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sabato 11 febbraio 2012

esperienza


Esperienza e presenza
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la parola esperienza indica l'avvenimento del processo che porta all'affermazione, alla realizzazione di sé, cioè alla maturità. Se il contenuto della nostra compagnia, intenzionale e pratico, non diventa esperienza, allora non viene assimilato, cioè non fertilizza e non rende frutto la nostra vita; perciò dopo cinque anni siamo come prima, soltanto bardati, se non soffocati, da un cumulo di schematiche espressioni e di pratiche acquisite8.
L'esperienza è il centuplo adesso, perché «il centuplo o è adesso o non sarà neanche domani, perché il centuplo è il di più di verità su quello che sto facendo [...] in base all'ideale che la compagnia mi dà, [...] cioè Cristo»9.
La presenza nell'ambiente non è dunque l'affanno per le iniziative o per l'organizzazione,
la presenza sorge come un'umanità cambiata: la presenza è qualcosa che perturba la situazione attraverso una perturbazione presente nella nostra vita. È perché qualcosa che mi perturba che io cambio, e questo mio cambiamento perturba la situazione in cui mi trovo. Presenza è il gusto con cui viviamo la nostra esperienza di fede. Ma la nostra esperienza di fede non si può vivere nella stratosfera: ecco perché la presenza è la conversione nel lavoro.10


don Ciccio Venturino
da:Luigi Giussani La virtù dell'amicizia ed.Marietti

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esperienza, giussani, ventorino

lunedì, 06 giugno 2011

L'ESPERIENZA
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La persona vive, sente, pensa e capisce, ama, sperimenta il dolore e la felicità, sempre in una situazione di orizzontalità terrena, in contatto con gli altri esseri del mondo e immersa nella temporalità. La sua conoscenza, anche se spirituale, è profondamente radicata nel mondo sensibile. Il suo amore e lo slancio di generosità verso gli altri iniziano sempre in situazioni concrete, tangibili e visibili. È una via ascendente, un orizzonte verticale. Lo scopo di questo libro è quello di capire l'uomo nella sua orizzontalità che intrinsecamente si apre alla dimensione trascendente. L'apparente contraddizione del titolo mostra bene il mistero e il dramma dell'uomo. Radicato nell'orizzonte di questo mondo, plasmato di materia e temporalità, trascende questo orizzonte ed è intriso di spiritualità.
Ramón Lucas Lucas, Orizzonte verticale. Senso e significato della persona umana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2007, pp. 382

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esperienza

sabato, 08 gennaio 2011

La regola della vita è la sequela.
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Diciamo che la regola della vita è la sequela. Se non
vi piace la parola, come non piace a me, potete anche
lasciarla via,l'importante è tenere il concetto.
Il concetto implica:
primo, qualcosa che si ha davanti;
secondo, qualcosa di cui cerchiamo di capire le parole;
e, terzo, qualcosa di cui cerchiamo di capire come fa
a farle, a viverle. L'insieme di questo si chiama sequela;

senza sequela, senza l'intensità di una sequela la
nostra vita non ha niente davanti, non sa cosa pensare
e non sa come fare; perciò identifica con il suo
pensiero quello che gli salta in mente (la reazione dei
suoi pareri) e identifica come regola del fare quello

che gli pare e piace (vale a dire, -ha come regola
l'istintività)
:
l'alternativa alla vita come sequela
è l'istintività,
vale a dire degrada, come uomo,
verso l'animalità.

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esperienza, giussani, istintività

giovedì, 21 gennaio 2010

CULTURA - OL'GA SEDAKOVA

Critica della ragion stupida

Fabrizio Rossi
«La nostra civiltà? Non è ragionevole, ma razionalista: nelle cose secondarie è intelligente, ma in quelle che contano...». Dalla scoperta di Dante all’amicizia con Giovanni Paolo II, passando per Auschwitz, l’esperienza e «chi vede un pericolo in ogni verità», la grande poetessa russa ol’ga sedakova racconta perché difende «ciò che rende uomo l’uomo»

«La riduzione della ragione?». Ol’ga Sedakova pesa le parole. È un attimo, poi riprende: «Non è solo un tema attuale. È il vero problema della nostra civiltà». Docente al Dipartimento di Storia e teoria della cultura mondiale dell’Università di Mosca, la Sedakova a questo «problema» ha voluto dedicare la sua nuova opera, Apologia della ragione, tradotta in italiano da La Casa di Matriona (pp. 160, € 12). Una filosofa, ci si aspetterebbe. E invece Ol’ga Sedakova è una poetessa, una delle più apprezzate in Russia, che per i suoi versi - pubblicati dagli Stati Uniti alla Cina - ha ottenuto vari riconoscimenti, tra cui il Premio Vladimir Solov’ëv nel 1998 e quello della Fondazione Solženicyn nel 2003. La sua penna ha fatto parlare in russo i più grandi poeti e scrittori: da Dante a Rilke, da Claudel a Eliot. Ortodossa, può vantare un singolare privilegio: Giovanni Paolo II l’ha invitata più volte nei suoi appartamenti, per partecipare a quelli che chiamava «incontri solov’ëviani», delle conversazioni a tavola con un gruppetto di intellettuali da Mosca. «Con Dostoevskij, continuiamo a sperare che la bellezza salverà il mondo», le aveva augurato un giorno per salutarla. «Siamo diventati amici. Quando m’ha chiesto una mia raccolta di versi, ho pensato ad una formalità. Invece, la volta dopo m’ha detto: “Li leggo ogni giorno”. Nonostante le differenze, c’era una grande vicinanza: forse, proprio perché anche lui era un poeta».

In una civiltà in cui sembra che la ragione domini incontrastata, perché lei sente la necessità di difenderla?
La voglio difendere dalla sua riduzione a razionalità tecnica. Quella che con l’Illuminismo ha trionfato non è la vera ragione: è una ragione staccata dall’integrità della persona, che funziona come disarcionata dall’uomo e dai suoi sentimenti. La nostra non è una civiltà ragionevole, ma razionalista: nelle cose che contano è stupida, mentre è intelligente solo rispetto a ciò che è secondario.

Che cos’è la ragione nel suo senso più pieno?
Fin dall’antichità, nella tradizione greca e giudaico-cristiana, la ragione è intesa come sapienza, come sophia: non un freddo esercizio analitico, di raziocinio, ma la possibilità di entrare in un rapporto profondo con il mondo circostante e con noi stessi. È consapevole dei propri limiti e dell’esistenza della sfera del mistero.

Quindi una ragione che non si contrappone alla fede...
Tutt’altro. L’aveva capito bene Aleksandr Puškin, il grande poeta russo del XIX secolo, che proprio per un’esigenza dell’intelligenza ha rifiutato l’ateismo. Fino a scrivere: «Non ammettere l’esistenza di Dio significa essere ancora più stupidi dei popoli che ritengono che il mondo poggi su un rinoceronte». I grandi artisti, come Goethe o Pasternak, hanno sempre intuito che la ragione fosse qualcosa di più ampio di questa riduzione.

E lei come l’ha scoperto?
In università, dove ho incontrato Sergej Averincev. Filosofo e teologo, traduttore e poeta, era un grande umanista (a lui è dedicato l’ultimo capitolo di Apologia della ragione; ndr). Ma soprattutto per me è stato un maestro e un amico, fino alla morte nel 2004. Alle sue lezioni di Estetica bizantina veniva mezza Mosca. Noi giovani artisti combattevamo l’intelletto, pensando che soffocasse il sentimento: con lui, invece, abbiamo capito che in realtà non sapevamo di che si trattasse. Presentando un poeta contemporaneo o un Padre della Chiesa,
Averincev partiva sempre da un’idea di ragione per noi nuova: una ragione integrale, legata al cuore della persona come nella Bibbia. È stato il primo a riabilitare ai nostri occhi la ragione: non in astratto, ma facendoci toccare con mano come funziona.

Che valore ha, oggi, questa battaglia?
Da lì dipende la nostra civiltà, che ha paura di qualunque certezza. Ne ho parlato tempo fa con il cardinale Christoph Schönborn, l’arcivescovo di Vienna: quando a scuola studiavamo la disputa tra Socrate e i sofisti, la classe tifava per il primo. Oggi, invece, i saggi sarebbero i sofisti. Noi moderni abbiamo ucciso Socrate per la seconda volta. E questo indica che c’è un problema innanzitutto educativo.

Cosa intende?
È un’emergenza, con cui mi scontro ogni giorno in aula. Una volta ho spiegato un passo in cui Puškin augura alla sua donna: «Io vi ho amato così sinceramente, così teneramente / come Dio vi conceda di essere amata da un altro». Dei ragazzi alzano la mano: «È ironico, vero?». Nessuno poteva credere che esista un rapporto così puro. In un’altra lezione, abbiamo letto dei versi in cui Puškin si paragona a un gondoliere di Venezia e conclude: «Canto per svago, come lui, senza echi...». Ho chiesto: «A chi è mai capitato di fare qualcosa né per i soldi né per il potere, senza un ritorno?». Su trenta, ha risposto solo una studentessa. Negli altri, di nuovo la stessa incredulità cinica. Come se nessuno credesse più nell’amore, o nell’amicizia.
Insieme alla ragione, si riducono anche i valori. E resta solo l’utilitarismo, dove la poesia non può trovare spazio.

Puškin, Dante, Goethe, Pasternak... Per quale motivo ha scelto di dialogare, nel suo libro, proprio con dei poeti?
Perché con loro si può parlare delle cose fondamentali della vita: la libertà, il significato, la volontà, il cuore... Ai contemporanei, invece, spesso non interessano. Per questo ho sempre sentito vicino uno come Dante, anche se la cultura sovietica lo faceva passare per un pezzo da museo. Quando all’università ho letto la Commedia in russo, intuivo che c’era di più. Così da un rigattiere ho comprato sottobanco un’edizione italiana e ho studiato la lingua: nella voce viva di Dante, ho scoperto una sensibilità che mi era familiare.

Non le sembra paradossale che sia una poetessa, e non una filosofa, a lottare per difendere la ragione?
Molti si stupiscono, pensando che la poesia appartenga alla sfera dell’irrazionale. Ma proprio i grandi poeti difendono la ragione, l’«intelligenza nova» di cui parla Dante. La contrapposizione tra ragione e cuore è nata solo dopo che la ragione è stata separata dalla pienezza della vita umana: così, s’è identificata la prima con un freddo principio analitico e il secondo con le pure emozioni. Ma un cuore senza ragione vede solo fantasmi.

Esempi?
Pensi all’arte contemporanea, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: performances con l’immondizia, incubi, opere piene di panico... Ho l’impressione che la cultura occidentale sia in preda al sonno della ragione. La banalità regna ovunque. Pensi che al prestigioso Poesiefestival di Berlino, dove sono stata quest’estate, solo tre poeti impiegavano ancora parole nei loro componimenti: tutti gli altri soffiavano nel microfono, usavano il sintetizzatore, facevano rumori o saltavano.

La morte della ragione trascina con sé anche il linguaggio, come se non ci fosse più un’esperienza da esprimere...
Per me è stato un segnale tremendo: al posto delle parole, restano suoni vuoti
. Non basta vivere qualcosa per averne esperienza: i miei studenti possono sedersi e ascoltarmi, ma non è ancora esperienza. Dipende da come ti poni: devi esserci, con tutto te stesso. L’esperienza è un darsi senza riserve, non puoi capire qualcosa standotene in disparte. È un’altra illusione della ragione moderna: pretendere di conoscere qualcosa senza parteciparvi. In Russia lo vediamo bene: con tutto quello che abbiamo vissuto sotto il regime, non abbiamo ancora capito cosa ci è successo. Come s’è arrivati a tanto? Come ne siamo usciti? L’abbiamo provato sulla nostra pelle, ma non è ancora un’esperienza.

Alla consegna del Premio Solženicyn, ha parlato della «necessità di una liberazione interiore».
Come ha detto anni fa il metropolita Antonij di Surož: «Dopo la nostra esperienza, abbiamo qualcosa da dire al mondo». Altro che l’impossibilità della poesia dopo Auschwitz! Ma questa possibilità sarà solo per chi in questo «noi» potrà dire «io»: non io come vittima della storia, ma io con un nome e un cognome, io personalmente.

Le rivoluzioni e le tragedie del Novecento hanno mostrato a cosa porta questa ragione diventata irragionevole. Oggi quale rischio vede?
Dobbiamo affrontare una nuova ideologia, più inafferrabile ma non meno totalitaria. Non so quanti se ne rendano conto, non si tratta semplicemente del consumismo. L’uomo, traumatizzato dalle vicende del Novecento, vede un pericolo in ogni verità. Si trincera in un mondo costruito a sua misura, dove non può trovare posto il miracolo, il soprannaturale, ciò che non è logico.

È una realtà interamente artefatta...
Ma ha le gambe corte: qualcuno può vivere senza una certezza da affermare?
Da : www.tracce.it  11/2009

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ragione, esperienza

domenica, 03 gennaio 2010

L’esperienza
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La vita del cristiano non è fatta di parole,
ma di esperienza.
Senza esperienza, nessuno è cristiano.
E qui non si intende esperienza di vita,
ma esperienza di Dio.


D. Bonhoeffer


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esperienza, bonhoeffer

mercoledì, 16 dicembre 2009

Maturare
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Esistere è modificarsi. Modificarsi è maturare. Maturare è ricreare incessantemente se stessi.
Henri Bergson

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esperienza, bergson

venerdì, 30 ottobre 2009

L 'esperienza immediata
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«Solo con l'esperienza immediata è possibile percepire e valutare la ricchezza della Chiesa».
 Pavel Florenskij

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esperienza, florenskij

lunedì, 26 ottobre 2009

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“don Giussani ci dice che non c’è esperienza fin quando uno non riconosce «Dio come l’ultima implicazione della umana esperienza, e quindi la religiosità come dimensione inevitabile di autentica, esauriente esperienza» ((Il rischio educativo, op. cit., p.129). Facciamo il paragone tra quello che noi chiamiamo “esperienza” e questa affermazione, e ci renderemo conto fino a che punto la riduciamo...
È così semplice che ho scelto come titolo del nostro incontro questa frase di Leopardi: «Raggio divino al mio pensiero apparve, / Donna, la tua beltà» («Aspasia», in Cara beltà, op. cit., p. 86). È così semplice che Leopardi non può evitare che nel contraccolpo della bellezza della donna che ama scopra il raggio divino. Questa è l’esperienza nella sua semplicità: la bellezza della donna conduce Leopardi a riconoscervi dentro il raggio divino. È esattamente quel che intendiamo quando diciamo che non c’è vera esperienza che non abbia dentro il Mistero, che non implichi il Mistero come spiegazione esauriente
Julián Carrón alla Giornata d’inizio anno degli adulti e degli studenti universitari di Cl della Lombardia Fiera Rho-Pero, 26 settembre


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esperienza, giussani, carron

domenica, 11 ottobre 2009

 
***
“aneddoto racconta del direttore generale di un’impresa che riceve un invito per andare ad assistere all’Incompiuta di Schubert. Non potendo andare, manda il capo del personale; lo incontra il giorno dopo e gli chiede com’era andata la serata; il capo del personale gli risponde: «Troverà la mia relazione entro mezzogiorno». Già la risposta doveva allarmare. Quando arriva la relazione era divisa in cinque punti. Si trattava dell’Incompiuta di Schubert, uno dei capolavori della musica classica, struggente, che evoca una straordinaria nostalgia della bellezza, del significato della realtà!
Il capo del personale scrive così invece:

 « 1) Durante periodi considerevoli di tempo i quattro oboe non fanno nulla: si dovrebbe ridurne il numero e distribuirne il lavoro al resto dell’orchestra eliminando i picchi di impiego.

2) I dodici violini suonano la stessa nota e quindi l’organico dei violinisti dovrebbe essere drasticamente ridotto.

3) Non serve a nulla che gli ottoni ripetano suoni che sono già stati eseguiti dagli archi.

4) Se tali passaggi ridondanti fossero eliminati, il concerto potrebbe essere ridotto ad un quarto.

5) Se Schubert avesse tenuto conto di queste indicazioni avrebbe terminato la sinfonia.»”

Prof. Luca Antonini Vicepresidente della Fondazione per la Sussidiarietà.
 Da:“Una vita senza impegno non è vita”
Dialogo dei giovani con François Michelin – Presidente onorario del Gruppo Michelin  20 aprile 2007

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esperienza


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Mi ricordo in questo momento di un'altra piccola storia che mi ha raccontato poco tempo fa un vescovo in visita "ad limina": c'era una donna non cristiana molto intelligente che cominciava a sentire la grande musica di Bach, Haendel, Mozart. Era affascinata e un giorno ha detto: "Devo trovare la fonte da dove poteva venire questa bellezza", e la donna si è convertita al Cristianesimo, alla fede cattolica, perché aveva trovato che questa bellezza ha una fonte, e la fonte è la presenza di Cristo nei cuori, è la rivelazione di Cristo in questo mondo.
 Benedetto XVI - Loreto 01/09/2007

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esperienza, benedettoxvi


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Mi ricordo in questo momento di una piccola storia che Giovanni Paolo II ha raccontato negli Esercizi da lui predicati in Vaticano quando non era ancora Papa. Ha raccontato che dopo la guerra è stato visitato da un ufficiale russo che era scienziato, il quale gli ha detto da scienziato: "Sono sicuro che Dio non esiste. Ma se mi trovo in montagna, davanti alla sua maestosa bellezza, davanti alla sua grandezza, sono ugualmente sicuro che il Creatore esiste e che Dio esiste".
 Benedetto XVI - 1 set 2007 - Piana di Montorso - Veglia di preghiera con i giovani

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esperienza, benedettoxvi


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Eppure era uno dei luoghi più belli che avessi mai visto, soprattutto a osservare il promontorio che calava per allungarsi nell'acqua con una lingua di terra armoniosa, piccole baie intrise di fosforescenza, spiaggette di sabbia candida incontaminata, veniva una specie di struggimento. Quasi un bisogno di buttarsi in ginocchio e ringraziare DIO d'essere vivi.
Oriana Fallaci - "Un uomo trovo" p.137

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fallaci, esperienza

mercoledì, 30 settembre 2009

L’esperienza
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l’esperienza non è caratterizzata da una accumulazione di impatti, di impressioni,di emozioni, ma da un acquisto di conoscenza, da una scoperta,
da una comprensione del senso. Senza un aumento di coscienza,di conoscenza delle cose e di sé, non si può dire che si è fatta esperienza.”
Don Carron da: Esperienza: lo strumento per un cammino umano tracce09/09


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esperienza, carron

sabato, 27 giugno 2009

Giudicare attraverso l’esperienza
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"sembra più facile convincere gli uomini a comportarsi nel modo più impensabile ed oltraggioso, piuttosto che convincerli ad imparare dall’ esperienza, a pensare e giudicare veramente, invece di applicare automaticamente categorie e formule pre-costituite nella nostra testa, che pur essendo coerenti sono oramai desuete ed inadeguate rispetto agli eventi che accadono realmente”
Hannah Arendt Responsabilità e giudizio, Einaudi Editore, Torino, 2004.


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esperienza, arendt

sabato, 25 ottobre 2008

Osservazione ed esperienza
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La condotta degli uomini della nostra epoca sarà quindi motivo di profondo stupore per le generazioni future. È strano infatti che una società come la nostra, cui è ben nota la forza dei concetti e dei metodi scientifici, non li abbia utilizzati per organizzare la propria vita. La scienza ci aveva dato la signoria su quasi tutto ciò che si trova sulla faccia della terra e poteva darci anche il dominio su  noi stessi, garantendo il successo della nostra esistenza individuale e sociale. Ma ai suoi concetti chiari e semplici, abbiamo preferito i giochi del pensiero filosofico del diciottesimo secolo e, invece di progredire verso la realtà concreta, siamo rimasti impantanati nelle astrazioni. La realtà concreta è certamente difficile dà cogliere ed il nostro spirito ama il minimo sforzo. Forse la pigrizia naturale dell'uomo lo induce a scegliere la semplicità dell'astratto invece della complessità del concreto. È meno arduo salmodiare delle formule o sonnecchiare sui principi, invece di cercare laboriosamente come sono fatte le cose e in che modo si devono maneggiare. Osservare è meno facile che ragionare. Come si sa, poche osservazioni e molti ragionamenti conducono all'errore; molte osservazioni e pochi ragionamenti alla verità. Ma gli spiriti capaci di fare sillogismi sono più numerosi di quelli che sanno cogliere con esattezza il concreto. Perciò l'umanità si è sempre dilettata a giocare con le astrazioni, benché queste le diano una visione incompleta e talvolta del tutto falsa della realtà. Una cosa logicamente vera può essere praticamente falsa. Le cosmologie di Aristotele e di san Tommaso d'Aquino non sono completamente erronee? La geometria di Riemann non è meno logica di quella di Euclide, ma non è applicabile al nostro mondo. Per non ingannarsi nell'inseguire il reale è importante non basarsi sulle opinioni della mente, ma sui risultati dell'osservazione e dell'esperienza.
Alexis Carrel Riflessioni sulla condotta della vita, ed. Cantagalli

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esperienza, carrel

venerdì, 17 ottobre 2008

L’esperienza
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Gli uomini dei tempi nuovi, a partire dall'epoca del Rinascimento, si sono ammalati sempre più di Fede nel sistema, sostituendo erroneamente il senso della realtà con formule astratte che non hanno più la funzione di essere simboli della realtà, ma diventano un surrogato di essa. Così l'umanità si è immersa nell'illusionismo, nella perdita del contatto con il mondo e nel vuoto, il che inevitabilmente ha portato alla noia, allo sconforto, allo scetticismo corrodente, alla mancanza del buon senso.
Uno schema, in quanto schema, per se stesso, se non è controllato dalla viva percezione del mondo, non può neanche essere seriamente valutato: qualunque schema può essere bello, cioè strutturato bene in se stesso. Ma la visione del mondo non è il gioco degli scacchi, non è costruire schemi a vuoto, senza avere il sostegno dell'esperienza e senza tendere risolutamente alla vita. Per quanto ingegnosamente possa essere strutturato in se stesso, senza queste basi e senza questo scopo ogni schema è privo di valore. Ecco perché credo che sia assolutamente necessario accumulare da giovani una concreta percezione del mondo, e darle forma solo a un'età più matura
Pavel Aleksandrovič Florenskij


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esperienza, florenskij

sabato, 24 maggio 2008

Per essere cristiani bisogna essere ragionevoli
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 Invece nel dominio della vita reale, che non ha soltanto i suoi diritti, ma impone anche grandi doveri, in questo dominio, se vogliamo essere umani, cristiani insomma, abbiamo il dovere e l'obbligo di non portare che le convinzioni giustificate dalla ragione e dall'esperienza, passate per il crogiuolo dell'analisi, in una parola di agire in modo assennato, e non insensato come nel sonno e nel delirio, per non nuocere agli uomini, per non tarli soffrire e causarne la perdita. Allora sì sarà,la nostra, opera vera di cristiani,e non soltanto di mistici,e opera ragionevole, veramente umanitaria.”

§  Dostoevskij I fratelli Karamazov- Garzanti

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ragione, dostoevskij, esperienza

mercoledì, 20 febbraio 2008

L'esperienza
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Persino l'esperienza del mondo materiale dipende da nostro contatto con gli altri uomini, dal nostro senso comune che regola e controlla tutti gli altri sensi e senza il quale ognuno di noi resterebbe rinchiuso nella sua particolarità di dati sensibili, di per se inattendibili e ingannevoli. Solo perche abbiamo il senso comune, cioè solo perche gli uomini, e non un uomo solo, abitano la terra, possiamo fidarci dell'esperienza immediata dei nostri sensi.
Hannah Arendt  da Il pensiero secondo Pagine scelte  Rizzoli


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esperienza, arendt

giovedì, 29 novembre 2007

Ogni pensiero proviene dall'esperienza ***


Vedere è idèin, sapere è eidénai, cioè aver visto: prima si vede, poi si conosce. In termini più appropriati ai nostri scopi: ogni pensiero proviene dall'esperienza. H. Arendt: Il pensiero secondo Rizzoli

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esperienza, arendt

domenica, 04 novembre 2007


L’esperienza
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"Nessuno diventa uomo innanzi di aver fatto una grande esperienza di se, la quale rivelando lui a lui medesimo, e determinando l'opinione sua intorno a se stesso, determina in qualche modo la fortuna e lo stato suo nella vita."  
Giacomo Leopardi, Pensieri


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esperienza, leopardi

mercoledì, 10 ottobre 2007

Ragionevole
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«”Ragionevole”designa colui che sottomette la propria ragione all’esperienza»
JEAN GUITTON  


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ragione, esperienza, guitton


L'esperienza
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«L'esperienza è la modalità propria dell'esser-presente»
Martin Heidegger Sentieri interrotti Nuova Italia

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