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sabato 11 febbraio 2012

fallaci


Oriana Fallaci:
Lettera a un bambino mai nato
***


 


Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’é acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. Esistevi. E stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. Mi si é fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorta di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qui, chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. Cerca di capire: non é paura degli altri. Io non mi curo degli altri. Non é paura di Dio. Io non credo in Dio. Non è paura del dolore. Io non temo il dolore. E paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per agganciarti al mio ventre. Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho molto aspettato. Mi son
sempre posta l’atroce domanda: e se nascere non ti piacesse? E se un giorno tu me lo rimproverassi gridando
“Chi ti ha chiesto di mettermi al mondo, perché‚ mi ci hai messo, perché?”.
La vita é una tale fatica, bambino. E una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano un prezzo crudele. Come faccio a sapere che non sarebbe giusto buttarti via, come faccio a intuire che non vuoi essere restituito al silenzio? Non puoi mica parlarmi. La tua goccia di vita é soltanto un nodo di cellule appena iniziate. Forse non é nemmeno vita ma possibilità di vita. Eppure darei tanto perché‚ tu potessi aiutarmi con un cenno, un indizio. La mia mamma sostiene che glielo detti, che per questo mi mise al mondo.
La mia mamma, vedi, non mi voleva. Ero incominciata per sbaglio, in un attimo di altrui distrazione. E perché non nascessi ogni sera scioglieva nell’acqua una medicina. Poi la beveva, piangendo. La bevve fino alla sera in cui mi mossi, dentro il suo ventre, e le tirai un calcio per dirle di non buttarmi via. Lei stava portando il bicchiere alle labbra. Subito lo allontanò e ne rovesciò il contenuto per terra. Qualche mese dopo mi rotolavo vittoriosa nel sole, e se ci sia stato bene o male non so. Quando sono felice penso che sia stato bene, quando sono infelice penso che sia stato male. Perché, anche quando sono infelice, penso che mi dispiacerebbe non essere nata perché‚ nulla é peggiore del nulla. Io, te lo ripeto, non temo il dolore. Esso nasce con noi, cresce con noi, ad esso ci si abitua come al fatto d’avere due braccia e due gambe. Io, in fondo, non temo neanche di morire: perché‚ se uno muore vuol dire che é nato, che é uscito dal niente. Io temo il niente, il non esserci, il dover dire di non esserci stato, sia pure per caso, sia pure per sbaglio, sia pure per l’altrui distrazione. Molte donne si chiedono: mettere al mondo un figlio, perché‚? Perché‚ abbia fame, perché‚ abbia freddo, perché‚ venga tradito e offeso, perché‚ muoia ammazzato alla guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra. Forse hanno ragione
loro. Ma il niente é da preferirsi al soffrire? Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente. E se allargo questo alla vita, al dilemma nascere o non nascere, finisco con l’esclamare che nascere é meglio di non nascere. Tuttavia è lecito imporre tale ragionamento anche a te? Non é come metterti al mondo per me stessa e basta? Non mi interessa metterti al mondo per me stessa e basta. Tanto più che non ho affatto bisogno di te.
Sarai un uomo o una donna?

Vorrei che tu fossi una donna. Vorrei che tu provassi un giorno ciò che provo io: non sono affatto d’accordo con la mia mamma la quale pensa che nascere donna sia una disgrazia. La mia mamma, quando é molto infelice, sospira: Ah, se fossi nata uomo! Lo so: il nostro é un mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura é così antica che si estende perfino al linguaggio. Si dice uomo per dire uomo e donna, si dice bambino per dire bambino e bambina, si dice figlio per dire figlio e figlia, si dice omicidio per indicar l’assassinio di un uomo e di una donna. Nelle leggende che i maschi hanno inventato per spiegare la vita, la prima creatura non é una donna: é un uomo chiamato Adamo. Eva arriva dopo, per divertirlo e combinare guai. Nei dipinti che adornano le loro chiese, Dio é un vecchio con la barba: mai una vecchia coi capelli bianchi. E tutti i loro eroi sono maschi: da quel Prometeo che scoprì il fuoco a quell’Icaro che tentò di volare, su fino a quel Gesù che dichiarano figlio del Padre e dello Spirito Santo: quasi che la donna da cui fu partorito fosse un’incubatrice o una balia. Eppure, o proprio per questo, essere donna é così affascinante. E un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai.
Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna.
Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse una mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che urla d’essere ascoltata. Essere mamma non é un mestiere. Non é nemmeno un dovere. E solo un diritto fra tanti diritti. Faticherai tanto ad urlarlo. E spesso, quasi sempre, perderai. Ma non dovrai scoraggiarti. Battersi é molto più bello che vincere, viaggiare é molto più divertente che arrivare: quando sei arrivato o hai vinto, avverti un gran vuoto. E per superare quel vuoto devi metterti in viaggio di nuovo, crearti nuovi scopi. Sì, spero che tu sia una donna: non badare se ti chiamo bambino. E spero che tu non dica mai ciò che dice mia madre. Io non l’ho mai detto.
Ma se nascerai uomo io sarò contenta lo stesso. E forse di più perché‚ ti saranno risparmiate tante umiliazioni, tante servitù, tanti abusi. Se nascerai uomo, ad esempio, non dovrai temere d’essere violentato nel buio di una strada. Non dovrai servirti di un bel viso per essere accettato al primo sguardo, di un bel corpo per nascondere la tua intelligenza. Non subirai giudizi malvagi quando dormirai con chi ti piace, non ti sentirai dire che il peccato nacque il giorno in cui cogliesti una mela. Faticherai molto meno. Potrai batterti più comodamente per sostenere che, se Dio esistesse, potrebbe essere anche una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Potrai disubbidire senza venir deriso, amare senza svegliarti una notte con la sensazione di precipitare in un pozzo, difenderti senza finire insultato. Naturalmente ti toccheranno altre
schiavitù, altre ingiustizie: neanche per un uomo la vita é facile, sai. Poiché‚ avrai muscoli più saldi, ti chiederanno di portare fardelli più pesi, ti imporranno arbitrarie responsabilità Poiché‚ avrai la barba, rideranno se tu piangi e perfino se hai bisogno di tenerezza Poiché‚ avrai una coda davanti, ti ordineranno di uccidere o essere ucciso alla guerra ed esigeranno la tua complicità per tramandare la tirannia che instaurarono nelle caverne. Eppure, o proprio per questo, essere un uomo sarà un’avventura altrettanto meravigliosa: un’impresa che non ti deluderà mai. Almeno lo spero perché‚, se nascerai uomo, spero che sarai un uomo come io l’ho sempre sognato: dolce coi deboli, feroce coi prepotenti, generoso con chi ti vuol bene, spietato con chi ti comanda. Infine, nemico di chiunque racconti che i Gesù sono figli del Padre e dello Spirito Santo: non della donna che li partorì.

Bambino, io sto cercando di spiegarti che essere un uomo non significa avere una coda davanti: significa essere una persona. E anzitutto, a me, interessa che tu sia una persona. E una parola stupenda, la parola persona, perché‚ non pone limiti a un uomo o a una donna, non traccia frontiere tra chi ha la coda e chi non ce l’ha. Del resto il filo che divide chi ha la coda da chi non ce l’ha, é un filo talmente sottile: in pratica si riduce alla facoltà di maturare o no una creatura nel ventre. Il cuore e il cervello non hanno sesso. Nemmeno il comportamento. Se sarai una persona di cuore e di cervello, ricordalo, io non starò certo tra quelli che ti ingiungeranno di comportarti in un modo o nell’altro in quanto maschio o femmina. Ti chiederò solo di sfruttare bene il miracolo d’essere nato, di non cedere mai alla viltà. E una bestia che sta sempre in agguato, la viltà. Ci morde tutti, ogni giorno, e son pochi coloro che non si lasciano sbranare da lei. In nome della prudenza, in nome della convenienza, a volte della saggezza. Vili fino a quando un rischio li minaccia, gli umani diventano spavaldi dopo che il rischio é passato. Non dovrai evitare il rischio, mai: anche se la paura ti frena. Venire al mondo é già un rischio. Quello di pentirsi, poi, d’esser venuti.

Al posto della paura, io sento una specie di malinconia, una specie di dispiacere che offusca perfino il mio senso dell’umorismo. Mi dispiace morire, si. E non dimentico mai ciò che Anna Magnani mi disse tanti anni fa:
Oriana mia, non è giusto morire, visto che siamo nati.
Non dimentico neanche che quest’ingiustizia è toccata a miliardi e miliardi di esseri umani prima di me, che toccherà a miliardi e miliardi di esseri umani dopo di me. Però mi dispiace lo stesso. L’amo con passione la vita, mi spiego? Sono troppo convinta che la vita sia bella anche quando è brutta, che nascere sia il miracolo dei miracoli, vivere: il regalo dei regali. Anche se si tratta d’un regalo molto complicato, molto faticoso, a volte doloroso. E con la stessa passione odio la morte. La odio più di una persona da odiare e verso chi ne ha il culto provo un profondo disprezzo. Io non la capisco la morte, capisco soltanto che fa parte della vita, e che senza lo spreco che chiamo morte…non ci sarebbe la vita.

Postato da: giacabi a 21:00 | link | commenti
aborto, fallaci

venerdì, 07 ottobre 2011

il dolore dell’anima
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Incredibile come il dolore dell’anima non venga capito.
Se ti becchi una pallottola o una scheggia
si mettono subito a strillare: “presto barellieri il plasma”,
se ti rompi una gamba te la ingessano,
se hai la gola infiammata ti danno le medicine.

Se hai il cuore a pezzi
e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece,
non se ne accorgono neanche.
Eppure il dolore dell’anima
è una malattia molto più grave della gamba rotta
e della gola infiammata,
le sue ferite sono assai più profonde e pericolose
di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia.
Sono ferite che non guariscono, quelle,
ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.


[Oriana Fallaci]
***
" Quando gridano:
"Un uomo in mare!"
il transatlantico, grande come una casa,
si ferma all'improvviso
e l'uomo

lo pescano con l'anima dell'uomo,
quand'egli affoga
dall'orrore
e dalla disperazion
e funi.
Ma quando
fuori bordo è l'
anima dell'uomo
nemmeno la sua propria casa
si ferma,
ma s'allontana."


S. Cudakov, "Quando gridano..", in AA.VV:, Testi letterari e poesia. Da riviste clandestine dell'URSS,Jaca Book,Milano1966, p.43

Postato da: giacabi a 14:34 | link | commenti
fallaci

venerdì, 22 luglio 2011

La vita È un mistero da vivere
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È come chiedermi se esiste la formula della Vita... Le risponderò dunque con una frase straordinaria che mi capitò di udire mentre guardavo con occhi distratti il brano d'un film. Straordinaria, sì. Così straordinaria che mi piacerebbe sapere se si trattava d'un famoso aforisma uscito dalla mente d'un grande filosofo oppure d'una semplice battuta uscita dalla penna d'uno sceneggiatore geniale. Eccola: "La vita non è un problema da risolvere. È un mistero da vivere".[8] Lo è, caro amico, lo è. Credo che nessuno possa sostenere il contrario. Quindi la formula esiste. Sta in una parola. Una semplice parola che qui si pronuncia ad ogni pretesto, che non promette nulla, che spiega tutto, e che in ogni caso aiuta: Insciallah. Come Dio vuole, come a Dio piace, Insciallah.
***
Ogni persona libera, ogni giornalista libero, deve essere pronto a riconoscere la verità ovunque essa sia. E se non lo fa è, (nell'ordine): un imbecille, un disonesto, un fanatico. Il fanatismo è il primo nemico della libertà di pensiero. E a questo credo io mi piegherò sempre, per questo credo io pagherò sempre: ignorando orgogliosamente chi non capisce o chi per i suoi interessi e le sue ideologie finge di non capire.
(dalla lettera agli studenti della scuola Rosselli di Marina di Carrara, 8 maggio 1975; da Quotidiano.net, 27 ottobre 2006)

Postato da: giacabi a 22:45 | link | commenti
fallaci


Difendete il vostro io
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Lottate, ragionate col vostro cevello, ricordate che ciascuno è qualcuno, un individuo prezioso, responsabile artefice di se stesso, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà, la libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere..

[Un uomo, Oriana Fallaci]
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Ogni rivoluzione contiene in sé i germi di ciò che ha abbattuto e col tempo si dimostra il proseguimento di ciò che ha abbattuto. Da ogni rivoluzione nasce o rinasce un impero. Guarda quella francese, l'esempio che ha avvelenato il mondo con le sue bugie Liberté-Egalité-Fraternité. Fiumi di sangue e di sogni, mari di atrocità e di chimere, e poi?
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Il grande malanno del nostro tempo si chiama ideologia e i portatori del suo contagio sono gli intellettuali stupidi.
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Molti intellettuali credono che essere intellettuali significhi enunciare ideologie, o elaborarle, manipolarle, e poi sposarle per interpretare la vita secondo formule e verità assolute. Questo senza curarsi della realtà, dell'uomo, di loro stessi, cioè senza voler ammettere che essi stessi non sono fatti solo di cervello: hanno anche un cuore o qualcosa che assomiglia a un cuore, e un intestino e uno sfintere, quindi sentimenti e bisogni estranei all'intelligenza, non controllabili dall'intelligenza. Questi intellettuali non sono intelligenti, sono stupidi, e in ultima analisi non sono neanche intellettuali ma sacerdoti di una ideologia.
Oriana Fallaci

Postato da: giacabi a 22:23 | link | commenti
fallaci, ideologia

mercoledì, 25 maggio 2011
Oriana Fallaci - Io, atea, vi spiego cosa furono le Crociate

Oriana Fallaci - Io, atea, vi spiego cosa furono le Crociate

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pubblicata da Papa Benedetto XVI il giorno domenica 22 maggio 2011 alle ore 23.59
"Non mi piace dire che Troia brucia, che l’Europa è ormai una provincia anzi una colonia dell’Islam e l’Italia un avamposto di quella provincia, un caposaldo di quella colonia. Dirlo equivale ad ammettere che le Cassandre parlano davvero al vento, che nonostante le loro grida di dolore i ciechi rimangono ciechi, i sordi rimangono sordi, le coscienze svegliate si riaddormentano presto e i Mastri Cecchi muoiono per nulla. Ma la verità è proprio questa. Dallo Stretto di Gibilterra ai fiordi di Serey, dalle scogliere di Dover alle spiagge di Lampedusa, dalle steppe di Volgograd alle vallate della Loira e alle colline della Toscana, l’incendio divampa. In ogni nostra città v’è una seconda città. Una città sovrapposta ed uguale a quella che negli Anni Settanta i palestinesi crearono a Beirut installando uno Stato dentro lo Stato, un governo dentro il governo. Una città mussulmana, una città governata dal Corano. Una tappa dell’espansionismo islamico. Quell’espansionismo che nessuno è mai riuscito a superare. Nessuno. Neanche i persiani di Ciro il Grande. Neanche i macedoni di Alessandro Magno. Neanche i romani di Giulio Cesare. Neanche i francesi di Napoleone. Perché è l’unica arte nella quale i figli di Allah hanno sempre eccelso, l’arte di invadere, conquistare, soggiogare. La loro preda più ambita è sempre stata l’Europa, il mondo cristiano, e vogliamo darci un’occhiata a quella Storia che oggi si vorrebbe cancellare? 

Fu nel 635 d.C. cioè tre anni dopo la morte di Maometto che gli eserciti della Mezzaluna invasero la cristiana Siria e la cristiana Palestina. Fu nel 638 che si presero Gerusalemme e il Santo Sepolcro. Fu nel 640 che conquistata la Persia e l’Armenia e la Mesopotamia ossia l’attuale Iraq invasero il cristiano Egitto e dilagarono nel cristiano Maghreb cioè in Tunisia e in Algeria e in Marocco. Fu nel 668 che per la prima volta attaccarono Costantinopoli, le imposero un assedio di cinque anni. Fu nel 711 che attraversato lo Stretto di Gibilterra sbarcarono nella cattolicissima Penisola Iberica, s’impossessarono del Portogallo e della Spagna dove nonostante i Pelayo e i Cid Campeador e i vari sovrani impegnati nella “Reconquista” rimasero per ben otto secoli. E chi crede al mito della «pacifica convivenza» che secondo i collaborazionisti caratterizzava i rapporti tra conquistati e conquistatori farebbe bene a rileggersi le storie dei conventi e dei monasteri bruciati, delle chiese profanate, delle monache stuprate, delle donne cristiane o ebree rapite per essere chiuse negli harem. Farebbe bene a riflettere sulle crocifissioni di Cordova, sulle impiccagioni di Granada, sulle decapitazioni di Toledo e di Barcellona, di Siviglia e di Zamora. Quelle di Siviglia, volute da Mutamid, il re che con le teste mozze adornava i giardini del suo palazzo.  Quelle di Zamora, da Almanzor: il visir definito il-mecenate-dei-fìlosofì, il più grande leader che la Spagna Islamica abbia mai prodotto. Cristo! A invocare il nome di Gesù o della Madonna si finiva subito giustiziati. Crocifissi, appunto, o decapitati o impiccati. E a volte impalati. A suonare le campane, lo stesso. A indossare un indumento verde, colore dell’Islam, idem. E al passaggio d’un mussulmano i cani-infedeli dovevano farsi da parte, inchinarsi. Se il mussulmano li aggrediva o li insultava, non potevano ribellarsi. Quanto al particolare che i cani-infedeli non avessero l’obbligo di convertirsi all’Islam, sai a cosa era dovuto? Al fatto che i convertiti non pagassero le tasse. I cani-infedeli, invece, sì. Dalla Spagna nel 721 passarono alla non meno cattolica Francia. Guidati da Abd al-Rahman, il governatore dell’Andalusia, varcarono i Pirenei, presero Narbonne. Vi massacrarono tutta la popolazione maschile, ridussero in schiavitù tutte le donne e tutti i bambini poi proseguirono per Carcassonne. Da Carcassonne passarono a Nimes dove fecero strage di monache e frati. Da Nimes passarono a Lione e a Digione dove razziarono ogni singola chiesa, e sai quanto durò il loro avanzare in Francia? Undici anni. A ondate. Nel 731 un’ondata di trecentottantamila fanti e sedicimila cavalieri arrivò a Bordeaux che si arrese immediatamente. Da Bordeaux si portò a Poitiers poi a Tours, e se nel 732 Carlo Martello non avesse vinto la battaglia di Poitiers oggi anche i francesi indosserebbero burqua e turbante. Nell’827 sbarcarono in Sicilia, altro bersaglio delle loro bramosie. Al solito massacrando e profanando conquistarono Siracusa e Taormina, Messina poi Palermo, e in tre quarti di secolo (tanti ce ne vollero per piegare la fiera resistenza dei siciliani) la islamizzarono. Vi rimasero oltre due secoli e mezzo, cioè fin quando vennero sloggiati dai Normanni, ma nell’836 sbarcarono a Brindisi. Nell’840, a Bari. E islamizzarono anche la Puglia.
Nell’841 sbarcarono ad Ancona. Poi dall’Adriatico si riportarono nel Tirreno e durante l’estate dell’846 sbarcarono ad Ostia. La saccheggiarono, la incendiarono, e risalendo le foci del Tevere giunsero a Roma, la città santa, la Sede di Pietro. La misero sotto assedio e una notte vi irruppero. Sfregiarono e depredarono le basiliche di San Pietro e di San Paolo, saccheggiarono tutto il saccheggiabile. Per liberarsene, Papa Sergio II dovette impegnarsi a versargli un tributo annuo di 25 mila monete d’argento. Per prevenire altri attacchi, il suo successore Leone IV dovette realizzare le mura leonine. Abbandonata Roma, però, si piazzarono in Campania. Vi restarono settant’anni distruggendo Montecassino e tormentando Salerno. Città nella quale, a un certo punto, si divertivano a sacrificare ogni notte la verginità di una monaca, sempre diversa. Sai dove? Sull’altare della cattedrale. Nell’898, invece, sbarcarono in Provenza. Per l’esattezza, nell’odierna Saint-Tropez. Vi si stabilirono, e nel 911 varcarono le Alpi per entrare in Piemonte. Occuparono Torino e Casale, dettero fuoco alle chiese e alle biblioteche, ammazzarono migliaia di cristiani, poi passarono in Svizzera. Raggiunsero la valle dei Grigioni e il lago di Ginevra, poi scoraggiati dalla neve fecero dietro-front. Tornarono nella calda Provenza, nel 940 occuparono Tolone e... Oggi è di moda battersi il petto per le Crociate, biasimare l’Occidente per le Crociate, vedere nelle Crociate un’ingiustizia commessa ai danni dei poveri mussulmani innocenti. Ma prima d’essere una serie di spedizioni per rientrare in possesso del Santo Sepolcro (che prima della conquista mussulmana era –ricordiamolo- territorio cristiano e appartenente ai cristiani), le Crociate furono la risposta a quattro secoli di invasioni occupazioni angherie carneficine. Quando nella Seconda guerra mondiale i tedeschi vennero a prendersi l’Italia, mio padre e gli altri partigiani mi insegnarono che quando qualcuno si impadronisce con la forza di ciò che non gli appartiene, tu devi fartelo restituire, anche con le armi, se le parole non bastano. Se poi questo qualcuno viene anche a fare pulizia etnica, ad ammazzare i tuoi fratelli, allora non ti resta che ricambiarlo con la stessa carta, se vuoi sopravvivere. Cosa fecero, se non questo, gli odiati crociati mille anni fa? Tentarono di riprendersi le loro terre, di salvare i loro fratelli cristiani, di difendere le loro chiese. Nulla di più. E non ci riuscirono neppure. Cosicché i figli di Allah ammazzarono tutti e presero tutto. Si riuscì a bloccarli solo in Europa, e neppure bene. Se oggi abbiamo la libertà, lo dobbiamo anche e soprattutto a quei crociati, che si fecero massacrare per proteggere un’Europa cristiana e libera, per garantirci quella libertà che oggi vigliaccamente abusiamo per condannarli. Le crociate furono una controffensiva per bloccare l’espansionismo islamico in Europa. Per deviarlo, (mors tua vita mea), verso l’Oriente. Verso l’India, l’Indonesia, la Cina, il continente africano, nonché la Russia e la Siberia dove i Tartari convertiti all’Islam stavano già portando il Corano. Concluse le Crociate, infatti, i figli di Allah ripresero a seviziarci come prima e più di prima. Ad opera dei turchi, stavolta, che si accingevano a partorire l’Impero Ottomano. Un impero che fino al 1700 avrebbe condensato sull’Occidente tutta la sua ingordigia, la sua voracità, e trasformato l’Europa nel suo campo di battaglia preferito. Interpreti e portatori di quella voracità, i famosi giannizzeri che ancor oggi arricchiscono il nostro linguaggio col sinonimo di sicario o fanatico o assassino. Ma sai chi erano in realtà i giannizzeri? Le truppe scelte dell’Impero. I super-soldati capaci di immolarsi quanto di combattere, massacrare, saccheggiare. Sai dove venivano reclutati o meglio sequestrati? Nei paesi sottomessi all’Impero. In Grecia, per esempio, o in Bulgaria, in Romania, in Ungheria, in Albania, in Serbia, e a volte anche in Italia. Lungo le coste battute dai pirati. Li sequestravano all’età di dieci o undici o dodici anni, scegliendoli tra i primogeniti più belli e più forti delle buone famiglie. Dopo averli convertiti li chiudevano nelle loro caserme e qui, proibendogli di sposarsi e d’avere qualsiasi tipo di rapporto amoroso o affettivo, (incoraggiato, al contrario, lo stupro), li indottrinavano come neanche Hitler sarebbe riuscito a indottrinare le sue Waffen SS. Li trasformavano nella più formidabile macchina da guerra che il mondo avesse mai visto dal tempo degli antichi romani.  Nel 1356, cioè ottantaquattr'anni dopo l'Ottava Crociata, i turchi si beccarono Gallipoli cioè la penisola che per cento chilometri si estende lungo la riva settentrionale dei Dardanelli. Da lì partirono alla conquista dell'Europa sud-orientale e in un batter d'occhio invasero la Tracia, la Macedonia, l'Albania. Piegarono la Grande Serbia, e con un altro assedio di cinque anni paralizzarono Costantinopoli ormai del tutto isolata dal resto dell'Occidente. Nel 1396 si fermarono, è vero, per fronteggiare i Mongoli (a loro volta islamizzati), però nel 1430 riesumarono la marcia occupando la veneziana Salonicco. Travolgendo i cristiani a Vama nel 1444 si assicurarono il possesso della Valacchia, della Moldavia, della Transilvania, insomma dell'intero territorio che oggi si chiama Bulgaria e Romania, e nel 1453 assediarono di nuovo Costantinopoli che il 29 maggio cadde in mano a Maometto II. Una belva che in virtù dell'islamica Legge sul Fratricidio (legge che per ragioni dinastiche autorizzava un sultano ad assassinare i familiari più stretti) era salita al trono strozzando il fratellino di tre anni. E a proposito: conosci il racconto che sulla caduta di Costantinopoli ci ha lasciato lo scrivano Phrantzes? Forse no. Nell'Europa che piange soltanto per i mussulmani, mai per i cristiani o gli ebrei o i buddisti o gli induisti, non sarebbe Politically Correct conoscere i dettagli sulla caduta di Costantinopoli... Gli abitanti che al calar della sera cioè mentre Maometto II cannoneggia le mura di Teodosio si rifugiano nella cattedrale di Santa Sofia e qui si mettono a cantare i salmi, a invocare la misericordia divina. Il patriarca che a lume delle candele celebra l'ultima Messa e per rincuorare i più terrorizzati grida: «Non abbiate paura! Domani sarete nel Regno dei Cieli e i vostri nomi sopravvivranno fino alla notte dei tempi!». I bambini che piangono, le mamme che singhiozzano: «Zitto, figlio, zitto! Moriamo per la nostra fede in Gesù Cristo! Moriamo per il nostro imperatore Costantino XI, per la nostra patria!». Le truppe ottomane che suonando i tamburi entrano dalle brecce delle mura crollate, travolgono i difensori genovesi e veneziani e spagnoli, a colpi di scimitarra li massacrano tutti, poi irrompono nella cattedrale e decapitano perfino i neonati. Con le loro testine spengono i ceri... Durò dall'alba al pomeriggio, la strage. Si placò solo al momento in cui il Gran Visir sali sul pulpito di Santa Sofia e ai massacratori disse: «Riposatevi. Ora questo tempio appartiene ad Allah». Intanto la città bruciava. La soldataglia crucifiggeva e impalava. I giannizzeri violentavano e poi sgozzavano le monache (quattromila in poche ore) oppure incatenavano le persone sopravvissute per venderle al mercato di Ankara. E i cortigiani preparavano il Pranzo della Vittoria. Quel pranzo durante il quale (in barba al Profeta) Maometto II si ubriacò con i vini di Cipro, e avendo un debole pei giovinetti si fece portare il primogenito del granduca greco-ortodosso Notaras. Un quattordicenne noto per la sua bellezza. Dinanzi a tutti lo stuprò, e dopo averlo stuprato si fece portare gli altri Notaras. I suoi genitori, i suoi nonni, i suoi zii, i suoi cugini. Dinanzi a lui li decapitò. Uno ad uno. Fece anche distruggere tutti gli altari, fondere tutte le campane, trasformare tutte le chiese in moschee o bazaar. Eh, sì. Fu a questo modo che Costantinopoli divenne Istambul. Che i Fra' Accursio dell'Onu vogliano sentirselo dire o no. Tre anni dopo e cioè nel 1456 conquistarono Atene dove, di nuovo, Maometto II trasformò in moschee tutte le chiese e gli antichi edifici. Con la conquista di Atene completarono l'invasione della Grecia che avrebbero tenuto cioè rovinato per ben quattrocento anni, quindi attaccarono la Repubblica di Venezia che nel 1476 se li ritrovò anche dentro il Friuli poi nella vallata dell'Isonzo. E ciò che accadde il secolo successivo non è meno agghiacciante. Perché nel 1512 sul trono dell'Impero Ottomano salì Selim il Sanguinario. Sempre in virtù della Legge sul Fratricidio ci salì strozzando due fratelli più cinque nipoti più vari califfi nonché un numero imprecisato di visir, e da tal individuo nacque colui che voleva fare lo Stato Islamico d'Europa: Solimano il Magnifico. Appena incoronato, infatti, il Magnifico allestì un'armata di quasi quattrocentomila uomini e trentamila cammelli più quarantamila cavalli e trecento cannoni. Dalla ormai islamizzata Romania nel 1526 si portò nella cattolica Ungheria e nonostante l'eroismo dei difensori ne disintegrò l'esercito in meno di quarantotto ore. Poi raggiunse Buda, oggi Budapest. La dette alle fiamme, completò l'occupazione, e indovina quanti ungheresi (uomini e donne e bambini) finirono subito al mercato degli schiavi che ora caratterizzava Istambul. Centomila. Indovina quanti finirono, l'anno seguente, nei mercati che competevano con quello di Istambul cioè nei bazaar di Damasco e di Bagdad e del Cairo e di Algeri. Tre milioni. Ma neanche questo gli bastò. Per realizzar lo Stato Islamico d'Europa, infatti, allestì una seconda armata con altri quattrocento cannoni e nel 1529 dall'Ungheria si portò in Austria. L'ultracattolica Austria che ormai veniva considerata il baluardo della Cristianità. Non riuscì a conquistarla, d'accordo. Dopo cinque settimane di inutili assalti preferì ritirarsi. Ma ritirandosi massacrò trentamila contadini che non gli meritava di vendere a Istambul o a Damasco o a Bagdad o al Cairo o ad Algeri perché il prezzo degli schiavi era troppo calato a causa di quei tre milioni e centomila ungheresi, e appena rientrato affidò la riforma della flotta al famoso pirata Khayr al-Din detto il Barbarossa. La riforma gli consentì di rendere il Mediterraneo un feudo acqueo dell'Islam sicché, dopo aver spento una congiura di palazzo facendo strangolare il primo e il secondo figlio più i loro sei bambini cioè i suoi nipotini, nel 1565 si buttò sulla roccaforte cristiana di Malta. E non servì a nulla che nel 1566 morisse d'infarto cardiaco. Non servì perché al trono ci salì il suo terzo figlio. Noto, lui, non con l'appellativo di Magnifico bensì di Ubriacone. E fu proprio sotto Selim l'Ubriacone che nel 1571 il generale Lala Mustafa conquistò la cristianissima Cipro. Qui commise una delle infamie più vergognose di cui la cosiddetta Cultura-Superiore si sia mai infangata. Il martirio del patrizio veneziano Marcantonio Bragadino, governatore dell'isola. Come lo storico Paul Fregosi ci racconta nel suo straordinario libro «Jihad», dopo aver firmato la resa Bragadino si recò infatti da Lala Mustafa per discutere i termini della futura pace. Ed essendo uomo ligio alla forma vi si recò in gran pompa. Cioè a cavallo d'un destriere squisitamente bardato, indossando la toga viola del Senato, nonché scortato da quaranta archibugieri in alta uniforme e dal bellissimo paggio Antonio Quirini (il figlio dell'ammiraglio Quirini) che gli teneva sul capo un prezioso parasole. Ma di pace non si parlò davvero. Perché in base al piano già stabilito i giannizzeri sequestraron subito il paggio Antonio per chiuderlo nel serraglio di Lala Mustafa che i giovinetti li deflorava ancor più volentieri di Maometto II, poi circondarono i quaranta archibugieri e a colpi di scimitarra li fecero a pezzi. Letteralmente a pezzi. Infine disarcionarono Bragadino, seduta stante gli tagliarono il naso poi le orecchie e così mutilato lo costrinsero a inginocchiarsi dinanzi al vincitore che lo condannò ad essere spellato vivo. L'esecuzione avvenne tredici giorni dopo, alla presenza di tutti i ciprioti cui era stato ingiunto d'assistere. Mentre i giannizzeri schernivano il suo volto senza naso e senza orecchie Bragadino dovette far ripetutamente il giro della città trascinando sacchi di spazzatura, nonché leccar la terra ogni volta che passava dinanzi a Lala Mustafa. Morì mentre lo spellavano. E con la sua cute imbottita di paglia Lala Mustafa ordinò di fabbricare un fantoccio che messo a cavalcioni d'una vacca girò un'altra volta intorno alla città quindi venne issato sul pennone principale della nave ammiraglia. A gloria dell'Islam. Del resto non servì nemmeno che il 7 ottobre dello stesso anno i veneziani furibondi ed alleati con la Spagna, il papato, Genova, Firenze, Torino, Parma, Mantova, Lucca, Ferrara, Urbino e Malta sconfiggessero la flotta di Ali Pascià nella battaglia navale di Lepanto. Ormai l'Impero Ottomano era arrivato all'apice della potenza, e coi sultani successivi l'attacco al continente europeo proseguì indisturbato. Arrivò sino alla Polonia dove le sue orde entrarono ben due volte: nel 1621 e nel 1672. Il loro sogno di stabilire lo Stato Islamico d'Europa si sarebbe bloccato soltanto nel 1683 quando il Gran Visir Kara Mustafa mise insieme mezzo milione di soldati, mille cannoni, quarantamila cavalli, ventimila cammelli, ventimila elefanti, ventimila bufali, ventimila muli, ventimila tra vacche e tori, diecimila tra pecore e capre, nonché centomila sacchi di granturco, cinquantamila sacchi di caffè, un centinaio tra mogli e concubine, e accompagnato da tutta quella roba entrò di nuovo in Austria. Rizzando un immenso accampamento (venticinquemila tende più la sua, munita di struzzi e di fontane) di nuovo mise Vienna sotto assedio. Il fatto è che a quel tempo gli europei erano più intelligenti di quanto lo siano oggi, ed esclusi i francesi del Re Sole (che col nemico aveva firmato un trattato di alleanza ma agli austriaci aveva promesso di non attaccare) tutti corsero a difendere la città considerata il baluardo del Cristianesimo. Tutti. Inglesi, spagnoli, tedeschi, ucraini, polacchi, genovesi, veneziani, toscani, piemontesi, papalini. Il 12 settembre riportarono la straordinaria vittoria che costrinse Kara Mustafa a fuggire abbandonando anche i cammelli, gli elefanti, le mogli, le concubine sgozzate, e... Guarda, l'attuale invasione dell'Europa non è che un altro aspetto di quell'espansionismo. Più subdolo, però. Più infido. Perché a caratterizzarlo stavolta non sono i Kara Mustafa e i Lala Mustafa e gli Alì Pascià e i Solimano il Magnifico e i giannizzeri. O meglio: non sono soltanto i Bin Laden, i Saddam Hussein, gli Arafat, gli sceicchi Yassin, i terroristi che saltano in aria coi grattacieli o gli autobus. Sono anche gli immigrati che s'installano a casa nostra, e che senza alcun rispetto per le nostre leggi ci impongono le loro idee. Le loro usanze, il loro Dio. Sai quanti di loro vivono nel continente europeo cioè nel tratto che va dalla costa Atlantica alla catena degli Urali? Circa cinquantatre milioni. Dentro l'Unione Europea, circa diciotto. (Ma c'è chi dice venti). Fuori dell'Unione Europea, dunque, trentacinque. Il che include la Svizzera dove sono oltre il dieci per cento della popolazione, la Russia dove sono il dieci e mezzo per cento, la Georgia dove sono il dodici per cento, l'isola di Malta dove sono il tredici per cento, la Bulgaria dove sono il quindici per cento. E il diciotto a Cipro, il diciannove in Serbia, il trenta in Macedonia, il sessanta in Bosnia-Erzegovina, il novanta in Albania, il novantatre e mezzo in Azerbaigian. Scarseggiano soltanto in Portogallo dove sono lo 0,50 per cento, in Ucraina dove sono lo 0,45 per cento, in Lettonia dove sono lo 0,38 per cento, in Slovacchia dove sono lo 0,19 per cento, in Lituania dove sono lo 0,14 per cento. E in Islanda dove sono lo 0,04 per cento. Beati gli islandesi. Però ovunque (anche in Islanda) aumentano a vista d'occhio. E non solo perché l'invasione procede in maniera implacabile ma perché i mussulmani costituiscono il gruppo etnico e religioso più prolifico del mondo. Caratteristica favorita dalla poligamia e dal fatto che in una donna il Corano veda anzitutto un ventre per partorire. Si rischia la morte civile, a toccar quest'argomento. Nell'Europa soggiogata, il tema della fertilità islamica è un tabù che nessuno osa sfidare. Se ci provi, finisci dritto in tribunale per razzismo-xenofobia-blasfemia. Non a caso tra i capi d'accusa del processo che subii a Parigi v'era una frase (brutale, ne convengo, ma esatta) con cui m'ero tradotta in francese. «Ils se multiplient comme les rats. Si riproducono come topi».

Ma nessun processo liberticida potrà mai negare ciò di cui essi stessi si vantano. Ossia il fatto che nell'ultimo mezzo secolo i mussulmani siano cresciuti del 235 per cento. (I cristiani solo del 47 per cento). Che nel 1996 fossero un miliardo e 483 milioni. Nel 2001, un miliardo e 624 milioni. Nel 2002, un miliardo e 657 milioni. (Del 2003 mancano ancora i dati ma suppongo che al ritmo di trentatré milioni per anno siano diventati almeno un miliardo e 690 milioni). Nessun giudice liberticida potrà mai ignorare i dati, forniti dall'Onu, che ai mussulmani attribuiscono un tasso di crescita oscillante tra il 4,60 e il 6,40 per cento all'anno. (I cristiani, solo l'I e 40 per cento). Per crederci basta ricordare che le regioni più densamente popolate dell'ex-Unione Sovietica sono quelle mussulmane, incominciando dalla Cecenia. Che negli Anni Sessanta i mussulmani del Kossovo erano il 60 per cento. Negli Anni Novanta, il 90 per cento. Ed oggi, il cento per cento. Nessuna legge liberticida potrà mai smentire che proprio grazie a quella travolgente fertilità negli Anni Settanta e Ottanta gli sciiti abbiano potuto impossessarsi di Beirut, spodestare la maggioranza cristiano-maronita. Tantomeno potrà negare che nell'Unione Europea i neonati mussulmani siano ogni anno il dieci per cento, che a Bruxelles raggiungano il trenta per cento, a Marsiglia il sessanta per cento, e che in varie città italiane la percentuale stia salendo drammaticamente. Sicché nel 2015 gli attuali cinquecentomila nipotini di Allah saranno, in Italia, almeno un milione. Ma, soprattutto, basta ricordare ciò che Boumedienne (non un folle qualsiasi, ma il presidente dell'Algeria) disse nel 1974 dinanzi all'Assemblea delle Nazioni Unite: «Un giorno milioni di uomini abbandoneranno l'emisfero sud per irrompere nell'emisfero nord. E non certo da amici. Perché vi irromperanno per conquistarlo. E lo conquisteranno popolandolo coi loro figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria». Non disse una cosa nuova. Tantomeno una cosa geniale. La Politica del Ventre cioè la strategia di esportare esseri umani e farli figliare in abbondanza è sempre stato il sistema più semplice e più sicuro per impossessarsi di un territorio, dominare un paese, sostituirsi a un popolo o soggiogarlo. E dall'Ottavo Secolo in poi l'espansionismo islamico s'è sempre svolto all'ombra di questa strategia. Non di rado, attraverso lo stupro o il concubinaggio. Pensa a quel che i suoi guerrieri e le sue truppe di occupazione facevano in Andalusia, in Albania, in Serbia, in Moldavia, in Bulgaria, in Romania, in Ungheria, in Russia. Ed anche in Sicilia, in Sardegna, in Puglia, in Provenza. Anche in Kashmir, in India. Per non parlar dell'Africa. Incominciando dall'Egitto e dall'intero Maghreb. Però con la decadenza dell'Impero Ottomano la Politica del Ventre aveva perso brio, e il discorso di Boumedienne fu come uno squillo di tromba che scuote gli immemori. Lo stesso anno, infatti, l'Organizzazione della Conferenza Islamica chiuse il convegno di Labore con una delibera che includeva il progetto di trasformare il flusso degli immigrati nel continente europeo (a quel tempo un flusso modesto) in «preponderanza demografica». Ed oggi quel progetto è un precetto. In tutte le moschee d'Europa la preghiera del venerdì è accompagnata dall'esortazione che pungola le donne mussulmane a «partorire almeno cinque figli ciascuna». Bè, cinque figli non sono pochi. Nel caso dell'immigrato con due mogli, diventano dieci. O almeno dieci. Nel caso dell'immigrato con tre mogli, diventano quindici. O almeno quindici. E non dirmi che da noi la poligamia è proibita, sennò il mio sdegno cresce e ti rammento che se sei un bigamo italiano o francese o inglese eccetera vai dritto in galera. Ma se sei un bigamo algerino o marocchino o pakistano o sudanese o senegalese eccetera, nessuno ti torce un capello. Nel 1993 la Francia emanò una legge che bandiva l'immigrazione dei poligami e autorizzava l'espulsione di quelli che erano già entrati e quindi vivevano con più mogli. Ma i maccabei del Politically Correct e i terzomondisti del vittimismo si misero a strillare in nome dei Diritti-Umani e della Pluralità-Etnico-Religiosa. Accusarono i legislatori di intolleranza, razzismo, xenofobia, neo-colonialismo, ed oggi in Francia gli immigrati poligami li trovi ovunque. Nel resto dell'Europa, idem. Compresa l'Italia dove l'articolo 556 del Codice Penale punisce i rei col carcere fino a cinque anni, e dove non s'è mai visto un processo o un'espulsione per poligamia. Io so di un maghrebino che in Toscana vive con due o tre mogli e una dozzina di bambini. (Il numero dei bambini è incerto perché ogni poco ne nasce uno. Il numero delle mogli, perché non escono mai insieme ed oltre al chador portano il nikab cioè la mascherina che copre il volto fino alla radice del naso sicché con quella sembrano tutte uguali). Un giorno chiesi a un funzionario della Questura per quale motivo al maghrebino fosse consentito di infrangere l'articolo .5.56. E la risposta fu: «Per motivi di ordine pubblico». Circonlocuzione che tradotta in parole semplici significa: «Per non farcelo nemico, per non irritare i suoi connazionali e i loro favoreggiatori». E che, tradotta in parole oneste, vuoi dire: «Per paura». Io non dimenticherò mai i comizi con cui l'anno scorso i clandestini riempirono le piazze d'Italia per ottenere i permessi di soggiorno. Quei volti distorti, cattivi. Quei pugni alzati, minacciosi. Quelle voci irose che mi riportavano alla Teheran di Khomeini. Non li dimenticherò mai perché mi sentivo offesa dalla loro prepotenza in casa mia, e perché mi sentivo beffata dai ministri che ci dicevano: «Vorremmo rimpatriarli ma non sappiamo dove si nascondono». Stronzi! In quelle piazze ve n'erano migliaia, e non si nascondevano affatto sveglia, gente, sveglia! Intimiditi come siete dalla paura d'andar contro corrente cioè d'apparire razzisti non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione. Voluta e dichiarata da una frangia di quella religione, forse, comunque una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All'annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci. Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po' più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri... proprio perché è definita da molti secoli e molto precisa, la nostra identità culturale non può sopportare un'ondata migratoria composta da persone che in un modo o nell'altro vogliono cambiare il nostro sistema di vita. I nostri valori. Sto dicendoti che da noi non c'è posto per i muezzin, per i minareti, per i falsi astemi, per il loro fottuto Medioevo, per il loro fottuto chador. E se ci fosse, non glielo darei. Perché equivarrebbe a buttar via Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, il Rinascimento, il Risorgimento, la libertà che ci siamo bene o male conquistati, la nostra Patria. Significherebbe regalargli l'Italia. E io l'Italia non gliela regalo mica. Naturalmente capisco che la filosofia della Chiesa Cattolica si basa sull' ecumenismo e sul comandamento Ama-il-nemico-tuo-come-te-stesso. Che uno dei suoi principii fondamentali è almeno teoricamente il perdono, il sacrificio di porgere l' altra guancia. (Sacrificio che rifiuto non solo per orgoglio cioè per il mio modo di intendere la dignità, ma perché lo ritengo un incentivo al Male di chi fa del male). Però esiste anche il principio dell' autodifesa anzi della legittima difesa, e se non sbaglio la Chiesa Cattolica vi ha fatto ricorso più volte. Carlo Martello respinse gli invasori musulmani alzando il crocifisso. Isabella di Castiglia li cacciò dalla Spagna facendo lo stesso. E a Lepanto c' erano anche le truppe pontificie a conseguire quella vittoria che salvò l'Occidente dall'invasione islamica, una data quella del 7 ottobre di così immensa portata che la Chiesa vi isituì, e si celebra tutt'ora, la solennità della Madonna del Rosario, in ringraziamento alla Vergine per la salvezza conseguita del continente europeo. A difendere Vienna, ultimo baluardo della Cristianità, a romper l' assedio di Kara Mustafa, c' era anche e soprattutto il polacco Giovanni Sobienski con l' immagine della Vergine di Chestochowa. E se quei cattolici non avessero applicato il principio dell' autodifesa, della legittima difesa, oggi anche noi porteremmo il burka o il jalabah".


Oriana Fallaci, da "La forza della Ragione"

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fallaci, crociate

lunedì, 11 aprile 2011

Il dolore dell'anima


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Incredibile come il dolore dell'anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgono neanche. Eppure il dolore dell'anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.

Oriana Fallaci - Insciallah


Postato da: giacabi a 21:49 | link | commenti
fallaci

sabato, 16 gennaio 2010

La vita è sacra
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“Un figlio non è un dente cariato. Non lo si può estirpare come un dente e buttarlo nella pattumiera, tra il cotone sporco e le garze. Un figlio è una persona, e la vita di una persona è un continuum dall’attimo in cui viene concepita al momento in cui muore”
(Oriana Fallaci)


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aborto, fallaci

domenica, 11 ottobre 2009

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Eppure era uno dei luoghi più belli che avessi mai visto, soprattutto a osservare il promontorio che calava per allungarsi nell'acqua con una lingua di terra armoniosa, piccole baie intrise di fosforescenza, spiaggette di sabbia candida incontaminata, veniva una specie di struggimento. Quasi un bisogno di buttarsi in ginocchio e ringraziare DIO d'essere vivi.
Oriana Fallaci - "Un uomo trovo" p.137

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fallaci, esperienza

venerdì, 17 luglio 2009

Lidea di abortire mi ha sempre inorridito
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"[...] non la penso come coloro i quali affermano che un feto e a maggior ragione un embrione non è ancora un essere umano. Secondo me, noi siamo ciò che saremo fin dall'istante in cui si accende quella goccia di vita. E l'idea di abortire non mi ha mai sfiorato il cervello. Anzi, mi ha sempre inorridito [...] L'idea che in America si conservino trecentomila embrioni umani congelati e che almeno centomila se ne conservino in Europa, almeno trentamila in Italia, Dio sa quanti in Cina e negli altri paesi senza controllo, mi inorridisce quanto l'idea di aborto. Mi strazia quanto l'esecuzione di Terri [Schiavo, ndr] e concludo: non me ne importa nulla che manipolare cioè assassinare quegli embrioni serva a guarire malattie come la sclerosi amiotrofica di Stephen Hawking. Non me ne importerebbe nemmeno se servisse a curare il mio cancro, a regalarmi il tempo di cui ho bisogno per finire il lavoro che rischio di lasciare incompiuto. E l'eutanasia? Idem. La parola eutanasia è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità [...] il Testamento biologico è una buffonata"
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"I genitori che stufi di curare i bambini handicappati li abbandonano negli istituti dove muoiono di stenti o di polmonite sono Barbablù. La madri che partoriscono per gettare il neonato nel cassonetto della spazzatura sono Barbablù. Gli scienziati che custodiscono gli embrioni congelati nei laboratori sono Barbablù. I Barbablù di un mondo che ciancia di eguaglianza e democrazia ma invece si compone di uomini Alfa, uomini Beta, uomini Gamma"
Oriana Fallaci, «Barbablù e il mondo nuovo. La furia di Oriana Fallaci contro chi ha ucciso la bella addormentata», intervista a Christian Rocca, in «Il Foglio», 13.4.2005).

Postato da: giacabi a 21:08 | link | commenti
aborto, fallaci


Quando rinunci ai tuoi principi ed ai tuoi valori
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« Non si può sopravvivere se non si conosce il passato. Noi sappiamo perché le altre civiltà sono scomparse: per eccesso di benessere e ricchezza e per mancanza di moralità e spiritualità... Nel momento stesso in cui rinunci ai tuoi principi e ai tuoi valori... in cui deridi questi principi e questi valori, tu sei morto, la tua cultura è morta e la tua civiltà è morta»
Oriana Fallaci, «Profeta del declino», intervista a Tunku Varadarajan, in «Wall Street Journal», 23.6.2005, trad. it. in «Il Foglio», 24.6.2005

Postato da: giacabi a 14:32 | link | commenti
fallaci


Negare la speranza
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« Molte donne si chiedono: metter al mondo un figlio, perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato alla guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra. »
Oriana Fallaci, «Lettera a un bambino mai nato»

Postato da: giacabi a 14:24 | link | commenti
speranza, fallaci

giovedì, 16 luglio 2009

Se neghi il destino….
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«L'amara scoperta che Dio non esiste ha ucciso la parola destino. Ma negare il destino è arroganza, affermare che noi siamo gli unici artefici della nostra esistenza è follia: se neghi il destino, la vita diventa una serie di occasioni perdute, un rimpianto di ciò che non è stato e avrebbe potuto essere, un rimorso di ciò che non si è fatto e avremmo potuto fare, e si spreca il presente rendendolo un'altra occasione perduta. »
 Oriana Fallaci - "Un uomo " p.137


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fallaci

venerdì, 03 ottobre 2008

Eutanasia
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Perché l'intervista al Foglio

"Anzitutto, perché sono assolutamente d'accordo con voi, con Giuliano Ferrara ... Io non sono capace di guardare certe cose con distacco, indifferenza, freddezza… - dice Oriana - Ma poche volte ho sofferto quanto per questa donna innocente, uccisa dall'ottusità della Legge e dalla crudeltà di un Barbablù. Nonostante la mancanza di sangue, di manifesta brutalità, v'è qualcosa di particolarmente mostruoso nella morte di Terri Schindler".
Intende dire Terri Schiavo?
"Io non dico mai Terri Schiavo. Mi sembra una beffa, una crudeltà supplementare, chiamarla col cognome di suo marito. Era nata come Theresa Marie Schindler, povera Terri. E se la sapessero tutta, penso che anche gli italiani direbbero Terri Schindler e non Terri Schiavo... Ho l'impressione che in Italia anzi in Europa la gente non sia stata ben informata. Che sia i giornali, sia le televisioni abbiano sottolineato la senzazionalità della faccenda, non i suoi retroscena. Io invece l'ho seguita giorno per giorno ed ora per ora, qui in America, e l'effetto è stato così disastroso che non credo più alla Legge. Cristo per tutta la vita ho invocato la Legge. Anche per combattere l'incompreso flagello che stiamo subendo con l'invasione islamica dell'Occidente, ho sempre invocato la Legge... Ma la morte di Terri è riuscita laddove essi non erano riusciti, ed oggi penso che ottenere giustizia attraverso la Legge sia un terno al lotto. Se mi sbaglio, se la Legge significa davvero Giustizia, Equità, Imparzialità, me lo si dimostri incriminando i magistrati che per ben dodici volte si sono accaniti su quella creatura colpevole soltanto d'essere una malata inguaribile...In testa a loro, quel George Greer che per primo accolse l'istanza di barbablù e ordinò di staccare la spina cioè di togliere a terri il feeding-support: il tubo nutritivo..."
Quindi secondo lei, i primi responsabili sono i magistrati?
"...Oggi in America il rischio della dittatura non viene  dal potere esecutivo: viene dal potere giudiziario.. E nel resto dell'Occidente, lo stesso. Pensi all'Italia dove, come ha ben capito la sinistra che se ne serve senza pudore, lo strapotere dei magistrati ha raggiunto vette inaccettabili. Inpuniti e impunibili, sono i magistrati che oggi comandano. Manipolando al Legge con interpretazioni di parte cioè dettate dalla loro militanza politica e dalle loro antipatie personali, approfittandosi della loro immeritata autorità e quindi comportandosi da padroni come i Padreterni della Corte Suprema statunitense... Chi osa biasimare o censurare o denunciare un magistrato, in Italia? Chi osa dire che per diventar magistrato bisognerebbe essere un santo o almeno un campione di onestà e di intelligenza, non un uomo di parte e di conseguenza indegno d'indossare la toga? Nessuno. Hanno tutti paura di loro".
E al secondo posto delle responsabilità chi ci mette?
"...A pari merito ci metto i medici anzi i becchini travestiti da medici che ai magistrati hanno fornito gli elementi necessari ad emettere quella sentenza di morte. Che hanno definito Terri un cervello spento, un corpo senz'anima, un essere in stato vegetativo irreversibile... Oggigiorno Ippocrate non va più di moda e nella maggior parte dei casi la medicina è un business, un cinico strumento per arraffare soldi o tentare di ottenere lo screditato premio Nobel. Però so che lo stato vegetativo non è la morte cerebrale e che il termine stato-vegetativo-irreversibile è molto controverso...
Sta dicendo che lo stato-vegetativo di Terri non era irreversibile?
Lo stato-vegetativo si distingue dal coma in modo molto preciso . Il coma è un sonno continuo. Lo stato-vegetativo è un alternarsi di sonno e di veglia durante il quale il malato vede, capisce, reagisce agli stimoli. La prova è fornita da un video trasmesso da tutte le televisioni del mondo. Quello nel quale sua madre si china a baciarla e Terri si illumina veramente come un albero di Natale... A portare testimonianza in questo senso sono state anche le infermiere che la curavano. Due di loro raccontano addirittura che, a veder Barbablù, Terri si comportava in modo completamente diverso da quello in cui si comportava coi genitori. Chiudeva gli occhi oppure distoglieva lo sguardo, assumeva un'espressione ostile, taceva ostinatamente, e altro che stato-irreversibile! Quella era una donna che capiva. Che pensava, che ragionava. Io sono certa che la sua lunga agonia, la sua interminabile esecuzione effettuata attraverso la fame e la sete, Terri l'abbia vissuta consapevolmente".
Eppure il 67% degli americani ha approvato la decisione dei giudici...
Ne deduco che nella nostra società parlare di Diritti-Umani è davvero un'impostura, una farisaica commedia... Ne deduco che nella nostra società, per non essere gettati dalla rupe Tarpea, bisogna essere sani, belli e in grado di partecipare alle Olimpiadi o almeno giocare la fottuta partita di calcio. Beh, allora eliminiamoli tutti quei cittadini inutili... Anche se sono sordi come Beethoven che da sordo scrisse l'Eroica. Anche se sono ciechi come Omero che da cieco scrisse ll'Iliade e l'Odissea. O come Milton che da cieco scrisse il Paradiso perduto poi il Paradiso ritrovato. Anche se sono rachitici e gobbi come Leopardi che da rachitico e gobbo scrisse A Silvia e L'Infinito. O anche se sono tetraplegici come Stephen Hawking, da circa cinquant'anni immobilizzato da una sclerosi amiotrofica e da almeno dieci incapace di parlare..."
E per incominciare eliminiamo subito anche me, senza attendere che mi ammazzino i musulmani dai quali sono stata condannata a morte non con l'avallo della società ma con quello di Allah. Anch'io sono un malato inguaribile. Lungi dal curarmi con lo sciroppo per la tosse o dal definire il mio Alieno (la Fallaci soffre di un tumore ndr) 'un tipico reumatismo'. Anch'io sono colpevole. Anch'io merito d'essere scaraventata dalla Rupe della Fame e della Sete".
E l'eutanasia?
"...La parola eutanasia è per me una parolaccia. Una bestemmia nonché una bestialità, un masochismo. Io non ci credo alla buona-Morte, alla dolce-Morte, alla Morte-che-Libera-dalle-Sofferenze. La morte è morte e basta. Ma predicarlo non serve a nulla. Forse  grazie ai kamikaze, alle loro stragi alle loro decapitazioni, l'islamico Culto della Morte sta avanzando in Occidente a un ritmo inesorabile. Sta conquistando l'America dove in Florida, in California, nel Vermonti, in Alabama, nell'Oregon, nel Michigan passano leggi sul suicidio assistito. E sperare che ciò non avvenga anche in Europa, in Eurabia, quindi in Italia, è ormai vano. 'L'onda si rovescerà sull'Europa, sull'Italia dove si copiano sempre sempre gli altri', ha ben scritto Gianluigi Gigli sull'Osservatore Romano.
[…]
Il famoso Living-Will o testamento Biologico con cui una persona chiarisce se in caso di grave infermità vuole vivere o morire...
"...E' una buffonata. Perché nessuno può predire come si comporterà dinanzi alla morte. Inutile fare gli eroi antelitteram, annunciare che dinanzi al plotone di esecuzione sputerai addosso ai tuoi carnefici come Fabrizio Quattrocchi. Inutile dichiarare che in un caso simile a quello di Terri vorrai staccare-la-spina, morire stoicamente come Socrate che beve la cicuta. L'istinto di sopravvivenza è incontenibile, incontrollabile...E se nel testamento biologico scrivi che in caso di grave infermità vuoi morire ma al momento di guardare la Morte in faccia cambi idea? Se a quel punto  t'accorgi che la vita è bella anche quando è brutta, e piuttosto che rinunciarvi preferisci vivere col tubo infilato nell'ombelico ma non sei più in grado di dirlo?"
[…]
E poi?
Poi il calvario, la lenta caduta dalla Rupe della Fame e della Sete finì. Alle otto di mattina, il 31 marzo, Bob e Mary e Bobby e Susanna furono ammessi col sacerdote nella camera di Terri che stava finalmente morendo ma era ancora cosciente. E alle otto e quarantacinque, quando stava per esalare l'ultimo respiro, il poliziotto che con tanto zelo aveva impedito di inumidirle le labbra ringhiò che non potevan restare perché-le-infermiere-dovevan-pulire-la-camera-aggiustare-i-lenzuoli. Bobby si ribellò. Rispose che il pretesto era offensivo e ridicolo e si rifiutò di uscire. Allora il poliziotto lo cacciò brutalmente. Altrettanto brutalmente spinse don Pavone e Bob e Mary e Susanna fuori della stanza. Al loro posto si installò Barbablù con l'avvocato e, beffa delle beffe, crudeltà delle crudeltà, Terri morì con lui accanto. Sotto i suoi occhi.
2004 “Il Foglio” un’intervista di Oriana Fallaci


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fallaci, eutanasia

sabato, 20 settembre 2008

Monsignor Fisichella: "Così portai dal Papa la mia amica Oriana"
di Matteo Sacchi
***
da : il giornale .it 20-09-2008
“Poi parla della volontà della scrittrice di non «convertirsi», del fatto che però voleva che lui le tenesse la mano nel momento estremo. «Lei secondo me cercava Dio. Se mi chiedete se si è convertita io devo essere sincero... non si è convertita nel senso proprio del termine... però cercava Dio. Mi ha anche regalato la sua icona della Madonna, mi ha imposto di metterla sopra il mio letto. Io penso sempre in questi casi a un’espressione di Ignazio Silone: “Dimmi credi? No però spero”. Ecco io ho forte questa dimensione».
Poi leggono l’ultima lettera, quella in cui la Fallaci dice a Fisichella: «
Mi dispiace molto morire... ma il dispiacere più grosso è averti trovato così tardi... Da un anno sei tu la mia famiglia...». E lui si commuove di nuovo. Poi dice: «Oriana è stata un grande dono, un dono che non mi sarei aspettato. Mi ha insegnato molto sul potersi avvicinare agli altri. Che si incontra Dio quando lui a deciso di incontrarci».
Quando lo raggiungiamo alla fine dell’incontro e gli chiediamo che cosa gli sia rimasto nel cuore di Oriana, Fisichella dice: «Su Oriana è stato già detto tutto. Però
il suo coraggio mi ha insegnato tanto. Ha affrontato tutto e nello stesso modo ha affrontato la morte, l’ultimo nemico. Lo ha fatto senza paura ed è questo che credo si debba ricordare. Non aveva paura, cercava risposte... Ed è in questo suo porsi delle domande che io credo sia il senso ultimo della sua vicenda umana. La morte è il limite dell’esistenza, ma anche l’elemento che le ha consentito l’ultima sfida...».
E quando proviamo a tornare sull’argomento su cui la stampa si è accanita di più, l’incontro con il Papa: «Quell’incontro è stato letto in modo fuorviante. Non c’entrava la politica. Niente di tutto questo.
Oriana voleva incontrare una persona che sentiva di stimare. Quello che vedeva come un alleato per difendere l’identità culturale europea. Vedeva in Ratzinger un baluardo».
leggi tutto l’articolo: www.ilgiornale.it/



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fallaci

venerdì, 18 gennaio 2008

La bellezza di vivere
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«Amo troppo la vita, mi spiego? Sono troppo convinta che la vita sia bella anche quando è brutta, che nascere sia il miracolo dei miracoli, vivere il regalo dei regali. Anche se si tratta di un regalo difficile. A volte doloroso»
Oriana Fallaci



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vita, fallaci

domenica, 28 ottobre 2007

Se neghiamo Dio
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L'amara scoperta che Dio non esiste ha ucciso la parola destino. Ma negare il destino è arroganza, affermare che noi siamo gli unici artefici della nostra esistenza è follia: se neghi il destino, la vita diventa una serie di occasioni perdute, un rimpianto di ciò che non è stato e avrebbe potuto essere, un rimorso di ciò che non si è fatto e avremmo potuto fare, e si spreca il presente rendendolo un'altra occasione perduta."
da "Un uomo", di Oriana Fallaci



 

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dio, nichilismo, fallaci, ateismo

sabato, 20 ottobre 2007

Il dono della vita
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«Amo troppo la vita, mi spiego? Sono troppo convinta che la vita sia bella anche quando è brutta, che nascere sia il miracolo dei miracoli, vivere il regalo dei regali. Anche se si tratta di un regalo difficile. A volte doloroso»
O. Fallaci Corriere della Sera volume "Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci.”
a P.

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vita, fallaci

sabato, 04 novembre 2006


WLA VITA
«Ho sempre amato la vita.
Chi ama la vita non riesce mai ad adeguarsi,
subire, farsi comandare.
Chi ama la vita è sempre con il fucile
alla finestra per difendere la vita…
Un essere umano che si adegua,
che subisce,
che si fa comandare, non è un essere umano»
Oriana Fallaci




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vita, fallaci

martedì, 24 ottobre 2006

GRANDE ORIANA!

E così Oriana Fallaci ha lasciato il segno, ha fatto parlare di sè anche dopo la sua morte. Con un gesto per certi versi clamoroso: ha donato alcune centinaia dei suoi libri più belli, quelli cha amava di più (come ha testimoniato suo nipote) all'Università Lateranense. E insieme ad essi anche il suo mitico zaino usato in Vietnam.
Ho letto con interesse i suoi ultimi best seller, quelli che avevano il sapore della crociata, e devo dire che, pur avendovi trovato molte verità, non mi convincevano gli argomenti, non mi piaceva il livore, insomma, il tono generale. Non starò dunque qui a farne una santa e a scriverne un'agiografia, perchè sarebbe un tradire o travisare il personaggio. Ma è anche vero che, pur non essendosi mai convertita alla religione cattolica, la grande Oriana era riuscita a trovare un valido interlocutore in Joseph Ratzinger.
Cosa si saranno detti nel loro colloquio di qualche tempo fa? Avranno parlato solo di Islam o anche di quel senso della vita sul quale Oriana si è sempre interrogata, pur non trovando risposte convincenti? E questo gesto inaspettato, questo dono di parte di sè alla biblioteca di uno Stato estero e per giunta confessionale, è forse un ringraziamento, un modo di testimoniare la propria affezione?
Certo è che la laicissima Oriana Fallaci, con tutte le sue spigolosità, le sue manie, le sue ostinazioni, è stata un esempio significativo della possibilità di incontro e di dialogo tra chi possiede una fede forte e radicata e chi, invece, non riesce a credere fino in fondo.
Ed è quanto meno stupefacente la figura di questa anticlericale che lascia alla Santa Romana Chiesa cattolica i suoi libri e i suoi oggetti più cari. Misteri delle coscienze! Oriana Fallaci non è stata la prima nè sarà l'ultima. La sua vicenda mi dice che non è mai possibile dire una parola definitiva sul cuore dell'uomo, la cui insondabile profondità è un segreto che possiede solo chi l'ha fatto.
Gianluca Zappa 

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fallaci, testimonianza

venerdì, 15 settembre 2006

Oriana nella copertina di La rabbia e l'orgoglio

Ciao Oriana
«Vi sono momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una  colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre». (Oriana Fallaci, La rabbia e l’orgoglio)
 

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