SANTI –
DON GIOVANNI CALABRIA
***
«Tutto è possibile a chi crede»
Paola Bergamini
Terza
puntata sui cosiddetti “santi sociali” che, grazie alla fede, hanno
fatto fiorire l’umano pure in condizioni difficili. Protagonista,
stavolta, un uomo che non doveva neanche diventare sacerdote.
Ma
che, «seguendo la Provvidenza», ha generato opere capaci di «mostrare
al mondo, così ateo, che Dio c’è e pensa alle sue creature»
«Scarso d’ingegno, malaticcio, vocazione dubbia».
Questo il giudizio impietoso che alcuni superiori, negli anni di
seminario, avevano espresso su quel giovane studente dall’aspetto
fragile. E lui, don Giovanni Calabria, ricordando quelle parole,
commentava: «Il Signore tra tanti sacerdoti validi, colti e zelanti
della mia classe, e direi, di tutta la diocesi di Verona, ha voluto
scegliere proprio me. Sono
un “povero servo” agli ordini della Divina Provvidenza. Il mio compito
consiste nel tenere sempre fisso lo sguardo ai cenni della volontà di
Dio e ubbidirgli prontamente».
Anche
la mamma Angela, donna di grande fede, quando lui, tredicenne, le
rivela il desiderio di farsi prete, gli risponde: «Affidiamoci alla
Provvidenza di Dio. In qualche modo lui ci penserà, se questa è la sua
volontà». È il 1886, il papà Luigi è morto stroncato dalla
broncopolmonite, e la donna è sola a mantenere la famiglia. La miseria
bussa alla porta della loro casa, in via Disciplina 8, a Verona.
Giovanni deve abbandonare gli studi e trovarsi un’occupazione. Ma
il ragazzo è una frana nei lavori manuali e colleziona una serie di
licenziamenti, tanto che uno dei datori di lavori, all’ennesimo guaio,
esclama: «Ma va’ a fare il prete, ché non sei buono ad altro!».
Angela
va da don Pietro Scapini, rettore della chiesa di San Lorenzo, per
chiedere cosa fare di quel suo ragazzo che nel cuore ha quel desiderio.
Di soldi non ne hanno, il liceo, il seminario costano… Don Pietro
conosce bene la famiglia Calabria e soprattutto più volte ha avuto modo
di osservare e parlare con Giovanni. Non ha dubbi: il Signore lo vuole
come operaio della sua vigna e c’è da pensare che in quel ragazzino così
caritatevole verso i compagni abbia intravisto qualcosa di più. Don
Pietro, comunque, non lo abbandona. Si impegna a prepararlo agli esami
per il liceo e trova una sistemazione migliore per la famiglia in via
Cavour, nel pianterreno del Palazzo Pompei Perez. E la Provvidenza
comincia a tessere la sua tela.
Sotto un mucchio di stracci. Il giovane conte Francesco Perez conosce
Giovanni, e dalla loro amicizia fioriranno tante opere caritative, fino
al punto che Francesco abbandonerà tutto per seguire don Calabria.
Giovanni non eccelle negli studi, anche perché mangia poco e gli mancano le forze, quando può dà una mano alla mamma.
Ma don Pietro, di fronte ai giudizi negativi dei professori, la spunta
sempre, fino all’ammissione in seminario. È il 1894, il giudizio viene
rimandato perché Giovanni per due anni deve assolvere il servizio
militare. È assegnato alla Quinta Compagnia di Sanità, presso l’ospedale
militare di Verona. Le armi non le sa maneggiare, in compenso, con gli
ammalati si trova a suo agio. Diventa un bravo infermiere. Tutti
chiedono di lui, tutti sanno, compresi i commilitoni, che possono
contare su di lui. Lo rispettano. Nell’uomo che soffre, Giovanni vede la
possibilità di un ricongiungimento con Dio. Non fa mai grandi discorsi,
li accudisce con passione. In ospedale conosce le Sorelle della
Misericordia, che chiamerà a cooperare alla sua opera con i malati e i
bambini.
Finita la leva militare, Giovanni
si presenta alla prima classe di Teologia. Ma questa volta monsignor
Bacilieri, rettore del seminario, è irremovibile: deve ripetere la terza
liceo. Don Scapini gli raccomanda l’obbedienza, ma l’anno dopo
s’impunta e Giovanni può vestire l’abito talare.
Fa ancora fatica negli studi e appena può, insieme all’amico Perez,
visita gli ammalati. Fonda persino la “Pia Opera a sollievo degli
infermi poveri”. Una sera di novembre del 1897 Giovanni trova
dietro il cancello di casa, avvolto in mucchio di stracci, un bambino a
cui spesso fa l’elemosina. «Cosa fai qui?», gli chiede. «Mi hanno
picchiato, mi picchiano sempre. Vogliono che porti a casa tanti soldi,
altrimenti son botte. Sono scappato e ho pensato: vado dal pretino».
Giovanni lo fa entrare in casa, aiutato dalla mamma, lo lava, lo sfama.
Ma cosa fare di lui? Chiede consiglio al carmelitano padre Natale,
divenuto suo padre spirituale. Anche lui lo accompagnerà per tutta la
vita. «Tienilo a casa tua e prega il Signore di mandarti un segno», è il
consiglio del carmelitano. Dopo pochi giorni un signore ebreo, che
conosceva bene Giovanni, fa pervenire a casa Calabria la somma
necessaria per provvedere alle esigenze del bambino. Viene poi sistemato
in una casa di accoglienza a Bussolengo, dove riceve il Battesimo.
Giovanni ha ubbidito al segno che la Provvidenza gli ha posto sul
cammino. Non sa ancora che è solo il primo passo di una grande opera che il Signore gli sta preparando.
In confessionale. L’11
agosto 1901 riceve l’ordinazione sacerdotale. A chi gli contesta le
scarse capacità in fatto di studi del chierico Calabria, monsignor
Bacilieri, divenuto vescovo di Verona, risponde: «Abbiamo ammesso tanti
chierici dotti; ammettiamone uno pio. Nella casa del Padre sono molte le
mansioni».
Viene
destinato alla parrocchia di Santo Stefano, in una zona popolare della
città. Ha come incarico l’assistenza ai giovani e le confessioni. Quel
pretino un po’ smunto che si ferma a parlare con i ragazzi, diventa
amico loro invitandoli all’oratorio, riesce a conquistarsi la stima di
tante persone che attraverso di lui ritornano in chiesa, e soprattutto
riscoprono il sacramento della confessione. Durante le elezioni
comunali, pur sapendo che mai don Giovanni avrebbe votato per loro, un
gruppo di socialisti lo accompagna al seggio elettorale perché non
«debba incappare in qualche malintenzionato». Le sue doti di confessore
arrivano alle orecchie del cardinale Bacilieri che gli affida il
delicato incarico di confessare i seminaristi del liceo. Ma soprattutto
la sua opera va ai giovani. Per le strade di Verona sono tanti i bambini
poveri, abbandonati. Quando ne incontra uno, don Giovanni lo porta a
casa, lo riveste e cerca un istituto che lo accolga. Paga con i suoi
soldi e quando non ne ha chiede agli amici. Con
l’aiuto dell’amico Perez prende in affitto un alloggio per i piccoli
spazzacamini che arrivano dai monti senza genitori, costretti a un
lavoro sporco e pesante.
Nel
1907 viene trasferito nella Rettoria di San Benedetto al Monte, dove è
richiesto un confessore saggio e pio. Nel giro di pochi mesi la canonica
si riempie di ragazzi. Aumentano i bambini, ma aumentano
provvidenzialmente anche gli aiuti. Le fruttivendole di piazza delle
Erbe, avendo saputo della sua opera di accoglienza, forniscono
gratuitamente frutta e verdura. A
chi gli chiede: «Ma dove li mette a dormire?», don Giovanni risponde:
«Se il Signore manda un ragazzo, manda subito un letto». E, a un certo
punto, “manda” anche una casa. Il 26 novembre 1907 viene inaugurata in
vicolo Case Rotte la prima casa di accoglienza di quella che sarà
l’Opera dei Buoni Fanciulli. Con i sette ragazzi vi abita il curato don
Diodato Desenzani. Ciò
che lo muove non è la realizzazione di grandi opere caritative, bensì
il desiderio di «risvegliare nei cristiani la fede e la fiducia in Dio
Padre. Dio c’è e provvede ai suoi figli».
Nel 1908, nelle prime Sante Norme dell’Opera, farà scrivere: «Accogliere
e aiutare gratuitamente i fanciulli abbandonati, per mostrare al mondo
di adesso, così ateo, che Dio esiste e che pensa e provvede alle sue
creature». Allora come oggi.
Opere
e Provvidenza. La Provvidenza invia altri segni che don Calabria
raccoglie. Nel 1908 è in vendita il grande stabile di San Zeno al Monte.
È il luogo ideale. L’onere della spesa se lo assume ancora il conte
Perez. Per la ristrutturazione dell’edificio tutti si danno da fare.
Prima di tutto i ragazzi, ma anche tante persone forniscono la loro
opera gratuitamente. Dentro la Casa, don Calabria fa scrivere a
riassunto del suo programma di vita: «Tutto è possibile a chi crede». Il
metodo educativo che mettono in atto lui, i laici e i sacerdoti che lo
affiancheranno, è sempre lo stesso: seguire a uno a uno i ragazzi, un
amore e una passione verso ciascuno. Non si stanca mai di ripeterlo. Per
assicurare ai ragazzi un futuro allestisce un Centro di addestramento
professionale. Accanto alla casa sorge una scuola e una serie di
laboratori - calzoleria, sartoria, falegnameria, tipografia meccanica -
dove i ragazzi imparano un mestiere.
È
un fiorire di opere a favore non solo dei giovani, come l’ospizio per
anziani e ospedale a Negrar, in provincia di Verona, l’accoglienza delle
donne bisognose, la casa per gli orfani di guerra, l’Istituto
Apostolico di Nazareth per i giovani che aspirano al sacerdozio. Alcune
di queste opere hanno vita breve, altre negli anni si sono trasformate a
seconda di ciò che la Provvidenza ha voluto.
Fratelli
separati. Nel 1932, dopo una tormentata approvazione ecclesiastica,
l’Opera dei Buoni Fanciulli viene eretta a Congregazione religiosa con
il nome di Poveri Servi della Divina Provvidenza.
Ormai
la fama di santità di don Giovanni supera i confini veneti. Molte
persone vogliono conoscerlo e stare con lui. Da queste amicizie
nasceranno altre opere. Nuovi germogli.
Don
Calabria ha anche a cuore i “fratelli separati”. La parola “ecumenismo”
non è ancora in voga, ma lui intreccia relazioni con persone di diverse
confessioni religiose. Ne è un esempio il carteggio con lo scrittore
inglese C.S. Lewis, a cui scrive dopo aver letto le sue Lettere di
Berlicche. O il rapporto con il pastore svedese Sune Wiman.
Nel 1945 accoglie nell’abbazia di Maguzzano Vissarion Puiu, metropolita
in esilio della Chiesa ortodossa romena. Allo scrittore Domenico
Mondrone confida: «Questa è l’ora di Gesù; siamo a una grande svolta,
bisogna che tutti se ne rendano conto, specie coloro che debbono guidare
gli altri, e allinearsi con i tempi. Bisogna pregare per il Santo
Padre, perché lo Spirito Santo gli dia lumi e grazie particolari».
Gli
ultimi anni della sua vita sono i più tormentati per le sofferenze
fisiche e spirituali, che lui offre per l’Opera e la Chiesa che vede
minacciata da imminente crisi. Gli è di conforto l’amicizia con il
cardinale arcivescovo di Milano, Ildefonso Schuster, che così lo
descrive: «Don
Giovanni Calabria con la vita, gli scritti e provvidenziali
istituzioni, soccorrendo i poveri, rifulse quale faro luminoso nella
Chiesa di Dio».
A
fine novembre del 1954 lo informano della grave malattia che ha colpito
Pio XII. A quella notizia risponde: «Offro la mia vita per la salute
del Papa». Si spegne all’alba del 4 dicembre. Lo stesso giorno Pio XII
comincia a migliorare.
Don Giovanni Calabria è stato proclamato santo da Giovanni Paolo II il 18 aprile 1999.
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Postato da: giacabi a 21:14 |
link | commenti
don calabria
Don Calabria e il carteggio con C.S. Lewis
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"...nel settembre 1953, don Calabria chiede un «dono» allo scrittore: «Vorrei
che lei, per l’affetto che nutre verso di me, si degnasse di scrivermi
cosa pensa riguardo alla situazione morale del nostro tempo,
qual è la sua opinione sulla causa e sull’origine delle difficoltà,
sulla divisione degli uomini tra di loro, sulle ansie per la salvezza
del mondo… ecc; quello che il Signore le ispirerà».
Lewis gli risponde: «Padre carissimo … Queste
cose capitano perché la maggior parte dell’Europa consuma l’apostasia
dalla fede cristiana. Da ciò è derivato uno stato peggiore di quello in
cui eravamo prima di ricevere la fede. Nessuno infatti dal Cristianesimo ritorna allo stato che ebbe prima del Cristianesimo, ma ad una condizione peggiore (...) Infatti la fede perfeziona la natura, ma la fede perduta corrompe la natura. Dunque
la maggior parte degli uomini del nostro tempo ha perduto non solo il
lume soprannaturale ma anche quel lume naturale che ebbero i pagani. Ma Dio, che è il Dio delle misericordie, non ha ancora abbandonato del tutto il genere umano (…). È
necessario richiamare molti alla legge naturale prima di parlare di
Dio. Cristo infatti promette la remissione dei peccati: ma in
che modo ciò può riguardare coloro che, ignorando la legge naturale,
non sanno di aver peccato? Chi accetterà il medico se non sa di essere
malato?»."
da: http://tracce.it/ di marzo 09
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