In difesa
della libertà religiosa
nel mondo
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Aderiamo
alla manifestazione nazionale contro l’esodo e la persecuzione dei
cristiani in Medio Oriente, per la libertà religiosa nel mondo:
A
Roma il 4 luglio la "Manifestazione nazionale contro l'esodo e la
persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, per la libertà religiosa
nel mondo"
Dopo
aver ascoltato e fatto nostro l’ “accorato appello” del Papa Benedetto
XVI ad agire per porre fine alle “critiche condizioni in cui si trovano
le comunità cristiane”, abbiamo deciso di promuovere una “Manifestazione nazionale contro l’esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, per la libertà religiosa nel mondo”.
Noi non possiamo più continuare ad assistere inermi alle barbarie che
stanno costringendo milioni di cristiani negli Stati arabi, musulmani e
altrove nel mondo a fuggire dalle loro case e dai loro paesi. Al
contempo noi denunciamo le violenze contro i religiosi e i fedeli
cristiani che pagano con la vita l’impegno e la fedeltà a testimoniare
la propria fede. La presenza dei cristiani si va assottigliando sempre
più: dalla prima guerra mondiale circa 10 milioni di cristiani sono
stati costretti a emigrare dal Medio Oriente. Una fuga simile alla
cacciata degli ebrei sefarditi che, da un milione prima della nascita
dello Stato di Israele, si sono ridotti a 5 mila. Invitiamo pertanto
tutti gli uomini di buona volontà, al di là della loro fede, etnia e
cultura, a partecipare alla manifestazione nazionale che si terrà mercoledì 4 luglio a Piazza Santi Apostoli a Roma alle ore 21. Sarà una grande manifestazione per la vita, la dignità e la libertà dei cristiani e per il riscatto dell’insieme della nostra civiltà umana.
Primi firmatari:
Allam
Magdi, Maurizio Lupi, Mario Mauro, Antonio Tajani, Roberto Maroni,
Sandro Bondi, Giorgia Meloni, Luca Volontè, Alfredo Mantovano, Stefania
Prestigiacomo, Stefania Craxi, Daniela Santanché, Andrea Ronchi,
Valentina Colombo, Diego Volpe Pasini, Luigi Amicone, Camillo
Fornasieri, Giorgio Vittadini, Alberto Savorana, Giancarlo Cesana,
Alessandro Rossi, Mons. Luigi Negri, Souad Sbai,Khaled Fouad Allam,
Andrea Pamparana, Elio Vito, Margherita Boniver, Michaela Biancofiore,
Antonio Leone, Guido Crosetto, Marco Zacchera, Fabrizio Cicchitto,
Gioacchino Alfano, Angelino Alfano, Chiara Moroni, Carla Castellani,
Angelo Maria Sanza, Giuseppe Palumbo, Gerardo Bianco, Manuela Di Centa,
Elisabetta Gardini,Luca Volontè, Luigi Fedele, Paola Frassinetti,
Mariella Bocciardo, Luigi Vitali, Maurizio Bernardo, Domenico Di
Virgilio, Paolo Uggè, Jole Santelli, Giuseppe Fallica, Raffaele
Fitto,Gabriele Boscetto, Giuseppe Cossiga, Giacomo Baiamonte, Isabella
Bertolini, Patrizia Paoletti Tangheroni, Giorgio Simeoni, Maurizio
Ronconi,Luigi Lazzari,Federico Bricolo, Valentina Aprea,Guido Dussin,
Giuseppe Angeli, Paolo Grimoldi, Fabio Rampelli, Silvano Moffa, Riccardo
Conti, Battista Caligiuri, Sergio Pizzolante, Massimo Romagnoli, Ettore
Peretti, Roberto Menia, Carlo Ciccioli, Salvatore Ferrigno, Francesco
Stagno D’Alcontres, Riccardo Pedrizzi, Guglielmo Picchi, Gregorio
Fontana, Piero Testoni, Antonio Verro, Carmelo Porcu, Basilio Germanà,
Salvatore Buglio, Alessandro Forlani,Pietro Armani, Walter Zanetta,
Pierfrancesco Gamba, Gaetano Fasolino, Ugo Lisi, Luigi Cesaro, Carmine Patarino, Donato Bruno, Fiorella Ceccacci Rubino, Mariastella
Gelmini, Luigi Casero, Simonetta Licastro Scarpino, Lorena Milanato,
Italo Tanoni, Marino Zorzato, Luigi D’Agrò, Giuseppe Drago, Antonio
Mereu,Angelo Compagnon, Annateresa Formisano, Francesco Lucchese,
Vittorio Adolfo, Ciro Alfano, Emerenzio Barbieri, Francesco Bosi,Luisa
Capitanio Santolini, Pier Ferdinando Casini, Lorenzo Cesa, Luciano
Ciocchetti, Giampiero D’Alia, Rodolfo Delaurentis, Teresio Delfino,
Armando Dionisi, Giuseppe Galati, Gianluca Galletti, Carlo Giovanardi,
Salvatore Greco, Pietro Marcazzan, Leonardo Martinello, Erminia Mazzoni,
Cosimo Mele, Giorgio Oppi, Michele Pisacane, Francesco Romano, Giuseppe
Ruvolo, Bruno Tabacci, Mario Tassone, Michele Tucci, Michele Vietti,
Domenico Zinzi, Roberto Tortoli, Adriano Paroli, Stefano Saglia, Pietro
Franzoso, Antonio Palmieri.
Per aderire:
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Postato da: giacabi a 14:21 |
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cristianesimo
Cristianesimo, sale dell'Occidente
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INTERVISTA
Parla lo storico Thomas E. Woods jr.: «Sui media domina una leggenda nera sulla Chiesa "oscurantista". La realtà è l'opposto»
Cristianesimo, sale dell'Occidente
«Nessun storico crede davvero che la civiltà occidentale derivi solo da classicità,
Rinascimento e Illuminismo»«L’idea di un universo ordinato secondo leggi naturali ben fisse è sorta nell’Occidente cattolico che vedeva nell’ordine di Dio un Suo segno»
Di Lorenzo Fazzini
Antiscientifica,
nemica della libera espressione artistica, oscurantista in campo
sociale e foriera di ogni lato buio della storia. A leggere con un certo
disincanto un po' di pubblicistica nostrana oppure orecchiando qualche
salotto televisivo, parrebbe che alla Chiesa cattolica manchi soltanto
la definizione storiografica per essere assurta allo status di "regime
totalitario". A smontare tale stantio cliché populista con una
panoramica storica a largo raggio (e con impronta divulgativa, fatto che
- come nota nella prefazione Lucetta Scaraffia - risulta di grande
utilità) è un giovane studioso americano, Thomas E. Woods jr., di cui in
questi giorni Cantagalli pubblica Come la Chiesa cattolica ha costruito
la civiltà occidentale. Da notare che Woods,
senior fellow in Storia al Ludwig von Mises Institute, non sostiene
solo che l'Occidente abbia radici cristiane, ma che proprio il
cattolicesimo sia stata la linfa vitale che ha dato origine al grande
albero della cultura e società occidentale così come oggi la conosciamo.
Professor Woods, perché ha deciso di scrivere questo libro? «I docenti di Storia medievale o di Storia della scienza tendono ad essere più comprensibili sulle vicende della Chiesa rispetto a coloro che insegnano altre discipline, più portati a diffondere miti e leggende riguardo a quest'ultima. Il grande pubblico è stato istruito (a scuola e dai media) a credere ad ogni sorta di nonsenso sulla Chiesa. Questi miti sono stati confutati in libri di spessore accademico, ma la maggior parte della gente non li legge mai. Il mio testo attinge a queste opere e le rende accessibili al lettore medio». Nella Costituzione dell'Unione europea non c'è menzione delle radici cristiane. Cosa pensa di tale scelta? «Rigettare le radici cristiane dell'Europa è l'apice dell'assurdità. Nessun storico moderno prende seriamente in considerazione l'idea che la civiltà occidentale derivi esclusivamente dal mondo classico, dal Rinascimento e dall'Illuminismo, come se il c osiddetto Medio Evo non fosse altro che un periodo di stagnazione o repressione». Nel suo libro lei argomenta che la Chiesa cattolica ha plasmato la civiltà occidentale e fa una serie di esempi: il sistema universitario, la tradizione artistica, il diritto internazionale,… Quale il contributo più importante? «La vera storia della relazione tra la Chiesa e la scienza è senza dubbio il fatto di maggior rilevanza. Per lungo tempo la gente ha considerato assodato che la Chiesa sia stata un ostacolo allo sviluppo scientifico. I moderni studiosi di scienza - sia cattolici che non - respingono tale visione, purtroppo ancora insegnata ai nostri figli. Dubito che vi sia chi sappia che trentacinque crateri lunari si chiamano come altrettanti scienziati gesuiti oppure che fu un gesuita (Giambattista Riccioli) il primo a misurare l'accelerazione di un corpo in caduta libera. O, ancora, che fu un membro della Compagnia di Gesù - Francesco Maria Grimaldi - a scoprire il fenomeno della diffrazione della luce». Perché la scienza è stata una conquista cattolica? «Importanti aspetti della visione del cattolicesimo hanno aiutato ad assicurare il successo della scienza in Occidente. Il metodo scientifico non può funzionare senza che gli esperimenti siano ripetibili e ciò può avvenire solo se l'universo è ordinato. Se non posso aspettarmi di ottenere lo stesso risultato quando lo ripeto nelle medesime condizioni, ecco che diventa impossibile fare scienza. L'idea di un universo ordinato secondo leggi naturali ben fisse è sorta nell'Occidente cristiano perché l'ordine di Dio è stato considerato come un segno della Sua bontà. Sant'Anselmo non era il solo tra i teologi a distinguere tra la potentia assoluta di Dio e la sua potentia ordinata. In altre parole, sebbene Dio possieda il reale potere di governare l'universo in maniera capricciosa, Egli non ha voluto esercitare tale potestà dal momento ciò non era adatto alla Sua natura. La fiducia in una strutturazione dell'universo, congiunta al fatto di credere che esso possa essere compreso in via quantitativa (come afferma il Libro della Sapienza 11,21, uno dei versetti biblici più citati nel Medio Evo), ha creato il contesto intellettuale nel quale la scienza ha potuto nascere in Occidente». Lo storico delle religioni Philip Jenkins sostiene che l'anticattolicesimo sia l'ultimo pregiudizio oggi accettabile. Perché ciò avviene? «Alcuni intellettuali e celebrità occidentali odiano la Chiesa perché ne rimprovera gli immorali stili di vita. Altri credono al mito illuminista per cui tutte le forme di progresso provengono dai laicisti che hanno combattuto la Chiesa. Ai nostri giorni i cattolici sono considerati stupidi, superstiziosi e deboli perché hanno bisogno della loro gretta fede in Dio per confortare se stessi. L'idea che qualcuno possa supportare i principi cattolici e difenderli con argomenti filosofici è semplicemente ignorata. E ciò avviene nonostante esista una fruttuosa relazione tra fede e ragione lungo un vasto periodo della storia della Chiesa: Anselmo e Tommaso d'Aquino, ad esempio, hanno posto senza sosta domande filosofiche e teologiche, impegnando molto spesso la ragione per giungere alle loro conclusioni». |
Postato da: giacabi a 12:39 |
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chiesa, cristianesimo, wodds
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Il governo italiano esclude il pagamento di un riscatto per tirare fuori dai guai padre Giancarlo Bossi,
rapito domenica scorsa nel sud delle Filippine. Non solo: il nostro
ambasciatore a Manila, Rubens Anna Fedele, auspica che le forze di
sicurezza Filippine riescano a liberare il missionario italiano sano e
salvo.
In pratica un via libera al blitz, attuato a volte in passato dai corpi speciali filippini con risultati alterni, che in alcuni casi hanno comportato la morte o il ferimento dell’ostaggio. La notizia è stata rivelata alla stampa da Eduardo Ermita, il segretario esecutivo della presidente delle Filippine, Gloria Arroyo, ovvero il suo braccio destro. Un’inversione di 360 gradi rispetto alla linea adottata dal governo Prodi con il giornalista di Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, rapito pochi mesi fa in Afghanistan dai talebani. L’agenzia France Presse ha scritto ieri che l’ambasciatore Anna Fedele ha incontrato Ermita per affrontare la delicata questione del rapimento del religioso italiano. Secondo il braccio destro del presidente filippino, l’ambasciatore ha «espresso la speranza che le truppe e la polizia filippine possano “recuperare” in sicurezza il missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere)». Alla domanda se esiste la possibilità di pagare un riscatto, Ermita, riferendosi agli italiani, ha risposto: «No, non hanno assolutamente parlato di questo». In passato molti rapimenti di occidentali e religiosi sono stati risolti col pagamento di un riscatto. Inoltre il segretario esecutivo di Manila conferma che le forze Usa hanno messo a disposizione i loro aerei senza pilota per sorvolare la zona di Zamboanga, dove don Bossi è stato portato via da un commando, che lo ha caricato a forza su un’imbarcazione. Un centinaio di uomini dei corpi speciali americani sono di stanza nella vicina isola di Jolo fin dal 2002 per addestrare le forze di sicurezza filippine nell’antiterrorismo. In passato la task force Usa ha fornito utili informazioni di intelligence per la cattura o l’uccisione dei terroristi più ricercati del gruppo integralista Abu Sayaf, sospettato di essere coinvolto anche nel rapimento del missionario italiano. L’esclusione di un eventuale riscatto e la propensione al blitz, espressa dalle autorità filippine, è un’assoluta novità. Nel recente caso di Mastrogiacomo i servizi italiani avevano offerto un milione di dollari per liberare il giornalista, ma mullah Dadullah, il tagliagole talebano che gestiva il sequestro, voleva ben altro. La mediazione di Emergency portò alla liberazione del solo Mastrogiacomo in cambio di cinque prigionieri talebani detenuti a Kabul. Gli inglesi avevano proposto un blitz delle mitiche teste di cuoio Sas, al quale avrebbero potuto partecipare anche i corpi speciali italiani, ma il ministro della Difesa, Arturo Parisi, forse non del tutto convinto, ha posto il veto. Invece nelle Filippine, dove i tagliagole hanno gli occhi a mandorla, esercito e polizia, non certo all’altezza delle Sas, possono provarci a «recuperare» lo sfortunato missionario. «I rapitori non hanno risposto alle proposte di negoziato e non hanno avanzato ancora nessuna richiesta. Li stiamo cercando in tutta l’area di Sibugay, nei pressi di Zamboanga», ha spiegato ieri il colonnello Roberto Rabasio, che coordina la «caccia all’uomo». I militari e gli stessi ribelli islamici più moderati sono convinti che il mandante del sequestro sia Akiddin Abdusalam, conosciuto come «comandante Kiddie». Un militante rinnegato del fronte Moro (Milf), uno dei movimenti islamici più forti dell’isola di Mindanao, che sta trattando una soluzione pacifica al conflitto con le autorità di Manila. Il fratello di Abdusalam, che si è avvicinato alle cellule terroriste di Abu Sayaf, sarebbe stato riconosciuto nel commando di sequestratori. Il gruppo, legato ad Al Qaida, può contare su un nocciolo duro di 200 uomini, dopo le batoste subite lo scorso anno, ma continua ad attirare gli scontenti degli altri movimenti armati islamici, e pure normali banditi. Secondo alcuni abitanti del luogo, che conoscevano padre Bossi, i rapitori sarebbero soltanto dei criminali comuni. Alla pista dei delinquenti a caccia di soldi crede il cardinale di Manila, Gaudencio Rosales, che sostiene: «Non si può generalizzare e incolpare l’islam». |
Postato da: giacabi a 06:05 |
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islam, cristianesimo
L'auto-distruzione dell'umanesimo
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"Nell’anima
dell'uomo anzitutto si è scosso e si è distrutto qualche cosa, prima
che si scuotessero e si distruggessero i suoi valori storici. La «morte
di Dio» doveva avere il suo contraccolpo fatale. E noi oggi assistiamo a
ciò che Nicola Berdiaev, lui pure dotato di un dono «profetico», ma cui
si accompagna inoltre un 'esatta diagnosi, ha giustamente chiamato <l'auto-distruzione dell'umanesimo». Noi oggi stiamo verificando sperimentalmente che «dove non c'è Dio, non c’è neppure uomo» Che
è avvenuto infatti delle alte ambizioni di questo umanesimo, non
soltanto nei fatti, ma anche nello stesso pensiero dei suoi adepti? Che
cosa è avvenuto dell'uomo di questo umanesimo ateo? Un essere che
appena si osa chiamare ancora «essere»; una cosa che non ha più
interiorità, una cellula interamente immersa in una massa in divenire;
«uomo sociale e storico» di cui altro non resta che una pura astrazione,
al di fuori dei rapporti sociali e della situazione nella durata per
cui si definisce. Non c'è più in lui né fissità, né profondità. Non si
cerchi perciò qualche recesso inviolabile, non si pretenda di scoprire
qualche valore che si imponga al rispetto di tutti. Niente impedisce
perciò di utilizzarlo come un materiale o come uno strumento, sia che si
tratti di preparare qualche società futura o di assicurare nel presente
stesso la dominazione di un gruppo privilegiato. Nulla impedisce
perfino di gettarlo via come inservibile. Egli si lascia inoltre
concepire su tipi assai differenti, anzi opposti, a seconda che
predomina per esempio un sistema di spiegazione biologico od economico, o
a seconda che si crede o no ad un senso e ad un fine della storia
umana: Ma sotto le sue diversità, si trova sempre lo stesso carattere
fondamentale, o piuttosto si constata la stessa assenza. Questo uomo è
letteralmente dissolto: che sia in nome del mito o della dialettica,
l'uomo, perdendo la verità, perde se stesso. In realtà non c'è più uomo,
perché non c'è più nulla che trascenda l'uomo.
Non
parliamo soltanto di un fallimento, non accusiamo neppure certe
deformazioni grossolane, troppo reali e troppo evidenti. Non tutta la
posterità di Marx ha ereditato dal suo genio: la eredità di Nietzsche
poi è ancora più arruffata ed è fuor di dubbio che il profeta di
Zarathustra oggi sarebbe il primo a maledire, per molte ragioni, molti
di quelli che si appellano a lui . Ma queste deformazioni sono spesso
meno dei tradimenti che l'effetto di una corruzione fatale L'umanesimo
ateo non poteva terminare che in un fallimento. L'uomo è se stesso solo
per il fatto che il suo volto è illuminato da un raggio divino. Divinitas in luto tamquam imago in speculo refulget . Se
il fuoco scompare, sparisce pure il suo riflesso. «Basta distruggere in
tutto quello che avviene nel nostro mondo sublunare il rapporto con la
eternità, per distruggere nello stesso tempo ogni profondità ed ogni
contenuto reale di questo mondo». Dio non è soltanto per l'uomo una
norma che a lui si impone e che, guidandolo lo solleva: Egli è
l'Assoluto che lo fonda, è la calamita che l'attira, è l'Al di là che lo
eccita, è l'Eterno
che gli fornisce il solo clima in cui respirare, è in qualche modo
quella terza dimensione in cui l'uomo trova la sua profondità . Se
l'uomo si fa il suo proprio dio, può nutrire per qualche tempo
l'illusione di elevarsi e di emanciparsi: esaltazione passeggera! In
realtà, egli abbassa Dio ed egli stesso non tarderà a sentirsi
abbassato." .
Henry De Lubac da: “Il dramma dell’umanesimo ateo” ed. Morcelliana
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Postato da: giacabi a 17:58 |
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nichilismo, cristianesimo, de lubac
IL DRAMMA
DELL’UMANESIMO ATEO
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Nel
mondo classico, cosi come nel mondo pagano del Mediterraneo orientale
abitato da ebrei, come ricordato nella Bibbia ebraica, gli dèi o il Fato
giocavano con uomini e donne, spesso con conseguenze letali; si ricordi
ad esempio l'interferenza degli dèi nelle vicende umane nell' Ilia- de e
nell' Odissea, o la costante battaglia di Israele contro la pratica dei
sacrifici di bambini richiesta dalle divinità dei Filistei e di altre
nazioni vicine. Al cospetto di queste esperienze, la rivelazione del Dio
della Bibbia - l'apparizione
nella storia di un Dio unico che non era né un tiranno ostinato (da
evitare) né un predatore carnivoro (da calmare) né un'astrazione lontana
(da ignorare) -fu percepita come una grande liberazione. Gli esseri
umani non erano dei fantocci in mano agli dèi, né le vittime passive del
Fato: potevano invece entrare in contatto col Dio unico e vero
attraverso la preghiera e il culto, e coloro che credevano nel Dio di
Abramo, Isacco, Giacobbe e Gesù potevano dare alla storia una direzione
umana. La
storia non era infatti un palcoscenico in cui gli esseri umani erano
manovrati dagli dèi e dalle divinità come burattini; la storia era
piuttosto un'arena di responsabilità e di propositi, essendo il mezzo
attraverso cui il Dio unico e vero si era rivelato al suo popolo
dotandolo della piena facoltà di condurre una vita degna, tramite
l'intelligenza e il libero arbitrio che ha donato loro nella creazione.
Ciononostante,
quella che un tempo per l'uomo biblico era una liberazione, divenne per
i sostenitori dell'umanesimo ateo una schiavitù. La libertà umana non
poteva coesistere con il Dio degli ebrei e dei cristiani e, secondo
l'umanesimo ateo, la grandezza dell'uomo richiedeva il rifiuto del Dio
biblico.
George Weigel “La Cattedrale e il Cubo”
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Postato da: giacabi a 17:06 |
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nichilismo, cristianesimo, weigel
Roger Scruton
Oltre agli appettiti abbiamo un'idea di bene. Contro il progressismo distruttivo e totalitario che vive come se i morti e i non-nati non avessero voce. Per una modernità che non teme il sacro e il proibito Manifesto dei conservatori Autore R. Scruton Editore Raffaello Cortina Pagine 260 Prezzo 22 euro di Meotti Giulio «Il conservatorismo inglese ha le sue radici nel retaggio dei ceti alti, nel pacato buonsenso della vecchia costituzione e nelle abitudini senza pretese della gente comune». Si apre così, come un inno autobiografico all'"Inghilterra che non c'è più", il Manifesto dei conservatori (Raffaello Cortina) di Roger Scruton, filosofo e polemista inglese di genio che insegna a Princeton e all'Istituto di scienze psicologiche di Arlington. Come spiega Giuliano Ferrara nell'introduzione al volume, il problema dei conservatori è «fissare il limite della modernità dal di dentro della modernità». Scruton è maestro in questo, issa la bandiera del common sense cristiano anglosassone all'interno del pensiero postilluministico e razionale. Scruton non vede differenze sostanziali fra il cuore dell'antico conservatorismo e quello del nuovo, nonostante il pessimo servizio che i suoi sostenitori abbiano fatto al suo nome. «All'opera c'è la stessa significanza sociale, politica e spirituale che desideriamo conservare e il pieno riconoscimento che è più facile distruggere che creare», dice a Tempi. «Il contratto formulato da Edmund Burke è realmente una sorta di amministrazione fiduciaria: noi vivi abbiamo qualcosa di inestimabile che siamo chiamati a conservare per il beneficio di coloro che verranno. Questo pensiero è importante tanto più nell'era postmoderna, dal momento che abbiamo scoperto che l'idea di "progresso" è un mito pericoloso. Il postmodernismo risulta essere l'ultima impresa della "cultura del rifiuto" balzata alla ribalta della storia nel 1968. Come Burke sottoindendeva, solo chi ascolta la voce di chi non c'è più è in grado di proteggere chi non è ancora venuto al mondo. In questo senso la cultura è depositaria di un'esperienza che è al tempo stesso in un luogo e ovunque, presente e senza tempo, l'esperienza di una comunità santificata dal tempo. Ora gli europei invece vivono come se i vivi, i morti e i non-nati non avessero una voce». Nel suo libro Scruton analizza il legame fra linguaggio e verità, vincolo perso nel tempo e distrutto dalla cultura del nulla. «Un nuovo linguaggio è sorto da quando abbiamo sostituito un pensiero vivo e fecondo con un linguaggio meccanico, abbandonando l'orizzonte del linguaggio religioso. Quando l'uomo perde il senso della pietas, le parole perdono il loro contatto con le cose, la realtà. Per pietà intendo la disponibilità a riconoscere il nostro stato di debolezza, ad affrontare il mondo circostante con reverenza e umiltà. Tale sentimento è un residuo della religione in tutti noi, che si voglia ammetterlo o no. È qualcosa di cui un numero elevato di persone sta cercando di riappropriarsi in un mondo dove i risultati dell'arroganza umana sono tristemente evidenti». La negazione dell'umanità Quello di Scruton è un sentimento difficile da giustificare nei termini del freddo e duro ragionamento utilitaristico che piace a Peter Singer, il filosofo australiano che è arrivato a teorizzare l'equiparazione tra i diritti degli uomini e quelli degli animali. «L'utilitarismo trascura l'elemento distintivo della nostra condizione, la nostra radicata propensione a considerarci esseri morali, legati da relazioni di responsabilità ad altri della nostra specie. Al posto del mondo naturale fatto a immagine dell'umanità, troviamo un'umanità ridescritta come parte del mondo naturale». Un capitolo del Manifesto dei conservatori è dedicato alla natura del totalitarismo, descritto da Roger Scruton come un fenomeno sovrastorico, addirittura teoclastico. «Il totalitarismo è il tentativo di organizzare la società umana senza il rispetto per la libertà dei suoi membri e i bisogni umani. Si rifiuta di vedere la società come qualcosa che ricerchiamo, e riesce a leggervi solo il prodotto artificiale dell'umana libertà, sulla base di convenzioni e consensi. Lo Stato postmoderno riscrive infatti tutti i vincoli come fossero contratti tra i vivi. La lezione che dovremmo trarre dai movimenti totalitari del Novecento è quella che ci insegna che il totalitarismo non è la forma naturale di un modo di vedere patologico, ma il contrario: la forma patologica di uno naturale». Come rileva Hannah Arendt, i lager nazisti non erano progettati semplicemente al fine di distruggere gli esseri umani, ma anche di privarli della loro dignità: «I prigionieri dovevano essere trattati come oggetti, umiliati, degradati, ridotti in uno stato di necessità pura, divorante, senza possibilità di soddisfazione, che avrebbe cancellato gli ultimi brandelli di libertà. Avevano lo stesso che perseguono Iago nell'Otello di Shakespeare in un modo e Mefistofele nel Faust di Goethe in un altro: derubare i detenuti della loro anima. Se scrutiamo nell'animo di Iago troviamo un vuoto, un nulla; come Mefistofele, è una grande negazione, un animo fatto di antispirito, proprio come un corpo può essere costituito da antimateria. I campi erano dominati dall'antispirito e chi vi era prigioniero si aggirava barcollando, gravato dal grande segno della negazione. A chi era permesso osservarli, questi antiumani apparivano repellenti, coperti di parassiti, moralmente offensivi e, di conseguenza, il loro sterminio poteva essere presentato come una necessità. La loro scomparsa in un oblio comune divenne l'equivalente spirituale della materia che viene inghiottita da un buco nero». George Orwell parlava del totalitarismo come di un tradimento teologico. Dice Scruton che «se nell'impero sovietico è stato opera di forza, nel mondo occidentale è stato invece generato dal consenso. Nel primo caso la causa era il desiderio di distruggere Dio; nel secondo l'incapacità di percepirlo». Per questo gli piace ricordare che all'orrore del sistema sovietico Aleksandr Solzenicyn rispose con una preghiera: «Non sia attraverso me che il male entri nel mondo». Come nascono i bambini L'idiota di Dostoevskij dice che la bellezza salverà il mondo, aforisma ormai neutralizzato dall'abuso kitsch. Ma per Scruton contiene sempre una verità: «L'esperienza della bellezza è la riflessione e la comprensione che il nostro essere qui e ora non si esaurisce nel presente. Contiene un cuore di eternità che sale in superficie quando ci innamoriamo, nascono i figli e ci promettiamo fedeltà nel matrimonio. Le nozze sono infatti un rito di passaggio, durante il quale una coppia va da una condizione sociale a un'altra, e la cerimonia non coinvolge solo gli sposi bensì l'intera comunità a quale appartengono. E questo è il modo con il quale i figli sono "generati". Oggi è diffusa invece una cultura di dissacrazione, nella quale i rapporti sono svuotati delle antiche virtù religiose (innocenza, sacrificio, promesse eterne) e in cui poco o nessun riconoscimento è concesso alle idee di sacro, di santo e di proibito». In proposito, però, l'autore del Manifesto dei conservatori è contrario all'uso della parola valori: «I valori sono una questione di pratica non di teoria. Non sono insegnati quanto impartiti, dispensati. Li si apprende attraverso un'immersione, entrando in contatto con i propri simili, plasmando un "io" a partire da un "noi" collettivo». La Chiesa cattolica è impegnata in una drammatica battaglia nella difesa della generazione umana. Una battaglia che per Scruton «è degna di essere combattuta: tutte le altri visioni della riproduzione umana negano la dignità dell'uomo. La forma umana è vulnerabile alla profanazione e al sacrilegio. Alcuni momenti della vita (nascita, morte, procreazione) traducono il carattere sacro della vita in una percezione immediata e realistica. La riproduzione umana è un processo di milioni di anni di adattamento, perciò fino a ieri era vista come qualcosa di troppo sacro per metterci sopra le mani, come un dono degli dei. Oggi invece stiamo cercando di accelerare il processo dell'evoluzione per soddisfare i nostri desideri. Ma chi conosce le conseguenze? La "soluzione finale" al problema dell'uomo è già stata posta seriamente. L'uomo sembra ridondante. L'umiltà che un tempo circondava la creazione è stata data via per il cinico sfruttamento della vita. Riferirsi alle vecchie idee del destino, del sacro e dell'intoccabile non produce alcuna emozione nelle persone che credono che la biologia contenga l'intera verità della condizione umana. Il corpo non è più il ricettacolo nel quale si congiungono l'empirico e il trascendente, la nicchia dell'io nel contesto della natura. È diventato un bersaglio da aggredire, devastare e consumare, da vedere in tutti i suoi contorcimenti come un verme che si attorciglia miseramente in agonia. Noi, però, siamo motivati non solo da appetiti, ma anche da una concezione del bene. Non siamo solo oggetti in un mondo di oggetti, ma anche soggetti, creature sospese fra l'empirico e il trascendente. Abbassando gli occhi sulle nostre funzioni organiche, perdiamo di vista la vita morale. Questa non è scienza ma scientismo, che sta alla scienza come la pornografia sta all'amore». Roger Scruton è spesso accusato di pessimismo. «Tutti i conservatori sono tentati dal pessimismo, perché rifiutano ciò che Schopenhauer chiamava l'"ottimismo senza scrupoli" delle facili soluzioni. Il pessimismo è però diverso dalla filosofia della negazione, che è sempre una forma di suicidio morale. Perché non essere felici di fronte al vino, all'amicizia e al volto imprescrutabile di Dio?». Quale verità è necessario preservare? «Quella secondo cui senza sacrificio, niente ha valore». |
Postato da: giacabi a 19:51 |
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nichilismo, cristianesimo
CHE BELLA COPPIA FORMANO DUE CREDENTI
Che bella coppia formano due credenti
che condividono la stessa speranza,
lo stesso ideale, lo stesso modo di vivere,
lo stesso atteggiamento di servizio!
Ambedue fratelli e servi dello stesso Signore,
senza la minima divisione nella carne e nello spirito,
insieme pregano, insieme s'inginocchiano
e insieme fanno digiuno,
s'istruiscono l'un l'altro,
si sostengono a vicenda.
Stanno insieme nella Santa Assemblea,
insieme alla mensa del Signore,
insieme nella prova,
nella persecuzione, nella gioia.
Non c'è pericolo che nascondano qualcosa,
che si evitino l'un l'altro,
che l'uno all'altro siano di peso.
Volentieri essi fanno visita ai malati
ed assistono i bisognosi.
Fanno elemosina senza mala voglia,
partecipano al Sacrificio senza fretta,
assolvono ogni giorno ai loro impegni, senza sosta.
Ignorano i segni di croce furtivi,
rendono grazie senza alcuna reticenza,
si benedicono senza vergogna nella voce.
Salmi ed inni essi recitano a voci alternate
e fanno a gara a chi meglio canta le lodi al suo Dio.
Vedendo e sentendo questo, Cristo gioisce
e ai due sposi manda la Sua pace.
Là dove sono i due, ivi è anche Cristo.
(Tertulliano alla moglie, II,(8-9)
***
"Per sempre ..."
***
"Vieni a sederti accanto a me sulla panchina davanti a casa,moglie cara.È tuo diritto: saranno presto quasi quarant'anni che siamo insieme.Questa sera è bel tempo ed è anche la sera della nostra vita:tu hai ben meritato questo breve momento di riposo.I nostri figli si sono ormai sistemati e se ne sono andati per il mondo;e noi siamo di nuovo soli, come all'inizio.Ricordi? Non avevamo nulla per cominciare,bisognava fare tutto.Ci siamo messi al lavoro ed è stata dura;c'è voluto coraggio e perseveranza.C'è voluto amore e l'amore non è quel che si crede quando si comincia.Non sono soltanto quei baci che si scambiano,quelle parole che si sussurrano all'orecchio:non è neppure il tenersi stretti l'uno contro l'altra.La vita è lunga, il giorno delle nozze non è che un giorno;soltanto dopo, ricordi, è iniziata la vita.Bisogna fare e viene disfatto;bisogna rifare e viene disfatto ancora.Vengono i figli: occorre nutrirli, vestirli, allevarli:è una vicenda senza fine.Talvolta si ammalavano,tu rimanevi in piedi tutta la notte,io lavoravo dal mattino alla sera.Giungono dei momenti in cui si dispera;gli anni si succedono agli anni e non si va avanti.Spesso sembra di tornare indietro.Ricordi tutte queste cose?Tutte queste preoccupazioni, tutti questi affanni:soltanto tu sei sempre stata qui.Siamo rimasti fedeli l'uno all'altra.Ho potuto appoggiarmi a te e tu ti appoggiavi a me.Abbiamo avuto la sorte d'essere insieme,ci siamo messi tutte e due all'opera,abbiamo resistito e tenuto duro.Il vero amore non è quello che si crede.Il vero amore non dura un giorno, ma sempre.Vuol dire aiutarsi, comprendersi.E, a poco a poco, si vede che tutto si accomoda.I figli sono cresciuti, hanno preso una buona piega;ne avevano avuto l'esempio.Abbiamo consolidato le fondamenta della casa:se tutte le case del paese saranno solide,anche il paese sarà solido.Perciò vieni accanto a me e guarda,poiché quando il cielo è rosa come questa sera,quando una polvere rosa s'alza da ogni parte e penetra fra gli alberi,è giunto il tempo di raccogliere e riporre il grano.Stringiti contro di me: non parleremo,non abbiamo più bisogno di dirci nulla.Abbiamo solo bisogno di stare insieme ancora una voltae di attendere la notte nella soddisfazione del dovere compiuto".
Charles-Ferdinand Ramuz (1878-1947)
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Postato da: giacabi a 21:06 |
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chiesa, famiglia, bellezza, cristianesimo
GRAZIE ! BUON PASTORE
RESPINGERE GLI ASSALTI DEI NUOVI “BARBAROSSA” CHE TENTANO DI ESPUGNARE LE NOSTRE CITTÀ
Omelia di S.E. Mons. Giuseppe Betori,
Segretario Generale della CEI, in occasione della Festa di Sant’Ubaldo Patrono di Gubbio (PG)
Nella
prima lettura di questa liturgia il libro del Siracide ci ha offerto il
ritratto del Sommo Sacerdote Simone, un ritratto che ben si attaglia
anche alla figura di Sant’Ubaldo, così come ce l’ha consegnata la storia
e la devozione dei suoi concittadini. Ne emerge in particolare la
funzione liturgica, fondamentale nel ministero di un vescovo – e di cui
nella vita di Sant’Ubaldo si ha testimonianza vivissima proprio alla
vigilia della sua morte, a ciò invocato dal suo popolo che ne reclama
l’azione sacerdotale –, ma non vanno trascurati gli altri segni che
completano l’immagine, in particolare in rapporto al servizio del
popolo.
Perché proprio questo fa grande Sant’Ubaldo e quindi da sempre e da tutti in Gubbio venerato e amato: il suo essere servitore della comunità ecclesiale e civile. Gli episodi che ne arricchiscono la biografia vanno tutti in questa direzione: la riforma della vita del clero, l’accettazione delle sofferenze che gli procura il suo comportamento mite e pronto al perdono, la povertà e l’uso benefico dei beni materiali a vantaggio dei poveri, il mettere a repentaglio la propria vita per riportare la pace, il ripudio di ogni timore davanti ai potenti per difendere la causa dei deboli, la serena accettazione delle sofferenze che colpiscono il suo corpo con il progredire degli anni, le numerose guarigioni di malati e afflitti durante la sua vita e dopo la sua morte. Ma c’è una frase nel brano del Siracide che risplende di particolare vigore, illuminando il momento centrale del rapporto tra Sant’Ubaldo e la sua città: “Premuroso di impedire la caduta del suo popolo fortificò la città contro un assedio”. Non possiamo non scorgervi una esaltante corrispondenza con il segno di croce tracciato da Sant’Ubaldo che pose fine all’assedio delle città nemiche. Ma non possiamo dimenticare che esso giunse solo alla fine di un itinerario di conversione del popolo e dopo la supplica che il Santo rivolse al Signore. C’è una forte carica di esemplarità in questo episodio chiave della vita di Sant’Ubaldo, che molto più insegnare anche per la condizione odierna della nostra società. Nuovi nemici tentano di espugnare le nostre città, di sovvertire il loro sereno ordinamento e di creare turbamento alla loro vita. Questi nuovi nemici si chiamano il nichilismo e il relativismo, che in modo più o meno esplicito nutrono le tendenze egemoni nella nostra cultura: fanno dell’embrione, l’essere umano più indifeso, un materiale disponibile per sperimentazioni mediche; danno copertura legale al crimine dell’aborto e si apprestano a farlo per le pratiche eutanasiche, infrangendo la sacralità dell’inizio e della fine della vita umana; introducono il concetto apparentemente innocuo di qualità della vita, che innesca l’emarginazione e la condanna dei più deboli e svantaggiati; coltivano sentimenti di arroganza e di violenza che fomentano le guerre e il terrorismo; delimitano gli spazi del riconoscimento dell’altro chiudendo all’accoglienza di chi è diverso per etnia, cultura e religione; negano possibilità di crescita per tutti mantenendo situazioni e strutture di ingiustizia sociale; oscurano la verità della dualità sessuale in nome di una improponibile libertà di autodeterminazione di sé; scardinano la natura stessa della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna. Occorre avere consapevolezza di questa battaglia in corso attorno alla persona umana e alla sua dignità e di quanto essa sia decisiva per il futuro della società, ma occorre anche riconoscere che può salvarci solo il riferimento al Dio creatore e alla sua legge scritta nei nostri cuori, e a noi rivelata in pienezza da Gesù che ci offre anche la grazia di adempierla. È questo riferimento trascendente che, giustamente, don Angelo Fanucci – nel suo commento alla vita di Sant’Ubaldo scritta da Giordano – vede in quel collocarsi “in alto” da parte di Sant’Ubaldo nel prendere posizione a favore dei suoi concittadini nel dramma dell’assedio. Così come la grandezza del Sommo Sacerdote Simone è tutta nel suo essere pontefice, ponte tra Dio e il suo popolo, altrettanto Sant’Ubaldo si colloca al di sopra di una visione puramente umana delle cose e si pone nella prospettiva di Dio, altrettanto anche noi oggi siamo chiamati a discernere e giudicare il presente con gli occhi di Dio e a chiedere a tutti, credenti e non credenti, di fare altrettanto se vogliamo salvare il nostro futuro, a vivere tutti – come ci ha invitato Benedetto XVI – “etsi Deus daretur”, “come se Dio esistesse”, ribaltando l’ipotesi che ha retto il pensiero e l’agire della modernità, l’““etsi Deus non daretur“”, il “come se dio non ci fosse” che ha prodotto i forni di Auschwitz e i gulag della Siberia. Se vogliamo difendere il vero volto dell’uomo abbiamo bisogno di riscoprire il volto di Dio. E il volto di Dio è l’amore, come ci ha ricordato il Santo Padre nella sua enciclica Deus caritas est. Non però l’amore debole che nasconde la verità, che crea ambiguità sotto il velo della falsa tolleranza, bensì quello esigente che non rinuncia a ferire per curare, a distinguere per poter allacciare ponti veri e non a voler rendere tutto fittiziamente omologo, a richiamare alla responsabilità senza indulgere in un buonismo alla fine perdente. Solo da questa carità nella verità può scaturire quella capacità di costruzione della comunione che segna tante vicende della vita di Sant’Ubaldo e che la seconda lettura, tratta dalla lettera di San Paolo agli Efesini, descrive nei termini della benevolenza, della misericordia, del perdono, della carità a imitazione di Cristo che “ha dato se stesso per noi”. Questa visione alta della carità, che non rinuncia alla verità, ma proprio per questo è capace di generare progetti di novità di vita nella sfera individuale e in quella sociale, è ciò che è chiesto oggi ai cattolici. Da un siffatto progetto di rinnovamento spirituale, culturale e sociale può scaturire quel dominio sui dèmoni del nostro tempo, la cui sottomissione, secondo le parole della pagina del vangelo di Luca, è legata al nome di Gesù e al nostro affidarci come discepoli a lui. L’attesa della protezione del Santo è viva per noi, come lo fu in occasione della sua morte da parte dei tanti poveri che si rivolsero alla sua intercessione. Ma, come ci ricorda il vangelo, ancor più importante è che il nome di Sant’Ubaldo splenda scritto nel cielo e che a questa meta di santità chiami tutti noi. La meta della santità, costituisce anche nel tempo presente il compito affidato alla testimonianza che i credenti sono chiamati ad offrire al Signore Risorto, così che egli possa risplendere come speranza per l’umanità. Lo abbiamo ribadito nel recente Convegno ecclesiale nazionale di Verona. Vogliamo riascoltarlo con le parole di Giovanni Paolo II, che al termine del grande Giubileo dell’anno 2000 ci ha riproposto la santità come «“misura alta” della vita cristiana ordinaria», che tutti quindi ci interpella a vivere, per usare le parole di Benedetto XVI, rispondendo con il “sì” della fede al «grande “sì” che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza». Così sperimenteremo per noi e saremo capaci di testimoniare agli altri la bellezza della vita cristiana, come essa sia compimento pieno e ulteriore di ogni nostra attesa, gioia perfetta che nulla può oscurare e che non avrà mai fine. |
Postato da: giacabi a 08:25 |
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nichilismo, cristianesimo
J’accuse di René girard
Da: www.ilfoglio.it
Gli
intellettuali sono castratori di significato: “Dopo il linguaggio
stanno decostruendo l’uomo”. Microeugenetica, un sacrificio umano. “La
sessualità è il problema, non la soluzione”. Le idee spietate di un
grande pensatore
Roma.
Nonostante gli ottantaquattro anni, René Girard non ha perso niente
della fibra di pensatore radicale, quasi terminale. Sta lavorando a un
nuovo saggio su Karl von Clausewitz. Autore di opere capitali del
pensiero contemporaneo come “La violenza e il sacro” e “Il capro
espiatorio”, eletto fra i quaranta “immortali” dell’Académie française, René Girard è il più grande antropologo vivente insieme a Claude Lévi-Strauss.
In questa intervista al Foglio, Girard torna su quella che ha definito
“la grande questione antropologica del nostro tempo”. Apre con una
domanda: “Può esserci una antropologia realistica che precede la
decostruzione? In altre parole: è lecito e ancora possibile affermare una verità universale sul genere umano? L’antropologia contemporanea, strutturalista e postmoderna, nega quest’accesso alla verità. Il pensiero attuale è la castrazione del significato.
Sono pericolosi questi tentativi di mettere in discussione l’uomo”. E’
questa l’origine, secondo Girard, dello “skandalon” della religione
nell’epoca della neosecolarizzazione. “A partire dall’illuminismo, la religione è stata concepita come puro non sense. August Comte aveva una teoria precisa sull’origine della verità e il suo intellettualismo ottocentesco ricorda molto quello in voga oggi. Comte diceva che ci sono tre fasi: religiosa, che è la più puerile; filosofica e infine scientifica, la più vicina alla verità. Oggi
nel discorso pubblico si mira a definire la ‘non verità’ della
religione, indispensabile invece per la sopravvivenza della specie
umana.
Nessuno si domanda quale sia la funzione della religione, si parla solo
di fede: ‘Io ho fede’. Ma poi? La teoria rivoluzionaria di Charles
Darwin sperava di aver dimostrato l’inutilità di una istituzione antica
quindicimila anni come la religione. Oggi ci si prova nella forma del
caos genetico enunciato dal neodarwinismo. Si prenda uno scienziato come
Richard Dawkins, è un pensatore estremamente violento e vede la
religione come qualcosa di delinquenziale”.
La religione ha una funzione che va oltre la fede e la veridicità del
dono monoteista: “La proibizione dei sacrifici umani. Il mondo moderno
ha deciso che è la proibizione il non sense. La religione è tornata a essere concepita come il costume del buon selvaggio, uno stato primitivo di ignoranza sotto le stelle. La
religione è invece necessaria a reprimere la violenza. L’uomo è una
specie unica al mondo: l’unica che minacci la propria sopravvivenza
attraverso la violenza. Gli animali durante la gelosia sessuale non si uccidono a vicenda. Gli esseri umani sì.
Gli animali non conoscono la vendetta, la distruzione della vittima
sacrificale legata alla natura mimetica delle moltitudini plaudenti”.
Oggi si accetta solo una definizione di violenza come pura aggressione:
“E’ perché si vuole renderla innocente. La violenza umana è invece
desiderio e imitazione. Il postmodernismo non riesce a parlare di
violenza: la pone fra parentesi e semplicemente ne ignora l’origine. E
con essa la verità più importante: la realtà è da qualche parte
accessibile”.
René Girard proviene dal radicalismo francese. “Mi sono riempito la testa con le pagliacciate e il semplicismo mediocre e stupido dell’avanguardia. So bene quanto la negazione postmoderna della realtà possa condurre al discredito della domanda morale dell’uomo. L’avanguardia un tempo relegata in ambito artistico oggi si estende a quello scientifico che ragiona sull’origine dell’uomo. In un certo senso, la scienza è diventata una nuova mitologia, l’uomo che crea la vita. Così, ho accolto con grande sollievo la definizione di Joseph Ratzinger di ‘riduzionismo biologico’, la nuova forma di decostruzione, il mito biologista. Mi ritrovo anche nella distinzione dell’ex cardinale fra scienza e scientismo”. L’unica grande differenza fra l’uomo e la specie animale è la dimensione religiosa. “E’ questa l’essenza dell’esistenza umana, è l’origine della proibizione dei sacrifici e della violenza. Dove si è dissolta la religione, lì è iniziato un processo di decomposizione. La microeugenetica è la nuova forma di sacrificio umano. Non proteggiamo più la vita dalla violenza, schiacciamo invece la vita con la violenza. Per cercare di appropriarci del mistero della vita a nostro beneficio. Ma falliremo. L’eugenetica è il culmine di un pensiero iniziato due secoli fa e che costituisce il più grande pericolo per la specie umana. L’uomo è la specie che può sempre distruggere se stessa. Per questo ha creato la religione”. Oggi ci sono tre aree in cui l’uomo è in pericolo: nucleare, terrorismo e manipolazione genetica. “Il Ventesimo secolo è stato il secolo del classico nichilismo. Il Ventunesimo sarà il secolo del nichilismo affascinante. Aveva ragione C. S. Lewis quando parlava di ‘abolizione dell’uomo’. Michel Foucault aggiunse che l’abolizione dell’uomo sta diventando un concetto filosofico. Non si può più parlare oggi dell’uomo. Quando Friedrich Nietzsche annunciò la morte di Dio, in realtà stava annunciando la morte dell’uomo. L’eugenetica è la negazione della razionalità umana. Se si considera l’uomo come mero e grezzo materiale da laboratorio, un oggetto manipolabile e malleabile, si può arrivare a fargli qualsiasi cosa. Si finisce per distruggere la fondamentale razionalità dell’essere umano. L’uomo non può essere riorganizzato”. Secondo Girard, oggi stiamo perdendo di vista anche un’altra funzione antropologica, quella del matrimonio. “Una istituzione precristiana e valorizzata dal cristianesimo. Il matrimonio è l’indispensabile organizzazione della vita, legata alla richiesta umana di immortalità. Creando una famiglia, è come se l’uomo perseguisse l’imitazione della vita eterna. Ci sono stati luoghi e civiltà in cui l’omosessualità era tollerata, ma nessuna società l’ha messa sullo stesso piano giuridico della famiglia. Abbiamo un uomo e una donna, cioè sempre un’opposizione. Alle ultime elezioni americane del 2006, la vera vittoria è stata del matrimonio naturale ai referendum”. La noia metafisica dell’Europa L’Europa è immersa in quella che l’arabista della Sorbona Rémi Brague chiama noia metafisica. “E’ una bella definizione, anche se mi pare che la superiorità del messaggio cristiano diventi ogni giorno più visibile. Quando è più attaccato, il cristianesimo brilla di maggiore verità. Essendo la negazione della mitologia, il cristianesimo splende nel momento in cui il nostro mondo si riempie di nuove mitologie sacrificali. Lo skandalon della rivelazione cristiana l’ho sempre inteso in maniera radicale. Nel cristianesimo, anziché assumere il punto di vista della folla, si assume quello della vittima innocente. Si tratta di un capovolgimento dello schema arcaico. E di un esaurimento della violenza”. Girard parla di ossessione per la sessualità. “Nei Vangeli non c’è nulla di sessuale e questo fatto è stato completamente romanticizzato dalla gnosi contemporanea. La gnosi da sempre esclude categorie di persone e le trasforma in nemici. La cristianità è l’esatto contrario della mitologia e della gnosi. Oggi avanza una forma di neopaganesimo. Il più grande errore della filosofia postmoderna è aver pensato che potesse gratuitamente trasformare l’uomo in una macchina di piacere. Da qui passa la disumanizzazione, a cominciare dal desiderio falso di prolungare la vita sacrificando beni più grandi”. La filosofia postmoderna si basa sull’assunzione che la storia sia finita. “Da qui nasce una cultura schiacciata sul presente. Da qui origina anche l’odio per una cultura forte che afferma una verità universale. Oggi si crede che la sessualità sia la soluzione a tutto, invece è il problema, la sua origine. Siamo continuamente persuasi da una suggestiva ideologia del fascino. La decostruzione non contempla la sessualità all’interno della follia umana. La nostra pazzia è dunque nel voler banalizzare la sessualità facendone qualcosa di frivolo. Spero che i cristiani non seguano questa direzione. Violenza e sessualità sono inseparabili. E questo perché si tratta della cosa più bella e turpe che abbiamo”. E’ in corso un divorzio fra umanità e sintassi, realtà e linguaggio. “Stiamo perdendo ogni contatto fra il linguaggio e le ragioni dell’essere. Oggi crediamo solo al linguaggio. Amiamo le favole più che in qualunque altra epoca. La cristianità è una verità linguistica, logos, Tommaso d’Aquino è stato il grande promulgatore di questo razionalismo linguistico. Il grande successo della cristianità angloamericana e dunque degli Stati Uniti si deve non a caso a straordinarie traduzioni della Bibbia. Nel cattolicesimo oggi c’è fin troppa sociologia. La chiesa è troppo spesso compromessa con le lusinghe del tempo e il modernismo. In un certo senso i problemi sono iniziati con il Concilio Vaticano II, ma risalgono alla precedente perdita dell’escatologia cristiana. La chiesa non ha abbastanza riflettuto su questa trasformazione. Come possiamo giustificare la totale eliminazione dell’escatologia persino nella liturgia?”. |
Postato da: giacabi a 16:06 |
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nichilismo, cristianesimo, girard
"LA REALTA' INVECE E' CRISTO"
MIRACOLO
A SAN PAOLO
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Tempi num.20 del 12/05/2005
IL PERCORSO DI UN'ASSOCIAZIONE POPOLARE BRASILIANA DI SENZA CASA: DALLE COMUNITÀ DI BASE ALLA SUBORDINAZIONE A LULA ALL'INCONTRO CON LA PRESENZA DI COMUNIONE E LIBERAZIONE di Casadei Rodolfo Comunione e Liberazione, teologia della liberazione. I nomi sono simili, ma le strade divergono, stando ad una lunga tradizione. Non così a San Paolo del Brasile: lì una realtà nata dalle Comunità di base cristiane, fiore all'occhiello della teologia della liberazione negli anni Settanta (benché essa non fosse la matrice di tutte), ha deciso di convergere sul cammino di Cl in forza di un incontro. Si tratta dell'Associazione dei lavoratori senza tetto di San Paolo guidata da Marcos Zerbini e Cleuza Ramos, i due leader popolari la cui storia abbiamo già raccontato (cfr. Tempi, n. 36/2004). Tra i fondatori del Pt, il Partito dei lavoratori del presidente Lula, hanno rotto col partito quando si sono resi conto che, salito al potere, stava irregimentando i movimenti popolari che aveva usato come strumenti per farsi strada. Nonostante l'isolamento politico, la loro associazione conta ancor oggi oltre 20 mila aderenti, ex senza tetto che oggi possiedono una casa perché hanno preso parte al loro movimento che ha privilegiato il metodo gradualista (acquistare i terreni, ottenere i permessi e costruire insieme le case) anziché il metodo massimalista (occupare con la forza le terre, da cui poi inevitabilmente la polizia e i tribunali li espellevano) preconizzato dal Pt prima di salire al governo. «Li abbiamo incontrati quasi tre anni fa», racconta padre Vando Valentini, responsabile della pastorale universitaria alla Pontificia università cattolica di San Paolo, arrivato in Brasile 31 anni fa come responsabile di Cl. «Avevano chiesto alla facoltà di medicina dell'università di aiutarli ad affrontare il problema delle gravidanze precoci in uno dei loro quartieri. è stato preparato un progetto, e il medico inviato sul posto era Alexandre Ferrari, un nostro memores (associazione laicale di Cl, ndr). Il progetto è riuscito molto bene, ed è nato un interesse reciproco. Sono venuti all'incontro latinoamericano della Compagnia delle Opere presieduto da Giorgio Vittadini, e hanno intuito che lì c'era la risposta al loro dramma». Dramma? Quale dramma? «Si erano accorti che erano diventati molto bravi nel costruire case per la gente, ma che non riuscivano a costruire la cosa a cui tenevano di più: una comunità solidale, una vera amicizia fra le persone. Fra i vicini delle loro case, come dentro allo stesso gruppo dirigente di una quarantina di persone, c'erano tensioni e conflitti che non riuscivano a risolvere. L'incontro con noi li ha richiamati all'origine della loro storia: l'appartenenza alla Chiesa». «Ci hanno chiesto di fare una Scuola di comunità (momento di catechesi di Cl, ndr) con loro, le 40 persone che seguono i gruppi nei quartieri. Ci vediamo tutti i sabati in un orario incredibile - le 7 di mattina - e studiamo insieme Tracce di esperienza cristiana di don Giussani per un paio di ore. Alcuni di loro si fanno un'ora di autobus per esserci. Poi durante la settimana si vedono fra loro per riprendere i temi che abbiamo affrontato. Adesso Marcos Zerbini dice: 'il nostro movimento è lo strumento perché la gente possa farsi la casa, ma il nostro obiettivo è che incontrino Cristo'. E la leadership è diventata un'altra. Cioè: sono sempre gli stessi - anzi le stesse, perché 30 di loro sono donne -, ma con un cuore diverso». Scuole di comunità alle 7 del mattino Oggi l'Associazione dei lavoratori senza tetto di San Paolo è diventata a tutti gli effetti un'opera di Cl, ovvero una delle realtà che aderiscono alla Compagnia delle Opere. Ogni due settimane il gruppo dei leader si incontra coi responsabili di Cl a San Paolo. Le donne lavorano in gran parte come domestiche, e per loro leggere e far proprio un testo scritto non è la più facile delle cose. Eppure ci tengono tantissimo. Alcune hanno pure creato un coro perché, ascoltando i canti introduttivi, si sono convinte che non si può far bene Scuola di comunità senza saper cantare più che bene. Si trovano il sabato sera fra le 23.30 e le 24.30. Avete mai visto tanta fede in Israele |
Postato da: giacabi a 20:27 |
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cristianesimo, zerbini
Da dove proviene la dignità umana
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Leo Moulin
Da : www.meetingrimini.org/1995_
Esistevano
libertà in questi secoli che certi si ostinano a dire bui,
oscurantisti, secoli di ignoranza, di tenebre, di inquisitoria
intolleranza? La prova? Parlando del Medioevo uno scrittore ha cantato "i variopinti legami che... avvincevano l’uomo ai suoi superiori naturali...", della "dignità personale" dell’uomo medievale, del "velo di tenero sentimentalismo che avvolgeva (all’epoca) i rapporti di famiglia", delle "attività (quelle del medico, del giurista, del prete, del poeta, dello scienziato) che... erano considerate degne di venerazione e rispetto". Qual è questo scrittore? Lo stesso ha riconosciuto l’esistenza "dei santi fremiti dell’esaltazione religiosa dell’entusiasmo cavalleresco" e, finalmente, "di innumerevoli franchigie (vuol dire libertà) faticosamente acquisite e patentate". Qual è questo saggista che ha parlato così bene del Medioevo? È Carlo Marx nel Manifesto Comunista del 1848 il
quale denuncia la borghesia (diremmo la società dell’’800) che, in
luogo di tutti questi valori, ha "sconsacrato... ogni cosa sacra". Tutti
i "rapporti sociali... con il loro seguito di opinioni e credenze rese
venerabili dall’età", li ha "affogati nell’acqua gelida del calcolo
egoistico", mettendo al loro posto la sola libertà di commercio "senza scrupoli", non lasciando "tra uomo e uomo, altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato pagamento in contanti".
Dunque,
per Carlo Marx, insospettabile testimonio, nella società medievale
esistevano libertà "faticosamente conquistate" e quindi reali, concrete,
vissute, risentite da ciascuno, libertà che "la borghesia", per parlare
come Marx, direi: il secolo dei Lumi, ha "lacerato", distrutto
radicalmente, per imporre la sua libertà. E
non solo di commercio, ma la libertà totale, nuda, astratta, puramente
giuridica, con tutte le conseguenze che conosciamo, la miseria, il
pauperismo, la derelizione del proletariato durante la maggior parte
dell’Ottocento, e la società in piena crisi, di oggi..
Dunque
tutti godono di libertà concrete, reali, personali, come antinomia,
come contraddizione totale alla libertà dei filosofi dei Lumi. I
congiurati dei borghi del Medioevo, delle città, dei comuni, cioè quelli
che avevano fatto il giuramento di vivere insieme in un comune libero
sotto la protezione di diritti e di libertà, godevano di una libertà
individuale, della inviolabilità del domicilio, del diritto di
proprietà, della soppressione di ogni intralcio alla circolazione dei
beni delle persone, della libertà di organizzare fiere e mercati, del
diritto di avere una campana, segno materiale di indipendenza del comune
e di erigere una torre in Belforte.
Abbiamo
parlato delle libertà concrete, della fittissima rete di libertà
concrete, "privilegi, statuti, diritti. Libertà e costumi legittimi",
dice la costituzione Habita del 1155, della quale godevano
tutti i cosiddetti "borghesi" dei "borghi", dei "comuni" medievali. I
congiurati godevano di queste libertà e di più avevano il diritto di
controllare e, qualche volta, di rifiutare le esigenze finanziarie del
Potere, anche in tempo di guerra. Avevano la libertà di intraprendere,
di creare, di vendere merci, di organizzare i mestieri secondo regole
strettamente definite dagli interessati stessi. Ma, osserviamo, sono
libertà che non si esercitavano se non in un gruppo costituito (che si
chiamava universitas, ordine religioso, corporazione, comune) e
attraverso questo gruppo. I diritti personali, nel senso moderno,
esistevano poco o erano raramente concessi.
Avevano
ancora il diritto legale di resistere al potere, se questo non
rispettava le sue promesse, i suoi giuramenti di osservare le libertà
comunali. Nel Brabante, provincia belga, il principe, prima di poter
entrare nella città e di ricevere le chiavi, segno di buona accoglienza,
doveva giurare di rispettare le libertà della città. E a segno di
"joyeuse entrée", cioè di "allegro ingresso", c’era una pergamena
religiosamente, gelosamente conservata nell’archivio della città. Il
tutto protetto da una rete di giuramenti sulla Bibbia, di promesse
diverse ed anche di tecniche deliberative ed elettorali che assicuravano
il rispetto di un regime che si può chiamare democratico e che sono
all’origine del nostro codice elettorale.
Per dimostrare ancora meglio la nostra tesi esaminiamo rapidamente i privilegi e libertà dei quali godevano scolari, maestri ed università medievali,
con l’affermazione permanente e di un’ampia autonomia istituzionale e
di una libertà intellettuale radicale, comunque molto più grande di ciò
che pensiamo oggi. Gli scolari godevano di un vero status
personale (per esempio dispensa del servizio militare); gli scolari
dipendevano unicamente dalla giustizia episcopale, che era più dolce,
più mite, e non dalla giustizia del comune o del re. Non dovevano pagare
il dazio per le merci personali che compravano fuori dell’incinta
daziaria per loro, i loro servitori, la loro famiglia quando veniva a
visitarli (ne approfittavano per fare un po’ di commercio). Funzionava
un controllo annuale dei prezzi dei libri e del livello dell’affitto
della camera e della pensione e così via.
Lo stesso, mutatis mutandis,
per i maestri, per l’università stessa. In quanto università essa gode
di una quantità tale di privilegi che più di una volta la sua libertas, al singolare, diventava una potestas
la quale attentava alle libertà degli altri gruppi della società
comunale. Più di una volta con la massima arroganza ha opposto i diritti
dello Studium, del sapere, cioè i suoi diritti e libertà, ai
diritti di Roma, dei re o dei comuni. Dunque esistevano libertà durante i
primi secoli del Medio Evo. Libertà numerose, concrete, efficaci,
libertà per l’uomo perché cristiano.
Ma, direte forse, esisteva nel Medio Evo anche "la" libertà? Sì. La Chiesa ha sempre rivendicato la libertas Ecclesiae.
San Paolo scrive: "Dove è lo Spirito, ivi è libertà" (II Cor 3, 17).
Dante, il nostro Dante, mi permetto di dire, scrive: "Libertà va
cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta" (Purg. I, 71),
parla di "innata libertate" (Purg. XVIII, 68). O: "Tu m’hai di servo
tratto a libertate".
Dunque,
direte, esisteva anche "la" libertà e non solamente "le" libertà?
Badate bene a questo: san Paolo parla della libertà del cristiano, che
non è più "servo del peccato" (Gv 8, 36) poiché è, in quanto credente,
"affrancato dalla legge del peccato e della morte" (Rm 8, 2), "servo
francato del Signore". Lo stesso si può dire di Dante: parla in qualità
di cristiano. Non
è "l’uomo, misura di tutto" del filosofo greco Protagora, è "l’uomo
vivo, gloria di Dio", di cui parla sant’Ireneo da Lione. Se
accettiamo la proposizione di Protagora, l’uomo misura di tutto, non ci
possono essere limiti alla mia libertà. In nome di quali valori dovrei
limitare la mia libertà, frenare la mia libertà, per rispettare la
libertà sfrenata (come la mia) degli altri?
Tutti i valori laici, che secondo me sono valori cristiani desacralizzati, laicizzati, diventano pericolosi
non perché sono cattivi in sé (sono, ripeto, di essenza cristiana), ma
perché non hanno altro punto di riferimento che l’uomo e l’uomo solo.
Ora il grande scrittore austriaco Jozef Roth ha scritto nel 1936:
"Quando l’uomo arriva al punto di credere che solo l’uomo può salvare
l’uomo, è maturo per il fascismo o per il comunismo". Ciò che si è
verificato dopo.
Invece,
se questi valori, se l’uomo di questi valori ha un punto di riferimento
al di fuori di sé, un assoluto al di fuori di se stesso, cioè Dio,
allora può parlare della sua libertà. È la libertà del cristiano: "Dove è lo Spirito – dice Paolo – ivi è la libertà
Leo Moulin è
nato a Bruxelles nel 1906-1996. Studioso di fama internazionale, ha
dedicato molti lavori agli ordini religiosi (in particolare al
monachesimo benedettino), alla loro vita e al ruolo che hanno ricoperto
nel disegnare l’originale fisionomia del nostro continente
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Postato da: giacabi a 22:12 |
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cristianesimo, moulin
L’origine cristiana
della scienza
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Tratto da:Appunti di un incontro con il prof. Peter E. Hodgson
” Secondo la dottrina cristiana della creazione, Dio scelse di creare liberamente l’Universo. Egli non era in alcun modo obbligato né a crearlo né a crearlo nel modo in cui fece.
Non
è, perciò, un Universo necessario, nel senso che doveva essere creato o
che non poteva essere creato in altro modo. Non c’è perciò alcuna
possibilità di conoscere l’Universo per puro pensiero o per un
ragionamento a priori . Noi possiamo solo sperare di capirlo studiandolo
e facendo
esperimenti
. Così la dottrina cristiana della creazione incoraggiò il metodo
sperimentale, essenziale per lo sviluppo della scienza.
La teologia di S.Agostino di Ippona (354 – 430 d.c.) incoraggiò
lo studio sistematico del mondo naturale, poiché egli credeva che la
sua natura sacramentale fosse simbolo delle verità spirituali.
Egli era
un grande osservatore dei fenomeni naturali, sempre attento ad ogni
cosa che desse persino una fuggevole intuizione della Ragione dietro
tutte le cose.
Le
leggi della natura sono oggettive e inesorabili, immutabili per noi ma
non per Dio. Egli incoraggiò lo studio della natura e la ricerca delle
sue leggi per conoscere il libro della natura: ”Guarda
sopra e sotto, annota, leggi. Dio, che tu vuoi scoprire, non ha scritto
le lettere in inchiostro;Egli ha messo di fronte ai tuoi occhi le cose
che ha fatto”. Seguendo Platone, riconobbe l’importanza della matematica, dicendo che le leggi della natura sono leggi di numeri. C’è
una trama razionale nella natura che deriva da leggi immutevoli che
governano il suo sviluppo attraverso il tempo. Egli fu interessato allo
studio della natura principalmente perché rivela Dio
all’osservatore attento. Le sue riflessioni filosofiche sulla natura del tempo sono ancora quotate come le più profonde mai scritte.
All’inizio del VI° sec. d.c. Giovanni Philoponus un seguace cristiano di Platone, che viveva ad Alessandria, scrisse ampiamente sul mondo materiale, mostrando l’influenza delle credenze cristiane su quelle del mondo pagano circostante, particolarmente su quelle derivanti dall’Antica Grecia. Egli commentò ampiamente Aristotele, che ammirava molto, ma quando l’insegnamento di Aristotele era contrario al credo cristiano non esitò a distaccarsene.
Questo fu particolarmente importante nel suo commento sulla fisica aristotelica,dove disse, contrariamente ad Aristotele, che tutti i corpi cadevano nel vuoto alla stessa velocità, indipendentemente dal loro peso, e che i
corpi lanciati si muovevano attraverso l’aria non a causa del moto
dell’aria ma perché ad essi era stata inizialmente data una certa
quantità di moto.
Questa
è una notevole anticipazione delle idee normalmente associate a Galileo
e mostra una decisa rottura con la fisica aristotelica. Egli non fu il primo scrittore dell’antichità a rompere con Aristotele ma lo fece chiaramente e decisamente.
Il
legame tra il suo rifiuto delle idee aristoteliche e le sue credenze
cristiane deve essere trovato nella dottrina della creazione.
Riguardo alla questione del movimento egli chiese “non
potrebbe Dio, loro creatore, dare al sole, alla luna e alle stelle, una
certa forza cinetica, allo stesso modo nel quale cose leggere e pesanti
ricevono la loro tendenza a muoversi?”.
Egli
credeva anche che le stelle non fossero fatte di etere ma di materia
ordinaria, rifiutando così la distinzione aristotelica tra materia
terrestre e materia celeste:
Questo
mostra, molto chiaramente, che le credenze cristiane circa il mondo
sono incompatibili con le credenze aristoteliche sulla divinità della
materia celeste e sull’eternità del moto. Era
così inevitabile che il diffondersi della cristianità dovesse condurre,
alla fine, alla distruzione della fisica aristotelica, aprendo la
strada alla scienza moderna.
Questo
non vuol dire, comunque, che le credenze cristiane diano delle
specifiche direttive per lo sviluppo della scienza, bensì la rimozione
di ostacoli è di per se stessa un servizio non indifferente. Phinoponus fu
anche il primo a dire che la Genesi fu scritta per istruzione
spirituale e non scientifica, un’affermazione saggia che era di gran
lunga in anticipo sul suo tempo per essere congeniale ai teologi
contemporanei.
Questa audacia teologica forse spiega perché le sue idee non condussero ad ulteriori sviluppi scientifici.
Le
sue idee sul movimento sono notevolmente simili a quelle di Buridan e
di Oresme nell’AltoMedioevo che riuscirono ad iniziare l’avventura
scientifica.”
Per leggere tutto l’articolo : L’origine Cristiana della Scienza |
Postato da: giacabi a 19:31 |
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cristianesimo, scienza - articoli
Grazie Milosz !!!
per questa testimonianza
***
Czeslaw Milosz, da Il cagnolino lungo la strada, Adelphi.
Il filosofo
”Questo filosofo era ateo, ovverosia non scorgeva nell'esistenza dell'universo alcun segno che rimandasse a una causa prima. Le ipotesi scientifiche potevano farne a meno, e quelle, e non altro, egli aveva eletto a fonte di conoscenza sulla natura delle cose, malgrado i dubbi che nutriva sul loro metodo. In verità, nonostante la considerazione in cui teneva la scienza, non apparteneva alla schiera di sognatori convinti che un giorno la ragione avrebbe consentito all'uomo di edificare una società perfetta. L'unica occupazione che reputava degna di un filosofo era la riflessione sul senso della religione. A chi gli obiettava che, così facendo, cadeva in contraddizione, replicava che l'uomo è un essere contraddittorio in sé; dunque occupandosi di religione, agiva in modo conforme alla sua natura di uomo. Nella religione era racchiusa, a suo avviso, tutta la magnificenza e tutta la dignità dell'uomo. Che un essere così insignificante, così irreparabilmente mortale, avesse creato il bene e il male, l'alto e il basso, i cieli e gli abissi, gli appariva inesplicabile e degno della più alta ammirazione. In tutto l'universo, in tutta la sua inimmaginabile vastità, non vi era un solo briciolo di bene, di pietà, di compassione, e le domande dettate da un intimo bisogno del cuore umano non trovavano risposta alcuna. I fedeli delle principali religioni non rivolgevano, a parere del filosofo, sufficiente attenzione alla condizione di totale solitudine cui era condannata la coscienza dell'uomo sotto il cielo stellato. E ancor meno propensi a farlo erano i seguaci delle varie specie di sciamanismo, che umanizzavano la Natura e cancellavano il confine fra l'uomo e l'animale. Notevoli difficoltà creava al filosofo il bello, soggetto alla sovranità della dea Venere, ossia la forza stessa della Natura. Aveva scritto un libro in cui argomentava che il bello esiste solo là dove le forme e i colori chiamati in vita dalla dea Venere incontrano la vista e l'udito dell'uomo, due sensi dotati di un magico potere trasfigurativo. Non tutte le religioni erano poste sullo stesso piano dal filosofo. Più in alto collocava quelle in cui l'opposizione tra l'uomo e l'ordine naturale delle cose era più netta, e in cui affrancandosi da quest'ordine l'uomo poteva ottenere la Salvezza. La religione somma era per lui il cristianesimo, e subito dopo il buddismo, poiché entrambe santificavano un tratto esclusivo dell'uomo, la compassione, a dispetto del volto di pietra del mondo. Cosa può esserci di più umano del Dio del cristianesimo, che si incarna sapendo che il mondo di pietra lo punirà con la morte? Poiché il Figlio regnava prima dei secoli, e in nome Suo fu creata ogni cosa, ne consegue che la forma e il cuore dell'uomo dimoravano nel grembo stesso di Dio, e soffrivano vedendo il mondo, originariamente buono, corrotto dalla morte a seguito della Caduta. La deferenza del filosofo era rivolta innanzitutto alla Chiesa Cattolica Apostolica Romana, i cui due millenni di storia rappresentavano da soli un valido argomento. Nel suo secolo aveva assistito ad attacchi furiosi lanciati contro quella roccaforte dalle potenze infernali. Come umanista, avrebbe dovuto rallegrarsi per l'indebolimento dei divieti che inibivano le innate pulsioni umane, e invece chinava la fronte dinanzi al papa, che aveva il coraggio di porre, apertamente e a gran voce, contro il mondo intero, il "segno di contraddizione". Persuaso che la civiltà sia minacciata dallo sfacelo se le viene a mancare il vincolo di un'unica verità, nei suoi discorsi in pubblico il filosofo si schierava sempre dalla parte dei moniti provenienti dal Vaticano. Non nascondeva che, sebbene gli fosse negata la grazia della fede, avrebbe voluto essere annoverato fra gli operai della vigna del Signore.” |
Postato da: giacabi a 09:03 |
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cristianesimo, milosz
Eliot:
profezia di un cristiano
Luigi Giussani
***
Tracce N. 6 > giugno 1996
Proponiamo
alcuni brani del capitolo su «Coscienza della Chiesa nel mondo moderno
nei Cori da "La Rocca" di T. S. Eliot», dall'ultimo libro di Luigi
Giussani, Le mie letture, edizioni Bur-Rizzoli. L'Incarnazione: un fatto
nel tempo e nella storia. L'avvenimento di Cristo si compie in un
popolo
Il mondo non solo non vuole la Chiesa, ma la perseguita.
E che volete - dice, infatti, Eliot -, volete forse che il mondo accetti la Chiesa? Perché deve accettarla? «Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perché dovrebbero amare le sue leggi? / Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare./ È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri./ Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli./ Essi cercano sempre d'evadere/ dal buio esterno e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono». Gli uomini che perseguitano la Chiesa, sognano l'eliminazione della libertà, perché l'estremo ideale di questo mondo è creare un mondo di automi: «Sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono». L'ultima, la più profonda accusa di Eliot: dove sta la radice vera di tutta questa ostilità e di questo disegno? La rinuncia a Cristo. La ribellione a Cristo e, quindi, la eliminazione di Dio perché, come aveva già detto Nietzsche, se aboliamo Cristo, aboliamo Dio. (...) Dunque la Straniera sembra dimenticata e avversata in un'epoca di uomini «impegnati a ideare il frigorifero perfetto», «a risolvere una morale razionale», «a far progetti di felicità e a buttar via bottiglie vuote,/ passando dalla vacuità di un febbrile entusiasmo/ per la nazione o la razza o ciò che voi chiamate umanità». «O anima mia - dice il poeta - che tu sia pronta per la venuta della Straniera,/ che tu sia pronta per colei che sa come fare domande». Del resto, il Coro ricorda agli uomini, che non vogliono sentire quelle domande, che possono «eludere la Vita ma non la Morte». Anch'essa indica la strada verso il tempio. «Non rinnegherete la Straniera», conclude il III Coro. È una grande responsabilità ed è un'affascinante missione per la nostra meschinità. (...) È a questo punto l'a fondo di Eliot, già citato, sulla considerazione degli uomini moderni sulla Chiesa: «Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa?». «Essi [gli uomini che non vogliono la Chiesa] cercano sempre d'evadere/ dal buio esterno e interiore [perché se non ci sono criteri oggettivi di bene e di male c'è buio e confusione]/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono». Tutti sognano strutture sociali che abbiano un esito buono a prescindere dalla libertà. Nessuno più avrebbe bisogno d'essere buono. «Ma l'uomo che è adombrerà/ l'uomo che pretende di essere». L'uomo così come è sfaterà sempre le visioni delle ideologie che pretendono di essere. «E il Figlio dell'Uomo non fu crocefisso una volta per tutte/ il sangue dei martiri non fu versato una volta per tutte,/ le vite dei Santi non vennero donate una volta per tutte (...). E se il Tempio dev'essere abbattuto /dobbiamo prima costruire il Tempio». È la pagina più chiara sull'antitrionfalismo. Tante volte, noi siamo accusati di trionfalismo per la nostra volontà di affermazione del fatto cristiano nel tempo e nello spazio, nella storia. Invece, è profondamente antitrionfalista la nostra volontà di costruire. Perché l'idea della storia che ha il cristianesimo è questo possibile continuo ripetersi di cicli e di abbattimenti. Perciò «se il sangue dei Martiri deve fluire sui gradini/ dobbiamo prima costruire i gradini». Il nostro costruire i gradini non è trionfalismo, anzi. E se il Tempio deve essere distrutto, bisogna prima costruirlo. La nostra volontà di costruire il Tempio non è trionfalismo. Forse non sarà inutile, a questo punto, rileggere (...) il Coro VII, ove il poeta traccia in sintesi splendida la storia delle religioni. In principio Dio creò il mondo. Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre erano sopra la faccia dell'abisso. [deserto perché non c'è uomo, vuoto perché non c'è senso, perché il senso viene percepito nella coscienza dell'uomo]. E quando vi furono uomini, nei loro vari modi lottarono in tormento alla ricerca di Dio Ciecamente e vanamente, perché l'uomo è cosa vana, e l'uomo senza Dio è un seme nel vento, trascinato qua e là e non trova luogo dove posarsi e dove germinare. Essi seguirono la luce e l'ombra [l'apparente], e la luce li condusse verso la luce e l'ombra li condusse verso la tenebra, Ad adorare serpenti ed alberi, ad adorare demoni piuttosto che nulla: a piangere per la vita oltre la vita, per un'estasi non della carne. Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell'abisso. E lo Spirito si muoveva sopra la faccia delle acque. E gli uomini che si volsero verso la luce ed ebbero conoscenza della luce Inventarono le Religioni Maggiori; e le Religioni Maggiori erano buone E condussero gli uomini dalla luce alla luce, alla conoscenza del Bene e del Male. Ma la loro luce era sempre circondata e colpita dalle tenebre (...) E giunsero a un limite, a un limite estremo mosso da un guizzo di vita, E giunsero allo sguardo rinsecchito e antico di un bimbo morto di fame. [riti che non avevano nessuna capacità di ravvivare l'umano] Preghiere scritte in cilindri girevoli, adorazione dei morti, negazione di questo mondo, affermazione di riti il cui senso è dimenticato [il contrario di ciò per cui sono sorti: alla ricerca del senso] Nella sabbia irrequieta sferzata dal vento, o sopra le colline dove il vento non farà mai posare la neve. Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell'abisso. [è ritornato il deserto e il vuoto, si è confermato il deserto e il vuoto: sopra, dentro, sotto, intorno a tutti i tentativi di interpretazione umana, le religioni maggiori]. Quindi giunsero, in un momento predeterminato, un momento nel tempo e del tempo, Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo, in ciò che noi chiamiamo storia: sezionando, bisecando il mondo del tempo, un momento nel tempo ma non come un momento di tempo, Un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c'è tempo, e quel momento di tempo diede il significato. Quindi sembrò come se gli uomini dovessero procedere dalla luce alla luce, nella luce del Verbo. Attraverso la Passione e il Sacrificio salvati a dispetto del loro essere negativo; Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima, Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce; Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un'altra via . [la lotta ascetica è stata introdotta nel mondo dal cristianesimo] Ma sembra che qualcosa sia accaduto che non è mai accaduto prima: sebbene non si sappia quando, o perché, o come, o dove. Gli uomini hanno abbandonato Dio non per altri dei, dicono, ma per nessun dio; e questo non era mai accaduto prima Che gli uomini negassero gli dei e adorassero gli dei, professando innanzitutto la Ragione, E poi il Denaro, il Potere, e ciò che chiamano Vita, o Razza, o Dialettica. La Chiesa ripudiata, la torre abbattuta, le campane capovolte, cosa possiamo fare Se non restare con le mani vuote e le palme aperte rivolte verso l'alto In una età che avanza all'indietro, progressivamente? (...) Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell'abisso [è ritornato come al principio] È la Chiesa che ha abbandonato l'umanità, o è l'umanità che ha abbandonato la Chiesa? Quando la Chiesa non è più considerata, e neanche contrastata, e gli uomini hanno dimenticato tutti gli dei, salvo l'Usura, la Lussuria e il Potere. L'avventura cristiana è un dramma storico, della storia, nella storia.() Gesù non era venuto per dominare il mondo. Era venuto per salvare il mondo. Il proprio del cristianesimo è questo incastro delle due parti tanto inverosimile: il temporale nell'eterno e l'eterno nel temporale. (L. Giussani, Le mie letture, Bur-Rizzoli, pp.109-131 |
Postato da: giacabi a 17:40 |
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chiesa, nichilismo, cristianesimo, eliot
Tutta CL prega
per monsignor Bagnasco
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Postato da: giacabi a 17:05 |
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cristianesimo
La Chiesa generatrice
della Dignità della persona
***
Tempi num.17 del 26/04/2007
Intervista Nè ateo nè devoto Il direttore del Foglio racconta l'ultimo libro di Benedetto XVI. E se stesso, come non ha mai fatto prima di Tempi Per gentile concessione di Radio Maria, pubblichiamo ampi stralci dell'intervista del professore e sociologo Paolo Sorbi al direttore del Foglio Giuliano Ferrara, andata in onda giovedì 19 aprile.
«…..
Ieri ho presentato alla Lateranense insieme a monsignor Stanislaw
Rylko, a monsignor Giampaolo Crepaldi e a monsignor Rino Fisichella il
libro di Camillo Ruini che è stato pubblicato adesso dall'editore
Cantagalli e che contiene sia una bellissima lezione sul pensiero di
Ratzinger tenuta al clero romano dopo il discorso di Ratisbona, sia un
saggio portante sulla nuova questione antropologica. Quindi sono
preparato.
Ruini cita due bellissime frasi di Karl Lowith , pensatore e filosofo di straordinaria energia, un libro della prima metà degli anni Quaranta che si chiama Da Hegel a Nietzsche, cioè come si è andati dalla razionalizzazione assoluta del mondo e dalla filosofia dello spirito, al nichilismo nietzsciano. Lowith non è un cattolico, è un ebreo, ha avuto anche rapporti con Leo Strauss, epistolari famosi che sono stati pubblicati, ed è un osservatore molto acuto. Cosa dice? Una cosa molto semplice: guardate che il fatto che siamo tutti esseri umani, tutti uomini, non è naturale, non nasce nel mondo naturale generico, nasce nel mondo cristiano. Questo riconoscimento della universale dignità della persona nasce nel mondo cristiano. E poi aggiunge drammaticamente: con l'affievolirsi della forza del cristianesimo e della sua presa sul mondo, con l'indebolirsi, come dice Ruini, dell'attesa di salvezza, si è indebolita anche questa percezione dell'umano. è tutta qui la nuova questione antropologica. Il problema non è di rispolverare dalle biblioteche i testi dell'umanesimo, ma è di guardarsi in faccia. Allora, se possiamo selezionare la vita in modo eugenetico - e questa è una caratteristica che il mondo contemporaneo ha avuto sia nelle social democrazie laiche del nord o protestanti, sia nel mondo anglosassone e in America, diciamo nel mondo liberale, sia nel nazismo, lo sperimentalismo e la concezione dell'uomo come oggetto e il razzismo del Terzo Reich. Quindi, se possiamo fare questo, e lo possiamo fare in modo sempre più certificato e tecnicamente avanzato nei nostri laboratori, se possiamo permetterci un miliardo di aborti negli ultimi trenta anni, se possiamo permetterci una nozione della vita per cui l'uomo è solo corpo, solo i suoi referti clinici, le sue malattie, le sue carotidi otturate, il suo bisogno sessuale oggettivato in matrimoni che falliscono uno dopo l'altro, e questa sua ansia d'amore si disperde nel dualismo tra il suo io sempre più debole e il suo corpo sempre più forte, sempre più possente (e qui segnalo un racconto di Philip Roth che si chiama Everyman). Se il cristianesimo si è indebolito, se il primato del corpo insieme ai progressi della tecnoscienza stanno facendo di noi quello che stanno facendo di noi, cioè una civiltà decadente, in profonda e radicale crisi in relazione ai criteri che distinguono il bene dal male. bè la questione va affrontata, va presa per i capelli e va riproposta a tutti gli uomini di buona volontà e va trattata, discussa, pensata nel fuoco delle grandi battaglie contemporanee che sono anche battaglie sulle leggi, sulla dimensione pubblica dell'esistenza, su ciò che si può e non si può fare. In questo senso, la Chiesa, che non è un agente politico, come ha ben detto Ratzinger a Verona, è però l'unica tribuna dalla quale si può ripensare civilmente e politicamente la condizione del mondo contemporaneo a partire dal fatto che è fortemente offuscata una nozione credibile dell'uomo. Cioè quell'incontro di ragione, libertà e fede, o verità.»
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Postato da: giacabi a 11:31 |
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persona, cristianesimo
La Bellezza del cristianesimo
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Da: www.clonline.org
Sabato 24 marzo 2007. Roma, Piazza San Pietro
Saluto al Santo Padre Benedetto XVI di don Julián Carrón presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione
“…… Noi siamo affascinati dalla bellezza di Cristo, resa persuasiva dall’intensità contagiosa di don Giussani, fino al punto che ciascuno di noi può ripetere con Jacopone da Todi: «Cristo me trae tutto, tanto è bello». Questa bellezza del cristianesimo noi l’abbiamo scoperta senza tralasciare niente di quello che è autenticamente umano. Anzi, per noi vivere la fede in Cristo coincide con l’esaltazione dell’umano. Tutto il tentativo educativo di don Giussani è stato mostrare la corrispondenza di Cristo con tutte le autentiche esigenze umane. Egli era convinto che solo una proposta rivolta alla ragione e alla libertà, e verificata nell’esperienza, fosse in grado di interessare l’uomo, perché l’unica in grado di fare percepire la sua verità, cioè la sua convenienza umana. Così ci
ha mostrato come è possibile vivere la fede da uomini, nel pieno uso
della ragione, della libertà e dell’affezione. Noi vogliamo seguire le
sue orme.
Don Carron
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Postato da: giacabi a 07:43 |
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bellezza, cristianesimo, giussani, carron, senso religioso
PER INCONTRARE L’ISLAM TORNIAMO A CRISTO
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Da : Il Timone - rivista di apologetica dicembre 2006
di P.Piero Gheddo L’Occidente deve riflettere su questo fatto: i popoli musulmani ci vedono come ricchi, democratici, tecnicizzati, istruiti, ma anche come atei, aridi, cinici, senza regola morale. Ritengono di avere una missione storica da compiere: venire in Occidente per dare un’anima alla nostra civiltà, convertendoci in un modo o nell’altro ad Allah. E’ un concetto ripetuto continuamente dalla stampa dei paesi islamici, nelle moschee e scuole coraniche, ma non c’è mai sulla stampa italiana. I musulmani vedono l’Occidente cristiano come un pericolo per la loro fede: sono attirati dal mondo moderno, ma ne hanno anche paura! Vogliono la nostra tecnologia e il progresso ad essa legato, ma non vogliono i nostri valori umani e religiosi, senza capire che lo sviluppo è collegato ai valori supremi di una civiltà. Scrive l’egiziano Magdi Allam (Corriere della Sera, 13 agosto 2006): “E’ vero che è una minoranza quella che pratica il terrorismo islamico, ma c’è una maggioranza di musulmani che condivide la loro ideologia fascista”. L’11 settembre 2001 ero in Bangladesh nel lebbrosario di Dhanjuri. Le Missionarie dell’Immacolata che curano i lebbrosi quel giorno non avevano ascoltato la radio: non ho saputo nulla degli attentati suicidi alle due Torri di New York. Il giorno dopo, andando in auto a Dinajpur, migliaia di persone manifestavano in corteo col volto gioioso e trionfante. Mentre l’Occidente era inorridito davanti alla televisione e a quelle scene spaventose, le folle dell’islam scendevano in piazza per esprimere la loro gioia per la vittoria contro “il grande Satana” (come Khomeini definiva gli Stati Uniti)! La nostra responsabilità sta nella decadenza della società, delle famiglie. L’Occidente presenta questi gravi sintomi di decadenza: diminuzione della popolazione, bassi tassi di crescita, di risparmio, consumi individuali e collettivi superiori agli investimenti; degrado morale: aumento di comportamenti antisociali (omicidi, droga, violenza in generale), decadimento della famiglia (divorzi, famiglie di single e di omosessuali), l’indebolimento dell’impegno nel lavoro e nello studio, la tendenza dell’Europa a non riconoscere le proprie radici cristiane. L’Europa e l’America tentano di promuovere la cultura occidentale (diritti dell’uomo e della donna, democrazia, libertà di pensiero e di religione, valore della singola persona, giustizia sociale, stato di diritto), ma sempre più diminuisce la loro capacità di realizzare questo obiettivo. Perché questa decadenza? L’Occidente ha abbandonato Dio ed è diventato “una civiltà volta alla sua stessa distruzione” diceva il card. Ratzinger in una sua conferenza. Nel gennaio 2006 sono tornato da un viaggio in Senegal, Mali e Guinea Bissau, dove ho vissuto per un mese fra popolazioni povere, con un livello di istruzione e di vita molto inferiore al nostro. Eppure sono popoli che danno l’impressione di una serenità e gioia di vivere che certamente noi italiani non abbiamo più. Tornando in Italia vedo molta gente triste, pessimista, scoraggiata. E’ un’esperienza che faccio spesso. Sarebbe sbagliato dire che è meglio la loro condizione della nostra, ma certamente si può dire che la povertà educa più della ricchezza ad alcune virtù umane fondamentali per vivere bene: cordialità, solidarietà, saper gioire di quel poco che c’è, amore alla famiglia e al villaggio, profondo senso religioso nella vita, ecc. Un parroco al quale chiedo come va la sua grande parrocchia mi dice: “Oggi l’idolo è il denaro; in passato prevalevano altri idoli: l’ideologia, il sesso, la gloria umana, ma oggi è il denaro”. Noi trasmettiamo ai giovani il falso ideale che deprime la nostra civiltà: di avere sempre di più e che quel che conta è divertirci e occupare i primi posti. La nostra civiltà è questa: siamo ricchi, democratici, liberi, istruiti e laureati, scientificamente avanzati, con leggi perfette (o quasi), ma vuoti dentro. Il cardinale arcivescovo di Bologna Giacomo Biffi diceva che “i bolognesi sono sazi e disperati”. In questa situazione esistenziale, che rende la nostra società sempre più individualista e arida, noi incontriamo la provocazione dell’islam che si propone, con ogni mezzo (crescita demografica ma anche “guerra santa” e terrorismo), di ricondurci alla fede in Dio. Su questa realtà l’Occidente dovrebbe riflettere e decidere se non è questo il momento di tornare a Dio e a Gesù Cristo. Siamo proprio convinti che il laicismo esasperato, che toglie (o vuol togliere) i crocifissi dalle scuole e dagli ospedali e non parla mai di problemi religiosi in giornali e Tv, che esalta l’esasperazione del sesso e privilegia il divertimento sull’impegno nel lavoro; siamo proprio convinti che sia il sistema migliore per preparare il futuro della nostra Italia? L’islam si definisce non in termini di libertà ma di sottomissione a Dio. E se fosse proprio questo l’ideale a cui ritornare per umanizzare la nostra civiltà e per incontrare l’islam? Ritornare a Dio senza rinunziare alla nostra libertà, anzi proprio in forza della nostra libertà di scelta, perché convinti che la vera libertà sta nella totale e libera sottomissione alla volontà di Dio e alla Legge divina. Chesterton ha scritto: “Dio ha creato l’uomo e gli ha dato i Dieci Comandamenti come via da seguire per realizzare se stesso. Volete che non sapesse qual è il vero bene dell’uomo?”. La sfida dell’islam va presa sul serio. All’inizio del novecento i musulmani nel mondo erano circa 300 milioni, oggi un miliardo e 300 milioni. L’Italia è passata da 38 a 58 milioni e oggi noi italiani diminuiamo di circa 100.000 l’anno (siamo in leggero aumento solo per l’ingresso e le nascite di terzomondiali!). In un mondo occidentale che perde il senso dei valori assoluti, la testimonianza del primato di Dio ci fa comprendere i valori storici che l’islam porta con sé, anche se in tanti modi sbagliati, condannabili, che giustamente noi rifiutiamo: 1) La presenza di Dio nella vita del singolo uomo, nella famiglia, nella società. I musulmani ci insegnano il ”senso religioso” dell’esistenza, la coscienza che l’uomo è una creatura piccola e debole: deve dipendere dal suo Creatore. 2) La fede è il più grande dono di Dio all’uomo, che dobbiamo chiedere e conservare con la preghiera e l’osservanza della Legge di Dio. In Pakistan un dottore laureato in Europa mi diceva: “Noi preghiamo cinque volte al giorno, voi italiani come fate a vivere senza pregare?”. 3) La fede non è solo una scelta e un fatto personale e privato (noi abbiamo quasi vergogna a mostrarla), ma crea l’appartenenza ad una comunità di credenti e a tutta l’umanità creata dallo stesso Dio; quindi forti vincoli di amore e di aiuto vicendevole. Come tutto questo potrebbe essere realizzato nella nostra società, ecco il tema da dibattere, discutere, proporre per dare una svolta alla decadenza dell’Occidente. E’ necessario accendere una luce di speranza sul nostro cammino storico. |
Postato da: giacabi a 21:26 |
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islam, cristianesimo, gheddo
IL PAPA PELLEGRINO DAL SANTO “PECCATORE”
***
’ IMPORTANTE (PER NOI) CAPIRE IL PAPA CHE VA DA SANT’AGOSTINO …21.04.2007
Il
viaggio di Benedetto XVI a Pavia ha un significato speciale che provo a
spiegare nell’articolo sottostante questa nota. Oggi il mondo cattolico
e la Chiesa rischiano – senza neanche accorgersene – di essere di fatto
“pelagiani” (l’antica eresia combattuta da Agostino), come Ratzinger –
da cardinale – ebbe a ripetere varie volte. Sarà molto interessante
leggere gli interventi del Papa.
Nel
frattempo consiglio di leggere sant’Agostino che rappresenta uno
straordinario aiuto per dare ragione della nostra fede. Pensate – ad
esempio – a tutte le polemiche scatenate da vari libri (di scarso rigore
scientifico) sulla figura di Gesù e sulla storicità e attendibilità dei
Vangeli. Ci sono da dare naturalmnte molte risposte nel merito
(documentandosi), ma la risposta principale può e deve darla qualunque
cristiano. La prova che Gesù è veramente risorto ed è vivo sta
nell’esperienza, nella possibilità oggi di fare esperienza della sua
presenza viva fra noi, presenza tangibilissima.
Agostino, 1600 anni fa, scriveva che, certo, noi oggi non siamo nella Giudea dell’anno 30, quando era possibile incontrare Gesù. Ma non è diverso da allora. E’ esattamente tutto come allora. Sant’Agostino si rivolge così ai pagani: “la nascita dalla Vergine, i miracoli, la passione, la resurrezione, l’ascensione di Cristo e tutte le cose divine da Lui dette e fatte, tutto questo voi non l’avete visto, perciò vi rifiutate di crederlo. Guardate dunque, volgetevi, pensate a ciò che vedete e che non vi è narrato come fatto del passato, ma vi è mostrato come realtà del presente… Tutte quelle cose che riguardo a Cristo sono state già fatte e sono passate, non le avete viste, ma non potete negare di vedere queste che sono presenti nella sua Chiesa”. Infatti “anche oggi comunque accadono miracoli nel suo nome” (De fide rerum invisibilium). Il grande santo, padre della Chiesa, dice in una sua omelia: “nelle nostre mani abbiamo le Sacre Scritture, nei nostri occhi i fatti”. Basta aprire gli occhi e il cuore… IL PAPA PELLEGRINO DAL SANTO “PECCATORE” di Antonio Socci Agostino, studente a Cartagine, a 17 anni inizia a convivere – una “coppia di fatto” – con una giovane nordafricana che amerà per 14 anni avendo da lei anche un figlio (all’età di 18 anni). Chi è questo giovane “avventuriero” che in pochi anni diventa uno degli intellettuali più brillanti di Roma e di Milano? Si tratta di Agostino d’Ippona, colui che – convertendosi a 32 anni - diventerà uno dei più grandi santi della storia della Chiesa, il più grande fra i padri e dottori della Chiesa, colui alla cui tomba, a Pavia, Benedetto XVI oggi va a in pellegrinaggio (Ratzinger si laureò con una tesi su di lui e ha sempre considerato Agostino come il suo maestro). Giuliano Vigini nel libro “Sant’Agostino”, che ha la prefazione proprio di Joseph Ratzinger, scrive che quella “unione di fatto ottiene il risultato di porre un freno al dilagare delle passioni amorose di Agostino e diventa un elemento equilibratore nella sua vita affettiva”. Nel 1998 il senatore Andreotti, presentando con il cardinal Ratzinger un libro sull’attualità di sant’Agostino, disse: “Mi ha colpito una cosa leggendo l’Enciclopedia Cattolica: laddove si parla di Sant’Agostino si dice testualmente che, quando andò a Cartagine, questo giovane diciassettenne ‘si piegava a una certa regola, unendosi senza matrimonio, con una grande fedeltà, alla donna madre del suo figlio’ ”. E’ il caso di ricordare che l’Enciclopedia Cattolica è un’opera assolutamente ortodossa, addirittura emblematica del pontificato di Pio XII. Quelle considerazioni la dicono lunga sulla saggezza della Chiesa che non è per niente impaurita dalla vita e dall’umano (come oggi caricaturalmente la si vuol rappresentare) e sa cosa è l’uomo senza la Grazia di Cristo. In una delle sue prime interviste da papa, Benedetto XVI disse: “il cristianesimo, non è un cumulo di proibizioni, ma una opzione positiva…questa consapevolezza oggi è quasi completamente scomparsa”. Insomma la Chiesa è una possibilità di vita più umana, più appassionante e felice di qualunque esistenza senza Cristo. Come scoprì e poi proclamò Agostino che, pur essendosi convertito giovane, a 32 anni, prima aveva sperimentato – scrive il Papa - “quasi tutte le possibilità dell’esistenza umana… Il suo temperamento passionale” ricorda Ratzinger “gli fece imboccare numerose strade”. Ma di fronte a tutte le “avventure” che precedono il battesimo, Ratzinger non mette affatto la sordina, né le derubrica a errori su cui stendere un pietoso velo. Al contrario nella prefazione al libro di Vigini, per spiegare la grandezza dell’opera teologica di Agostino, l’attuale Papa scrive che “la sua teologia (di Agostino) non nacque a tavolino, ma venne sofferta e maturata nell’odissea della sua vita”. Aggiunge perfino che “non sono le teorie bensì le persone quelle che rendono credibile un modo di vivere” e Agostino “è così umano, così credibile proprio perché la sua vita non ebbe un andamento lineare e le sue risposte non furono solo teorie”. Ma come possono il Papa e la Chiesa indicare come esempio un uomo che ha percorso tante vie di peccato? Quello che in realtà indicano come esempio è il suo desiderio inappagato di verità e felicità. Perché - spiega Ratzinger – Agostino fu sempre leale col suo cuore e non si accontentò mai di “felicità” fittizie, finché non gli si rivelò la vera Felicità (ed era Gesù Cristo stesso). “Solo questo egli non poté e non volle mai” scrive Ratzinger “accontentarsi di una normale esistenza piccolo-borghese. La ricerca della verità bruciava in lui con troppa passione perché egli potesse accontentarsi di spendere la vita in modo convenzionale”. In effetti Agostino riconosceva (anche per tutte le sue peripezie intellettuali oltreché esistenziali) cos’era la vita in se stessa: “tutto quello su cui posavo lo sguardo era morte… Ero infelice, in un profondissimo tedio della vita e la paura della morte… Io costituivo per me stesso un luogo desolato, dove non potevo stare e da cui non potevo fuggire. Non c’era sollievo né respiro in nessun luogo”. Da questo “nulla” – come racconta nelle Confessioni – fu portato alla vita vera attraverso una serie di incontri decisivi a Milano con persone innamorate di Cristo: con Ambrogio, con Simpliciano e una quantità di giovani che – perfino in accordo con le ex fidanzate – decidevano di scegliere la castità e la vita in comunità come gli apostoli (era il primo monachesimo). E’ lì che Agostino sente l’attrattiva di Gesù più forte dei piaceri carnali “perché ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te”. Così esplode in un nuovo sorprendente impeto di adesione: “mi avevi infatti così convertito a Te, che io non pensavo più a cercarmi una moglie”. Quindi “fummo battezzati” (lui, con il figlio e gli amici) “e si dileguò da noi l’inquietiudine della vita passata. Tu, che fai abitare in una casa i cuori umani, il Tuo perdono sprona il cuore a non assopirsi nella disperazione, a non dire ‘non posso’, a vegliare invece nell’amore, investito dalla Tua misericordia, forza di me debole”. La figura di Agostino è straordinariamente moderna. Su di lui esce in media nel mondo un libro al giorno. La sua riscoperta nella Chiesa, grazie a Benedetto XVI, potrà avere effetti straordinari. In che direzione? Nella “Sacramentum caritatis” il Papa ha scritto: “Con acuta conoscenza della realtà umana, sant'Agostino ha messo in evidenza come l'uomo si muova spontaneamente, e non per costrizione, quando si trova in relazione con ciò che lo attrae e suscita in lui desiderio”. E’ un cambiamento di mentalità che Ratzinger da tempo chiede ai cattolici e che potrebbe trasformare la percezione che i moderni hanno della Chiesa. Don Giacomo Tantardini, che all’Università di Padova da ben dieci anni tiene un ciclo di lezioni sulla figura e l’opera di Agostino, ha indicato quella frase del papa come decisiva: “il tempo della Chiesa è caratterizzato proprio da questa dinamica: l’incontro con un’attrattiva presente che corrisponde al desiderio dell’uomo”. In particolare “sant’Agostino arriva a dire, seguendo san Paolo, che tutta la dottrina cristiana senza la delectatio e la dilectio, senza l’attrattiva amorosa della grazia, è lettera che uccide. Non è la cultura, neppure la dottrina cristiana, che può stabilire un rapporto con un uomo per il quale il cristianesimo è un passato che non lo riguarda. È qualcosa che viene prima della cultura. Questo qualcosa che viene prima sant’Agostino lo chiama delectatio e dilectio, cioè l’attrattiva amorosa della grazia… Questo diletto, questa felicità è il motivo e la ragione per cui si diventa e si rimane cristiani”. Queste lezioni di Tantardini sono raccolte adesso in libro, “Il cuore e la grazia in S.Agostino” (Città nuova) che sarà presentato il 27 novembre prossimo a Padova dal patriarca di Venezia Angelo Scola, personalità molto rappresentativa della Chiesa di Benedetto XVI. Esse “costituiscono un ‘caso’ di grande interesse culturale” secondo l’agostiniano Nello Cipriani. “L’idea che si diventa e si rimane cristiani perché si prova un piacere nell’aderire a Gesù Cristo non è solo di Agostino ma anche di don Giussani, autore di un libro intitolato ‘L’attrattiva Gesù’. Io credo che don Giacomo Tantardini” scrive Cipriani “abbia colto la profonda consonanza esistente tra l’esperienza cristiana vissuta e proposta tanti secoli fa da sant’Agostino e quella proposta oggi da don Giussani”. Le sue pagine aiutano “gli ascoltatori e i lettori a scoprire o a riscoprire la bellezza e la gioia di un’autentica esperienza cristiana, che, al di là delle dottrine teologiche e dei riti religiosi, è soprattutto un incontro personale con Cristo, che, sempre vivo e presente, è capace ancora oggi di suscitare una profonda attrattiva nel cuore dell’uomo”. E’ questo che Benedetto XVI annuncia a tutti. Da “Libero”, 21 aprile 2007 |
Postato da: giacabi a 16:17 |
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cristianesimo, sagostino
A proposito di Dico, di cattolici:
“adulti”, “progressisti” e “democratici”
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«……gli avvenimenti ci impongono di scegliere con Cristo, o contro Cristo; o con la Fede dei nostri vecchi, o contro questa Fede.
Voi qui comincerete a ribellarvi e a dire che non si tratta di questo. Se ve lo dicessi io, povero prete qualsiasi, avreste ragione di ribellarvi. Ma quando
i Pastori supremi che Dio stesso ha messo nel mondo per guidarci,
quando cioè il Papa e tutti i Vescovi del mondo lanciano e ripetono con
insistenza angosciosa il loro grido di allarme -sentite -o la Chiesa di
Dio è impazzita o il grande pericolo c'è davvero. E non sapete che anch'io prete devo obbedire al Papa e ai Vescovi come qualsiasi vero Cristiano? (...) Per
essere Cristiani bisogna ubbidire alla Chiesa. Gesù ha detto nel
Vangelo: "Chi ascolta voi ascolta me; chi non ascolta voi non ascolta
me". E non lo ha detto ai propagandisti o ai capi di nessun partito: lo
ha detto al Papa e ai Vescovi. Ed ha soggiunto: "Qualunque
cosa voi approverete sulla terra l'approverò anch'io nel cielo;
qualunque cosa voi condannerete la condannerò anch'io".
Lo
so che voi avete le vostre idee: ma ci sono dei momenti -e questo è uno
-in cui bisogna saper rinunciare anche ad una propria idea politica per
non tradire la propria Fede Cristiana.
Lo
so che avete interessi o necessità economiche: ma è una ben triste
illusione cercare il benessere o l'interesse economico in movimenti
contrari alla legge di Dio.
Lo
so che voi mi griderete: "Pensate a voi stessi che siete peggio degli
altri". E avete ragione. E lo sappiamo anche noi; e siamo umiliati di
dover sostenere la Divina Idea Cristiana, noi che siamo così disgraziati
e cattivi; ma non siamo in gioco noi o la nostra cattiveria: è in gioco Dio e la Sua Chiesa. Se voi non votate per l'Idea Cristiana, voi votate non contro di noi, ma contro Gesù e contro la vostra Fede.
(...) È per questo, amici, che con lo stesso affettuoso zelo con cui mi
prodigo per i bambini, e con la stessa cordialità con cui sempre vi
saluto, io vi prego: (...)
non guardate a noi uomini che sosteniamo questa Idea e questo segno, non
guardate alle nostre debolezze e alle nostre cattiverie personali:
guardate alla vostra Chiesa e al vostro Signore.
E scusate.
Il vostro Sempre affezionatissimo Don Luigi Giussani».
Da:Don Giussani Vita di un amico
di Renato Farina ed.Piemme
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Postato da: giacabi a 08:14 |
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dico, cristianesimo, giussani
Tolto il cristianesimo
solo ruderi
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Roma (AsiaNews) – E’ culturale e religiosa, prima ancora che economica e politica la sfida che l’islam ha lanciato all’Occidente. “Ci ammirano per la tecnologia, l’economia, lo sviluppo e ci temono per la forza militare. Ma
vedono nell’Occidente, e soprattutto nell’Europa, aridità, mancanza di
figli, aborti, suicidi, matrimoni gay, insomma decadenza e loro hanno il
compito di venire a dare un’anima allo sviluppo occidentale”. E’ quanto sostiene padre Piero Gheddo, missionario del PIME,
nel suo “La sfida dell’Islam all’Occidente” (Ed. San Paolo, euro 9),
frutto di una conoscenza maturata in più di 40 anni di viaggi.
“Quando si parla di sfida dell’islam – dice ad AsiaNews
- si parla soprattutto di petrolio, di economia, di politica, di
terrorismo. Tutto vero, però non è solo questo: la sfida è prima di
tutto culturale e religiosa. Gli islamici sono popoli profondamente
religiosi, anche se a volte in modo formalistico, come noi, peraltro,
che vengono a contatto con noi, popoli che non hanno più Dio nel loro
orizzonte. Così, da un lato ci ricattano col terrorismo, il petrolio, la
demografia, per cui, ad esempio, si parla di invasione dell’Europa: in Germania i 7 milioni di turchi rappresentano il 10% della popolazione. Dall’altro lato, la sfida è religiosa: sono convinti di venire a dare un’anima al nostro sviluppo. Tutto
ciò ci deve spingere a riflettere, invece quando si parla delle sfide
islamiche si cercano risposte in interventi giuridici, militari,
diplomatici, di blocchi economici”.
Ma perché lei vede una sfida in questo giudizio sull’Occidente da parte dei Paesi islamici?
“Il
risveglio islamico, che ha meno di un secolo, si è dato come meta, in
buona parte dei musulmani, di istaurare il Califfato nei Paesi islamici e
di conquistare il mondo. La decadenza umana prima ancora che morale dell’Occidente, suggerisce il compito. L’Occidente
ormai non sa cosa vuole. Crollate le grandi ideologie che l’Occidente
aveva inventato per sostituire Dio, è rimasto il vuoto. E loro vogliono riempirlo”
Lei parla di Paesi islamici come di una unità, ma in realtà ci sono tanti islam e profonde divisioni.
“Sono
più di 40 anni che giro nei Paesi islamici, li ho visitati praticamente
tutti, a parte quelli del Caucaso e pochissimi altri. Mi ha
impressionato che pur essendoci molti islam: sciiti, sunniti, sufi,
moderati, fautori della sharia, sono tutti uniti in questa lotta contro l’Occidente. A spingerli è soprattutto quella che chiamano l’immoralità dell’Occidente,
reclamizzata dai giornali e insegnata nelle scuole. Libri di testo e
insegnanti insistono che l’Occidente è forte militarmente ed
economicamente, ma è vuoto. E’ un giudizio cambiato nel tempo. I nostri
missionari in Bangladesh, ad esempio, raccontano che negli anni ’40, quando sono arrivati, c’era ammirazione, paura, magari antipatia, ma non odio, si viaggiava tranquillamente. Poi forse il petrolio, forse Israele, ma è venuto l’odio. Bin Laden non è nato per caso”.
Ma molti Paesi islamici condannano Al Qaeda e il terrorismo.
“Anche nei Paesi moderati, le scuole islamiche, le madrasse, insegnano il Corano, ma soprattutto la lotta all’Occidente. Da lì, i migliori, magari poveri, vengono mandati alle scuole di formazione dei guerrieri dell’islam. Per noi saranno terroristi, ma le loro immagini sono nelle scuole, sono ‘i martiri dell’islam’.
Non si dice mai quanto tutto questo abbia creato una mentalità
profondamente antioccidentale nei popoli islamici, terreno maturo per il
moltiplicarsi del terrorismo. Per
anni Saddam Hussein e Gheddafi hanno versato 20/25mila dollari alle
famiglie dei kamikaze. Sono convinto che ora altri continuano a farlo.
Perché il terrorismo è parte della lotta contro l’occidente”.
Se questo è il quadro, cosa dovrebbe fare l’Occidente?
“L’Occidente dovrebbe capire qual è la sfida. E finora non lo fa: affronta
il terrorismo con mezzi militari, economici, politici, giuridici,
diplomatici e non pensa mai alla crisi della nostra società, che è
immorale, invivibile. Non si dice mai: dobbiamo cambiare. Dobbiamo ritornare a Gesù, renderci conto che l’immoralità è una questione centrale. Non dico che dovrebbe comandare la Chiesa, per carità, ma essa è un fattore di sviluppo. La nostra cultura è fondata sul cristianesimo. Montanelli mi diceva: ‘sono un cattolico non credente e non praticante’ e quando gli chiedevo: come fa?, rispondeva col suo: ‘perché non possiamo non dirci cristiani’. Tolto
il cristianesimo dall’anima dell’Europa, non restano che i ruderi di
Atene e di Roma. L’idea di uguaglianza tra gli uomini e tra uomo e
donna, la distinzione tra Chiesa e Stato, le scuole e gli ospedali, il
rispetto per le persone: è tutto nel cristianesimo ed è ciò che ci
distingue dall’islam. E anche all’islam manca Gesù Cristo.
Manca per esempio il senso del perdono. In Indonesia, a Sumatra, ci
sono numerose etnie. Sono tutti musulmani, ma ogni tanto c’è una guerra
intertribale. Per fermarla, il governo manda un comitato di
pacificazione. E’ composto da cinque persone autorevoli e tra loro
almeno due sono cristiane (di solito un cattolico e un protestante). Ho
chiesto il perché
di questa scelta, in un Paese musulmano. ‘Perché voi avete il senso del
perdono, del mettere pace’, mi hanno risposto al Ministero degli
interni. ‘Per noi musulmani la vendetta è sacra’. Per questo, quando un
cristiano parla di pace è credibile, un musulmano no”.
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Postato da: giacabi a 18:04 |
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cristianesimo, gheddo
Macciocchi,
da Mao a Wojtyla
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È morta una delle intellettuali più vivaci del ’900. Dopo l’incontro con Giovanni Paolo II la rivisitazione del femminismo
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Amava
definirsi «eretica» e sempre rifiutava l’omologazione dei media e
dell’opinione pubblica dominante. Dopo la Resistenza, il ’68 e l’impegno
politico. Nell’87 rimase colpita dal Papa polacco che le disse: «Credo
nel genio delle donne»
Di Marina Corradi
...........
Nella
mia vita ho più volte cambiato nazionalità: mi sono sentita cinese
nella Pechino in rivolta contro il dominio di Mosca, spagnola a Madrid
dove finii nelle prigioni di Franco, argentina a Buenos Aires con le
madri dei desaparecidos, berlinese attraversando avanti e indietro quel
Muro, al cui crollo, da dissidente, ho dedicato tante energie».
Così si raccontava in una conferenza nel ’96 a Amsterdam Maria
Antonietta Macciocchi, morta domenica a Roma all’età di 84 anni. E in
quell’essere "appartenuta" alle storie di tanti paesi c’era una sintesi
della sua biografia: una intellettuale che ha traversato il Novecento
con una passione che l’ha messa spesso in aperta rottura con i suoi stessi compagni di strada. «Eretica»,
amava definirsi lei non senza fierezza, e nella sua vita non mancano
gli elementi per darle ragione. Nata nel ’22 a Isola del Liri, in
provincia di Frosinone, partecipa
giovanissima alla Resistenza. Nel ’42 aderisce al Partito comunista,
con cui è deputato nel ’68. Direttore di Noi donne, corrispondente de
l’Unità da Parigi, entra in dissenso con il partito, che lascia nel ’77.
Aderisce al Partito radicale, col quale è rieletta a Roma e a
Strasburgo. Poi passa alla Sinistra Indipendente.
Docente di Sociologia politica alla Sorbona, contribuisce dal Parlamento
europeo alla abolizione della pena di morte in Francia. Mitterrand la
insignisce della Legion d’onore per meriti culturali. Intanto pubblica
numerosi saggi fra cui Lettere dall’interno del Pci e Dalla Cina.
Ma la sua passione di intellettuale di sinistra risente fortemente di un incontro con Giovanni Paolo II. E’ il 1987, la Macciocchi sta finendo il suo La donna con la valigia, viaggio nell’Europa ancora divisa dal Muro. Chiede di incontrare il Papa per inserirne la testimonianza nel libro. Era stata ricevuta da Mao, da De Gaulle, da Ho Chi Mihn e da Khomeini, ma Wojtyla la colpì come nessuno. Raccontò: «Dall’intensità del gesto irradiava una sorta di forza interiore, una piccola aura metafi sica gli faceva corona attorno al viso. Per me è un grande onore incontrarla, farfugliai. E di colpo fui esplicita, sincera, sorprendendo me stessa per quelle frasi che pronunciai: vengo da lontani lidi, quelli del marxismo-leninismo». La conversazione a Castelgandolfo fu lunga. «Mi predisse, quasi, che l’Europa si sarebbe presto riunita: era l’estate del 1987. Poi parlò delle donne, della necessità di una autentica emancipazione della donna, e di certa scienza che si serve delle donne come business per il più scatenato affarismo». La passione del Papa colpisce la Macciocchi, femminista ma cosciente di quello che lei stessa definisce, in quegli anni Ottanta, «l’estuario di un femminismo a vele flosce». Quando esce La donna con la valigia, molti amici la accusano scandalizzati di filopapismo. Paris match scrisse incredulo: «Ma lei non ricorda di essere stata per noi il simbolo più avanzato della sinistra femminile?». Lei risponde cercando di spiegare di sentirsi «antistrategica» rispetto ai media imperanti. E c’era spesso, nell’opera della Macciocchi, il gusto di scavalcare le comode e acquisite verità delle ideologie dominanti. Puntuale rispuntava l’istinto di guardare la realtà scavalcando le risposte più facili e condivise, e una avversione a quella che definiva «la misteriosa regia della stampa omologata» come a certo sventolato laicismo, che chiamava «laicismo bigotto». L’anima da «eretica» non mancò di prendere voce anche nella critica ad alcuni miti del femminismo. Riguardo al rapporto fra liberazione della donna e comunismo disse che «l’utopia universalista astratta della liberazione della donna sotto i regimi comunisti è stata una beffa ancora più drammatica di quella contro la classe operaia». Ma anche nelle pieghe del ’68 - momento storico che aveva vissuto a Parigi, e che l’aveva entusiasmata per la sua ansia antiautoritaria - la dissidente cronica Macciocchi ammette che le donne hanno ritrovato «misoginia, corruzione e mercimonio del loro corpo e del loro voto». Nè è più tenera con il facile luogo comune della "solidarietà fra le donne": «Le donne di potere sono dure, implacabili, crudeli e ciniche». Sull’aborto, lei pure fedele alla legge 194 afferma che «sarebbe tutto da rivedere: il rapporto tra donna e maternità è stato avvilito, e l’egoismo del singolo prevale sull’arricchimento della donna stessa e della società». Un’intellettuale di traverso alla logica del facile consenso. Editorialista di Le Monde, El Pais e Corriere, negli ultimi anni scriveva su Avvenire. Certamente quell’incontro del 1987 con il Papa - cui poi ne seguirono altri - lasciò un segno profondo. Ricordava sempre come Giovanni Paolo II le avesse detto: «Credo nel genio delle donne». «Queste parole - confessò - rivolte a una donna ritornata da tutto e anche da se stessa, furono così sorprendenti per il mio spirito che non si cancellarono più». E quando uscì la lettera apostolica Mulieris Dignitatem ne fu conquistata, tanto da scrivere il volume Le donne secondo Wojtyla. Ventinove chiavi di lettura della Mulieris Dignitatem. Attraverso la lettera di Giovanni Paolo II la intellettuale comunista, la femminista militante affermava di avere riscoperto nel Vangelo «un rapporto di tenerezza, di connivenza fra Gesù e le donne», contro la misoginia di cui il cristianesimo è tradizionalmente accusato dal pensiero femminista. Questo le attirò molte critiche ma lei, come al solito, non cercò di mediare: «L’originalità del pensiero di questo Papa verso le donne è una linea maestra dritta come una spada», scrive. E questa volta non si ravvede, morendo così in aria di eresia. Fine del lungo viaggio di una donna nel Novecento, una donna - per usare quella sua felice espressione - «ritornata da tutto, anche da se stessa» |
Postato da: giacabi a 19:41 |
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comunismo, cristianesimo, macciocchi
Gesù Cristo
è «la misura di tutte le cose umane»
Soltanto
il cristianesimo è in grado di assumere completamente su di sé e
riconoscere fino in fondo le infermità della nostra epoca mostrando dove
sia veramente il male e quale sia la via per giungere alla guarigione.
Il cristianesimo non sfugge dal mondo, come frequentemente si pensa, ma
entra nel mondo in un modo particolare, assume su di sé i mali del
mondo mostrandone la reale profondità e il loro vero significato. Il
cristianesimo accetta l'uomo, qualsiasi uomo, indipendentemente dalla
sua casta e dalle doti intellettuali, ma anche senza farsi illusioni su
di lui. Il
cristianesimo considera l'uomo caduto, mendace prima ancora che la sua
falsità diventi falsità ideologica, prima ancora che la sua caduta
diventi caduta «storica», ma il cristianesimo sa liberare in lui l'uomo
autentico e inserirlo in una storia autentica.
Ciò
significa che il cristianesimo riporta l'uomo a quella autenticità che è
racchiusa in Dio incarnato, a quella storia che è stata vissuta e
«misurata» sull'uomo dal Dio incarnato, Gesù Cristo. Gesù
Cristo è «la misura di tutte le cose umane» e su questa misura anche
oggi l'uomo può essere riconosciuto e compreso come uomo.
Cristo è il criterio di tutte le decisioni spirituali morali, volitive e
storiche che si possono anche oggi presentare all'uomo, qualsiasi uomo
egli possa essere, scienziato o operaio, qualsiasi cosa egli faccia, sia
che combatta in guerra o badi ai bambini, in qualsiasi luogo egli si
trovi, nel lager o nel cosmo.
(A. Kolosov, Utopia e speranza, in «Rinascita cristiana nell'URSS»)
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Postato da: giacabi a 19:37 |
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cristianesimo, gesù
LETTERA APERTA AI GIOVANI*
***
Volevamo di più: volevamo la vita per noi
E ce la siamo presa la vita, il diritto di essere noi stessi, senza più riserve, perchè finalmente fosse bello.
Abbiamo provato un po’ tutto, non abbiamo più represso nessun desiderio, non ci siamo negati nessuna emozione.
Abbiamo
fatto l'amore quando ne avevamo voglia, ci siamo vestiti, siamo stati
assieme come piaceva a noi. E così tutto il resto: Ascoltare musica,
imballare la moto, parlare, farsi uno "spinello», come piaceva a noi.
Ma ci saremmo aspettati di più: di più dalla ragazza, dagli amici, dalle emozioni. Ci saremmo aspettati di ritrovarci più liberi, meno soli, più felici.
Ma
nella cricca, dove ogni sera aspettiamo qualcosa che ci tiri su, nelle
riunioni dei vari collettivi dove, a colpi di analisi, costruiamo il
cambiamento della società, nei pochi momenti in cui rimaniamo soli coi
nostri problemi, non ci sentiamo bene, non siamo poi tanto contenti.
E allora. ci viene da chiedere se è servito a qualcosa. Se quel che ci siamo presi e quello che abbiamo abbandonato, se quel che abbiamo fatto e pensato, è servito a cambiarci la vita.
Perchè,
se dopo tanta voglia di vivere, dopo tutta la ribellione, niente è
cambiato e, per star bene, dobbiamo fregarcene e la "roba" ci uccide
ogni giorno e la nostra giustizia rivoluzionaria fa morire la gente,
allora è venuto il momento di ridiscutere tutto.
Dobbiamo chiederci che ne è stato della nostra voglia di cambiamento,
di autenticità, di «fantasia al potere". In che cosa siamo diversi -più
umani, più veri -dagli adulti ai quali non vogliamo assomigliare. Oppure
anche noi, in fondo, militanti o no, usiamo la ragazza, ci gasiamo per
la moto, escludiamo chi non ci piace, facciamo tutto per il nostro
comodo, come tutti. come sempre.
Perchè non è cambiato niente?
Niente,
al fondo, se non che si muore di più. In questi anni il desiderio di
vivere tutto in pienezza, il rifiuto di una società come questa, la
passione di un cambiamento, ci hanno buttato nella lotta o chiusi nel
rifiuto totale. Ma la nostra rabbia, il rifiuto, la fatica a vivere non è
rimastra nostra, non è più nelle nostre mani.
E' servita ad altri. E' servita ai partiti, per usarci come massa di
manovra
dei propri obbiettivi, è servito al «mercato» pronto a vedere in noi,
nella nostra insoddisfazione, nella nostra rabbia, i migliori clienti
della droga, della pornografia, della violenza.
E si sono presi la nostra vita.
Da anni altri stabiliscono quali sono i problemi che contano e di cui
dobbiamo interessarci, altri ci indicano gli spazi politici e gli
obiettivi per cui lottare, al momento giusto, quando la politica non ci
basta più, ci danno anche la «roba" per dimenticare, ma intanto non
sappiamo più chi siamo e che cosa vogliamo.
Ma essere giovani significa vivere, voler vivere in modo che ne valga
la pena, che dia gusto: che far politica, lavorare, studiare
incontrarsi, amare, abbia un significato per noi e per gli altri.
Questo è il nostro vantaggio, il vantaggio sul potere, sull'ideologia, sulla politica; l'energia che può farci ricominciare tutto di nuovo.
Per questo occorre riprendersi la vita
Riprendersi il diritto di ripartire da noi, da quel che siamo, da quel- lo che veramente aspettiamo. Ricominciare. Ripartire dalla nostra umanità vera:
dal bisogno, spesso inconfessato, di qualcosa, di un significato che
dia gusto. Vogliamo soprattutto, riconsiderare, sinceramente, con
libertà, tutta l'esigenza della nostra vita, l'attesa di
compagnia, la voglia di sentirci amati, il desiderio di avere un motivo
per cui vivere, di sapere perchè si soffre per cosa vale la pena di
lottare, di dare, se necessario, la vita.
Una
cosa, comunque, non vogliamo più accettare, che siano altri ad
indicarci gli obiettivi, a dirci cosa credere e per cosa combattere e in
nome di cosa la vita dà gusto.
E' per questo, perchè cercavamo qualcosa di più, che abbiamo voluto guardare oltre. Abbiamo guardato oltre l'ideologia di moda, oltre la militanza o il menefreghismo.
Perchè abbiamo un appassionato desiderio di vivere con pienezza, abbiamo avuto la libertà di guardare alla proposta cristiana.
Abbiamo,
certo, anche noi, vissuto lo squallore di certi oratori, e abbiamo
sentito e, magari, creduto ai soliti luoghi comuni sul Vaticano e
sull'Inquisizione, ma abbiamo anche avvertito tutta la promessa di
novità di vita che ci veniva ancora, malgrado tutto, da quella proposta.
Abbiamo anche incontrato gente -amici, adulti -che in nome di tale
esperienza ci hanno parlato, ci hanno accolto, come nessuno, mai prima.
E
così abbiamo rischiato. Abbiamo tentato di comprendere, di guardare con
occhi nuovi, senza pregiudizio l'esperienza di persone alle quali
l'incontro con Cristo stava cambiando la vita.
E
così è capitato che cominciassimo a considerare, magari dopo averci
riso e dopo essere stati «contro", la vita cristiana come proposta per
noi: attuale, possibile, intensa. Una risposta al nostro bisogno di
significato, di felicità.
QUESTA
E' L'ESPERIENZA CHE FACCIAMO: non è un traguardo ma un cammina, non
abbiamo la risposta ad ogni cosa, ma affrontiamo i problemi, le
difficoltà, le contraddizioni, con una certezza.
Una cosa su tutte ci persuade, che quello verso cui camminiamo -una umanità più vera ed una vita che dia gusto -è già un'esperienza: stiamo già sperimentando una novità,
un cambiamento di noi stessi, del modo di stare assieme, di concepire
ogni cosa, che sentiamo più umano e che ci fa dire che ne vale la pena.
E' così che abbiamo ricominciato a vivere e crediamo che per molti, la nostra sia un'esperienza possibile, piena di promessa. Ed a questi diciamo di saper guardare oltre, oltre i pregiudizi ed i luoghi comuni, di guardare con libertà a quel che ha la capacità di cambiare la vita.
Ed
a tutti, anche ai compagni, anche a coloro che ci rifiutano e ci
attaccano diciamo che è urgente riprendersi la vita, ricominciare da
quello che veramente serve, che rende la vita più umana.
Perchè si possa davvero vivere e, se occorre, morire, senza sprecato tutto.
Comunione Liberazione
*
Volantino di C.L. che ho ritrovato dopo circa 20 anni in mezzo ad un
mio libro. Come è Vero!!!nonostante siano passati tanti anni sembra
scritto oggi.
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Postato da: giacabi a 16:15 |
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cristianesimo
La vera educazione culturale
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“Si
parla molto di democratizzare la cultura. I risultati fin qui ottenuti
sono esili e niente lascia prevedere che andrà meglio nei tempi a
venire. Il solo caso conosciuto di successo è quello dello sforzo
sostenuto dalla Chiesa nei secoli. All'inizio, un piccolo gruppo di
uomini in Giudea, per la maggior parte semplici pescatori. Dieci
secoli più tardi, un’Europa coperta di chiese e abbazie, e migliaia di
preti e monaci che insegnano a una folla di contadini illetterati, rozzi
e violenti, un certo dominio di sé, dei comportamenti, delle abitudini,
una morale, mettendo in luce alcune verità. Ogni
domenica, questa folla di villani irsuti si recava nei più begli
edifici che la nostra civiltà abbia creato, dalla piccola chiesa
romanica, umile e robusta, agli splendori di Cluny: «case del popolo» le
chiamavano in Italia. Là aveva sotto gli occhi i più begli ornamenti,
le più belle statue, i più bei quadri, i più begli oggetti di culto che
si conoscano. Quel giorno, e quello solamente, nel
villaggio più diseredato della provincia più povera, poteva vedere
bellezza, ordine, luce. Sentiva risuonare la parola di Dio ed elevarsi
verso la volta il canto gregoriano. Osservava i gesti misurati,
disciplinati del prete. Pur senza comprenderne l'intimo significato,
riusciva a percepire, a stento, il valore del dominio di sé, che è uno
dei segni certi della cultura. Gli uomini, i poveri uomini di oggi, cosa
ricavano dai pugni dei pugili? Quanto valgono le comunioni primitive
che uniscono gli appassionati di calcio? E che dire della belluinità che
si scatena all'uscita degli stadi, se non che èimparagonabile, nel
senso più stretto della parola, alla gioia quieta che seguiva l'ite missa est? Una
volta la settimana quella folla era sottratta alle sue preoccupazioni
giornaliere, ai suoi problemi familiari, alle piccolezze della vita
quotidiana e sentiva parlare del suo destino. Non era
che una minuscola e fugacissima scintilla nella notte dell'ignoranza, ma
della lettura del Vangelo, della predica talvolta balbettante, quei
contadini trattenevano qualche briciola che nutriva la cultura familiare.
Pur in mancanza di un'elevazione dello spirito verso Dio, queste
briciole davano almeno delle lezioni di coraggio e di dignità davanti
alla malattia, alla vecchiaia e alla morte.”
Leo Moulin
particolari dell'abbazia di Cluny
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Postato da: giacabi a 14:31 |
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educazione, cristianesimo, moulin
Perché la scienza è nata
nel mondo cristiano
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Contrariamente alle dottrine religiose e filosofiche dominanti nel mondo non cristiano, i cristiani svilupparono la scienza perché credevano che si potesse e si dovesse fare. Nel 1925, durante una delle sue Lowell Lectures a Harvard, Alfred North Whitehead affermò che la
scienza ebbe origine in Europa a causa della diffusa fede nelle sue
possibilità, e che essa è un «derivato [...] della teologia medievale»
. La dichiarazione di Whitehead scandalizzò la sua distinta platea, e
in generale gli intellettuali occidentali, quando le sue Lectures
vennero pubblicate. Come poteva un filosofo e matematico del suo
calibro, coautore insieme a Bertrand Russell della pietra miliare
Principia Mathematica (1910-1913), affermare una simile assurdità? Non
sapeva che la religione è il nemico mortale dell'indagine scientifica?
Whitehead sapeva bene quel che diceva. Aveva
capito che la teologia cristiana era stata un elemento di fondamentale
importanza per lo sviluppo della scienza in Occidente e di certo nel
resto del mondo le teologie non cristiane avevano soffocato la ricerca
scientifica. Come spiegò:
Il
grande contributo dato dal Medioevo alla formazione del movimento
scientifico [fu] la fede inespugnabile che [...] v'è un segreto, e
questo segreto può essere svelato. Come si è insediata così saldamente
nello spirito europeo questa convinzione? [...] Non può provenire che
dalla concezione medievale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al
quale veniva attribuita l'energia personale di Yahwèh e la razionalità
di un filosofo greco. Ogni particolare era controllato e ordinato: le
ricerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione
della fede nella razionalità.»
Da: “La vittoria della Ragione” di Rodney Stark
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Postato da: giacabi a 09:18 |
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cristianesimo, whitehead
Testamento spiritualeChristian de Chergé*
Se
mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima
del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che
vivono in Algeria, mi piacerebbe che la mia comunità, la mia chiesa, la
mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a quel
paese.
Che
essi accettassero che il Padrone unico di ogni vita non può essere
estraniato da questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come
potrei essere trovato degno di questa offerta? Che sapessero associare
questa morte a tante ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza
dell’anonimato. La mia vita non ha prezzo più alto di un’altra. Non vale
di meno né di più. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia.
Ho
vissuto abbastanza per considerarmi complice del male che sembra,
ahimé, prevalere nel mondo, e anche di quello che mi può colpire alla
cieca. Mi piacerebbe, se venisse il momento, di avere quello sprazzo di
lucidità che mi permetterebbe di sollecitare il perdono di Dio e quello
dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto
il cuore chi mi avesse ferito.
Non
posso auspicare una morte così. Mi sembra importante dichiararlo.
Infatti non vedo come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo
sia indistintamente accusato dei mio assassinio. Sarebbe un prezzo
troppo caro, per quella che forse chiameranno la «grazia del martirio»,
doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se questi dice di
agire nella fedeltà a ciò che crede essere l’islam. So bene il disprezzo
del quale si è arrivati a bollare gli algerini globalmente presi.
Conosco bene anche le caricature dell’islam che un certo islamismo
incoraggia.
È
troppo facile mettersi la coscienza in pace identificando questa
religione con gli integralismi dei suoi estremisti. L’Algeria e l’islam,
per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un’anima. Ho proclamato
abbastanza, credo, davanti a tutti, quel che ne ho ricevuto,
ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo appreso sulle
ginocchia di mia madre (tutta la mia prima chiesa), proprio in Algeria
e, già allora, con tutto il rispetto per i credenti musulmani.
Evidentemente,
la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno considerato con
precipitazione un naif o un idealista: “Ci dica adesso quel che
pensa!”. Ma queste persone devono sapere che la mia più lancinante
curiosità verrà finalmente soddisfatta. Ecco che potrò, a Dio piacendo,
immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i
suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla
gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti dal dono dello
Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre stabilire la comunione,
ristabilire la rassomiglianza, giocando con le differenze.
Per
questa vita perduta, totalmente mia, totalmente loro, rendo grazie a
Dio che sembra averla voluta interamente per quella gioia, nonostante
tutto e contro tutto. In questo Grazie in cui è detto tutto, ormai,
della mia vita, comprendo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e
voi, amici di questa terra, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie
sorelle e ai miei fratelli, centuplo accordato secondo la promessa! E
anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che
facevi. Sì, anche per te voglio dire questo grazie e questo ad-dio, da
te deciso.
E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se lo vorrà Dio, nostro Padre comune. Amen! Insciallah.
Algeri, 1° dicembre 1993 - Tibhirine, 1° gennaio 1994.
Christian de Chergé*
*monaco trappista assassinato nel monastero di Tibhirine (Algeria) il 21 maggio 1994 |
Postato da: giacabi a 23:09 |
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cristianesimo
LA SCRISTIANIZZAZIONE (Vedi DICO)
***
“Quando
noi parliamo di scristianizzazione, quando noi constatiamo questo
disastro della scristianizzazione, bisogna intendersi sui termini. Il
peccatore ed il santo sono tutti e due propri del cristianesimo. Quando
si dice che il mondo si scristianizza non si vuol dire affatto che nel
sistema cristiano la santità sia stata una volta di più sommersa dai
peccati. Quand’anche fosse, tutto questo non sarebbe niente…Ciò che
constatiamo è infinitamente più grave: questo mondo moderno non è
solamente un cattivo mondo cristiano, un mondo di cattivo cristianesimo,
ma un mondo incristiano, scristianizzato. Ecco ciò che bisogna dire,
vedere. Ecco
ciò che tanti cristiani, e soprattutto tanti cattolici, ben
intenzionati, non vogliono riconoscere, non vogliono vedere. E questa
viltà impedisce loro di far qualcosa di utile, di salvare qualcosa… Sempre forse il contingente dei santi è stato miserabile in paragone al contingente dei peccatori… Ma
il disastro, oggi, è che le nostre stesse miserie non sono più
cristiane. Ecco la novità. Finchè le nostre bassezze erano cristiane
c’era scampo, c’era materia per la grazia… C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani, ma Gesù
non se ne va affatto. Non si rifugia affatto dietro alla cattiveria di
tempi. Non impiegò i suoi anni a gemere e lamentare la cattiveria dei
tempi. Egli taglia corto. Oh in modo molto semplice! Facendo il
cristianesimo. Non si mise ad incriminare, ad accusare qualcuno. Egli
salvò. Non incriminò il mondo: salvò il mondo. Questi altri invece [parla degli “ecclesistici-intellettuali” laici o chierici che siano] vituperano,
raziocinando, incriminano. Medici che ingiuriano, che se la prendono
con il malato. Essi accusano l’arida sabbia del secolo; ma al tempo di
Gesù c’erano anche allora il secolo e le sabbie del secolo. Ma sulla sabbia arida, una sorgente, una sorgente di grazia, inesauribile, cominciò a zampillare”.
In “Véronique. Dialogue de l’histoire et de l’ame charnelle”, scritto pochi mesi prima della morte
Von Balthasar disse di Péguy: “Non si è mai parlato così cristiano”.
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Postato da: giacabi a 19:10 |
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cristianesimo, peguy
Che cos’è il cristianesimo
Che
cos’è il cristianesimo se non l’avvenimento di un uomo nuovo che per
sua natura diventa un protagonista nuovo sulla scena del mondo?
La questione eminente di tutto il problema cristiano è l’accadere anche
per i laici della creatura nuova di cui parla san Paolo. È a tale uomo
che vengono dati compiti e funzioni diverse: ma questo, in fondo,
rispetto al primo è problema secondario. Tale infatti è il contenuto di
ogni impegno cristiano: quello della preghiera di Gesù: «Padre, è giunta
l’ora, glorifica il Figlio tuo» (Gv 17,1). 2. L’uomo
di oggi, dotato di possibilità operative come mai nella storia, stenta
grandemente a percepire Cristo come risposta chiara e certa al
significato della sua stessa ingegnosità. Le istituzioni spesso non offrono vitalmente tale risposta. Ciò
che manca non è tanto la ripetizione verbale o culturale dell’annuncio.
L’uomo di oggi attende forse inconsapevolmente l’esperienza
dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così
presente che la vita loro è cambiata. È un impatto umano
che può scuotere l’uomo di oggi: un avvenimento che sia eco
dell’avvenimento iniziale, quando Gesù alzò gli occhi e disse: «Zaccheo
scendi subito, vengo a casa tua» (Cfr. Lc 19,5). 3. In
questo modo il mistero della Chiesa, che da duemila anni ci è
tramandato, deve sempre riaccadere per grazia, deve sempre risultare
presenza che muove, cioè movimento, movimento che per sua natura rende
più umano il modo di vivere l’ambiente in cui accade. Per quanti sono
chiamati avviene qualcosa di analogo a quel che il miracolo fu per i
primi discepoli. Sempre
l’esperienza di una liberazione dell’umano accompagna l’incontro con
l’evento redentivo di Cristo: «Chi mi segue avrà la vita eterna, e il
centuplo quaggiù» Come
il Battesimo è grazia dello Spirito, così ogni realizzarsi del
Battesimo è dono dello Spirito che si incarna nel temperamento e nella
storia di ognuno. Questo dono dello Spirito può comunicarsi con una
forza particolarmente persuasiva, pedagogica e operativa così da
suscitare un coinvolgimento di persone, un ambito di affinità e di
rapporti, per cui si realizza una dinamica stabile di comunione. L. Giussani, L’avvenimento cristiano, Bur, Milano 2003, pp. 23-24)
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