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domenica 5 febbraio 2012

cristianesimo,3

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cristianesimo

domenica, 15 marzo 2009

Testimonianza Uganda:
amare una figlia frutto di violenza

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Avvenire 14.3.2009
 La sera del mercoledì delle ceneri ero letteralmente sfinito: avevo celebrato tre sante Messe e imposto le ceneri sulla testa a qualche migliaio di persone. Anche se non è festa di precetto, tanta gente, nell’intervallo del pranzo o alla sera subito dopo il lavoro, viene alla santa Messa per ricevere le ceneri. Portano anche i bambini e guai a non mettere le ceneri anche a loro.
  Molti poi, oltre a ricevere la cenere sul capo, la vogliono pure in mano o in un pezzetto di carta o in un fazzoletto, così da poterla portare a casa per coloro che non hanno potuto venire in chiesa. È un atto penitenziale e qualche volta mi viene persino il dubbio che ci sia un po’ di fanatismo, ma vedendo la devozione che ci mettono, debbo dire che è fede ed è un modo per esprimere pentimento del proprio essere peccatori. Tutto quanto detto non c’entra nulla con la ragione per cui le scrivo, ma in qualche modo fa da contorno. Stavo per andare a letto ed entrai nel mio ufficio solo per assicurarmi che le porte anteriori fossero chiuse. Notai sul mio tavolo una lettera che non avevo ancora aperto. La aprii e lessi.
  Eccoti il contenuto:
 Caro Padre, sono una ragazza di 14 anni, nativa di Gulu, Layibi. Nel 1993 mia madre era una studentessa del terzo anno di scuola superiore presso il collegio del Sacro Cuore di Gulu. Mentre era in vacanza i ribelli del Lra (
Lord’s Resistance Army, Esercito di resistenza del Signore: gruppo di ribelli ugandesi, Ndr)
 arrivarono al suo villaggio, uccisero i suoi genitori, violentarono mia mamma e sono nata io. Oltre ad aver concepito me, mia mamma ha pure ricevuto il virus dell’Aids e ora è sieropositiva Hiv. Io invece sono nata pulita.
  Non posso sapere chi può essere stato mio padre, ma la mamma sì: mi ha fatta nascere, mi ha cresciuta e pure mandata a scuola. Per pagare la mia scuola elementare ha lavorato cucendo e ha avuto molta cura di me, però ora non riesce a guadagnare soldi sufficienti per la scuola superiore. Ho saputo che tu aiuti gli orfani e hai una scuola ove c’è molta disciplina. Mi potresti prendere e aiutare a pagare
la retta? Io voglio studiare per poter aiutare e aver cura di mia mamma che sta diventando sempre più debole. Spero che tu consideri questa mia domanda e io pregherò per te perché Dio ti benedica e assista ad aiutare coloro che hanno bisogno.
 Maria Goretti Anena
 Dopo aver letto la lettera, sono andato a letto ma non sono riuscito a dormire. Ero disturbato dentro di me da un misto di gioia, di rabbia, di soddisfazione e di riconoscenza verso Dio che sa trarre atti eroici dalle persone semplici e insignificanti come possono essere queste nostre ragazze appena cristianizzate.
  Perché la rabbia ? Perché un esempio come questo dovrebbe far ammutolire quegli spacciatori di civiltà fasulla che abbiamo nel mondo progredito pronto a legiferare contro il diritto alla vita.
  Come è andata a finire questa storia? Al mattino mi sono alzato; sono andato alla scuola; mi sono assicurato che il direttore mi trovasse un posto per inserire questa ragazza (solo la mattina precedente gli avevo promesso che non avrei portato alcun nuovo studente). E il direttore mi disse che dovremo farla dormire per terra, perché anche i letti a tre piani sono tutti occupati. Se la ragazza accetta, la prendiamo. Chiamai la ragazza; le dissi di venire con la madre e vennero il giorno dopo. Feci un po’ di domande trabocchetto per assicurarmi che non mi avessero detto bugie e le proposi di dormire per terra su un materasso di gomma piuma. Si inginocchiò davanti a me e mi disse: ora sono contenta perché so di avere un papà anch’io! La madre mi ringraziò e mi disse: «Padre, io finché posso continuerò a lavorare e contribuirò per le spese della mia figlia». Le chiesi pure: perché hai dato il nome di Maria Goretti a tua figlia?
  Rispose che era stata la piccola a volere quel nome quando era in terza elementare: il catechista raccontò la storia di Maria Goretti e lei la scelse come nome e santa protettrice.
  Qui alla scuola abbiamo 10 ragazze che negli anni novanta furono rapite dai ribelli alla scuola di Aboke; passarono 8 anni come mogli schiave dei ribelli; quando fuggirono scapparono tutte coi loro figli e vennero da me a chiedermi se le accettavo alla scuola.
  Accettai le ragazze alla scuola e i figli furono lasciati in varie famiglie e ora pure loro vanno a scuola col nostro aiuto.
  Scusate se ho disturbato, ma ho pensato che forse potreste far sapere che esistono ragazze che hanno il coraggio di tenersi e amare il frutto della violenza. Chissà che non serva!
 padre John Scalabrini

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cristianesimo

martedì, 10 marzo 2009
Ma quale Averroé?
 I monaci di Mont Saint-Michel diffusero la filosofia classica 
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 STORIA/
Redazione martedì 10 marzo 2009


Sylvain Gouguenheim, medievista all’École Normale Supérieure di Lione, ha recentemente pubblicato un libro (Aristotele contro Averroè. Come Cristianesimo e Islam salvarono il pensiero greco) che ha scatenato un’accesa polemica sia in patria che in Italia.

In buona sostanza, le posizioni dello storico francese invitano a considerare con maggiore ponderatezza il debito dell’Europa medievale nei confronti della vicina cultura araba. Partendo da una serie di riflessioni ed evidenze storiche, Gougenheim ha ritenuto possibile impugnare e confutare l’ipotesi che l’Europa debba esclusivamente al mondo islamico la conoscenza di Aristotele e dunque la nascita del proprio pensiero filosofico.

Non si tratta, è chiaro, di un problema secondario. Come ricorda l’autore, dietro alla teoria del “debito dell’Europa” sta la convinzione che l’Occidente medievale sia uscito dalla barbarie e dalla rozzezza culturale solo grazie all’apporto benefico degli arabi. «Tutto l’Occidente nel suo insieme è stato edificato sull’innegabile apporto dell’islam […]. È grazie ai pensatori arabi che l’Europa ha conosciuto il razionalismo» (Zeinab Abdel Aziz).

Al centro del dibattito è dunque il cuore dell’identità culturale europea. L’odierna interpretazione afferma che i pensatori medievali siano riusciti ad impossessarsi delle principali opere di Aristotele solo quando – a seguito della conquista cristiana della Spagna – cominciarono a circolarne le traduzioni dall’arabo. La risposta di Gouguenheim si articola sostanzialmente su tre argomentazioni: la ricerca del sapere greco autonomamente promossa dagli europei, il ruolo di Mont-Saint-Michel nella diffusione delle opere aristoteliche prima degli esiti della Reconquista, il rapporto tra islam e filosofia.

Procediamo con ordine. Non è vero, sostiene lo storico, che le vie attraverso le quali Aristotele giunse in Europa siano passate necessariamente dall’Islam. Gli Europei non smisero mai di interrogarsi sul pensiero greco, né avrebbero potuto farlo: l’apporto greco al pensiero cristiano ed il perdurare della tradizione greca all’interno del mondo bizantino (sempre in fecondo contatto con la civiltà medievale europea) costringevano l’Occidente ad un serrato confronto. Dall’attivissimo cantiere intellettuale di Antiochia, ad esempio, giungevano continuamente opere di pensatori e filosofi greci. L’Europa ha dunque cercato consapevolmente i testi greci, senza dover aspettare che gli arrivassero fatalmente in dono dagli arabi. Tra questi testi, vi furono certamente gli scritti di Aristotele.

Lo provano, tra gli altri, i manoscritti prodotti a Mont-Saint-Michel (non a caso il titolo originale del libro è Aristote au Mont-Saint-Michel). Nello scriptorium dell’antica abbazia, verso la prima metà del XII secolo, le opere del grande filosofo furono infatti tradotte direttamente dal greco ad opera dei monaci copisti. Non conosciamo il loro nome, ad eccezione dell’italiano – ma educato a Costantinopoli e perciò grecofono – Giacomo Veneto. A lui dobbiamo la trascrizione della Fisica, della Metafisica e degli Analitici secondi, allora sconosciuti in Europa. Il nodo del dibattito accademico suscitato da Gougenheim ruota soprattutto intorno all’attività di Giacomo, avviata molto prima che da Toledo giungessero le trascrizioni dall’arabo. È una semplice questione di date, sottolinea Gouguenheim: Giacomo ha cominciato le traduzioni prima del 1127 e le ha proseguite fino alla morte (1145-1150); Gerardo da Cremona – colui che per primo tradusse Aristotele dall’arabo - ha iniziato le sue dopo il 1165 (traduce la Fisica nel 1187, esattamente quarant’anni dopo il monaco italiano dell’abbazia normanna). Il punto è fondamentale, poiché Giacomo Veneto ed i suoi compagni benedettini - e non più gli arabi - diventano così «l’anello mancante nella storia del passaggio della filosofia aristotelica dal mondo greco al mondo latino». Le traduzioni del Mont-Saint-Michel ebbero fin da subito una diffusione vastissima: se ne trovano copie a Bologna, a Chartres, ad Oxford. Grazie ad esse le maggiori figure del mondo occidentale hanno avuto accesso ai testi di Aristotele. E con quale immenso profitto, rispetto ai tentativi messi in atto dagli arabi.

Qui giace infatti il terzo fattore considerato dallo storico: gli arabi - egli dice - presero dai greci solo quello che ritenevano utile, senza tuttavia assimilarne lo spirito. La filosofia, per l’Islam, fu quindi semplicemente una “somma di conoscenze”, senza mai diventare un “problema”. In Occidente il confronto fu del tutto diverso. Davanti ad Aristotele, i teologi medievali - avvezzi ad una cultura che si riconosceva radicata nel pensiero greco - seppero interloquire con efficacia, arrivando a modificare e rinnovare la propria concezione del mondo e dello spirito. Perciò, secondo la teoria di Gouguenheim, non solo l’Europa guadagnò Aristotele in assoluta autonomia rispetto all’islam, ma seppe anche appropriarsene con una profondità radicale altresì impossibile alla sensibilità coranica.


(Andrea Bennegi)

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cristianesimo

domenica, 08 marzo 2009

CRISTIANESIMO
La leggerezza della vita cristiana
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      Guglielmo di Saint-Thierry, Bernardo di Clairvaux, Aelredo di Rievaulx, frate Ivo, Riccardo di San Vittore non parlano della vita celeste, ma soprattutto della vita terrena. Sanno di essere ancora lontani da Dio, che sta altrove, lontanissimo, al culmine dei cieli. Ma, mentre abitano questa terra, pregano, viaggiano, predicano, ripetono i riti, essi anticipano la vita celeste, la rendono attuale e quotidiana, come si fosse già incarnata tra le pianure, le colline e i conventi d’Europa. Ciò che è futuro è presente. Ciò che è invisibile viene visto. Per usare il robusto linguaggio fisico dei padri, essi pregustano la vita celeste. Il loro amore per Dio cresce: viene via via appagato, ma continua a crescere; non ha fine e non può mai avere fine. Conosce soltanto il desiderio ininterrotto, mai l’ansia.
      Quanti toni aveva il linguaggio dei Padri! [...]. Soprattutto, era leggero, perché “il giogo del Signore è soave e il suo peso leggero”, ripetevano Guglielmo, Bernardo, Aelredo, Ivo, Riccardo, ricordando il passo di Matteo. Il primo segno del cristianesimo è proprio quello di trasformare tutti i pesi – il peso del dolore, della sventura, della legge, del comando, dell’incertezza, dell’analisi, dell’inquietudine, del dubbio, dell’angoscia – in qualcosa di sovranamente leggero: leggero come il respiro e il battito di una piuma. Chi non conosce la leggerezza, diceva Aelredo, non conosce nemmeno la fede cristiana».
Pietro Citati recensendo su la Repubblica del 19 giugno Trattati d’amore cristiano del dodicesimo secolo.

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cristianesimo, aelredo

sabato, 14 febbraio 2009
IO SONO UNA FORZA DEL PASSATO
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"Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle Chiese, dalle pale d'altare, dai borghi dimenticati sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli. Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l'Appia come un cane senza padrone. O guardo i crepuscoli, le mattine su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, come i primi atti della Dopostoria, cui io sussisto, per privilegio d'anagrafe, dall'orlo estremo di qualche età sepolta. Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta. E io, feto adulto, mi aggiro più moderno d'ogni moderno a cercare i fratelli che non sono più".
 Pier Paolo Pasolini

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pasolini, cristianesimo, tradizione

Medioevo
lettere d'amore

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IL PIU' ANTICO manoscritto italiano su come scrivere lettere d'amore risale al Medioevo. L'hanno rintracciato degli studiosi dell'Università di Siena cercando antichi testi inediti di retorica nelle biblioteche italiane e spagnole. L'hanno trovato alla Biblioteca Capitolare di Verona. Per i ricercatori si tratta del primo manuale di scrittura epistolare del Medioevo arrivato a noi, in cui si insegnano a scrivere anche lettere d'amore. Il testo, in latino e su pergamena, è della metà del XII secolo. L'autore è un certo Guido, chierico forse del Casentino, zona al confine tra la Toscana e l'Emilia.

I consigli vanno da come si saluta via lettera l'amata a come ci si congeda. Ma anche come una moglie deve scrivere al marito, un amante all'amata. Si raccomanda di lodare sempre la bellezza e le qualità del destinatario ricorrendo a paragoni mitologici di celebri coppie (Paride e Elena, Piramo e Tisbe), a similitudini con pietre preziose oppure inviando "tanti saluti quanti sono i pesci nel mare", o "i fiori portati dall'estate". Si deve ricorrere a espressioni che indichino l'incapacità di descrivere un così grande sentimento ("quanto profondamente ti amo non riuscirei ad esprimere con parole, nemmeno se tutte le membra del mio corpo potessero parlare"). Quando poi il mittente deve raccontare qualcosa al destinatario lo può apostrofare con espressioni tipo "la tua bellezza sa", "la tua dolcezza conosce", "è noto alla tua nobiltà". La lontananza dal soggetto amoroso o il ricordo dei momenti felici trascorsi insieme assume già in questo periodo le caratteristiche del mal d'amore: "la mente viene meno", "l'animo non regge a tanta gioia". Ci sono poi passaggi più espliciti che alludono all'amore fisico: si parla di abbracci, baci, desiderio, di dolci cose da fare insieme.

Il maestro di retorica insegna ai suoi studenti come scrivere lettere - non solo d'amore ma fra genitori e figli, maestri e discepoli, signori laici ed ecclesiastici, come rivolgersi al Papa o all'imperatore - prendendo brani di missive e copiandoli nel manuale a mo' di esempi. "Secondo i nostri studi - spiega Francesco Stella, ordinario di Letteratura latina medievale alla facoltà di Arezzo (Università di Siena) e coordinatore delle ricerche - siamo davanti al primo manuale epistolare con un capitolo, il quarto, riservato alle lettere d'amore. Il maestro, tra l'altro, dà consigli di scrittura anche alle donne a conferma dell'esistenza di un pubblico femminile laico e alfabetizzato già nel Medioevo".
Le novità non sarebbero finite qui. "Molte lettere - prosegue Stella - riguardano i conti Guidi, padroni di parte della Toscana del Nord, dell'Emilia e della Romagna, feudatari potentissimi di Matilde di Canossa e poi di Federico I. In particolare ce n'è una che noi sospettiamo essere il più antico modello di lettera d'amore del Medioevo". Le incertezze dipendono dal fatto che manca l'originale, che esistono soltanto poche righe in latino copiate su pergamena dal chierico Guido nel manuale
"Modi dictaminum" conservato a Verona. "A Imilde, moglie carissima": comincia così. È un marito di cui conosciamo soltanto l'iniziale del nome G. che scrive alla moglie mentre è lontano: "Voglio che tu sappia, che per grazia del Signore mi trovo a Pisa e sto bene e ho venduto tutta la merce (...). Il tuo affetto, amica mia dolcissima, sa che per il profumo del tuo amore non rifiuterei di valicare i monti o attraversare a nuoto i mari". Gli indizi che fanno pensare a questo come al più antico modello di lettera d'amore medievale a noi pervenuto si basano sul fatto che gran parte degli esempi di missive citate dall'autore del manuale si riferiscono ai conti Guidi al cui archivio si pensa che lui potesse attingere. G. che scrive alla moglie Imilde potrebbe essere Guido II. "Sappiamo infatti - racconta Elisabetta Bartoli, dottoranda alla facoltà di Lettere che sta preparando l'edizione critica dei "Modi dictaminum" - che Guido II e Imilde fanno la donazione a una chiesa del Casentino nel 1017 e da un altro documento che nel 1029 Imilde è già morta. Se è così, siamo un secolo prima dei più noti epistolari d'amore, a cominciare da Abelardo ed Eloisa".

(9 febbraio 2009)

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cristianesimo

venerdì, 06 febbraio 2009
CL:
preghiamo per Eluana

06/02/2009 - Pubblichiamo il comunicato stampa di Comunione e Liberazione in merito agli ultimi sviluppi della vicenda di Eluana Englaro
Accogliendo le parole del Segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata - «Quando ci avviciniamo al mistero del dolore e della morte bisogna, per chi crede, pregare» -, Comunione e Liberazione, oltre che alle iniziative di dialogo e di giudizio di queste settimane, invita a partecipare ai momenti di preghiera per Eluana organizzati dalle diocesi e a promuoverne nei luoghi di vita, di studio e di lavoro.

Da don Giussani abbiamo imparato che «solo il divino può “salvare” l’uomo, cioè le dimensioni vere ed essenziali dell’umana figura e del suo destino solo da Colui che ne è il senso ultimo possono essere “conservate”, vale a dire riconosciute, conclamate, difese». Tanto è vero che quando viene meno il riconoscimento del Mistero presente nella storia, risulta difficile riconoscere tutta la grandezza dell’uomo.
Per questo invitiamo a pregare per una vita che è affidata al Mistero buono che fa tutte le cose, e perché Dio possa illuminare coloro che hanno responsabilità a tutti i livelli.

l’ufficio stampa di CL
Milano, 6 febbraio 2009.

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eutanasia, cristianesimo, cl

giovedì, 05 febbraio 2009
Suor Albina Corti e Margherita Coletta raccontano chi è Eluana
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per ascoltare tutta l'intervista sposta
 il cursore all'inizio
Radio Formigoni

grazie ad:  annavercors

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eutanasia, cristianesimo

mercoledì, 04 febbraio 2009
Vi racconto Beppino ed Eluana
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INTERVISTA il fatto La moglie del carabiniere assassinato in Iraq nel 2003 racconta il suo rapporto con la Englaro e con il padre «Rispetto Beppino e provo sempre affetto per lui, ma non è giusto quello che sta facendo»
Parla la vedova Coletta: ragazza libera e senza alcuna cannula
DA ROMA PINO CIOCIOLA
Avvenire – 04 / 02 / 2009
Ha chiamato ancora papà Beppino ieri mattina poco prima delle nove: « Ma nemmeno l’hai accompagnata Eluana? », gli ha detto subito. Margherita Coletta è la vedova di Giuseppe, carabiniere assassinato a Nasiriyah il 12 novembre 2003, nell’attentato che spazzò la base italiana 'Maestrale', carabiniere che non aveva mai ucciso e che sceglieva le missioni all’estero per aiutare i bimbi più indifesi, quelli colpiti dalla guerra. Lo faceva per ritrovare il sorriso di suo figlio Paolo, morto a sei anni stroncato dalla leucemia: « Quando capimmo che era finita e i medici ce lo spiegarono chiaramente – racconta lei – facemmo interrompere la chemioterapia ». Margherita in questi mesi è volata dalla Sicilia a Lecco per andare a trovare Eluana, accompagnata da Beppino. Spesso e a lungo l’ha accarezzata, l’ha baciata, le ha parlato. E spesso ha parlato col papà, scontrandosi anche duramente, ma senza che mai lui le negasse il dialogo: in qualche modo forse sono diventati amici. Ecco perché ancora ieri mattina lei gli ha telefonato dicendogli: «Speravo che coi giorni fossi rinsavito».
Cos’ha provato, Margherita, entrando nella stanza di Eluana?
La prima volta mi sono fermata sulla soglia della sua porta. Pensavo di essere più forte. Ho respirato a fondo, poi sono entrata. Quando l’ho vista, abituata com’ero alle foto di lei ragazza, mi ha scosso, oggi è una donna. Ma poco dopo è diventato tutto così normale, come fossi a trovare una persona in ospedale. Anzi, ho sentito tanta dolcezza e nessun ribrezzo o pena. Né ho visto alcun 'sacco di patate', come qualcuno descrisse Eluana, ma una persona che è tutt’altro. Una persona.
La sensazione più bella?
Quando l’ho accarezzata. Con la sensazione netta, nettissima, che lei avvertisse le carezze. Certo è che pensavo d’andare a dare io a lei, invece ho ricevuto assai più di quanto le abbia dato.
Cosa?
La maggiore certezza nelle cose in cui credo. La consapevolezza che non si può ridurre una persona alla sua forma fisica.
Papà Beppino la accompagnava in quella stanza?
Sì. La prima volta che l’ho incontrato mi aveva fatto molta tenerezza: pensavo a mio marito Giuseppe, a quando è morto nostro figlio. E poi mi sembrava quasi di parlare con mio padre: mi diceva «sei una birba ».
 Adesso è cambiato qualcosa?
Rispetto comunque Beppino e provo sempre grande affetto per lui. Ma non è giusto quello che sta facendo. I figli non sono di nostra proprietà: ci sono soltanto affidati. Ci prendiamo cura di loro, li aiutiamo, li assistiamo e semmai li accompagniamo alla morte, preparandoli se deve accadere, anche da piccoli. Ma lui non si rende conto di tutto questo, si sente incapace di tornare indietro: credo sia soprattutto lui in uno stato simile a quello vegetativo. Quando si risve- glierà da questo torpore si renderà conto e starà male, tanto.
Lei che rapporto ha, Margherita, col papà di Eluana?
Ci siamo confrontati tante volte, ma è sempre stato cortese con me. È convinto di quanto fa, forse perché non vede più Eluana come lui la vorrebbe. Ma a me pare evidente che in qualche modo sia stato plagiato da tanta gente alla quale non interessa nulla di Eluana. E lui ora è strumentalizzato, è finito in un vortice: ha anche momenti nei quali io credo vorrebbe tornare indietro, perché non pare convinto fino in fondo di quanto sta facendo, ma non ne ha la forza.
Com’era trattata Eluana nella casa di cura lecchese?
Come una regina. Le suore che le stanno accanto ogni giorno la curano, la lavano, la profumano, la portano a spasso sulla carrozzella. Addirittura la depilano, perché Eluana come ogni ragazza non sopportava d’avere peli sulle gambe.
E come sta?
Lei è una donna. Una donna di trentotto anni: ha la mia stessa età. Ha il ciclo mestruale come ogni donna. Apre gli occhi di giorno e li chiude la notte. Respira benissimo e da sola, serenamente. Il suo cuore batte da solo, tenace e forte. Ci sono momenti nei quali forse sorride e altri nei quali forse socchiude gli occhi. Ma quanti sanno davvero che Eluana non è attaccata a nessuna macchina? Quanti sanno che nella sua stanza non c’è un macchinario, ma due orsacchiotti di peluche sul suo letto? Che non ha una piaga da decubito? Che in diciassette anni non ha preso un antibiotico?
La notte scorsa hanno portato Eluana a morire: lei, Margherita, cosa sta provando?
Ho un pugnale dentro. Prego, spero fino all’ultimo che lui si renda conto di quel che sta facendo. Quanto sia sbagliato. Quanto non sia paterno. Quanto non sia umano. Io so che lui soffre dentro di sé, e tanto.
Ci ha parlato appena ieri mattina: secondo lei cosa prova Beppino?
Non so come possa vivere con un peso addosso come questo: Eluana da diciassette anni è in quelle condizioni, ma lui fino a ieri mattina non si era mai svegliato sapendo che sua figlia sta per morire.
 Come mai, Margherita, lei e suo marito Giuseppe decideste d’interrompere la chemioterapia a vostro figlio?
Paolo ne aveva fatti quattro cicli, ne mancavano due, ma ormai il male aveva invaso tutto il suo corpo e i medici ci spiegarono bene la situazione. I dolori e il vomito e tutte le devastazioni provocate dalla chemio a quel punto sì che sarebbero stati accanimento terapeutico: così ci fermammo, affidandoci e affidando Paoletto a Dio.
Perché invece con Eluana non ci sarebbe accanimento terapeutico?
Ma Eluana non ha una malattia, non è terminale, non ha un dolore, non ha un macchinario nella stanza, non c’è nulla che possa far pensare ad un accanimento per tenerla in vita! È accudita, curata, amata. La si deve solamente aiutare a mangiare!
Beppino però sostiene che la morte di Eluana servirà a liberarla...
Liberarla da cosa? Come fa lui a sapere che lei è in catene? Una persona che soffre lo si vede. Non lo capisco proprio cosa voglia dire Beppino, cerco di sforzarmi, ma non ci arrivo.
Quella giovane donna da ieri è ricoverata nella sezione maschile del 'Reparto Alhzeimer' della clinica udinese 'La Quiete'...
Ma si rende conto?! È lì, da sola, con nessuno che la conosce, che l’ha curata, che la ama, perché le suore di Lecco la amano: se sapesse ieri sera ( lunedì, ndr) quando ho chiamato suor Rosangela come piangeva. Anzi, mi permetta di ringraziare proprio le suore della casa di cura 'Beato Talamone' e tutte le persone che per quindici anni hanno avuto quella tale cura per Eluana.
Margherita, ma perché lei decise d’andare a trovarla?
Non lo so. Una sera ero a casa, ho visto la notizia al telegiornale e ne ho avuto il desiderio. So di non valere nulla, ma ho cercato il numero di Beppino, perché volevo fargli sentire la mia vicinanza. L’ho chiamato, gli ho spiegato chi ero e che sarei stata felice se avessi potuto incontrare Eluana. Lui fu molto gentile, mi disse: «Signora, davanti al suo dolore m’inchino e mi fa piacere se viene». Appena poi arrivai a Lecco, mi chiese subito: «Margherita, tu da che parte stai?».
Lei cosa gli rispose?
«Beppino, io non sto dalla parte di nessuno: sono venuta a trovare Eluana come se tu fossi venuto a trovare un mio parente caro»: andai da lei non per far cambiare idea a Beppino né per altro, solo perché mi era sembrato giusto farlo.
Come mai lei ha accettato di raccontare tutto questo solamente adesso?
Beppino sa che io non avrei mai detto nulla e l’ha visto finora. Però è giunto il momento di dare voce a Eluana.
Un’ultima domanda, Margherita: ha speranze per Eluana?
La prima volta andai a trovarla nel novembre scorso: le promisi che sarei tornata per Natale e Beppino, certo e tranquillo, mi disse: «A Natale non ci sarà più». Io le sussurrai nell’orecchio sotto voce « non ti preoccupare, ci rivediamo » e così poi è stato.

Postato da: giacabi a 19:49 | link | commenti
eutanasia, cristianesimo

lunedì, 02 febbraio 2009
La bellezza  cristiana
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«Poi andammo dai Greci, ed essi ci condussero al loro servizio divino. E noi non sapevamo se ci trovavamo in Cielo o sulla Terra, giacché sulla Terra non si vede spettacolo di tale bellezza. Noi non sappiamo descrivere con parole quello che abbiamo veduto. Soltanto questo sappiamo, che ivi gli uomini si trovano in presenza di Dio'". Il racconto emozionato con cui i messi riferirono a Vladimir, il Gran Principe di Kiev, del loro soggiorno a Costantinopoli segnò sicuramente una svolta decisiva nella storia del mondo slavo; al punto che, nell'anno 988, il sovrano e tutto il suo popolo si convertirono al Cristianesimo, abbracciandone il rito ortodosso.

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bellezza, cristianesimo

sabato, 17 gennaio 2009
La democrazia
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 «La democrazia è una pagina strappata dal vangelo».
 Arnold Toynbee

Postato da: giacabi a 12:44 | link | commenti
cristianesimo

sabato, 10 gennaio 2009
Il cristianesimo non predica la Legge
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 «Il cristianesimo non predica la Legge; al contrario esso predica quel che Dio, con infinito amore, ha fatto per gli uomini. A Dio certamente deve sembrare che questo sia un tale eccesso d'amore da dover commuovere le pietre. Allora la predicazione, per cosi dire, si arresta: si ha una pausa, perche Dio non ordina la gratitudine, pero egli se l'aspetta, cioe attende che il suo eccesso d'amore commuova l'uomo a tal punta da decidersi ad amare Dio»,
 Soren Kierkegaard, Diario

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cristianesimo, kierkeergaard

venerdì, 19 dicembre 2008
Il cristianesimo procura la felicità ***
Cosa strana! Il cristianesimo che sembra teso a procurare agli uomini solo la felicità eterna, in realtà procura loro tutta la felicità che è possibile in questo mondo
C. L. Montesquieu

Postato da: giacabi a 14:47 | link | commenti
cristianesimo

lunedì, 15 dicembre 2008
Il cristianesimo non è certo triste
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“Il cristianesimo non è certo triste: al contrario, è la buona novella per i tristi. Ma, per i leggeri, non è certamente la buona novella, perché prima li vuole rendere seri .”
S. Kierkegaard

Postato da: giacabi a 14:54 | link | commenti
cristianesimo, kierkeergaard

sabato, 13 dicembre 2008
  Il cristiano è contento
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   “Liberaci, o Signore, dalle sciocche devozioni dei santi dalla faccia triste”
 S. Teresa d’Avila

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cristianesimo, steresa

  Il cristiano è contento
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   “Voglio veder ridere. Un cristiano non ha alcun motivo per essere triste e ne ha tanti per essere contento.”
 S. Ignazio di Loyola

Postato da: giacabi a 19:36 | link | commenti
cristianesimo

Bisogna che i cristiani si familiarizzino con tutto ciò che non è nato da loro
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 " Oggi, per accostarsi all’angoscia e allo smarrimento del mondo, ci vogliono dei cristiani difficili; dei cristiani che non si lasciano prendere dall’impazienza, che non distribuiscono benedizioni affrettate, ferendo sia la dignità del cristianesimo che la dignità dei non cristiani, che vedono in questo modo di fare un’annessione ingenua o violenta. In vista di una consacrazione futura di tutto l’apporto positivo del mondo moderno, bisogna che i cristiani si familiarizzino con tutto ciò che non è nato da loro, in un lungo processo di accostamento e di scoperta, con un atteggiamento aperto, attento, umile e mai socialmente chiuso,… devono muoversi come un esercito che va a combattere in campo aperto, senza mai perdere il contatto col terreno d’azione, e dialogare con coloro che vogliono raggiungere. Come colui che sedeva alla tavola dei pubblicani e viveva in mezzo ai pescatori del lago di Tiberiade, con grande scandalo dei farisei.
E. Mounier

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cristianesimo, mounier

lunedì, 10 novembre 2008
L’umanesimo laico viene dal cristianesimo
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 Dobbiamo rassegnarci, noi umanisti, ogni nostra morale sedicente laica non è che un cristianesimo senza Cristo”.
Léo Moulin

Postato da: giacabi a 14:18 | link | commenti
cristianesimo, moulin

L’umanesimo laico viene dal cristianesimo
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 Gli umanesimi che si credono laici, i decaloghi che si vorrebbero nati dalla sola ragione, vengono in realtà dalla sensibilità cristiana che è divenuta midollo insostituibile della nostra cultura”.
Arturo Carlo Jemolo

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cristianesimo

sabato, 08 novembre 2008
L’essenza del Cristianesimo ***
«L’essenza del Cristianesimo è l’essenza dei sentimenti che albergano nel nostro cuore. Le verità di fede del cristianesimo sono desideri appagati del cuore umano».
Ludwig Feuerbch (1804-1872)

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cristianesimo

giovedì, 06 novembre 2008
 Gesù Cristo
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«Conosco gli uomini e vi dico
che Gesù non è un uomo. Gli spiriti superficiali scorgono una somiglianza tra il Cristo e i fondatori di Imperi, i conquistatori e le divinità di altre religioni. Questa somiglianza non esiste. Tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione c'è la distanza dell'infinito.»
Napoleone,Conversazioni religiose  Editori Riuniti

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cristianesimo, gesù, napoleone

lunedì, 03 novembre 2008
Il cristianesimo soddisfa completamente la ragione
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“Fondata sulla Bibbia, questa dottrina spiega meglio di ogni altra le tradizioni del mondo. Le chiarisce e gli altri dogmi vi si raccordano strettamente come gli anelli ben fermati della stessa catena. L'esistenza del Cristo è da un capo all'altro un tessuto misterioso, lo ammetto. Ma questo mistero risponde a delle difficoltà che si ritrovano in tutte le esistenze. Rifiutatele e il mondo diventa un enigma. Accettatele e avrete una soluzione ammirevole della storia umana.
Il cristianesimo ha un vantaggio su tutti i filosofi e su tutte le religioni. I cristiani non si fanno illusioni sulla natura delle cose. Ad essi non si può rimproverare né la sottigliezza, né la ciarlataneria degli ideologi, che hanno creduto di risolvere il grande enigma delle questioni teologiche con delle inutili dissertazioni su questi grandi argomenti. Insensati, la cui follia rassomiglia a quella di un bambino che vuole toccare il cielo con la mano o che chiede la luna come giocattolo e curiosità! Il cristianesimo dice con semplicità: "Nessun uomo ha visto Dio, se non è egli stesso Dio. Dio ha rivelato ciò che egli è: la sua Rivelazione è un mistero che né la ragione né lo spirito possono concepire. Ma poiché Dio ha parlato, bisogna credere". Questo è di grande buon senso.
Il Vangelo possiede una virtù segreta, un non so che affascina il cuore. Nel meditarlo si prova la stesso sentimento che a contemplare il cielo. Il Vangelo non è un libro, è un essere vivente, con una capacità di azione, con una potenza che invade tutto quello che si oppone alla sua espansione. Eccolo su questo tavolo, questo che è il libro per eccellenza (e qui l'Imperatore lo sfiora con rispetto). Non mi stanco mai di leggerlo, ogni giorno e sempre con lo stesso piacere.
Il Cristo non muta. Non esita mai nel suo insegnamento e la sua più piccola affermazione ha un'impronta di semplicità e di profondità che cattura l'ignorante e il sapiente, per poco che vi prestino la loro attenzione. Da nessuna parte si ritrova questa serie di belle idee, di belle massime morali, che sfilano come battaglioni della milizia celeste e producono nel nostro animo lo stesso sentimento che si prova considerando la .distesa infinita del cielo quando, in una bella notte d'estate, risplende di tutta la luce degli astri.  Non soltanto il nostro spirito è occupato, ma è dominato da questa lettura e l'anima con questo libro non corre mai il rischio di smarrirsi. Una volta diventato padrone del nostro spirito, il fedele Vangelo ci ama. Dio stesso è nostro amico, nostro padre e veramente nostro Dio. Una madre non ha maggior cura per il bambino che allatta. L'anima, sedotta dalla bellezza del Vangelo, non si appartiene piu, Dio se ne impadronisce d'un tratto, ne dirige i pensieri e tutte le facoltà. Essa gli appartiene interamente.
Quale prova della divinità di Cristo! Con un dominio cosi assoluto non ha avuto che un unico scopo, il miglioramento spirituale degli individui, la purezza della coscienza, l'unione a ciò che è vero, la santità dell'anima, Ecco una vera religione e vi riconosco un pontefice.
Ciò che strappa la convinzione sono tutti i vantaggi e la felicità che derivano da una simile credenza. L'uomo che crede è felice! Voi ignorate che cosa vuol dire "' credere! Credere è vedere Dio perché si hanno gli occhi fissi su di lui! Felice chi crede! Non tutti credono, Questo è il cristianesimo, che soddisfa completamente la ragione che ne posseggono il principio originario, che spiega se stesso con una rivelazione dall'alto e che spiega poi mille difficoltà che non hanno altra soluzione possibile se non grazie alla fede.”
Napoleone,Conversazioni religiose  Editori Riuniti

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cristianesimo, napoleone

sabato, 01 novembre 2008
Fa splendere il Tuo volto
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Un pittore non disegna il posto in cui si trova. Ma osservando il suo quadro, io conosco la sua posizione rispetto alle cose disegnate. Secondo la concezione della vita umana espressa negli atti e nelle parole di un uomo, io so (…) se egli guarda questa vita da un punto situato quaggiù o dall’alto del cielo. … Il Vangelo contiene una concezione della vita umana, non una teologia. Se di notte all’aperto, accendo una torcia elettrica, non è guardando la lampadina che ne giudico la potenza, ma guardando la quantità di oggetti illuminati. Il valore di una forma di vita religiosa, o più in generale spirituale, lo si valuta in base all’illuminazione proiettata sulle cose di quaggiù. Le cose carnali sono il criterio delle cose spirituali. Solo le cose spirituali hanno valore, ma le cose carnali sono le uniche ad avere un’esistenza constatabile. Quindi il valore delle prime è constatabile solo come illuminazione proiettata sulle seconde. (Q IV 185)
  Simone Weil  

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cristianesimo, weil

venerdì, 31 ottobre 2008
La contemporaneità di Cristo
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“Una persona in un paese vicino a Madrid aveva incontrato i nostri amici. Questa persona non aveva avuto fino a quel momento nessun rapporto con la Chiesa; ha incominciato a diventare amico dei nostri e vedeva che cosa succedeva, che novità incominciava a introdursi nella vita; e poi, stando con loro, è andata anche a messa e, sentendo il Vangelo, a un certo momento commenta: «Ma a quelli del Vangelo capitava lo stesso che capita tra di noi». Aveva identificato che quella novità che vedeva accadere davanti ai suoi occhi nel rapporto con gli amici della comunità cristiana, che aveva incontrato, erano le stesse cose che capitavano a quelli che erano intorno a Gesù! Non si rendeva conto che era il contrario, che era a questi suoi amici che capitava lo stesso che ai discepoli, ma questo è secondario. Perché i Vangeli sono e saranno sempre il canone, la regola che ci aiuta a scoprire quando un’esperienza è cristiana, quando ci troviamo veramente davanti a un’esperienza cristiana. Perché nel presente e in ogni momento della storia accade lo stesso (con altri volti, con altre facce) che capitava all’inizio; passa attraverso volti diversi, ma Egli si rende contemporaneo a noi dentro volti con tratti inconfondibili, che sono Suoi. Non è che i discepoli hanno incontrato Gesù e noi dobbiamo accontentarci di un succedaneo. Ciò che sperimentiamo sono esattamente i tratti inconfondibili di Lui, che si rende presente oggi per pietà del nostro niente.
  Come scopro che questi tratti sono Suoi? Dobbiamo guardare bene, perché a noi rischia di sembrare tutto uguale. Guardiamo bene, per esempio, quello che racconta Vicky. «Prima di incontrare Rose nessuno ci sorrideva, tutti ci odiavano in famiglia, come se ci fossimo procurate da sole la malattia. E all’improvviso in quella situazione compare una presenza nuova: Rose è venuta a sedersi di fianco a me. Io mi scostavo perché non emanavo certo un buon odore, lei si avvicinava e io continuavo a scostarmi, ma Rose continuava ad avvicinarsi». E a questa persona, in questa situazione in cui tutti la evitano, che ha un odore così, Rose dice una cosa strana: «Tu hai un valore più grande della tua malattia». Occorre una certa familiarità con Uno che diceva queste cose strane. Come è strano dire a una madre che va a seppellire il figlio: «Non piangere!» (Lc 7,13). O a uno che l’ha tradito dire: «Mi ami tu?» (Gv 21,16). O al più odiato di tutta la città dire: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5).
Se, nello stesso tempo, quando noi vediamo questi fatti, non abbiamo anche questa familiarità con il Vangelo, ci sembrano “di chiunque” questi tratti diventano “di chiunque”; cioè possiamo dire così di Gesù o Maometto o Buddha o vattelapesca, perché tutto è uguale.
Ma dove è successo che uno si avvicini così a chi tutti hanno rifiutato come un lebbroso? Dove è successo che uno si avvicini a chi tutti considerano un peccatore abominevole nella città? Dove è successo che uno continui ad affermare il valore dell’uomo nella situazione più disperata? Non è successo ovunque, ma nel momento della storia in cui Egli si è mostrato!
Noi facciamo difficoltà perché ci manca l’immedesimazione con Gesù, col Vangelo, che Giussani ci ha testimoniato lungo tutta la sua vita, perché noi non sapremmo immedesimarci con questi episodi, se non avessimo sentito don Giussani ripeterceli tantissime volte. Ma noi - sembra - abbiamo altro da fare: leggere il Vangelo ci sembra una cosa spiritualistica, e perciò quando vediamo gli stessi fatti davanti ai nostri occhi, facciamo fatica a dire il Suo nome. Allora perché dovremmo credere? Si capisce bene che così la fede non è ragionevole. Invece se uno continua a immedesimarsi, è impossibile che non scatti un’affezione dell'altro mondo che ci rende sempre più caro Cristo.
 don Carron da:Tracce ottobre 08
 

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cristianesimo, carron

domenica, 26 ottobre 2008
Cristo, vita della vita
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Luigi Giussani 
Un avvenimento presente
L’uomo e il suo destino. In cammino,
Marietti, Genova 1999, pp. 56-57

Diceva sant’Agostino: In manibus nostris sunt codices, in oculis nostris facta (sant’Agostino, Sermo sancti Augustini cum pagani ingrederentur, in Codice di Magonza). In manibus nostris sunt codices, i Vangeli da leggere, la Bibbia da leggere; ma non sapremmo come leggerli, senza l’altra clausola: in oculis nostris facta. La presenza di Gesù è alimentata, confortata, dimostrata dalla lettura dei Vangeli e della Bibbia, ma è assicurata e si rende evidente tra noi attraverso un fatto, attraverso fatti come presenze. Per ognuno c’è un fatto che ha avuto un significato, una presenza che ha influito su tutta la vita: ha illuminato il modo di concepire, di sentire e di fare. Questo si chiama avvenimento. Quello in cui siamo introdotti resta veramente vivo, si avvera tutti i giorni; perciò tutti i giorni noi prendiamo coscienza, dobbiamo prendere coscienza dell’avvenimento come ci è accaduto, dell’incontro fatto.

Concludo questa sottolineatura di mie preoccupazioni, dicendo: Cristo, questo è il nome che indica e definisce una realtà che ho incontrato nella mia vita. Ho incontrato: ne ho sentito parlare prima da piccolo, da ragazzo, ecc. Si può diventar grandi e questa parola è risaputa, ma per tanta gente non è incontrato, non è realmente sperimentato come presente; mentre Cristo si è imbattuto nella mia vita, la mia vita si è imbattuta in Cristo proprio perché io imparassi a capire come Egli sia il punto nevralgico di tutto, di tutta la mia vita. È la vita della mia vita, Cristo. In Lui si assomma tutto quello che io vorrei, tutto quello che io cerco, tutto quello che io sacrifico, tutto quello che in me si evolve per amore delle persone con cui mi ha messo.

Come diceva Möhler in una frase che ho citato molte volte: «Io penso di non poter più vivere se non lo sentissi più parlare» (cfr. A.J.Möhler, Dell’unità della Chiesa, Tipografia e libreria Pirotta e C., Milano 1850, p. 52). È una frase che avevo messo sotto un’immagine del Carracci raffigurante Cristo quando ero al liceo. Forse una delle frasi che ho più ricordato nella mia vita. Cristo, vita della vita, certezza del destino buono e compagnia per la vita quotidiana, compagnia familiare e trasformatrice in bene: questo rappresenta l’efficacia di Lui nella mia vita.

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cristianesimo, giussani

domenica, 19 ottobre 2008
La rinascita cattolica
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 Spuntò un movimento di ben diverso, i cui principali rappresentanti furono Pèguy e Bernanos in Francia e Chesterton in Inghilterra. Ciò che questi uomini odiavano nel mondo moderno non era la democrazia, ma la sua mancanza. Ciò che aspiravano era la libertà per  il popolo e la ragione per le menti.
In loro vi era un odio profondo per la società borghese, che sapevano essere antidemocratica e fondamentalmente corrotta. Ciò contro cui si battevano senza requie era l'insidiosa invasione della morale e dei valori borghesi in tutti gli stili di vita e in tutte le classi sociali.
Non vi sono polemiche più devastanti, divertenti o meglio scritte contro quell'insieme di superstizioni moderne che vanno dalla scienza cristiana alla ginnastica come mezzo di salvezza, dal proibizionismo a Krishnamurti, di quelle contenute nei saggi di Chesterton.
Quando Chesterton descrive il ricco che per un presunto amore dell'umanità adotta qualche nuova regola vegetariana come l'uomo che " ha abolito la carne perchè i poveri amano la carne "riesce a descrivere le ambizioni delle classi dominanti meglio delle discussioni accademiche sulle funzioni dei capitalisti.
Nel Cristianesimo vi era qualcosa di più della denuncia della malvagità della ricchezza. L'insistenza  sui limiti della condizione umana bastava ai suoi adepti per farsi un'idea dell'essenziale disumanità dei tentativi odierni di trasformare l'uomo in un mostruoso superuomo.
Erano consapevoli che una ricerca della felicità che elimini le lacrime è destinata a cancellare anche le risa. Il Cristianesimo insegnava che non può esistere nulla di umano al di là delle lacrime e delle risa, fatta eccezione per il silenzio della disperazione.
Per questo Chesterton, accettate senza remore le lacrime, potè far spazio al riso.
Hannah Arendt

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cristianesimo, arendt

Il cristianesimo
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Al confronto delle altre religioni, il cristianesimo assolve la funzione di una compagnia d'assalto, di un drappello di arditi gettato sul punto più pericoloso ed infuocato del fronte.
Da qualche parte ci dev'essere un'artiglieria, un'aviazione; ma nell'attacco alla baionetta è questo manipolo di votati alla morte che, dopo aver bruciato dietro di sè i ponti, viene lanciato a ridosso delle trincee nemiche nella fornace ardente.
Di qui la decisione dell'urto, la risolutezza di andare fino in fondo, la difficoltà dell'eroismo, l'intolleranza della dottrina (a differenza, ad esempio, degli indù), cioè la concentrazione e lo slancio di tutte le forze impegnate a sferrare un unico attacco.
Guardate gli eroi del cristianesimo: non molti i contemplativi, numerosi invece i militanti che acquistano la gloria con la fermezza e con la morte. Le vite dei santi sono una casistica di torture ed esecuzioni sopportate da un'armata che ha seguito le orme di un Dio giustiziato. Sono soldati che mostrano al mondo cicatrici e ferite, come decorazioni al valore. Ma da chi è composta questa armata ?
Da tutte le nazioni, da qualsiasi accozzaglia, persino da delinquenti che si caricano la croce. Ognuno può arruolarsi, anche l'ultimo, il più ignorante, il più peccatore, purchè sia pronto a buttarsi sul fuoco. Ciascuno a corpo a corpo, ognuno a tu per tu col nemico.
E' la religione della più grande speranza, nata dalla disperazione; è la religione della purezza che si afferma nella coscienza esasperata del peccatore; la religione della resurrezione della carne tra il lezzo della corruzione.
Solo nel cristianesimo c'è un contatto diretto con la morte. Il terrore della morte non vi è eliminato, ma sviluppato fino a diventare forza capace di aprire una breccia nel sepolcro e balzare dall'altro lato. Non ha la contemplazione dell'eternità, ma la conquista nella lotta, nella battaglia, armati di un'arma sola, la prontezza a morire
Sinjavskij
         

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cristianesimo, sinjavskij

sabato, 18 ottobre 2008
La crisi delle borse ed i cristiani…..
18-08-2008
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Antonio Socci


Robert Hughes definì “cultura del piagnisteo” quella della sinistra politically correct. Ma anche la destra reazionaria vive di geremiadi. Il piagnone sommo, Oswald Spengler, le unisce. Da questi acquitrini di lacrime, nel XX secolo, sono nati frutti avvelenati. Oggi col crollo delle Borse tornano gli apocalittici. Stanno col culo al caldo, ma annunciano il tramonto dell’Occidente. Se si voltassero (“metanoia”, convertire lo sguardo) vedrebbero l’alba di un tempo nuovo. E gente non disperata: i cristiani.
Certo, c’è il partito dei distruttori, dei pescecani che hanno prodotto lo sfacelo dell’economia. Ma c’è anche il “partito dell’aratro”, di quelli che sembrano meno forti, come dice Péguy, ma che fanno la storia. Quando irruppero i barbari crollò l’impero romano e una civiltà millenaria fu travolta. L’economia crolla fino alla sussistenza, le campagne si spopolano, il continente si copre di foreste selvagge piene di lupi e briganti. Tutto sembra perduto per sempre e l’Europa regredisce all’età primitiva.

Eppure rinacque una civiltà più grande, bella e luminosa. Da alcuni uomini che cercavano Dio. L’unico che non passa, che non tramonta, l’eterna giovinezza. Lo ha spiegato il Papa, nel suo splendido discorso parigino: “non era intenzione dei monaci di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato”. Volevano semplicemente conoscere Gesù Cristo. Gustare la sua presenza che non abbandona e non delude mai: “Jesu dulcis memoria/ dans vera cordis gaudia/ sed super mele et omnia/ Ejus dulcis praesentia…”.

Era la loro unica, struggente passione. Da cui venne tutto. Per questo salvarono la cultura antica. E “inventarono” il lavoro.
Gesù lavoratore aveva nobilitato il lavoro manuale, un tempo ritenuto prerogativa degli schiavi, al livello divino della preghiera. Col lavoro i monaci trasformarono l’Europa devastata e selvaggia in un giardino fertile e rigoglioso. Uno storico scrive: “Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell’Europa”, con tutto ciò che comportò in termini di alimentazione, benessere, esplosione demografica. “Educatori economici”, li definì Henri Pirenne.

Il cristianesimo spazzò via la schiavitù e svegliò l’ingegno cosicché si inventarono macchine per sfruttare l’energia idraulica che “i monaci usavano per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni e per la conciatura”. I monaci insegnarono ai contadini a dissodare, bonificare, coltivare e irrigare, introdussero l’allevamento del bestiame e dei cavalli, l’apicoltura, la frutticoltura, i vivai di salmone in Irlanda, la fabbricazione della birra, l’invenzione del prosciutto, del formaggio e perfino dello champagne.

I cristiani inventarono gli ospedali, le università, la musica, coprirono l’Europa di cattedrali e di bellezza, inventarono la tecnologia, la scienza, la stessa libertà, l’economia moderna e la democrazia. I monaci avevano cercato solo il regno di Dio: il resto – secondo la promessa di Gesù – arrivò in sovrappiù. Fu il frutto di una liberazione dell’umano.

Il loro pensiero quotidiano era alla Gerusalemme celeste, l’incontro definitivo con Gesù. Ecco le travolgenti parole di un autore monastico del XII secolo:
“Egli è il bellissimo d’aspetto, il desiderabile a vedersi, colui che gli angeli desiderano contemplare. Egli è il re pacifico, il cui volto tutta la terra desidera. Egli è la propiziazione dei penitenti, l’amico dei miseri, il consolatore degli afflitti, il custode dei piccoli, il maestro dei semplici, la guida dei pellegrini, il redentore dei morti, forte ausilio di chi combatte, pio remuneratore di chi vince”.

E oggi? Oggi il mondo è pieno di nuovi monaci. I mass media non se ne accorgono, perché un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce. Potrei riempire questo giornale con i loro nomi e le loro bellissime storie. Andate in Lombardia a conoscere Lorenzo Crosta che ha creato cooperative dove lavorano un centinaio di ragazzi, con handicap fisici e mentali, pieni di umanità, sorrisi e dedizione. Andate a Teramo a vedere cosa hanno messo in piedi Ercole D’Annunzio e sua moglie, Enza Piccolroaz, partendo dal dramma di una figlia nata con una grave malattia: una delle più straordinarie strutture di riabilitazione del meridione, con un pullulare di altre opere anche di ricerca medico-scientifica. Ma penso anche ai detenuti del carcere di Padova che stanno diventando uomini nuovi e all’ultimo Meeting di Rimini hanno stupito e commosso tutti (ci hanno pure deliziato con i prodotti di pasticceria della loro Cooperativa Giotto).

Penso all’immensa opera del Banco alimentare che – nato dallo sguardo di carità di don Giussani - oggi letteralmente coinvolge milioni di italiani e dà da mangiare a un oceano di persone. E a quella stupenda cattedrale della speranza e della preghiera che è Radio Maria. E gli studenti che, invece di okkupare scuole e università dove svaccarsi, portano in giro per le strade i “cento canti” di Dante. E poi i tanti padri e madri di famiglia che sono veri eroi della speranza. E insegnanti come Mariella o Gianni che fanno scoprire ai giovani la Bellezza. E artisti pieni di fede, simpatia e talento come Francesco che ha dipinto il rosone duccesco del Duomo di Siena e si prepara a fare le vetrate della splendida cattedrale barocca di Noto. E lo scultore giapponese Etsuro Sotoo che continua l’opera di Gaudì alla “Sagrada Familia”. Guardate i silenziosi volontari che lavorano nei Centri di Aiuto alla vita. E quel fiume di straordinarie donne e uomini di Dio su ognuno dei quali si potrebbe scrivere un libro, dalle clarisse di suor Milena, a Trevi, a quelle di suor Beatrice a Perugia, alle francescane di suor Chiara ad Assisi? Penso alle suore che assistono da anni Eluana Englaro e che supplicano: “lasciatela qui, ce ne prendiamo cura noi”. E i tanti religiosi che donano tutta la loro esistenza a sostenere la speranza dei disperati.

Penso a Stefano Borgonovo, l’ex calciatore del Milan e della Fiorentina ora malato di Sla: lui, la sua bellissima famiglia, i suoi amici. Leggete su “Tracce” che umanità e che forza! E i tanti malati che offrono la loro sofferenza e così letteralmente tengono in piedi il mondo. Andate a visitare la Casa di accoglienza “Don Dante Savini”, a Perugia, che accoglie e assiste professionalmente malati terminali di Aids o di altre gravi patologie. Guardate i volti, gli occhi, dei giovani seminaristi che vivono alla Fraternità San Carlo e si preparano ad andare fino ai quattro angoli della Terra a portare il senso della vita a popoli assetati di Cristo. Non sono afflitti dal futuro dell’Occidente, perché hanno e gustano l’Eterno nel presente.

Così dissodare, irrigare, coltivare, amare, anche inventare, ingegnarsi diventano come la preghiera. Scoprite l’incredibile storia di Giuseppe Ranalli e della sua Tecnomatic che, nelle sperdute campagne dell’Abruzzo, oggi con un fatturato di 40 milioni di euro ( +32 per cento nel 2008), lavora per le maggiori case automobilistiche del mondo grazie a brevetti rivoluzionari.

E Pippo Angelico, imprenditore brianzolo della Ceccato spa (settore manifatture di precisione) che – per un’amicizia nata al Meeting del 2005 - ha deciso di andare a investire a Napoli grazie al Centro di solidarietà che lavora nel Rione Sanità e che si fa carico di tanti problemi della povera gente . O scoprite “il circolino di Crescenzago”, come lo chiama Giorgio Vittadini.

Mi fermo per mancanza di spazio (se Scalfari conoscesse tutte queste cose non avrebbe scritto ciò che ha scritto della Compagnia delle opere). Ma poi c’è il mondo. La stupefacente storia brasiliana di Cleuza e Marcos Zerbini e dei “Senza Terra”, 50 mila persone spesso nipoti di schiavi, che hanno “scoperto” Comunione e liberazione. E i missionari che in India – come spiega padre Gheddo – stanno letteralmente capovolgendo le millenarie caste, restituendo dignità a milioni di Dalit? E donne straordinarie come l’infermiera Rose che in Uganda cura i malati di Aids? E la “resurrezione” della sua amica Vicky che è stata raccontata in un film premiato al Festival di Cannes da Spike Lee? Certo, molte cose tramontano. Ma se voltate lo sguardo vedrete l’alba di un giorno che non finisce.

GRAZIE!  ad Antonio Socci  DI QUESTO ARTICOLO

Da “Libero”, 17.10.2008       

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cristianesimo, socci

venerdì, 03 ottobre 2008
Una casa para todos
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«Non avete solo costruito le vostre abitazioni, ma siete protagonisti della vostra vita». Storia dell’Atst, dai primi “miracoli” alla scoperta di Cl
di Rodolfo Casadei
I volti di rame risaltano impassibili sotto la luce fredda del neon. Fredda come l’aria di questo inverno paulista e australe che non vuol finire e cinge di felpe multicolori uomini, donne e bambini. Tutti in piedi qui nel salone del centro comunitario del quartiere di interesse sociale Sol Nascente, alle falde del Pico di Aguajù, la montagna verdeggiante che sovrasta San Paolo e di notte manda baleni intermittenti dalla cima dell’antenna di radio e tv lì innalzata.
Il momento è storico: Marcos Zerbini sta per consegnare ai titolari delle case del quartiere (uno dei primi creati grazie all’impegno dell’Atst) il bollettino dell’Iptu, Imposto Predial e Territorial Urbano. Sarebbe l’Ici brasiliana, eppure l’atmosfera è quella di un’austera ma solenne celebrazione. Intanto perché i residenti di qui sono esenti, trattandosi come detto di un’area di interesse sociale. Ma soprattutto perché il bollettino attesta incontrovertibilmente che le case sono perfettamente legali, il catasto le conserva registrate e i servizi comunali pure. Ora manca solo la “escritura registrada” e il lungo cammino dei senza terra verso la terra promessa – sono passati 12 anni dalle prime lottizzazioni – sarà compiuto. «Questa storia è bella perché non è la storia di un eroe solitario, ma di tanti eroi, gli eroi che siete voi», esordisce Zerbini. «Grazie al movimento di Cl la vostra storia è conosciuta in 72 paesi del mondo. Quest’anno Cleuza ed io l’abbiamo presentata al più grande incontro sociale d’Europa, il Meeting di Rimini. Ora in tutto il mondo conoscono il vostro coraggio, la vostra determinazione. Voi non avete solo costruito la vostra casa e il vostro quartiere, ma la storia della vostra vita. Voi siete i protagonisti della storia della vostra vita. E io vi ringrazio, perché siete la strada attraverso la quale ho incontrato Gesù Cristo».
Eccesso di retorica? Proprio per niente. L’Associação dos Trabalhadores Sem-Terra e le 17.500 famiglie che dal 1986 ad oggi si sono ad essa associate per poter avere una casa sono veramente un miracolo, a fronte di una tradizione di politiche sociali assistenzialiste e clientelari che in Brasile accomuna da sempre i governi di destra e di sinistra. Spiega Enzo Fraschini, italiano, volontario geometra dell’ufficio tecnico dell’Atst da due anni: «Questa gente non ragiona come i favelados. I favelados invadono le terre di loro iniziativa o sostenuti da un partito politico, costruiscono abusivamente la loro casa e poi chiedono alle autorità di fornire loro un’abitazione migliore a spese dell’ente pubblico. A volte tornano nella loro casa in favela e subaffittano l’appartamento di edilizia popolare che il Comune gli assegna. Gli associati dell’Atst, invece, acquistano legalmente i terreni sui quali sorgerà il loro quartiere dopo attese di 3-4 anni. Grazie al fatto che l’acquisto viene fatto collettivamente per superfici molto vaste, il prezzo pagato riesce ad essere il 20 per cento appena del prezzo del mercato. Poi cominciano i sacrifici: costruiscono a proprie spese la casa in muratura mentre continuano a vivere in affitto da qualche parte; quando l’edificio è minimamente abitabile vanno a viverci, ma sono costretti a collegarsi abusivamente all’elettricità e all’acqua, perché finché la maggior parte della lottizzazione non è edificata il Comune non fornisce i servizi. Quando cominciano a pagare le bollette per l’energia elettrica e la provvista idrica, il quartiere è ancora privo di strade asfaltate, fognature e scuole. Per averle devono impegnarsi in lunghe lotte». Da notare che grazie a questo metodo nelle aree urbane dell’Atst sono assenti le bande di narcos, fatto assai raro in Brasile.

L’ostilità di Lula
La strada della legalità, del sacrificio e della responsabilizzazione dei “moradores” (gli aspiranti proprietari di casa) non è meno accidentata di quella degli invasori di terre che non intendono spendere un real per la propria regolarizzazione, in una città di 12 milioni di abitanti (20 se si considera l’area metropolitana) dove i favelados sono 2 milioni di persone e il 40 per cento di tutte le abitazioni risultano irregolari per una ragione o per un’altra. Anzitutto all’Atst non è giovato rompere col Pt di Lula alla fine degli anni Ottanta: le amministrazioni di sinistra hanno sempre creato problemi e negato gli interventi di urbanizzazione (atti dovuti) nei quartieri dell’associazione. Particolarmente malevola è stata l’ex sindaco del Pt Marta Suplicy, che alle prossime amministrative di ottobre rischia di riconquistare la poltrona, persa nel 2004. Poi c’è la storica ostilità dei quartieri borghesi adiacenti ai nuovi quartieri dell’Atst. I dirimpettai dell’area Estrada Turistica do Jaraguá, per esempio, convinti che le loro proprietà si sarebbero svalutate con la costruzione di edilizia economica nelle vicinanze, hanno trascinato in giudizio quattro volte Marcos e Cleuza con le accuse più strabilianti, come danni alla flora e alla fauna e associazione a delinquere. Sempre i processi si sono conclusi con assoluzioni piene, e in un caso il pubblico ministero è diventato amico personale della coppia. Altre volte i moradores sono dovuti ricorrere a forme di protesta estreme quando le promesse delle amministrazioni sono state troppe volte disattese: nel 1996 bloccarono per un’ora e un quarto la Marginal Tiete, una delle arterie di scorrimento di San Paolo. Come se a Milano qualcuno bloccasse la Tangenziale Ovest…
Da subito a Marcos e Cleuza è stato chiaro che per difendere la loro opera e promuovere politiche della casa migliori per tutti i cittadini di San Paolo dovevano impegnarsi in politica. Marcos è stato consigliere comunale per due legislature e oggi è deputato dello Stato di San Paolo. Alle amministrative l’associazione appoggia le candidature di due suoi membri storici, che hanno buone probabilità di riuscita. Due settimane fa il movimento di Cl in Brasile ha preparato un volantino in vista delle elezioni amministrative intitolato “A política é para todos”. Nel testo si legge fra l’altro: «La politica è uno dei modi più efficaci di coinvolgerci con la realtà e di costruirci una nuova società. Se non ci interessiamo alla politica, essa finisce per essere usata da persone che non si preoccupano del bene comune ma dei propri interessi particolari, il che inevitabilmente genera corruzione». Le comunità delle diverse città brasiliane ne hanno chieste chi mille, chi duemila copie da distribuire. L’Atst ne ha chieste due milioni.
«Fra 10-15 anni in Brasile non ci saranno più movimenti popolari», profetizza Zerbini. «Resteranno solo individui isolati e partiti e governi che continueranno a praticare l’assistenzialismo. Noi ci saremo ancora per la forza dell’incontro che abbiamo fatto». «Nella Chiesa cattolica brasiliana ci sono movimenti e gruppi che propongono il cristianesimo come incontro personale con Cristo, e così pure nelle Chiese evangeliche, ma in termini sentimentali», interviene Cleuza. «Sono come la Coca Cola: all’inizio è deliziosa, ma si sgasa subito e quel che resta non ha più un buon sapore». Ha appena inflitto una “bronca”, cioè una sgridata, ai coordinatori che non hanno saputo mantenere un clima d’ascolto nel salone durante l’ultima delle sei assemblee degli studenti, che vanno avanti dalle 8 del mattino. «Noi siamo questi, gente umile e senza preparazione per guidare una cosa così grande: io ho studiato solo fino alla quarta elementare. Fuori per la strada ce ne sono di più bravi e più intelligenti di noi, ma non posso chiamarli qui perché a loro di Cristo non importa. Tutto quello che Dio mi ha dato è qui».
    


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cristianesimo, zerbini

venerdì, 19 settembre 2008
La novità dell’annuncio cristiano
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“Di fatto, i cristiani della Chiesa nascente non hanno considerato il loro annuncio missionario come una propaganda, che doveva servire ad aumentare il proprio gruppo, ma come una necessità intrinseca che derivava dalla natura della loro fede: il Dio nel quale credevano era il Dio di tutti, il Dio uno e vero che si era mostrato nella storia d’Israele e infine nel suo Figlio, dando con ciò la risposta che riguardava tutti e che, nel loro intimo, tutti gli uomini attendono. L’universalità di Dio e l’universalità della ragione aperta verso di Lui costituivano per loro la motivazione e insieme il dovere dell’annuncio. Per loro la fede non apparteneva alla consuetudine culturale, che a seconda dei popoli è diversa, ma all’ambito della verità che riguarda ugualmente tutti.
Lo schema fondamentale dell’annuncio cristiano “verso l’esterno” – agli uomini che, con le loro domande, sono in ricerca – si trova nel discorso di san Paolo all’Areopago. Teniamo presente, in questo contesto, che l’Areopago non era una specie di accademia, dove gli ingegni più illustri s’incontravano per la discussione sulle cose sublimi, ma un tribunale che aveva la competenza in materia di religione e doveva opporsi all’importazione di religioni straniere. È proprio questa l’accusa contro Paolo: “Sembra essere un annunziatore di divinità straniere” (At 17, 18). A ciò Paolo replica: “Ho trovato presso di voi un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio” (cfr 17, 23). Paolo non annuncia dei ignoti. Egli annuncia Colui che gli uomini ignorano, eppure conoscono: l’Ignoto-Conosciuto; Colui che cercano, di cui, in fondo, hanno conoscenza e che, tuttavia, è l’Ignoto e l’Inconoscibile. Il più profondo del pensiero e del sentimento umani sa in qualche modo che Egli deve esistere. Che all’origine di tutte le cose deve esserci non l’irrazionalità, ma la Ragione creativa; non il cieco caso, ma la libertà. Tuttavia, malgrado che tutti gli uomini in qualche modo sappiano questo – come Paolo sottolinea nella Lettera ai Romani (1, 21) – questo sapere rimane irreale: un Dio soltanto pensato e inventato non è un Dio. Se Egli non si mostra, noi comunque non giungiamo fino a Lui. La cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti i popoli: Egli si è mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la via verso di Lui. La novità dell’annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, ma un fatto che, esso stesso, è Logos – presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est (Gv 1,14): proprio così nel fatto ora c’è il Logos, il Logos presente in mezzo a noi. Il fatto è ragionevole. Certamente occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio.
La nostra situazione di oggi, sotto molti aspetti, è diversa da quella che Paolo incontrò ad Atene, ma, pur nella differenza, tuttavia, in molte cose anche assai analoga. Le nostre città non sono più piene di are ed immagini di molteplici divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto. Ma come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui. Quaerere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura.”   

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