Il Verbo abbreviato
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di Henri de Lubac
In Gesù Cristo, che ne era il fine, l’antica Legge trovava in precedenza la sua unità. Di secolo in secolo, tutto in questa Legge convergeva verso di Lui. È Lui che, della «totalità delle Scritture», formava già «l’unica Parola di Dio». [...] In Lui, i «verba multa» (le molte parole) degli scrittori biblici diventano per sempre «Verbum unum» (l’unica Parola). Senza di Lui, invece, il legame si scioglie: di nuovo la parola di Dio si riduce a frammenti di «parole umane»; parole molteplici, non soltanto numerose, ma molteplici per essenza e senza unità possibile, perché, come constata Ugo di San Vittore, «multi sunt sermones hominis, quia cor hominis unum non est» (numerose sono le parole dell’uomo, perché il cuore dell’uomo non è uno). [...] Eccolo, dunque, questo Verbo unico. Eccolo tra noi «che esce da Sion», che ha preso carne nel seno della Vergine. «Omnem Scripturae universitatem, omne verbum suum Deus in utero virginis coadunavit» ( tutto l’insieme delle Scritture, ogni sua parola, Dio l’ha riunito nel seno della Vergine). [...] Eccolo adesso, totale, unico, nella sua unità visibile. Verbo abbreviato, Verbo «concentrato», non soltanto in questo primo senso che Colui che è in sé stesso immenso e incomprensibile, Colui che è infinito nel seno del Padre si racchiude nel seno della Vergine o si riduce alle proporzioni di un bambino nella stalla di Betlemme, come san Bernardo e i suoi figli amavano parlarne, come ripetevano M. Olier in un inno per l’Ufficio della vita interiore di Maria, e, ancor ieri, padre Teilhard de Chardin; ma anche e nello stesso tempo, in questo senso, che il contenuto molteplice delle Scritture sparse lungo i secoli dell’attesa viene tutt’intero ad ammassarsi per compiersi, cioè unificarsi, completarsi, illuminarsi e trascendersi in Lui. Semel locutus est Deus (Dio ha pronunciato una sola parola): Dio pronunzia una sola parola, non solo in sé stesso, nella sua eternità senza vicissitudini, nell’atto immobile con cui genera il Verbo, come sant’Agostino ricordava; ma anche, come insegnava già sant’Ambrogio, nel tempo e tra gli uomini, nell’atto con cui egli invia il suo Verbo ad abitare la nostra terra. «Semel locutus est Deus, quando locutus in Filio est» (Dio ha pronunciato una sola parola, quando ha parlato nel suo Figlio): perché è Lui che dà il senso a tutte le parole che lo annunziavano, tutto si spiega in Lui e solamente in Lui: «Et audita sunt etiam illa quae ante audita non erant ab iis quibus locutus fuerat per prophetas» (e si sono allora capite anche tutte quelle parole che non erano state intese prima da coloro ai quali egli aveva parlato attraverso i profeti). [...] Sì, Verbo abbreviato, «abbreviatissimo», «brevissimum», ma sostanziale per eccellenza. Verbo abbreviato, ma più grande di ciò che abbrevia. Unità di pienezza. Concentrazione di luce. L’incarnazione del Verbo equivale all’apertura del Libro, la cui molteplicità esteriore lascia ormai percepire il «midollo» unico, questo midollo di cui i fedeli si nutriranno. Ecco che con il fiat (accada) di Maria che risponde all’annunzio dell’angelo, la Parola, fin qui soltanto «udibile alle orecchie», è diventata «visibile agli occhi, palpabile alle mani, portabile alle spalle». Più ancora: essa è diventata «mangiabile». Niente delle verità antiche, niente degli antichi precetti è andato perduto, ma tutto è passato a uno stato migliore. Tutte le Scritture si riuniscono nelle mani di Gesù come il pane eucaristico, e, portandole, egli porta sé stesso nelle sue mani: «tutta la Bibbia in sostanza, affinché noi ne facciamo un solo boccone...». «A più riprese e sotto varie forme» Dio aveva distribuito agli uomini, foglio per foglio, un libro scritto, nel quale una Parola unica era nascosta sotto numerose parole: oggi egli apre loro questo libro, per mostrare loro tutte queste parole riunite nella Parola unica. Filius incarnatus, Verbum incarnatum, Liber maximus (Figlio incarnato, Verbo incarnato, Libro per eccellenza): la pergamena del Libro è ormai la sua carne; ciò che vi è scritto sopra è la sua divinità. [...] Tutta l’essenza della rivelazione è contenuta nel precetto dell’amore; in questa sola parola, «tutta la Legge e i Profeti». Ma questo Vangelo annunziato da Gesù, questa parola pronunziata da Lui, se contiene tutto, è perché non è altro che Gesù stesso. La sua opera, la sua dottrina, la sua rivelazione: è Lui! La perfezione che egli insegna, è la perfezione che egli porta. Christus, plenitudo legis (Cristo, pienezza della legge). È impossibile separare il suo messaggio dalla sua persona, e coloro che ci provarono non tardarono molto ad essere indotti a tradire il messaggio stesso: persona e messaggio, finalmente, non fanno che una cosa sola. Verbum abbreviatum, Verbum coadunatum: Verbo condensato, unificato, perfetto! Verbo vivo e vivificante. Contrariamente alle leggi del linguaggio umano, che diventa chiaro, spiegandolo, esso, da oscuro, diventa manifesto, presentandosi sotto la sua forma abbreviata: Verbo pronunziato dapprima «in abscondito» (nascostamente), e adesso «manifestum in carne» (manifesto nella carne). Verbo abbreviato, Verbo sempre ineffabile in sé stesso, e che tuttavia spiega tutto ! [...] Le due forme del Verbo abbreviato e dilatato sono inseparabili. Il Libro dunque rimane, ma nello stesso tempo passa tutt’intero in Gesù e per il credente la sua meditazione consiste nel contemplare questo passaggio. Mani e Maometto hanno scritto dei libri. Gesù, invece, non ha scritto niente; Mosè e gli altri profeti «hanno scritto di lui». Il rapporto tra il Libro e la sua Persona è dunque l’opposto del rapporto che si osserva altrove. Così la Legge evangelica non è affatto una «lex scripta» (legge scritta). Il cristianesimo, propriamente parlando, non è affatto una «religione del Libro»: è la religione della Parola – ma non unicamente né principalmente della Parola sotto la sua forma scritta. Esso è la religione del Verbo, «non di un verbo scritto e muto, ma di un Verbo incarnato e vivo». La Parola di Dio adesso è qui tra di noi, «in maniera tale che la si vede e la si tocca»: Parola «viva ed efficace», unica e personale, che unifica e sublima tutte le parole che le rendono testimonianza. Il cristianesimo non è «la religione biblica»: è la religione di Gesù Cristo. da: http://www.30giorni.i/ |
Postato da: giacabi a 22:15 |
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natale, de lubac
Il senso religioso
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“Tutto in questo mondo, cose, avvenimenti, rapporti umani, ha un carattere sacramentale… Tutto, nel mondo, è idoneo a condurre a Dio, “punto ultimo” ove ogni cosa converge. Tutto, e più specialmente,…il lavoro;…ogni opera umana, la più umile mansione casalinga, come la più spirituale attività…Dio “è, in qualche modo, in cima alla mia penna, al mio piccone, al mio pennello, al mio ago, al mio pensiero”.
H.De Lubac, Il pensiero religioso del padre Teilhard De Chardin, Jaca Book 34-35).
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Postato da: giacabi a 17:51 |
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de lubac, senso religioso
Il dramma dell'umanesimo ateo
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(..)Umanesimo
positivista, umanesimo marxista, umanesimo nietzschiano; molto più che
un ateismo propriamente detto, la negazione che sta alla base di ognuno
di essi è un antiteismo, e più precisamente un anticristianesimo. Per
quanto siano tra loro contrapposte, le loro implicazioni, sotterranee o
manifeste, sono numerose, e come hanno
un fondamento comune nel rifiuto di Dio, così pure arrivano a esiti
analoghi, il più importante dei quali è l’annientamento della persona
umana.
Feuerbach
e Marx, così come Comte e Nietzsche, erano convinti che la fede in Dio
stesse scomparendo per sempre, che questo sole stesse tramontando sul
nostro orizzonte per non sorgere mai più.
Il loro ateismo si credeva e si voleva definitivo, pensando di avere un
vantaggio sugli antichi ateismi, quello di eliminare completamente il
problema che aveva fatto nascere Dio nella coscienza. Antiteisti come
Proudhon, e in un senso ancor più radicale, essi non sono arrivati a
concludere come lui che l’esistenza di Dio, quanto quella dell’uomo, “è
provata dal loro antagonismo eterno”. Essi non hanno avuto come lui quel
senso di un ritorno offensivo del mistero, e di un mistero che non è
solo quello dell’uomo, dopo ogni sforzo tentato per vincerlo. Dietro la
varietà dei suoi stili, il loro “umanesimo” ci appare ugualmente cieco.
Nietzsche stesso è rimasto sepolto nella sua notte, e tuttavia il sole
non ha smesso di sorgere! Quando
Marx non era ancora morto e Nietzsche non aveva ancora scritto i suoi
libri più scottanti, un altro uomo, pure lui genio inquietante ma più
veritiero profeta, annunciava con strani bagliori la vittoria di Dio
nell’anima umana, la sua eterna resurrezione.
Dostoevskij
non è che un romanziere. Non propone un sistema, non fornisce alcuna
soluzione ai terribili problemi che pone al nostro secolo
l’organizzazione della vita sociale. È, se vogliamo, in una condizione
di inferiorità. Ma sappiamo almeno riconoscere il significato di un
simile fatto. Non è vero che l’uomo, come sembra talvolta si dica, non
possa organizzare il mondo terreno senza Dio. È vero però che, senza
Dio, non può alla fin dei conti che organizzarlo contro l’uomo. L’umanesimo
esclusivo è un umanesimo disumano. Del resto, la fede in Dio, quella
fede che ci inculca il cristianesimo in una trascendenza sempre presente
e sempre esigente, non ha come scopo di sistemarci comodamente nella
nostra esistenza terrena per farci addormentare in essa – per quanto
febbricitante possa essere il nostro sonno. Ma, piuttosto, essa ci rende
inquieti e incessantemente viene a rompere quell’equilibrio troppo
bello delle nostre concezioni mentali e delle nostre costruzioni sociali. Irrompendo
in un mondo che tende sempre a chiudersi, Dio vi apporta senza dubbio
un’armonia superiore, ma che può essere raggiunta solo a prezzo di una
serie di rotture e di lotte, serie lunga tanto quanto il tempo stesso.
“Non sono venuto a portare la pace, ma la spada”: Cristo è anzitutto il
grande turbatore. Questo non vuol dire certamente che non vi sia una
dottrina sociale della Chiesa che deriva dal Vangelo. Tanto meno ciò
tende a distogliere i cristiani, uomini e membri della città come i loro
fratelli, dallo sforzo di risolvere, in conformità con i princìpi della
loro fede, i problemi della città: essi anzi vi si sentono spinti da
una necessità in più. Ma nello stesso tempo sanno che, siccome il destino dell’uomo è eterno, non deve fermarsi alla vita di quaggiù. La
terra, che senza Dio potrebbe cessare di essere un caos solo per
diventare una prigione, è in realtà il campo magnifico e doloroso dove
si prepara la nostra esistenza eterna. Così la fede in Dio, che nulla
potrà mai strappare dal cuore dell’uomo, è la sola fiamma nella quale si
conserva, umana e divina, la nostra speranza
Henri De Lubac Il dramma dell'umanesimo ateo, Jaka Book
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Postato da: giacabi a 20:35 |
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ateismo, de lubac
La grandezza dell’uomo
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L'uomo è se stesso solo per il fatto che il suo volto è illuminato da un raggio divino. Divinitas in luto tamquam imago in speculo refulget . Se il fuoco scompare, sparisce pure il suo riflesso. «Basta distruggere in tutto quello che avviene nel nostro mondo sublunare il rapporto con la eternità, per distruggere nello stesso tempo ogni profondità ed ogni contenuto reale di questo mondo». Dio non è soltanto per l'uomo una norma che a lui si impone e che, guidandolo lo solleva: Egli
è l'Assoluto che lo fonda, è la calamita che l'attira, è l'Al di là che
lo eccita, è l'Eterno che gli fornisce il solo clima in cui respirare, è
in qualche modo quella terza dimensione in cui l'uomo trova la sua
profondità . Se
l'uomo si fa il suo proprio dio, può nutrire per qualche tempo
l'illusione di elevarsi e di emanciparsi: esaltazione passeggera! In realtà, egli abbassa Dio ed egli stesso non tarderà a sentirsi abbassato.
Henry De Lubac da: “Il dramma dell’umanesimo ateo” ed. Morcelliana
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Postato da: giacabi a 15:17 |
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persona, de lubac
Il laicismo
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Ateismo
critico, ateismo liberale, ateismo per preterizione o laicismo... sono
altrettante caratteristiche di un 'età che sta tramontando. Queste
forme d'ateismo conservavano spesso, come il deismo al quale
succedevano, molti valori di origine cristiana, ma per il fatto di aver
recisi questi valori dalla loro sorgente cristiana, furono impotenti a
mantenerli nella loro forza e perfino nella loro autentica purità. Spirito,
ragione, libertà, verità, fratellanza, giustizia: queste grandi cose
senza delle quali non c'è vera umanità, che il paganesimo antico aveva
intravviste e che il cristianesimo aveva fondate, diventano presto irreali, appena non appariscono più come un irradiamento di Dio, appena che la fede nel Dio vivente cessa di nutrirle coi suoi succhi. Esse diventano allora for- me vuote e ben presto si riducono ad essere un ideale senza vita, minacciato dalla menzogna, a cui si applica ancora molto meglio la frase che Péguy scrisse sul kantismo: «il kantismo ha le mani pure, ma non ha mani» . Senza
Dio, la stessa verità è un idolo, la ,stessa giustizia è un idolo;
idoli troppo puri e troppo pallidi di fronte agli idoli 'di carne e di
sangue che si rialzano; ideali troppo astratti, di fronte ai grandi miti
collettivi che risvegliano gli istinti più potenti. «Frumento privato del suo germe», si è detto . Così
il laicismo di questa società moderna ha preparato, anche se molto
spesso contro sua voglia, l'alveo dei grandi sistemi rivoluzionari che
ora precipitano come una valanga.
Henry De Lubac da: “Il dramma dell’umanesimo ateo” ed. Morcelliana
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Postato da: giacabi a 15:01 |
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laicismo, de lubac
L'auto-distruzione dell'umanesimo
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"Nell’anima
dell'uomo anzitutto si è scosso e si è distrutto qualche cosa, prima
che si scuotessero e si distruggessero i suoi valori storici. La «morte
di Dio» doveva avere il suo contraccolpo fatale. E noi oggi assistiamo a
ciò che Nicola Berdiaev, lui pure dotato di un dono «profetico», ma cui
si accompagna inoltre un 'esatta diagnosi, ha giustamente chiamato <l'auto-distruzione dell'umanesimo». Noi oggi stiamo verificando sperimentalmente che «dove non c'è Dio, non c’è neppure uomo» Che
è avvenuto infatti delle alte ambizioni di questo umanesimo, non
soltanto nei fatti, ma anche nello stesso pensiero dei suoi adepti? Che
cosa è avvenuto dell'uomo di questo umanesimo ateo? Un essere che
appena si osa chiamare ancora «essere»; una cosa che non ha più
interiorità, una cellula interamente immersa in una massa in divenire;
«uomo sociale e storico» di cui altro non resta che una pura astrazione,
al di fuori dei rapporti sociali e della situazione nella durata per
cui si definisce. Non c'è più in lui né fissità, né profondità. Non si
cerchi perciò qualche recesso inviolabile, non si pretenda di scoprire
qualche valore che si imponga al rispetto di tutti. Niente impedisce
perciò di utilizzarlo come un materiale o come uno strumento, sia che si
tratti di preparare qualche società futura o di assicurare nel presente
stesso la dominazione di un gruppo privilegiato. Nulla impedisce
perfino di gettarlo via come inservibile. Egli si lascia inoltre
concepire su tipi assai differenti, anzi opposti, a seconda che
predomina per esempio un sistema di spiegazione biologico od economico, o
a seconda che si crede o no ad un senso e ad un fine della storia
umana: Ma sotto le sue diversità, si trova sempre lo stesso carattere
fondamentale, o piuttosto si constata la stessa assenza. Questo uomo è
letteralmente dissolto: che sia in nome del mito o della dialettica,
l'uomo, perdendo la verità, perde se stesso. In realtà non c'è più uomo,
perché non c'è più nulla che trascenda l'uomo.
Non
parliamo soltanto di un fallimento, non accusiamo neppure certe
deformazioni grossolane, troppo reali e troppo evidenti. Non tutta la
posterità di Marx ha ereditato dal suo genio: la eredità di Nietzsche
poi è ancora più arruffata ed è fuor di dubbio che il profeta di
Zarathustra oggi sarebbe il primo a maledire, per molte ragioni, molti
di quelli che si appellano a lui . Ma queste deformazioni sono spesso
meno dei tradimenti che l'effetto di una corruzione fatale L'umanesimo
ateo non poteva terminare che in un fallimento. L'uomo è se stesso solo
per il fatto che il suo volto è illuminato da un raggio divino. Divinitas in luto tamquam imago in speculo refulget . Se
il fuoco scompare, sparisce pure il suo riflesso. «Basta distruggere in
tutto quello che avviene nel nostro mondo sublunare il rapporto con la
eternità, per distruggere nello stesso tempo ogni profondità ed ogni
contenuto reale di questo mondo». Dio non è soltanto per l'uomo una
norma che a lui si impone e che, guidandolo lo solleva: Egli è
l'Assoluto che lo fonda, è la calamita che l'attira, è l'Al di là che lo
eccita, è l'Eterno
che gli fornisce il solo clima in cui respirare, è in qualche modo
quella terza dimensione in cui l'uomo trova la sua profondità . Se
l'uomo si fa il suo proprio dio, può nutrire per qualche tempo
l'illusione di elevarsi e di emanciparsi: esaltazione passeggera! In
realtà, egli abbassa Dio ed egli stesso non tarderà a sentirsi
abbassato." .
Henry De Lubac da: “Il dramma dell’umanesimo ateo” ed. Morcelliana
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