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domenica 5 febbraio 2012

cristianesimo 8

In difesa
della libertà religiosa
nel mondo
***

Aderiamo alla manifestazione nazionale contro l’esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, per la libertà religiosa nel mondo:

A Roma il 4 luglio la "Manifestazione nazionale contro l'esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, per la libertà religiosa nel mondo"

Dopo aver ascoltato e fatto nostro l’ “accorato appello” del Papa Benedetto XVI ad agire per porre fine alle “critiche condizioni in cui si trovano le comunità cristiane”, abbiamo deciso di promuovere una “Manifestazione nazionale contro l’esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, per la libertà religiosa nel mondo”. Noi non possiamo più continuare ad assistere inermi alle barbarie che stanno costringendo milioni di cristiani negli Stati arabi, musulmani e altrove nel mondo a fuggire dalle loro case e dai loro paesi. Al contempo noi denunciamo le violenze contro i religiosi e i fedeli cristiani che pagano con la vita l’impegno e la fedeltà a testimoniare la propria fede. La presenza dei cristiani si va assottigliando sempre più: dalla prima guerra mondiale circa 10 milioni di cristiani sono stati costretti a emigrare dal Medio Oriente. Una fuga simile alla cacciata degli ebrei sefarditi che, da un milione prima della nascita dello Stato di Israele, si sono ridotti a 5 mila. Invitiamo pertanto tutti gli uomini di buona volontà, al di là della loro fede, etnia e cultura, a partecipare alla manifestazione nazionale che si terrà mercoledì 4 luglio a Piazza Santi Apostoli a Roma alle ore 21. Sarà una grande manifestazione per la vita, la dignità e la libertà dei cristiani e per il riscatto dell’insieme della nostra civiltà umana.
Primi firmatari:
Allam Magdi, Maurizio Lupi, Mario Mauro, Antonio Tajani, Roberto Maroni, Sandro Bondi, Giorgia Meloni, Luca Volontè, Alfredo Mantovano, Stefania Prestigiacomo, Stefania Craxi, Daniela Santanché, Andrea Ronchi, Valentina Colombo, Diego Volpe Pasini, Luigi Amicone, Camillo Fornasieri, Giorgio Vittadini, Alberto Savorana, Giancarlo Cesana, Alessandro Rossi, Mons. Luigi Negri, Souad Sbai,Khaled Fouad Allam, Andrea Pamparana, Elio Vito, Margherita Boniver, Michaela Biancofiore, Antonio Leone, Guido Crosetto, Marco Zacchera, Fabrizio Cicchitto, Gioacchino Alfano, Angelino Alfano, Chiara Moroni, Carla Castellani, Angelo Maria Sanza, Giuseppe Palumbo, Gerardo Bianco, Manuela Di Centa, Elisabetta Gardini,Luca Volontè, Luigi Fedele, Paola Frassinetti, Mariella Bocciardo, Luigi Vitali, Maurizio Bernardo, Domenico Di Virgilio, Paolo Uggè, Jole Santelli, Giuseppe Fallica, Raffaele Fitto,Gabriele Boscetto, Giuseppe Cossiga, Giacomo Baiamonte, Isabella Bertolini, Patrizia Paoletti Tangheroni, Giorgio Simeoni, Maurizio Ronconi,Luigi Lazzari,Federico Bricolo, Valentina Aprea,Guido Dussin, Giuseppe Angeli, Paolo Grimoldi, Fabio Rampelli, Silvano Moffa, Riccardo Conti, Battista Caligiuri, Sergio Pizzolante, Massimo Romagnoli, Ettore Peretti, Roberto Menia, Carlo Ciccioli, Salvatore Ferrigno, Francesco Stagno D’Alcontres, Riccardo Pedrizzi, Guglielmo Picchi, Gregorio Fontana, Piero Testoni, Antonio Verro, Carmelo Porcu, Basilio Germanà, Salvatore Buglio, Alessandro Forlani,Pietro Armani, Walter Zanetta, Pierfrancesco Gamba, Gaetano Fasolino, Ugo Lisi, Luigi Cesaro, Carmine Patarino, Donato Bruno, Fiorella Ceccacci Rubino, Mariastella Gelmini, Luigi Casero, Simonetta Licastro Scarpino, Lorena Milanato, Italo Tanoni, Marino Zorzato, Luigi D’Agrò, Giuseppe Drago, Antonio Mereu,Angelo Compagnon, Annateresa Formisano, Francesco Lucchese, Vittorio Adolfo, Ciro Alfano, Emerenzio Barbieri, Francesco Bosi,Luisa Capitanio Santolini, Pier Ferdinando Casini, Lorenzo Cesa, Luciano Ciocchetti, Giampiero D’Alia, Rodolfo Delaurentis, Teresio Delfino, Armando Dionisi, Giuseppe Galati, Gianluca Galletti, Carlo Giovanardi, Salvatore Greco, Pietro Marcazzan, Leonardo Martinello, Erminia Mazzoni, Cosimo Mele, Giorgio Oppi, Michele Pisacane, Francesco Romano, Giuseppe Ruvolo, Bruno Tabacci, Mario Tassone, Michele Tucci, Michele Vietti, Domenico Zinzi, Roberto Tortoli, Adriano Paroli, Stefano Saglia, Pietro Franzoso, Antonio Palmieri.
Per aderire:


Postato da: giacabi a 14:21 | link | commenti
cristianesimo

giovedì, 14 giugno 2007
Cristianesimo, sale dell'Occidente
***
Da: www.avvenire.it/ di oggi
INTERVISTA
Parla lo storico Thomas E. Woods jr.: «Sui media domina una leggenda nera sulla Chiesa "oscurantista". La realtà è l'opposto»
Cristianesimo, sale dell'Occidente
«Nessun storico crede davvero che la civiltà occidentale derivi solo da classicità,
Rinascimento e Illuminismo»«L’idea di un universo ordinato secondo leggi naturali ben fisse è sorta nell’Occidente cattolico che vedeva nell’ordine di Dio un Suo segno»
Di Lorenzo Fazzini
Antiscientifica, nemica della libera espressione artistica, oscurantista in campo sociale e foriera di ogni lato buio della storia. A leggere con un certo disincanto un po' di pubblicistica nostrana oppure orecchiando qualche salotto televisivo, parrebbe che alla Chiesa cattolica manchi soltanto la definizione storiografica per essere assurta allo status di "regime totalitario". A smontare tale stantio cliché populista con una panoramica storica a largo raggio (e con impronta divulgativa, fatto che - come nota nella prefazione Lucetta Scaraffia - risulta di grande utilità) è un giovane studioso americano, Thomas E. Woods jr., di cui in questi giorni Cantagalli pubblica Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale. Da notare che Woods, senior fellow in Storia al Ludwig von Mises Institute, non sostiene solo che l'Occidente abbia radici cristiane, ma che proprio il cattolicesimo sia stata la linfa vitale che ha dato origine al grande albero della cultura e società occidentale così come oggi la conosciamo.
Professor Woods, perché ha deciso di scrivere questo libro?

«I docenti di Storia medievale o di Storia della scienza tendono ad essere più comprensibili sulle vicende della Chiesa rispetto a coloro che insegnano altre discipline, più portati a diffondere miti e leggende riguardo a quest'ultima. Il grande pubblico è stato istruito (a scuola e dai media) a credere ad ogni sorta di nonsenso sulla Chiesa. Questi miti sono stati confutati in libri di spessore accademico, ma la maggior parte della gente non li legge mai. Il mio testo attinge a queste opere e le rende accessibili al lettore medio».
Nella Costituzione dell'Unione europea non c'è menzione delle radici cristiane. Cosa pensa di tale scelta?
«
Rigettare le radici cristiane dell'Europa è l'apice dell'assurdità. Nessun storico moderno prende seriamente in considerazione l'idea che la civiltà occidentale derivi esclusivamente dal mondo classico, dal Rinascimento e dall'Illuminismo, come se il c osiddetto Medio Evo non fosse altro che un periodo di stagnazione o repressione».
Nel suo libro lei argomenta che la Chiesa cattolica ha plasmato la civiltà occidentale e fa una serie di esempi: il sistema universitario, la tradizione artistica, il diritto internazionale,… Quale il contributo più importante?
«La vera storia della relazione tra la Chiesa e la scienza è senza dubbio il fatto di maggior rilevanza. Per lungo tempo la gente ha considerato assodato che la Chiesa sia stata un ostacolo allo sviluppo scientifico. I moderni studiosi di scienza - sia cattolici che non - respingono tale visione, purtroppo ancora insegnata ai nostri figli. Dubito che vi sia chi sappia che trentacinque crateri lunari si chiamano come altrettanti scienziati gesuiti oppure che fu un gesuita (Giambattista Riccioli) il primo a misurare l'accelerazione di un corpo in caduta libera. O, ancora, che fu un membro della Compagnia di Gesù - Francesco Maria Grimaldi - a scoprire il fenomeno della diffrazione della luce».
Perché la scienza è stata una conquista cattolica?
«
Importanti aspetti della visione del cattolicesimo hanno aiutato ad assicurare il successo della scienza in Occidente. Il metodo scientifico non può funzionare senza che gli esperimenti siano ripetibili e ciò può avvenire solo se l'universo è ordinato. Se non posso aspettarmi di ottenere lo stesso risultato quando lo ripeto nelle medesime condizioni, ecco che diventa impossibile fare scienza. L'idea di un universo ordinato secondo leggi naturali ben fisse è sorta nell'Occidente cristiano perché l'ordine di Dio è stato considerato come un segno della Sua bontà. Sant'Anselmo non era il solo tra i teologi a distinguere tra la potentia assoluta di Dio e la sua potentia ordinata. In altre parole, sebbene Dio possieda il reale potere di governare l'universo in maniera capricciosa, Egli non ha voluto esercitare tale potestà dal momento ciò non era adatto alla Sua natura.
La fiducia in una strutturazione dell'universo, congiunta al fatto di credere che esso possa essere compreso in via quantitativa (come afferma il Libro della Sapienza 11,21, uno dei versetti biblici più citati nel Medio Evo), ha creato il contesto intellettuale nel quale la scienza ha potuto nascere in Occidente».
Lo storico delle religioni Philip Jenkins sostiene che l'anticattolicesimo sia l'ultimo pregiudizio oggi accettabile. Perché ciò avviene?

«Alcuni intellettuali e celebrità occidentali odiano la Chiesa perché ne rimprovera gli immorali stili di vita. Altri credono al mito illuminista per cui tutte le forme di progresso provengono dai laicisti che hanno combattuto la Chiesa. Ai nostri giorni i cattolici sono considerati stupidi, superstiziosi e deboli perché hanno bisogno della loro gretta fede in Dio per confortare se stessi. L'idea che qualcuno possa supportare i principi cattolici e difenderli con argomenti filosofici è semplicemente ignorata. E ciò avviene nonostante esista una fruttuosa relazione tra fede e ragione lungo un vasto periodo della storia della Chiesa: Anselmo e Tommaso d'Aquino, ad esempio, hanno posto senza sosta domande filosofiche e teologiche, impegnando molto spesso la ragione per giungere alle loro conclusioni».





Postato da: giacabi a 12:39 | link | commenti
chiesa, cristianesimo, wodds

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di Fausto Biloslavo - mercoledì 13 giugno 2007, 07:00
·                                                                                                                                 

Il governo italiano esclude il pagamento di un riscatto per tirare fuori dai guai padre Giancarlo Bossi, rapito domenica scorsa nel sud delle Filippine. Non solo: il nostro ambasciatore a Manila, Rubens Anna Fedele, auspica che le forze di sicurezza Filippine riescano a liberare il missionario italiano sano e salvo.
In pratica un via libera al blitz, attuato a volte in passato dai corpi speciali filippini con risultati alterni, che in alcuni casi hanno comportato la morte o il ferimento dell’ostaggio.
La notizia è stata rivelata alla stampa da Eduardo Ermita, il segretario esecutivo della presidente delle Filippine, Gloria Arroyo, ovvero il suo braccio destro. Un’inversione di 360 gradi rispetto alla linea adottata dal governo Prodi con il giornalista di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, rapito pochi mesi fa in Afghanistan dai talebani.
L’agenzia France Presse ha scritto ieri che l’ambasciatore Anna Fedele ha incontrato Ermita per affrontare la delicata questione del rapimento del religioso italiano. Secondo il braccio destro del presidente filippino, l’ambasciatore ha «espresso la speranza che le truppe e la polizia filippine possano “recuperare” in sicurezza il missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere)». Alla domanda se esiste la possibilità di pagare un riscatto, Ermita, riferendosi agli italiani, ha risposto: «No, non hanno assolutamente parlato di questo».
In passato molti rapimenti di occidentali e religiosi sono stati risolti col pagamento di un riscatto. Inoltre il segretario esecutivo di Manila conferma che le forze Usa hanno messo a disposizione i loro aerei senza pilota per sorvolare la zona di Zamboanga, dove don Bossi è stato portato via da un commando, che lo ha caricato a forza su un’imbarcazione. Un centinaio di uomini dei corpi speciali americani sono di stanza nella vicina isola di Jolo fin dal 2002 per addestrare le forze di sicurezza filippine nell’antiterrorismo. In passato la task force Usa ha fornito utili informazioni di intelligence per la cattura o l’uccisione dei terroristi più ricercati del gruppo integralista Abu Sayaf, sospettato di essere coinvolto anche nel rapimento del missionario italiano. L’esclusione di un eventuale riscatto e la propensione al blitz, espressa dalle autorità filippine, è un’assoluta novità. Nel recente caso di Mastrogiacomo i servizi italiani avevano offerto un milione di dollari per liberare il giornalista, ma mullah Dadullah, il tagliagole talebano che gestiva il sequestro, voleva ben altro. La mediazione di Emergency portò alla liberazione del solo Mastrogiacomo in cambio di cinque prigionieri talebani detenuti a Kabul. Gli inglesi avevano proposto un blitz delle mitiche teste di cuoio Sas, al quale avrebbero potuto partecipare anche i corpi speciali italiani, ma il ministro della Difesa, Arturo Parisi, forse non del tutto convinto, ha posto il veto. Invece nelle Filippine, dove i tagliagole hanno gli occhi a mandorla, esercito e polizia, non certo all’altezza delle Sas, possono provarci a «recuperare» lo sfortunato missionario.
«I rapitori non hanno risposto alle proposte di negoziato e non hanno avanzato ancora nessuna richiesta. Li stiamo cercando in tutta l’area di Sibugay, nei pressi di Zamboanga», ha spiegato ieri il colonnello Roberto Rabasio, che coordina la «caccia all’uomo».
I militari e gli stessi ribelli islamici più moderati sono convinti che il mandante del sequestro sia Akiddin Abdusalam, conosciuto come «comandante Kiddie». Un militante rinnegato del fronte Moro (Milf), uno dei movimenti islamici più forti dell’isola di Mindanao, che sta trattando una soluzione pacifica al conflitto con le autorità di Manila. Il fratello di Abdusalam, che si è avvicinato alle cellule terroriste di Abu Sayaf, sarebbe stato riconosciuto nel commando di sequestratori. Il gruppo, legato ad Al Qaida, può contare su un nocciolo duro di 200 uomini, dopo le batoste subite lo scorso anno, ma continua ad attirare gli scontenti degli altri movimenti armati islamici, e pure normali banditi. Secondo alcuni abitanti del luogo, che conoscevano padre Bossi, i rapitori sarebbero soltanto dei criminali comuni.
Alla pista dei delinquenti a caccia di soldi crede il cardinale di Manila, Gaudencio Rosales, che sostiene: «Non si può generalizzare e incolpare l’islam».

Postato da: giacabi a 06:05 | link | commenti
islam, cristianesimo

domenica, 10 giugno 2007
L'auto-distruzione dell'umanesimo

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"Nell’anima dell'uomo anzitutto si è scosso e si è distrutto qualche cosa, prima che si scuotessero e si distruggessero i suoi valori storici. La «morte di Dio» doveva avere il suo contraccolpo fatale. E noi oggi assistiamo a ciò che Nicola Berdiaev, lui pure dotato di un dono «profetico», ma cui si accompagna inoltre un 'esatta diagnosi, ha giustamente chiamato <l'auto-distruzione dell'umanesimo». Noi oggi stiamo verificando sperimentalmente che «dove non c'è Dio, non c’è neppure uomo»  Che è avvenuto infatti delle alte ambizioni di questo umanesimo, non soltanto nei fatti, ma anche nello stesso pensiero dei suoi adepti? Che cosa è avvenuto dell'uomo di questo umanesimo ateo? Un essere che appena si osa chiamare ancora «essere»; una cosa che non ha più interiorità, una cellula interamente immersa in una massa in divenire; «uomo sociale e storico» di cui altro non resta che una pura astrazione, al di fuori dei rapporti sociali e della situazione nella durata per cui si definisce. Non c'è più in lui né fissità, né profondità. Non si cerchi perciò qualche recesso inviolabile, non si pretenda di scoprire qualche valore che si imponga al rispetto di tutti. Niente impedisce perciò di utilizzarlo come un materiale o come uno strumento, sia che si tratti di preparare qualche società futura o di assicurare nel presente stesso la dominazione di un gruppo privilegiato. Nulla impedisce perfino di gettarlo via come inservibile. Egli si lascia inoltre concepire su tipi assai differenti, anzi opposti, a seconda che predomina per esempio un sistema di spiegazione biologico od economico, o a seconda che si crede o no ad un senso e ad un fine della storia umana: Ma sotto le sue diversità, si trova sempre lo stesso carattere fondamentale, o piuttosto si constata la stessa assenza. Questo uomo è letteralmente dissolto: che sia in nome del mito o della dialettica, l'uomo, perdendo la verità, perde se stesso. In realtà non c'è più uomo, perché non c'è più nulla che trascenda l'uomo.
Non parliamo soltanto di un fallimento, non accusiamo neppure certe deformazioni grossolane, troppo reali e troppo evidenti. Non tutta la posterità di Marx ha ereditato dal suo genio: la eredità di Nietzsche poi è ancora più arruffata ed è fuor di dubbio che il profeta di Zarathustra oggi sarebbe il primo a maledire, per molte ragioni, molti di quelli che si appellano a lui . Ma queste deformazioni sono spesso meno dei tradimenti che l'effetto di una corruzione fatale  L'umanesimo ateo non poteva terminare che in un fallimento. L'uomo è se stesso solo per il fatto che il suo volto è illuminato da un raggio divino. Divinitas in luto tamquam imago in speculo refulget . Se il fuoco scompare, sparisce pure il suo riflesso. «Basta distruggere in tutto quello che avviene nel nostro mondo sublunare il rapporto con la eternità, per distruggere nello stesso tempo ogni profondità ed ogni contenuto reale di questo mondo». Dio non è soltanto per l'uomo una norma che a lui si impone e che, guidandolo lo solleva: Egli è l'Assoluto che lo fonda, è la calamita che l'attira, è l'Al di là che lo eccita, è l'Eterno che gli fornisce il solo clima in cui respirare, è in qualche modo quella terza dimensione in cui l'uomo trova la sua profondità . Se l'uomo si fa il suo proprio dio, può nutrire per qualche tempo l'illusione di elevarsi e di emanciparsi: esaltazione passeggera! In realtà, egli abbassa Dio ed egli stesso non tarderà a sentirsi abbassato." .
Henry De Lubac da: “Il dramma dell’umanesimo ateo” ed. Morcelliana

Postato da: giacabi a 17:58 | link | commenti
nichilismo, cristianesimo, de lubac

martedì, 05 giugno 2007
IL DRAMMA
DELL’UMANESIMO ATEO

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Nel mondo classico, cosi come nel mondo pagano del Mediterraneo orientale abitato da ebrei, come ricordato nella Bibbia ebraica, gli dèi o il Fato giocavano con uomini e donne, spesso con conseguenze letali; si ricordi ad esempio l'interferenza degli dèi nelle vicende umane nell' Ilia- de e nell' Odissea, o la costante battaglia di Israele contro la pratica dei sacrifici di bambini richiesta dalle divinità dei Filistei e di altre nazioni vicine. Al cospetto di queste esperienze, la rivelazione del Dio della Bibbia - l'apparizione nella storia di un Dio unico che non era né un tiranno ostinato (da evitare) né un predatore carnivoro (da calmare) né un'astrazione lontana (da ignorare) -fu percepita come una grande liberazione. Gli esseri umani non erano dei fantocci in mano agli dèi, né le vittime passive del Fato: potevano invece entrare in contatto col Dio unico e vero attraverso la preghiera e il culto, e coloro che credevano nel Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe e Gesù potevano dare alla storia una direzione umana. La storia non era infatti un palcoscenico in cui gli esseri umani erano manovrati dagli dèi e dalle divinità come burattini; la storia era piuttosto un'arena di responsabilità e di propositi, essendo il mezzo attraverso cui il Dio unico e vero si era rivelato al suo popolo dotandolo della piena facoltà di condurre una vita degna, tramite l'intelligenza e il libero arbitrio che ha donato loro nella creazione.
Ciononostante, quella che un tempo per l'uomo biblico era una liberazione, divenne per i sostenitori dell'umanesimo ateo una schiavitù. La libertà umana non poteva coesistere con il Dio degli ebrei e dei cristiani e, secondo l'umanesimo ateo, la grandezza dell'uomo richiedeva il rifiuto del Dio biblico.
George Weigel “La  Cattedrale e il Cubo”

Postato da: giacabi a 17:06 | link | commenti
nichilismo, cristianesimo, weigel

venerdì, 01 giugno 2007

Contro il progressismo distruttivo e totalitario
da: www.tempi.it
Roger Scruton
Oltre agli appettiti abbiamo un'idea di bene.
Contro il progressismo distruttivo e totalitario che vive come se i morti e i non-nati non avessero voce. Per una modernità che non teme il sacro e il proibito

Manifesto dei conservatori
Autore R. Scruton
Editore Raffaello Cortina
Pagine 260
Prezzo 22 euro

di Meotti Giulio

«Il conservatorismo inglese ha le sue radici nel retaggio dei ceti alti, nel pacato buonsenso della vecchia costituzione e nelle abitudini senza pretese della gente comune». Si apre così, come un inno autobiografico all'"Inghilterra che non c'è più", il Manifesto dei conservatori (Raffaello Cortina) di Roger Scruton, filosofo e polemista inglese di genio che insegna a Princeton e all'Istituto di scienze psicologiche di Arlington. Come spiega Giuliano Ferrara nell'introduzione al volume, il problema dei conservatori è «fissare il limite della modernità dal di dentro della modernità». Scruton è maestro in questo, issa la bandiera del common sense cristiano anglosassone all'interno del pensiero postilluministico e razionale. Scruton non vede differenze sostanziali fra il cuore dell'antico conservatorismo e quello del nuovo, nonostante il pessimo servizio che i suoi sostenitori abbiano fatto al suo nome. «All'opera c'è la stessa significanza sociale, politica e spirituale che desideriamo conservare e il pieno riconoscimento che è più facile distruggere che creare», dice a Tempi. «Il contratto formulato da Edmund Burke è realmente una sorta di amministrazione fiduciaria: noi vivi abbiamo qualcosa di inestimabile che siamo chiamati a conservare per il beneficio di coloro che verranno. Questo pensiero è importante tanto più nell'era postmoderna, dal momento che abbiamo scoperto che l'idea di "progresso" è un mito pericoloso. Il postmodernismo risulta essere l'ultima impresa della "cultura del rifiuto" balzata alla ribalta della storia nel 1968. Come Burke sottoindendeva, solo chi ascolta la voce di chi non c'è più è in grado di proteggere chi non è ancora venuto al mondo. In questo senso la cultura è depositaria di un'esperienza che è al tempo stesso in un luogo e ovunque, presente e senza tempo, l'esperienza di una comunità santificata dal tempo. Ora gli europei invece vivono come se i vivi, i morti e i non-nati non avessero una voce».
Nel suo libro Scruton analizza il legame fra linguaggio e verità, vincolo perso nel tempo e distrutto dalla cultura del nulla. «Un nuovo linguaggio è sorto da quando abbiamo sostituito un pensiero vivo e fecondo con un linguaggio meccanico, abbandonando l'orizzonte del linguaggio religioso.
Quando l'uomo perde il senso della pietas, le parole perdono il loro contatto con le cose, la realtà. Per pietà intendo la disponibilità a riconoscere il nostro stato di debolezza, ad affrontare il mondo circostante con reverenza e umiltà. Tale sentimento è un residuo della religione in tutti noi, che si voglia ammetterlo o no. È qualcosa di cui un numero elevato di persone sta cercando di riappropriarsi in un mondo dove i risultati dell'arroganza umana sono tristemente evidenti».


La negazione dell'umanità

Quello di Scruton è un sentimento difficile da giustificare nei termini del freddo e duro ragionamento utilitaristico che piace a Peter Singer, il filosofo australiano che è arrivato a teorizzare l'equiparazione tra i diritti degli uomini e quelli degli animali. «L'utilitarismo trascura l'elemento distintivo della nostra condizione, la nostra radicata propensione a considerarci esseri morali, legati da relazioni di responsabilità ad altri della nostra specie. Al posto del mondo naturale fatto a immagine dell'umanità, troviamo un'umanità ridescritta come parte del mondo naturale».
Un capitolo del Manifesto dei conservatori è dedicato alla natura del totalitarismo, descritto da Roger Scruton come un fenomeno sovrastorico, addirittura teoclastico. «Il totalitarismo è il tentativo di organizzare la società umana senza il rispetto per la libertà dei suoi membri e i bisogni umani. Si rifiuta di vedere la società come qualcosa che ricerchiamo, e riesce a leggervi solo il prodotto artificiale dell'umana libertà, sulla base di convenzioni e consensi. Lo Stato postmoderno riscrive infatti tutti i vincoli come fossero contratti tra i vivi. La lezione che dovremmo trarre dai movimenti totalitari del Novecento è quella che ci insegna che il totalitarismo non è la forma naturale di un modo di vedere patologico, ma il contrario: la forma patologica di uno naturale». Come rileva Hannah Arendt, i lager nazisti non erano progettati semplicemente al fine di distruggere gli esseri umani, ma anche di privarli della loro dignità: «I prigionieri dovevano essere trattati come oggetti, umiliati, degradati, ridotti in uno stato di necessità pura, divorante, senza possibilità di soddisfazione, che avrebbe cancellato gli ultimi brandelli di libertà. Avevano lo stesso che perseguono Iago nell'Otello di Shakespeare in un modo e Mefistofele nel Faust di Goethe in un altro: derubare i detenuti della loro anima. Se scrutiamo nell'animo di Iago troviamo un vuoto, un nulla; come Mefistofele, è una grande negazione, un animo fatto di antispirito, proprio come un corpo può essere costituito da antimateria. I campi erano dominati dall'antispirito e chi vi era prigioniero si aggirava barcollando, gravato dal grande segno della negazione. A chi era permesso osservarli, questi antiumani apparivano repellenti, coperti di parassiti, moralmente offensivi e, di conseguenza, il loro sterminio poteva essere presentato come una necessità. La loro scomparsa in un oblio comune divenne l'equivalente spirituale della materia che viene inghiottita da un buco nero».
George Orwell parlava del totalitarismo come di un tradimento teologico. Dice Scruton che «se nell'impero sovietico è stato opera di forza, nel mondo occidentale è stato invece generato dal consenso. Nel primo caso la causa era il desiderio di distruggere Dio; nel secondo l'incapacità di percepirlo».
Per questo gli piace ricordare che all'orrore del sistema sovietico Aleksandr Solzenicyn rispose con una preghiera: «Non sia attraverso me che il male entri nel mondo».

Come nascono i bambini
L'idiota di Dostoevskij dice che la bellezza salverà il mondo, aforisma ormai neutralizzato dall'abuso kitsch. Ma per Scruton contiene sempre una verità: «
L'esperienza della bellezza è la riflessione e la comprensione che il nostro essere qui e ora non si esaurisce nel presente. Contiene un cuore di eternità che sale in superficie quando ci innamoriamo, nascono i figli e ci promettiamo fedeltà nel matrimonio. Le nozze sono infatti un rito di passaggio, durante il quale una coppia va da una condizione sociale a un'altra, e la cerimonia non coinvolge solo gli sposi bensì l'intera comunità a quale appartengono. E questo è il modo con il quale i figli sono "generati". Oggi è diffusa invece una cultura di dissacrazione, nella quale i rapporti sono svuotati delle antiche virtù religiose (innocenza, sacrificio, promesse eterne) e in cui poco o nessun riconoscimento è concesso alle idee di sacro, di santo e di proibito». In proposito, però, l'autore del Manifesto dei conservatori è contrario all'uso della parola valori: «I valori sono una questione di pratica non di teoria. Non sono insegnati quanto impartiti, dispensati. Li si apprende attraverso un'immersione, entrando in contatto con i propri simili, plasmando un "io" a partire da un "noi" collettivo»
.
La Chiesa cattolica è impegnata in una drammatica battaglia nella difesa della generazione umana.
Una battaglia che per Scruton «è degna di essere combattuta: tutte le altri visioni della riproduzione umana negano la dignità dell'uomo. La forma umana è vulnerabile alla profanazione e al sacrilegio. Alcuni momenti della vita (nascita, morte, procreazione) traducono il carattere sacro della vita in una percezione immediata e realistica. La riproduzione umana è un processo di milioni di anni di adattamento, perciò fino a ieri era vista come qualcosa di troppo sacro per metterci sopra le mani, come un dono degli dei. Oggi invece stiamo cercando di accelerare il processo dell'evoluzione per soddisfare i nostri desideri. Ma chi conosce le conseguenze? La "soluzione finale" al problema dell'uomo è già stata posta seriamente. L'uomo sembra ridondante. L'umiltà che un tempo circondava la creazione è stata data via per il cinico sfruttamento della vita. Riferirsi alle vecchie idee del destino, del sacro e dell'intoccabile non produce alcuna emozione nelle persone che credono che la biologia contenga l'intera verità della condizione umana. Il corpo non è più il ricettacolo nel quale si congiungono l'empirico e il trascendente, la nicchia dell'io nel contesto della natura. È diventato un bersaglio da aggredire, devastare e consumare, da vedere in tutti i suoi contorcimenti come un verme che si attorciglia miseramente in agonia. Noi, però, siamo motivati non solo da appetiti, ma anche da una concezione del bene. Non siamo solo oggetti in un mondo di oggetti, ma anche soggetti, creature sospese fra l'empirico e il trascendente. Abbassando gli occhi sulle nostre funzioni organiche, perdiamo di vista la vita morale. Questa non è scienza ma scientismo, che sta alla scienza come la pornografia sta all'amore
».
Roger Scruton è spesso accusato di pessimismo.
«Tutti i conservatori sono tentati dal pessimismo, perché rifiutano ciò che Schopenhauer chiamava l'"ottimismo senza scrupoli" delle facili soluzioni. Il pessimismo è però diverso dalla filosofia della negazione, che è sempre una forma di suicidio morale. Perché non essere felici di fronte al vino, all'amicizia e al volto imprescrutabile di Dio?». Quale verità è necessario preservare? «Quella secondo cui senza sacrificio, niente ha valore».

MANIFESTO DEI CONSERVATORI



Postato da: giacabi a 19:51 | link | commenti
nichilismo, cristianesimo

martedì, 29 maggio 2007
CHE BELLA COPPIA FORMANO DUE CREDENTI

Che bella coppia formano due credenti
che condividono la stessa speranza,
lo stesso ideale, lo stesso modo di vivere,
lo stesso atteggiamento di servizio!
Ambedue fratelli e servi dello stesso Signore,
senza la minima divisione nella carne e nello spirito,
insieme pregano, insieme s'inginocchiano
e insieme fanno digiuno,
s'istruiscono l'un l'altro,
si  sostengono a vicenda.
Stanno insieme nella Santa Assemblea,
insieme alla mensa del Signore,
insieme nella prova,
nella persecuzione, nella gioia.
Non c'è pericolo  che nascondano qualcosa,
che si evitino l'un l'altro,
che l'uno all'altro siano di peso.
Volentieri essi fanno visita ai malati
ed assistono i bisognosi.
Fanno elemosina senza mala voglia,
partecipano al Sacrificio senza fretta,
assolvono ogni giorno ai loro impegni, senza sosta.
Ignorano i segni di croce furtivi,
rendono grazie senza alcuna reticenza,
si benedicono senza vergogna nella voce.
Salmi ed inni essi recitano a voci alternate
e fanno a gara a chi meglio canta le lodi al suo Dio.
Vedendo e sentendo questo, Cristo gioisce
e ai due sposi manda la Sua pace.
Là dove sono i due, ivi è anche Cristo.
 (Tertulliano alla moglie, II,(8-9)
***

"Per sempre ..."
***

"Vieni a sederti accanto a me sulla panchina davanti a casa,

moglie cara.

È tuo diritto: saranno presto quasi quarant'anni che siamo insieme.

Questa sera è bel tempo ed è anche la sera della nostra vita:

tu hai ben meritato questo breve momento di riposo.

I nostri figli si sono ormai sistemati e se ne sono andati per il mondo;

e noi siamo di nuovo soli, come all'inizio.

Ricordi? Non avevamo nulla per cominciare,

bisognava fare tutto.

Ci siamo messi al lavoro ed è stata dura;

c'è voluto coraggio e perseveranza.

C'è voluto amore e l'amore non è quel che si crede quando si comincia.

Non sono soltanto quei baci che si scambiano,

quelle parole che si sussurrano all'orecchio:

non è neppure il tenersi stretti l'uno contro l'altra.

La vita è lunga, il giorno delle nozze non è che un giorno;

soltanto dopo, ricordi, è iniziata la vita.

Bisogna fare e viene disfatto;

bisogna rifare e viene disfatto ancora.

Vengono i figli: occorre nutrirli, vestirli, allevarli:

è una vicenda senza fine.

Talvolta si ammalavano, 

tu rimanevi in piedi tutta la notte,

io lavoravo dal mattino alla sera.

Giungono dei momenti in cui si dispera;

gli anni si succedono agli anni e non si va avanti.

Spesso sembra di tornare indietro.

Ricordi tutte queste cose?

Tutte queste preoccupazioni, tutti questi affanni:

soltanto tu sei sempre stata qui.

Siamo rimasti fedeli l'uno all'altra.

Ho potuto appoggiarmi a te e tu ti appoggiavi a me.

Abbiamo avuto la sorte d'essere insieme,

ci siamo messi tutte e due all'opera,

abbiamo resistito e tenuto duro.

Il vero amore non è quello che si crede.

Il vero amore non dura un giorno, ma sempre.

Vuol dire aiutarsi, comprendersi.

E, a poco a poco, si vede che tutto si accomoda.

I figli sono cresciuti, hanno preso una buona piega;

ne avevano avuto l'esempio.

Abbiamo consolidato le fondamenta della casa:

se tutte le case del paese saranno solide,

anche il paese sarà solido.

Perciò vieni accanto a me e guarda,

poiché quando il cielo è rosa come questa sera,

quando una polvere rosa s'alza da ogni parte e penetra fra gli alberi,

è giunto il tempo di raccogliere e riporre il grano.

Stringiti contro di me: non parleremo,

non abbiamo più bisogno di dirci nulla.

Abbiamo solo bisogno di stare insieme ancora una volta

e di attendere la notte nella soddisfazione del dovere compiuto". 

Charles-Ferdinand Ramuz (1878-1947)


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chiesa, famiglia, bellezza, cristianesimo

sabato, 19 maggio 2007
GRAZIE ! BUON PASTORE
RESPINGERE GLI ASSALTI DEI NUOVI “BARBAROSSA” CHE TENTANO DI ESPUGNARE LE NOSTRE CITTÀ
Omelia di S.E. Mons. Giuseppe Betori,
Segretario Generale della CEI,
in occasione della Festa di Sant’Ubaldo
Patrono di Gubbio (PG)
Nella prima lettura di questa liturgia il libro del Siracide ci ha offerto il ritratto del Sommo Sacerdote Simone, un ritratto che ben si attaglia anche alla figura di Sant’Ubaldo, così come ce l’ha consegnata la storia e la devozione dei suoi concittadini. Ne emerge in particolare la funzione liturgica, fondamentale nel ministero di un vescovo – e di cui nella vita di Sant’Ubaldo si ha testimonianza vivissima proprio alla vigilia della sua morte, a ciò invocato dal suo popolo che ne reclama l’azione sacerdotale –, ma non vanno trascurati gli altri segni che completano l’immagine, in particolare in rapporto al servizio del popolo.
Perché proprio questo fa grande Sant’Ubaldo e quindi da sempre e da tutti in Gubbio venerato e amato: il suo essere servitore della comunità ecclesiale e civile. Gli episodi che ne arricchiscono la biografia vanno tutti in questa direzione: la riforma della vita del clero, l’accettazione delle sofferenze che gli procura il suo comportamento mite e pronto al perdono, la povertà e l’uso benefico dei beni materiali a vantaggio dei poveri, il mettere a repentaglio la propria vita per riportare la pace, il ripudio di ogni timore davanti ai potenti per difendere la causa dei deboli, la serena accettazione delle sofferenze che colpiscono il suo corpo con il progredire degli anni, le numerose guarigioni di malati e afflitti durante la sua vita e dopo la sua morte.
Ma c’è una frase nel brano del Siracide che risplende di particolare vigore, illuminando il momento centrale del rapporto tra Sant’Ubaldo e la sua città:
“Premuroso di impedire la caduta del suo popolo fortificò la città contro un assedio”. Non possiamo non scorgervi una esaltante corrispondenza con il segno di croce tracciato da Sant’Ubaldo che pose fine all’assedio delle città nemiche. Ma non possiamo dimenticare che esso giunse solo alla fine di un itinerario di conversione del popolo e dopo la supplica che il Santo rivolse al Signore.
C’è una forte carica di esemplarità in questo episodio chiave della vita di Sant’Ubaldo, che molto più insegnare anche per la condizione odierna della nostra società.
Nuovi nemici tentano di espugnare le nostre città, di sovvertire il loro sereno ordinamento e di creare turbamento alla loro vita. Questi nuovi nemici si chiamano il nichilismo e il relativismo, che in modo più o meno esplicito nutrono le tendenze egemoni nella nostra cultura: fanno dell’embrione, l’essere umano più indifeso, un materiale disponibile per sperimentazioni mediche; danno copertura legale al crimine dell’aborto e si apprestano a farlo per le pratiche eutanasiche, infrangendo la sacralità dell’inizio e della fine della vita umana; introducono il concetto apparentemente innocuo di qualità della vita, che innesca l’emarginazione e la condanna dei più deboli e svantaggiati;
coltivano sentimenti di arroganza e di violenza che fomentano le guerre e il terrorismo; delimitano gli spazi del riconoscimento dell’altro chiudendo all’accoglienza di chi è diverso per etnia, cultura e religione; negano possibilità di crescita per tutti mantenendo situazioni e strutture di ingiustizia sociale; oscurano la verità della dualità sessuale in nome di una improponibile libertà di autodeterminazione di sé; scardinano la natura stessa della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna.
Occorre avere consapevolezza di questa battaglia in corso attorno alla persona umana e alla sua dignità e di quanto essa sia decisiva per il futuro della società, ma occorre anche riconoscere che può salvarci solo il riferimento al Dio creatore e alla sua legge scritta nei nostri cuori, e a noi rivelata in pienezza da Gesù che ci offre anche la grazia di adempierla. È questo riferimento trascendente che, giustamente, don Angelo Fanucci – nel suo commento alla vita di Sant’Ubaldo scritta da Giordano – vede in quel collocarsi “in alto” da parte di Sant’Ubaldo nel prendere posizione a favore dei suoi concittadini nel dramma dell’assedio. Così come la grandezza del Sommo Sacerdote Simone è tutta nel suo essere pontefice, ponte tra Dio e il suo popolo, altrettanto Sant’Ubaldo si colloca al di sopra di una visione puramente umana delle cose e si pone nella prospettiva di Dio, altrettanto anche noi oggi siamo chiamati a discernere e giudicare il presente con gli occhi di Dio e a chiedere a tutti, credenti e non credenti, di fare altrettanto se vogliamo salvare il nostro futuro, a vivere tutti – come ci ha invitato Benedetto XVI – etsi Deus daretur”, “come se Dio esistesse”, ribaltando l’ipotesi che ha retto il pensiero e l’agire della modernità, l’““etsi Deus non daretur“”, il “come se dio non ci fosse” che ha prodotto i forni di Auschwitz e i gulag della Siberia. Se vogliamo difendere il vero volto dell’uomo abbiamo bisogno di riscoprire il volto di Dio.
E il volto di Dio è l’amore, come ci ha ricordato il Santo Padre nella sua enciclica Deus caritas est. Non però l’amore debole che nasconde la verità, che crea ambiguità sotto il velo della falsa tolleranza, bensì quello esigente che non rinuncia a ferire per curare, a distinguere per poter allacciare ponti veri e non a voler rendere tutto fittiziamente omologo, a richiamare alla responsabilità senza indulgere in un buonismo alla fine perdente. Solo da questa carità nella verità può scaturire quella capacità di costruzione della comunione
che segna tante vicende della vita di Sant’Ubaldo e che la seconda lettura, tratta dalla lettera di San Paolo agli Efesini, descrive nei termini della benevolenza, della misericordia, del perdono, della carità a imitazione di Cristo che “ha dato se stesso per noi”.
Questa visione alta della carità, che non rinuncia alla verità, ma proprio per questo è capace di generare progetti di novità di vita nella sfera individuale e in quella sociale, è ciò che è chiesto oggi ai cattolici. Da un siffatto progetto di rinnovamento spirituale, culturale e sociale può scaturire quel dominio sui dèmoni del nostro tempo, la cui sottomissione, secondo le parole della pagina del vangelo di Luca, è legata al nome di Gesù e al nostro affidarci come discepoli a lui. L’attesa della protezione del Santo è viva per noi, come lo fu in occasione della sua morte da parte dei tanti poveri che si rivolsero alla sua intercessione. Ma, come ci ricorda il vangelo, ancor più importante è che il nome di Sant’Ubaldo splenda scritto nel cielo e che a questa meta di santità chiami tutti noi. La meta della santità, costituisce anche nel tempo presente il compito affidato alla testimonianza che i credenti sono chiamati ad offrire al Signore Risorto, così che egli possa risplendere come speranza per l’umanità. Lo abbiamo ribadito nel recente Convegno ecclesiale nazionale di Verona. Vogliamo riascoltarlo con le parole di Giovanni Paolo II, che al termine del grande Giubileo dell’anno 2000 ci ha riproposto la santità come «“misura alta” della vita cristiana ordinaria», che tutti quindi ci interpella a vivere, per usare le parole di Benedetto XVI, rispondendo con il “sì” della fede al «grande “sì” che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza». Così sperimenteremo per noi e saremo capaci di testimoniare agli altri la bellezza della vita cristiana, come essa sia compimento pieno e ulteriore di ogni nostra attesa, gioia perfetta che nulla può oscurare e che non avrà mai fine.

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nichilismo, cristianesimo

giovedì, 17 maggio 2007

J’accuse di René girard




Gli intellettuali sono castratori di significato: “Dopo il linguaggio stanno decostruendo l’uomo”. Microeugenetica, un sacrificio umano. “La sessualità è il problema, non la soluzione”. Le idee spietate di un grande pensatore



Roma. Nonostante gli ottantaquattro anni, René Girard non ha perso niente della fibra di pensatore radicale, quasi terminale. Sta lavorando a un nuovo saggio su Karl von Clausewitz. Autore di opere capitali del pensiero contemporaneo come “La violenza e il sacro” e “Il capro espiatorio”, eletto fra i quaranta “immortali” dell’Académie française, René Girard è il più grande antropologo vivente insieme a Claude Lévi-Strauss. In questa intervista al Foglio, Girard torna su quella che ha definito “la grande questione antropologica del nostro tempo”. Apre con una domanda: “Può esserci una antropologia realistica che precede la decostruzione? In altre parole: è lecito e ancora possibile affermare una verità universale sul genere umano? L’antropologia contemporanea, strutturalista e postmoderna, nega quest’accesso alla verità. Il pensiero attuale è la castrazione del significato. Sono pericolosi questi tentativi di mettere in discussione l’uomo”. E’ questa l’origine, secondo Girard, dello “skandalon” della religione nell’epoca della neosecolarizzazione. “A partire dall’illuminismo, la religione è stata concepita come puro non sense. August Comte aveva una teoria precisa sull’origine della verità e il suo intellettualismo ottocentesco ricorda molto quello in voga oggi. Comte diceva che ci sono tre fasi: religiosa, che è la più puerile; filosofica e infine scientifica, la più vicina alla verità. Oggi nel discorso pubblico si mira a definire la ‘non verità’ della religione, indispensabile invece per la sopravvivenza della specie umana. Nessuno si domanda quale sia la funzione della religione, si parla solo di fede: ‘Io ho fede’. Ma poi? La teoria rivoluzionaria di Charles Darwin sperava di aver dimostrato l’inutilità di una istituzione antica quindicimila anni come la religione. Oggi ci si prova nella forma del caos genetico enunciato dal neodarwinismo. Si prenda uno scienziato come Richard Dawkins, è un pensatore estremamente violento e vede la religione come qualcosa di delinquenziale”. La religione ha una funzione che va oltre la fede e la veridicità del dono monoteista: “La proibizione dei sacrifici umani. Il mondo moderno ha deciso che è la proibizione il non sense. La religione è tornata a essere concepita come il costume del buon selvaggio, uno stato primitivo di ignoranza sotto le stelle. La religione è invece necessaria a reprimere la violenza. L’uomo è una specie unica al mondo: l’unica che minacci la propria sopravvivenza attraverso la violenza. Gli animali durante la gelosia sessuale non si uccidono a vicenda. Gli esseri umani sì. Gli animali non conoscono la vendetta, la distruzione della vittima sacrificale legata alla natura mimetica delle moltitudini plaudenti”. Oggi si accetta solo una definizione di violenza come pura aggressione: “E’ perché si vuole renderla innocente. La violenza umana è invece desiderio e imitazione. Il postmodernismo non riesce a parlare di violenza: la pone fra parentesi e semplicemente ne ignora l’origine. E con essa la verità più importante: la realtà è da qualche parte accessibile”.
René Girard proviene dal radicalismo francese. “Mi sono riempito la testa con le pagliacciate e il semplicismo mediocre e stupido dell’avanguardia.
So bene quanto la negazione postmoderna della realtà possa condurre al discredito della domanda morale dell’uomo. L’avanguardia un tempo relegata in ambito artistico oggi si estende a quello scientifico che ragiona sull’origine dell’uomo. In un certo senso, la scienza è diventata una nuova mitologia, l’uomo che crea la vita. Così, ho accolto con grande sollievo la definizione di Joseph Ratzinger di ‘riduzionismo biologico’, la nuova forma di decostruzione, il mito biologista. Mi ritrovo anche nella distinzione dell’ex cardinale fra scienza e scientismo”.
L’unica grande differenza fra l’uomo e la specie animale è la dimensione religiosa. E’ questa l’essenza dell’esistenza umana, è l’origine della proibizione dei sacrifici e della violenza. Dove si è dissolta la religione, lì è iniziato un processo di decomposizione. La microeugenetica è la nuova forma di sacrificio umano. Non proteggiamo più la vita dalla violenza, schiacciamo invece la vita con la violenza. Per cercare di appropriarci del mistero della vita a nostro beneficio. Ma falliremo. L’eugenetica è il culmine di un pensiero iniziato due secoli fa e che costituisce il più grande pericolo per la specie umana. L’uomo è la specie che può sempre distruggere se stessa. Per questo ha creato la religione”. Oggi ci sono tre aree in cui l’uomo è in pericolo: nucleare, terrorismo e manipolazione genetica.Il Ventesimo secolo è stato il secolo del classico nichilismo. Il Ventunesimo sarà il secolo del nichilismo affascinante. Aveva ragione C. S. Lewis quando parlava di ‘abolizione dell’uomo’. Michel Foucault aggiunse che l’abolizione dell’uomo sta diventando un concetto filosofico. Non si può più parlare oggi dell’uomo. Quando Friedrich Nietzsche annunciò la morte di Dio, in realtà stava annunciando la morte dell’uomo. L’eugenetica è la negazione della razionalità umana. Se si considera l’uomo come mero e grezzo materiale da laboratorio, un oggetto manipolabile e malleabile, si può arrivare a fargli qualsiasi cosa. Si finisce per distruggere la fondamentale razionalità dell’essere umano. L’uomo non può essere riorganizzato”.
Secondo Girard, oggi stiamo perdendo di vista anche un’altra funzione antropologica, quella del matrimonio. “Una istituzione precristiana e valorizzata dal cristianesimo. Il matrimonio è l’indispensabile organizzazione della vita, legata alla richiesta umana di immortalità. Creando una famiglia, è come se l’uomo perseguisse l’imitazione della vita eterna. Ci sono stati luoghi e civiltà in cui l’omosessualità era tollerata, ma nessuna società l’ha messa sullo stesso piano giuridico della famiglia. Abbiamo un uomo e una donna, cioè sempre un’opposizione. Alle ultime elezioni americane del 2006, la vera vittoria è stata del matrimonio naturale ai referendum”.

La noia metafisica dell’Europa
L’Europa è immersa in quella che l’arabista della Sorbona Rémi Brague chiama noia metafisica. “E’ una bella definizione, anche se mi pare che la superiorità del messaggio cristiano diventi ogni giorno più visibile. Quando è più attaccato,
il cristianesimo brilla di maggiore verità. Essendo la negazione della mitologia, il cristianesimo splende nel momento in cui il nostro mondo si riempie di nuove mitologie sacrificali. Lo skandalon della rivelazione cristiana l’ho sempre inteso in maniera radicale. Nel cristianesimo, anziché assumere il punto di vista della folla, si assume quello della vittima innocente. Si tratta di un capovolgimento dello schema arcaico. E di un esaurimento della violenza”.
Girard parla di ossessione per la sessualità. “Nei Vangeli non c’è nulla di sessuale e questo fatto è stato completamente romanticizzato dalla gnosi contemporanea. La gnosi da sempre esclude categorie di persone e le trasforma in nemici. La cristianità è l’esatto contrario della mitologia e della gnosi. Oggi avanza una forma di neopaganesimo. Il più grande errore della filosofia postmoderna è aver pensato che potesse gratuitamente trasformare l’uomo in una macchina di piacere. Da qui passa la disumanizzazione, a cominciare dal desiderio falso di prolungare la vita sacrificando beni più grandi”. La filosofia postmoderna si basa sull’assunzione che la storia sia finita.Da qui nasce una cultura schiacciata sul presente. Da qui origina anche l’odio per una cultura forte che afferma una verità universale. Oggi si crede che la sessualità sia la soluzione a tutto, invece è il problema, la sua origine. Siamo continuamente persuasi da una suggestiva ideologia del fascino. La decostruzione non contempla la sessualità all’interno della follia umana. La nostra pazzia è dunque nel voler banalizzare la sessualità facendone qualcosa di frivolo. Spero che i cristiani non seguano questa direzione. Violenza e sessualità sono inseparabili. E questo perché si tratta della cosa più bella e turpe che abbiamo”.
E’ in corso un divorzio fra umanità e sintassi, realtà e linguaggio. “Stiamo perdendo ogni contatto fra il linguaggio e le ragioni dell’essere. Oggi crediamo solo al linguaggio. Amiamo le favole più che in qualunque altra epoca. La cristianità è una verità linguistica, logos, Tommaso d’Aquino è stato il grande promulgatore di questo razionalismo linguistico. Il grande successo della cristianità angloamericana e dunque degli Stati Uniti si deve non a caso a straordinarie traduzioni della Bibbia. Nel cattolicesimo oggi c’è fin troppa sociologia. La chiesa è troppo spesso compromessa con le lusinghe del tempo e il modernismo. In un certo senso i problemi sono iniziati con il Concilio Vaticano II, ma risalgono alla precedente perdita dell’escatologia cristiana. La chiesa non ha abbastanza riflettuto su questa trasformazione. Come possiamo giustificare la totale eliminazione dell’escatologia persino nella liturgia?”.

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nichilismo, cristianesimo, girard

martedì, 08 maggio 2007
"LA REALTA' INVECE E' CRISTO"
MIRACOLO
A SAN PAOLO 
***
Tempi num.20 del 12/05/2005

IL PERCORSO DI UN'ASSOCIAZIONE POPOLARE BRASILIANA DI SENZA CASA: DALLE COMUNITÀ DI BASE ALLA SUBORDINAZIONE A LULA ALL'INCONTRO CON LA PRESENZA DI COMUNIONE E LIBERAZIONE
di Casadei Rodolfo

Comunione e Liberazione, teologia della liberazione. I nomi sono simili, ma le strade divergono, stando ad una lunga tradizione. Non così a San Paolo del Brasile: lì una realtà nata dalle Comunità di base cristiane, fiore all'occhiello della teologia della liberazione negli anni Settanta (benché essa non fosse la matrice di tutte), ha deciso di convergere sul cammino di Cl in forza di un incontro. Si tratta dell'Associazione dei lavoratori senza tetto di San Paolo guidata da Marcos Zerbini e Cleuza Ramos, i due leader popolari la cui storia abbiamo già raccontato (cfr. Tempi, n. 36/2004). Tra i fondatori del Pt, il Partito dei lavoratori del presidente Lula, hanno rotto col partito quando si sono resi conto che, salito al potere, stava irregimentando i movimenti popolari che aveva usato come strumenti per farsi strada. Nonostante l'isolamento politico, la loro associazione conta ancor oggi oltre 20 mila aderenti, ex senza tetto che oggi possiedono una casa perché hanno preso parte al loro movimento che ha privilegiato il metodo gradualista (acquistare i terreni, ottenere i permessi e costruire insieme le case) anziché il metodo massimalista (occupare con la forza le terre, da cui poi inevitabilmente la polizia e i tribunali li espellevano) preconizzato dal Pt prima di salire al governo.
«Li abbiamo incontrati quasi tre anni fa», racconta padre Vando Valentini, responsabile della pastorale universitaria alla Pontificia università cattolica di San Paolo, arrivato in Brasile 31 anni fa come responsabile di Cl. «Avevano chiesto alla facoltà di medicina dell'università di aiutarli ad affrontare il problema delle gravidanze precoci in uno dei loro quartieri. è stato preparato un progetto, e il medico inviato sul posto era Alexandre Ferrari, un nostro memores (associazione laicale di Cl, ndr). Il progetto è riuscito molto bene, ed è nato un interesse reciproco. Sono venuti all'incontro latinoamericano della Compagnia delle Opere presieduto da Giorgio Vittadini, e hanno intuito che lì c'era la risposta al loro dramma». Dramma? Quale dramma? «Si erano accorti che erano diventati molto bravi nel costruire case per la gente, ma che non riuscivano a costruire la cosa a cui tenevano di più: una comunità solidale, una vera amicizia fra le persone. Fra i vicini delle loro case, come dentro allo stesso gruppo dirigente di una quarantina di persone, c'erano tensioni e conflitti che non riuscivano a risolvere. L'incontro con noi li ha richiamati all'origine della loro storia: l'appartenenza alla Chiesa». «Ci hanno chiesto di fare una Scuola di comunità (momento di catechesi di Cl, ndr) con loro, le 40 persone che seguono i gruppi nei quartieri. Ci vediamo tutti i sabati in un orario incredibile - le 7 di mattina - e studiamo insieme Tracce di esperienza cristiana di don Giussani per un paio di ore. Alcuni di loro si fanno un'ora di autobus per esserci. Poi durante la settimana si vedono fra loro per riprendere i temi che abbiamo affrontato. Adesso Marcos Zerbini dice: 'il nostro movimento è lo strumento perché la gente possa farsi la casa, ma il nostro obiettivo è che incontrino Cristo'.
E la leadership è diventata un'altra. Cioè: sono sempre gli stessi - anzi le stesse, perché 30 di loro sono donne -, ma con un cuore diverso».

Scuole di comunità alle 7 del mattino
Oggi l'Associazione dei lavoratori senza tetto di San Paolo è diventata a tutti gli effetti un'opera di Cl, ovvero una delle realtà che aderiscono alla Compagnia delle Opere. Ogni due settimane il gruppo dei leader si incontra coi responsabili di Cl a San Paolo. Le donne lavorano in gran parte come domestiche, e per loro leggere e far proprio un testo scritto non è la più facile delle cose. Eppure ci tengono tantissimo. Alcune hanno pure creato un coro perché, ascoltando i canti introduttivi, si sono convinte che non si può far bene Scuola di comunità senza saper cantare più che bene. Si trovano il sabato sera fra le 23.30 e le 24.30. Avete mai visto tanta fede in Israele
 



Family Day - 12 Maggio

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cristianesimo, zerbini

sabato, 05 maggio 2007
Da dove proviene la dignità umana
***
 Leo Moulin
Da : www.meetingrimini.org/1995_
Esistevano libertà in questi secoli che certi si ostinano a dire bui, oscurantisti, secoli di ignoranza, di tenebre, di inquisitoria intolleranza? La prova? Parlando del Medioevo uno scrittore ha cantato "i variopinti legami che... avvincevano l’uomo ai suoi superiori naturali...", della "dignità personale" dell’uomo medievale, del "velo di tenero sentimentalismo che avvolgeva (all’epoca) i rapporti di famiglia", delle "attività (quelle del medico, del giurista, del prete, del poeta, dello scienziato) che... erano considerate degne di venerazione e rispetto". Qual è questo scrittore? Lo stesso ha riconosciuto l’esistenza "dei santi fremiti dell’esaltazione religiosa dell’entusiasmo cavalleresco" e, finalmente, "di innumerevoli franchigie (vuol dire libertà) faticosamente acquisite e patentate". Qual è questo saggista che ha parlato così bene del Medioevo? È Carlo Marx nel Manifesto Comunista del 1848 il quale denuncia la borghesia (diremmo la società dell’’800) che, in luogo di tutti questi valori, ha "sconsacrato... ogni cosa sacra". Tutti i "rapporti sociali... con il loro seguito di opinioni e credenze rese venerabili dall’età", li ha "affogati nell’acqua gelida del calcolo egoistico", mettendo al loro posto la sola libertà di commercio "senza scrupoli", non lasciando "tra uomo e uomo, altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato pagamento in contanti".
Dunque, per Carlo Marx, insospettabile testimonio, nella società medievale esistevano libertà "faticosamente conquistate" e quindi reali, concrete, vissute, risentite da ciascuno, libertà che "la borghesia", per parlare come Marx, direi: il secolo dei Lumi, ha "lacerato", distrutto radicalmente, per imporre la sua libertà. E non solo di commercio, ma la libertà totale, nuda, astratta, puramente giuridica, con tutte le conseguenze che conosciamo, la miseria, il pauperismo, la derelizione del proletariato durante la maggior parte dell’Ottocento, e la società in piena crisi, di oggi..
Dunque tutti godono di libertà concrete, reali, personali, come antinomia, come contraddizione totale alla libertà dei filosofi dei Lumi. I congiurati dei borghi del Medioevo, delle città, dei comuni, cioè quelli che avevano fatto il giuramento di vivere insieme in un comune libero sotto la protezione di diritti e di libertà, godevano di una libertà individuale, della inviolabilità del domicilio, del diritto di proprietà, della soppressione di ogni intralcio alla circolazione dei beni delle persone, della libertà di organizzare fiere e mercati, del diritto di avere una campana, segno materiale di indipendenza del comune e di erigere una torre in Belforte.
Abbiamo parlato delle libertà concrete, della fittissima rete di libertà concrete, "privilegi, statuti, diritti. Libertà e costumi legittimi", dice la costituzione Habita del 1155, della quale godevano tutti i cosiddetti "borghesi" dei "borghi", dei "comuni" medievali. I congiurati godevano di queste libertà e di più avevano il diritto di controllare e, qualche volta, di rifiutare le esigenze finanziarie del Potere, anche in tempo di guerra. Avevano la libertà di intraprendere, di creare, di vendere merci, di organizzare i mestieri secondo regole strettamente definite dagli interessati stessi. Ma, osserviamo, sono libertà che non si esercitavano se non in un gruppo costituito (che si chiamava universitas, ordine religioso, corporazione, comune) e attraverso questo gruppo. I diritti personali, nel senso moderno, esistevano poco o erano raramente concessi.
Avevano ancora il diritto legale di resistere al potere, se questo non rispettava le sue promesse, i suoi giuramenti di osservare le libertà comunali. Nel Brabante, provincia belga, il principe, prima di poter entrare nella città e di ricevere le chiavi, segno di buona accoglienza, doveva giurare di rispettare le libertà della città. E a segno di "joyeuse entrée", cioè di "allegro ingresso", c’era una pergamena religiosamente, gelosamente conservata nell’archivio della città. Il tutto protetto da una rete di giuramenti sulla Bibbia, di promesse diverse ed anche di tecniche deliberative ed elettorali che assicuravano il rispetto di un regime che si può chiamare democratico e che sono all’origine del nostro codice elettorale.
Per dimostrare ancora meglio la nostra tesi esaminiamo rapidamente i privilegi e libertà dei quali godevano scolari, maestri ed università medievali, con l’affermazione permanente e di un’ampia autonomia istituzionale e di una libertà intellettuale radicale, comunque molto più grande di ciò che pensiamo oggi. Gli scolari godevano di un vero status personale (per esempio dispensa del servizio militare); gli scolari dipendevano unicamente dalla giustizia episcopale, che era più dolce, più mite, e non dalla giustizia del comune o del re. Non dovevano pagare il dazio per le merci personali che compravano fuori dell’incinta daziaria per loro, i loro servitori, la loro famiglia quando veniva a visitarli (ne approfittavano per fare un po’ di commercio). Funzionava un controllo annuale dei prezzi dei libri e del livello dell’affitto della camera e della pensione e così via.
Lo stesso, mutatis mutandis, per i maestri, per l’università stessa. In quanto università essa gode di una quantità tale di privilegi che più di una volta la sua libertas, al singolare, diventava una potestas la quale attentava alle libertà degli altri gruppi della società comunale. Più di una volta con la massima arroganza ha opposto i diritti dello Studium, del sapere, cioè i suoi diritti e libertà, ai diritti di Roma, dei re o dei comuni. Dunque esistevano libertà durante i primi secoli del Medio Evo. Libertà numerose, concrete, efficaci, libertà per l’uomo perché cristiano.
Ma, direte forse, esisteva nel Medio Evo anche "la" libertà? Sì. La Chiesa ha sempre rivendicato la libertas Ecclesiae. San Paolo scrive: "Dove è lo Spirito, ivi è libertà" (II Cor 3, 17). Dante, il nostro Dante, mi permetto di dire, scrive: "Libertà va cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta" (Purg. I, 71), parla di "innata libertate" (Purg. XVIII, 68). O: "Tu m’hai di servo tratto a libertate".
Dunque, direte, esisteva anche "la" libertà e non solamente "le" libertà? Badate bene a questo: san Paolo parla della libertà del cristiano, che non è più "servo del peccato" (Gv 8, 36) poiché è, in quanto credente, "affrancato dalla legge del peccato e della morte" (Rm 8, 2), "servo francato del Signore". Lo stesso si può dire di Dante: parla in qualità di cristiano. Non è "l’uomo, misura di tutto" del filosofo greco Protagora, è "l’uomo vivo, gloria di Dio", di cui parla sant’Ireneo da Lione. Se accettiamo la proposizione di Protagora, l’uomo misura di tutto, non ci possono essere limiti alla mia libertà. In nome di quali valori dovrei limitare la mia libertà, frenare la mia libertà, per rispettare la libertà sfrenata (come la mia) degli altri?
Tutti i valori laici, che secondo me sono valori cristiani desacralizzati, laicizzati, diventano pericolosi non perché sono cattivi in sé (sono, ripeto, di essenza cristiana), ma perché non hanno altro punto di riferimento che l’uomo e l’uomo solo. Ora il grande scrittore austriaco Jozef Roth ha scritto nel 1936: "Quando l’uomo arriva al punto di credere che solo l’uomo può salvare l’uomo, è maturo per il fascismo o per il comunismo". Ciò che si è verificato dopo.
Invece, se questi valori, se l’uomo di questi valori ha un punto di riferimento al di fuori di sé, un assoluto al di fuori di se stesso, cioè Dio, allora può parlare della sua libertà. È la libertà del cristiano: "Dove è lo Spirito – dice Paolo – ivi è la libertà
Leo Moulin è nato a Bruxelles nel 1906-1996. Studioso di fama internazionale, ha dedicato molti lavori agli ordini religiosi (in particolare al monachesimo benedettino), alla loro vita e al ruolo che hanno ricoperto nel disegnare l’originale fisionomia del nostro continente

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cristianesimo, moulin

giovedì, 03 maggio 2007
L’origine cristiana
della scienza
***
Tratto da:Appunti di un incontro con il prof. Peter E. Hodgson

Secondo la dottrina cristiana della creazione, Dio scelse di creare liberamente l’Universo. Egli non era in alcun modo obbligato né a crearlo né a crearlo nel modo in cui fece.
Non è, perciò, un Universo necessario, nel senso che doveva essere creato o che non poteva essere creato in altro modo. Non c’è perciò alcuna possibilità di conoscere l’Universo per puro pensiero o per un ragionamento a priori . Noi possiamo solo sperare di capirlo studiandolo e facendo
esperimenti . Così la dottrina cristiana della creazione incoraggiò il metodo sperimentale, essenziale per lo sviluppo della scienza.
La teologia di S.Agostino di Ippona (354 – 430 d.c.) incoraggiò lo studio sistematico del mondo naturale, poiché egli credeva che la sua natura sacramentale fosse simbolo delle verità spirituali.
Egli era un grande osservatore dei fenomeni naturali, sempre attento ad ogni cosa che desse persino una fuggevole intuizione della Ragione dietro tutte le cose.
Le leggi della natura sono oggettive e inesorabili, immutabili per noi ma non per Dio. Egli incoraggiò lo studio della natura e la ricerca delle sue leggi per conoscere il libro della natura: ”Guarda sopra e sotto, annota, leggi. Dio, che tu vuoi scoprire, non ha scritto le lettere in inchiostro;Egli ha messo di fronte ai tuoi occhi le cose che ha fatto”. Seguendo Platone, riconobbe l’importanza della matematica, dicendo che le leggi della natura sono leggi di numeri. C’è una trama razionale nella natura che deriva da leggi immutevoli che governano il suo sviluppo attraverso il tempo. Egli fu interessato allo studio della natura principalmente perché rivela Dio
all’osservatore attento. Le sue riflessioni filosofiche sulla natura del tempo sono ancora quotate come le più profonde mai scritte.

All’inizio del VI° sec. d.c. Giovanni Philoponus un seguace cristiano di Platone, che viveva ad Alessandria, scrisse ampiamente sul mondo materiale, mostrando l’influenza delle credenze cristiane su quelle del mondo pagano circostante, particolarmente su quelle derivanti dall’Antica Grecia. Egli commentò ampiamente Aristotele, che ammirava molto, ma quando l’insegnamento di Aristotele era contrario al credo cristiano non esitò a distaccarsene.

Questo fu particolarmente importante nel suo commento sulla fisica aristotelica,dove disse, contrariamente ad Aristotele, che tutti i corpi cadevano nel vuoto alla stessa velocità, indipendentemente dal loro peso, e che i corpi lanciati si muovevano attraverso l’aria non a causa del moto dell’aria ma perché ad essi era stata inizialmente data una certa quantità di moto.
 Questa è una notevole anticipazione delle idee normalmente associate a Galileo e mostra una decisa rottura con la fisica aristotelica. Egli non fu il primo scrittore dell’antichità a rompere con Aristotele ma lo fece chiaramente e decisamente.
Il legame tra il suo rifiuto delle idee aristoteliche e le sue credenze cristiane deve essere trovato nella dottrina della creazione.
Riguardo alla questione del movimento egli chiese non potrebbe Dio, loro creatore, dare al sole, alla luna e alle stelle, una certa forza cinetica, allo stesso modo nel quale cose leggere e pesanti ricevono la loro tendenza a muoversi?”.
Egli credeva anche che le stelle non fossero fatte di etere ma di materia ordinaria, rifiutando così la distinzione aristotelica tra materia terrestre e materia celeste:
Questo mostra, molto chiaramente, che le credenze cristiane circa il mondo sono incompatibili con le credenze aristoteliche sulla divinità della materia celeste e sull’eternità del moto. Era così inevitabile che il diffondersi della cristianità dovesse condurre, alla fine, alla distruzione della fisica aristotelica, aprendo la strada alla scienza moderna.
Questo non vuol dire, comunque, che le credenze cristiane diano delle specifiche direttive per lo sviluppo della scienza, bensì la rimozione di ostacoli è di per se stessa un servizio non indifferente. Phinoponus fu anche il primo a dire che la Genesi fu scritta per istruzione spirituale e non scientifica, un’affermazione saggia che era di gran lunga in anticipo sul suo tempo per essere congeniale ai teologi contemporanei.
Questa audacia teologica forse spiega perché le sue idee non condussero ad ulteriori sviluppi scientifici.
Le sue idee sul movimento sono notevolmente simili a quelle di Buridan e di Oresme nell’AltoMedioevo che riuscirono ad iniziare l’avventura scientifica.”

Per leggere tutto l’articolo : L’origine Cristiana della Scienza


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cristianesimo, scienza - articoli


 Grazie Milosz !!!
per  questa testimonianza
***
Czeslaw Milosz, da Il cagnolino lungo la strada, Adelphi.
Il filosofo

Questo filosofo era ateo, ovverosia non scorgeva nell'esistenza dell'universo alcun segno che rimandasse a una causa prima. Le ipotesi scientifiche potevano farne a meno, e quelle, e non altro, egli aveva eletto a fonte di conoscenza sulla natura delle cose, malgrado i dubbi che nutriva sul loro metodo. In verità, nonostante la considerazione in cui teneva la scienza, non apparteneva alla schiera di sognatori convinti che un giorno la ragione avrebbe consentito all'uomo di edificare una società perfetta.

L'unica occupazione che reputava degna di un filosofo era la riflessione sul senso della religione. A chi gli obiettava che, così facendo, cadeva in contraddizione, replicava che l'uomo è un essere contraddittorio in sé; dunque occupandosi di religione, agiva in modo conforme alla sua natura di uomo.

Nella religione era racchiusa, a suo avviso, tutta la magnificenza e tutta la dignità dell'uomo. Che un essere così insignificante, così irreparabilmente mortale, avesse creato il bene e il male, l'alto e il basso, i cieli e gli abissi, gli appariva inesplicabile e degno della più alta ammirazione. In tutto l'universo, in tutta la sua inimmaginabile vastità, non vi era un solo briciolo di bene, di pietà, di compassione, e le domande dettate da un intimo bisogno del cuore umano non trovavano risposta alcuna. I fedeli delle principali religioni non rivolgevano, a parere del filosofo, sufficiente attenzione alla condizione di totale solitudine cui era condannata la coscienza dell'uomo sotto il cielo stellato. E ancor meno propensi a farlo erano i seguaci delle varie specie di sciamanismo, che umanizzavano la Natura e cancellavano il confine fra l'uomo e l'animale.

Notevoli difficoltà creava al filosofo il bello, soggetto alla sovranità della dea Venere, ossia la forza stessa della Natura. Aveva scritto un libro in cui argomentava che il bello esiste solo là dove le forme e i colori chiamati in vita dalla dea Venere incontrano la vista e l'udito dell'uomo, due sensi dotati di un magico potere trasfigurativo.

Non tutte le religioni erano poste sullo stesso piano dal filosofo. Più in alto collocava quelle in cui l'opposizione tra l'uomo e l'ordine naturale delle cose era più netta, e in cui affrancandosi da quest'ordine l'uomo poteva ottenere la Salvezza. La religione somma era per lui il cristianesimo, e subito dopo il buddismo, poiché entrambe santificavano un tratto esclusivo dell'uomo, la compassione, a dispetto del volto di pietra del mondo.
Cosa può esserci di più umano del Dio del cristianesimo, che si incarna sapendo che il mondo di pietra lo punirà con la morte? Poiché il Figlio regnava prima dei secoli, e in nome Suo fu creata ogni cosa, ne consegue che la forma e il cuore dell'uomo dimoravano nel grembo stesso di Dio, e soffrivano vedendo il mondo, originariamente buono, corrotto dalla morte a seguito della Caduta.

La deferenza del filosofo era rivolta innanzitutto alla Chiesa Cattolica Apostolica Romana, i cui due millenni di storia rappresentavano da soli un valido argomento. Nel suo secolo aveva assistito ad attacchi furiosi lanciati contro quella roccaforte dalle potenze infernali. Come umanista, avrebbe dovuto rallegrarsi per l'indebolimento dei divieti che inibivano le innate pulsioni umane, e invece chinava la fronte dinanzi al papa, che aveva il coraggio di porre, apertamente e a gran voce, contro il mondo intero, il "segno di contraddizione".

Persuaso che la civiltà sia minacciata dallo sfacelo se le viene a mancare il vincolo di un'unica verità, nei suoi discorsi in pubblico il filosofo si schierava sempre dalla parte dei moniti provenienti dal Vaticano. Non nascondeva che, sebbene gli fosse negata la grazia della fede, avrebbe voluto essere annoverato fra gli operai della vigna del Signore.

Pope John Paul II and Czeslaw Milosz

Postato da: giacabi a 09:03 | link | commenti (1)
cristianesimo, milosz

mercoledì, 02 maggio 2007
Eliot:
 profezia di un cristiano
Luigi Giussani
***
Tracce N. 6 > giugno 1996
Proponiamo alcuni brani del capitolo su «Coscienza della Chiesa nel mondo moderno nei Cori da "La Rocca" di T. S. Eliot», dall'ultimo libro di Luigi Giussani, Le mie letture, edizioni Bur-Rizzoli. L'Incarnazione: un fatto nel tempo e nella storia. L'avvenimento di Cristo si compie in un popolo
Il mondo non solo non vuole la Chiesa, ma la perseguita.
E che volete - dice, infatti, Eliot -, volete forse che il mondo accetti la Chiesa? Perché deve accettarla?
«Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perché dovrebbero amare le sue leggi? / Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare./ È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri./ Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli./ Essi cercano sempre d'evadere/ dal buio esterno e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono».
Gli uomini che perseguitano la Chiesa, sognano l'eliminazione della libertà, perché l'estremo ideale di questo mondo è creare un mondo di automi:
«Sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono».
L'ultima, la più profonda accusa di Eliot:
dove sta la radice vera di tutta questa ostilità e di questo disegno? La rinuncia a Cristo. La ribellione a Cristo e, quindi, la eliminazione di Dio
perché, come aveva già detto Nietzsche, se aboliamo Cristo, aboliamo Dio. (...)
Dunque la Straniera sembra dimenticata e avversata in un'epoca di uomini «impegnati a ideare il frigorifero perfetto», «a risolvere una morale razionale», «a far progetti di felicità e a buttar via bottiglie vuote,/ passando dalla vacuità di un febbrile entusiasmo/ per la nazione o la razza o ciò che voi chiamate umanità».
«O anima mia - dice il poeta - che tu sia pronta per la venuta della Straniera,/ che tu sia pronta per colei che sa come fare domande». Del resto, il Coro ricorda agli uomini, che non vogliono sentire quelle domande, che possono «eludere la Vita ma non la Morte». Anch'essa indica la strada verso il tempio.
«Non rinnegherete la Straniera», conclude il III Coro. È una grande responsabilità ed è un'affascinante missione per la nostra meschinità. (...)
È a questo punto l'a fondo di Eliot, già citato, sulla considerazione degli uomini moderni sulla Chiesa: «
Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa?».
«Essi
[gli uomini che non vogliono la Chiesa] cercano sempre d'evadere/ dal buio esterno e interiore [perché se non ci sono criteri oggettivi di bene e di male c'è buio e confusione]/
sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono».
Tutti sognano strutture sociali che abbiano un esito buono a prescindere dalla libertà. Nessuno più avrebbe bisogno d'essere buono. «Ma l'uomo che è adombrerà/ l'uomo che pretende di essere». L'uomo così come è sfaterà sempre le visioni delle ideologie che pretendono di essere. «
E il Figlio dell'Uomo non fu crocefisso una volta per tutte/ il sangue dei martiri non fu versato una volta per tutte,/ le vite dei Santi non vennero donate una volta per tutte (...). E se il Tempio dev'essere abbattuto /dobbiamo prima costruire il Tempio».
È la pagina più chiara sull'antitrionfalismo. Tante volte, noi siamo accusati di trionfalismo per la nostra volontà di affermazione del fatto cristiano nel tempo e nello spazio, nella storia. Invece, è profondamente antitrionfalista la nostra volontà di costruire.
Perché l'idea della storia che ha il cristianesimo è questo possibile continuo ripetersi di cicli e di abbattimenti. Perciò
«se il sangue dei Martiri deve fluire sui gradini/ dobbiamo prima costruire i gradini».
Il nostro costruire i gradini non è trionfalismo, anzi. E se il Tempio deve essere distrutto, bisogna prima costruirlo. La nostra volontà di costruire il Tempio non è trionfalismo.
Forse non sarà inutile, a questo punto, rileggere (...) il Coro VII, ove il poeta traccia in sintesi splendida la storia delle religioni.

In principio Dio creò il mondo. Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre erano sopra la faccia dell'abisso.
[deserto perché non c'è uomo, vuoto perché non c'è senso, perché il senso viene percepito nella coscienza dell'uomo].
E quando vi furono uomini, nei loro vari modi lottarono in tormento alla ricerca di Dio
Ciecamente e vanamente, perché l'uomo è cosa vana, e l'uomo senza Dio è un seme nel vento, trascinato qua e là e non trova luogo dove posarsi e dove germinare.
Essi seguirono la luce e l'ombra [l'apparente], e la luce li condusse verso la luce e l'ombra li condusse verso la tenebra,
Ad adorare serpenti ed alberi, ad adorare demoni piuttosto che nulla: a piangere per la vita oltre la vita, per un'estasi non della carne.
Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell'abisso.

E lo Spirito si muoveva sopra la faccia delle acque.
E gli uomini che si volsero verso la luce ed ebbero conoscenza della luce
Inventarono le Religioni Maggiori; e le Religioni Maggiori erano buone
E condussero gli uomini dalla luce alla luce, alla conoscenza del Bene e del Male.
Ma la loro luce era sempre circondata e colpita dalle tenebre (...)
E giunsero a un limite, a un limite estremo mosso da un guizzo di vita,
E giunsero allo sguardo rinsecchito e antico di un bimbo morto di fame.
[riti che non avevano nessuna capacità di ravvivare l'umano]
Preghiere scritte in cilindri girevoli, adorazione dei morti, negazione di questo mondo, affermazione di riti il cui senso è dimenticato
[il contrario di ciò per cui sono sorti: alla ricerca del senso]
Nella sabbia irrequieta sferzata dal vento, o sopra le colline dove il vento non farà mai posare la neve.
Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell'abisso.
[è ritornato il deserto e il vuoto, si è confermato il deserto e il vuoto: sopra, dentro, sotto, intorno a tutti i tentativi di interpretazione umana, le religioni maggiori].

Quindi giunsero, in un momento predeterminato, un momento nel tempo e del tempo,
Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo, in ciò che noi chiamiamo storia: sezionando, bisecando il mondo del tempo, un momento nel tempo ma non come un momento di tempo,
Un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c'è tempo, e quel momento di tempo diede il significato.
Quindi sembrò come se gli uomini dovessero procedere dalla luce alla luce, nella luce del Verbo.

Attraverso la Passione e il Sacrificio salvati a dispetto del loro essere negativo;
Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima,
Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce;
Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un'altra via .
[la lotta ascetica è stata introdotta nel mondo dal cristianesimo]

Ma sembra che qualcosa sia accaduto che non è mai accaduto prima: sebbene non si sappia quando, o perché, o come, o dove.
Gli uomini hanno abbandonato Dio non per altri dei, dicono, ma per nessun dio; e questo non era mai accaduto prima
Che gli uomini negassero gli dei e adorassero gli dei, professando innanzitutto la Ragione,
E poi il Denaro, il Potere, e ciò che chiamano Vita, o Razza, o Dialettica
.
La Chiesa ripudiata, la torre abbattuta, le campane capovolte, cosa possiamo fare
Se non restare con le mani vuote e le palme aperte rivolte verso l'alto
In una età che avanza all'indietro, progressivamente?
(...)
Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell'abisso
[è ritornato come al principio]
È la Chiesa che ha abbandonato l'umanità, o è l'umanità che ha abbandonato la Chiesa?
Quando la Chiesa non è più considerata, e neanche contrastata, e gli uomini hanno dimenticato
tutti gli dei, salvo l'Usura, la Lussuria e il Potere
.


L'avventura cristiana è un dramma storico, della storia, nella storia.()

Gesù non era venuto per dominare il mondo. Era venuto per salvare il mondo. Il proprio del cristianesimo è questo incastro delle due parti tanto inverosimile: il temporale nell'eterno e l'eterno nel temporale.


(L. Giussani, Le mie letture, Bur-Rizzoli, pp.109-131

Postato da: giacabi a 17:40 | link | commenti
chiesa, nichilismo, cristianesimo, eliot

Tutta CL prega
per monsignor Bagnasco
***

«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me» (Gv 15,18). Di fronte al clima di ostilità contro la Chiesa che ha fomentato scritte ingiuriose e minacce contro il presidente della Cei, tutto il movimento di Comunione e Liberazione si sente vicino a monsignor Bagnasco e prega per lui. La sua difesa della verità dell’uomo immagine di Dio è un giudizio con cui tutti dovrebbero paragonarsi con lealtà. Per questo gli diciamo grazie per il coraggio della sua testimonianza.




Postato da: giacabi a 17:05 | link | commenti
cristianesimo

sabato, 28 aprile 2007
La  Chiesa generatrice
della Dignità  della persona
 ***
Tempi num.17 del 26/04/2007
Intervista

Nè ateo nè devoto
Il direttore del Foglio racconta l'ultimo libro di Benedetto XVI.
E se stesso, come non ha mai fatto prima

di Tempi

Per gentile concessione di Radio Maria, pubblichiamo ampi stralci dell'intervista del professore e sociologo Paolo Sorbi al direttore del Foglio Giuliano Ferrara, andata in onda giovedì 19 aprile.
«….. Ieri ho presentato alla Lateranense insieme a monsignor Stanislaw Rylko, a monsignor Giampaolo Crepaldi e a monsignor Rino Fisichella il libro di Camillo Ruini che è stato pubblicato adesso dall'editore Cantagalli e che contiene sia una bellissima lezione sul pensiero di Ratzinger tenuta al clero romano dopo il discorso di Ratisbona, sia un saggio portante sulla nuova questione antropologica. Quindi sono preparato.
Ruini cita due bellissime frasi di
Karl Lowith , pensatore e filosofo di straordinaria energia, un libro della prima metà degli anni Quaranta che si chiama Da Hegel a Nietzsche, cioè come si è andati dalla razionalizzazione assoluta del mondo e dalla filosofia dello spirito, al nichilismo nietzsciano. Lowith non è un cattolico, è un ebreo, ha avuto anche rapporti con Leo Strauss, epistolari famosi che sono stati pubblicati, ed è un osservatore molto acuto. Cosa dice? Una cosa molto semplice: guardate che il fatto che siamo tutti esseri umani, tutti uomini, non è naturale, non nasce nel mondo naturale generico, nasce nel mondo cristiano. Questo riconoscimento della universale dignità della persona nasce nel mondo cristiano. E poi aggiunge drammaticamente: con l'affievolirsi della forza del cristianesimo e della sua presa sul mondo, con l'indebolirsi, come dice Ruini, dell'attesa di salvezza, si è indebolita anche questa percezione dell'umano. è tutta qui la nuova questione antropologica. Il problema non è di rispolverare dalle biblioteche i testi dell'umanesimo, ma è di guardarsi in faccia. Allora, se possiamo selezionare la vita in modo eugenetico - e questa è una caratteristica che il mondo contemporaneo ha avuto sia nelle social democrazie laiche del nord o protestanti, sia nel mondo anglosassone e in America, diciamo nel mondo liberale, sia nel nazismo, lo sperimentalismo e la concezione dell'uomo come oggetto e il razzismo del Terzo Reich. Quindi, se possiamo fare questo, e lo possiamo fare in modo sempre più certificato e tecnicamente avanzato nei nostri laboratori, se possiamo permetterci un miliardo di aborti negli ultimi trenta anni, se possiamo permetterci una nozione della vita per cui l'uomo è solo corpo, solo i suoi referti clinici, le sue malattie, le sue carotidi otturate, il suo bisogno sessuale oggettivato in matrimoni che falliscono uno dopo l'altro, e questa sua ansia d'amore si disperde nel dualismo tra il suo io sempre più debole e il suo corpo sempre più forte, sempre più possente (e qui segnalo un racconto di Philip Roth che si chiama Everyman). Se il cristianesimo si è indebolito, se il primato del corpo insieme ai progressi della tecnoscienza stanno facendo di noi quello che stanno facendo di noi, cioè una civiltà decadente, in profonda e radicale crisi in relazione ai criteri che distinguono il bene dal male. bè la questione va affrontata, va presa per i capelli e va riproposta a tutti gli uomini di buona volontà e va trattata, discussa, pensata nel fuoco delle grandi battaglie contemporanee che sono anche battaglie sulle leggi, sulla dimensione pubblica dell'esistenza, su ciò che si può e non si può fare. In questo senso, la Chiesa, che non è un agente politico, come ha ben detto Ratzinger a Verona, è però l'unica tribuna dalla quale si può ripensare civilmente e politicamente la condizione del mondo contemporaneo a partire dal fatto che è fortemente offuscata una nozione credibile dell'uomo. Cioè quell'incontro di ragione, libertà e fede, o verità


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persona, cristianesimo

venerdì, 27 aprile 2007
La Bellezza del cristianesimo
***
 Sabato 24 marzo 2007. Roma, Piazza San Pietro
Saluto al Santo Padre Benedetto XVI di don Julián Carrón

presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione
“…… Noi siamo affascinati dalla bellezza di Cristo, resa persuasiva dall’intensità contagiosa di don Giussani, fino al punto che ciascuno di noi può ripetere con Jacopone da Todi: «Cristo me trae tutto, tanto è bello». Questa bellezza del cristianesimo noi l’abbiamo scoperta senza tralasciare niente di quello che è autenticamente umano. Anzi, per noi vivere la fede in Cristo coincide con l’esaltazione dell’umano. Tutto il tentativo educativo di don Giussani è stato mostrare la corrispondenza di Cristo con tutte le autentiche esigenze umane. Egli era convinto che solo una proposta rivolta alla ragione e alla libertà, e verificata nell’esperienza, fosse in grado di interessare l’uomo, perché l’unica in grado di fare percepire la sua verità, cioè la sua convenienza umana. Così ci ha mostrato come è possibile vivere la fede da uomini, nel pieno uso della ragione, della libertà e dell’affezione. Noi vogliamo seguire le sue orme.
Don Carron

Postato da: giacabi a 07:43 | link | commenti (5)
bellezza, cristianesimo, giussani, carron, senso religioso

giovedì, 26 aprile 2007
 PER INCONTRARE L’ISLAM TORNIAMO A CRISTO 
***
Da : Il Timone - rivista di apologetica dicembre 2006


di P.Piero Gheddo

     L’Occidente deve riflettere su questo fatto: i popoli musulmani ci vedono come ricchi, democratici, tecnicizzati, istruiti, ma anche come atei, aridi, cinici, senza regola morale. Ritengono di avere una missione storica da compiere: venire in Occidente per dare un’anima alla nostra civiltà, convertendoci in un modo o nell’altro ad Allah. E’ un concetto ripetuto continuamente dalla stampa dei paesi islamici, nelle moschee e scuole coraniche, ma  non c’è mai sulla stampa italiana. I musulmani vedono l’Occidente cristiano come un pericolo per la loro fede: sono attirati dal mondo moderno, ma ne hanno anche paura! Vogliono la nostra tecnologia e il progresso ad essa legato, ma non vogliono i nostri valori umani e religiosi, senza capire che lo sviluppo è collegato ai valori supremi di una civiltà.
    Scrive l’egiziano Magdi Allam (Corriere della Sera, 13 agosto 2006): “E’ vero che è una minoranza quella che pratica il terrorismo islamico, ma c’è una maggioranza di musulmani che condivide la loro ideologia fascista”. L’11 settembre 2001 ero in Bangladesh nel lebbrosario di Dhanjuri. Le Missionarie dell’Immacolata che curano i lebbrosi quel giorno non avevano ascoltato la radio: non ho saputo nulla degli attentati suicidi alle due Torri di New York. Il giorno dopo, andando in auto a Dinajpur, migliaia di persone manifestavano in corteo col volto gioioso e trionfante. Mentre l’Occidente era inorridito davanti alla televisione e a quelle scene spaventose, le folle dell’islam scendevano in piazza per esprimere la loro gioia per la vittoria contro “il grande Satana” (come Khomeini definiva gli Stati Uniti)!
    La nostra responsabilità sta nella decadenza della società, delle famiglie. L’Occidente presenta questi gravi sintomi di decadenza: diminuzione della popolazione, bassi tassi di crescita, di risparmio, consumi individuali e collettivi superiori agli investimenti; degrado morale: aumento di comportamenti antisociali (omicidi, droga, violenza in generale), decadimento della famiglia (divorzi, famiglie di single e di omosessuali), l’indebolimento dell’impegno nel lavoro e nello studio, la tendenza dell’Europa a non riconoscere le proprie radici cristiane.
L’Europa e l’America tentano di promuovere la cultura occidentale (diritti dell’uomo e della donna, democrazia, libertà di pensiero e di religione, valore della singola persona, giustizia sociale, stato di diritto), ma sempre più diminuisce la loro capacità di realizzare questo obiettivo.
    Perché questa decadenza? L’Occidente ha abbandonato Dio ed è diventato “una civiltà volta alla sua stessa distruzione” diceva il card. Ratzinger in una sua conferenza. Nel gennaio 2006 sono tornato da un viaggio in Senegal, Mali e Guinea Bissau, dove ho vissuto per un mese fra popolazioni povere, con un livello di istruzione e di vita molto inferiore al nostro. Eppure sono popoli che danno l’impressione di una serenità e gioia di vivere che certamente noi italiani non abbiamo più. Tornando in Italia vedo molta gente triste, pessimista, scoraggiata. E’ un’esperienza che faccio spesso. Sarebbe sbagliato dire che è meglio la loro condizione della nostra, ma certamente si può dire che la povertà educa più della ricchezza ad alcune virtù umane fondamentali per vivere bene: cordialità, solidarietà, saper gioire di quel poco che c’è, amore alla famiglia e al villaggio, profondo senso religioso nella vita, ecc. Un parroco al quale chiedo come va la sua grande parrocchia mi dice:
Oggi l’idolo è il denaro; in passato prevalevano altri idoli: l’ideologia, il sesso, la gloria umana, ma oggi è il denaro”. Noi trasmettiamo ai giovani il falso ideale che deprime la nostra civiltà: di avere sempre di più e che quel che conta è divertirci e occupare i primi posti.
    La nostra civiltà è questa: siamo ricchi, democratici, liberi, istruiti e laureati, scientificamente avanzati, con leggi perfette (o quasi), ma vuoti dentro. Il cardinale arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi diceva che “i bolognesi sono sazi e disperati”. In questa situazione esistenziale, che rende la nostra società sempre più individualista e arida, noi incontriamo la provocazione dell’islam che si propone, con ogni mezzo (crescita demografica ma anche “guerra santa” e terrorismo), di ricondurci alla fede in Dio. Su questa realtà l’Occidente dovrebbe riflettere e decidere se non è questo il momento di tornare a Dio e a Gesù Cristo. Siamo proprio convinti che il laicismo esasperato, che toglie (o vuol togliere) i crocifissi dalle scuole e dagli ospedali e non parla mai di problemi religiosi in giornali e Tv, che esalta l’esasperazione del sesso e privilegia il divertimento sull’impegno nel lavoro; siamo proprio convinti che sia il sistema migliore per preparare il futuro della nostra Italia?
      L’islam si definisce non in termini di libertà ma di sottomissione a Dio. E se fosse proprio questo l’ideale a cui ritornare per umanizzare la nostra civiltà e per incontrare l’islam? Ritornare a Dio senza rinunziare alla nostra libertà, anzi proprio in forza della nostra libertà di scelta, perché convinti che la vera libertà sta nella totale e libera sottomissione alla volontà di Dio e alla Legge divina. Chesterton ha scritto: “Dio ha creato l’uomo e gli ha dato i Dieci Comandamenti come via da seguire per realizzare se stesso. Volete che non sapesse qual è il vero bene dell’uomo?”.  
     La sfida dell’islam va presa sul serio. All’inizio del novecento i musulmani nel mondo erano circa 300 milioni, oggi un miliardo e 300 milioni. L’Italia è passata da 38 a 58 milioni e oggi noi italiani diminuiamo di circa 100.000 l’anno (siamo in leggero aumento solo per l’ingresso e le nascite di terzomondiali!).
In un mondo occidentale che perde il senso dei valori assoluti, la testimonianza del primato di Dio ci fa comprendere i valori storici che l’islam porta con sé, anche se in tanti modi sbagliati, condannabili, che giustamente noi rifiutiamo:   
    1)
La presenza di Dio nella vita del singolo uomo, nella famiglia, nella società. I musulmani ci insegnano il ”senso religioso” dell’esistenza, la coscienza che l’uomo è una creatura piccola e debole: deve dipendere dal suo Creatore.
    2) La fede è il più grande dono di Dio all’uomo, che dobbiamo chiedere e conservare con la preghiera e l’osservanza della Legge di Dio. In Pakistan un dottore laureato in Europa mi diceva: “Noi preghiamo cinque volte al giorno, voi italiani come fate a vivere senza pregare?”.
    3) La fede non è solo una scelta e un fatto personale e privato (noi abbiamo quasi  vergogna a mostrarla), ma crea l’appartenenza ad una comunità di credenti e a tutta l’umanità creata dallo stesso Dio; quindi forti vincoli di amore e di aiuto vicendevole.
     Come tutto questo potrebbe essere realizzato nella nostra società, ecco il tema da dibattere, discutere, proporre per dare una svolta alla decadenza dell’Occidente. E’ necessario accendere una luce di speranza sul nostro cammino storico.

Postato da: giacabi a 21:26 | link | commenti
islam, cristianesimo, gheddo

domenica, 22 aprile 2007
 IL PAPA PELLEGRINO DAL SANTO “PECCATORE”
***
’ IMPORTANTE (PER NOI) CAPIRE IL PAPA CHE VA DA SANT’AGOSTINO …21.04.2007
Il viaggio di Benedetto XVI a Pavia ha un significato speciale che provo a spiegare nell’articolo sottostante questa nota. Oggi il mondo cattolico e la Chiesa rischiano – senza neanche accorgersene – di essere di fatto “pelagiani” (l’antica eresia combattuta da Agostino), come Ratzinger – da cardinale – ebbe a ripetere varie volte. Sarà molto interessante leggere gli interventi del Papa.
Nel frattempo consiglio di leggere sant’Agostino che rappresenta uno straordinario aiuto per dare ragione della nostra fede. Pensate – ad esempio – a tutte le polemiche scatenate da vari libri (di scarso rigore scientifico) sulla figura di Gesù e sulla storicità e attendibilità dei Vangeli. Ci sono da dare naturalmnte molte risposte nel merito (documentandosi), ma la risposta principale può e deve darla qualunque cristiano. La prova che Gesù è veramente risorto ed è vivo sta nell’esperienza, nella possibilità oggi di fare esperienza della sua presenza viva fra noi, presenza tangibilissima.

Agostino, 1600 anni fa, scriveva che, certo, noi oggi non siamo nella Giudea dell’anno 30, quando era possibile incontrare Gesù. Ma non è diverso da allora. E’ esattamente tutto come allora. Sant’Agostino si rivolge così ai pagani: “la nascita dalla Vergine, i miracoli, la passione, la resurrezione, l’ascensione di Cristo e tutte le cose divine da Lui dette e fatte, tutto questo voi non l’avete visto, perciò vi rifiutate di crederlo
. Guardate dunque, volgetevi, pensate a ciò che vedete e che non vi è narrato come fatto del passato, ma vi è mostrato come realtà del presente… Tutte quelle cose che riguardo a Cristo sono state già fatte e sono passate, non le avete viste, ma non potete negare di vedere queste che sono presenti nella sua Chiesa”. Infatti “anche oggi comunque accadono miracoli nel suo nome” (De fide rerum invisibilium). Il grande santo, padre della Chiesa, dice in una sua omelia: nelle nostre mani abbiamo le Sacre Scritture, nei nostri occhi i fatti”. Basta aprire gli occhi e il cuore…



IL PAPA PELLEGRINO DAL SANTO “PECCATORE”

di Antonio Socci


Agostino, studente a Cartagine, a 17 anni inizia a convivere – una “coppia di fatto” – con una giovane nordafricana che amerà per 14 anni avendo da lei anche un figlio (all’età di 18 anni). Chi è questo giovane “avventuriero” che in pochi anni diventa uno degli intellettuali più brillanti di Roma e di Milano? Si tratta di Agostino d’Ippona, colui che – convertendosi a 32 anni - diventerà uno dei più grandi santi della storia della Chiesa, il più grande fra i padri e dottori della Chiesa, colui alla cui tomba, a Pavia, Benedetto XVI oggi va a in pellegrinaggio (Ratzinger si laureò con una tesi su di lui e ha sempre considerato Agostino come il suo maestro).

Giuliano Vigini nel libro “Sant’Agostino”, che ha la prefazione proprio di Joseph Ratzinger, scrive che quella “unione di fatto ottiene il risultato di porre un freno al dilagare delle passioni amorose di Agostino e diventa un elemento equilibratore nella sua vita affettiva”. Nel 1998 il senatore Andreotti, presentando con il cardinal Ratzinger un libro sull’attualità di sant’Agostino, disse: “Mi ha colpito una cosa leggendo l’Enciclopedia Cattolica: laddove si parla di Sant’Agostino si dice testualmente che, quando andò a Cartagine, questo giovane diciassettenne ‘si piegava a una certa regola, unendosi senza matrimonio, con una grande fedeltà, alla donna madre del suo figlio’ ”. E’ il caso di ricordare che l’Enciclopedia Cattolica è un’opera assolutamente ortodossa, addirittura emblematica del pontificato di Pio XII. Quelle considerazioni la dicono lunga sulla saggezza della Chiesa che non è per niente impaurita dalla vita e dall’umano (come oggi caricaturalmente la si vuol rappresentare) e sa cosa è l’uomo senza la Grazia di Cristo.

In una delle sue prime interviste da papa, Benedetto XVI disse:
“il cristianesimo, non è un cumulo di proibizioni, ma una opzione positiva…questa consapevolezza oggi è quasi completamente scomparsa”.
Insomma la Chiesa è una possibilità di vita più umana, più appassionante e felice di qualunque esistenza senza Cristo.

Come scoprì e poi proclamò Agostino che, pur essendosi convertito giovane, a 32 anni, prima aveva sperimentato – scrive il Papa - “quasi tutte le possibilità dell’esistenza umana… Il suo temperamento passionale” ricorda Ratzinger “gli fece imboccare numerose strade”.

Ma di fronte a tutte le “avventure” che precedono il battesimo, Ratzinger non mette affatto la sordina, né le derubrica a errori su cui stendere un pietoso velo. Al contrario nella prefazione al libro di Vigini, per spiegare la grandezza dell’opera teologica di Agostino, l’attuale Papa scrive che
“la sua teologia (di Agostino) non nacque a tavolino, ma venne sofferta e maturata nell’odissea della sua vita”.

Aggiunge perfino che non sono le teorie bensì le persone quelle che rendono credibile un modo di vivere” e Agostino “è così umano, così credibile proprio perché la sua vita non ebbe un andamento lineare e le sue risposte non furono solo teorie”. Ma come possono il Papa e la Chiesa indicare come esempio un uomo che ha percorso tante vie di peccato? Quello che in realtà indicano come esempio è il suo desiderio inappagato di verità e felicità. Perché - spiega Ratzinger – Agostino fu sempre leale col suo cuore e non si accontentò mai di “felicità” fittizie, finché non gli si rivelò la vera Felicità (ed era Gesù Cristo stesso). “Solo questo egli non poté e non volle mai” scrive Ratzinger “accontentarsi di una normale esistenza piccolo-borghese. La ricerca della verità bruciava in lui con troppa passione perché egli potesse accontentarsi di spendere la vita in modo convenzionale”. In effetti Agostino riconosceva (anche per tutte le sue peripezie intellettuali oltreché esistenziali) cos’era la vita in se stessa: “tutto quello su cui posavo lo sguardo era morte… Ero infelice, in un profondissimo tedio della vita e la paura della morte… Io costituivo per me stesso un luogo desolato, dove non potevo stare e da cui non potevo fuggire. Non c’era sollievo né respiro in nessun luogo”.


Da questo “nulla” – come racconta nelle Confessioni – fu portato alla vita vera attraverso una serie di incontri decisivi a Milano con persone innamorate di Cristo: con Ambrogio, con Simpliciano e una quantità di giovani che – perfino in accordo con le ex fidanzate – decidevano di scegliere la castità e la vita in comunità come gli apostoli (era il primo monachesimo). E’ lì che Agostino sente l’attrattiva di Gesù più forte dei piaceri carnali “perché ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te”. Così esplode in un nuovo sorprendente impeto di adesione: “mi avevi infatti così convertito a Te, che io non pensavo più a cercarmi una moglie”. Quindi “fummo battezzati” (lui, con il figlio e gli amici) “e si
dileguò da noi l’inquietiudine della vita passata. Tu, che fai abitare in una casa i cuori umani, il Tuo perdono sprona il cuore a non assopirsi nella disperazione, a non dire ‘non posso’, a vegliare invece nell’amore, investito dalla Tua misericordia, forza di me debole”.

La figura di Agostino è straordinariamente moderna. Su di lui esce in media nel mondo un libro al giorno. La sua riscoperta nella Chiesa, grazie a Benedetto XVI, potrà avere effetti straordinari. In che direzione? Nella “Sacramentum caritatis” il Papa ha scritto: “Con acuta conoscenza della realtà umana, sant'Agostino ha messo in evidenza come l'uomo si muova spontaneamente, e non per costrizione, quando si trova in relazione con ciò che lo attrae e suscita in lui desiderio”.


E’ un cambiamento di mentalità che Ratzinger da tempo chiede ai cattolici e che potrebbe trasformare la percezione che i moderni hanno della Chiesa. Don Giacomo Tantardini, che all’Università di Padova da ben dieci anni tiene un ciclo di lezioni sulla figura e l’opera di Agostino, ha indicato quella frase del papa come decisiva:
“il tempo della Chiesa è caratterizzato proprio da questa dinamica: l’incontro con un’attrattiva presente che corrisponde al desiderio dell’uomo”.


In particolare “sant’Agostino arriva a dire, seguendo san Paolo, che tutta la dottrina cristiana senza la delectatio e la dilectio, senza l’attrattiva amorosa della grazia, è lettera che uccide. Non è la cultura, neppure la dottrina cristiana, che può stabilire un rapporto con un uomo per il quale il cristianesimo è un passato che non lo riguarda. È qualcosa che viene prima della cultura. Questo qualcosa che viene prima sant’Agostino lo chiama delectatio e dilectio, cioè l’attrattiva amorosa della grazia… Questo diletto, questa felicità è il motivo e la ragione per cui si diventa e si rimane cristiani”.


Queste lezioni di Tantardini sono raccolte adesso in libro, “Il cuore e la grazia in S.Agostino” (Città nuova) che sarà presentato il 27 novembre prossimo a Padova dal patriarca di Venezia Angelo Scola, personalità molto rappresentativa della Chiesa di Benedetto XVI. Esse “costituiscono un ‘caso’ di grande interesse culturale” secondo l’agostiniano Nello Cipriani.
L’idea che si diventa e si rimane cristiani perché si prova un piacere nell’aderire a Gesù Cristo non è solo di Agostino ma anche di don Giussani, autore di un libro intitolato ‘L’attrattiva Gesù’. Io credo che don Giacomo Tantardini” scrive Cipriani “abbia colto la profonda consonanza esistente tra l’esperienza cristiana vissuta e proposta tanti secoli fa da sant’Agostino e quella proposta oggi da don Giussani”. Le sue pagine aiutano “gli ascoltatori e i lettori a scoprire o a riscoprire la bellezza e la gioia di un’autentica esperienza cristiana, che, al di là delle dottrine teologiche e dei riti religiosi, è soprattutto un incontro personale con Cristo, che, sempre vivo e presente, è capace ancora oggi di suscitare una profonda attrattiva nel cuore dell’uomo”.
E’ questo che Benedetto XVI annuncia a tutti.


Da “Libero”, 21 aprile 2007

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cristianesimo, sagostino

sabato, 21 aprile 2007
A proposito di Dico, di cattolici:
“adulti”, “progressisti” e “democratici
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«……gli avvenimenti ci impongono di scegliere con Cristo, o contro Cristo; o con la Fede dei nostri vecchi, o contro questa Fede.
Voi qui comincerete a ribellarvi e a dire che non si tratta di questo. Se ve lo dicessi io, povero prete qualsiasi, avreste ragione di ribellarvi. Ma quando i Pastori supremi che Dio stesso ha messo nel mondo per guidarci, quando cioè il Papa e tutti i Vescovi del mondo lanciano e ripetono con insistenza angosciosa il loro grido di allarme -sentite -o la Chiesa di Dio è impazzita o il grande pericolo c'è davvero. E non sapete che anch'io prete devo obbedire al Papa e ai Vescovi come qualsiasi vero Cristiano? (...) Per essere Cristiani bisogna ubbidire alla Chiesa. Gesù ha detto nel Vangelo: "Chi ascolta voi ascolta me; chi non ascolta voi non ascolta me". E non lo ha detto ai propagandisti o ai capi di nessun partito: lo ha detto al Papa e ai Vescovi. Ed ha soggiunto: "Qualunque cosa voi approverete sulla terra l'approverò anch'io nel cielo; qualunque cosa voi condannerete la condannerò anch'io".
Lo so che voi avete le vostre idee: ma ci sono dei momenti -e questo è uno -in cui bisogna saper rinunciare anche ad una propria idea politica per non tradire la propria Fede Cristiana.
Lo so che avete interessi o necessità economiche: ma è una ben triste illusione cercare il benessere o l'interesse economico in movimenti contrari alla legge di Dio.
Lo so che voi mi griderete: "Pensate a voi stessi che siete peggio degli altri". E avete ragione. E lo sappiamo anche noi; e siamo umiliati di dover sostenere la Divina Idea Cristiana, noi che siamo così disgraziati e cattivi; ma non siamo in gioco noi o la nostra cattiveria: è in gioco Dio e la Sua Chiesa. Se voi non votate per l'Idea Cristiana, voi votate non contro di noi, ma contro Gesù e contro la vostra Fede. (...) È per questo, amici, che con lo stesso affettuoso zelo con cui mi prodigo per i bambini, e con la stessa cordialità con cui sempre vi saluto, io vi prego: (...) non guardate a noi uomini che sosteniamo questa Idea e questo segno, non guardate alle nostre debolezze e alle nostre cattiverie personali: guardate alla vostra Chiesa e al vostro Signore.
E scusate.
 Il vostro Sempre affezionatissimo  Don Luigi Giussani».
Da:Don Giussani Vita di un amico
di Renato Farina  ed.Piemme

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dico, cristianesimo, giussani

venerdì, 20 aprile 2007
Tolto il cristianesimo
solo ruderi
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Roma (AsiaNews) – E’ culturale e religiosa, prima ancora che economica e politica la sfida che l’islam ha lanciato all’Occidente. “Ci ammirano per la tecnologia, l’economia, lo sviluppo e ci temono per la forza militare. Ma vedono nell’Occidente, e soprattutto nell’Europa, aridità, mancanza di figli, aborti, suicidi, matrimoni gay, insomma decadenza e loro hanno il compito di venire a dare un’anima allo sviluppo occidentale”. E’ quanto sostiene padre Piero Gheddo, missionario del PIME, nel suo “La sfida dell’Islam all’Occidente” (Ed. San Paolo, euro 9), frutto di una conoscenza maturata in più di 40 anni di viaggi.
“Quando si parla di sfida dell’islam – dice ad AsiaNews - si parla soprattutto di petrolio, di economia, di politica, di terrorismo. Tutto vero, però non è solo questo: la sfida è prima di tutto culturale e religiosa. Gli islamici sono popoli profondamente religiosi, anche se a volte in modo formalistico, come noi, peraltro, che vengono a contatto con noi, popoli che non hanno più Dio nel loro orizzonte. Così, da un lato ci ricattano col terrorismo, il petrolio, la demografia, per cui, ad esempio, si parla di invasione dell’Europa: in Germania i 7 milioni di turchi rappresentano il 10% della popolazione. Dall’altro lato, la sfida è religiosa: sono convinti di venire a dare un’anima al nostro sviluppo. Tutto ciò ci deve spingere a riflettere, invece quando si parla delle sfide islamiche si cercano risposte in interventi giuridici, militari, diplomatici, di blocchi economici”.
Ma perché lei vede una sfida in questo giudizio sull’Occidente da parte dei Paesi islamici?
Il risveglio islamico, che ha meno di un secolo, si è dato come meta, in buona parte dei musulmani, di istaurare il Califfato nei Paesi islamici e di conquistare il mondo. La decadenza umana prima ancora che morale dell’Occidente, suggerisce il compito. L’Occidente ormai non sa cosa vuole. Crollate le grandi ideologie che l’Occidente aveva inventato per sostituire Dio, è rimasto il vuoto. E loro vogliono riempirlo”
Lei parla di Paesi islamici come di una unità, ma in realtà ci sono tanti islam e profonde divisioni.
“Sono più di 40 anni che giro nei Paesi islamici, li ho visitati praticamente tutti, a parte quelli del Caucaso e pochissimi altri. Mi ha impressionato che pur essendoci molti islam: sciiti, sunniti, sufi, moderati, fautori della sharia, sono tutti uniti in questa lotta contro l’Occidente. A spingerli è soprattutto quella che chiamano l’immoralità dell’Occidente, reclamizzata dai giornali e insegnata nelle scuole. Libri di testo e insegnanti insistono che l’Occidente è forte militarmente ed economicamente, ma è vuoto. E’ un giudizio cambiato nel tempo. I nostri missionari in Bangladesh, ad esempio, raccontano che negli anni ’40, quando sono arrivati, c’era ammirazione, paura, magari antipatia, ma non odio, si viaggiava tranquillamente. Poi forse il petrolio, forse Israele, ma è venuto l’odio. Bin Laden non è nato per caso”.
Ma molti Paesi islamici condannano Al Qaeda e il terrorismo.
Anche nei Paesi moderati, le scuole islamiche, le madrasse, insegnano il Corano, ma soprattutto la lotta all’Occidente. Da lì, i migliori, magari poveri, vengono mandati alle scuole di formazione dei guerrieri dell’islam. Per noi saranno terroristi, ma le loro immagini sono nelle scuole, sono ‘i martiri dell’islam’. Non si dice mai quanto tutto questo abbia creato una mentalità profondamente antioccidentale nei popoli islamici, terreno maturo per il moltiplicarsi del terrorismo. Per anni Saddam Hussein e Gheddafi hanno versato 20/25mila dollari alle famiglie dei kamikaze. Sono convinto che ora altri continuano a farlo. Perché il terrorismo è parte della lotta contro l’occidente”.
Se questo è il quadro, cosa dovrebbe fare l’Occidente?
“L’Occidente dovrebbe capire qual è la sfida. E finora non lo fa: affronta il terrorismo con mezzi militari, economici, politici, giuridici, diplomatici e non pensa mai alla crisi della nostra società, che è immorale, invivibile. Non si dice mai: dobbiamo cambiare. Dobbiamo ritornare a Gesù, renderci conto che l’immoralità è una questione centrale. Non dico che dovrebbe comandare la Chiesa, per carità, ma essa è un fattore di sviluppo. La nostra cultura è fondata sul cristianesimo. Montanelli mi diceva: ‘sono un cattolico non credente e non praticante’ e quando gli chiedevo: come fa?, rispondeva col suo: ‘perché non possiamo non dirci cristiani’. Tolto il cristianesimo dall’anima dell’Europa, non restano che i ruderi di Atene e di Roma. L’idea di uguaglianza tra gli uomini e tra uomo e donna, la distinzione tra Chiesa e Stato, le scuole e gli ospedali, il rispetto per le persone: è tutto nel cristianesimo ed è ciò che ci distingue dall’islam.  E anche all’islam manca Gesù Cristo. Manca per esempio il senso del perdono. In Indonesia, a Sumatra, ci sono numerose etnie. Sono tutti musulmani, ma ogni tanto c’è una guerra intertribale. Per fermarla, il governo manda un comitato di pacificazione. E’ composto da cinque persone autorevoli e tra loro almeno due sono cristiane (di solito un cattolico e un protestante). Ho chiesto il perché di questa scelta, in un Paese musulmano. ‘Perché voi avete il senso del perdono, del mettere pace’, mi hanno risposto al Ministero degli interni. ‘Per noi musulmani la vendetta è sacra’. Per questo, quando un cristiano parla di pace è credibile, un musulmano no”. 

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cristianesimo, gheddo

mercoledì, 18 aprile 2007
Macciocchi,
da Mao a Wojtyla
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È morta una delle intellettuali più vivaci del ’900. Dopo l’incontro con Giovanni Paolo II la rivisitazione del femminismo
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Amava definirsi «eretica» e sempre rifiutava l’omologazione dei media e dell’opinione pubblica dominante. Dopo la Resistenza, il ’68 e l’impegno politico. Nell’87 rimase colpita dal Papa polacco che le disse: «Credo nel genio delle donne»
Di Marina Corradi
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Nella mia vita ho più volte cambiato nazionalità: mi sono sentita cinese nella Pechino in rivolta contro il dominio di Mosca, spagnola a Madrid dove finii nelle prigioni di Franco, argentina a Buenos Aires con le madri dei desaparecidos, berlinese attraversando avanti e indietro quel Muro, al cui crollo, da dissidente, ho dedicato tante energie». Così si raccontava in una conferenza nel ’96 a Amsterdam Maria Antonietta Macciocchi, morta domenica a Roma all’età di 84 anni. E in quell’essere "appartenuta" alle storie di tanti paesi c’era una sintesi della sua biografia: una intellettuale che ha traversato il Novecento con una passione che l’ha messa spesso in aperta rottura con i suoi stessi compagni di strada. «Eretica», amava definirsi lei non senza fierezza, e nella sua vita non mancano gli elementi per darle ragione. Nata nel ’22 a Isola del Liri, in provincia di Frosinone, partecipa giovanissima alla Resistenza. Nel ’42 aderisce al Partito comunista, con cui è deputato nel ’68. Direttore di Noi donne, corrispondente de l’Unità da Parigi, entra in dissenso con il partito, che lascia nel ’77. Aderisce al Partito radicale, col quale è rieletta a Roma e a Strasburgo. Poi passa alla Sinistra Indipendente. Docente di Sociologia politica alla Sorbona, contribuisce dal Parlamento europeo alla abolizione della pena di morte in Francia. Mitterrand la insignisce della Legion d’onore per meriti culturali. Intanto pubblica numerosi saggi fra cui Lettere dall’interno del Pci e Dalla Cina.
Ma la sua passione di intellettuale di sinistra risente fortemente di un incontro con Giovanni Paolo II. E’ il 1987, la Macciocchi sta finendo il suo La donna con la valigia, viaggio nell’Europa ancora divisa dal Muro. Chiede di incontrare il Papa per inserirne la testimonianza nel libro. Era stata ricevuta da Mao, da De Gaulle, da Ho Chi Mihn e da Khomeini, ma Wojtyla la colpì come nessuno. Raccontò: «Dall’intensità del gesto irradiava una sorta di forza interiore, una piccola aura metafi sica gli faceva corona attorno al viso. Per me è un grande onore incontrarla, farfugliai. E di colpo fui esplicita, sincera, sorprendendo me stessa per quelle frasi che pronunciai: vengo da lontani lidi, quelli del marxismo-leninismo».
La conversazione a Castelgandolfo fu lunga. «Mi predisse, quasi, che l’Europa si sarebbe presto riunita: era l’estate del 1987. Poi parlò delle donne, della necessità di una autentica emancipazione della donna, e di certa scienza che si serve delle donne come business per il più scatenato affarismo». La passione del Papa colpisce la Macciocchi, femminista ma cosciente di quello che lei stessa definisce, in quegli anni Ottanta, «l’estuario di un femminismo a vele flosce». Quando esce La donna con la valigia, molti amici la accusano scandalizzati di filopapismo. Paris match scrisse incredulo: «Ma lei non ricorda di essere stata per noi il simbolo più avanzato della sinistra femminile?». Lei risponde cercando di spiegare di sentirsi «antistrategica» rispetto ai media imperanti. E c’era spesso, nell’opera della Macciocchi, il gusto di scavalcare le comode e acquisite verità delle ideologie dominanti. Puntuale rispuntava l’istinto di guardare la realtà scavalcando le risposte più facili e condivise, e una avversione a quella che definiva «la misteriosa regia della stampa omologata» come a certo sventolato laicismo, che chiamava «laicismo bigotto».
L’anima da «eretica» non mancò di prendere voce anche nella critica ad alcuni miti del femminismo. Riguardo al rapporto fra liberazione della donna e comunismo disse che «l’utopia universalista astratta della liberazione della donna sotto i regimi comunisti è stata una beffa ancora più drammatica di quella contro la classe operaia». Ma anche nelle pieghe del ’68 - momento storico che aveva vissuto a Parigi, e che l’aveva entusiasmata per la sua ansia antiautoritaria - la dissidente cronica Macciocchi ammette che le donne hanno ritrovato «misoginia, corruzione e mercimonio del loro corpo e del loro voto». Nè è più tenera con il facile luogo comune della "solidarietà fra le donne": «Le donne di potere sono dure, implacabili, crudeli e ciniche». Sull’aborto, lei pure fedele alla legge 194 afferma che «sarebbe tutto da rivedere: il rapporto tra donna e maternità è stato avvilito, e l’egoismo del singolo prevale sull’arricchimento della donna stessa e della società».
Un’intellettuale di traverso alla logica del facile consenso. Editorialista di Le Monde, El Pais e Corriere, negli ultimi anni scriveva su Avvenire. Certamente
quell’incontro del 1987 con il Papa - cui poi ne seguirono altri - lasciò un segno profondo. Ricordava sempre come Giovanni Paolo II le avesse detto: «Credo nel genio delle donne». «Queste parole - confessò - rivolte a una donna ritornata da tutto e anche da se stessa, furono così sorprendenti per il mio spirito che non si cancellarono più». E quando uscì la lettera apostolica Mulieris Dignitatem ne fu conquistata, tanto da scrivere il volume Le donne secondo Wojtyla. Ventinove chiavi di lettura della Mulieris Dignitatem. Attraverso la lettera di Giovanni Paolo II la intellettuale comunista, la femminista militante affermava di avere riscoperto nel Vangelo «un rapporto di tenerezza, di connivenza fra Gesù e le donne», contro la misoginia di cui il cristianesimo è tradizionalmente accusato dal pensiero femminista. Questo le attirò molte critiche ma lei, come al solito, non cercò di mediare: «L’originalità del pensiero di questo Papa verso le donne è una linea maestra dritta come una spada», scrive. E questa volta non si ravvede, morendo così in aria di eresia. Fine del lungo viaggio di una donna nel Novecento, una donna - per usare quella sua felice espressione - «ritornata da tutto, anche da se stessa»

Postato da: giacabi a 19:41 | link | commenti
comunismo, cristianesimo, macciocchi

lunedì, 09 aprile 2007
Gesù Cristo
è «la misura di tutte le cose umane»

Soltanto il cristianesimo è in grado di assumere completamente su di sé e riconoscere fino in fondo le infermità della nostra epoca mostrando dove sia veramente il male e quale sia la via per giungere alla guarigione. Il cristianesimo non sfugge dal mondo, come frequentemente si pensa, ma entra nel mondo in un modo particolare, assume su di sé i mali del mondo mostrandone la reale profondità e il loro vero significato. Il cristianesimo accetta l'uomo, qualsiasi uomo, indipendentemente dalla sua casta e dalle doti intellettuali, ma anche senza farsi illusioni su di lui. Il cristianesimo considera l'uomo caduto, mendace prima ancora che la sua falsità diventi falsità ideologica, prima ancora che la sua caduta diventi caduta «storica», ma il cristianesimo sa liberare in lui l'uomo autentico e inserirlo in una storia autentica.
Ciò significa che il cristianesimo riporta l'uomo a quella autenticità che è racchiusa in Dio incarnato, a quella storia che è stata vissuta e «misurata» sull'uomo dal Dio incarnato, Gesù Cristo. Gesù Cristo è «la misura di tutte le cose umane» e su questa misura anche oggi l'uomo può essere riconosciuto e compreso come uomo. Cristo è il criterio di tutte le decisioni spirituali morali, volitive e storiche che si possono anche oggi presentare all'uomo, qualsiasi uomo egli possa essere, scienziato o operaio, qualsiasi cosa egli faccia, sia che combatta in guerra o badi ai bambini, in qualsiasi luogo egli si trovi, nel lager o nel cosmo.
(A. Kolosov, Utopia e speranza, in «Rinascita cristiana nell'URSS»)

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cristianesimo, gesù

mercoledì, 04 aprile 2007
LETTERA APERTA AI GIOVANI*
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Volevamo di più: volevamo la vita per noi
E ce la siamo presa la vita, il diritto di essere noi stessi, senza più riserve, perchè finalmente fosse bello.
Abbiamo provato un po’ tutto, non abbiamo più represso nessun desiderio, non ci siamo negati nessuna emozione.
Abbiamo fatto l'amore quando ne avevamo voglia, ci siamo vestiti, siamo stati assieme come piaceva a noi. E così tutto il resto: Ascoltare musica, imballare la moto, parlare, farsi uno "spinello», come piaceva a noi.
Ma ci saremmo aspettati di più: di più dalla ragazza, dagli amici, dalle emozioni. Ci saremmo aspettati di ritrovarci più liberi, meno soli, più felici.
Ma nella cricca, dove ogni sera aspettiamo qualcosa che ci tiri su, nelle riunioni dei vari collettivi dove, a colpi di analisi, costruiamo il cambiamento della società, nei pochi momenti in cui rimaniamo soli coi nostri problemi, non ci sentiamo bene, non siamo poi tanto contenti.
E allora. ci viene da chiedere se è servito a qualcosa. Se quel che ci siamo presi e quello che abbiamo abbandonato, se quel che abbiamo fatto e pensato, è servito a cambiarci la vita.

Perchè, se dopo tanta voglia di vivere, dopo tutta la ribellione, niente è cambiato e, per star bene, dobbiamo fregarcene e la "roba" ci uccide ogni giorno e la nostra giustizia rivoluzionaria fa morire la gente, allora è venuto il momento di ridiscutere tutto. Dobbiamo chiederci che ne è stato della nostra voglia di cambiamento, di autenticità, di «fantasia al potere". In che cosa siamo diversi -più umani, più veri -dagli adulti ai quali non vogliamo assomigliare. Oppure anche noi, in fondo, militanti o no, usiamo la ragazza, ci gasiamo per la moto, escludiamo chi non ci piace, facciamo tutto per il nostro comodo, come tutti. come sempre.
Perchè non è cambiato niente?
Niente, al fondo, se non che si muore di più. In questi anni il desiderio di vivere tutto in pienezza, il rifiuto di una società come questa, la passione di un cambiamento, ci hanno buttato nella lotta o chiusi nel rifiuto totale. Ma la nostra rabbia, il rifiuto, la fatica a vivere non è rimastra nostra, non è più nelle nostre mani.
E' servita ad altri. E' servita ai partiti, per usarci come massa di
manovra dei propri obbiettivi, è servito al «mercato» pronto a vedere in noi, nella nostra insoddisfazione, nella nostra rabbia, i migliori clienti della droga, della pornografia, della violenza.
E si sono presi la nostra vita. Da anni altri stabiliscono quali sono i problemi che contano e di cui dobbiamo interessarci, altri ci indicano gli spazi politici e gli obiettivi per cui lottare, al momento giusto, quando la politica non ci basta più, ci danno anche la «roba" per dimenticare, ma intanto non sappiamo più chi siamo e che cosa vogliamo.
Ma essere giovani significa vivere, voler vivere in modo che ne  valga la pena, che dia gusto: che far politica, lavorare, studiare incontrarsi, amare, abbia un significato per noi e per gli altri.
Questo è il nostro vantaggio, il vantaggio sul potere, sull'ideologia, sulla politica; l'energia che può farci ricominciare tutto di nuovo.
Per questo occorre riprendersi la vita
Riprendersi il diritto di ripartire da noi, da quel che siamo, da quel- lo che veramente aspettiamo. Ricominciare. Ripartire dalla nostra umanità vera: dal bisogno, spesso inconfessato, di qualcosa, di un significato che dia gusto. Vogliamo soprattutto, riconsiderare, sinceramente, con libertà, tutta l'esigenza della nostra vita, l'attesa  di compagnia, la voglia di sentirci amati, il desiderio di avere un motivo per cui vivere, di sapere perchè si soffre per cosa vale la pena di lottare, di dare, se necessario, la vita.
Una cosa, comunque, non vogliamo più accettare, che siano altri ad indicarci gli obiettivi, a dirci cosa credere e per cosa combattere e in nome di cosa la vita dà gusto.

E' per questo, perchè cercavamo qualcosa di più, che abbiamo voluto guardare oltre. Abbiamo guardato oltre l'ideologia di moda, oltre la militanza o il menefreghismo.
Perchè abbiamo un appassionato desiderio di vivere con pienezza, abbiamo avuto la libertà di guardare alla proposta cristiana.
 Abbiamo, certo, anche noi, vissuto lo squallore di certi oratori, e abbiamo sentito e, magari, creduto ai soliti luoghi comuni sul Vaticano e sull'Inquisizione, ma abbiamo anche avvertito tutta la promessa di novità di vita che ci veniva ancora, malgrado tutto, da quella proposta. Abbiamo anche incontrato gente -amici, adulti -che in nome di tale esperienza ci hanno parlato, ci hanno accolto, come nessuno, mai prima.
E così abbiamo rischiato. Abbiamo tentato di comprendere, di guardare con occhi nuovi, senza pregiudizio l'esperienza di persone alle quali l'incontro con Cristo stava cambiando la vita.
E così è capitato che cominciassimo a considerare, magari dopo averci riso e dopo essere stati «contro", la vita cristiana come proposta per noi: attuale, possibile, intensa. Una risposta al nostro bisogno di significato, di felicità.
QUESTA E' L'ESPERIENZA CHE FACCIAMO: non è un traguardo ma un cammina, non abbiamo la risposta ad ogni cosa, ma affrontiamo i problemi, le difficoltà, le contraddizioni, con una certezza.
Una cosa su tutte ci persuade, che quello verso cui camminiamo -una umanità più vera ed una vita che dia gusto -è già un'esperienza: stiamo già sperimentando una novità, un cambiamento di noi stessi, del modo di stare assieme, di concepire ogni cosa, che sentiamo più umano e che ci fa dire che ne vale la pena.
E' così che abbiamo ricominciato a vivere e crediamo che per molti, la nostra sia un'esperienza possibile, piena di promessa. Ed a questi diciamo di saper guardare oltre, oltre i pregiudizi ed i luoghi comuni, di guardare con libertà a quel che ha la capacità di cambiare la vita.
Ed a tutti, anche ai compagni, anche a coloro che ci rifiutano e ci attaccano diciamo che è urgente riprendersi la vita, ricominciare da quello che veramente serve, che rende la vita più umana. 
Perchè si possa davvero vivere e, se occorre, morire, senza sprecato tutto.
  Comunione Liberazione                                                                       
                            
* Volantino di C.L. che ho ritrovato dopo circa 20 anni in mezzo ad un mio libro. Come è Vero!!!nonostante siano passati tanti anni sembra scritto oggi.

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cristianesimo

martedì, 03 aprile 2007
La vera educazione culturale
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“Si parla molto di democratizzare la cultura. I risultati fin qui ottenuti sono esili e niente lascia prevedere che andrà meglio nei tempi a venire. Il solo caso conosciuto di successo è quello dello sforzo sostenuto dalla Chiesa nei secoli. All'inizio, un piccolo gruppo di uomini in Giudea, per la maggior parte semplici pescatori. Dieci secoli più tardi, un’Europa coperta di chiese e abbazie, e migliaia di preti e monaci che insegnano a una folla di contadini illetterati, rozzi e violenti, un certo dominio di sé, dei comportamenti, delle abitudini, una morale, mettendo in luce alcune verità. Ogni domenica, questa folla di villani irsuti si recava nei più begli edifici che la nostra civiltà abbia creato, dalla piccola chiesa romanica, umile e robusta, agli splendori di Cluny: «case del popolo» le chiamavano in Italia. Là aveva sotto gli occhi i più begli ornamenti, le più belle statue, i più bei quadri, i più begli oggetti di culto che si conoscano. Quel giorno, e quello solamente, nel villaggio più diseredato della provincia più povera, poteva vedere bellezza, ordine, luce. Sentiva risuonare la parola di Dio ed elevarsi verso la volta il canto gregoriano. Osservava i gesti misurati, disciplinati del prete. Pur senza comprenderne l'intimo significato, riusciva a percepire, a stento, il valore del dominio di sé, che è uno dei segni certi della cultura. Gli uomini, i poveri uomini di oggi, cosa ricavano dai pugni dei pugili? Quanto valgono le comunioni primitive che uniscono gli appassionati di calcio? E che dire della belluinità che si scatena all'uscita degli stadi, se non che èimparagonabile, nel senso più stretto della parola, alla gioia quieta che seguiva l'ite missa est? Una volta la settimana quella folla era sottratta alle sue preoccupazioni giornaliere, ai suoi problemi familiari, alle piccolezze della vita quotidiana e sentiva parlare del suo destino. Non era che una minuscola e fugacissima scintilla nella notte dell'ignoranza, ma della lettura del Vangelo, della predica talvolta balbettante, quei contadini trattenevano qualche briciola che nutriva la cultura familiare. Pur in mancanza di un'elevazione dello spirito verso Dio, queste briciole davano almeno delle lezioni di coraggio e di dignità davanti alla malattia, alla vecchiaia e alla morte.”
Leo Moulin

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particolari dell'abbazia di Cluny

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educazione, cristianesimo, moulin

sabato, 31 marzo 2007

Perché  la scienza è nata
nel mondo cristiano
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Contrariamente alle dottrine religiose e filosofiche dominanti nel mondo non cristiano, i cristiani svilupparono la scienza perché credevano che si potesse e si dovesse fare. Nel 1925, durante una delle sue Lowell Lectures a Harvard, Alfred North Whitehead affermò che la scienza ebbe origine in Europa a causa della diffusa fede nelle sue possibilità, e che essa è un «derivato [...] della teologia medievale» . La dichiarazione di Whitehead scandalizzò la sua distinta platea, e in generale gli intellettuali occidentali, quando le sue Lectures vennero pubblicate. Come poteva un filosofo e matematico del suo calibro, coautore insieme a Bertrand Russell della pietra miliare Principia Mathematica (1910-1913), affermare una simile assurdità? Non sapeva che la religione è il nemico mortale dell'indagine scientifica?
Whitehead sapeva bene quel che diceva. Aveva capito che la teologia cristiana era stata un elemento di fondamentale importanza per lo sviluppo della scienza in Occidente e di certo nel resto del mondo le teologie non cristiane avevano soffocato la ricerca scientifica. Come spiegò:
Il grande contributo dato dal Medioevo alla formazione del movimento scientifico [fu] la fede inespugnabile che [...] v'è un segreto, e questo segreto può essere svelato. Come si è insediata così saldamente nello spirito europeo questa convinzione? [...] Non può provenire che dalla concezione medievale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale veniva attribuita l'energia personale di Yahwèh e la razionalità di un filosofo greco. Ogni particolare era controllato e ordinato: le ricerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione della fede nella razionalità.»  
Da: “La vittoria della Ragione” di Rodney Stark
La vittoria della ragione. Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza

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cristianesimo, whitehead

giovedì, 29 marzo 2007

Testamento spirituale

Christian de Chergé*
Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, mi piacerebbe che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a quel paese.
Che essi accettassero che il Padrone unico di ogni vita non può essere estraniato da questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di questa offerta? Che sapessero associare questa morte a tante ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato. La mia vita non ha prezzo più alto di un’altra. Non vale di meno né di più. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia.
Ho vissuto abbastanza per considerarmi complice del male che sembra, ahimé, prevalere nel mondo, e anche di quello che mi può colpire alla cieca. Mi piacerebbe, se venisse il momento, di avere quello sprazzo di lucidità che mi permetterebbe di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse ferito.
Non posso auspicare una morte così. Mi sembra importante dichiararlo. Infatti non vedo come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato dei mio assassinio. Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che forse chiameranno la «grazia del martirio», doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se questi dice di agire nella fedeltà a ciò che crede essere l’islam. So bene il disprezzo del quale si è arrivati a bollare gli algerini globalmente presi. Conosco bene anche le caricature dell’islam che un certo islamismo incoraggia.
È troppo facile mettersi la coscienza in pace identificando questa religione con gli integralismi dei suoi estremisti. L’Algeria e l’islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un’anima. Ho proclamato abbastanza, credo, davanti a tutti, quel che ne ho ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre (tutta la mia prima chiesa), proprio in Algeria e, già allora, con tutto il rispetto per i credenti musulmani.
Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno considerato con precipitazione un naif o un idealista: “Ci dica adesso quel che pensa!”. Ma queste persone devono sapere che la mia più lancinante curiosità verrà finalmente soddisfatta. Ecco che potrò, a Dio piacendo, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti dal dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione, ristabilire la rassomiglianza, giocando con le differenze.
Per questa vita perduta, totalmente mia, totalmente loro, rendo grazie a Dio che sembra averla voluta interamente per quella gioia, nonostante tutto e contro tutto. In questo Grazie in cui è detto tutto, ormai, della mia vita, comprendo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di questa terra, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, centuplo accordato secondo la promessa! E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio dire questo grazie e questo ad-dio, da te deciso.
E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se lo vorrà Dio, nostro Padre comune. Amen! Insciallah.
Algeri, 1° dicembre 1993 - Tibhirine, 1° gennaio 1994.
Christian de Chergé*
*monaco trappista assassinato nel monastero di Tibhirine (Algeria) il 21 maggio 1994


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cristianesimo

mercoledì, 28 marzo 2007
  LA SCRISTIANIZZAZIONE (Vedi  DICO)
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Quando noi parliamo di scristianizzazione, quando noi constatiamo questo disastro della scristianizzazione, bisogna intendersi sui termini. Il peccatore ed il santo sono tutti e due propri del cristianesimo. Quando si dice che il mondo si scristianizza non si vuol dire affatto che nel sistema cristiano la santità sia stata una volta di più sommersa dai peccati. Quand’anche fosse, tutto questo non sarebbe niente…Ciò che constatiamo è infinitamente più grave: questo mondo moderno non è solamente un cattivo mondo cristiano, un mondo di cattivo cristianesimo, ma un mondo incristiano, scristianizzato. Ecco ciò che bisogna dire, vedere. Ecco ciò che tanti cristiani, e soprattutto tanti cattolici, ben intenzionati, non vogliono riconoscere, non vogliono vedere. E questa viltà impedisce loro di far qualcosa di utile, di salvare qualcosa… Sempre forse il contingente dei santi è stato miserabile in paragone al contingente dei peccatori… Ma il disastro, oggi, è che le nostre stesse miserie non sono più cristiane. Ecco la novità. Finchè le nostre bassezze erano cristiane c’era scampo, c’era materia per la grazia… C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani, ma Gesù non se ne va affatto. Non si rifugia affatto dietro alla cattiveria di tempi. Non impiegò i suoi anni a gemere e lamentare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. Oh in modo molto semplice! Facendo il cristianesimo. Non si mise ad incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo: salvò il  mondo. Questi altri invece [parla degli “ecclesistici-intellettuali” laici o chierici che siano] vituperano, raziocinando, incriminano. Medici che ingiuriano, che se la prendono con il malato. Essi accusano l’arida sabbia del secolo; ma al tempo di Gesù c’erano anche allora il secolo e  le sabbie del secolo. Ma sulla sabbia arida, una sorgente, una sorgente di grazia, inesauribile, cominciò a zampillare”.
 In “Véronique. Dialogue de l’histoire et de l’ame charnelle”, scritto pochi mesi prima della morte
Von Balthasar disse di Péguy: “Non si è mai parlato così cristiano”.

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cristianesimo, peguy

lunedì, 26 marzo 2007
Che cos’è il cristianesimo

 Che cos’è il cristianesimo se non l’avvenimento di un uomo nuovo che per sua natura diventa un protagonista nuovo sulla scena del mondo? La questione eminente di tutto il problema cristiano è l’accadere anche per i laici della creatura nuova di cui parla san Paolo. È a tale uomo che vengono dati compiti e funzioni diverse: ma questo, in fondo, rispetto al primo è problema secondario. Tale infatti è il contenuto di ogni impegno cristiano: quello della preghiera di Gesù: «Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo» (Gv 17,1). 2. L’uomo di oggi, dotato di possibilità operative come mai nella storia, stenta grandemente a percepire Cristo come risposta chiara e certa al significato della sua stessa ingegnosità. Le istituzioni spesso non offrono vitalmente tale risposta. Ciò che manca non è tanto la ripetizione verbale o culturale dell’annuncio. L’uomo di oggi attende forse inconsapevolmente l’esperienza dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la vita loro è cambiata. È un impatto umano che può scuotere l’uomo di oggi: un avvenimento che sia eco dell’avvenimento iniziale, quando Gesù alzò gli occhi e disse: «Zaccheo scendi subito, vengo a casa tua» (Cfr. Lc 19,5). 3. In questo modo il mistero della Chiesa, che da duemila anni ci è tramandato, deve sempre riaccadere per grazia, deve sempre risultare presenza che muove, cioè movimento, movimento che per sua natura rende più umano il modo di vivere l’ambiente in cui accade. Per quanti sono chiamati avviene qualcosa di analogo a quel che il miracolo fu per i primi discepoli. Sempre l’esperienza di una liberazione dell’umano accompagna l’incontro con l’evento redentivo di Cristo: «Chi mi segue avrà la vita eterna, e il centuplo quaggiù»  Come il Battesimo è grazia dello Spirito, così ogni realizzarsi del Battesimo è dono dello Spirito che si incarna nel temperamento e nella storia di ognuno. Questo dono dello Spirito può comunicarsi con una forza particolarmente persuasiva, pedagogica e operativa così da suscitare un coinvolgimento di persone, un ambito di affinità e di rapporti, per cui si realizza una dinamica stabile di comunione. L. Giussani, L’avvenimento cristiano, Bur, Milano 2003, pp. 23-24)

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cristianesimo, giussani

giovedì, 22 marzo 2007
Un cristiano cyberpunk fin troppo scorretto
La conversione
di Maurice Dantec
squassa il mondo editoriale francese, Gallimard lo ripudia. Lui fa di tutto per farsi detestare
di Marina Valensise

Tratto da Il Foglio del 22 marzo 2007

Di primo acchito,
Maurice G. Dantec fa un po’ paura. Ha un’aria torva, capelli neri unti e forse sporchi, barbetta rada alla Mickey Rourke, lo sguardo nascosto da un paio di occhialini neri che porta sempre, anche di notte, anche quando va in televisione. Chi lo conosce bene assicura che è un uomo affabile, premuroso e gentile, molto rispettoso, di quelli che non alzano mai la voce e sono incapaci di darti buca.

Chi ci lavora insieme, come David Kersan, giurista trentenne con un passato di esperienze estreme, da titolare di un “Fight Club”, e da tre anni suo amico, agente letterario e uomo di fiducia, non riesce a parlarne senza commuoversi e senza esaltarne “la luce, la potenza trasfiguratrice, che fa uscire la gente dalle catacombe”. Ma chi non lo ha mai visto da vicino, stando alle foto in circolazione o alle comparsate in tv, potrebbe prenderlo facilmente per un becchino o per uno iettatore. E sbaglierebbe. Perché Maurice Dantec è innanzitutto uno scrittore, un profeta, un mistico, un combattente cristiano, sionista e proamericano, un antilaicista e un controrivoluzionario militante. Insomma l’ultimo scandalo della letteratura francese.

Tre anni fa si è convertito al cattolicesimo, scegliendo a bella posta il momento in cui la religione di santa romana chiesa è, come dice lui, “ irresistibilmente condannata”. Dantec viveva in Canada dal 1998. Aveva scelto l’esilio volontario a Montreal, dove abita con moglie e figlia in un immenso loft di trecento metri quadrati, per disgusto della vecchia e fiacca Europa nichilista, ormai in balìa di un’islamizzazione a dir suo fuori controllo. “Non volevo che mia figlia fosse aggredita dalle bestie feroci” dichiarò per giustificare la partenza. A Montreal dunque si fece battezzare nella cappellina dei Padri della Santa Croce da un vecchio domenicano di 86 anni raccomandatogli dai suoi amici tradizionalisti, Edmond Robillard, un sant’uomo coltissimo e scontroso che stava celebrando i sacramenti per l’ultima volta, dopo una vita spesa a tradurre le opere del cardinale Newman e gli scritti di san Tommaso d’Aquino. Quel giorno per Dantec cominciò la trasfigurazione. Il battesimo per lui fu infatti un nuovo inizio. Segnò la riscoperta del soggetto, “copresenza con l’Essere, che progetta la sua origine e retroscrive il suo telos attraverso il Nulla” come scrisse nel suo diario, “American Black Box”, apparso ora da Albin Michel, ultimo tomo d’una trilogia, “Théâtre des Opérations”, iniziata nel 1999, e composto come i primi due da settecento pagine di prosa fluviale e palinsesti di profezie apocalittiche, considerazioni mistico-scientifiche e incendiarie riflessioni storico-politiche.

La conversione, dunque, aprì a Dantec la strada verso la riconciliazione con la verità, o meglio verso il ritorno alla verità, ultima e definitiva risorsa contro il nichilismo e le illusioni dissacranti del contemporaneo. Dantec, infatti, si considerava un francese errante in America, un Atlante come scrive lui, “un rifugiato politico metanazionale in esilio permanente”.
Col suo battesimo e la conversione al cattolicesimo, lui che era nato in una famiglia di militanti comunisti, cresciuto nel culto dell’Urss e nella devozione a Josif Stalin (suo padre dirigeva l’agenzia di stampa del Pcf), svezzato come adolescente fra la barbarie della banlieue, a Ivry sur Seine, dove la massima universale di condotta non era porgi l’altra guancia, ma “nique ta mère”, alias “fotti tua madre”, decise di diventare “un testimone che non tace mai, se non nel silenzio di Dio”. E nel suo diario scrisse: “Sono qui per dire che la Parola non è morta, per dire che essa si fa Atto. Sono un cattolico. Un Cattolico del futuro, un cattolico della Fine dei Tempi”.

La cosa misteriosa e folgorante è che la metanoia in nome dell’Essere e del Dio incarnato, colpì proprio lui, Maurice G. Dantec l’uomo forse più lontano al mondo dall’idea di grazia, l’indole apparentemente più refrattaria alla rivelazione. Dantec oggi dice di aver raggiunto “la sua famiglia naturale
”. Vive la conversione come “una grazia di Dio, perché la fede è una grazia”. E sebbene non si sia ancora cresimato, per l’improvvisa dipartita di padre Robillard, si professa un cattolico praticante, “perché una religione che non si pratica”– spiega rispondendo via email – resta nell’astrazione”. Eppure, niente di più improbabile della sua conversione.

Chi era infatti Dantec? Molte cose insieme: un coatto di periferia, un dandy punk e rockettaro, uno scrittore maledetto, un mito di massa, un provocatore. Un grande e irregolare antimoderno, un genio della cultura pop, un piede nel marketing e l’altro nella musica psichedelica. Uno che insomma il nichilismo sapeva benissimo cos’era per esserci vissuto dentro fino al collo e averne debitamente approfittato. “Io sono andato sino in fondo al nichilismo. Ma a differenza di Houellebecq, ho attraversato lo specchio, e mi sono convertito al cristianesimo.
Cosa impossibile per un nichilista”, ha detto in un’intervista al settimanale francese VSD.

Da ragazzo, dopo studi incerti per motivi di salute – soffriva di asma – e sforzi di autodidatta all’università, aveva esordito alla fine degli anni Settanta con la musica psichedelica, fondando un paio di complessi dal titolo ultimativo “Etat d’urgence” e “Artefact”, gruppo sperimentale di pop elettronico in cui suonava il piano e firmava testi futuristi. Poi,
s’era riciclato come pubblicitario, lavorando a fianco di un guru miliardario. Ma anche quello era stato un passaggio a vuoto. Una sera, infatti, scoprì la disperazione che affliggeva il suddetto guru con cui lavorava, considerato un mito vivente, ma costretto a ingurgitarsi un litro di whisky al giorno per sopravvivere al senso di fallimento che l’affliggeva per non essere mai riuscito a scrivere un romanzo. Dopo anni passati a spremersi le meningi per vendere automobili e pannolini, frigoriferi e merendine, aveva capito che s’era bruciato il cervello e non sarebbe mai riuscito a inventarsi una storia, a dar vita ai personaggi di un romanzo, a tenere una trama oltre le trenta pagine. E soprattutto, aveva capito che i miliardi di fatturato, la vita da nababbo, le fuori serie e le belle donne a iosa, la villa a Ibiza e la barca a Noirmoutier non sarebbero mai bastati a colmare il vuoto del fallimento. Da qui il whisky, un litro al giorno.

Quella sera, Dantec tornò a casa, si guardò allo specchio e prese una decisione solenne. Decise di mettersi a scrivere sul serio. Lasciò l’agenzia pubblicitaria, ne fondò una sua che fallì subito, si riciclò nel telemarketing, e intanto continuò comporre il suo primo romanzo di fantascienza. Quando lo finì, dopo vari e molteplici rifiuti, entrato in contatto grazie a un amico col responsabile della Série Noir di Gallimard si presentò col malloppone alla rue Sébastien Bottin. E lì accadde il primo miracolo. Patrick Raynal lesse il manoscritto e invece di gettarlo nel cestino, chiese a Dantec di scriverne subito un altro ex novo. Il libro uscì e fu una rivelazione. Si intitolava “La Sirène Rouge”. Vinse premi su premi, vendette migliaia di copie, divenne pure un film e in pochi anni – seguito da altri gialli fantascientifici, come “Les Racines du Mal”, “Babylon Babies”, “Villa Vortex” – trasformò Dantec in uno scrittore di massa baciato dal successo, osannato da lettori in delirio, circondato da coorti di ammiratori pronti a diffondere il verbo sconvolgente dell’inventore del “neopolar”, del visionario rock che coi suoi feuilleton tecno-mistici li rivelava a se stessi, scoprendo il volto nascosto di un’epoca cieca e insofferente all’autocoscienza come è la nostra.

Nacque così Maurice Dantec, scrittore hip e cyberpunk e giallista di culto, autore di romanzi totali dove la metafisica insegue la fantascienza, la fantascienza serve a declinare l’apocalisse, e la finzione romanzesca diventa il sismografo delle nostre inquietudini. Nei suoi libri succede di tutto. “Cosmos Incorporated”, mattone di seicento pagine, uscito due anni fa, è stato scritto nel segno di un cristianesimo catacombale. Racconta di un’umanità perduta in un mondo di automi, dopo la finis Europae e la devastazione lasciata dal Grande Jihad, dove un killer della mafia russa programmato per uccidere a un certo punto scopre di appartenere a un inframondo che appare solo dalla traccia lasciata dietro di sé dalla morte. Nella “Grande Jonction”, che ne è il seguito uscito in settembre, l’azione si svolge nel 2070: dopo l’avvento dell’intelligenza artificiale, la Metastruttura di controllo, che ha fabbricato l’Umu, cioè l’unimondo umano, pacificando le creature che ormai sono una protesi di scienza e tecnica, un semplice assemblaggio di dati digitali, è in corso un’altra mutazione mortifera: un virus letale colpisce quel che resta dell’umanità, riportando il linguaggio al grado zero, convertendolo in sistema binario, per contaminarlo sino a distruggerlo. Ma arriva il redentore, Link de Nova, un chitarrista dodicenne e profeta, dotato di poteri straordinari che coadiuvato da una manciata di uomini riuscirà a preservare l’umanità in un altro mondo.

Dalla narrativa l’ossessione apocalittica di Dantec tracima nell’autobiografia, e da lì nella politica. A leggere il terzo tomo del diario metafisico e polemico, iniziato nel 1999 con titolo profetico, “Manuel de Survie en Territoire Zéro”, che in inglese suona agghiacciante, “Survival Manual in Ground Zero”, l’impressione è micidiale. Il convertito che ha scoperto la fede e il dono salvifico della transustanziazione non ha niente di caritatevole. Non è il messaggero del Dio dell’amore, aperto al dialogo e pronto al perdono. E’ un guerriero, con un senso chiaro e definitivo del nemico da abbattere. E’ un crociato che sfodera la sua croce per respingere i suoi avversari, l’islamizzazione e il nichilismo, l’antiamericanismo e l’odio di sé. In lui insomma non c’è niente di evangelico e rassicurante. C’è piuttosto l’energia primitiva di un energumeno disposto a tutto e pronto al peggio, così sicuro di quello che pensa da non indulgere alle sfumature, e sparare a zero sulla cultura gay: “Da quando è diventata una cosiddetta realtà, si vedono molti bei torsi nudi, molti perizoma brasiliani e molte mani sul pacco, ma a nessuno verrà in mente di mettere in scena una pièce di Jean Genet, nemmeno per il Festival ‘Divers Cité’ di Montreal che inizierà col Gay Pride”. Dantec è così perentorio nelle sue convinzioni da evitare l’arte della litote quando si tratta di dipingere la luce tenebrosa che irradia ormai l’Europa della post histoire e dell’universalità dei diritti. “
Diventata metafisica, Liberté, Egalité e Fraternité, partoriranno una specie di mostro indolore, un semplice protoplasma. Un ipermercato aperto a tutti i venti migratori o mafiosi. Uno ‘spazio’ ormai privo della minima temporalità, senza volontà storica, senza sovranità e soprattutto non imperiale, e ovviamente contrario alla pena di morte e alla ‘guerra’. Uno spazio “laico”, cioè completamente decristianizzato, e paradossalmente aperto alle ideologie purulenti, asettizzate dalla contestazione-merci, e arrivate dal comunismo orientale, nel momento in cui i paesi dell’est erano finalmente riusciti a sbarazzarne dopo aver pienamente, goduto per mezzo secolo in pieno, della loro delirante assurdità”.

E’ così scettico e controrivoluzionario da non farsi alcuna illusione sul futuro del vecchio continente: “Quelli che continuano a pensare che le piccole macchinazioni democratiche di cui affabulano le micronazioni indipendenti o i confederati (scritto “cons-fédérés”) di Bruxelles, resteranno in piedi nei trent’anni a venire, sono gli stessi ciarlatani che hanno venduto due paci mondiali, finendo per imporre due guerre meccaniche universali alle popolazioni del mondo e dell’Europa, nella prima metà del Ventesimo secolo”.

E quando gli chiedi se dall’esilio in Canada non soffre del conformismo irriso da Mordechai Richler nella ‘Versione di Barney’, risponde: “Il politically correct fa danni anche in un Québec antiamericano, antisemita di sinistra, anticristiano, anticanadese, che sostiene i principi di Hezbollah e quelli del Gay Pride. Qui però tutto è volatile; una moda si impone e subito dopo scompare, a differenza della Republika Franska dove ci mette più tempo a radicarsi, ma poi diventa inamovibile”. E con la stessa sicumera con cui oggi si definisce uno scrittore americano di lingua francese, Dantec parte lancia in resta contro lo spirito del tempo e la tirannia della trasparenza, che annulla il senso del mistero, contro l’eccesso di universalismo democratico che appiana, uniforma, lenisce e confonde, sino all’indifferenziazione. Contro l’antirazzismo, che non permette di discriminare e dunque di governare fenomeni complessi come la crisi delle banlieue. Contro l’estremismo buonista che sempre in nome dell’antirazzismo finisce per cadere in un razzismo al contrario, il razzismo antibianco, di cui però è vietato parlare. C’è insomma nel diario di Dantec il repertorio completo delle illusioni progressiste, dell’inaudito, dell’insopportabile, che rende l’incendiario polemista bersaglio favorito dei benpensati.

Chi volesse provare un’esperienza forte, deve solo andare su Internet e cercare il video del programma tv di Franz Olivier Giesbert, in cui Dantec era uno degli ospiti a sorpresa del democristiano François Bayrou, candidato centrista alle presidenziali. E’ un pezzo da antologia. Era settembre. Dantec s’era prestato, alla diretta, per il lancio del suo ultimo romanzo. E si è fatto dare del “fascista” da Jean François Kahn, sovranista di sinistra e direttore del settimanale Marianne. Bisogna dire che il tema era caldo. Si parlava di scuola ed educazione, e Dantec citava rassegnato il succitato motto dei giovani di periferia “nique ta mère”. Si parlava di declino della Francia, e Dantec l’attribuiva non all’inerzia di Chirac o all’analisi di Nicolas Baverez, ma alla rivoluzione del 1789, ricordando il controrivoluzionario conte Joseph de Maistre che nelle Serate di San Pietroburgo fu il primo ad annunciare l’apocalisse che sarebbe seguita ai quindici secoli di regalità ghigliottinate dal Terrore giacobino: “Qual è la sua definizione di civiltà europea, in senso storico, metapolitico” ha chiesto a un certo punto lo scrittore al centrista Bayrou. E per tutta risposta il democristiano candidato all’Eliseo, prima, gli ha intimato di togliersi gli occhiali, poi, ha bofonchiato che quella definizione in effetti era stata “massacrata” dalla Costituzione, senza dire altro. E quando Giesbert ha iniziato a evocare la trama di “Cosmos Incorporated” come stadio finale della dissoluzione post industriale, “sono l’uomo delle catacombe” ha spiegato Dantec con aria aggressiva. “E il mio libro ne è la scatola nera, e serve da virus perché un certo stato del mio cervello penetri nel vostro”. E quando sempre Giesbert, con molto cinismo e pochi scrupoli, cercava di dare scandalo col mix di teologia e fantascienza della “Grande Jonction”, Dantec, messo nell’angolo, stava per scoppiare. Con aria fosca, ha minacciato rappresaglie, contro Kahn che gli aveva dato del fascista in tv senza permettergli di replicare. E alla fine l’ha steso con l’elogio della patristica: “Sono diciotto anni che mi occupo di teologia. L’ho scoperta leggendo Nietzsche e sono convinto che Basilio di Cesarea sia di gran lunga superiore alla filosofia di Karl Marx, che molti di voi si ostinano a venerare fuori tempo massimo”. Ed era talmente arrabbiato, che si è alzato in piedi e stava per andarsene, tanto che Giesbert l’ha richiamato all’ordine. Questo per dire l’alta tensione che un irregolare come lui riesce a scaricare intorno a sé.

Non è un caso, perciò, se “American Black Blox” – “l’ultimo B52 lanciato contro le ipocrisie del progressismo contemporaneo”, come dice il suo agente Kersan – a differenza dei primi due volumi non sia uscito da Gallimard, ma da Albin Michel. Il prestigioso editore che aveva lanciato Dantec ha rifiutato di pubblicarlo. Come mai? “Lo chieda a loro – risponde Dantec – forse hanno ricevuto ordini dalla Moschea di Parigi”. La storia in realtà è molto più semplice. Da Gallimard il clima è cambiato quando Dantec, all’inizio del 2004, mandò un e-mail a Bloc Identitaire, un gruppo di estrema destra, che aveva persino fatto un tentativo di attentato contro Chirac. “Sono contrario al vostro antiamericanismo e al vostro antisemitismo, ma vi auguro buona fortuna contro le bestie selvagge delle periferie fancesi”, aveva scritto Dantec, stigmatizzando la violenza, l’islamizzazione e l’odio di sé dei ghetti di banlieue. Per questo, fu assalito da Libération che titolò “E’ passato alla destra” e fu linciato in prima pagina dal Monde, mentre da Gallimard pare che al direttore della collana Nrf scappò detto, “ho sempre saputo che era un fascista”. Fu allora che nacquero le perplessità per il terzo tomo del diario. Dantec lo propose a Flammarion, ma quando gli avvocati suggerirono di censurare una decina di pagine si rifiutò: “Nego a chiunque il diritto di impormi quel che devo pensare”. Alla fine, nonostante un ultimo tentativo di Antoine Gallimard, l’ha spuntata Albin Michel, editore indipendente che ha offerto un contratto di cinque anni, e ha già venduti i due romanzi a Random House. “Sono passato a uno stadio superiore dell’offensiva contro l’islam, la gauche mondiale, la stampa asservita, les petis neocollabos frachouillards”, esulta Dantec. In America, probabilmente, sarà un trionfo

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