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martedì 7 febbraio 2012

Don Calabria

SANTI –
DON GIOVANNI CALABRIA
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«Tutto è possibile a chi crede»
Paola Bergamini
Terza puntata sui cosiddetti “santi sociali” che, grazie alla fede, hanno fatto fiorire l’umano pure in condizioni difficili. Protagonista, stavolta, un uomo che non doveva neanche diventare sacerdote.
Ma che, «seguendo la Provvidenza», ha generato opere capaci di «mostrare al mondo, così ateo, che Dio c’è e pensa alle sue creature»

«Scarso d’ingegno, malaticcio, vocazione dubbia». Questo il giudizio impietoso che alcuni superiori, negli anni di seminario, avevano espresso su quel giovane studente dall’aspetto fragile. E lui, don Giovanni Calabria, ricordando quelle parole, commentava: «Il Signore tra tanti sacerdoti validi, colti e zelanti della mia classe, e direi, di tutta la diocesi di Verona, ha voluto scegliere proprio me. Sono un “povero servo” agli ordini della Divina Provvidenza. Il mio compito consiste nel tenere sempre fisso lo sguardo ai cenni della volontà di Dio e ubbidirgli prontamente».
Anche la mamma Angela, donna di grande fede, quando lui, tredicenne, le rivela il desiderio di farsi prete, gli risponde: «Affidiamoci alla Provvidenza di Dio. In qualche modo lui ci penserà, se questa è la sua volontà». È il 1886, il papà Luigi è morto stroncato dalla broncopolmonite, e la donna è sola a mantenere la famiglia. La miseria bussa alla porta della loro casa, in via Disciplina 8, a Verona. Giovanni deve abbandonare gli studi e trovarsi un’occupazione. Ma il ragazzo è una frana nei lavori manuali e colleziona una serie di licenziamenti, tanto che uno dei datori di lavori, all’ennesimo guaio, esclama: «Ma va’ a fare il prete, ché non sei buono ad altro!».
Angela va da don Pietro Scapini, rettore della chiesa di San Lorenzo, per chiedere cosa fare di quel suo ragazzo che nel cuore ha quel desiderio. Di soldi non ne hanno, il liceo, il seminario costano… Don Pietro conosce bene la famiglia Calabria e soprattutto più volte ha avuto modo di osservare e parlare con Giovanni. Non ha dubbi: il Signore lo vuole come operaio della sua vigna e c’è da pensare che in quel ragazzino così caritatevole verso i compagni abbia intravisto qualcosa di più. Don Pietro, comunque, non lo abbandona. Si impegna a prepararlo agli esami per il liceo e trova una sistemazione migliore per la famiglia in via Cavour, nel pianterreno del Palazzo Pompei Perez. E la Provvidenza comincia a tessere la sua tela.

Sotto un mucchio di stracci. Il giovane conte Francesco Perez conosce Giovanni, e dalla loro amicizia fioriranno tante opere caritative, fino al punto che Francesco abbandonerà tutto per seguire don Calabria.
Giovanni non eccelle negli studi, anche perché mangia poco e gli mancano le forze, quando può dà una mano alla mamma. Ma don Pietro, di fronte ai giudizi negativi dei professori, la spunta sempre, fino all’ammissione in seminario. È il 1894, il giudizio viene rimandato perché Giovanni per due anni deve assolvere il servizio militare. È assegnato alla Quinta Compagnia di Sanità, presso l’ospedale militare di Verona. Le armi non le sa maneggiare, in compenso, con gli ammalati si trova a suo agio. Diventa un bravo infermiere. Tutti chiedono di lui, tutti sanno, compresi i commilitoni, che possono contare su di lui. Lo rispettano. Nell’uomo che soffre, Giovanni vede la possibilità di un ricongiungimento con Dio. Non fa mai grandi discorsi, li accudisce con passione. In ospedale conosce le Sorelle della Misericordia, che chiamerà a cooperare alla sua opera con i malati e i bambini.
Finita la leva militare, Giovanni si presenta alla prima classe di Teologia. Ma questa volta monsignor Bacilieri, rettore del seminario, è irremovibile: deve ripetere la terza liceo. Don Scapini gli raccomanda l’obbedienza, ma l’anno dopo s’impunta e Giovanni può vestire l’abito talare. Fa ancora fatica negli studi e appena può, insieme all’amico Perez, visita gli ammalati. Fonda persino la “Pia Opera a sollievo degli infermi poveri”. Una sera di novembre del 1897 Giovanni trova dietro il cancello di casa, avvolto in mucchio di stracci, un bambino a cui spesso fa l’elemosina. «Cosa fai qui?», gli chiede. «Mi hanno picchiato, mi picchiano sempre. Vogliono che porti a casa tanti soldi, altrimenti son botte. Sono scappato e ho pensato: vado dal pretino». Giovanni lo fa entrare in casa, aiutato dalla mamma, lo lava, lo sfama. Ma cosa fare di lui? Chiede consiglio al carmelitano padre Natale, divenuto suo padre spirituale. Anche lui lo accompagnerà per tutta la vita. «Tienilo a casa tua e prega il Signore di mandarti un segno», è il consiglio del carmelitano. Dopo pochi giorni un signore ebreo, che conosceva bene Giovanni, fa pervenire a casa Calabria la somma necessaria per provvedere alle esigenze del bambino. Viene poi sistemato in una casa di accoglienza a Bussolengo, dove riceve il Battesimo. Giovanni ha ubbidito al segno che la Provvidenza gli ha posto sul cammino. Non sa ancora che è solo il primo passo di una grande opera che il Signore gli sta preparando.

In confessionale. L’11 agosto 1901 riceve l’ordinazione sacerdotale. A chi gli contesta le scarse capacità in fatto di studi del chierico Calabria, monsignor Bacilieri, divenuto vescovo di Verona, risponde: «Abbiamo ammesso tanti chierici dotti; ammettiamone uno pio. Nella casa del Padre sono molte le mansioni».
Viene destinato alla parrocchia di Santo Stefano, in una zona popolare della città. Ha come incarico l’assistenza ai giovani e le confessioni. Quel pretino un po’ smunto che si ferma a parlare con i ragazzi, diventa amico loro invitandoli all’oratorio, riesce a conquistarsi la stima di tante persone che attraverso di lui ritornano in chiesa, e soprattutto riscoprono il sacramento della confessione. Durante le elezioni comunali, pur sapendo che mai don Giovanni avrebbe votato per loro, un gruppo di socialisti lo accompagna al seggio elettorale perché non «debba incappare in qualche malintenzionato». Le sue doti di confessore arrivano alle orecchie del cardinale Bacilieri che gli affida il delicato incarico di confessare i seminaristi del liceo. Ma soprattutto la sua opera va ai giovani. Per le strade di Verona sono tanti i bambini poveri, abbandonati. Quando ne incontra uno, don Giovanni lo porta a casa, lo riveste e cerca un istituto che lo accolga. Paga con i suoi soldi e quando non ne ha chiede agli amici. Con l’aiuto dell’amico Perez prende in affitto un alloggio per i piccoli spazzacamini che arrivano dai monti senza genitori, costretti a un lavoro sporco e pesante.
Nel 1907 viene trasferito nella Rettoria di San Benedetto al Monte, dove è richiesto un confessore saggio e pio. Nel giro di pochi mesi la canonica si riempie di ragazzi. Aumentano i bambini, ma aumentano provvidenzialmente anche gli aiuti. Le fruttivendole di piazza delle Erbe, avendo saputo della sua opera di accoglienza, forniscono gratuitamente frutta e verdura. A chi gli chiede: «Ma dove li mette a dormire?», don Giovanni risponde: «Se il Signore manda un ragazzo, manda subito un letto». E, a un certo punto, “manda” anche una casa. Il 26 novembre 1907 viene inaugurata in vicolo Case Rotte la prima casa di accoglienza di quella che sarà l’Opera dei Buoni Fanciulli. Con i sette ragazzi vi abita il curato don Diodato Desenzani. Ciò che lo muove non è la realizzazione di grandi opere caritative, bensì il desiderio di «risvegliare nei cristiani la fede e la fiducia in Dio Padre. Dio c’è e provvede ai suoi figli».
Nel 1908, nelle prime Sante Norme dell’Opera, farà scrivere: «Accogliere e aiutare gratuitamente i fanciulli abbandonati, per mostrare al mondo di adesso, così ateo, che Dio esiste e che pensa e provvede alle sue creature». Allora come oggi.

Opere e Provvidenza. La Provvidenza invia altri segni che don Calabria raccoglie. Nel 1908 è in vendita il grande stabile di San Zeno al Monte. È il luogo ideale. L’onere della spesa se lo assume ancora il conte Perez. Per la ristrutturazione dell’edificio tutti si danno da fare. Prima di tutto i ragazzi, ma anche tante persone forniscono la loro opera gratuitamente. Dentro la Casa, don Calabria fa scrivere a riassunto del suo programma di vita: «Tutto è possibile a chi crede». Il metodo educativo che mettono in atto lui, i laici e i sacerdoti che lo affiancheranno, è sempre lo stesso: seguire a uno a uno i ragazzi, un amore e una passione verso ciascuno. Non si stanca mai di ripeterlo. Per assicurare ai ragazzi un futuro allestisce un Centro di addestramento professionale. Accanto alla casa sorge una scuola e una serie di laboratori - calzoleria, sartoria, falegnameria, tipografia meccanica - dove i ragazzi imparano un mestiere.
È un fiorire di opere a favore non solo dei giovani, come l’ospizio per anziani e ospedale a Negrar, in provincia di Verona, l’accoglienza delle donne bisognose, la casa per gli orfani di guerra, l’Istituto Apostolico di Nazareth per i giovani che aspirano al sacerdozio. Alcune di queste opere hanno vita breve, altre negli anni si sono trasformate a seconda di ciò che la Provvidenza ha voluto.

Fratelli separati. Nel 1932, dopo una tormentata approvazione ecclesiastica, l’Opera dei Buoni Fanciulli viene eretta a Congregazione religiosa con il nome di Poveri Servi della Divina Provvidenza.
Ormai la fama di santità di don Giovanni supera i confini veneti. Molte persone vogliono conoscerlo e stare con lui. Da queste amicizie nasceranno altre opere. Nuovi germogli.
Don Calabria ha anche a cuore i “fratelli separati”. La parola “ecumenismo” non è ancora in voga, ma lui intreccia relazioni con persone di diverse confessioni religiose. Ne è un esempio il carteggio con lo scrittore inglese C.S. Lewis, a cui scrive dopo aver letto le sue Lettere di Berlicche. O il rapporto con il pastore svedese Sune Wiman. Nel 1945 accoglie nell’abbazia di Maguzzano Vissarion Puiu, metropolita in esilio della Chiesa ortodossa romena. Allo scrittore Domenico Mondrone confida: «Questa è l’ora di Gesù; siamo a una grande svolta, bisogna che tutti se ne rendano conto, specie coloro che debbono guidare gli altri, e allinearsi con i tempi. Bisogna pregare per il Santo Padre, perché lo Spirito Santo gli dia lumi e grazie particolari».
Gli ultimi anni della sua vita sono i più tormentati per le sofferenze fisiche e spirituali, che lui offre per l’Opera e la Chiesa che vede minacciata da imminente crisi. Gli è di conforto l’amicizia con il cardinale arcivescovo di Milano, Ildefonso Schuster, che così lo descrive: «Don Giovanni Calabria con la vita, gli scritti e provvidenziali istituzioni, soccorrendo i poveri, rifulse quale faro luminoso nella Chiesa di Dio».
A fine novembre del 1954 lo informano della grave malattia che ha colpito Pio XII. A quella notizia risponde: «Offro la mia vita per la salute del Papa». Si spegne all’alba del 4 dicembre. Lo stesso giorno Pio XII comincia a migliorare.
Don Giovanni Calabria è stato proclamato santo da Giovanni Paolo II il 18 aprile 1999.
da: http://tracce.it/  di Marzo 2009

Postato da: giacabi a 21:14 | link | commenti
don calabria

sabato, 21 marzo 2009
 Don Calabria e il carteggio con C.S. Lewis
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"...nel settembre 1953, don Calabria chiede un «dono» allo scrittore: «Vorrei che lei, per l’affetto che nutre verso di me, si degnasse di scrivermi cosa pensa riguardo alla situazione morale del nostro tempo, qual è la sua opinione sulla causa e sull’origine delle difficoltà, sulla divisione degli uomini tra di loro, sulle ansie per la salvezza del mondo… ecc; quello che il Signore le ispirerà».
Lewis gli risponde: «Padre carissimo … Queste cose capitano perché la maggior parte dell’Europa consuma l’apostasia dalla fede cristiana. Da ciò è derivato uno stato peggiore di quello in cui eravamo prima di ricevere la fede. Nessuno infatti dal Cristianesimo ritorna allo stato che ebbe prima del Cristianesimo, ma ad una condizione peggiore (...) Infatti la fede perfeziona la natura, ma la fede perduta corrompe la natura. Dunque la maggior parte degli uomini del nostro tempo ha perduto non solo il lume soprannaturale ma anche quel lume naturale che ebbero i pagani. Ma Dio, che è il Dio delle misericordie, non ha ancora abbandonato del tutto il genere umano (…). È necessario richiamare molti alla legge naturale prima di parlare di Dio. Cristo infatti promette la remissione dei peccati: ma in che modo ciò può riguardare coloro che, ignorando la legge naturale, non sanno di aver peccato? Chi accetterà il medico se non sa di essere malato?»."
da: http://tracce.it/ di marzo 09

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