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domenica 5 febbraio 2012

croce

Il governo degli onesti? Un’utopia per imbecilli
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di Redazione
Così Benedetto Croce, quasi 80 anni fa, smascherava le ipocrisie dei «censori»: la vita privata non c’entra con la buona politica. Al chirurgo si chiede di operare bene, non di essere un esempio di virtù
 
Benedetto Croce
Un’altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa della «onestà» nella vita politica. L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica.
Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, ha per breve tempo fatto salire al potere in quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini e da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati, aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, d’inettitudine.
E' strano (cioè, non è strano, quando si tengano presenti le spiegazioni psicologiche offerte di sopra) che laddove nessuno, quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica, chiede un onest’uomo, e neppure un onest’uomo filosofo o scienziato, ma tutti chiedono e cercano e si procurano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina e chirurgia, forniti di occhio clinico e di abilità operatorie, nelle cose della politica si chiedano, invece, non uomini politici, ma onest’uomini, forniti tutt’al più di attitudini d’altra natura.
«Ma che cosa è, dunque, l’onestà politica» - si domanderà. L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze. «È questo soltanto? E non dovrà essere egli uomo, per ogni rispetto, incensurabile e stimabile? E la politica potrà essere esercitata da uomini in altri riguardi poco pregevoli?». Obiezione volgare, di quel tale volgo, descritto di sopra. Perché è evidente che le pecche che possa eventualmente avere un uomo fornito di capacità e genio politico, se concernono altre sfere di attività, lo tenderanno in proprio in quelle sfere, ma non già nella politica. Colà lo condanneremo scienziato ignorante, uomo vizioso, cattivo marito, cattivo padre, e simili; a modo stesso che censuriamo, in un poeta giocatore e dissoluto e adultero, il giocatore, il dissoluto e l’adultero, ma non la sua poesia, che è la parte pura della sua anima, e quella in cui di volta in volta si redime.
Si narra del Fox dedito alla crapula e alle dissolutezze, che, poi che fu venuto in fama e grandezza di oratore parlamentare e di capopartito, tentò di mettere regola nella sua vita privata, di diventar morigerato, di astenersi dal frequentare cattivi luoghi; ed ecco che sentì illanguidirsi la vena, infiacchirsi l’energia lottatrice, e non ritrovò quelle forze se non quando tornò alle sue consuetudini.
Che cosa farci? Deplorare, tutt’al più, una così infelice costituzione fisiologica e psicologica, che per operare aveva bisogno di quegli eccitanti o di quegli sfoghi; ma con questo non si è detto nulla contro l’opera politica che il Fox compiè, e, se egli giovò al suo paese, l’Inghilterra ben gli fece largo nella politica, quantunque i padri di famiglia con pari prudenza gli avrebbero dovuto negare le loro figliuole in ispose.

«Ma no (si continuerà obiettando), noi non ci diamo pensiero solo di ciò, ossia della vita privata; ma di quella disonestà privata che corrompe la stessa opera politica, e fa che un uomo politicamente abile tradisca il suo partito o la sua patria; e per questo richiediamo che egli sia anche privatamente ossia integralmente onesto» - Senonché non si riflette che un uomo dotato di genio o capacità politica si lascia corrompere in ogni altra cosa, ma non in quella, perché in quella è la sua passione, il suo amore, la sua gloria, il fine sostanziale della sua vita. Allo stesso modo che il poeta, per vizioso e dissoluto che sia, se è poeta, transigerà su tutto ma non sulla poesia, e non si acconcerà a scrivere brutti versi. Il Mirabeau prendeva bensì danaro dalla corte, ma, servendosi del danaro per i suoi bisogni particolari, si serviva della corte, e insieme dell’Assemblea nazionale, per cercare di attuare in Francia la sua idea di una monarchia costituzionale di tipo inglese, di uno Stato non assolutistico e non demagogico. Vero è che questa disarmonia tra vita propriamente politica e la restante vita pratica non può spingersi tropp’oltre, perché, se non altro, la cattiva reputazione, prodotta dalla seconda, rioperando sulla prima, le frappone poi ostacoli, come il Mirabeau, sospirando, confessava, o l’ipocrisia morale degli avversari può valersene da un’arma avvelenata, come nel caso del Parnell. Ma questo è un altro discorso.
«E se, nonostante l’impulso del suo genio, nonostante l’amore per la propria arte, soggiacerà ai suoi cattivi istinti e farà cattiva politica?».
Allora, il presente discorso è finito, perché siamo rientrati nel caso in cui la disonestà coincide con la cattiva politica, con l’incapacità politica, da qualunque lontano motivo sia prodotta, virtuoso o vizioso, e in qualunque forma si presenti, cioè come incapacità abitudinaria e connaturata, o incapacità intermittente e accidentale. Può, altresì, il poeta geniale, talvolta, per compiacenza o a prezzo, comporre versi senza ispirazione e adulatori; senonché, in quel caso non è più poeta.


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croce

sabato, 28 maggio 2011
La croce
La croce
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 Michelangelo - Crocifisso (Firenze, Santo Spirito, 1492-93).jpg
Keith Chesterton immagina un colloquio tra due personaggi che ben si addice al problema in questione  "Come ti stavo dicendo" seguitò Michele, "anche quell'uomo aveva adottato l'opinione che il segno del cristianesimo fosse un simbolo di barbarie e di irragionevolezza. È una storia assai interessante. Ed è una perfetta allegoria di ciò che accade ai razionalisti come te. Egli cominciò naturalmente, col bandire il crocifisso da casa sua, dal collo della sua donna, perfino dai quadri. Diceva, come tu dici, che era una forma arbitraria e fantastica, una mostruosità; e che la si amava soltanto perché era paradossale. Poi diventò ancora più furioso, ancora più eccentrico; e avrebbe voluto abbattere le croci che si innalzavano lungo le strade del suo paese, che era un paese cattolico romano. Finalmente s'arrampicò sopra il campanile di una chiesa, ne strappò la croce e l'agitò nell'aria, in un tragico soliloquio sotto le stelle. Una sera d'estate mentre ritornava lungo il viale, a casa sua, il demone della sua follia lo ghermì di botto gettandolo in quel delirio che trasfigura il mondo agli occhi dell'insensato. S'era fermato un momento, fumando la sua pipa di fronte a una lunghissima palizzata: e fu allora che i suoi occhi si spalancarono improvvisamente. Non brillava una luce, non si muoveva una foglia; ma egli credette di vedere, come in un fulmineo cambiamento di scena, la lunga palizzata tramutata in un esercito di croci legate l'una all'altra, su per la collina, giù per la valle. Allora, facendo volteggiare nell'aria il suo pesante bastone, egli mosse contro la palizzata come contro una schiera di nemici. E, per quanto era lunga la strada, spezzò, strappò, sradicò tutte quelle assi che incontrava sul suo cammino. Egli odiava la croce: ed ogni palo era per lui una croce. Quando arrivò a casa, era pazzo da legare. Si lasciò cadere sopra una sedia, ma rimbalzò subito in piedi perché sul pavimento scorgeva l'intollerabile immagine. Si buttò sopra un letto; ma tutte le cose che lo circondavano avevano ormai l'aspetto del simbolo maledetto. Distrusse tutti i suoi mobili, appiccò il fuoco alla casa, perché anche questa era ormai fatta di croci: e l'indomani lo trovarono nel fiume. Lucifero guardò il vecchio monaco mordendosi le labbra. "È vera questa storia?" "No!" disse Michele. "È una parabola: la parabola di voi tutti razionalisti e di te stesso. Cominciate con lo spezzare la croce; ma finite col distruggere il mondo abitato"
Gilbert Keith Chesterton da: la sfera e la croce

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croce, chesterton

lunedì, 23 agosto 2010
La Croce
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Non basta ripetere le parole eterne del Vangelo, come non basta piantare delle croci, se nessuno vi si lascia poi inchiodare insieme con Cristo.
(P. Mazzolari)
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Più tutto manca sulla terra e più troviamo ciò che la terra può darci di migliore: la Croce. Più abbracciamo la Croce e più stringiamo strettamente Gesù, che vi è attaccato.
(C. De Foucauld)
 

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croce, don mazzolari, defoucauld

lunedì, 19 luglio 2010


Il Segno di Croce -

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Il segno di Croce fa paura al demonio, perchè é per mezzo della Croce che noi gli sfuggiamo... Bisogna fare il segno di Croce con grande rispetto. Si comincia dalla testa: é il capo, la creazione, il Padre; segue il cuore: l'amore, la vita, la redenzione, il Figlio; vengono poi le spalle: la forza, lo Spirito Santo. Tutto ci ricorda la croce. Noi stessi siamo fatti a forma di croce.

Curato d'Ars

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croce, curato dars

lunedì, 19 aprile 2010
La croce
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SETTIMA STAZIONE: Gesù è caricato della croce.

 

La croce, il grande simbolo del cristianesimo, da strumento di punizione ignominiosa è diventata vessillo glorioso di vittoria.

Ci sono atei coraggiosi che sono pronti a sacrificarsi per la rivoluzione: sono disposti ad abbracciare la croce, ma senza Gesù. Tra i cristiani vi sono « atei » di fatto che vogliono Gesù, ma senza la croce. Ora senza Gesù la croce è insopportabile e senza la croce non si può pretendere di essere con Gesù.

Abbracciamo la croce e abbracciamo Gesù e con Gesù abbracciamo tutti i nostri fratelli sofferenti e perseguitati!

MEDITAZIONI DI SUA EM. REV. CARD. JOSEPH ZE ZE-KIUN S.D.B. Vescovo di Hong Kong

CRUCIS AL COLOSSEO PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE BENEDETTO XVI - VENERDI SANTO 2008

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croce

venerdì, 12 febbraio 2010

La croce
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Iddio pena, attraverso lo spessore infinito del tempo e della specie, per raggiungere l’anima e sedurla. Se essa si lascia strappare, anche solo per un attimo, un consenso puro e intero, allora Iddio la conquista. E quando sia divenuta cosa interamente sua, l’abbandona. La lascia totalmente sola.  Ed essa  a sua volta, ma a tentoni, deve attraversare lo spessore infinito del tempo e dello spazio alla ricerca di colui che essa ama. Così l’anima rifà in senso inverso il viaggio che Iddio ha fatto verso di lei. E ciò è la croce.
 Simone Weil(OG 98).

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croce, weil

lunedì, 28 dicembre 2009

Il  Crocifisso
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Questo desiderano i giovani che, difendendo eroicamente assieme ai genitori la presenza del Crocifisso nei luoghi di studio e di lavoro dei credenti, testimoniano che Cristo è per loro il valore più grande. E per questo i vescovi polacchi continuano a ricordare e rivendicare l’osservanza di questi fondamentali diritti dell’uomo.
 La croce è il sostegno della vita morale dell’uomo - leggiamo nella lettera pastorale del 6 dicembre 1984 -. Essa mostra e avvicina sempre, e a tutti, i più alti valori etici . . . svolge una funzione educativa della massima importanza: a casa, a scuola, in tutti i luoghi di lavoro e di vita sociale . . . La croce è scuola di fratellanza e di amore, poiché su di essa si è compiuta la riconciliazione . . . Vogliamo le croci nei luoghi dove cresce la nuova generazione, i figli della nazione prevalentemente cristiana
 DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PELLEGRINI POLACCHI PER GLI AUGURI NATALIZI
Aula Paolo VI - Lunedì, 24 dicembre 1984

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croce, giovanni paoloii

sabato, 14 novembre 2009

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Narrasi a questo proposito un molto curioso aneddoto. Il consiglio legislativo della Cisalpina, di cui Parini era membro, teneva la sua adunanza nello stesso luogo dove siedeva l’antica Cameretta e dov’eravi un gran crocifisso, che un giorno alcuno di quegli esaltati repubblicani fece levar via. Giunto Parini e non vedendo più il crocifisso chiese fieramente ai colleghi: dov’è il cittadino Cristo? Al che eglino, ridendo e motteggiando, risposero averlo fatto riporre altrove perché non aveva più nulla a fare colla nuova repubblica. Ma l’austero poeta soggiunse: ebbene, quando non c’entra più il cittadino Cristo non c’entro più nemmen’io. E si dimise immediatamente dal suo ufficio.


Vincenzo Monti, In morte di Lorenzo Mascheroni, 1802
Grazie a Tempi: http://www.tempi.it/

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croce

giovedì, 12 novembre 2009
A proposito della sentenza della Corte europea sui crocifissi
UNA PRESENZA IRRIDUCIBILE
  
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La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo contro i crocifissi nelle
aule scolastiche ha suscitato una vasta eco di proteste: giustamente quasi
tutti gli italiani - l’84% secondo un sondaggio del Corriere della Sera - si sono
scandalizzati della decisione.
«E voi chi dite che io sia?». Questa domanda di Gesù ai discepoli ci raggiunge dal passato e ci sfida ora.
Quel Cristo sul crocifisso non è un cimelio  della pietà popolare per il quale
si può nutrire, al massimo, un devoto ricordo.
Non è neppure un generico simbolo della nostra tradizione sociale e
culturale.
Cristo è un uomo vivo, che ha portato nel mondo un giudizio, una esperienza
nuova, che c’entra con tutto: con lo studio e il lavoro, con gli affetti
e i desideri, con la vita e la morte. Un’esperienza di umanità compiuta.
I crocifissi si possono togliere, ma non si può togliere dalla realtà un uomo vivo. Tranne che lo ammazzino, come è accaduto: ma allora è più vivo di prima!
Si illudono coloro che vogliono togliere i crocifissi, se pensano di contribuire
così a cancellare dallo “spazio pubblico” il cristianesimo come esperienza
e giudizio: se è in loro potere -ma è ancora tutto da verificare e noi
confidiamo che siano smentiti - abolire i crocifissi, non è nelle loro mani togliere
dei cristiani vivi dal reale.
Ma c’è un inconveniente: che noi cristiani possiamo non essere noi stessi,
dimenticando che cos’è il cristianesimo; allora difendere il crocifisso sarebbe
una battaglia persa, perché quell’uomo non direbbe più nulla alla nostra vita.
La sentenza europea è una sfida per la nostra fede. Per questo non possiamo
tornare con tranquillità alle cose solite, dopo avere protestato scandalizzati,
evitando la questione fondamentale: crocifisso sì, crocifisso no, dov’è
l’avvenimento di Cristo oggi?O, detto con le parole di Dostoevskij: «Un
uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?».
Comunione e Liberazione
Novembre 2009. 

Postato da: giacabi a 18:21 | link | commenti
croce, cl

mercoledì, 11 novembre 2009
Crocifisso
L'Illusione Del Nulla
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grazie a:
 
La decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo è talmente assurda e irragionevole da sembrare surreale.
Sulla sua assurdità sono intervenuti in molti, usando una gamma di argomenti che vanno dall’antico e solenne «non possiamo non dirci cristiani» di Benedetto Croce al puro «buon senso vittima del diritto» evocato dal leader del maggiore partito della sinistra italiana.
In quel crocifisso c’è la nostra storia e la nostra cultura. Basterebbe questo a rendere contraddittoria l’idea di tirarlo via a forza dalle aule dove si tramandano storia e cultura.
E la contraddizione arriva al paradosso, se si pensa che è proprio da quella tradizione cristiana che è nata l’idea stessa di “laico”. Prima di Cristo, la laicità non esisteva. Cesare e Dio erano la stessa cosa. E fuori dal cristianesimo, in grandissima parte, continuano ad esserlo, con tutte le storture e le violenze che questo porta nella storia.
Contraddittorio, quindi. Ma anche irragionevole. Perché il crocifisso non è "solo" cultura. È segno del Mistero. Ha a che fare con il senso della vita e con il dramma del dolore. Offre a tutti un'ipotesi che va oltre il nulla in cui tutto andrebbe a finire. Estirparlo dalle aule scolastiche, eliminare questa dimensione e questa ipotesi vuol dire – questo sì – soffocare l’idea stessa di educazione. A meno che non si pensi all'educazione come a qualcosa che non c'entra con il nostro cuore, con le sue esigenze ed evidenze, con il desiderio di infinito che rende uomo un uomo. A meno che non si riduca ai minimi termini la sua ragione.
Per questo il crocifisso è un fatto che riguarda tutti. È un segno religioso, chiaro. Ma di una fede che abbraccia, non esclude. Che si offre alla libertà dell’uomo e la sollecita. Di ogni uomo, qualsiasi tradizione abbia.
«Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino», scriveva vent’anni fa un'autrice di padre ebreo e cultura di sinistra come Natalia Ginzburg, in un articolo sull’Unità che varrebbe la pena di rileggere per intero, e magari spedire a Strasburgo.
Perché c’è un altro dato che colpisce di questa vicenda. La sentenza arriva nello stesso giorno in cui, di fatto, nasce la nuova Unione europea, con l’ultima firma sotto il Trattato di Lisbona. Coincidenza, certo: la Corte non è emanazione diretta dell'Unione. Ma coincidenza infelice. Su queste basi, l'Europa non può fare molta strada.
C’è qualcosa di insano – e non da oggi – in questa tensione della cultura occidentale a recidere le sue radici, a tagliare i ponti con ciò che l'ha generata e ne sostiene, tuttora, il tessuto sociale e civile. È l’utopia di poter vivere i valori che fondano la nostra società – la libertà, l'uguaglianza, la democrazia, la stessa educazione – svuotandoli dalla loro origine viva e reale, da ciò che li ha generati: il cristianesimo. Anzi, Cristo.
Questo, in fondo, è il nichilismo. Al posto di Dio, il nulla. Pensare che su questo nulla si possano costruire dei rapporti umani, una società, un’intera civiltà, è un'illusione. E non c'è illusione di cui la realtà, prima o poi, non presenti il conto
da:
http://tracce.it/11-09

Postato da: giacabi a 20:45 | link | commenti
croce

domenica, 08 novembre 2009
Quei muri
 appesi ai Crocefissi…
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crocifisso

5 novembre 2009 / In Articoli
Gesù è stato giudicato – duemila anni fa – dalle varie magistrature del suo tempo. E sappiamo cosa decise la “giustizia” di allora.
Oggi la Corte europea di Strasburgo ha emesso una sentenza secondo cui lasciare esposta nelle scuole la raffigurazione di quell’Innocente massacrato dalla “giustizia umana” viola la libertà religiosa.
E’ stato notato che semmai il crocifisso ricorda a tutti che cosa è la giustizia umana e cosa è il potere ed è quindi un grande simbolo di laicità (sì, proprio laicità) e di libertà (viene da chiedersi se gli antichi giudici di Gesù sarebbero contenti o scontenti che una sentenza di oggi cancelli l’immagine di quel loro “errore giudiziario” o meglio di quella loro orrenda ingiustizia).
Ma discutiamo pacatamente le ragioni della sentenza di oggi: il crocifisso nelle aule, dicono i giudici, costituisce “una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni” e una violazione alla “libertà di religione degli alunni”.
Per quanto riguarda la prima ragione obietto che quel diritto dei genitori è piuttosto leso da legislazioni stataliste che non riconoscono la libertà di educazione e che magari usano la scuola pubblica per indottrinamenti ideologici.
La seconda ragione è ancor più assurda. Il crocifisso sul muro non impone niente a nessuno, ma è il simbolo della nostra storia. Una sentenza simile va bocciata anzitutto per mancanza di senso storico, cioè di consapevolezza culturale, questione dirimente visto che si parla di scuole. Pare ignara di cosa sia la storia e la cultura del nostro popolo.
Per coerenza i giudici dovrebbero far cancellare anche le feste scolastiche di Natale (due settimane) e di Pasqua (una settimana), perché violerebbero la libertà religiosa.
Stando a questa sentenza, l’esistenza stessa della nostra tradizione bimillenaria e la fede del nostro popolo (che al 90 per cento sceglie volontariamente l’ora di religione cattolica) sono di per sé un “attentato” alla libertà altrui.
I giudici di Strasburgo dovrebbero esigere la cancellazione dai programmi scolastici di gran parte della storia dell’arte e dell’architettura, di fondamenti della letteratura come Dante (su cui peraltro si basa la lingua italiana: cancellata anche questa?) o Manzoni, di gran parte del programma di storia, di interi repertori di musica classica e di tanta parte del programma di filosofia.
Infatti tutta la nostra cultura è così intrisa di cristianesimo che doverla studiare a scuola dovrebbe essere considerato – stando a quei giudici – un attentato alla libertà religiosa. In lingua ebraica le lettere della parola “italia” significano “isola della rugiada divina”: vogliamo cancellare anche il nome della nostra patria per non offendere gli atei? E l’Inno nazionale che richiama a Dio?
Perfino lo stradario delle nostre città (Piazza del Duomo, via San Giacomo, piazza San Francesco) va stravolto? Addirittura l’aspetto (che tanto amiamo) delle vigne e delle colline umbre e toscane – come spiegava Franco Rodano – è dovuto alla storia cristiana e ad un certo senso cattolico del lavoro della terra: vogliamo cancellare anche quelle?
Ma non solo. Come suggerisce Alfredo Mantovano, “se un crocifisso in un’aula di scuola è causa di turbamento e di discriminazione, ancora di più il Duomo che ‘incombe’ su Milano o la Santa Casa di Loreto, che tutti vedono dall’autostrada Bologna-Taranto: la Corte europea dei diritti dell’uomo disporrà l’abbattimento di entrambi?”
Signori giudici, si deve disporre un vasto piano di demolizioni, di cui peraltro dovrebbero far parte pure gli ospedali e le università (a cominciare da quella di Oxford) perlopiù nati proprio dal seno della Chiesa?
Infine (spazzata via la Magna Charta, san Tommaso e la grande Scuola di Salamanca) si dovrebbero demolire pure la democrazia e gli stessi diritti dell’uomo (a cominciare dalla Corte di Strasburgo) letteralmente partoriti e legittimati (con il diritto internazionale) dal pensiero teologico cattolico e dalla storia cristiana?
La stessa Costituzione italiana – fondata sulle nozioni di “persona umana” e di “corpi intermedi” (le comunità che stanno fra individui e Stato) – è intrisa di pensiero cattolico. Cancelliamo anche quella come un attentato alla libertà di chi non è cattolico?
E l’Europa? L’esistenza stessa dell’Europa si deve alla storia cristiana, se non altro perché senza il Papa  e i re cristiani prima sui Pirenei, poi a Lepanto e a Vienna, l’Europa sarebbe stata spazzata via diventando un califfato islamico.
Direte che esagero a legare al crocifisso tutto questo. Ma c’è una controprova storica. Infatti sono stati i due mostri del Novecento – nazismo e comunismo – a tentare anzitutto di spazzare via i crocifissi dalle aule scolastiche e dalla storia europea.
Odiavano l’innocente Figlio di Dio massacrato sulla croce, furono sanguinari persecutori della Chiesa e del popolo ebraico (i due popoli di Gesù) che martirizzarono in ogni modo e furono nemici assoluti (e devastatori) della democrazia e dei diritti dell’uomo (oltreché della cultura cristiana dell’Europa e della civiltà).
Il nazismo appena salito al potere scatenò la cosiddetta “guerra dei crocefissi” con la quale tentò di far togliere dalle mura delle scuole germaniche l’immagine di Gesù crocifisso.
Non sopportavano quell’ebreo, il figlio di Maria, e volevano soppiantare la croce del Figlio di Dio, con quella uncinata, il simbolo esoterico dei loro dèi del sangue e della forza. Lo stesso fece il comunismo che tentò di sradicare Cristo dalla storia stessa.
Se le moderne istituzioni democratiche europee si fondano sulla sconfitta dei totalitarismi del Novecento, non spetterebbe anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo considerare che la tragedia del Novecento è stata provocata da ideologie che odiavano il crocifisso (e tentarono di sradicarlo) e che i loro milioni di vittime si ritrovano significate proprio dal Crocifisso?
Non a caso è stata una scrittrice ebrea, Natalia Ginzburg, a prendere le difese del crocifisso quando – negli anni Ottanta – vi fu un altro tentativo di cancellarlo dalle aule: “Non togliete quel crocifisso” fu il titolo del suo articolo.
Scriveva:
“il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E’ l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? (…) Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano”.
La Ginzburg proseguiva:
“Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo… prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini… A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola”.
Con tutto il rispetto auspichiamo che pure i giudici lo apprendano. “Il crocifisso fa parte della storia del mondo”, scrive la Ginzburg.
Infine il crocifisso è il più grande esorcismo contro il Male. Infatti non è il crocifisso ad aver bisogno di stare sui nostri muri, ma il contrario. Come dice un verso di una canzone di Gianna Nannini: “Questi muri appesi ai crocifissi…”. Letteralmente crolla tutto senza di lui, tutti noi siamo in pericolo.
Per questo potranno cancellarlo dai muri e alla fine – come accade in Arabia Saudita – potranno proibirci anche di portarne il simbolo al collo, ma nessuno può impedirci di portarlo nel cuore. E questa è la scelta intima di ognuno. La più importante.

Antonio Socci Da  Libero 4 novembre 2009

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croce, socci

mercoledì, 04 novembre 2009
Quella croce rappresenta tutti
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1. dDicono che il crocifisso deve essere tolto dalle aule della scuola. Il nostro è uno stato laico che non ha diritto di imporre che nelle aule ci sia il crocifisso. La signora Maria Vittoria Montagnana, insegnante a Cuneo, aveva tolto il crocefisso dalle pareti della sua classe. Le autorità scolastiche le hanno imposto di riappenderlo. Ora si sta battendo per poterlo togliere di nuovo, e perché lo tolgano da tutte le classi nel nostro Paese. Per quanto riguarda la sua propria classe, ha pienamente ragione. Però a me dispiace che il crocefisso scompaia per sempre da tutte le classi. Mi sembra una perdita. Tutte o quasi tutte le persone che conosco dicono che va tolto. Altre dicono che è una cosa di nessuna importanza. I problemi sono tanti e drammatici, nella scuola e altrove, e questo è un problema da nulla. E’ vero. Pure, a me dispiace che il crocefisso scompaia. Se fossi un insegnante, vorrei che nella mia classe non venisse toccato. Ogni imposizione delle autorità è orrenda, per quanto riguarda il crocefisso sulle pareti. Non può essere obbligatorio appenderlo.

Però secondo me non può nemmeno essere obbligatorio toglierlo. Un insegnante deve poterlo appendere, se lo vuole, e toglierlo se non vuole. Dovrebbe essere una libera scelta. Sarebbe giusto anche consigliarsi con i bambini. Se uno solo dei bambini lo volesse, dargli ascolto e ubbidire. A un bambino che desidera un crocefisso appeso al muro, nella sua classe, bisogna ubbidire. Il crocifisso in classe non può essere altro che l'espressione di un desiderio. I desideri, quando sono innocenti, vanno rispettati. L'ora di religione è una prepotenza politica. E' una lezione. Vi si spendono delle parole. La scuola è di tutti, cattolici e non cattolici. Perchè vi si deve insegnare la religione cattolica? Ma
il crocifisso non insegna nulla. Tace. L'ora di religione genera una discriminazione fra cattolici e non cattolici, fra quelli che restano nella classe in quell'ora e quelli che si alzano e se ne vanno. Ma il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E' l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino allora assente.

La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo "prima di Cristo" e "dopo Cristo". O vogliamo forse smettere di dire così? Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. E' muto e silenzioso. C'è stato sempre. Per i cattolici, è un simbolo religioso. Per altri, può essere niente, una parte dei muro. E infine per qualcuno, per una minoranza minima, o magari per un solo bambino, può essere qualcosa dì particolare, che suscita pensieri contrastanti. I diritti delle minoranze vanno rispettati. Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l'immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e dei prossimo.

Chi è ateo, cancella l'idea di Dio ma conserva l'idea dei prossimo.
Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c'è immagine. E' vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini. E di esser venduti, traditi e martoriati e ammazzati per la propria fede, nella vita può succedere a tutti. A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola. Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l'idea della croce nel nostro pensiero. Tutti, cattolici e laici portiamo o porteremo il peso, di una sventura, versando sangue e lacrime e cercando di non crollare. Questo dice il crocifisso. Lo dice a tutti, mica solo ai cattolici. Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto "ama il prossimo come te stesso". Erano parole già scritte nell'Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. Sono il contrario di tutte le guerre. Il contrario degli aerei che gettano le bombe sulla gente indifesa. Il contrario degli stupri e dell'indifferenza che tanto spesso circonda le donne violentate nelle strade. Si parla tanto di pace, ma che cosa dire, a proposito della pace, oltre a queste semplici parole? Sono l'esatto contrario del modo in cui oggi siamo e viviamo. Ci pensiamo sempre, trovando esattamente difficile amare noi stessi e amare il prossimo più difficile ancora, o anzi forse completamente impossibile, e tuttavia sentendo che là è la chiave di tutto.

Il crocifisso
queste parole non le evoca, perché siamo abituati a veder quel piccolo segno appeso, e tante volte ci sembra non altro che una parte dei muro. Ma se ci viene di pensare che a dirle è stato Cristo, ci dispiace troppo che debba sparire dal muro quel piccolo segno. Cristo ha detto anche: "Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perchè saranno saziati". Quando e dove saranno saziati? In cielo, dicono i credenti. Gli altri invece non sanno né quando né dove, ma queste parole fanno, chissà perché, sentire la fame e la sete di giustizia più severe, più ardenti e più forti. Cristo ha scacciato i mercanti dal Tempio. Se fosse qui oggi non farebbe che scacciare mercanti. Per i veri cattolici, deve essere arduo e doloroso muoversi nel cattolicesimo quale è oggi, muoversi in questa poltiglia schiumosa che è diventato il cattolicesimo, dove politica e religione sono sinistramente mischiate. Deve essere arduo e doloroso, per loro, districare da questa poltiglia l'integrità e la sincerità della propria fede. lo credo che i laici dovrebbero pensare più spesso ai veri cattolici. Semplicemente per ricordarsi che esistono, e studiarsi di riconoscerli, nella schiumosa poltiglia che è oggi il mondo cattolico e che essi giustamente odiano. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. I modi di guardarlo e non guardarlo sono, come abbiamo detto, molti. Oltre ai credenti e non credenti, ai cattolici falsi e veri, esistono anche quelli che credono qualche volta sì e qualche volta no. Essi sanno bene una cosa sola, che il credere, e il non credere vanno e vengono come le onde dei mare. Hanno le idee, in genere, piuttosto confuse e incerte. Soffrono di cose di cui nessuno soffre. Amano magari il crocifisso e non sanno perché. Amano vederlo sulla parete. Certe volte non credono a nulla. E' tolleranza consentire a ognuno di costruire intorno a un crocifisso i più incerti e contrastanti pensieri

Natalia Ginzburg  L'Unità, 22 marzo 1988

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croce

martedì, 27 ottobre 2009
LA CROCE...
un'opera d'arte su misura
***

Se tutti gli angeli e tutti i geni del mondo
avessero studiato
in questo o quel dolore,
in questa tentazione o quella perdita dolorosa,
essi non avrebbero trovato
ciò che sarebbe stato più adatto per te
di ciò che ti ha colpito.
Così la Divina Provvidenza di Dio
ha pensato fin dall'inizio
di darti questa croce
quale prezioso regalo proveniente dal suo cuore.
Prima di darla a te,
Egli l'ha meditata con il suo occhio onnisciente,
l'ha pensata con la sua divina intelligenza,
l'ha esaminata con la sua saggia giustizia ,
l'ha riscaldata con la sua misericordia amorosa.
Egli l'ha pesata con le sue 2 mani,
affinché non sia
troppo grande di un millimetro
né troppo pesante di un milligrammo.
Poi l'ha benedetta
col suo santo nome,
unta con la sua grazia,
riempita con la sua consolazione
e ancora una volta ha guardato te e il tuo coraggio.
Essa viene a te addirittura dal cielo
come un richiamo di Dio
e come regalo del suo amore misericordioso,
affinché tu diventi completamente te stesso
e trovi in Dio la sua pienezza.
                                                S.Francesco di Sales dalla "Filotea"

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mercoledì, 23 settembre 2009
La povertà di spirito
***
   Che importa che l'uccello sia legato a un filo o a una corda! Per quanto sottile sia il filo, l'uccello resterà legato alla corda, finché  non riuscirà a strapparlo per volare. Lo stesso vale per l'anima legata a qualche cosa: nonostante tutte le sue virtù  non perverrà mai alla libertà  dell'unione con Dio.”
San Giovanni della Croce

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croce

sabato, 17 gennaio 2009
Sulle sue spalle è il segno della sovranità
***
Gesù davanti a una folla di persone porta in spalla la croce per la salita sul calvario
« Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; »
ISAIA 9:5

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croce, profezie, gesù

martedì, 11 novembre 2008
Il segno di croce
***
Quando fai il segno di croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisce cosa debba significare. No, un segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all'altra.
Senti come esso ti abbraccia tutto? Raccogliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto l'animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all'altra. Allora tu lo senti: ti avvolge tutto, ti consacra, ti santifica. Perché? Perché è il segno della totalità ed il segno della redenzione.
Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce egli santifica l'uomo nella sua totalità, fin nelle ultime fibre del suo essere. Perciò lo facciamo prima della preghiera, affinché esso ci raccolga e ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato. Nella tentazione, perché ci irrobustisca. Nel pericolo, perché ci protegga. Nell'atto di benedizione, perché la pienezza della vita divina penetri nell'anima e vi renda feconda e consacri ogni cosa.
Pensa quanto spesso fai il segno della croce, il segno più santo che ci sia!

Fallo bene: lento, ampio, consapevole. Allora esso abbraccia tutto il tuo essere, corpo e anima, pensieri e volontà, senso e sentimento, agire e patire, tutto vi viene irrobustito, segnato, consacrato nella forza del Cristo, nel nome del Dio uno e Trino.
Romano Guardini

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mercoledì, 24 settembre 2008
L’Amore di Cristo in croce
***

 “Dove ho vinto io se non sulla croce? Siete ciechi come giudei e pagani, fino a vaneggiare che il Golgotha sarebbe la mia caduta e bancarotta, e credete che solo più tardi, tre giorni più tardi, mi sarei ripreso dalla mia morte e che sarei emerso arrampicandomi a fatica dall’abisso dell’Ade di nuovo in mezzo a voi? Ecco: questo è il mio segreto e non ne esiste un altro in cielo o sulla terra: la mia croce è salvezza, la mia morte è vittoria, la mia tenebra è luce. Allora, quando io pendevo nel mio martirio, e lo spavento mi invadeva l’anima per l’abbandono, la riprovazione, l’inutilità della mia vita, e tutto era oscuro, e solo la rabbia della massa fischiava sarcasmi contro di me, mentre il cielo taceva, serrato come la bocca di chi dispregia - ai polsi però pulsava il mio sangue attraverso le porte aperte delle mani e dei piedi, e più vuoto diventava il mio cuore ad ogni battito, la forza usciva da me in ruscelli, e in me rimaneva solo impotenza, stanchezza mortale e il senso di un fallimento infinito - e alla fine si avvicinava il misterioso luogo, l’ultimo, sull’orlo dell’essere, e poi la caduta nel vuoto e il ribaltare nell’abisso senza fondo, il dileguare, finire, sfinire. L’immensa morte, che io da solo morivo (a voi tutti questo è risparmiato mediante la mia morte e nessuno farà l’esperienza di che cosa significhi morire): questa fu la mia vittoria. Mentre cadevo e cadevo, il mondo nuovo saliva. Mentre ero sfinito oltre ogni debolezza, si rafforzava la mia sposa, la chiesa. Mentre mi perdevo e del tutto mi donavo e mi spremevo dallo spazio del mio io e senza possibilità di rifugio (neppure in Dio) dal nascondiglio più segreto del sé venivo espulso: allora io mi svegliavo e mi alzavo nel cuore dei miei fratelli”
H.U. von Balthasar, Il cuore del mondo)

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croce, von balthasar

lunedì, 09 giugno 2008
Senza religiosità
***
«Perché senza religiosità, cioè senza poesia, senza eroismo, senza coscienza dell'universale, senza armonia, senza sentire aristocratico, nessuna società vivrebbe».
 Benedetto Croce, 1866-1952, Frammenti di etica, Laterza, Bari 1922


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croce

giovedì, 11 ottobre 2007
La nascita interiore
 ***
           
Ma come potrà accadere questa nascita interiore?
Il giorno nel quale non sentirai una punta di amarezza e di gelosia dinanzi alla gioia del nemico o dell'amico, rallegrati perché è segno che quella nascita è prossima. Il giorno nel quale non sentirai una segreta onda di piacere dinanzi alla sventura e alla caduta altrui, consolati perché la nascita è vicina. Il giorno nel quale sentirai il bisogno di portare un po' di letizia a chi è triste e l'impulso di alleggerire il dolore o la miseria anche di una sola creatura, sii lieto perché l'arrivo di Dio è imminente. E se un giorno sarai percosso e perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e dovrai sopportare l'ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e dei lontani, ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a bestemmie e accetterai con animo sereno il tuo destino, esulta e trionfa perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è già nato nel tuo cuore. Non sei più solo, non sarai più solo. Il buio della tua notte fiammeggerà come se mille stelle chiomate giungessero da ogni punto del cielo a festeggiare l'incontro della tua breve giornata umana con la divina eternità.
Giovanni Papini.
   

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croce, gesù, papini

giovedì, 04 ottobre 2007
La croce consolatrice
  ***

" La mia salute fu in pericolo. Il terrore avanzava... Ero maturo per il trapasso, e lungo una strada di pericoli la mia debolezza mi guidava ai confini del mondo con la Cimmeria, patria dell'ombra e dei turbini... Sul mare, che amavo come se avesse dovuto lavarmi da ogni sozzura, vedevo levarsi la croce consolatrice... La Felicità era il mio destino, il mio rimorso, il mio verme... La Felicità! il suo dente, dolce da morire, mi avvertiva al canto del gallo, - ad matutinum, al Christus venit - nelle più oscure città"
(Alchimia del verbo, ivi, p. 69).
 Arturo Rimbaud

 


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rimbaud, croce

martedì, 25 settembre 2007
Anche la sofferenza può trasformarsi in gioia
***
"Che cosa importa se il sonno della nostra bambina si prolunga? L'universo dove dobbiamo vivere è presenza di Dio, dove tutte le delusioni del tempo possono trovare immediatamente il loro posto, tutte le sofferenze trasformarsi in gioia. Non ci resta che diventare cristiani a tempo perduto... Sentivo che mi avvicinavo a quel piccolo letto come ad un altare, ad un luogo sacro da dove Dio parlava mediante un segno. E tutto intorno alla bambina, non ho altre parole: un'adorazione. Bisogna osare di dir­lo: una grazia troppo pesante. Un'ostia vivente in mezzo a noi. Muta come un'os­tia. Splendente come un'ostia... ".
Emanuele Mounier

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lunedì, 24 settembre 2007
Perché non possiamo non dirci «cristiani»
***



“Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non maraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall'alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo.
Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell'arte, della filosofia, della libertà politica, e Roma del diritto: per non parlare delle più remote della scrittura, della matematica, della scienza astronomica, della medicina, e di quanto altro si deve all'Oriente e all'Egitto
. E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni, in quanto non furono particolari e limitate al modo delle loro precedenti antiche, ma investirono tutto l'uomo, l'anima stessa dell'uomo, non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l'impulso originario fu e perdura il suo.
La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell'anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all'intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all'umanità. Gli uomini, i genii, gli eroi, che furono innanzi al cristianesimo, compierono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensieri e di esperienze; ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che noi accomuna e affratella, e che il cristianesimo ha dato esso solo alla vita umana.”                                                 B. Croce, La mia filosofia,  Milano, Adelphi 

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sabato, 15 settembre 2007
La positività  scaturita da Cristo
 ***

Mi stupiscono, talvolta, coloro che si stupiscono della mia calma nello stato miserando al quale mi ha ridotto la malattia. Ho perduto l’uso delle gambe, delle braccia, delle mani e sono divenuto quasi cieco e quasi muto. Non posso dunque camminare né stringere la mano di un amico né scrivere neppure il mio nome; non posso più leggere e mi riesce quasi impossibile conversare e dettare. Sono perdite irrimediabili e rinunce tremende soprattutto per uno che aveva la continua smania di camminare a passi rapidi, di leggere a tutte le ore e di scrivere tutto da sé, lettere, appunti, pensieri, articoli e libri. Ma non bisogna tenere in piccolo conto quello che mi è rimasto ed è molto ed è il meglio. È bensì vero che le cose e le persone mi appariscono come forme indeterminate e appannate, quasi fantasmi attraverso un velo di nebbia cinerea, ma è anche vero che non sono condannato alla tenebra totale; riesco ancora a godere una festosa invasione di sole e la sfera di luce che s’irraggia da una lampada. Posso inoltre intravedere, quando vengono molto avvicinate all’occhio destro, le macchie colorate dei fiori e le fattezze di un volto. Eppure questi barlumi ultimi della visione abolita sembrano miracoli gaudiosi a un uomo che da più di vent’anni vive nel terrore del buio perpetuo. E tutto questo non è nulla a paragone dei doni ancor più divini che Dio mi ha lasciato. Ho salvato, sia pure a prezzo di quotidiane guerre, la fede, l’intelligenza, la memoria, l’immaginazione, la fantasia, la passione di meditare e di ragionare e quella luce interiore che si chiama intuizione o ispirazione. Ho salvato anche l’affetto dei familiari, l’amicizia degli amici, la facoltà di amare anche quelli che non conosco di persona e la felicità di essere amato da quelli che mi conoscono soltanto attraverso le opere. E ancora posso comunicare agli altri, sia pure con martoriante lentezza, i miei pensieri e i miei sentimenti. Se io potessi muovermi, parlare, vedere e scrivere, ma avessi la mente confusa e ottusa, l’intelligenza torpida e sterile, la memoria lacunosa e tarda, la fantasia svanita e stenta, il cuore arido e indifferente, la mia sventura sarebbe infinitamente più terribile. Sarei un’anima morta dentro un corpo inutilmente vivo. A che mi varrebbe possedere una favella intelligibile se non avessi nulla da dire? Ho sempre sostenuto la superiorità dello spirito sulla materia: sarei un truffatore e un vigliacco se ora, arrivato al punto della riprova, avessi cambiato opinione sotto il peso dei patiri. Ma io ho sempre preferito il martirio all’imbecillità.
Giovanni Papini

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croce, cristianesimo, papini

domenica, 09 settembre 2007
Croce
***
Dal vangelo di oggi

Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo Luca 14,25-33.
 

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croce, gesù

La santa Croce
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Cristo è intransigente contro il peccato di qualunquismo, di mancanza di tensione, insomma di rappacificazione facile con la vita.
Il se stesso dello starsene tranquillamente a casa propria
, con la moglie, i bambini, nel tran tran del qualunquismo e della bonomia incolori, tende a non portare la croce.
Chi porta la croce rischia continuamente la vita, la mette sempre a repentaglio.

P.P.  Pasolini da Il Popolo 1971
 

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pasolini, croce

sabato, 21 luglio 2007
Grazie Gesù
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 Gesù ti abbiamo fissato in una croce, inchiodandoTi piedi e mani, per impedirTi di venirci incontro e abbracciarci; ma Tu sei risorto e sei rimasto in mezzo a noi tramite il tuo Corpo che è la Chiesa.
Giacabi
Gauguin Il Cristo giallo

 

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croce, gesù

mercoledì, 11 luglio 2007
Perché Croce poteva dirsi cristiano
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Da : www.avvenire.it    11-07-07

Dario Antiseri
Nel 1949, in occasione dell'ottantatreesimo compleanno di Benedetto Croce, Alcide De Gasperi gli invia un telegramma di auguri. E a De Gasperi Croce risponde con una lettera: «Io penso spesso a te, non politicamente, ma umanamente, e mi fo presente la vita che sei costretto a condurre, e ti ammiro e ti compiango e ti difendo contro la gente di poca fantasia che non pensa alle difficoltà e alle amarezze che è necessario sopportare a un uomo responsabile di un alto ufficio per fare un po' di bene e per evitare un po' di male. Che Dio ti aiuti (perché anche io credo, a modo mio, a Dio, a quel Dio che a tutti è Giove, come diceva Torquato Tasso), che Dio ti aiuti, nella buona volontà di servire l'Italia e di proteggere le sorti pericolanti della civiltà laica e non laica che sia […]».
Si potrebbe pensare che questo richiamo a Dio da parte di Croce sia dettato unicamente dall'occasione di una lettera ad un credente come De Gasperi. Ma così non è, come anche risulta dallo scambio epistolare con la signora Maria Curtopassi. Dalla lettera del 23 giugno 1941: «[…]
Io stimo che il più profondo rivolgimento spirituale compiuto dall'umanità sia stato il cristianesimo, e il cristianesimo ho ricevuto e serbo, lievito perpetuo nella mia anima». È nella notte del 16 agosto 1942 che Croce medita sul perché non possiamo non chiamarci cristiani. E il 30 dello stesso mese scrive ancora alla signora Curtopassi: «[…] Sono profondamente convinto e persuaso che il pensiero e la civiltà moderna sono cristiani, prosecuzione dell'impulso dato da Gesù e da Paolo». E aggiunge: «Su ciò ho scritto una buona nota di carattere storico». Sta qui, appunto, l'origine del famoso (anche se più citato che davvero letto e meditato) articolo di Croce dal titolo «Perché non possiamo non dirci 'cristiani» (poi pubblicato da Laterza nel 1943). È «per semplice osservanza della vita» che, ad avviso di Croce, quella cristiana è stata una rivoluzione «così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata ed irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa apparire un miracolo, una rivelazione dall'alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo». Per Croce, tutte le altre rivoluzioni, tutte le scoperte che segnano le epoche della storia umana non reggono il confronto con il cristianesimo. E la ragione di ciò sta nel fatto che «la rivoluzione cristiana operò nel centro dall'anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all'intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all'umanità»
.
Riconoscimento del grandioso ruolo storico, cioè etico e politico, del messaggio cristiano, sensibilità religiosa e rispetto per i credenti: una lezione, questa di un difensore della libertà come Croce (e anche di altri laici come Popper e Bobbio), che dovrebbe far meditare quanti ai nostri giorni, in un impasto di ignoranza ed arroganza, vorrebbero che si togliesse il crocifisso dalle scuole e dai tribunali; e quanti persistono pervicacemente nel ritenere che nella Costituzione europea non debba apparire il richiamo alle «radici cristiane» dell'Europa. Aveva ragione Goethe: «Nulla è più funesto dell'ignoranza attiva».



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croce, cristianesimo

mercoledì, 04 luglio 2007
***

4 luglio 2007

Il poeta libanese Gibran diceva che “Il desiderio è metà della vita; l’indifferenza è metà della morte”. Indifferenza. È ciò che abbiamo registrato in questi giorni. Indifferenza per la sorte di padre Giancarlo Bossi, il missionario italiano rapito lo scorso 10 giugno nelle Filippine. Indifferenza verso la manifestazione promossa da Magdi Allam contro l’esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente e a favore della libertà religiosa nel mondo.
Ho aderito a questa iniziativa e sono convinto che il 4 luglio rappresenterà un momento importante per il nostro Paese. Ho aderito da cristiano laico impegnato in politica perché credo che il tema della libertà religiosa nel mondo non possa rimanere argomento per dotte dissertazioni tra professori e esponenti ecclesiali. Ho aderito perché credo che il diritto di professare il proprio credo liberamente, senza costrizioni, sia una conquista di civiltà.
Purtroppo in numerose parti del mondo non è così e il rapimento di padre Bossi ne è una testimonianza concreta. Spiace che, di fronte a fatti di questo tipo, la reazione di buona parte del mondo della politica sia un imbarazzato silenzio. Tacciono i difensori dei diritti. E tacciono, ahimè, coloro che in questi mesi sono sempre scesi in piazza per chiedere la liberazione dei nostri ostaggi. Da Gabriele Torsello a Giuliana Sgrena, dalle due Simone a Daniele Mastrogiacomo, fino al mediatore di Emergency (che ostaggio non era) Hanefi. Sembra quasi che esistano ostaggi di serie A e ostaggi di serie B.
Forse, semplicemente, padre Bossi è un ostaggio scomodo. Come sono scomodi i milioni di cristiani che, negli stati arabi, musulmani e altrove nel mondo, sono costretti a fuggire abbandonando le loro case e le terre in cui sono nati. Sia chiaro, la manifestazione del 4 luglio, non è un modo per chiedere un ghetto protetto all’interno dei quali i cristiani possano vivere senza essere perseguitati. I cristiani non sono e non devono essere considerati come una minoranza etnica.
Scendere in piazza per salvare i cristiani significa scendere in piazza per la vita, la pace, la dignità della persona. E questo vale per tutti al di là degli steccati ideologici, delle appartenenze di partito, delle diversità religiose. Credo che mercoledì sera piazza Santi Apostoli sarà un esempio concreto di cosa significa essere laici. Spero solo che il muro di indifferenza che finora ci ha circondato cada presto.

On. Maurizio Lupi

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testimonianza, croce, cristianesimo

sabato, 20 gennaio 2007
IL PERDONO INCREDIBILE
Nemmeno don Gino Rigoldi crede che un uomo dal cuore semplice, educato nella fede cristiana, possa concedere il proprio perdono agli assassini della figlia, della moglie e del nipotino; e che possa concederlo non già dopo un lungo pensamento ma come un atto immediato, come il riconoscimento immediato della verità delle cose.
Il perdono non è soltanto un punto di arrivo dopo un processo di metabolizzazione, ma anche e soprattutto qualcosa che sta all'inizio, un'evidenza prima. È come quando qualcuno, di fronte a una situazione, dice la parola che la definisce esattamente: tutti ci sentiamo subito meglio e diciamo: «ecco, è proprio così».
La verità del torto che subiamo sta nel suo perdono. Finché non c'è il perdono è come se mancasse qualcosa: per questo il proverbio dice che «la miglior vendetta è il perdono», perché senza perdono la vendetta è insipida, mentre il perdono è la parte gustosa della vendetta, in quanto ci ridà la verità perduta.
Poi verrà tutto il processo, necessario affinché quel gesto spontaneo diventi consapevole, di cui parla don Rigoldi. Verranno i ripensamenti e le crisi e la vittoria finale del perdono.
Ma se non c'è quella spinta all'inizio, che viene dal cristianesimo, è difficile trovare il perdono per strada: anche perché, di solito, i ripensamenti, le notti insonni e il tempo macerano gli animi, producono esacerbazione o dimenticanza, non certo perdono.
Nemmeno i preti (meglio: alcuni preti) credono più che il cristianesimo possa riconciliare l'uomo con la sua natura, rendendolo capace di gesti umani semplici e immediati, prima di tutti i metabolismi.
I fatti invece, per nostra fortuna, testimoniano il contrario: Carlo Castagna ne è un esempio. Una radice cristiana, popolare, ignorata per decenni da politici e intellettuali, permane nel tessuto italiano molto più di quanto pensiamo, e si esprime in questi gesti limpidi, che oggi ci sembrano fiori cresciuti nel deserto mentre esprimono la normalità dell'esistenza cristiana.
Di Luca Doninelli - Il Giornale

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croce, cristianesimo

lunedì, 11 dicembre 2006

 

Fonte: indice
A Gilbert K. Chesterton

In che razza di mondo...


Caro Chesterton,

sul video della televisione italiana è apparso nei passati mesi Padre Brown, imprevedibile prete-poliziotto, creatura tipicamente tua. Peccato che non siano anche apparsi il professor Lucifero e il monaco Michele. Li avrei visti volentieri, come tu li hai descritti ne "La sfera e la croce", viaggianti in aeroplano, seduti l'uno di fronte all'altro, Quaresima davanti a Carnevale.
Quando l'aereo è sopra la cattedrale di Londra, il professore scaglia una bestemmia all'indirizzo della Croce.
- Sto pensando se questa bestemmia ti giovi - gli dice il monaco. - Senti questa storia: io ho conosciuto un uomo come te; anche lui odiava il crocifisso; lo bandì da casa sua, dal collo della sua donna, perfino dai quadri; diceva che era brutto, simbolo di barbarie, contrario alla gioia e alla vita. Diventò più furioso ancora: un giorno s'arrampicò sul campanile di una chiesa, ne strappò la croce e la scagliò dall'alto.
Andò a finire che questo odio si trasformò in delirio prima e poi in furiosa pazzia. Una sera d'estate s'era fermato, fumando la pipa, davanti ad una lunghissima palizzata; non brillava una luce, non si muoveva una foglia, ma egli credette di vedere la lunga palizzata tramutata in un esercito di croci
, legate l'una all'altra su per la collina, giù per la valle. Allora, roteando il bastone, mosse contro la palizzata, come contro una schiera di nemici; per quanto era lunga la strada, strappò, spezzò, sradicò tutti i pali che incontrava. Odiava la croce ed ogni palo era per lui una croce. Arrivato a casa, continuò a veder croci dappertutto, pestò i mobili, appiccò il fuoco e l'indomani lo trovano cadavere nel fiume.
A questo punto, il professore Lucifero guarda il vecchio monaco mordendosi le labbra e dice: "Questa storia te la sei inventata!". "Sì, risponde Michele, l'ho inventata adesso; ma essa esprime bene quello che state facendo tu ed i tuoi amici increduli. Voi cominciate con lo spezzare la croce e finite col distruggere il mondo abitabile.
La conclusione del monaco, che è poi la tua, caro Chesterton, è giusta.
Togliete Dio, cosa resta, cosa diventano gli uomini? in che razza di mondo ci riduciamo a vivere? - Ma è il mondo del progresso, sento dire, il mondo del benessere! - Sì, ma questo famoso progresso non è tutto quel che si sperava: esso porta con sé anche i missili, le armi batteriologiche e atomiche, l'attuale processo di inquinamento, tutte cose che - se non si provvede in tempo - minacciano di portare l'umanità intera a una catastrofe.
In altre parole il progresso con uomini che si amino, ritenendosi fratelli e figli dell'unico Padre Dio, può essere una cosa magnifica. Il progresso con uomini che non riconoscono in Dio un unico Padre, diventa un pericolo continuo: senza un parallelo processo morale, interiore e personale, esso - quel progresso - sviluppa, infatti, i più selvaggi fondacci dell’uomo, fa di lui una macchina posseduta da macchine, un numero maneggiatore di numeri, “un barbaro in delirio - direbbe Papini - che invece della clava può servirsi delle immense forze della natura e della meccanica per soddisfare i suoi istinti predaci, distruttori ed orgiastici”………
Da:Illustrissimi di Papa Luciani

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