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sabato 11 febbraio 2012

fabbri diego


Il miracolo per esserci la compagnia
*** 

ABBATE: Tutt’altro. Credo proprio che la vostra delusione derivi principalmente da questo: che v’aspettavate un miracolo, e non c’è stato – o non lo avete visto.
SERGIO (un po’ aspro); Ma no, vi sbagliate! I miracoli se li aspetta l’altra gente che viene quassù, non io. (Agitando la cartella di fogli) I miracoli ci sono qui, a centinaia, nella vostra storia manoscritta del Santuario – ma io non ne ho bisogno!
ABBATE: Vi private della parte migliore.
SERGIO: Ma neanche voi - penso ci credete veramente.
ABBATE: Io credo solamente ai miracoli.
SERGIO: Ma non a questi! Le guarigioni, le visioni...
ABBATE: Anche a quelli.
ABBATE: Tutti e tre andare ciecamente per la vita, e vi dico che v’ammazzerete sul serio una volta o l’altra perché avete implorato di essere lasciati soli!
ANGELA (urla): No! Io no! Io nooo!
RENATO (incalzante): Ma se voi la vedete così la nostra vita...
ABBATE: Una vita senza amore, senza coraggio – disperata.
RENATO: Diteci allora una parola che non sia solo di condanna.
ANGELA: Sì, diteci! Non lasciateci così... abbiate compassione!
ABBATE: Ne ho. Ne ho tanta.
RENATO: Non basta, Abbate. Mettetevi nei nostri panni...
SERGIO: Non giudicate soltanto.
RENATO: Che cosa dovremmo fare?
ANGELA: Diteci, che cosa?
ABBATE: Si tratta di scegliersi un’altra compagnia. Che credete! Stringi stringi, il problema di tutta la vita, per tutti, è solo questo: cercarsi, scegliersi una compagnia – vivere in compagnia. Non si riesce mica a star soli!
RENATO: Ma nessuno di noi vuol chiudersi in se stesso...
ABBATE: Lo so. Volete soltanto cambiar compagnia.
RENATO: Trovare finalmente la nostra – quella che ci appaga – la vera!
ABBATE (amaro): La vera...
RENATO: Se ci siamo ingannati una volta... – non è detto... – può accadere d’ingannarsi....Rimediamo...
ABBATE V’illudete. V’ingannerete un’altra volta ancora, e poi un’altra ancora... Perché nessuna compagnia, in fondo, ci va bene, ci soddisfa. Nessuna.
ANGELA:  (stupita): E lo dite voi?
ABBATE: Io, io - è vero. Una donna – dei figli – degli allievi – o la scienza, o l’arte – o il popolo da difendere... l’umanità intera da trasformare! Che credete: è tutta sete di compagnia. Eppure a un certo momento: macché! La bocca amara, lo scontento, il vuoto. Ci si accorge d’essersi sbagliati. Non era quella la cosa importante che volevamo fare... La cosa importante c’è sfuggita, si è come camuffata e c’è sfuggita... (Come meditando da solo) Certo che è un terribile imbroglio a voler proprio guardare in fondo alle cose. Perché – occorre pur che lo diciamo -, una vera compagnia non c’è. Eppure dobbiamo, dobbiamo stare insieme.
SERGIO (come prorompendo): Vedete che l’inganno viene di lassù, addirittura dal Creatore che si diverte di tutti quanti noi siamo! Ribelliamoci, allora!
ABBATE: Ribelliamoci pure! Ma che conta? I gesti un po’ clamorosi piacciono sempre, ma che conta?
ANGELA: Ma allora? Allora?
ABBATE: Allora è finita.
ANGELA (costernata): Neanche voi avete un po’ di speranza? Neanche voi, Abbate? Neanche voi?
ABBATE: Ci vorrebbe un miracolo...
ANGELA: Che miracolo?
ABBATE: (come accanendosi entro una contraddizione): Perché vivere in compagnia bisogna, è necessario...
ANGELA: Ma che cos’è che ci rende così ostili, così nemici l’uno all’altro? Che cos’è?
ABBATE: Ecco! Ecco! (Una sospensione) E’ che noi pretendiamo di cambiarci. Mi capite? Uno vuol cambiar l’altro e l’altro l’altro...e così via... L’origine di tutto il male è qui. Questa pretesa, questo diritto alla tirannia che crediamo d’avere... Noi non riusciamo a stare insieme da uguali. Il miracolo è tutto qui: riuscire ad accettarci come siamo – e ognuno rimanga quello che è...
RENATO: Non si può, Abbate, non si può; perché ognuno vuol convincere, vuol migliorare l’altro...
ABBATE: Eh, lo so, lo so bene: convincerlo, migliorarlo fino a violentarlo. E invece no! Non abbiamo alcun diritto di cambiarli. ( A Renato) Voi, non avevate e non avete alcun diritto di cambiarla... Chi ve l’aveva dato questo diritto? (Ad Angela) E lei non ha alcun dovere di chiedere perdono a voi... Perché perdono? (A Sergio) E lui con che diritto vuole inquietare gli uomini facendo il processo al Creatore? – “Io sono venuto per salvare, non per cambiare” E ognuno deve salvarsi così com’è, perché è vano tentar di cambiarlo. Vano e rovinoso – perché all’origine... all’origine - non abbiate paura – nessuno di noi può mutare... si rimane fino alla fine quel che si è, in fondo... Questo ci fa paura: l’abisso immutabile di quel che siamo – e il coraggio di accettarci così come siamo...Se non abbiamo questo coraggio, questa forza io vi dico che è la tirannia, la guerra eterna... - Ci vuole un miracolo, ci vuole!
ANGELA: Ma quale? Quale?
ABBATE: Chiamare tra noi Colui che ci ha fatti così. Solamente Lui può accettarci così come siamo perché è Lui che ci ha fatti così. Lui può amarci. Ecco rinascere la compagnia...

da Inquisizione
di Diego Fabbri



Postato da: giacabi a 20:11 | link | commenti
chiesa, amicizia, fabbri


domenica, 28 settembre 2008

LA SECONDA VENUTA
***
 di DIEGO FABBRI

Chi si trovi tra mezzogiorno e il tocco a passare per via delle Fornaci, vedrà scendere un po’ a saltelloni giù dal Gianicolo uno strano personaggio con un persistente sorriso sul volto dolce, ma un po’ sciocco. Sui trent’anni, scuro di pelle e nerissimo di capelli, con una barbetta alla nazzarena: richiama, in bruno, le bellezze un po’ oleografiche dei popolari Cristi biondi.
I ragazzi lo attorniano, e ci scherzano. Gli altri – specie le donne e i bottegai – gli danno qualcosa perché viva. A furia di vederlo passare – poiché io sto proprio da quelle parti – e di prestar orecchio al parlare della gente, ho raccolto molte voci sul suo conto; voci ricche d’ogni sorta di fantasiose piacevolezze che varrebbe forse la pena di raccontare. A ogni modo quello che colpisce profondamente, ogni volta che s’assiste a questo evangelico passaggio, è il rispetto di cui si rivestono sia la curiosità attenta dei più, sia il sorriso bonario e compassionevole di qualcun altro.
Quel personaggio un po’ sciocco e mattacchione ha una indubbia forza evocatrice: dà corpo a un’altra immagine; richiama un’altra presenza: quella sempre incombente e desiderata e – direi – quotidianamente aspettata del Cristo vero. Perché conviene ben dirlo senza alcun pudore, specie
in questi tempi così violentemente spudorati: se c’è un’attesa veramente sentita da tutti, un’attesa veramente popolare, è l’attesa di un miracolo, di un gran miracolo!
Tutti lo aspettiamo. E’ la sola cosa che ci rimane in mezzo a tante incertissime cose! E il più miracoloso dei miracoli sarebbe che Cristo tornasse, facesse un ‘altra apparizione.

La gente di questi tempi – pregando o imprecando – sembra dire: «Sei venuto una volta, ma nel mondo non è cambiato granchè. Come mai?». Tanto che ci prende perfino il dubbio, in certi giorni di scoraggiamento, che il programma cristiano non sia più vero, non sia più attuale. Allora ci perdiamo a guardare dentro noi stessi, e fuori di noi, nel mondo, nella società, nella storia. Siamo spinti dalla necessità di veder chiaro.
Non vorremmo essere vittima di un inganno, prolungato e sottile. Non vorremmo considerarci cristiani per un semplice fatto di eredità e di educazione cristiana. Rifacciamo, allora, la nostra storia; risaliamo su, fino alle prime intuizioni di Dio che avemmo, mescolate alle immagini dei volti cari che ce le suggerirono: nostra madre, un maestro…

No, non c’è dubbio – dobbiamo concludere - , il programma proposto quella volta da Cristo è assolutamente il più importante. Tutte le parole e i programmi che son venuti dopo, fino a oggi, non osano nemmeno aspirare al confronto con il programma cristiano come lo trovo enunciato nel Vangelo.
Come uomo, mi sento pienamente glorificato nel Vangelo; e con me sono glorificati gli altri, eguali a me, solidali con me: individui che ci facciamo popolo, insieme, senza confonderci. E Dio, che è il padre di questo popolo, continua ancora a chiamarci per nome a uno a uno. Perché allora questo meraviglioso programma non ha capovolto il mondo? Perché? Siamo delusi, mortificati. E, diciamolo pure, talvolta irritati.
Poiché – quello che è peggio – da allora, da quando tu, Cristo, sei venuto, ci hai messo nel cuore il dolce di certe speranze, di certe promesse che non possiamo più dimenticare; ci hai parlato di un regno che non possiamo rassegnarci a considerare perduto e tanto desiderabile…Se tu non fossi mai venuto…, ma tu sei venuto, invece!
Che è mai accaduto? Che cos’è che non abbiamo capito? Ci deve essere qualcosa di essenziale che non abbiamo capito. In che cosa ti abbiamo tradito?
Devo dire che questa idea del tradimento mi perseguita. Il fatto è così enorme che quando si tenta di spiegarlo, non si osa nemmeno per paura di sbagliare. Ma a furia di tacere e di aver paura di sbagliare si finisce per non accorgersi più della enormità del tradimento che è avvenuto e che avviene giorno per giorno sotto i nostri occhi. Allora bisogna aver coraggio e dire!
Forse, una cosa non è stata capita
: Cristo era venuto per salvare gli uomini, non per cambiarli. E invece tutti, ieri e oggi, i cosiddetti buoni e i cosiddetti cattivi, si sono affaticati con ogni sorta d’industrie, di diplomazie, di organizzazione di violenze di cambiare gli uomini.
E gli uomini, invece, non si cambiano: non si cambiano nel profondo del loro essere, in quello cioè che sono veramente. Nascono o biondi o bruni, gli uomini, e non c’è tintura che cambi il colore del loro pelo. Possiamo camuffarli con le tinture, non cambiarli. Mi pare che il grande, spaventoso equivoco consista proprio in questo: che noi vogliamo cambiarli invece di accettarli come sono; che noi preferiamo la strada della tirannia, tanto nel bene come nel male, anziché quella dell’amore. Noi pretendiamo, forse in buona fede, di sostituirci al Creatore, a Colui, cioè, che ha fatto gli uomini così, uno diverso dall’altro; noi pretendiamo di giudicare, di restaurare, di correggere. Siamo afflitti da uno spaventoso male di orgoglio.
Occorre, invece, accettare gli uomini – tutti - ; accettarli così come sono; e ognuno rimanga pure quello che è, in fondo, in sostanza. Rispettarli. Non si può violare la loro essenza, penetrare nel segreto misterioso e immutabile della loro sostanza. E’, tra l’altro, inutile. Quello che gli uomini devono sapere è che Cristo, un giorno, è veramente venuto e ha detto a tutti di essere fratelli. Prendere sul serio questo annuncio, come un comando
.

Gli uomini, se vogliono continuare a vivere, devono vivere insieme pur essendo diversi. Devono anche vivere in pace. Devono vivere in pace pur essendo diversi. Devono accettarsi nelle loro diversità. E’ ineluttabile, allora, chiamare Qualcuno che regoli i loro rapporti; e questo Qualcuno non può essere che l’autore delle connaturate diversità di tutti gli uomini; non può essere che colui che, creandoli, li fece così. Solamente questo grande Padre che ci ha generati in un certo modo ci potrà veramente comprendere e veramente amare.
E’ maturo il momento per dire questo agli uomini: unità nella diversità, comunità di uomini liberati sotto il segno di una superiore paternità. Il momento è vicino perché queste cose accadano!
«Di che avete paura, uomini di poca fede?». Tutto questo accadrà, poiché nonostante ogni apparenza, gli uomini di oggi – tutti, tutti – aspettano con un’ansia angosciosa soltanto una cosa: che il “discorso della montagna” finalmente si avveri. E’ il vero miracolo che da tempo aspettiamo.

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