la missione di educare
sta in un «di più»
***
È mancato lunedì scorso don Giorgio Pontiggia, che per
Ventiquattro
anni è stato rettore dell’Istituto scolastico Sacro Cuore di Milano,
dove io ho insegnato filosofia per diciassette anni. La figura di don Giorgio verrà ricordata a lungo,io credo,per la sua singolare genialità educativa.
La sua amicizia mi ha segnato indelebilmente, per sempre.
«Sono molto pochi»diceva spesso «quelli che vogliono veramente bene ai ragazzi». Lui fu sicuramente uno di
questi, fino a identificare questo compito con la sua stessa vita.È stata la forma della sua dedizione a Cristo.
Come spesso accade con questo genere di rari uomini che consumano tutta la vita per l’ideale,don
Giorgio aveva un carattere difficile, era spesso intrattabile,talvolta
ingiusto. Aveva anche aspetti eccessivi, amava correre in automobile e
fumava troppo. Ma chi
ha voluto guardare oltre l’apparenza ha potuto imparare da lui qualcosa
di concreto a proposito di una parola che spesso staziona inutilmente
sulle nostre labbra: la parola amore. «L’amore più profondo» scrive il filosofo Fabrice Hadjadj«implica una dimensione tattile.
Una madre troppo contemplativa farebbe
star male il suo bambino. (...) Non per nulla la Bibbia ordina di amare il proprio prossimo. (...) Il prossimo
è Edmond,che ho voglia di prendere a schiaffi, oppure Roland, che ha l’alito pesante. Niente a che vedere con
l’amore dell’umanità o la difesa dei diritti dell’uomo, che conducono a lotte igieniche e inoffensive. La filantropia
si accontenta di una foto e manda un
assegno;la carità esige la prossimità fino al pugilato».
Queste parole descrivono bene la forza spregiudicata dell’amore, e la dedizione fisica che esso richiede.
L’immagine che mi resta di questo grande amico
è esattamente questa. Come altri consumano la propria vita accudendo i malati terminali o gli homeless, così
don Giorgio si è dedicato a quel grande
malato che è l’uomo che recalcitra perché non vuole
crescere (è il paradosso della nostra specie).
Ho
in mente l’immagine di don Giorgio che per mesi, la mattina, alle sette
meno un quarto,telefona a un ragazzo che non si vuole alzare dal letto
perché è depresso,
e
stando al telefono e parlando e pregando con lui lo aiuta, indumento
dopo indumento, a ritrovare la voglia di ricominciare la giornata. Gli esempi come questo si potrebbero contare a centinaia. Ciò che un educatore comunica è soltanto ciò per cui egli dà la vita, e non per modo di dire.Può farlo attraverso la materia che insegna, ma sarà sempre qualcosa di più, perché nessuno vive di letteratura o di matematica. Questo«di più»,paradossale e in apparenza inutile (si può benissimo fare una buona scuola senza di esso),è la molla
che ha mosso la vita di don Giorgio:è il pensiero dominante di Leopardi,è il nostro insopprimibile bisogno di compimento.
Luca Doninelli
Don Giorgio Pontiggia
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Postato da: giacabi a 09:27 |
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don pontiggia
I giovani di fronte a Cristo e alla Chiesa
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Giornata Mondiale della Gioventù: da Toronto a Colonia
Roma 10-13 aprile 2003
Don Giorgio Pontiggia
Rettore dell'Istituto Sacro Cuore di Milano I giovani di fronte a Cristo e alla Chiesa
LA PERSONA RINASCE DA UN INCONTRO
2^parte
- Se
Dio si è fatto un uomo, è entrato nella storia, il metodo per
conoscerlo non può più essere quello di prima della sua venuta, quello
di tutte le altre religioni fondate sulla ricerca, sul tentativo
dell'uomo. Prima
era poggiato tutto sullo sforzo, lo studio, la genialità, il sentimento
religioso, ora è Qualcuno da incontrare, non esige particolari capacità
ma la semplicità di un incontro.
Come ha scritto il Santo Padre a don Giussani per i vent'anni della Fraternità di Comunione e Liberazione "Il cristianesimo, prima di essere un insieme di dottrine o una regola per la salvezza, è l'"avvenimento" di un incontro . E'
questa l'intuizione e l'esperienza che Ella ha trasmesso in questi anni
a tante persone che hanno aderito al movimento di Comunione e
Liberazione, più che ad offrire cose nuove, mira a far riscoprire la
Tradizione e la storia della Chiesa, per riesprimerla in modi capaci di
parlare e di interpellare gli uomini del nostro tempo".
- L'io
ritrova se stesso nell'incontro con una presenza che porta con sé
questa affermazione: "Esiste quello di cui è fatto il tuo cuore! Vedi,
in me, per esempio esiste".
L'incontro con una presenza non costituisce ontologicamente la persona nella sua soggettività: l'incontro risveglia qualcosa che era oscuro, qualcosa che era esistenzialmente impensato ed impensabile.
L'uomo
riscopre la propria identità originale imbattendosi in una presenza che
suscita un'attrattiva e provoca un ridestarsi delle esigenze
costitutive della sua natura, un sommovimento pieno di ragionevolezza,
in quanto realizza una corrispondenza alle esigenze della vita secondo
la totalità delle sue dimensioni - dalla nascita alla morte.
Paradossalmente, l'originalità del proprio io emerge quando ci si accorge di avere in sé qualcosa che è in tutti gli uomini.
- Quindi si tratta di una esperienza da fare. Ha detto il grande biblista Ignace de la Potterie: "La fede cristiana è un cammino dello sguardo"
Senza
l'impegno esperienziale non si può capire cos'è il cammino dello
sguardo. La cosa più difficile da accettare è che ciò che ci risveglia a
noi stessi, ciò che ci risveglia alla verità della nostra vita, al
nostro destino, alla speranza, alla moralità sia un avvenimento.
Perché
la parola avvenimento, di cui l'incontro è la forma, indica una
"coincidenza" fra il reale sperimentabile e il soprannaturale.
Il più grande fatto non è l'esistere ma l'incontro: quel frangente unico da cui tutta una storia dipende, un momento nel tempo, in cui un essere dice "Io sono Tu che mi fai"
- La nostra responsabilità è rendere possibile l'incontro con Cristo presente nella nostra testimonianza.
Occorre
dunque immedesimarsi bene con il valore dell'affermazione che il
cristianesimo "è" un avvenimento, non "fu" un avvenimento; non "è stato" un avvenimento ma "è"; adesso.
E'
una presenza paterna che genera un Incontro, cioè l' impatto con un
Avvenimento che ti comunica una vita, perché la vera paternità e quando
si comunica una proposta per la vita. E' una paternità e perciò incontro
se è proposta di una risposta a quello che l'altro è.
-
L'incontro si dilata in una compagnia: l'incontro genera una compagnia
come certezza affettiva, una famiglia, un luogo in cui ci sia una
speranza per la vita. Questa certezza affettiva per i giovani sta negli
adulti.
Come ha affermato il Papa due anni fa: "L'incontro
con certe persone genera affinità e quest'affinità genera una
compagnia, una comunione, un movimento. Vivere questa comunione è
partecipare al Mistero dello Spirito".
Dall'incontro con queste persone noi ci sentiamo sollecitati ed attratti, e ad esse spinti ad unirci.
L'incontro
permane dunque come compagnia. Essa è il luogo dell'umano, è il luogo
geografico e sociale in cui siamo richiamati a Ciò cui ci ha ridestato
l'incontro: Cristo, il destino fatto uomo.
La
compagnia è il luogo di un'amicizia che nasce dal presentimento del
destino e sostiene nel cammino del destino che è Cristo. Questa amicizia
è aiuto nell'itinerario che porta alla realizzazione di sé e non
alienazione di sé.
Questo è quello che noi dobbiamo provocare, altrimenti è inutile: facciamo solo riunioni.
E' l'esperienza di un Qualcosa che portiamo dentro, cui apparteniamo
così profondamente che investe la vita con proposte, che già come
parole, come organizzazione del tempo, come iniziative che si prendono e
soprattutto come rapporti che si stabiliscono, così che l'altro si può
accorgere che non ha mai trovato cose in cui l'umanità è più umana.
Vale a dire, lì si sperimenta, in senso analogico il miracolo.
Pressappoco
quello che avveniva con Gesù quando Egli faceva i miracoli. Lui non è
venuto per fare i miracoli, ma ha fatto miracoli per far capire ciò per
cui era venuto e chi era Lui, così il nostro scopo è di vivere questa
Presenza per diventare la Presenza che prenda tutti gli uomini.
Il metodo è un incontro esistenziale come ha detto Giovanni Paolo I "il
vero dramma della Chiesa che ama definirsi moderna è il tentativo di
correggere lo stupore dell'evento di Cristo con delle regole"
L'AMBIENTE
Una presenza non può che essere nell'ambiente.
Così
lo descriveva don Giussani già all'inizio di Comunione e Liberazione
ne' "Il cammino al vero è un'esperienza" ed SEI : "Il nostro richiamo
non può andare direttamente alla coscienza: per giungere all'io genuino
deve perforare una mentalità che ne è come l'involucro. Tale
soprastruttura è costruita in gran parte dall'esasperazione
dell'influenza ambientale odierna attraverso i modernissimi mezzi di
invasione della persona: propaganda, scuola, televisione ecc. Pretendere
di resistere o neutralizzare questa influenza è vana cosa se non si
riesce a raggiungere la persona proprio là dove essa è più influenzata,
cioè nel suo ambiente. Tale "ambiente" non coincide evidentemente con un
"luogo" nel senso materiale della parola: assai più che un luogo è un
ambito, cioè tutto un modo di vivere, una trama di condizioni
dell'esistenza. Pure nella società attuale tale ambito di vita ha il suo
fulcro proprio in un luogo materiale, fisico, che diventa come il punto
di riferimento o il crocevia obbligato di tutto quell'insorgere di
rapporti e il conseguente prorompere di idee e di sentimenti. I luoghi
di riferimento sono la scuola e, secondo proporzioni diverse, il lavoro.
La capacità educativa è in crisi, quando non crea ambiente e non passa attraverso il confronto con l'ambiente. Non
è una capacità educativa quella di far discorsi e di organizzare, ma è
il confronto con l'ambiente, cioè la trama di problemi umani che la
convivenza pone, come riflesso della società.
- l'impegno
con l'ambiente, cioè l'incontro , è generatore di cultura, cioè fa
giudicare la realtà alla luce della fede, di un orizzonte totale che
avvalora il particolare e manifesta la menzogna della pretesa
totalizzante dell'ideologia.
Come diceva il Papa al congresso del MEIC nel 1982 "Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta"
- e
fa crescere la convinzione attraverso la verifica, cioè accorgersi
della corrispondenza fra la proposta di Cristo e le esigenze della
persona.
Perché che Dio sia Dio si manifesta come capacità di rispondere all'uomo più che come spiegazione della dottrina
E'
il centuplo quaggiù, che non è quello che inventa l'uomo ma è la vita
vissuta con la coscienza della grande Presenza come fu per Pietro
"Signore, dove andremo, solo tu hai parole che spiegano la vita"
DA DOVE PARTIRE
- Un
cristiano, uno che vive i problemi di tutti, che soffre
dell'ingiustizia di tutti, che è implicato nelle contraddizioni di tutta
la società e che sperimenta in questa esperienza una corrispondenza
alla sua umanità, chiedersi che cosa può fare per il mondo?
Può fare qualcosa di diverso che vivere e rendere presente ciò che ha incontrato ?
Il
cristianesimo autentico è l'annuncio dell'Incarnazione: il mistero e
l'infinito si incontra in una realtà spazio-temporale precisa: la
persona.
Per
poter cominciare non servono altri elementi: non serve un'analisi già
compiuta, non serve raggiungere una determinata forza e capacità, non
serve essere sicuri che si verrà ascoltati e che l'intrapresa andrà a
buon fine.
Allora la
prima condizione è che questa coscienza dell'avvenimento deve produrre
un cambiamento di noi: devono accorgersi i compagni di scuola, la gente
che incontriamo, gli amici e i colleghi, cioè che anche noi siamo
personalmente coinvolti in questo cammino di realizzazione di sé: educa
chi si lascia educare.
Se
non si parte da qui il resto rotola nel nulla: può aver qualche momento
di efficacia se c'è una personalità umanamente affascinante e
attivamente costruttiva, ma passata lei, passato l'inganno.
-
I giovani hanno bisogno di uomini che abbiano la statura delle loro
esigenze umane sapendo dare ragione della fede che è in loro
Ci sono due sintomi che ci segnalano se siamo con loro in questa posizione:
- che i ragazzi stessi diventino partecipi di questa esperienza, cioè missionari
Una
volta che si scopre per sé come l'intensità della vita cristiana
coincide con l'intensità della passione per sé stessi, in quanto esseri
che camminano verso il proprio destino, una volta scoperto questo sé, ci
si accorge che questa coincidenza vale per qualunque persona che si
incontri, fosse anche per il proprio nemico e non si può non
comunicarla.
- che noi impariamo da loro
Perché
il rapporto educativo è una reciprocità: non fare per, ma fare con,
così che l'adulto è chiamato a verificare lui quello che propone
all'altro.
La
scoperta più grande che ho fatto e faccio tutti i giorni è che
insegnando si cresce, ci si accorge di imparare anzitutto noi e si
vorrebbe che quello che si impara diventasse trasparente e persuasivo
anche per coloro che sono con noi.
Come diceva Pier Paolo Pasolini "Se qualcuno ti avesse educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlare" (da Gennariello in Lettere Luterane).
-fine primaparte
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Postato da: giacabi a 14:26 |
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cristianesimo, giussani, don pontiggia
I giovani di fronte a Cristo e alla Chiesa
***
Giornata Mondiale della Gioventù: da Toronto a Colonia
Roma 10-13 aprile 2003
Don Giorgio Pontiggia
Rettore dell'Istituto Sacro Cuore di Milano
I giovani di fronte a Cristo e alla Chiesa
Rettore dell'Istituto Sacro Cuore di Milano
I giovani di fronte a Cristo e alla Chiesa
Non
ho trovato una descrizione più sintetica e immaginativa della
situazione dei giovani d'oggi che quella emersa in un dialogo di don
Giussani con un gruppo di universitari: " E'
come se tutti i giovani d'oggi fossero stati investiti da una sorta di
Cernobyl, di un' enorme esplosione nucleare: il loro organismo
strutturalmente è come prima, ma dinamicamente non lo è più; vi è stato
come un plagio fisiologico, operato dalla mentalità dominante. E'
come se oggi non vi fosse più alcuna evidenza reale se non la moda - che
è un concetto e uno strumento del potere. Mai come oggi l'ambiente,
inteso come clima mentale e modo di vita, ha avuto a disposizione
strumenti di così dispotica invasione delle coscienze. Oggi più che
mai l'educatore, o il diseducatore sovrano è l'ambiente con tutte le sue
forme espressive. Così anche l'annuncio cristiano stenta molto di più a
diventare vita convinta, a diventar vita e convinzione. Quello che
si ascolta e si vede non è assimilato veramente: ciò che ci circonda, la
mentalità dominante, la cultura onniinvandente, il potere, realizzano
in noi una estraneità rispetto a noi stessi, si rimane cioè, da una
parte, astratti nel rapporto con sé stessi e affettivamente scarichi
(come pile che invece di durare ore durano minuti); e, dall'altra, per contrasto, ci si rifugia nella comunità come protezione".
- una estraneità rispetto a noi stessi, si rimane cioè, da una parte, astratti nel rapporto con sé stessi
Perché
si è sostituita la ragione come esigenza di conoscenza della realtà,
cioè dell'esperienza, secondo tutti i fattori, con il sentimento; la persona non è quello che è ma è ciò che si sente e la ragione diventa la capacità di giustificazione di questa reazione: "Và dove ti porta il sentimento", e così ciò che prevale è l'opinione, non il giudizio.
Si
è tolta l'evidenza di una debolezza originale in cui vive la persona.
E' stata presa come dogma e diffusa dai mezzi di comunicazione sociale
l'affermazione di Rousseau
"Fa' quello che vuoi perché per natura l'uomo è spinto ad atti
virtuosi" E quindi la fatica, il sacrificio, sono diventati una
obiezione e non più la condizione del vivere.
- e affettivamente scarichi (come pile che invece di durare ore durano minuti);
L'affezione diventa la soddisfazione di un piacere e non più l'attrattiva del vero, così tutto è volubile, insicuro
e le pile scariche fanno diventare la vita non un cammino verso
qualcosa ma un vagabondaggio, una intermittenza invece di un albore.
Anche
la religiosità giovanile spesso è il fluttuare del sentimento di Dio
più che il suo riconoscimento per cui tutte le religioni sono
uguali perché corrispondono alla propria spontaneità e non perché
realizzano di più la propria natura.
- e, dall'altra, per contrasto, ci si rifugia nella comunità come protezione".
Così
le aggregazioni giovanili nascono per una prossimità di sensazioni e
mode più che per un aiuto al crescere della persona diventando così la
nuova forma dell'ideologia, la cinghia di trasmissione della moda e
della mentalità dominante.
Ma
sempre don Giussani scriveva in "Porta la speranza" ed. Marietti di cui
vi allego un capitolo "Ma per il luogo che occupa nella cronologia di
ogni vita, in tutti i tempi la gioventù avrà presentato spettacolo di
crisi. Perciò, se ora si parla di una crisi dei giovani, particolare ed
eccezionale, questa, in ultima analisi, deve essere ricercata in una
crisi dell'educazione, dei fattori educativi. La crisi degli educatori
si profila:
- in
primo luogo come inconsapevolezza che rende gli educatori stessi
collaboratori magari incoscienti delle deficienze dell'ambiente
C'è
una perdita del significato personale del fatto cristiano che è il
costituirsi di un soggetto nuovo nella storia e non uno come gli altri
con qualche impegno in più come ha detto il Cardinal Ratzinger al
Meeting di Rimini del 1990: "E'
diffusa oggi qua e là, anche in ambienti ecclesiastici elevati, l'idea
che una persona sia tanto più cristiana quanto più è impegnata in
attività ecclesiali. Si spinge ad una specie di terapia ecclesiastica
dell'attività, del darsi da fare; a ciascuno si cerca di assegnare un
comitato o, in ogni caso, almeno un qualche impegno all'interno della
Chiesa. (...) Può capitare che qualcuno eserciti ininterrottamente
attività associazionistiche ecclesiali e tuttavia non sia affatto
cristiano. (...) La Chiesa non esiste allo scopo di tenerci occupati
come una qualsiasi associazione intramondana e di conservarsi in vita
essa stessa ma esiste invece per divenire in noi tutti accesso alla vita
eterna".
All'interno
della società contemporanea spesso il cristianesimo appare legato a
delle strutture. Non essendo sempre queste strutture vivificate da una
testimonianza personale, il rifiuto o l'indifferenza nei confronti di
queste strutture coincidono col rifiuto o l'indifferenza nei confronti
del fatto cristiano, come se la partecipazione ad esse bastasse a
giustificare il proprio essere cristiani.
Manca
in molti cristiani la testimonianza della soggettività nuova che è il
cristianesimo così da rendere occasione di vita queste strutture: si è
persa la coscienza del significato personale del richiamo cristiano,
come corrispondente all'umano.
Così il fatto cristiano rimane astratto, estraneo alla vita, al mondo normale.
- e, in secondo luogo, come
mancata vitalità nell'atteggiamento educativo che non li fa combattere
con sufficiente energia la negatività dell'ambiente, in quanto li
attesta su posizioni schematicamente tradizionali, formalistiche, invece
che portarli a rinnovare l'eterno Verbo redentore nello spirito della
nuova lotta".
Si favorisce la frattura fra cristianesimo e vita.
La
società tende a rifiutare o a relegare nell'ambito di una dimensione
privata il cristianesimo: cioè un distacco da Dio come origine e senso
della vita, quindi dall'esperienza.
Come se
Dio rispondesse alla "religiosità" e non alle esigenze della vita.
Così, inconsapevolmente, si accetta il ruolo che la società vorrebbe
riservare ai cristiani che è quello di essere il supplemento religioso,
l'anima per la realizzazione del proprio progetto invece di essere
giudizio e quindi collaboratori originali dell'aspirazione comune degli
uomini alla loro felicità.
Le
difficoltà dei figli sono un interrogativo drammatico per i padri; per
questo dobbiamo domandarci con T.S. Eliot "E' l'umanità che ha
abbandonato la Chiesa ?" o "E' la Chiesa che ha abbandonato l'umanità?"
(T.S. Eliot - I cori de la Rocca)
CRISTO E LA CHIESA
Il cristianesimo è un fatto, un avvenimento
Il Cristianesimo è un evento; una persona è entrata nella storia: Gesù Cristo, che alcuni hanno incontrato ed accettato.
E
la Chiesa è la possibilità di ripetere oggi questo incontro, la
possibilità che si ripeta per tutti, come ha detto il Santo Padre per la
XVIII° Giornata Mondiale della Gioventù: "Cari
giovani, lo sapete: il Cristianesimo non è un opinione e non consiste
in parole vane. Il Cristianesimo è Cristo! E' una Persona, è il
Vivente".
Non
dunque una teoria, ma un fatto che ci riguarda, un fatto la cui portata
è data da una Presenza personale, la Presenza di Cristo: dell' Emmanuele, "Dio-con-noi", di Dio che si è fatto Compagno, amico dell'uomo.
Come scriveva Fedor Dostoevskij ne' "I Demoni" "Molti
credono che sia sufficiente credere nella morale di Cristo per essere
cristiani; non la morale di Cristo, né l'insegnamento di Cristo
salveranno il mondo ma precisamente questo: che il Verbo si è fatto
carne"
L' avvenimento è il metodo
L'
"Avvenimento" non è solo il momento in cui questo fatto si è posto ma
indica un metodo, il metodo scelto e usato da Dio per salvare l'uomo:
l'Incarnazione, Dio salva l'uomo attraverso l'umano.
Il Cristianesimo non è la rivelazione dell'esistenza di Dio ma lo stupore che Dio è un Uomo, lo stupore di Kafka:
"Colui che non abbiamo mai visto, che però aspettiamo con vera
bramosia, che ragionevolmente però è stato considerato irraggiungibile
per sempre, eccolo qui seduto" (F. Kafka - Il Castello)
La salvezza non ci sarà: c'è, il valore del presente
- Se
Dio è con noi la salvezza c'è; e non solo c'è, ma é tra noi; perciò è
utilizzabile, é sperimentabile già adesso, perché Dio che é salvezza, si
compromette con l'uomo, con tutta la sua vita e con la storia. La
salvezza é una compagnia: la compagnia di Dio all'uomo, nella quale
l'uomo trova la possibilità della sua realizzazione, la consistenza
della sua vita e di sé stesso, la sua vera fisionomia, l'unità della sua
persona.
La nostra realizzazione, redenzione, non é il risultato del nostro sforzo di coerenza umana, ma é conseguenza dell' accettazione di quella compagnia.
"Salvare"
vuol dire che l'uomo capisca chi è, capisca il suo destino, sappia come
condurre i passi verso il suo destino e vi possa camminare.
E'
incontrando questa Presenza che la persona incomincia a capire se
stessa, a capire qual' è il suo destino, a capire come andare al suo
destino e con quale energia camminare.
- Aderire al fatto cristiano, procedere in esso ha come modalità quella della conversione. Convertirsi non è analizzare l'annuncio, ma compromettersi con esso, cioè con un Fatto, un avvenimento.
La
consistenza dell'annuncio è tutta nel fatto che esso penetri nell'
esistenza e la cambi. L'esperienza di un rinnovamento della vita, di
una fisionomia personale imprevista è la prova esistenziale che l'opera
della salvezza si sta compiendo, è il centuplo quaggiù.
Come ancora ricordava il Santo Padre ai giovani per la prossima giornata mondiale della gioventù "Cari
giovani, solo Gesù conosce il vostro cuore, i vostri desideri più
profondi. Solo Lui, che vi ha amati fino alla morte (cfr. Gv 13, 1), è
capace di colmare le vostre aspirazioni. Le sue sono parole di vita
eterna, parole che danno senso alla vita. Nessuno all'infuori di Cristo
potrà darvi la vera felicità."
O come diceva il Cardinale Giacomo Biffi ad un convegno di teologi a Bologna "Noi non siamo il "popolo del libro", a rigore non siamo neppure il "popolo della parola": siamo il "popolo dell'Avvenimento" (...) "Sventurato
quel teologo, quel esegeta, quel lettore della sacra pagina per il
quale Gesù è primariamente un personaggio letterario, e perciò egli
parla del Cristo dei sinottici, del Cristo paolino, del Cristo
giovanneo, e non del suo Salvatore".
Non
esiste possibilità di capire il cristianesimo se non si intuisce che il
cristianesimo nasce interamente come passione per l'uomo, per il
singolo uomo, meglio dalla passione per il destino del singolo uomo.
1^ Parte
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