno paulista e australe che non vuol
finire e cinge di felpe multicolori uomini, donne e bambini. Tutti in
piedi qui nel salone del centro comunitario del quartiere di interesse
sociale Sol Nascente, alle falde del Pico di Aguajù, la montagna
verdeggiante che sovrasta San Paolo e di notte manda baleni
intermittenti dalla cima dell’antenna di radio e tv lì innalzata.
Il momento è storico: Marcos Zerbini sta per consegnare ai titolari delle case del quartiere (uno dei primi creati grazie all’impegno dell’Atst) il bollettino dell’Iptu, Imposto Predial e Territorial Urbano. Sarebbe l’Ici brasiliana, eppure l’atmosfera è quella di un’austera ma solenne celebrazione. Intanto perché i residenti di qui sono esenti, trattandosi come detto di un’area di interesse sociale. Ma soprattutto perché il bollettino attesta incontrovertibilmente che le case sono perfettamente legali, il catasto le conserva registrate e i servizi comunali pure. Ora manca solo la “escritura registrada” e il lungo cammino dei senza terra verso la terra promessa – sono passati 12 anni dalle prime lottizzazioni – sarà compiuto. «Questa storia è bella perché non è la storia di un eroe solitario, ma di tanti eroi, gli eroi che siete voi», esordisce Zerbini. «Grazie al movimento di Cl la vostra storia è conosciuta in 72 paesi del mondo. Quest’anno Cleuza ed io l’abbiamo presentata al più grande incontro sociale d’Europa, il Meeting di Rimini. Ora in tutto il mondo conoscono il vostro coraggio, la vostra determinazione. Voi non avete solo costruito la vostra casa e il vostro quartiere, ma la storia della vostra vita. Voi siete i protagonisti della storia della vostra vita. E io vi ringrazio, perché siete la strada attraverso la quale ho incontrato Gesù Cristo». Eccesso di retorica? Proprio per niente. L’Associação dos Trabalhadores Sem-Terra e le 17.500 famiglie che dal 1986 ad oggi si sono ad essa associate per poter avere una casa sono veramente un miracolo, a fronte di una tradizione di politiche sociali assistenzialiste e clientelari che in Brasile accomuna da sempre i governi di destra e di sinistra. Spiega Enzo Fraschini, italiano, volontario geometra dell’ufficio tecnico dell’Atst da due anni: «Questa gente non ragiona come i favelados. I favelados invadono le terre di loro iniziativa o sostenuti da un partito politico, costruiscono abusivamente la loro casa e poi chiedono alle autorità di fornire loro un’abitazione migliore a spese dell’ente pubblico. A volte tornano nella loro casa in favela e subaffittano l’appartamento di edilizia popolare che il Comune gli assegna. Gli associati dell’Atst, invece, acquistano legalmente i terreni sui quali sorgerà il loro quartiere dopo attese di 3-4 anni. Grazie al fatto che l’acquisto viene fatto collettivamente per superfici molto vaste, il prezzo pagato riesce ad essere il 20 per cento appena del prezzo del mercato. Poi cominciano i sacrifici: costruiscono a proprie spese la casa in muratura mentre continuano a vivere in affitto da qualche parte; quando l’edificio è minimamente abitabile vanno a viverci, ma sono costretti a collegarsi abusivamente all’elettricità e all’acqua, perché finché la maggior parte della lottizzazione non è edificata il Comune non fornisce i servizi. Quando cominciano a pagare le bollette per l’energia elettrica e la provvista idrica, il quartiere è ancora privo di strade asfaltate, fognature e scuole. Per averle devono impegnarsi in lunghe lotte». Da notare che grazie a questo metodo nelle aree urbane dell’Atst sono assenti le bande di narcos, fatto assai raro in Brasile. L’ostilità di Lula La strada della legalità, del sacrificio e della responsabilizzazione dei “moradores” (gli aspiranti proprietari di casa) non è meno accidentata di quella degli invasori di terre che non intendono spendere un real per la propria regolarizzazione, in una città di 12 milioni di abitanti (20 se si considera l’area metropolitana) dove i favelados sono 2 milioni di persone e il 40 per cento di tutte le abitazioni risultano irregolari per una ragione o per un’altra. Anzitutto all’Atst non è giovato rompere col Pt di Lula alla fine degli anni Ottanta: le amministrazioni di sinistra hanno sempre creato problemi e negato gli interventi di urbanizzazione (atti dovuti) nei quartieri dell’associazione. Particolarmente malevola è stata l’ex sindaco del Pt Marta Suplicy, che alle prossime amministrative di ottobre rischia di riconquistare la poltrona, persa nel 2004. Poi c’è la storica ostilità dei quartieri borghesi adiacenti ai nuovi quartieri dell’Atst. I dirimpettai dell’area Estrada Turistica do Jaraguá, per esempio, convinti che le loro proprietà si sarebbero svalutate con la costruzione di edilizia economica nelle vicinanze, hanno trascinato in giudizio quattro volte Marcos e Cleuza con le accuse più strabilianti, come danni alla flora e alla fauna e associazione a delinquere. Sempre i processi si sono conclusi con assoluzioni piene, e in un caso il pubblico ministero è diventato amico personale della coppia. Altre volte i moradores sono dovuti ricorrere a forme di protesta estreme quando le promesse delle amministrazioni sono state troppe volte disattese: nel 1996 bloccarono per un’ora e un quarto la Marginal Tiete, una delle arterie di scorrimento di San Paolo. Come se a Milano qualcuno bloccasse la Tangenziale Ovest… Da subito a Marcos e Cleuza è stato chiaro che per difendere la loro opera e promuovere politiche della casa migliori per tutti i cittadini di San Paolo dovevano impegnarsi in politica. Marcos è stato consigliere comunale per due legislature e oggi è deputato dello Stato di San Paolo. Alle amministrative l’associazione appoggia le candidature di due suoi membri storici, che hanno buone probabilità di riuscita. Due settimane fa il movimento di Cl in Brasile ha preparato un volantino in vista delle elezioni amministrative intitolato “A política é para todos”. Nel testo si legge fra l’altro: «La politica è uno dei modi più efficaci di coinvolgerci con la realtà e di costruirci una nuova società. Se non ci interessiamo alla politica, essa finisce per essere usata da persone che non si preoccupano del bene comune ma dei propri interessi particolari, il che inevitabilmente genera corruzione». Le comunità delle diverse città brasiliane ne hanno chieste chi mille, chi duemila copie da distribuire. L’Atst ne ha chieste due milioni. «Fra 10-15 anni in Brasile non ci saranno più movimenti popolari», profetizza Zerbini. «Resteranno solo individui isolati e partiti e governi che continueranno a praticare l’assistenzialismo. Noi ci saremo ancora per la forza dell’incontro che abbiamo fatto». «Nella Chiesa cattolica brasiliana ci sono movimenti e gruppi che propongono il cristianesimo come incontro personale con Cristo, e così pure nelle Chiese evangeliche, ma in termini sentimentali», interviene Cleuza. «Sono come la Coca Cola: all’inizio è deliziosa, ma si sgasa subito e quel che resta non ha più un buon sapore». Ha appena inflitto una “bronca”, cioè una sgridata, ai coordinatori che non hanno saputo mantenere un clima d’ascolto nel salone durante l’ultima delle sei assemblee degli studenti, che vanno avanti dalle 8 del mattino. «Noi siamo questi, gente umile e senza preparazione per guidare una cosa così grande: io ho studiato solo fino alla quarta elementare. Fuori per la strada ce ne sono di più bravi e più intelligenti di noi, ma non posso chiamarli qui perché a loro di Cristo non importa. Tutto quello che Dio mi ha dato è qui». |
Postato da: giacabi a 20:47 |
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cristianesimo, zerbini
La novità dell’annuncio cristiano
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“Di fatto, i cristiani della Chiesa nascente non hanno considerato il loro annuncio missionario come una propaganda, che doveva servire ad aumentare il proprio gruppo, ma come
una necessità intrinseca che derivava dalla natura della loro fede: il
Dio nel quale credevano era il Dio di tutti, il Dio uno e vero che si
era mostrato nella storia d’Israele e infine nel suo Figlio, dando con
ciò la risposta che riguardava tutti e che, nel loro intimo, tutti gli
uomini attendono. L’universalità di Dio e l’universalità della ragione
aperta verso di Lui costituivano per loro la motivazione e insieme il
dovere dell’annuncio. Per loro la fede non apparteneva alla consuetudine
culturale, che a seconda dei popoli è diversa, ma all’ambito della
verità che riguarda ugualmente tutti.
Lo
schema fondamentale dell’annuncio cristiano “verso l’esterno” – agli
uomini che, con le loro domande, sono in ricerca – si trova nel discorso
di san Paolo all’Areopago. Teniamo presente, in questo contesto, che
l’Areopago non era una specie di accademia, dove gli ingegni più
illustri s’incontravano per la discussione sulle cose sublimi, ma un
tribunale che aveva la competenza in materia di religione e doveva
opporsi all’importazione di religioni straniere. È proprio questa
l’accusa contro Paolo: “Sembra essere un annunziatore di divinità
straniere” (At 17, 18). A ciò Paolo replica: “Ho trovato presso
di voi un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate
senza conoscere, io ve lo annunzio” (cfr 17, 23). Paolo non annuncia dei
ignoti. Egli
annuncia Colui che gli uomini ignorano, eppure conoscono:
l’Ignoto-Conosciuto; Colui che cercano, di cui, in fondo, hanno
conoscenza e che, tuttavia, è l’Ignoto e l’Inconoscibile. Il più
profondo del pensiero e del sentimento umani sa in qualche modo che Egli
deve esistere. Che all’origine di tutte le cose deve esserci non l’irrazionalità, ma la Ragione creativa; non il cieco caso, ma la libertà. Tuttavia, malgrado che tutti gli uomini in qualche modo sappiano questo – come Paolo sottolinea nella Lettera ai Romani (1, 21) – questo
sapere rimane irreale: un Dio soltanto pensato e inventato non è un
Dio. Se Egli non si mostra, noi comunque non giungiamo fino a Lui. La
cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti
i popoli: Egli si è mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la
via verso di Lui. La novità dell’annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, ma un fatto che, esso stesso, è Logos – presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est (Gv 1,14): proprio così nel fatto ora c’è il Logos, il Logos
presente in mezzo a noi. Il fatto è ragionevole. Certamente occorre
sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà
dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio.
La
nostra situazione di oggi, sotto molti aspetti, è diversa da quella che
Paolo incontrò ad Atene, ma, pur nella differenza, tuttavia, in molte
cose anche assai analoga. Le
nostre città non sono più piene di are ed immagini di molteplici
divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto.
Ma come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta e
presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di
Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui. Quaerere Deum
– cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno
necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che
rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa
Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue
possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui
conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la
cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo,
rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura.”
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