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sabato 11 febbraio 2012

EDUCAZIONE2


La maestra unica
 ***
 « La figura della maestra campeggia nella nostra memoria come un totem  sacro, e l'asse
attorno al quale ha girato la nostra infanzia , fu la solenne e dolce depositaria di ogni sapere. Poi qualcosa ha deciso che la maestra doveva moltiplicarsi,e da una e' diventata tre, e tre
maestre sono diventate un viavai di voti. Di sicuro qualcosa si e' perso".
 Marco Lodoli: Repubblica 27 maggio 2008.


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educazione

giovedì, 30 ottobre 2008
Cambiare la scuola?
 Le RAGIONI DEL SI
***
Da 40 anni è sempre la stessa storia. Lo stesso copione di un film, visto e rivisto, dal quale proprio non riusciamo a liberarci: più scorre sul nostro televisore, questo film, e più le sue immagini ci richiamano alla mente i fasti di un "glorioso" passato che vorremmo a tutti i costi perpetuare all'infinito.
Siamo tutti d'accordo, almeno da un ventennio, che il mondo dell'istruzione, ad ogni livello, ha bisogno di essere cambiato, rinnovato e reso competitivo rispetto ai cambiamenti del nostro tempo. I mali che affliggono l'istruzione italiana sono noti a tutti, come dimostra il "Quaderno bianco sulla scuola" redatto dal governo Prodi e firmato, congiuntamente, dai ministri Padoa-Schioppa e Fioroni, quel che manca è il coraggio di avviare un vero cambiamento che non sia solo guerra di cifre o un mero taglio della spesa. Da questo punto di vista ha ragione il professor Galli Della Loggia nel sostenere che l'Italia è un paese immobile perchè con lo sguardo eternamente rivolto al passato e pauroso del proprio futuro.
Al futuro, però, si può guardare con speranza solo in forza di una certezza vissuta nel presente. Non è un caso, quindi, che buona parte delle proposte di rinnovamento della nostra società provengano dal mondo cattolico: tra tutte si pensi al principio di sussidiarietà. C'è, infatti, una parte consistente della società italiana che alle piazze preferisce un lavoro quotidiano di costruzione del bene comune.
In questa scia si inserisce un volantino redatto dall'AGESC del quale SamizdatOnLine proprone la lettura, sperando che esso susciti, in chi lo legge, spunti di riflessione per un dibattito che non sia solo scontro ideologico :

Era facile prevederlo. E sta accadendo. Alla prima iniziativa che và contro l’immobilismo in cui giace la scuola italiana subito parte l’attacco personale al Ministro.
Era accaduto per Berlinguer, era accaduto anche per la Moratti, sarebbe successo per Fioroni (se il governo di cui faceva parte avesse continuato la legislatura), accade ora per la Gelmini.
Perché è necessario mettere mano al sistema scolastico italiano?
Alcune motivazioni:
• Le statistiche OSCE collocano la scuola italiana agli ultimi postiperrendimento degli studenti.
Il costo medio allo Stato, di uno studente è quasi il doppio di una retta pagata dalle famiglie che scelgono una scuola paritaria, che notoriamente hanno un livello di sevizi più adeguato alle esigenze delle famiglie e dei ragazzi.
• La scuola statale italiana ha un esercito di dipendenti che supera nel numero i dipendenti del ministero della difesa degli Stati Uniti (Pentagono).
La spesa dello Stato per l’istruzione, maggiore rispetto ad altri Paesi UE, viene assorbita per il 95% dal costo del personale: se ne deduce che non rimangono adeguate risorse per l’ammodernamento delle scuole e dell’attività didattica.
• Non è riconosciuto il merito dei molti insegnanti che si dedicano alla loro attività con professionalità e competenza e lo stipendio non è adeguato all’impegno e alla responsabilità.
Occorre introdurre metodi e criteri di valutazione degli apprendimenti, dei docenti, delle scuole e dell’intero sistema.
Deve essere realmente incentivata l’autonomia degli istituti scolastici, chiamati ad esprimere un proprio progetto di  scuola in grado di raccogliere consenso dalle famiglie.
Il reclutamento degli insegnanti deve essere nominativo, in carico ai singoli istituti e funzionale al progetto educativo e formativo degli stessi.
L’autonomia deve essere il presupposto al legame tra scuola, territorio e mondo del lavoro, affinché l’attività didattica non sia avulsa dal contesto in cui si trova la scuola. Vi sono poi altre motivazioni di contorno ma non marginali:
Occorre che i genitori tornino a poter esprimere la loro responsabilità educativa anche nel momento scolastico.
• La scuola deve tornare ad avere una funzione sussidiaria rispetto alle famiglie.
Occorre definire un trattamento equipollente tra scuole statali e scuole non statali così come occorre consentire alle famiglie di poter scegliere la scuola tra le varie proposte educative e formative senza vincoli di carattere economico.
A.Ge.S.C. ASSOCIAZIONE GENITORI SCUOLE CATTOLICHE Milano

SCUOLA ITALIANA. FORSE NON TUTTI SANNO CHE...

Ecco alcuni dati relativi alla scuola italiana che è bene conoscere, per avere un'idea più chiara della situazione reale.
Il Ministero dell'Istruzione spende per la scuola 42 miliardi di euro all'anno. Di questi, il 97% (cioè la bellezza di 41,2 miliardi) sono unicamente per il personale (docente, direttivo, Ata - bidelli e amministrativi).
Qualcuno potrebbe dire, allora, che sarebbe giusto spendere di più. Il problema è che già lo facciamo, come dimostrano i dati dell'Ocse.
Gli italiani spendono 5.710 euro ad alunno; i francesi 5.228; gli inglesi 4.964; i tedeschi 4.856.
Siamo primi in questa classifica e ben al di sopra della media europea, che è di 4.623 euro ad alunno.
Spendiamo dunque di più degli altri, ma, nella graduatoria del successo scolastico e dell'apprendimento, siamo molto al di sotto degli altri.
Evidentemente il problema non è quanto spendiamo, ma come spendiamo.
I docenti italiani sono 776.000. Molti di più rispetto agli altri Paesi europei. Ce n'è uno ogni 11 studenti. In Germania il rapporto è di 1 a 18; in Francia ed Inghilterra di 1 a 20.
Abbiamo, dunque, una situazione invidiabile, ma risultati molto peggiori.
Il Ministero spende altri 60 milioni di euro all'anno solo in rimborsi, telefonate e telegrammi per reperire i supplenti. Il numero di bidelli si aggira intorno a 167.000, una media di 15,6 per ogni scuola (anche se molti Istituti ormai appaltano le pulizie a delle ditte esterne).
Le cose non vanno certo meglio se si parla dell'Università.
Bisogna fare una premessa: non c'è nessun ateneo italiano nei primi 150 posti delle classifiche mondiali. Questo dato la dice lunga sul valore della ricerca nelle nostre Università.
Gli atenei sono 94. Le sedi distaccate sono 320. Tra il 1999 e il 2006 sono stati messi a concorso più di 13.000 posti per docenti associati. Ne sono stati riconosciuti idonei il doppio, 26.000.
Per molti si è dovuto trovare un posto, ed è così che abbiamo in Italia 5.500 corsi di laurea (quasi il doppio della media europea) e più di 300 facoltà che non superano i 15 iscritti.
Questi sono alcuni dati a partire dai quali il Ministro Gelmini ha chiesto una riflessione con gli studenti. La risposta è stata: "via il decreto!". Nessuna riflessione, nessun dialogo, nessun confronto. Questa scuola non si tocca. Deve restare così com'è.
Questa è la scuola per la quale gli studenti italiani scendono in piazza!

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educazione

domenica, 05 ottobre 2008
Educazione
Il consiglio di Ambrogio
 ***
"L'educazione dei figli è impresa per adulti disposti ad una dedizione che dimentica se stessa: ne sono capaci marito e moglie che si amano abbastanza da non mendicare altrove l'affetto necessario.
Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno: non sognate per loro i vostri desideri.
Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna.
Non pretendete dunque di disegnare il loro futuro: siate fieri piuttosto che vadano incontro al domani di slancio, anche quando sembrerà che si dimentichino di voi; non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande non siate voi la zavorra che impedisce di volare.
Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna e non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire: è più insopportabile una vita vissuta per niente.
Più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete per loro; più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che videro in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle e l'arte, la forza anche di sorridere.
E tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato, e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.
I vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio e ti incoraggia anche ad uscire di casa, perchè ti mette dentro la fiducia di Dio e di vivere bene."
Sant'Ambrogio, Vescovo di Milano - IV sec. dopo Cristo Tratto da:"Sette dialoghi con Ambrogio, Vescovo di Milano" (Centro Ambrosiano, 1996)

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educazione, sambrogio

venerdì, 03 ottobre 2008
A  quanto pare il maestro unico nelle elementari non è una novità
 ***
 SEMPRE SULLA SCUOLA...
... Tanto per essere chiari.

Ma non sono loro, i nostri maestri "politicizzati" che protestano, quelli che ci insegnano sempre che bisogna guardare all'Europa? Beh! Ora tutti lì a  decantare la scuola elementare italiana (si sa, basta "passare parola" e una invenzione, una frase buttata lì per scherzo, per questi signori diventa realtà... e realtà da commentare...). E allora, proprio per riportare i recalcitranti protestatari alla realtà, sarà bene vedere come si regolano, sul maestro unico, gli altri paesi europei. Copia-incollo da altro sito:

AUSTRIA

Per tutti e 4 gli anni della scuola primaria, c’è un maestro unico per classe + insegnante di religione e, in certi casi, insegnante di lavori tecnici e/o tessili.
BELGIO (nl)

Un maestro unico insegna normalmente tutte le materie. Talvolta, sono nominati insegnanti specifici per materie come musica, educazione fisica, religione ed etica non confessionale.
BELGIO (FR)

Generalmente un unico insegnante è responsabile di tutte le materie, eccetto per i corsi di filosofia, educazione fisica, lingua moderna. Talvolta accade, ma molto raramente, che alcuni insegnanti si specializzino e si suddividano le materie (assouplissement du titulariat). Questo avviene alla fine dell’istruzione primaria
ESTONIA
Nei primi 6 anni del ciclo di base (corrispondenti al livello primario) c’è un maestro unico (insegnante generalista) che insegna tutte le materie.
FINLANDIA

Nei primi 6 anni del ciclo di base (corrispondenti al livello primario), c’è generalmente un maestro unico che insegna tutte le materie.
FRANCIA

Maestro unico. Ci sono talvolta insegnanti negli ambiti artistici e sportivi, ma si tenta di “scoraggiare” queste iniziative.
GERMANIA

Maestro unico nel 1° e 2° anno; dal 3° anno vengono introdotti più maestri per le varie materie per abituarli al livello secondario.
GRECIA

Maestro unico. Maestro specialista per inglese e seconda lingua straniera, educazione fisica e musica.
INGHILTERRA

Maestro unico, generalmente annuale (cambia ogni anno).
LITUANIA

Maestro unico. Se il maestro non ha qualifiche specifiche vengono introdotti altri docenti per lingua straniera, danza, ecc.
MALTA

Maestro unico annuale (cambia l’anno successivo). Altri insegnanti per arte, musica, teatro, TIC, sviluppo personale e sociale, scienze ed educazione fisica.
PAESI BASSI

Maestro unico, ma le scuole possono avere docenti specialisti (es. per educazione fisica, religione, arte, musica, artigianato)
PORTOGALLO

Lo stesso insegnante accompagna la classe per tutto il primo ciclo del percorso obbligatorio (6 a 10 anni di età)
REPUBBLICA CECA

Generalmente, nel primo ciclo della struttura unica di base (corrispondente al livello primario), c’è un maestro unico (insegnante generalista); talvolta lingue straniere ed educazione fisica sono insegnate da un insegnante specifico.
ROMANIA

Un insegnante per classe.
SLOVACCHIA

Un insegnante + eventuali altri insegnanti (che insegnano anche in altre classi del primo o del secondo ciclo) per musica, disegno, educazione fisica, educazione tecnica.
SPAGNA

Maestro unico. Insegnanti specialisti per educazione fisica, musica, lingua straniera e per eventuali altre materie offerte dalla scuola
SVEZIA


In genere un insegnante per i primi 3 anni del ciclo unico (da 7 a 10 anni).
UNGHERIA

Maestro unico per i primi due anni e un altro maestro unico per i successivi due anni.
 Stupefacente, vero? Sequestrano interi istituti per protestare e noi si sta zitti. Ci hanno fatto credere di essere dei retrogradi "reazionari"... Tutti idioti i nostri partner europei, per altri versi (proprio da questi "progressisti") sempre additati a nostro modello? Ma insomma, cerchiamo di essere seri... Il re è nudo. E' il momento di dirglielo!

Postato da: giacabi a 13:52 | link | commenti
educazione

martedì, 23 settembre 2008
L’educazione
è questa misericordia in atto
 ***
« Fu il giorno in cui ebbi il primo sospetto serio che Dio esistesse, perché solo Dio può fare una cosa così; ho avuto lì l’idea che l’altro nome dell’educazione sia misericordia, sia carità, sia quella cosa per cui Dio ti viene incontro lì dove sei: non ti chiede prima di cambiare, non ti chiede prima di fare qualcosa, è lì dove sei tu, con i tuoi gusti, con i tuoi interessi,  col tuo temperamento, con i tuoi peccati.
Vedere  Giussani che senza paura, senza venir meno a niente di se stesso, regalava Carlo Marx a mio fratello perché sapeva che lui era lì, ecco, mi fece venire questa idea: che l’educazione è questa misericordia in atto, per cui Dio ci viene incontro lì dove siamo. Insomma mi venne il sospetto che quell’uomo avesse a che fare con Dio, perché non mi avrebbe mai chiesto di cambiare prima di volermi bene: mi voleva bene così come ero.
 E’ la natura stessa dell’amore. Gratuità assoluta. “In questo sta l’amore: che Dio ci ha amati per primo, mentre eravamo ancora peccatori”. »
Testimonianza di Franco Nembrini
Convegno Ecclesiale Diocesano

GESU’ E’ IL SIGNORE
EDUCARE ALLA FEDE, ALLA SEQUELA, ALLA TESTIMONIANZA

Basilica di San Giovanni in Laterano, 11-12 e 14 giugno 2007

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educazione, nembrini

lunedì, 15 settembre 2008

L'educazione
***
La via d’imparare è lunga se si va per regole, breve ed efficace se si procede per esempi.
Seneca

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educazione, seneca

venerdì, 20 giugno 2008
L’educazione
***
Bisogna insegnare agli adolescenti l'arte di ammirare: in ciò consiste, a mio parere, uno dei segreti dell'educazione.
Jean Guitton

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educazione, stupore, guitton

mercoledì, 27 febbraio 2008
L’educazione
***
« Se qualcuno ti avesse educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlare».
 Pier Paolo Pasolini da Gennariello in Lettere Luterane

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pasolini, educazione

lunedì, 04 febbraio 2008
L’educazione
***
L'educazione non poggia su tecniche psicologiche o pedagogiche o sociologiche. È l'offerta della propria vita alla vita dell'altro. È l'offerta di una proposta di vita esistenzialmente significativa e convincente che ha le sue radici nella esperienza lieta e certa del testimone.
 Franco Nembrini

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educazione, nembrini

venerdì, 11 gennaio 2008
L’educazione
***
Al termine del processo educativo che abbiamo tentato di esaminare nelle sue direttive di fondo, l'adolescente si avvia alla fase matura della gioventù: la famiglia e la scuola debbono avere ormai svolto l'essenza del loro compito formativo, devono avere messo il giovane nella condizione di fare oramai il cammino con le proprie energie. Lentamente, in un processo che solo una genialità assai attenta avrà potuto seguire ed impostare senza ritardi e forzature, l'educatore si è distaccato sempre più dal discepolo, sollecitandolo sempre più ad un impegno ed a un giudizio personali; lo ha introdotto nella realtà totale, dandogli il vivo senso della dipendenza da quella realtà e dal suo significato ultimo. Ora tocca al giovane proseguire la ricerca, non scetticamente, ma nella salda convinzione della positività delle cose e dell'esistenza della loro spiegazione. Ha forse l'educatore finito qui il suo compito? Il giovane, cosi capace di affrontare da solo il mondo che lo circonda, si deve forse isolare, nella convinzione di, non avere più nulla a che fare con alcun altro? Ovviamente no. E invece l'inizio di un cammino nuovo, e proprio nella sua novità sta la ragione di un maggiore nesso. Ora educato ed educatore sono due uomini, sono due fra gli uomini: è il tempo di quella compagnia matura e forte che lega coloro che vivono una stessa esperienza del mondo, che incontrano il richiamo dell'essere in ogni istante del loro cammino; è il tempo in cui si lavora insieme, fianco a fianco, per un destino che tutti riunisce.
don Giussani Il Rischio educativo

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educazione, giussani

sabato, 01 dicembre 2007
L'educazione dei figli
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"L'educazione dei figli è impresa per adulti disposti ad una dedizione che non dimentica se stessa... il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno, non sognate per loro i vostri desideri... non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna e che non si spaventino se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire.... più dei vostri consigli li aiuterà la stima che hanno di voi e la stima che voi avete di loro. Più di mille raccomandazioni soffocanti, saranno aiutati dai gesti che vedono in casa: gli affetti semplici, certi ed espressi con pudore, la stima vicendevole, il senso della misura, il dominio delle passioni, il gusto per le cose belle, per l'arte, per la forza che li fa sorridere... i vostri figli abitino la vostra casa con quel sano trovarsi bene che ti mette a tuo agio, ti incoraggia anche ad uscire di casa perchè ti mette dentro la fiducia di Dio ed il gusto di vivere bene. ci conceda il Signore di vivere così"
S.Ambrogio

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educazione

mercoledì, 07 novembre 2007
Chi educa
***
Ti educa non uno che ti spiega la vita
guardando i tori dagli spalti”, che ti dà istruzioni per l’uso, ma uno che vive davanti a te seguendo la modalità attraverso cui il Mistero si rende presente nel reale: ti può introdurre nel reale, perché lui stesso segue il Mistero nel segno. Questa è l’educazione, la funzione educativa della Chiesa, in continuità con la funzione educativa di Cristo: educare il senso religioso, educare alla religiosità,cioè educare a entrare nel reale fino al suo sorgere, fino al Mistero.
Può educare solo chi vive questa religiosità, cioè chi penetra la
realtà fino al suo cuore, chi ci porta fino al fondo dell’apparenza,chi arriva fino al Tu. Solo chi vive questo educa, vale a dire può far venire fuori l’io, perché l’io non viene fuori attraverso istruzioni per l’uso, ma soltanto davanti al Mistero. Chi ha una capacità di fascino tale da prendere tutto il nostro io, se non il Mistero? Chi ci corrisponde, se non il Mistero? Per questo, se non c’è chi mi accompagna e mi mette in rapporto con il Mistero, non viene fuori il mio io. Per questo, quando ci sostituiamo all’altro, non educhiamo: creiamo dei soldatini, che è quello che possono produrre le istruzioni per l’uso, ma non permettiamo che venga fuori l’io.
Solo il Mistero è in grado di suscitare l’io nella sua interezza.
Noi non accompagniamo dunque facendo i gestori, i “mediatori”
degli altri nel rapporto con il Mistero. Il “mediatore” ti vuole
risparmiare la vertigine del Mistero («Ci penso io». «No, grazie»), pensa di avere il filo diretto con il Mistero, di sapere già che cosa vuole il Mistero nel rapporto con te. No! L’io è rapporto diretto con il Mistero. Sembra pochissimo quello che dice don Giussani, ma è decisivo. Il mediatore crede di sapere che cosa il Mistero ti riserva.
Ma chi ti risparmia il Mistero, ti prende in giro: è un tentativo
di possesso. C’è un solo vero mediatore: Cristo. Che cosa vuole dire Cristo come figura? Cristo è il mediatore, perché ha vissuto in
prima persona il Suo rapporto con il Mistero, col Padre, e quando
qualcuno ha cercato di staccarlo da questo, come Pietro, lo ha
mandato a quel paese: «Allontanati da me»72. Cristo ha generato i
discepoli, non perché ha spiegato loro delle cose, ma perché ha vissuto in prima persona, fino alla croce, fino all’ultimo istante, il Suo rapporto unico e personale con il Mistero. Il Suo problema non era organizzare la Chiesa, ma vivere la volontà del Padre, e così ha generato la Chiesa, ha generato il popolo, e genera noi.
Il nostro problema non è la gestione o l’organizzazione del nostro popolo: il mio e il tuo problema è vivere! Soltanto chi vive può generare un popolo, può essere veramente  tramite al rapporto diretto con il Mistero, perché mette l’altro in rapporto con Lui. Don Giussani diceva una frase che non mi sono mai più scordato:
«Gesù non legava a sé, ma al Padre»73. E questo è quello che ha detto paradossalmente il Papa di don Giussani, al suo funerale:«Non legava a sé, ma a Cristo, e perciò ha generato un popolo»
Quello che noi abbiamo vissuto è la presenza di Cristo oggi attraverso la figura di don Giussani, che, proprio in quanto ha vissuto così intensamente il rapporto con il Mistero, ci ha educato, con tenacia, a non avere nella vita altro scopo che questo.
Noi possiamo - a immagine di Cristo, nella sequela di don Giussani
- generare, se noi per primi seguiamo, così che siamo facilitati
a riconoscere il Mistero. Il metodo non può essere altro che
seguire uno che segue, guardare uno che guarda, riconoscere tra di noi le persone che vivono così, quelle che il Signore ci dà per facilitare il nostro cammino, per aiutarci, per educarci alla religiosità, fossero anche gli ultimi arrivati. Non è un problema diruoli, è un problema di verità: solo chi vive un rapporto vero con il reale ci educa.
Don Carron: Amici, cioè testimoni L A  T H U I L E  A G O S T O  2 0 0 7

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educazione, carron

lunedì, 22 ottobre 2007
L’EDUCAZIONE SECONDO GIUSSANI
                     ***
Da: FAMIGLIA CRISTIANA n° 47 - novembre 2005
Con l’uscita dell’edizione italiana del “Rischio educativo”, il libro più originale scritto dal fondatore di CL, il suo successore lancia un appello sull’emergenza-educazione.
Incontriamo don Julian Carron, 55 anni, docente di teologia all'Università di Madrid, che ha vissuto accanto a don Giussani gli ultimi mesi della sua lunga malattia e che gli è succeduto nel marzo scorso alla guida di Comunione e Liberazione. Don Carron, che attualmente vive a Milano e insegna Introduzione alla teologia all'Università Cattolica (la cattedra che fu di Giussani) quest'estate è stato ricevuto dal papa in occasione del Meeting di Rimini. Inoltre per la stima che il Papa ha dimostrato verso il carisma di don Giussani Carron è stato invitato al Sinodo dei vescovi sull'Eucarestia.
Al successore di mons. Luigi Giussani abbiamo posto alcune domande sull'educazione, in occasione dell'uscita del libro Il rischio educativo (Rizzoli), breve e intenso testo di don Giussani in cui emergere tutta l'originalità del suo metodo educativo, che ha saputo risvegliare in moltissimi giovani e adulti il gusto di vivere la fede.

- Don Carron, come ha vissuto quest'anno così intenso?
«E stato davvero un anno decisivo, straordinario: sono successi fatti come la morte di don Giussani e di papa Woityla e l'elezione di Benedetto XVI che ci hanno segnato profondamente».
- Come vive le sue giornate il successore di don Giussani?
«
Dedico la mattina allo studio e alla preparazione degli incontri, il pomeriggio ricevo le persone o sono in Cattolica dove insegno, seguo gli studenti, partecipo alla vita del movimento».
- Nel suo recente intervento al Sinodo dei vescovi lei ha detto che la Chiesa, attraverso l'eucarestia, incide nella storia perché suscita ed educa persone che si sono lasciate coinvolgere nella novità della vita di Cristo. Si può dire che l'uomo moderno e la nostra società hanno ancora bisogno di un'educazione che dia senso alla vita?
«Le persone oggi sono alla ricerca di chiarezza e positività perché la vita non diventi una trappola e le circostanze insopportabili. L'uomo moderno ha bisogno di qualcuno che lo introduca in modo ragionevole e positivo alla realtà. La vita si può a mala pena sopportare, oppure si può trovare qualcosa o qualcuno di più grande che ci aiuti a non esserne travolti. Questa domanda, questo desiderio oggi, nonostante tutte le risposte che abbiamo a disposizione, normalmente non trova soddisfazione».
- Al Sinodo lei ha anche sottolineato come nella vostra esperienza l'Eucarestia abbia realmente dato frutti di umanità nuova, per esempio nei luoghi di missione come le favelas del Brasile, i giovani del Kazachistan o i malati di Aids in Uganda. Che rapporto c'è tra queste opere di carità e un testo come Il rischio educativo che ha fatto il giro del mondo e che l’anno prossimo sarà tradotto anche in russo ?
«Siamo stupiti di fronte al fatto che il metodo educativo di don Giussani possa essere utile in situazione concrete così diverse tra loro. Forse è perché questo metodo si rivolge al cuore e risponde al vero bisogno dell’uomo. Stupisce vedere come gli studenti del Kazakistan, pur essendo musulmani, hanno sentito il bisogno di approfondire questa impostazione. Ma la cosa veramente affascinante è che don Giussani - come lui stesso ha sempre affermato - non ha mai voluto creare un movimento ma semplicemente presentare la propria esperienza personale del dramma umano, così come si può trovare anche in un poeta da lui amatissimo come Giacomo Leopardi, in cui vibrano le stesse esigenze. Io sono appena tornato da un viaggio a Salvador de Bahia dove ho visto come questo metodo in azione abbia coinvolto le persone (persino la Banca mondiale!) in modo tale da compiere il desiderio di tutti, coinvolgendo il soggetto nella propria liberazione! »
- Don Giussani ha sempre sottolineato che la fede è un'esperienza, un incontro con un avvenimento. Nel Rischio educativo scrive parole forti: “un Dio che non c'entra con quello che ora, oggi, io sperimento non c'entra in nessun modo, non c'è, è un Dio che non c'è”. Come si può educare a una fede così?
«
E' la cosa più facile del mondo, così come è facile l’esperienza dell’amore: uno resta stupito di fronte al bene che l'altro è per lui! Se di fronte alla bellezza e alla positività dell'incontro con una persona non ci si sottrae - ma si cede a questa attrattiva vincente - si sperimenta la fede come avvenimento, come qualcosa che accade. Io dico che questa è la cosa che convince di più, un po' come la storicità dei vangeli: quello che gli evangelisti raccontano non potevano immaginarselo prima perché era impensabile. Io resto stupito tutti i giorni per il modo con cui i nostri amici affrontano in modo diverso il lavoro, la famiglia, la malattia, una vacanza insieme e come desiderano condividere con tutti la bellezza di una vita così».
- Nel rapporto tra il maestro e il discepolo, il genitore e il figlio, l'insegnante e l'allievo come si salva la libertà?
«Siamo tutti dei poveracci, possiamo solo condividere con gli altri quello che a noi serve per vivere: se qualcuno trova nell'altro qualcosa che gli serve per vivere meglio lo prenda! Questa è l'educazione. L'unica cosa che possiamo fare è offrire all'altro quello che a noi serve al mattino per alzarci di buon umore, per andare a lavorare con letizia, per affrontare questa o quella situazione: ti offro questo se ti può essere utile. L'indottrinamento è la parola più estranea a questo atteggiamento, a questa posizione. Quando uno riconosce che il rapporto con una persona così fa diventare la vita più umana allora uno riconosce in lui naturalmente un maestro, un padre, senza che per questo che l'altro abbia alcuna velleità di convincerlo. San Paolo al proposito ha un'espressione bellissima: “non vogliamo essere padroni della vostra fede ma collaboratori della vostra gioia”; e questa è la definizione più bella del rapporto maestro-discepolo. Diceva don Giussani: "guarda, provo a dirtelo oggi così ma se non riesco a rispondere alla tua domanda, amico, ritorna domani, fammela ancora in modo che io possa cercare di ridirtelo per aiutare il tuo cammino". Questo è il tentativo, tutto il resto è inutile: cercare di imporsi alla libertà dell’altro è inutile come quando compri delle scarpe e sbagli il numero: prima o poi devi cambiarle perché il piede non è a posto. Così l'altro alla tua imposizione educativa prima o poi si ribella».
- Qual è la difficoltà dell'uomo moderno di fronte al fatto religioso, in cosa siamo maggiormente condizionati rispetto al passato?
«La nostra maggiore difficoltà è l'estraneità che abbiamo al Mistero. Siamo stati educati nel razionalismo, usiamo la ragione in modo riduttivo. In un incontro con dei ragazzi ho letto un testo dal Fedone di Platone che conclude dicendo come, davanti al problema della vita, se non si trova una risposta soddisfacente si deve cercare di attraversare “il pelago” con una nave più solida e sicura: la rivelazione di un Dio. Per il grande filosofo dunque la ragione è apertura al Mistero, all'imprevisto. Chi non desidera attraversare la vita in modo sicuro? Oggi nel modo con cui parliamo dei nostri problemi questa apertura all'infinito, al desiderio che il mio cuore ha dell'infinito non c'è, addirittura è negata. Parliamo per un anno ai fidanzati del senso religioso ma, alla fine, essi non hanno capito la natura del loro amore, pensano di rendersi felici da soli, o che la riuscita della loro vita dipenda dal lavoro: mai dal desiderio del loro cuore, che è fatto per l’infinito e a cui può rispondere solo ciò che è più adeguato al cuore infinito dell'uomo. Noi moderni utilizziamo la ragione come misura di tutto il reale impedendo che la ragione ci introduca al Mistero, che riduciamo a un sentimento. Ma la vita senza Mistero è invivibile, ci soffoca e noi non respiriamo più.
- Perché l'educazione è un rischio?
Perché dipende dalla libertà dell’altro. Don Giussani per cinquant'anni ha scommesso tutto sulla libertà, ha corso sempre il rischio della libertà, che è il contrario di ogni tentativo di possesso o indottrinamento. Senza correre questo rischio e senza verifica personale non ci si appropria di ciò che si impara, l'esperienza non diventa nostra. Senza il rischio della verifica personale non c'è educazione. Gesù non ha perso neanche un minuto a fare della propaganda. Diceva: “Venite e vedete”! Corre questo rischio chi è cosciente di proporre una cosa vera: allora si sfida l'altro al paragone perché verità e bellezza non temono la sfida, il confronto e la verifica.
«SE CI FOSSE UNA EDUCAZIONE DEL POPOLO TUTTI STAREBBERO MEGLIO»
Questa frase con cui don Giussani commentò al TG2 i tragici fatti di Nassiriya del 2003 fa da il titolo all’appello internazionale proposto da CL e che raccoglie le firme di molti intellettuali e imprenditori.
L’Italia è attraversata da una grande emergenza. Non è innanzitutto quella politica e neppure quella economica - a cui tutti, dalla destra alla sinistra, legano la possibilità di "ripresa" del Paese -, ma qualcosa da cui dipendono anche la politica e l'economia. Si chiama "educazione". Riguarda ciascuno di noi, ad ogni età, perché attraverso l'educazione si costruisce la persona, e quindi la società.
Non è solo un problema di istruzione o di avviamento al lavoro. Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli.
Per anni dai nuovi pulpiti - scuole e università, giornali e televisioni - si è predicato che la libertà è assenza di legami e di storia, che si può diventare grandi senza appartenere a niente e a nessuno, seguendo semplicemente il proprio gusto o piacere.

È diventato normale pensare che tutto è uguale, che nulla in fondo ha valore se non i soldi, il potere e la posizione sociale. Si vive come se la verità non esistesse, come se il desiderio di felicità di cui è fatto il cuore dell'uomo fosse destinato a rimanere senza risposta.
È stata negata la realtà, la speranza di un significato positivo della vita, e per questo rischia di crescere una generazione di ragazzi che si sentono orfani, senza padri e senza maestri, costretti a camminare come sulle sabbie mobili, bloccati di fronte alla vita, annoiati e a volte violenti, comunque in balia delle mode e del potere.
Ma la loro noia è figlia della nostra, la loro incertezza è figlia di una cultura che ha sistematicamente demolito le condizioni e i luoghi stessi dell'educazione: la famiglia, la scuola, la Chiesa.
Educare, cioè introdurre alla realtà e al suo significato, mettendo a frutto il patrimonio che viene dalla nostra tradizione culturale, è possibile e necessario, ed è una responsabilità di tutti.
Occorrono maestri, e ce ne sono, che consegnino questa tradizione alla libertà dei ragazzi, che li accompagnino in una verifica piena di ragioni, che insegnino loro a stimare ed amare se stessi e le cose.
Perché l'educazione comporta un rischio ed è sempre un rapporto tra due libertà. È la strada sintetizzata in un libro cruciale, nato dall'intelligenza e dall'esperienza educativa di don Luigi Giussani: Il rischio educativo.. Tutti parlano di capitale umano e di educazione, ci sembra fondamentale farlo a partire da una risposta concreta, praticata, possibile, viva.
Non è solo una questione di scuola o di addetti ai lavori: lanciamo un appello a tutti, a chiunque abbia a cuore il bene del nostro popolo. Ne va del nostro futuro.

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educazione, giussani, carron

giovedì, 04 ottobre 2007
Libertà di educazione
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«Le esperienze inglese, olandese, svizzera, belga e americana dal 1924 al 1946 sono servite a con fermarmi nell'idea che solo la libertà può salvare la scuola in Italia. La storia del "confessionalismo scolastico" che si avvantaggerebbe della "libertà", fa pendant con quella del "comunismo" che si avvantaggia della libertà, e del "Iaicismo" che si avvantaggia della libertà. Bisogna scegliere o la libertà con tutti i suoi "inconvenienti" ovvero lo statalismo con tutte le sue "oppressività". lo ho scelto la libertà fin dai miei giovani anni, e tento di potere scendere nella tomba senza averla mai tradita. Perciò ho combattuto in tutti i campi, e non solo in quello scolastico, lo "statalismo", sia quello pre- fascista, sia quello fascista, e combatto oggi lo statalismo post-fascista, del quale parecchi dei miei amici, bongré, malgré, sì sono fatti garanti. L'intolleranza scolastica dei laicisti è sostanziata dalla presunzione che essi difendono la libertà; mentre la libertà non è monopolio di nessuno. Il monopolio scolastico dello stato è sostanziato da una presunzione, che solo lo stato sia capace di creare una scuola degna del nome; mentre non è riuscito che a burocratizzarla e fossilizzarla.

In sostanza, non c'è libertà dove c'è intolleranza e dove c'è monopolio. Questa è la triste situazione italiana».  Lo era nel 1950. E lo è, disgraziatamente, anche oggi.

Luigi Sturzo


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educazione, sturzo

giovedì, 27 settembre 2007
L’educazione statale
***
"Caro Gonella, ho letto articolo per articolo il progetto di riforma scolastica e, mentre apprezzo l'enorme lavoro compiuto e lo sforzo di dare ordine all'attuale sistema scolastico, ho parecchi dubbi, non poche perplessità e perfino delle serie obiezioni.
Mi rendo conto che tu non sei libero di attuare un tuo ordinamento e sei vincolato da tutto il sistema burocratico che opprime la scuola statale, e che tende a rendere soggetta allo stato la scuola non statale e tutte le iniziative culturali e assistenziali della scuola.
lo combatto lo statalismo, malattia che va sempre più sviluppandosi nei paesi cosiddetti democratici, che toglie respiro e movimento alla scuola. Siamo arrivati a questo, che quella piccola e contrastata partecipazione civica nell'ordinamento della scuola (comune e provincia) che era nell'Italia pre-fascista, non ha più posto neppure nel tuo progetto, e che le poche attribuzioni date dalla costituzione alla regione sono, nel tuo progetto, regolamentate e soverchiate con l'ingerenza burocratica del ministero e degli ispettorati regionali (violando, perfino, i diritti delle regioni a statuto speciale).
Non ti dico quale disappunto per me leggere le disposizioni che riguardano l'insegnamento privato. Un italiano andato in America, mi scriveva scandalizzato che là non c'è un ministero della pubblica istruzione. Gli risposi, a giro di posta, che, perciò, l'americano è un popolo libero e l'italiano no.
Comprendo bene che l'Italia, senza lo stato (e il suo ministero della pubblica istruzione) sarebbe senza scuole sufficienti per una popolazione così densa e così povera; perciò bisogna rassegnarsi alla scuola di stato, come il minor male, evitando, però, che resti così accentrata, burocratizzata e monopolizzata come l'abbiamo ereditata dai fascisti e come, purtroppo, sembra che venga tramandata ai nostri posteri".

Postato da: giacabi a 14:55 | link | commenti
educazione, sturzo

sabato, 22 settembre 2007
L’inizio vero,
una provocazione alla vita
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Da Tracce di settembre07: editoriale
«Solo quando si ricomincia prendendo sul serio le proprie domande e le urgenze che stanno sotto il desiderio di significato, di vero e di bello che ci costituisce, la realtà quotidiana apre il suo tesoro di occasioni, di incontri, di scoperte. Se così non è, la scuola - come ogni altro luogo dove si vive - diviene un anonimo deserto dove si incontrano apparenze di persone, che esibiscono solo la parte esteriore, spesso più superficiale e perciò violenta, di se stesse. E invece che aule, ore, dialoghi dove si impara a essere liberi, diventa un caravanserraglio di mezzi schiavi. Invece che speranza per il futuro del Paese, emergenza sociale. «Le crisi di insegnamento - scriveva Charles Péguy, nel 1904, in un articolo per la riapertura delle scuole - non sono crisi di insegnamento; sono crisi di vita. Una società che non insegna è una società che non si ama, che non si stima; e questo è precisamente il caso della società moderna»

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educazione, cristianesimo, peguy

lunedì, 17 settembre 2007
L’educazione
 ***
Gianni non sapeva mettere l'acca al verbo avere. Ma del mondo dei grandi sapeva tante cose. Del lavoro, delle famiglie, della vita del paese. Qualche sera andava col babbo alla sezione comunista o alle sedute del Consiglio Comunale. Voi coi greci e coi romani gli avete fatto odiare tutta la storia. Noi sull'ultima guerra si teneva quattro ore senza respirare. A geografia gli avreste fatto l'Italia per la seconda volta. Avrebbe lasciato la scuola senza aver sentito rammentare tutto il resto del mondo. Gli avreste fatto un danno grave. Anche solo per leggere il giornale. Sandro in poco tempo s'appassionò a tutto. La mattina seguiva il programma di terza. Intanto prendeva nota delle cose che non sapeva e la sera frugava nei libri di seconda e di prima. A giugno il "cretino"; si presentò alla licenza e vi toccò passarlo. Gianni fu più difficile. Dalla vostra scuola era uscito analfabeta e con l'odio per i libri. Noi per lui si fecero acrobazie. Si riuscì a fargli amare non dico tutto, ma almeno qualche materia. Ci occorreva solo che lo riempiste di lodi e lo passaste in terza. Ci avremmo pensato noi a fargli amare anche il resto. Ma agli esami una professoressa gli disse:- perché vai a scuola privata? Lo vedi che non ti sai esprimere? Lo so anch'io che il Gianni non si sa esprimere. Battiamoci il petto tutti quanti. Ma prima voi che l'avete buttato fuori di scuola l'anno prima. Bella cura la vostra. Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all'infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo. Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta. Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio:- Non si dice lalla, si dice aradio. Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola. "Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua"; .L'ha detto la Costituzione pensando a lui.
don L.  Milani "Lettera ad una professoressa"

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educazione, don milani

mercoledì, 12 settembre 2007
Scuola libera e non statale
 ***
 Avvenire del 14 Novembre 2006
La storia del jazzista Lionel Hampton
L'intuito di una suora Il genio di un ragazzino
di Marina Corradi


Una mattina di quattro anni fa l'arcivescovo di New York Edward Egan andò in visita nella scuola elementare della parrocchia di Saint Mark a Harlem, in una zona del quartiere abitata da afroamericani e molto povera.

In un salone gremito all'inverosimile da genitori e parenti, finita la recita dei bambini, Egan cerca di guadagnare faticosamente l'uscita. Tra la folla che si accalca per salutarlo c'è un vecchio negro dall'aria sofferente, in carrozzella, che gli allunga la mano, e quando riesce a stringere quella del cardinale lo attira a sé - come uno che debba confidare a bassa voce un segreto.
Infatti all'orecchio dell'arcivescovo il vecchio sussurra con la poca voce che ha in corpo: «
Madre Katharine mi pagò le lezioni di pianoforte!» Egan, capendo a stento nella calca ciò che l'uomo gli sta dicendo, non trova di meglio che esclamare: «Come è stata gentile, madre Katharine!». E poi: «E lei, signore, come si chiama?» «Mi chiamo Lionel Hampton», risponde l'anziano invalido.Il cardinale sussulta.

Lionel Hampton, è una leggenda del jazz, uno fra i cinque o sei più grandi nomi del jazz di tutti i tempi. Ed era quell'uomo in carrozzella che gli stava davanti nella scuola di una parrocchia di Harlem in una mattina di primavera del 2002, all'età di novantaquattro anni. Pochi mesi dopo Hampton sarebbe morto, ma da molti è ricordato, oltre che per la sua straordinaria musica, per le centinaia di case costruite per le famiglie povere a New York.

Parrocchiano della chiesa di Saint Mark, a novantaquattro anni, malato, non aveva voluto mancare alla festa dei ragazzini della scuola. Il cardinale Egan ha raccontato l'episodio al convegno sull'educazione svoltosi due giorni fa all'Unesco a Parigi.
Ma, si è chiesto davanti all'auditorio, e
quella madre Katharine, che pagò le prime lezioni di pianoforte a un bambino nero, chi era? Era, spiega, madre Katharine Drexel, nata nel 1858, una ricca ereditiera fattasi suora che fondò scuole cattoliche in tutti gli Stati Uniti per educare i figli dei più poveri, e fu proclamata santa da Giovanni Paolo II.


«
Madre Katharine mi pagò le lezioni di pianoforte», racconta a novant'anni un grande artista, e sembra una fiaba. La santa e il genio, lei che lo incontra e lo riconosce quando è solo un bambino orfano di padre, su cui nessuno scommetterebbe una lira.
Ma non è una fiaba, come spiega con serena certezza il cardinale di New York. Semplicemente, la suora che comprese che quel bambino "doveva" prendere lezioni di pianoforte era una vera educatrice.
Una che non aveva solo in mente come dare a quel ragazzo le "competenze" necessarie a dargli un mestiere, ma, avendo intravisto in lui il bagliore di un singolare talento - come la luce ancora offuscata di un diamante grezzo - sapeva di doverlo coltivare.

Chissà, forse qualche saggio avrà detto che quella suora era matta, e che quel bambino aveva più urgente bisogno di imparare un mestiere sicuro. Ma lei, era certa. Forse perché aveva osservato come quel ragazzino guardava le dita di un pianista, durante una festa a scuola.
Forse perché aveva visto come istintivamente quelle mani di bambino si muovevano sulla tastiera - come se Dio, le avesse messe al mondo apposta. Educare, è anche riconoscere, nel seme, la pianta; nel segno, la vocazione.
La santa che riconobbe in un bambino un genio del jazz, è anche la storia dell'antico talento educativo cristiano.

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educazione, santi

Scuola libera
e non statale
 ***

 "Finchè la scuola in Italia non sarà libera, nemmeno gli italiani saranno liberi."
"Ogni scuola, quale che sia l'ente che la mantenga, deve poter dare i suoi diplomi non in nome della repubblica, ma in nome della propria autorità: sia la scoletta elementare di Pachino o di Tradate, sia l'Università di Padova o di Bologna, il titolo vale la scuola. Se la tale scuola ha una fama riconosciuta, una tradizione rispettabile, una personalità nota nella provincia o nella nazione, o anche nell'ambito internazionale, il suo diploma sarà ricercato; se, invece, è una delle tante, il suo diploma sarà uno dei tanti."
"Perchè dovremmo vietare che la logica della concorrenza porti i suoi benéfici frutti nell'ambito della scuola? Un cittadino è libero di scegliersi il tipo di dentifricio o la marca della macchina; e perchè invece, non dev'essere libero di scegliere gli insegnanti per i propri figli? Perchè non dovrebbe essere libero di scegliere una scuola con un certo programma invece che con un altro? Lo "Stato maestro" non è forse il tratto più decisivo dello "Stato etico"?". Quello che la scuola di Stato dà è un titolo. Ma la società chiede competenze.

Luigi Sturzo


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educazione, sturzo

Il nulla ci aiuta ad apprezzare il Tutto
***

Fino a che non ci rendiamo conto che le cose potrebbero anche non essere, non possiamo renderci conto che le cose sono. Fino a che non vediamo lo sfondo di tenebra, non possiamo ammirare la luce anche di una sola cosa creata. Non appena vediamo quella tenebra, tutta la luce è fulminea, improvvisa, accecante e divina.
Fino a che non ci dipingiamo l'assenza, noi svalutiamo la vittoria di Dio e non possiamo apprezzare nessuno dei trionfi della Sua antica guerra.
È uno dei milioni di folli scherzi giocati dalla verità, il fatto che noi non conosciamo nulla, fino a che non conosciamo il Nulla.
G.K.Chesterton

Postato da: giacabi a 18:50 | link | commenti
educazione, chesterton

L’educazione
                    ***
Nella classe del Signor Bernard, appagava una sete ancor più essenziale, la sete della scoperta. Certo, anche nelle altre classi si insegnavano molte cose, ma un po' come si ingozzavano le oche, si presentava un cibo già preconfezionato e s'invitavano i ragazzi a inghiottirlo. Nella classe del Signor Germain, per la prima volta in vita loro, sentivano invece di esistere e di essere oggetto della più alta considerazione: li si giudicava degni di scoprire il mondo. E anche il maestro non si occupava soltanto di insegnare ciò per cui era pagato, ma li accoglieva con semplicità nella sua vita personale, la viveva con loro.
A. Camus, Il primo uomo

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educazione, camus

sabato, 23 giugno 2007
GESU’ E’ IL SIGNORE
 EDUCARE ALLA FEDE,
ALLA SEQUELA, ALLA TESTIMONIANZA
***
Diocesi di Roma
Convegno Ecclesiale Diocesano Basilica di San Giovanni in Laterano, 11-12 e 14 giugno 2007
Contributo di Franco Nembrini (uno dei pochi che riesce ad entrare nel mio cuore)
(in corsivo le frasi trascritte, aggiunte al testo consegnato)
A. L’EDUCAZIONE COME INTRODUZIONE ALLA REALTA’
Dovendo parlare di educazione posso solo raccontarvi alcuni episodi, alcuni fatti attraverso i quali mi è parso di vedere che cosa fosse l’educazione, ma con una premessa, e cioè che per poter parlare della mia esperienza di padre e di insegnante devo partire dalla mia esperienza di figlio, perché non posso non riconoscere che io ho visto per la prima volta cosa fosse l’educazione con mio papà e mia mamma.
Sono il quarto di dieci figli e l’immagine che ho del mio povero papà è quando, nella stanzetta dove dormivamo noi sette figli maschi (siamo sette maschi e tre femmine), si inginocchiava in mezzo alla stanza e incominciava a dire il Padre Nostro. Questo era mio padre: uno che guardava una cosa più grande di lui e ci invitava ad andargli dietro senza bisogno di dircelo.
Era uno che, quando sono diventato più grande e tornavo a casa a tarda ora per i mille impegni che c’erano, lo trovavo sempre in piedi, perché non è mai in vita sua andato a letto se non dopo aver chiuso la porta alle spalle dell’ultimo figlio rientrato, e quando alle due o alle tre di notte arrivavo a casa, e per non farlo arrabbiare troppo gli dicevo: “Dai, papà, diciamo Compieta insieme” lui mi rispondeva: “Vai a letto, cretino, che domani mattina devi lavorare: dico io Compieta per te”, e si fermava e diceva la quarta o la quinta volta Compieta, la diceva per me, perché io potessi andare a riposare.
Il giorno prima di morire, paralizzato a letto, completamente afono, gli ho chiesto come stava, e ha risposto allo stesso modo con cui aveva risposto per tutta la vita: “farès pecat a lamentam” che in italiano significa “Tutto è Grazia”. Mio padre era così.
E così era mia mamma, che è morta ormai tanti anni fa (nell’85), una donna molto semplice, figlia di contadini, che aveva tirato su dieci figli e che morì confidandomi: “Mi dispiace di morire, perché adesso che siete un po’ più grandi, avrei potuto fare un po’ di bene”.
So bene che mi potreste obiettare: “roba da albero degli zoccoli, fatti e atteggiamenti di un mondo che non c’è più” e l’osservazione sarebbe assolutamente ragionevole.
Ma io vi ho parlato dei miei genitori perché credo di aver imparato da loro un criterio fondamentale, che il tempo ha mostrato come assolutamente decisivo nell’itinerario educativo. E questo criterio lo potrei definire così: che l’educazione è un problema di  testimonianza. Non è un problema dei bambini o dei ragazzi o dei giovani. Se sono così allo sbando oggi non è per colpa loro (o meglio, è anche per colpa loro) ma la prima responsabilità è la nostra.
In educazione il problema non è la generazione dei figli ma la generazione dei padri, non la generazione dei discepoli ma quella dei maestri.
In altre parole: i figli vengono al mondo, esattamente come 100 o 1000 anni fa, con lo stesso cuore, con lo stesso desiderio, con la stessa ragione di sempre, caratterizzati cioè da un insopprimibile desiderio di Verità, di Bene, di Bellezza. Cioè con il desiderio di essere felici.
Ma quali padri, quali maestri, quali testimoni hanno di fronte?
Questa cosa mi è sembrato di capirla in modo assolutamente radicale quando un pomeriggio me ne stavo tranquillamente in casa con il mio primo figlio Stefano, che poteva avere 4 o 5 anni, correggendo i temi come ogni insegnante di italiano ed ero talmente assorto nel mio lavoro che non avevo notato che Stefano si era avvicinato al mio tavolo e in silenzio mi stava guardando. Non chiedeva nulla di particolare, non aveva bisogno di nulla, solo osservava suo padre al lavoro. Ricordo che quel giorno, nell’incrociare lo sguardo di mio figlio, mi folgorò questa impressione: che lo sguardo di mio figlio contenesse una domanda assolutamente radicale, inevitabile, cui non potevo non rispondere. Era come se guardandomi chiedesse: papà assicurami che valeva la pena venire al mondo.
Questa, mi sono detto, è la domanda dell’educazione e da quel momento non ho più potuto neanche entrare in classe e incrociare lo sguardo dei miei alunni e non sentirmi rivolta questa domanda: quale speranza ti sostiene? Perché di questo io ho bisogno per dare credito ai tuoi suggerimenti, al tuo insegnamento, persino alle cose che mi dici di studiare. Ti posso dare credito solo per una grande speranza presente.
L’educazione incomincia quando un adulto intercetta questa domanda e sente il dovere e la responsabilità di rispondere.
Ma è chiaro che non potrà rispondere con regole o raccomandazioni o teorie: può rispondere solo con la vita.
Lettura e commento di Deuteronomio 6, 20-25
Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: Che significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore Dio vi ha date? Tu risponderai a tuo figlio così: eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per condurci nel paese che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore nostro Dio così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore Dio nostro, come ci ha ordinato.
Dante nel Paradiso, interrogato da S. Pietro sulla fede, si sente chiedere:
“Quella cara gioia sopra la quale ogni virtù si fonda, dimmi, donde ti venne?”
Perché io potevo desiderare, bambino, di essere come mio papà? Perché presentivo, sapevo che mio papà sapeva le cose che nella via è importante sapere. Sapeva del bene e del male, della verità e della menzogna, della gioia e del dolore, della vita e della morte.
Cioè senza discorsi e senza prediche mi introduceva ad un senso ultimamente positivo dell’esistenza, di tutti gli aspetti della vita. Era la testimonianza vivente di una Verità conosciuta.
Se l’educazione, come dice don Giussani nel Rischio Educativo è “introduzione alla realtà totale, cioè alla realtà fino all’affermazione del suo significato”, bene mio papà faceva esattamente questo.
E questo, mi pare, è proprio ciò che manca ai giovani oggi: sono cresciuti senza che venisse loro offerta questa “ipotesi esplicativa della realtà” e perciò paurosi, trovandosi di fronte a tutto perennemente indecisi, e tristi, e perciò così spesso violenti. Perché, lo sappiamo bene noi adulti: non si può rimanere a lungo tristi senza diventare cattivi.
Ma rendiamoci conto che la tristezza dei figli è figlia della nostra, la loro noia è figlia della nostra.
Ecco, mio padre, lo dico volutamente con un paradosso, ci ha educati perché non aveva il problema di educarci, di convincerci di qualcosa. Lo desiderava, certo, certo pregava per questo, ma era come se ci sfidasse: “io sono felice, vedete la mia vita, vedete se trovate qualcosa di meglio e decidete”. Perseguiva tenacemente la sua santità, non la nostra. Sapeva che santi a nostra volta lo saremmo potuti diventare solo per nostra libera scelta.
B. L’EDUCAZIONE COME MISERICORDIA
Ma questo non è bastato, non è bastato perché si è infilato nel rapporto tra me e loro qualcosa che lo ha incrinato. Avevo 17 anni, e nonostante l’educazione ricevuta in casa si insediò in me il dubbio, lo scetticismo, insomma, andai in crisi, una crisi profonda, di cui soffrivo molto.
La cosa che mi faceva soffrire maggiormente era che il nulla divorava ciò a cui tenevo di più, divorava mio padre e mia madre, i miei fratelli e i miei amici: era un sentimento di inconsistenza della realtà, mi franava tutto addosso.
Guardavo mia madre lavorare in casa e piangevo perché sentivo che qualcosa me la stava portando via, neanche il bene che le volevo reggeva, perdevano di consistenza tutte le cose che mi erano care.
Vissi un anno o due in una crisi molto profonda, abbandonando evidentemente la pratica religiosa, che non mi diceva più niente, anzi, sfidando con cattiveria una mia sorella che nel frattempo aveva incontrato Comunione e Liberazione, dicendole: “Dimmi da che cosa ti avrebbe salvato il Salvatore, da che cosa ti avrebbe redento il  Redentore? Siete come gli altri, anzi peggio degli altri, soffrite e morite come gli altri: dove sta la salvezza? Da che cosa ti avrebbe salvato? Quando esci la domenica dalla Messa che cosa puoi dire di te stessa più di quello che posso dire io?”
Non poteva evidentemente dire allora (aveva 19 anni), non poteva rispondermi quello che oggi, risponderemmo insieme: che il di più che Gesù ha portato nella vita è semplicemente l’io, l’io, una persona che prima non c’era, una coscienza di sé e delle cose che prima non c’era, e che era quello che io stavo cercando.
Che cosa era mancato nell’educazione che avevo ricevuto? Era successo ai miei genitori quel che sarebbe accaduto al padre di una mia alunna qualche anno dopo. Vi racconto brevemente l’episodio.
Una volta è venuto a trovarmi il papà di una mia alunna (un po’ strana, un po’ fuori di testa), molto preoccupato e addolorato per la figlia che lo faceva tribolare. Suonò il campanello quella sera a casa mia, cenammo insieme, e alla fine, affrontando il problema che gli stava a cuore scoppiò a piangere, si tirò su la manica della camicia facendomi vedere le vene e, quasi urlando disperatamente, mi disse (siccome aveva capito che tra me e sua figlia, invece, un po’ di feeling era nato, ci si intendeva, insomma), mi disse, battendosi la mano sul braccio: “Professore, io la fede ce l’ho nel sangue, ma non la so più dare a nessuno. Può farlo lei? Lei può farlo: lo faccia, per carità, perché io ce l’ho nel sangue, ma non la so più comunicare nemmeno a mia figlia”.
Ecco, lì m’è venuta l’idea che il problema della Chiesa fosse il metodo, la strada, che tutta la genialità del contributo che don Giussani offriva alla Chiesa e al mondo era questo: la scoperta che la fede, tornando ad essere un avvenimento presente, fosse finalmente dicibile, comunicabile.
Poi ho capito che tutto il dramma di quel genitore era questo: pensava che tra lui e sua figlia ci fosse una generazione di differenza, e invece s’erano infilati tra lui e sua figlia quattrocento anni, cinquecento anni di una cultura che aveva negato tutta la sua tradizione e le cose di cui lui viveva, e che televisione e scuola – dal secondo dopoguerra in poi – avevano infilato tra lui e sua figlia.
Ecco cosa era mancato ai miei genitori e a quel padre: la consapevolezza di questa distanza e il metodo, la strada per superarla. E la si poteva superare solo riproponendo il cristianesimo nella sua elementare radicalità: una presenza viva, capace di illuminare le contraddizioni dell’esistenza in modo convincente. Non la soluzione dei problemi ma un nuovo punto di vista da cui affrontarli, non una teoria contrapposta ad altre teorie, ma, per dirla con Guardini “l’esperienza di un grande amore nel quale tutto diventa avvenimento nel suo ambito”.
E’ il grande richiamo di Benedetto XVI nel memorabile discorso di Verona alla Chiesa italiana. Allargate la ragione, sfidate la modernità per raccogliere tutto il positivo ma anche per denunciare le insufficienze di una cultura nichilista e relativista che si è costruita negli ultimi secoli e che per tanti aspetti si è rivelata nemica dell’uomo.
Poi è avvenuto l’incontro con don Giussani ed è stata una folgorazione.
Venne a casa mia. La mia povera mamma aveva un dolore grande, e cioè che il primo dei dieci figli, che era stato in seminario, ne era uscito sull’onda della contestazione e aveva non solo abbandonato la pratica religiosa e la Chiesa, ma aveva fondato uno dei primi gruppi extraparlamentari dei nostri paesi, insieme ad altri sette ex-seminaristi. Don Giussani venne a conoscere i miei genitori: confessò la mia mamma, che credo gli abbia parlato del suo dolore. Mio fratello non era in casa quel giorno. La settimana dopo da Milano arrivò un pacco di libri per questo mio fratello che lui non aveva conosciuto. E con mio grandissimo stupore il pacco di libri, invece che contenere Bibbie o Vangeli, conteneva Il Capitale di Carlo Marx e altri libri di quel tipo. Fu il giorno in cui ebbi il primo sospetto serio che Dio esistesse, perché solo Dio può fare una cosa così; ho avuto lì l’idea che l’altro nome dell’educazione sia misericordia, sia carità, sia quella cosa per cui Dio ti viene incontro lì dove sei: non ti chiede prima di cambiare, non ti chiede prima di fare qualcosa, è lì dove sei tu, con i tuoi gusti, con i tuoi interessi, col tuo temperamento, con i tuoi peccati.
Vedere Giussani che senza paura, senza venir meno a niente di se stesso, regalava Carlo Marx a mio fratello perché sapeva che lui era lì, ecco, mi fece venire questa idea: che l’educazione è questa misericordia in atto, per cui Dio ci viene incontro lì dove siamo. Insomma mi venne il sospetto che quell’uomo avesse a che fare con Dio, perché non mi avrebbe mai chiesto di cambiare prima di volermi bene: mi voleva bene così come ero.
E’ la natura stessa dell’amore. Gratuità assoluta. “In questo sta l’amore: che Dio ci ha amati per primo, mentre eravamo ancora peccatori”.
Questa identificazione dell’educazione con la misericordia porta con sé alcune conseguenze che mi sembrano decisive:
            a. che l’educazione non poggia su tecniche psicologiche o pedagogiche o sociologiche. E’ l’offerta della propria vita alla vita dell’altro. E’ l’offerta di una proposta di vita esistenzialmente significativa e convincente che ha le sue radici nella esperienza lieta e certa del testimone. Se per educare fossero bastate le parole sarebbero piovuti Vangeli, invece Lui è venuto, compagno della nostra povera esistenza.
            b. Se è così l’azione missionaria del cristiano e della Chiesa tutta non può che consistere in una coraggiosa testimonianza della fede là dove gli uomini vivono, dove i giovani consumano la loro giovinezza, in primis la scuola. Non si può più immaginare di svolgere l’azione pastorale in ambiti chiusi, diversi dai luoghi di studio e di lavoro, e di divertimento, ma bisognerà ricominciare a incontrare i nostri fratelli uomini là dove essi vivono i loro interessi, i loro affetti, la loro intelligenza e operosità. Una fede che non si dimostrasse pertinente alla vita reale, che non si mostrasse capace di esaltare l’io, il cuore e l’attesa del singolo, non potrà mai suscitare curiosità e interesse e desiderio di seguire.
            c. Il problema coi figli o con gli alunni non può essere farli diventare cristiani, farli pregare, farli andare in Chiesa. Se ti poni così sentiranno questo come una pretesa da cui difendersi e da cui prendere le distanze.
Tutto il segreto dell’educazione mi pare che sia questo: i tuoi figli ti guardano: quando giocano non giocano mai soltanto, qualsiasi cosa facciano in realtà con la coda dell’occhio ti guardano sempre, e che ti vedano lieto e forte davanti alla realtà è l’unico modo che hai di educarli.
Lieto e forte non perché sei perfetto (tanto non lo crederanno mai, e come è patetico e triste il genitore che cerca di nascondere ai figli il proprio male) ma perché sei tu il primo a chiedere e ad ottenere ogni giorno di essere perdonato.
Così tra l’altro con loro sei libero, anche di sbagliare, libero dall’angoscia di dover far vedere una coerenza impossibile, perché il tuo compito di padre è semplicemente quello di guardare un ideale grande, sempre, e loro ti tentano, loro tendono l’elastico, ti mettono alla prova sempre: sono tutti figliol prodighi.
E’ quella che nel Rischio educativo si chiama “funzione di coerenza ideale” è la grande funzione educativa: che tu stai, che tu resti, resti lì, e magari loro si allontanano e di sottecchi guardano sempre se tu sei al tuo posto, se tu hai una casa, se tu sei una casa, e torneranno, anche quando fanno le cose peggiori.
Questa solidità, questa certezza che hai tu e che vivi tu con i tuoi amici e con tua moglie, è l’unica cosa di cui hanno bisogno i figli per essere educati, è l’unica cosa che anche senza saperlo ci chiedono, e su questa testimonianza poggia la loro speranza. Si tratta di scommettere tutto sulla loro libertà.
Pensate alla parabola del figliol prodigo (che ora che ho letto il libro del Santo Padre chiamerò sempre “la parabola dei due fratelli”): noi siamo sempre tentati di trattenerli in casa, e invece loro vogliono andare, misurarsi con tutto il reale, e noi a volerli tenere sotto una campana di vetro. Abbiamo paura della loro libertà, perché è uno strappo, una ferita che sanguina. Oppure confondiamo la responsabilità con il nostro diventare come loro: lascio anch’io la casa con te, così magari ti tengo d’occhio da vicino. Ma che disperazione per i nostri figli se, volendo tornare un giorno a casa, scoprissero che non hanno più dove tornare, non hanno più chi li aspetti, chi li perdoni!
E’ il RISCHIO EDUCATIVO: Un amore sconfinato per la libertà dell’altro perché è questa libertà che il Padre ha amato e stimato fino a sopportare lo strappo del figlio che se ne va.
C. L’EDUCAZIONE COME SLANCIO MISSIONARIO
Una volta mio figlio Andrea mi ha detto (era in prima liceo), serissimo: “Ma papà, noi siamo una famiglia normale?” Perché tutto fuori di qui dice il contrario: scuola, TV, amici.
Allora ho capito che sentiva una estraneità tra l’insegnamento in casa e la vita, la vita nel mondo normale. Si trattava di fargli veder un altro “mondo”, un altro mondo in questo mondo. 6
Ho capito che mi chiedeva di fargli vedere che la cosa funzionava davvero, che c’erano amici, famiglie, realtà, movimenti, chiese, oratori, parrocchie missioni da cui poter capire e stare certo che quando fosse stato chiamato a sfidare il mondo avrebbe avuto ragioni sufficienti da portare, tutto il peso e la forza di tanti testimoni; che sarà un modo minoritario, quello che vive in un certo modo, ma che sia un mondo vero, famiglie vere, amici veri, case vere, ecc.
Dopo aver ospitato un ragazzo della Sierra Leone sono stato invitato ad andare a visitare quel paese e lì ho capito che Dio ci stava aiutando, non l’avessimo pensato noi, ci stava offrendo su un piatto d’argento un’esperienza missionaria perché la domanda dei miei figli potesse essere esaudita. Così godendo di questa amicizia è stato possibile aiutare i miei figli a vincerla questa sfida, a dire che si può uscire da una casa forti di un giudizio, di una cultura, di una carità, di una speranza così tenaci da sfidare le categorie culturali di questo mondo apparentemente così ostili.
Che si sposa con quello che ho detto all’inizio: la testimonianza di un ideale grande, verificato e verificabile ogni giorno nel paragone con tutto l’orizzonte dell’esperienza umana, con tutto il mondo.
Così che siano loro a poter dire “questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede”. Ma devono ricevere una proposta decisa, intera che tenga conto di tutti gli aspetti della realtà e di tutte le dimensioni della persona. Con la consapevolezza che l’esito non è in mano nostra: non sappiamo cosa Dio riserva a noi, al Paese, al mondo. Dobbiamo probabilmente accettare l’idea di essere a lungo una minoranza, un piccolo gregge, forti solo di due cose: la certezza che ”portae inferi non prevalebunt” e la certezza della sua misericordia, di ciò che la tradizione chiama “merito”. Cioè la speranza certa che per la fede di alcuni, molti saranno salvati, come insegna l’episodio biblico di Abramo che contratta con Dio la salvezza della città per i meriti di dieci giusti.

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educazione, nembrini

martedì, 03 aprile 2007
La vera educazione culturale
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“Si parla molto di democratizzare la cultura. I risultati fin qui ottenuti sono esili e niente lascia prevedere che andrà meglio nei tempi a venire. Il solo caso conosciuto di successo è quello dello sforzo sostenuto dalla Chiesa nei secoli. All'inizio, un piccolo gruppo di uomini in Giudea, per la maggior parte semplici pescatori. Dieci secoli più tardi, un’Europa coperta di chiese e abbazie, e migliaia di preti e monaci che insegnano a una folla di contadini illetterati, rozzi e violenti, un certo dominio di sé, dei comportamenti, delle abitudini, una morale, mettendo in luce alcune verità. Ogni domenica, questa folla di villani irsuti si recava nei più begli edifici che la nostra civiltà abbia creato, dalla piccola chiesa romanica, umile e robusta, agli splendori di Cluny: «case del popolo» le chiamavano in Italia. Là aveva sotto gli occhi i più begli ornamenti, le più belle statue, i più bei quadri, i più begli oggetti di culto che si conoscano. Quel giorno, e quello solamente, nel villaggio più diseredato della provincia più povera, poteva vedere bellezza, ordine, luce. Sentiva risuonare la parola di Dio ed elevarsi verso la volta il canto gregoriano. Osservava i gesti misurati, disciplinati del prete. Pur senza comprenderne l'intimo significato, riusciva a percepire, a stento, il valore del dominio di sé, che è uno dei segni certi della cultura. Gli uomini, i poveri uomini di oggi, cosa ricavano dai pugni dei pugili? Quanto valgono le comunioni primitive che uniscono gli appassionati di calcio? E che dire della belluinità che si scatena all'uscita degli stadi, se non che èimparagonabile, nel senso più stretto della parola, alla gioia quieta che seguiva l'ite missa est? Una volta la settimana quella folla era sottratta alle sue preoccupazioni giornaliere, ai suoi problemi familiari, alle piccolezze della vita quotidiana e sentiva parlare del suo destino. Non era che una minuscola e fugacissima scintilla nella notte dell'ignoranza, ma della lettura del Vangelo, della predica talvolta balbettante, quei contadini trattenevano qualche briciola che nutriva la cultura familiare. Pur in mancanza di un'elevazione dello spirito verso Dio, queste briciole davano almeno delle lezioni di coraggio e di dignità davanti alla malattia, alla vecchiaia e alla morte.”
Leo Moulin

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particolari dell'abbazia di Cluny

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educazione, cristianesimo, moulin

mercoledì, 28 marzo 2007
LA TELEVISIONE
MEZZO PERICOLOSO
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E’ stata la televisione che ha, praticamente (essa non è che un mezzo) concluso l’era della pietà, è iniziata l’era dell’edonè.
Era in cui i giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente
ad essere aggressivi fino alla delinquenza o passivi sino all’infelicità.
Pasolini  nel Corriere della Sera
 pochi giorni prima della sua morte

Postato da: giacabi a 14:16 | link | commenti (1)
pasolini, educazione

domenica, 25 febbraio 2007
Non serve l’ideologia ma l’esperienza per imparare a vivere
Giorgio Vittadini è Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà

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Secondo l’Herald Tribune 300.000 giovani giapponesi su 1 milione vivono da soli senza altra relazione con il mondo, se non un lungo, quasi ininterrotto, collegamento ad internet. Per questo, in un recente evento di presentazione del libro Il rischio educativo di don Luigi Giussani, Ferruccio De Bortoli sosteneva che il problema più importante relativo alla questione educativa è quello prettamente esistenziale che consiste nel «ritrovare un senso al nostro essere parte di questo mondo».
Per questo Giancarlo Cesana ha affermato che la prima risposta al problema educativo consiste nell’esemplificazione di un rapporto adeguato con la realtà che permetta di vedere il vero, il bello e il buono contenuto in essa. La valenza educativa della proposta di don Giussani corrisponde in effetti a questa «emergenza esistenziale», come si può constatare dalle miriadi di persone che in tutto il mondo sono divenute adulte seguendola.
Tale proposta ha anche un grande valore teoretico, come è emerso in occasione di un convegno tenuto a Washington nel 2003 proprio su
Il rischio educativo. In quell’occasione Stanley Hauerwas (nel 2001 «miglior teologo d’America» secondo il Time Magazine) ha affermato: «Non sono solo interessato all’educazione, ma anche, in particolare, al tipo di suggestioni innovative proposte da don Giussani nel recuperare l’educazione come attività cristiana. Avrei molto da dire sul libro Il rischio educativo, ma, ahimé, mi trovo in tale sintonia con Giussani che mi sembra solo di poter dire: «Vorrei averlo detto io».
Hauerwas, sempre nell’occasione citata, ha sottolineato che il primo valore della proposta di don Giussani è di ordine metodologico in quanto supera quel pregiudizio, vigente anche in ambienti cattolici, secondo cui: «L’educazione può essere concepita come se non avesse a che fare con la “verità”, mentre non si può separare ciò che si conosce dal come si è arrivati a conoscerlo». Il teologo aggiunge inoltre che, intendendo l’educazione come «introduzione alla realtà totale» don Giussani va oltre la semplice ricomposizione della divisione presente nell’attuale contesto educativo, in cui gli studenti saltano da una materia all’altra senza essere aiutati a coglierne il significato. Per questo, nell’ambito delle manifestazioni connesse con l’appello per l’educazione proposto da numerosi intellettuali, uomini di cultura, imprenditori, accademici, la Fondazione per la Sussidiarietà ha promosso un seminario di studio su
Il rischio educativo a cui hanno aderito studiosi e giornalisti.
Il noto pedagogista dell’Università di Torino, Giorgio Chiosso - che introdurrà il seminario insieme al professor Onorato Grassi, presidente dell’Indire (Istituto nazionale di documentazione per l’innovazione e la ricerca educativa) - mostra come il senso profondo di tale definizione sia legato alla riscoperta del significato del termine «realtà»: l’affermazione del primato della realtà si svolge nella categoria di «avvenimento» con cui il mistero dell’essere si dona nel reale. Ogni manifestazione del reale si presenta come evento (dal latino e-venio) che interpella la nostra libertà provocandola ad aderire. La parola «realtà», scrive Giussani, sta alla parola «educazione» come la meta sta al cammino. Così la realtà determina integralmente il movimento educativo passo passo e ne è il compimento.
In questo contesto culturale ed esistenziale si realizza il «rischio educativo» di maestro e discepolo alla conquista di un senso della loro esistenza, secondo il triplice movimento di affronto leale della tradizione, affronto critico dei valori di questa tradizione e loro verifica esistenziale nel presente attraverso un paragone con le esperienze ed esigenze elementari di bellezza, giustizia, verità, che costituiscono il cuore oggettivo dell’uomo di ogni tempo e luogo. Da qui, come affermava in un suo intervento il professor Onorato Grassi, nasce la profonda laicità della proposta di don Giussani, contro ogni pregiudizio e impostazione ideologica che si opponga a priori ad una verifica personale ed esperienziale. Nella crisi dell’Italia di oggi, prima che economica e politica, di tipo ideale, la verifica di questa proposta può essere una chiave portante per una ripresa personale e collettiva

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educazione, vittadini

venerdì, 26 gennaio 2007
Educazione,
responsabilità, bene comune
Franco Nembrini, genitore e docente *
20 febbraio 2004 – Parrocchia S. Ignazio di Loyola – Milano
Alcuni brani di questo incontro
***
 La tragedia che stiamo vivendo, è veramente una tragedia epocale. È la prima volta, forse, nella storia dell’umanità in cui in modo così grave si pone l’incapacità di una generazione di adulti di trasmettere alle nuove generazioni la cultura. È drammatica la debolezza di ragioni di questa generazioni di adulti che non sa più perché valga la pena dare la vita – tant’è che non si fanno più figli – e, meno ancora, sa le ragioni per cui vale la pena educare. Siamo la prima, forse la seconda generazione di adulti che vive il problema della tradizione – tradizione vuol dire consegna, vuol dire passaggio –, il problema della consegna da una generazione all’altra di un patrimonio di conoscenze, di valori, di certezze, di positività, di un’idea buona della vita. Le generazioni degli adulti hanno sempre consegnato tutto questo alle generazioni dei giovani. Ora non è più automatico, non accade più per tutta una serie di ragioni. Certamente non siamo aiutati neanche dal mondo in cui viviamo. Se pensate anche solo alla questione della tecnologia. Ad esempio, io faccio sempre la figura dell’incompetente con i miei figli perché se mi regalano il telefono non lo so usare e devo dire a mio figlio: «Senti dagli un’occhiata, poi mi spieghi cosa devo fare». O se compero una televisione appena appena aggiornata è mio figlio che capisce subito come funziona. Cioè, quello che è sempre stato assolutamente scontato e cioè che padre e madre sono, in qualche modo, depositari delle conoscenze e delle competenze necessarie per vivere si è rovesciato; il padre e la madre sono quegli incompetenti che non sanno neanche usare il cellulare. Anche questo non aiuta. Non è più così scontato, non è più così facile che avvenga quel miracolo che sempre è stata l’educazione e che ha garantito, nel bene e nel male, anche in momenti terribili della storia, che il mondo andasse avanti. Evidentemente ci sono delle ragioni: ad esempio è stata troppo sistematicamente, da una certa cultura, distrutta l’idea del padre. È attorno a questo nodo che si gioca la partita dell’educazione: l’educazione c’è in primo luogo se c’è l’adulto. Una certa cultura prima ha distrutto l’idea stessa di Dio, di una Paternità grande a cui l’uomo o appartiene o è desideroso di appartenere, e, a cascata, ha distrutto il resto. Si è sostituto Dio con alcune grandi ideologie, per cui si è potuto pensare di vivere della speranza o dello slancio ideale del comunismo. Si è in qualche modo tarlata la certezza stessa dell’uomo di avere qualche cosa di buono e di intelligente da dire ai propri figli, in casa sua. Come dice il grande Woody Allen: «Dio è morto, Marx pure, ma io stesso mi sento poco bene». Dice in tre passaggi come la cultura del nostro tempo ha distrutto in modo sistematico l’idea di paternità. Siamo tutti diventati grandi, i nostri figli in particolare, leggendo Topolino, cioè un fumetto pieno di zii e di zie, generalmente scapoli, ma nel quale non trovi un padre. È tutta una cultura che ha favorito che l’idea di paternità sparisse. Bisogna ripartir da qui, dall’educazione. Ha detto don Giussani: «Se ci fosse un’educazione del popolo tutti sarebbero meglio». Ecco, bisogna ripartire da qui. Allora, bisogna che qualche adulto si tiri su le maniche e dica: «Io voglio reinventarla, io voglio provare a educare». Bisogna che ognuno ci provi, tenendo l’occhio fisso a quelle due o tre persone, a quei due o tre episodi, a quei due o tre momenti in cui gli è parso di vedere l’educazione in atto, di vederla presente.
 Mio padre ci ha tirati grandi semplicemente invitandoci, in modo sempre implicito, a guardare quello che guardava lui. Era come se dicesse: «Io e voi, cari figli, siamo sulla stessa barca, e l’unico problema che avete è andare nella giusta direzione. Io ci sto provando: così si vive bene! Così si vive bene, venitemi dietro che probabilmente diventate grandi anche voi». …
con due genitori così per cui mi è sempre stato facile capire che cos’è l’educazione: non è una serie di prediche, non è una preoccupazione d’avere. È un uomo che vive. L’educazione non è mai un problema dei giovani, dei figli, degli alunni, dei ragazzi, degli scolari. È sempre un problema tuo. Cioè l’educazione è la capacità che hai o non hai di rendere testimonianza tu; chiunque tu sia, dovunque tu sia è la testimonianza di una certezza e di una positività che i figli possono guardare……
 Perché mio figlio si è accostato a me, quel giorno, senza aver qualche particolare bisogno; cioè non doveva chiedermi da bere, da mangiare, da dormire, da vestire era lì e mi guardava. Io, incrociando il suo sguardo mi sono sentito attraversare il cervello da una domanda, ho letto quello sguardo, ho letto in quello sguardo una domanda assolutamente radicale; era come se mio figlio mi dicesse: «Papà assicurami che vale la pena venire al mondo. Dimmi che valeva la pena venire al mondo. Dimmi qual è la speranza che tu hai, perché ti alzi al mattino e vai a letto la sera. Perché la fatica del vivere, la morte, il dolore, la fedeltà, il sacrificio? Qual è la ragione vera per cui mi hai messo al mondo, per cui io possa portare il peso della vita con dignità, con speranza, con forza? Accompagnami a questo è l’unica cosa che ti chiedo». …..
 perché i figli non hanno bisogno di altro che di questa testimonianza: di avere davanti un adulto che sa le ragioni per cui vale la pena portare il peso della vita. Tutto il resto viene di conseguenza, su tutto il resto si può essere assolutamente liberi. Invece il clima in cui crescono i nostri figli, gli alunni, dice il contrario; è come se fosse minato da una disperazione, da un cinismo, da un dubbio che rode sulla bontà della vita, sulla bontà dei rapporti. Che possa essere buona la scuola, che la giustizia possa essere buona, che il rapporto tra padre e madre possa essere buono, questa è la cosa che i nostri figli non sentono più e crescono con una disperazione di cui l’esito poi di volta in volta è la droga, la coltellata o tutte quelle cose brutte che succedono. Anni fa lessi una formula assolutamente sintetica per descrivere la cultura in cui siamo. Indro Montanelli carteggiava sul Corriere della Sera con il Cardinal Martini e scriveva: «Lo confesso, io non ho vissuto e non vivo la mancanza di fede con disperazione, ma l’ho sempre sentita e la sento come una profonda ingiustizia, che toglie alla mia vita, ora che sono al rendiconto finale, ogni senso. Se è per chiudere gli occhi senza aver saputo da dove vengo, dove vado, e cosa sono venuto a fare qui, tanto valeva non aprirli». A ottanta anni un uomo come Indro Montanelli arriva quindi a dire: se essere venuti al mondo vuol dire starci senza sapere da dove si viene, dove si va, cioè quali sono le ragioni vere per cui vale la pena vivere, tanto valeva non venirci affatto in questo mondo. È la formula sintetica del cinismo, terribile, che i nostri figli respirano a scuola, spesso anche in casa, comunque certamente dalla televisione, dalle battute degli amici, sono in un mondo così. Bisogna opporsi con ogni forza a questo cinismo! …..
C’è il cinismo di una società intera che non ha più una ragione buona per la vita. …..
il cinismo di una cultura che ha distrutto l’unica cosa di cui i nostri figli hanno bisogno: sapere a chi appartengono, cioè avere un padre e una madre. Sapere di chi sono perché è l’unica cosa che li educa e li preserva, anche psicologicamente da tutte le patologie da cui sono ormai massacrati. Sapere di chi sono, sapere a chi appartengono. Ma perché un figlio sappia a chi appartiene, bisogna che anche il padre stesso sappia a chi appartiene.
Quando i vostri figli iniziano a fare certe domande.! Allora a tuo figlio tu gli puoi dire: «Ma, vedi un po’ tu. Io ti chiedo di far queste cose, vienimi dietro se vuoi. Ma io ti chiedo di fare queste cose perché tu possa essere felice, come sono io». …..Hanno bisogno di adulti che amino la loro libertà, che scommettano sulla loro libertà, perché così insegnate il bene che ci vuole Dio ed è così forte il bene che affermate che non vi molleranno più……
….., primo: non abbiate mai paura di sbagliare, per i nostri figli siamo i migliori genitori possibili. Se l’educazione è quel che ho detto, non c’è il problema della coerenza, dell’incoerenza: i tuoi figli non sono stupidi, sanno che sei incoerente e far finta di vendergli l’idea di un padre particolarmente buono, bravo, coerente è una cosa che non li convincerà, non ce la farete mai a fregarli; lo sanno troppo bene di che incoerenza siamo capaci; cioè lo sanno che siamo straccioni come loro, non li convincerete mai del contrario. I nostri figli non hanno bisogno della nostra coerenza in senso moralistico, hanno bisogno della nostra coerenza ideale, quella che Giussani ne Il rischio educativo chiama «funzione di coerenza» L’adulto, l’autorità dell’adulto la chiama «funzione di coerenza»: è questo stare che vi dicevo prima. Non abbiate paura di sbagliare perché i figli sanno che sbaglierete e vi perdoneranno molto più di quello che siete disposti a perdonargli voi; perché i nostri figli ci perdonano questo. Non ci perdonano il non coraggio, la non responsabilità di fronte al reale, la non certezza ultima rispetto al destino: questo non ci perdonano….
È questo che intendo dire quando dico: «Non preoccupatevi». Anche tutta questa mania per cui dovremmo tutti avere lo psicologo fisso in casa! Nessuno è più capace di fare il padre, nessuna è più capace di fare la madre, al primo problema bisogna andare dall’esperto: l’ospedalizzazione del rapporto educativo a scuola e in famiglia. Bisogna avere tre lauree per tirar su un bambino! Basta con questa storia! Basta, perché siete i migliori genitori possibili e non preoccupatevi se sbagliate perché non è quello che traumatizza i bambini. Li traumatizza la sensazione di camminare sulle sabbie mobili, li traumatizza lo sguardo incerto di padri e madri quando si guardano, quando stanno a tavola, li traumatizza l’impressione che la loro casa sia costruita sulla sabbia e che basti un filo di vento per portar via tutto. Questo li spaventa la notte e non li fa dormire, anche se non urlano e non hanno gli incubi. Ma se pensa ad una casa fondata sulla roccia, tuo figlio dice che è una roccia anche se sbagli, anche se non le indovini tutte. Diversamente ci facciamo dei problemi pazzeschi: «Gli do una sberla o non gliela do? O Dio, ho letto che lo psicologo diceva che quel  ragazzo si è buttato giù da un ponte perché ha preso quattro in matematica. Cosa devo fare? La Carla dice sempre il contrario di quello che dico io. Se gliele voglio dare, mia moglie dice di no; se non gliele voglio dare io lo vuole la moglie!». Dargliele e basta! Nell’incertezza io suggerisco di dargliele! Non è qui il problema! Poi c’è quella trappola incredibile che è il ragionamento. Pensate alla televisione. Allora se mio figlio vede la televisione è documentario o cartoni animati, Disney naturalmente (quelli senza padri e senza madri): non c’è sesso, non c’è violenza, non c’è dentro niente di male quindi glieli posso permettere. Sul dosaggio ci sono tutte le contrattazioni sindacali: un’ora al giorno, un’ora e mezzo, due, secondo la pagella, secondo i compiti, perché tanto male non fanno. Quando un genitore rispetto ai suoi figli si fa la domanda: «Che male c’è a fargli vedere un’ora, due ore di documentario», ha già perso completamente la battaglia. La domanda “che male c’è?” nasconde la resa dell’educatore. Proprio ti sei già arreso, sei morto perché la domanda dell’educazione non è «che male c’è?», deve essere «che bene c’è?». E, allora, il 90% delle volte scopri che ci sarebbe, che gli puoi offrire qualcosa di meglio a tuo figlio, e comunque sei tu protagonista dell’educazione e non la televisione. La domanda: «che male c’è?», suppone che tu arretri e fai venire avanti la televisione a decidere di tuo figlio. La domanda deve sempre essere “che bene c’è?”. Che bene c’è in questo momento, per questo figlio, per il suo bene cosa posso affermare, cosa posso dire? una gita in bici, prender su portarlo via, andare in montagna, che ne so! Qualche bene c’è sempre! Ti liberi anche da tante altre cose. Mi viene in mente la questione della scuola, questa malattia mortale che hanno quasi tutte le mamme italiane, che sono convintissime che la scuola sia una roba seria.. Quando vengono a casa i figli, che quando arrivano sono già stracchi, per la scuola – provateci voi cinque ore seduti in un banco a sentire cinque signori che ti dicono cose di cui non te ne frega niente – allora, fanno questa faticata, vengono a casa, hanno una fame da giganti perché non andava la macchinetta delle pagnottine, arrivano a casa, hanno lo stomaco aperto, lasciano la cartella per terra: «Mamma-a-a». «Metti a posto quella cartella!». Gli metti davanti la pastasciutta, arrampa, infila il primo boccone, lo sta per portare alla bocca e si sente la domanda: «Come è andata stamattina la scuola?». Io tirerei fuori la pistola! Io tirerei fuori la pistola per sparare alla mamma in quel momento lì! Non può non venire questo istinto quando tutti i giorni, tutti i santi giorni, si sente dire: «Come è andata stamattina la scuola?» con il primo boccone di pastasciutta in mano! Risponde, come tutti gli studenti: «Niente!». Poiché la scuola coincide col nulla! Adesso la metto sul ridere, ma guardate che nascondono atteggiamenti psicologici e spirituali di un certo peso. Perché prima devi farlo mangiare almeno tre bocconi, poi quando i pirati della fame si sono calmati un attimo, lo guardi in faccia e gli dici: «Come è andata ieri con i tuoi amici? Ti sei divertito?». Così è un’altra cosa! È un’altra cosa perché lui capisce che c’è il problema del suo destino, della sua felicità! E, se lo pigli da lì, dopo lo porti anche sulla scuola. È facile, è ovvio, ma se lo prendi continuamente di petto sulla cosa che odia di più, e la metti fra te e lui gli è ben difficile essere libero con te nel tirar fuori le questioni, le preoccupazioni che ha, i gusti e i disgusti che ha; essenzialmente si sente estraneo, è nemico non ti dirà mai niente, e dopo ti lamenti perché i figli non si confidano. Ma te lo sei costruito tu questo abisso che ti separa da lui, mettendogli davanti cose che non dovevano essere la prima cosa da mettergli davanti agli occhi. La questione decisiva alla fine è quella di questa testimonianza che ho il coraggio di dare. I miei mi perdonano anche di essere poco a casa. Questo lo dico perché vuol dire che c’è una possibilità di educazione oggi come, forse, non c’è mai stata prima….
. Quando comincia a esserci un adulto, l’educazione si rimette in movimento: allora ti rimetti in movimento, apri una scuola insieme a loro, ecco tutte quelle cose che mi capitano di fare nella vita. I figli poi te li porti dietro, perché il problema non è dirgli le cose, ma fargliele vedere.
* Una delle poche  persone che riesce a penetrare la sc0rza del mio cuore.
il testo integrale:

Postato da: giacabi a 20:04 | link | commenti
educazione, nembrini

venerdì, 12 gennaio 2007
  • Fin dall'infanzia date al bambino tutto quello che vuole. Così crescerà convinto che il mondo abbia l'obbligo di mantenerlo.
  • Se impara una parolaccia, ridetene. Crederà d'essere divertente.
  • Non dategli alcuna educazione spirituale. Aspettate che abbia 21 anni e lasciate che allora "decida da sé".
  • Mettete in ordine tutto quello che lui lascia in giro: libri, scarpe, abiti. Fate voi quello che dovrebbe far lui in modo che s'abitui a scaricare sugli altri tutte le responsabilità.
  • Litigate spesso in sua presenza. Così non si stupirà troppo se a un certo momento vedrà disgregarsi la famiglia.
  • Date al ragazzo tutto il denaro da spendere che vi chiede. Non lasciate mai che se lo guadagni. Perché dovrebbe faticare per avere quel che vuole, come avete fatto voi?
  • Soddisfate ogni suo desiderio per il mangiare, il bere e le comodità. Negargli qualche cosa potrebbe dargli pericolosi "complessi".
  • Prendete le sue parti contro i vicini di casa, gli insegnanti, gli agenti di polizia. Sono tutti prevenuti verso vostro figlio.
  • Quando si mette in un guaio serio, scusatevi con voi stessi dicendo: "Non sono mai riuscito a farlo rigar dritto".
  • Preparatevi a una vita d'amarezze. Non vi mancheranno.

Postato da: giacabi a 21:14 | link | commenti
educazione, imbecillità giovanile

sabato, 30 dicembre 2006
L'attuale cristianesimo
pecca di buona educazione
***
L'attuale cristianesimo pecca di buona educazione. Si preoccupa soltanto di non sporcarsi, di non mostrarsi indelicato, teme il fango, la grossolanità, la franchezza, preferendo una meticolosa mediocrità a tutto il resto. A che punto siamo arrivati, sbavando- l'olio santo si è trasformato in una melassa dolciastra (la sola parola «unzione» procura la nausea). Si stringono piamente le labbra e si attende che il Signore dia dieci in condotta. Come beghine, si arrossisce a ogni accenno di piaceri proibiti: «Ah, che dite mai? lo una di quelle? Avete perso il senno. lo sono illibata ». Hanno confuso la Chiesa del Cristo con un educandato per signorine, perbene. Insomma, tutto quello che è vivo e brillante è passato in mano al vizio, alla virtù non resta che sospirare e spremere una lagrimuccia. : Essa ha dimenticato gli infocati improperi della Bibbia. ' Invece il cristianesimo dev'essere audace e chiamare le cose col loro nome. E' giunta l'ora di rinunziare agli angioletti inghirlandati, perchè diventino angeli più forti e più evidenti degli aeroplani.'« Aeroplani » non già per scimmiottare il mondo contemporaneo, bensì per superarlo. Di questo passo si può cadere nell'eresia. Ma oggi l'eresia è meno pericolosa di quanto non sia l'essicarsi della radice. Signore! Meglio errare nel tuo nome che dimenticarTi. Meglio peccare per Te che scordarTi. Meglio perire che scomparire dalla Tua presenza.
Andrej Sinjavskij  da: Pensieri Improvvisi

Postato da: giacabi a 09:24 | link | commenti
educazione, sinjavskij

domenica, 20 agosto 2006
Da: www.ilgiornale.it di oggi
Emergenza educazione
di Giorgio Vittadini
Giorgio Vittadini*
Il Meeting di Rimini 2006, intitolato «La ragione è esigenza di infinito e culmina nel sospiro e nel presentimento che questo infinito si manifesti», vedrà oggi, nell’incontro inaugurale, la presenza del presidente del Senato Franco Marini. Qual è il nesso tra una concezione di ragione come apertura all’Infinito e l’argomento di questo incontro? Innanzitutto va detto che questo convegno non rappresenta una deriva politica, ma, come tutto il Meeting, è parte di una storia e una cultura oggi, più che mai, chiare e profonde.
Il punto di partenza è la medesima preoccupazione testimoniata dal libro di don Giussani «Dall’utopia alla presenza» che sarà presentato sabato 26 agosto: perché un percorso esistenziale sia totalmente umano, occorre verificare cosa si desidera nelle radici più intime di se stessi e, nello stesso tempo, scoprire personalmente nella vita della comunità cristiana, la razionalità dell’avvenimento cristiano, ovvero della sua completa corrispondenza a queste esigenze umane. Un percorso razionale, di apertura alla conoscenza del reale, fino al suo significato, per una vera libertà che non è una aspirazione pietistica dell’età giovanile.
A cosa apre questa posizione umana e cristiana? Don Giussani disse ai Democratici Cristiani lombardi riuniti ad Assago nel 1987 che movimenti che rimangono nell’astrattezza sono preda dell’omologazione e del potere. In altre parole se la vita che riguarda tutti, cioè la famiglia, gli affetti, il lavoro, gli affari, la vita economica, sociale, politica, non fosse mossa dalla domanda del significato e dall’incontro con Cristo, la fede perderebbe il suo significato.
Chi ogni giorno mette a tema il suo rapporto con l’Infinito non vive nell’astrattezza ma, a un certo punto, inevitabilmente, quando si accorge di un bisogno, si muove per cercare di rispondervi. Ciò significa innanzitutto la scoperta della carità come «dono di sé commosso» verso chi si ha intorno nella comunità cristiana e ovunque, che porta a farsi carico del suo destino, fin nei suoi bisogni più materiali.
Da questa concezione della persona come unica e irripetibile in quanto nesso diretto con l’Infinito e da questo tentativo di carità quotidiana, sono nate opere intese come risposte organiche al bisogno di tutti, in diversi aspetti dell’agire umano: culturale (il Meeting), caritativo (il Banco Alimentare), di aiuto al lavoro (i Centri di Solidarietà), imprenditoriale. Opere dove il desiderio di vivere la fede crea forme di vita nuova per l’uomo, come disse Giovanni Paolo II al Meeting del 1982. La nascita delle opere è qualcosa di inevitabile in un’esperienza cristiana che si collega alla storia della Chiesa, anche moderna (vedi Opera dei congressi), alla Dottrina sociale della Chiesa e all’operosità italiana che ha dato frutto a una miriade di piccole e medie imprese, ancor oggi alla base del nostro sviluppo.
Le opere sono il punto in cui si coltiva l’espressione del cuore, perché non ci si educa semplicemente con discorsi o editoriali sui giornali, ma implicandosi nella realtà e avendo a cuore il nesso tra la propria esperienza e l’ideale che si vive.
Ma chi «si muove», non può fare senza giudicare. È inevitabile, quando si agisce, paragonare tutto con le proprie esigenze ultime, alla ricerca della verità nelle cose quotidiane.
Da qui è nato un giudizio sulla società, sintetizzato da due aspetti fondamentali. Il primo è la centralità dell’educazione che ha generato l’Appello per l’educazione, lanciato nel novembre 2005 e sottoscritto da molti intellettuali, personalità del mondo accademico ed economico e da migliaia di cittadini. L’Appello sostiene che la grande emergenza da cui è attraversata l’Italia è l’educazione.
Senza educazione a una responsabilità che nasca, nella vita quotidiana, dal paragone con i criteri ideali che sono alla radice del nostro Paese (cristiano, socialista, liberale, religioso), non c’è possibilità di vero sviluppo e di vera solidarietà. Senza un’educazione al desiderio di verità, di giustizia, di bellezza nell’agire umano, anche l’istruzione, la ripresa economica o la solidarietà sono vuoti perché ne manca il soggetto.
Il secondo aspetto è sintetizzato dallo slogan «più società, meno Stato». Si tratta del principio di sussidiarietà, cardine della Dottrina sociale della Chiesa, che anche con il nostro impegno è entrato nella Costituzione. Esso esprime il desiderio che ogni tentativo di costruzione che nasce “dal basso” possa esistere, che la politica sia tesa a valorizzare l’apporto di ognuno, da cui nasce il benessere di tutti.
Non è la politica che salva l’uomo: essa deve essere a servizio delle opere che nascono dal desiderio dell’uomo, dalla libera iniziativa di persone e corpi intermedi, di realtà sociali al servizio del bene comune.
Sussidiarietà significa: investimenti in capitale umano che favoriscano la qualità ad ogni livello, vale a dire i «capaci e meritevoli ancorché privi di mezzi»; una welfare society in cui la libertà di scelta dei singoli e dei gruppi sia accompagnata anche da una maggiore solidarietà;
uno sviluppo basato su imprese veramente competitive, piccole o grandi che siano; liberalizzazioni fatte per favorire la libertà e non per generare oligopoli.
Di educazione e sussidiarietà
si vorrebbe parlare con il Presidente Marini che ha mostrato, nei suoi primi interventi pubblici, sensibilità e interesse verso questi due temi. È il
modo per non lasciare nel privato l’uomo nelle sue esigenze ultime e umilmente tentare di vivere la liberazione cristiana in tutti gli aspetti della vita sociale.
*Presidente Fondazione
per la Sussidiarietà

Postato da: giacabi a 09:24 | link | commenti
educazione, vittadini

sabato, 22 luglio 2006
LIBERTÀ  DI EDUCAZIONE
Stralcio dell'omelia:
….Educare: relazione consapevole della persona con la realtà
Sarebbe illusorio parlare di educazione senza chiamare espressamente in causa tre categorie fondamentali: persona, realtà, libertà. Poiché è manifestazione sublime di cura, forma piena di “governo”, l’educazione nasce e vive di rapporti interpersonali. Non vi è cura senza farsi carico di tutta la persona. E la persona, a differenza del semplice individuo, mette in campo la relazione. Relazione con gli altri secondo una gerarchia di prossimità che, iniziando dai genitori, si dilata alla famiglia, ai vicini, alla scuola, all’università, al variegato mondo del lavoro. Relazione poi con le “cose ed il cosmo, con le “circostanze” e la storia.
L’educazione è, in sintesi, la capacità di mettere consapevolmente in relazione la persona con la realtà. Tutta la persona e tutta la realtà sono in gioco nel rapporto costitutivo - interpersonale, ma sempre immerso in comunità - tra educatore ed educando. L’educazione è nello stesso tempo questione personalissima ed affare di popolo. Si può ben capire che non vi possa essere educazione senza libertà. Se educare è “prendersi cura” dell’altro, allora questo significa pro-vocare la sua libertà ad ospitare la realtà, in un confronto appassionato, a 360 gradi. In questo senso l’educazione esige da tutti gli attori in campo auto-esposizione e testimonianza.
Come afferma suggestivamente la sociologa Margaret Archer «ciò di cui ci prendiamo maggiormente cura» nasce da un «processo attivo di riflessione che avviene in un dialogo interiore». Il processo educativo del “prendersi cura” evidenzia cioè, le «nostre premure fondamentali» (ultimate concerns) le quali sono «ciò che ci rende esseri morali»

6. Libertà di educazione, misura della democrazia
La solenne azione liturgica che stiamo celebrando è evento paradigmatico di educazione. L’Eucaristia, infatti, si attua nella traditio che Cristo ha voluto fosse permanente frutto della Sua auto-esposizione, cioè del sacrificio redentivo della croce che vince la morte a nostro favore. In quella cena pasquale, presi il pane ed il vino, li trasformò nel Corpo e Sangue del Suo anticipato sacrificio e diede ai Suoi l’ordine di fare la stessa cosa in Sua perenne memoria. Gli Apostoli ed i ministri loro successori ancora oggi continuano a compiere questo gesto sublime di traditio. Paolo lo descrive in modo incomparabile: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso» (1Cor 11, 23): una definizione perfetta, e non solo per i cristiani, della dinamica educativa. Prendersi reciprocamente cura dell’altro e del legame con lui, dando vita ad un corpo generativo, in grado a sua volta di prendersi cura dei figli propri e più in generale delle nuove generazioni consente la realizzazione di una caring society.
Una traditio aperta all’ad-ventura (al futuro), poggiata sulla testimonianza, tesa a che la libertà dell’educando vada incontro al reale con umile curiositas, ne assapori la pienezza, non si blocchi di fronte alla contraddizione e al male suo e degli altri: a questo deve tendere con il contributo della intera comunità di appartenenza ogni comunicazione di sapere. Da quella più elementare e decisiva, che inizia in seno alla vita della famiglia, fino a quella scolastica ed universitaria, via via per tutto il corso della vita.
Se l’aver cura richiesto ad ogni educazione domanda la capacità di coniugare libertà - personale e comunitaria - e realtà, allora si capisce come la libertà di educazione sia un irrinunciabile carattere distintivo di una società veramente libera. Il grado di civiltà di una società si giudica soprattutto a partire dal peso e dalla libertà dati al fattore educativo da parte delle Istituzioni che sono chiamate a promuoverlo e a garantirlo.   
La libertà di educazione misura la natura autenticamente democratica e popolare di una società. Di conseguenza giudica anche la capacità dello Stato di svolgere la sua funzione di promotore e garante di una società civile in cui le persone e tutti i corpi intermedi – anzitutto i genitori e le famiglie – in piena libertà possano esercitare, tra gli altri, il diritto fondamentale primario di istruzione e di insegnamento. Ma quest’ultimo resterebbe velleitario se non fosse accompagnato dal diritto di costituire delle associazioni e di intraprendere delle attività sociali, culturali ed economiche.
 qui potete trovare il testo integrale :liberta di educazione Scola

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