Democrazia e trascendenza
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La
democrazia come valore si può giustificare unicamente a partire
dall'affermazione della trascendente dignità dell'uomo, che il singolo è
capax Dei e trascende quell'ordine delle creature finite nel quale la
specie umana è inserita. E' da questa convinzione che
storicamente nasce la rivendicazioen di un diritto a non essere coartato
nella propria coscienza che sta alla base della genesi del moderno
stato di diritto. non a caso le democrazie moderne nascono proprio sul terreno della libertà religiosa, la prima che sia rivendicata.
Alla rivendicazione di potere pensare secondo la propria coscienza
segue quella di poter vivere secondo la propria coscienza, e di qui
scaturisce il riconoscimento della democrazia come valore, o per essere
più precisi come strumento perchè si realizzi il valore della persona. Premessa della democrazia è dunque il riconoscimento dell'uomo come realtà trascendente il mero ordine naturale. Quando
si rinunzia a questo pensiero e si riassorba l'individuo nella specie,
viene allora a mancare qualunque fondamento etico della democrazia, che
si riduce a mera tecnica di esercizio del potere Augusto Del Noce
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Augusto Del Noce da il suicidio della rivoluzione pagg 271-272
Postato da: giacabi a 08:15 |
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del noce
Il superpartito tecnocratico
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«In realtà dietro questo congedo dell’ideologia,
dietro questa critica apparente del totalitarismo,
si nasconde un totalitarismo di nuova natura,
assai più aggiornato, assai più capace di dominio
assoluto di quel che i modelli passati, Stalin e
Hitler inclusi, non fossero. Dico si nasconde,
ma sarebbe meglio dire che oggi si dichiara
abbastanza apertamente; è il superpartito
tecnocratico,
che attraversa i partiti, che ha in possesso le sorgenti
dell’informazione, che cura la propria apologia attraverso la casta
degli intellettuali, che è equamente ripartito secondo le varie posizioni culturali e politiche dai cattolici ai comunisti».
Augusto Del Noce
(da Pensieri di un uomo libero, Il Sabato, aprile 1991)
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Postato da: giacabi a 14:21 |
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del noce
La società degli "uomini vuoti"
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In
effetti la società opulenta è l’unica nella storia del mondo che non
abbia origine da una religione, ma sorga essenzialmente contro una
religione, anche se, per paradosso, questa religione è la marxista;
e anche se in ragione del comune avversario si avvale del concorso di
forze religiose (o concede anzi il governo di Stati ai rappresentanti
politici di queste forze, ristabilendo però l'equilibrio attraverso il
favore accordato a una cultura nettamente areligiosa). Il
rifiuto espresso o tacito dei valori che si sono detti fa sì che
l'unico valore venga ridotto alla pura efficienza sensibile; nella
società del benessere gli uomini si trovano ridotti alla semplice
dimensione economicistica di meri strumenti di un'attività che non è
ordinata ad altro. Onde il tedio che
assale l'uomo di questa società non appena si lascia alle spalle il
luogo del suo lavoro; il sentimento di precipitare nel vuoto,
nell'irrazionalità più completa, nonché l'agonismo e l'attivismo che
caratterizzano questa società: l'altro
si riduce a un fascio di bisogni che devono essere soddisfatti, o
meglio che devono essere artificialmente moltiplicati, perché il
soggetto possa affermarsi; e questa
assenza di una comunicazione in valori universali fa sì che il soggetto
non possa sentirsi tale che nell'esasperata ricerca individuale del
superfluo. Giustamente si è scritto che «quella
dell'opulenza... è la società degli "uomini vuoti": esseri senza più
fini, senza più valori, senza nemmeno il richiamo, la spinta alla
salvezza, della sofferenza materiale; esseri che possono sentirsi vivi
solo nelle furie astratte del sesso o nei sussulti subitanei e
imprevedibili, negli sfoghi, di una sporadica e fatua anarchia»( Cfr. Rodano, Il processo di formazione) . Il che fa intendere come questa
società sia caratterizzata da una sua particolare teoria
dell'alienazione, del tutto diversa da quella marxista: e ciò perché
quel che la interessa è il ricupero della vitalità. Di
qui la curiosa unione del primitivismo istintivista e della tecnica.
Liberarsi dall' alienazione significa liberarsi da una secolare
repressione e inibizione degli istinti (in pratica, da ciò che
tradizionalmente era chiamato morale e che dal nuovo punto di vista
viene detto etica sessuofobica); l'energia repressa essendo pensata come
possibilità di manifestarsi in forme di aggressività, di odio e di
risentimento, preparazione psicologica a ciò che sembra in apparenza
l'obbiezione più grave alla mentalità progressista vale a dire alla
guerra. Novità che non è sviluppo di posizioni precedenti, dunque antitradizione; accettazione
di questa novità che alle generazioni giovani si presenta come
necessaria, se si vuole evitare la caduta in un pessimismo assoluto, in
altre parole se si vuoI vivere; efficienza sensibile sentita
come unico valore, dunque spirito di tecnicità; antitesi a quella che
era tradizionalmente pensata come la morale cristiana e idea di una
morale «senza peccato», l'idea del peccato essendo all'origine di tutti
gli atteggiamenti antivitali, delle repressioni socialmente pericolose.
Questi sono tutti elementi di un unico contesto, senza che si possa
elevare alcuno di essi a fattore causale primo. Dal che si vede quanto
sia arbitrario isolare da questo contesto l'associazione di tecnologia e
di irreligione; anziché un'unità necessaria, essa è un'unità di fatto
entro il quadro della società opulenta.
Augusto del Noce da:”Verità e ragione nella storia" BUR
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Postato da: giacabi a 20:52 |
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nichilismo, del noce
Gli uomini di oggi quando si dimenticano di Cristo
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“esseri senza più fini, senza più valori , senza nemmeno il richiamo, la spinta alla salvezza, alla sofferenza materiale;
esseri che possono sentirsi vivi solo nelle furie astratte del sesso o
nei sussulti subitanei imprevedibili, negli sfoghi, di una sporadica e fatua anarchia”
Del Noce: Il problema dell'ateismo
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Postato da: giacabi a 19:09 |
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nichilismo, del noce
La società del benessere
è intrinsecamente totalitaria
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« La filosofia implicita nella società del benessere è lo sviluppo radicale di un momento del marxismo quello per cui si presenta come “relativismo assoluto”
(conseguente al materialismo storico); sviluppo così rigoroso da
giungere a eliminare l’altro quello per cui si presenta come pensiero
dialettico e dottrina della rivoluzione. In breve segna la vittoria del positivismo e sociologismo sul marxismo; di un positivismo che ha deposto gli aspetti romantici che erano propri delle sue forme ottocentesche.
Ma con ciò ha raggiunto una forma di empietà maggiore del marxismo. Perché pur essendo rigorosamente ateo pur negando ogni rivelazione e ogni soprannaturale il marxismo nella sua versione comunista è infatti una religione l’Avvenire sostituendo l’Eterno e la Totalità l’Assoluto e la Città di Dio. Invece la società del benessere è l’unica nella storia del mondo che non abbia origine da una religione ma sorga essenzialmente contro una religione anche se per paradosso questa religione è la marxista (ma successivamente la critica si estende a ogni altra forma di religione). Non a caso il punto di vista del suo intellettuale si riassume nelle due seguenti affermazioni: accettazione della morte di Dio e posizione critica rispetto al marxismo in quanto ancora a suo modo è religioso. Da questa novità deriva il suo antitradizionalismo; la sua prospettiva storica è in sostanza la seguente: nella storia c’è stata una cesura definitiva rappresentata dalla seconda guerra mondiale; non sono stati vinti soltanto fascismo e nazismo ma l’intera vecchia tradizione europea; e fascismo e nazismo devono essere interpretati come fenomeni conseguenti alla paura del progresso storico o come si suol dire oggi della trascendenza usando questo termine in un significato intramondano. In conseguenza di tale giudizio chi si richiama alla tradizione è sempre quale che sia la sua consapevolezza un “reazionario” o un “fascista” (termini che vengono stoltamente identificati). Di più la società del benessere è intrinsecamente totalitaria nel senso che la cultura vi è completamente subordinata alla politica. Ricavo da un recente notevolissimo scritto di Umberto Segre: “a queste condizioni però il patto Stato-grandi imprese assume come unica regola l’efficienza e la crescente produttività. Tutto dovrà essergli sacrificato. Galbraith ha l’onestà di dichiararlo: ‘la tecnologia è sempre bene; l’incremento economico è sempre bene; le grandi aziende hanno come norma interna un incremento indeterminato; il consumo dei beni che esse producono costituisce l’optimum della felicità: e nulla deve interferire nei confronti che accordiamo alla tecnologia e all’incremento economico e all’aumento dei consumi’. Una società cosí configurata non ammette piú autonomie di sovrastrutture culturali religiose e politiche. [...] La cultura è per definizione merce di consumo o quando è scientificamente ricercata e apprezzata è a sua volta strumento per l’ulteriore incremento di efficienza e di produzione” . Qualcuno osserverà che tale società rispetta le forme democratiche; ma è ben debole argomento perché non c’è potere che non le rispetti quando dispone di strumenti di controllo e di oppressione reale che abbiano una particolare efficacia.». Opere Boringhieri Torino 1963 pp. 366 e 364. Ideologie 1968 p. 29. |
Postato da: giacabi a 22:12 |
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consumismo, del noce
L’EROTISMO
ALLA CONQUISTA DELLA SOCIETÀ
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"Tolto ogni ordine di fini e cancellata ogni autorità di valori non resta che l’energia vitale identificabile, già secondo un’antica e del resto difficilmente contestabile asserzione, con la sessualità. Dunque, nucleo
della vita sarà la felicità sessuale; poiché il pieno appaiamento
sessuale è possibile, la felicità è dunque raggiungibile. Attraverso
l’assoluta, illimitata libertà sessuale, l’uomo si libererà dalle
nevrosi e diventerà pienamente capace di lavoro e di iniziativa. La sua
struttura psichica sarà mutata e sarà reso altresì libero dalle tendenze
militari e aggressive e dalle fantasie sadiche, tipiche — come
l’esempio dello stesso Sade dimostrerebbe — dei repressi.
Ma qual è l’istituto sociale repressivo per eccellenza? Per il Reich la famiglia monogamica tradizionale; e, dal suo punto di vista, non si può certo dire abbia torto. L’idea di famiglia è infatti inseparabile dall’idea di tradizione, da un patrimonio di verità da tradere, da consegnare. L’abolizione di ogni ordine metempirico di verità importa quindi che la famiglia venga dissolta; nessuna considerazione meramente sociologica può autorizzare il suo mantenimento.
Di qui le conseguenze che non potrebbero, nel suo libro, esser dettate a lettere più chiare. Il rovesciamento di quella «struttura umana che esiste sotto forma di quella che è chiamata tradizione»
non potrebbe essere più completo; forse un lontano analogo si può
trovare nelle utopie di uno degli scrittori più rappresentativi del
libertinismo seicentesco, Cyrano de Bergerac. Una ragazza che a diciottanni sia ancora vergine deve essere condannata alla vergogna. Ciò
di cui una ragazza adolescente ha bisogno è «di una camera tranquilla,
di antifecondativi adatti, e di un amico capace di fare all’amore, che
abbia cioè una struttura sessuo-affermativa; di genitori comprensivi e
di un ambiente sociale affermatore del sesso». La
nudità totale deve essere incondizionatamente accettata e favorita; la
pubblicità degli accoppiamenti sessuali deve essere permessa. Non si ha
diritto di proibire al proprio partner altre relazioni sessuali durevoli: principio che oggi vien detto «piena libertà di scambio fra coppie di coniugi» e «libertà totale per le esperienze sessuali di gruppo». Nulla permette di criticare le unioni omosessuali. L’educazione
sessuale deve essere intesa come rimozione di tutti quei complessi
atavici che portano a vedere nell’astinenza un valore, ecc. "
Augusto Del Noce- Rivoluzione, Risorgimento, tradizione, ed. Giuffrè, Milano 1993
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Postato da: giacabi a 14:50 |
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nichilismo, del noce
La profezia sui “furbetti” (non del quartiere)ma dell’Italia
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«È effettivamente ipotizzabile una sorta di neoclericalismo, in cui confluiscano cattolici senza fede e comunisti senza fede; la mancanza di fede servendo da cemento».
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L'Irreligione naturale
«Mentre nell'ateismo c'è sempre un elemento mistico, sia pure di mistica rovesciata, l'irreligione naturale rappresenta l'atteggiamento agnostico spinto all'estremo. Il punto di vista dell'irreligione
naturale dice: non si tratta di negare che vi siano questioni aperte,
non risolubili con gli strumenti ordinari di conoscenza; ma tali
questioni insolubili sono anche quelle che non interessano. C'è a suo
fondamento l'impressione che l'idea di Dio non ci serva per nulla nella
decisione con cui costruiamo comunemente la nostra vita così individuale
come sociale; che la scienza, la filosofia, la morale e la politica
cristiane non abbiano più oggi nulla da dirci, anche se in altri tempi hanno detto. L'irreligione naturale indica un livello di empietà maggiore di quello dell'ateismo in ciò che rifiuta l'idea stessa di religione: pur essendo rigorosamente ateo, il
marxismo è infatti una religione, il processo di conversione dalla
religione atea alla teistica è certamente possibile, mentre si trova
sbarrato dall'irreligione naturale»
Augusto Del Noce
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Postato da: giacabi a 07:50 |
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nichilismo, del noce
Il nichilismo
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«Il nichilismo oggi corrente è il nichilismo gaio, nel senso che è senza inquietudine. Forse si potrebbe addirittura definirlo per la soppressione dell'inquietum cor meum agostiniano»
Augusto Del Noce Lettera a Rodolfo Quadrelli
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Postato da: giacabi a 15:05 |
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nichilismo, del noce
VERITÀ E RAGIONE
NELLA STORIA
da: www.illfoglio.it 16/06/2007
Il rifiuto del mistero della vita, del soprannaturale.
L’idea che il verificabile
sia la sola realtà e che l’uomo sia autosufficiente.
A salvarci, semmai, ci penserà la
scienza. Eccolo, secondo il filosofo cattolico
Augusto Del Noce (1910-1989), il marchio
di fabbrica della modernità: un razionalismo
ateo, vero e proprio dogma che fa da
sottofondo a tutte le ideologie totalitarie
del Novecento. Da Cartesio in su, dunque,
la modernità nasce da un opzione della ragione:
Dio non c’è, altrimenti l’uomo dipenderebbe
da qualcosa che non è sè stesso.
Ma attenzione, ci avverte Del Noce: questo
ateismo, questo divorzio tra fede e ragione,
è appunto una scelta aprioristica, un “postulato”,
non l’inesorabile destino dell’occidente.
Per il filosofo torinese (d’adozione,
essendo nato a Pistoia) non si tratta di cancellare
la modernità e di rifugiarsi nel passato,
piuttosto è il momento di raccogliere
la sfida che una certa idea di ragione germogliata
negli ultimi secoli ci pone. Considerazioni
di stretta attualità, sviluppate da
Del Noce trenta, quaranta, cinquant’anni
fa. Riscoperto già da qualche anno grazie
al lavoro di una pattuglia di studiosi raccolti
a Savigliano (Cuneo) dal professor
Giuseppe Riconda intorno alla Fondazione
Centro Studi che porta il nome del grande
filosofo, il pensiero delnociano viene adesso
condensato in una antologia di scritti appena
uscita dalla Biblioteca Universale
Rizzoli nella collana “I libri dello spirito
cristiano”. Il volume, intitolato “Verità e ragione
nella storia”, curato da Alberto Mina,
uno dei massimi specialisti del pensatore
piemontese, e con l’introduzione dello stesso
Riconda, contiene una selezione di testi
tratti da alcune delle opere più importanti
di Del Noce (“Il problema dell’ateismo” del
1964; “Il suicidio della rivoluzione” del
1978) oltre che articoli apparsi su riviste
specializzate, interventi preparati in occasioni
di conferenze, interviste. Prima di
ogni sezione con le riflessioni del grande
studioso su un determinato argomento, una
scheda introduttiva redatta da Mina consente
al lettore di acciuffare gli aspetti essenziali
del discorso. Tutta la prima parte
del libro è quindi dedicata alle origini della
filosofia moderna, all’ambiguità di Cartesio
dal quale paradossalmente scaturiscono,
secondo Del Noce, anche quei pensatori
come Malebranche, Pascal, Vico,
Gioberti, Rosmini, che rappresentano
un’alternativa “ontologista” al razionalismo.
“Perché – scrive Alberto Mina – tutte
le opere di Del Noce sono da leggersi come
tasselli di questa faticosa ricostruzione che
ha lo scopo di riaprire il problema che il
razionalismo vorrebbe chiudere, proprio in
merito al mistero dell’essere e della vita
dell’uomo”. Un’impostazione che legge il
marxismo, altro grande tema al centro di
questa antologia, nei termini di una filosofia
anticristiana che vuole “rifare completamente
il mondo”. Marx, osservava Del Noce,
voleva realizzare il rifiuto radicale di
ogni dipendenza dell’uomo da Dio, ma laddove
il comunismo si è realizzato ecco verificarsi
invece la peggiore schiavitù dell’uomo
sull’altro uomo. “La completa riuscita
del marxismo – scrive Del Noce – coincide
col suo completo scacco”. E’ l’“eterogenesi
dei fini”, una categoria mutuata da Giambattista
Vico, il rovesciarsi delle speranze
e delle profezie dei rivoluzionari dell’Ottocento
nel loro contrario, perché quelle utopie
distillate in laboratorio, abolendo Dio,
uccidono l’uomo e il senso della realtà.
“Del Noce – nota ancora Mina – parla dell’inevitabile
decomposizione del marxismo
in decenni di egemonia comunista: il tratto
profetico che gli è stato riconosciuto deriva
dall’estrema serietà con la quale ha fatto i
conti da subito con il marxismo per quello
che esso è”. Posizioni che gli sono costate
l’isolamento da parte dell’intellighenzia
laica, oltre che una certa freddezza del
mondo cattolico-progressista. Sì, perché dopo
uno sbandata per il pensiero cattolico
democratico negli anni Quaranta, il filosofo
e politologo Del Noce approda ad un giudizio
poco conciliante nei confronti dei cosiddetti
“cristiani adulti”. Gratta gratta, è come
se ci mettesse sull’avviso lo studioso, al
fondo del catto-comunismo trovi Pelagio, il
monaco bretone che nei primi secoli cristiani
arriva a negare il peccato originale,
sostenendo che l’uomo può salvarsi con le
sue sole forze. Il “male assoluto”, insiste
Del Noce, non è il fascismo, ma è questa
perdita del sacro (dunque della verità dell’umano)
nella quotidianità della vita, perdita
di cui fascismo e comunismo sono entrambi
figli. Il “male” è in questo “separatismo”
tra vita e opere, grazia e natura, vita
pubblica e privata, fede e ragione. E i
cattolici che abitano la storia convinti che
la sola lettura possibile della vicenda umana
sia quella dello schema fascismo-antifascismo,
modernità-reazione, vanno a rimorchio
di categorie altrui e si condannano all’insignificanza.
Del Noce, che mai fu fascista
considerando il movimento di Mussolini
un momento del percorso verso l’ateismo
e dunque un errore dentro la cultura
moderna e non contro di essa, analizza in
profondità il rapporto tra Giovanni Gentile
e Antonio Gramsci. Il libro ne dà conto,
ricordando come entrambi immaginassero
una “rivoluzione” nella quale la politica
sostituisse la religione. Ma questa cultura,
argomenta il filosofo, favorisce l’insorgere
di una società scientista (“il prodursi dello
scientismo – scriveva Del Noce – indica
sempre una crisi della filosofia”), sazia, ma
omologata. Una società sempre più borghese,
dalla mentalità radicale, prigioniera
dei suoi intellettuali dissacratori custodi
di un nichilismo per il quale “l’umanità
è considerata come mezzo e non come fine”.
Del Noce sperimentò la possibilità di
un’alternativa incontrando negli anni Settanta
i giovani di Cl. “Occorre una fede –
annotava – che salva la religione liberandola
dall’idolatria di se stessa, dal razionalismo”.
“Una fede – conclude Alberto Mina
– che continuamente contrasti il tentativo
di ridurre la ragione e di sterilizzarne
l’efficacia”.
(Mauro Pianta)
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Postato da: giacabi a 22:13 |
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comunismo, nichilismo, del noce, senso religioso
Del Noce cura le piaghe dell'ateismo
Da: www.avvenire.it del 02-06-07
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FILOSOFIA
In antologia l’analisi del pensatore cattolico, per il quale il rifiuto di Dio è il problema della modernità, non il suo destino inevitabile
Del Noce cura le piaghe dell'ateismo
La
tecnocrazia dei nostri giorni non è figlia della scienza, ma del
razionalismo ateo che riduce tutto all’umano: è questo il vero limite
del ’900
.
Di Edoardo Castagna
.
.
Non
ha fatto tempo a vederla, Augusto Del Noce. Ma l’inversione di rotta
dell’Occidente, che negli ultimi anni ha dimostrato come la deriva secolarista non fosse affatto l’esito scontato della modernità, non l’avrebbe sorpreso. Anzi,
gli scritti del filosofo cattolico scomparso nel 1989 prefigurano e
addirittura quasi profetizzano la società di questo primo scorcio di XXI
secolo, come ben mette in luce l’antologia Verità e ragione nella
storia, curata da Alberto Mina per Rizzoli. Tanto che, sostiene Giuseppe
Riconda nell’ampia introduzione, «la sua filosofia ci dà anche su
questo punto criteri per una spiegazione e valutazione».
Del Noce ha mostrato come sia possibile ritrovare nel pensiero tradizionale i principi dei quali abbiamo bisogno per comprendere il mondo presente. Prevedendo fin dall’immediato dopoguerra la fine dell’ideologia marxista e l’avvento della tecnocrazia, individuò con sicurezza il grande problema della modernità: l’ateismo. A differenza di tanti altri pensatori di quegli anni, però, non lo considerò mai l’esito inevitabile dell’Occidente, bensì solo un fenomeno: indubbiamente motivato e storicamente comprensibile, ma che – sempre storicamente – avrebbe anche potuto tornare a regredire. Nella sua analisi, Del Noce distingue due tipi di ateismo. Quello "negativo", che muove dalla considerazione del male nel mondo e che è, più che altro, contestazione di Dio nel nome di Dio; moderna trasposizione dei lamenti di Giobbe, cristillizzata da Primo Levi nella formula: «C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio». Un ateismo non radicale, argomenta Del Noce muovendosi tra Gilson, Marcel e Brunschvicq, in fondo ancora aperto: interrogando Dio per il suo silenzio, si lascia lo spazio per una risposta, per un incontro – negato qui e ora, ma comunque possibile. Altro è invece l’ateismo "positivo", che prima ha razionalizzato l’Assoluto, e poi – una volta resolo disponibile alle umane categorie – se ne è sbarazzato. È questa, per Del Noce, la secolarizzazione, che storicamente è passata dalle religioni secolari degli anni tra le due guerre, dominati dal trionfo delle ideologie di massa, alla perdita completa del sacro nel secondo dopoguerra. È questo trionfo – provvisorio – dell’irreligioso che ha reso possibile la tecnocrazia: non si tratta quindi di uno sviluppo spontaneo della tecnica e della crescita delle sue potenzialità, ma di un innesto della tecnica stessa in un contesto, quello della secolarizzazione, che non conosce più limiti alla sua applicazione. Se il tecnicismo fosse l’inevitabile processo della tecnica, allora sarebbe inarrestabile: così non è, per Del Noce, che può argomentare la sua visione della secolarizzazione come qualcosa di diverso da un fatto compiuto – e questo lo faceva, ne Il problema dell’ateismo, nel 1964, quando il pensiero occidentale sembrava in gran parte concordare su un simile esito della nostra società. L’atesimo non è il destino ma il «problema dell’età moderna», scriveva con lungimiranza; nonostante i tentativi di ridurla a fatto privato, la religione non si piegherà a quella sorta di silenziosa eutanasia cui il materialismo – sia marxista sia consumista – sembrava averla condannata. Questa prospettiva tuttavia non significa, per un pensatore religioso come Del Noce, adagiarsi sul corso della storia, già pago di sapere che, prima o poi, il processo di secolarizzazione avrebbe invertito la sua rotta. Anzi, il filosofo cattolico è chiamato a prendere di petto la sfida del nichilismo, a farne il banco di prova delle sue proposte: senza confronto con il nichilismo, sostiene Del Noce sulla scia di Šestov e Maritain, il pensiero moderno si precluderebbe l’accesso alla realtà. Passaggio fondamentale è allora la critica al primo fondamento dell’ateismo, quel razionalismo che nega tutto ciò che va al di là della ragione umana, deride il mistero, rigetta il soprannaturale. Una battaglia che, per il filosofo, non può non appoggiarsi sulla Chiesa cattolica, depositaria di un pensiero tradizionale a lei «storicamente e necessariamente connesso». Rivendicando costantemente la libertà – ovviamente, in primo luogo la libertà religiosa – la Chiesa si pone non solo all’ascolto del mondo, ma anche in una sua perenne contestazione. Augusto Del Noce Verità e ragione nella storia Antologia di scritti Rizzoli. Pagine 370. Euro 10,20 |
Postato da: giacabi a 06:23 |
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nichilismo, del noce
IL NICHILISMO GAIO
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Quanto mi dici sul nichilismo presente, mi trova perfettamente consenziente. Non è più il nichilismo tragico di cui forse si potevano trovare le ultime tracce nel terrorismo.
Questo nichilismo doveva portare a una soluzione rivoluzionaria più o
meno confusamente intravista o meglio confusamente ricordata; un qualche
elemento di rabbia c'era ancora e questo gli conferiva una sembianza
lontanamente umana. Ma il nichilismo oggi corrente è il nichilismo gaio, nei due sensi che è senza inquietudine (forse si potrebbe addirittura definirlo per la soppressione dell' inquietum cor meum agostiniano) e che ha il suo simbolo nell'omosessualità
(si può infatti dire che intende sempre l'amore omosessualmente, anche
quando mantiene il rapporto uomo- donna). Non per nulla trova i suoi
rappresentanti in ex- cattolici, corteggiati ancora da cattolici che
riconoscono in loro qualcosa che trovano sul loro fondo.
Tale nichilismo è esattamente la riduzione di ogni valore a "valore di
scambio"; l'esito borghese massimo, nel peggiore dei sensi, del processo che comincia con la Prima Guerra mondiale. Il
peggior annebbiamento che il nichilismo genera è la perdita del senso
dell 'interdipendenza dei fattori nella storia presente; infatti, a ben
guardare, non è che l'altra faccia dello scientismo e della sua
necessaria autodissoluzione da ogni traccia di valori che non siano strumentali.
Augusto Del Noce Lettera a Rodolfo Quadrelli
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