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sabato 11 febbraio 2012

fiabe


Io sono Tu che mi fai
***
«Bussò l’amante alla porta dei cieli. Dal di
dentro una voce si udì: “Chi è?”. “Sono io”, rispose. E la
voce: “In questa casa non c’è posto per te e per me”
, e la
porta rimase chiusa. Allora l’amante si ritirò nel deserto

[come farete oggi], pregò [questo non so], digiunò [questo
no certamente]
nella solitudine. In capo a un anno
ritornò e bussò ancora alla porta. Di nuovo la voce chiese:
“Chi è?”. Egli rispose: “Sono tu”, e la porta si aprì.
»

leggenda indù

da:  don Giussani Ciò che abbiamo di più caro ed. Rizzoli

Se non è in funzione dell’Altro,
il passo che compi, il rischio in cui ti metti è falsamente
tuo, si produce perché sei determinato da una reazione
(reazione di interesse, di piacere, di paura),
da una reattività,
come tutti, perché tutti vivono reattivamente.

da:  don Giussani Ciò che abbiamo di più caro ed. Rizzoli

: «La bellezza del mondo mi ha reso triste, questa
bellezza che passerà. A volte il mio cuore si stringe di
gioia grande nel vedere uno scoiattolo che salta su un
albero o una coccinella rossa su uno stelo o dei piccoli
conigli in un campo in una sera accesa da un sole declinante
o una verde collina dove le ombre scivolano lentamente,
una quieta collina dove uomini montanari hanno
seminato e dove presto raccoglieranno vicino alla porta
del cielo, o bambini che camminano scalzi sulle sabbie di
basse maree o che giocano sulle strade nei piccoli paesi di
Connect: tutte cose giovani e felici. E allora il mio cuore
mi ha detto: “Queste cose passeranno. Passeranno, cambieranno,
moriranno, non ci saranno più. Cose chiare e
verdi, cose giovani e felici”. E io ho proseguito per la mia
strada pieno di dolore».

Patrick Pearce

Postato da: giacabi a 15:30 | link | commenti
fiabe, giussani

giovedì, 24 marzo 2011

I CIECHI E L’ELEFANTE
***
Ispirata ad una storia tratta dagli Udana


IN VERSIONE AUDIO IN:
FIABE INDIANE


Un giorno a Savatthi, un’antica città dell’india, un gruppo di discepoli andò dal Saggio e disse:
“Signore, qui vicino ci sono diversi monaci ed eremiti che continuano a litigare, c’è chi sostiene che il mondo sia rotondo e chi quadrato, chi dice che sia finito e chi lo nega, c’è chi dice che l’anima muoia con il corpo e chi sostiene che sopravviva in eterno, chi dice che il tempo sia circolare e chi una linea retta. Cosa ci dici tu a proposito di questo?”
Il Saggio conosceva tutte le risposte e conosceva anche i cuori delle persone, sapeva perciò che il problema reale era che non si può trovare la verità se si vive con la mente chiusa. Così aggrappati alle loro idee, tutti quei dotti, monaci, eremiti e studiosi non si ascoltavano l’un l’altro, non condividevano la conoscenza, anzi litigavano continuamente su chi avesse ragione senza mai tendere l’orecchio alle parole altrui.
Il Saggio, deciso ad istruire tutti e a non mancare di rispetto a nessuno, raggiunse il luogo della disputa e iniziò a raccontare una storia:
“In un lontanissimo tempo esisteva un re molto ricco e molto potente che dominava su tutte le regioni dall’oriente all’occidente, il suo regno si estendeva dai mari alle montagne, nelle sue terre si trovavano fiumi e vallate, città ricche e piccoli borghi di contadini, la terra produceva tutto quanto fosse necessario per far vivere in tranquillità i suoi abitanti. Il re era anche molto saggio e desideroso che regnasse la pace e il dialogo all’interno del paese e con i paesi confinanti.
Un giorno il re mandò a chiamare tutti i ciechi del paese e, unitosi a loro nella piazza principale della capitale chiese se volevano dare una dimostrazione di saggezza a tutto il resto della popolazione. Erano molto legati al loro signore quindi tutti dissero di si.
Subito dopo il re mandò a chiamare un ammaestratore di elefanti e gli chiese di portare un suo animale nel centro della piazza, fatto anche questo il re si rivolse ai ciechi e disse:
“ebbene, davanti a voi avete un elefante, toccatelo e ditemi com’è fatto”
I ciechi si misero intorno all’animale e iniziarono a tastare la parte che si trovavano di fronte.
“E’ come un tappeto” disse l’uomo che aveva toccato l’orecchio.
“E’ una colonna” disse una donna che aveva toccato la zampa.
“E’ una corda” disse chi aveva preso in mano la coda.
“E’ come un serpente” disse quello che aveva trovato la proboscide.
E poi c’era chi diceva che era come un aratro, chi lo scambiava per un muro alto alto, chi per un granaio e chi per una lancia perché aveva toccato una zanna.
E ognuno sosteneva la sua verità e così i ciechi iniziarono a litigare.
“E’ come dico io”
“Nemmeno per sogno, è come dico”
“Io ho ragione!”
“Eh no, ho ragione io!”
Tutto il popolo si mise a ridere, perché riuscendo a vedere l’animale per intero, trovavano impossibile sostenere delle teorie così strampalate.
A quel punto il re disse:
“Non ridete di queste persone perché voi siete esattamente come loro, ognuno di voi, vede solo una parte della realtà e finché la tiene per se non potrà mai padroneggiare tutta la conoscenza”.
Detto questo invitò i ciechi a riunirsi e a raccontarsi l’un l’altro che cosa avevano sentito sotto le mani e così, dopo essersi scambiate tutte le informazioni furono in grado di descrivere il grosso animale nella sua interezza.

“Ecco – disse il Saggio – la storia che vi ho raccontato non è diversa per voi che litigate, se non imparate a scambiarvi ciò che sapete, la vostra conoscenza sarà sempre parziale, convinti di conoscere la verità ne percepite solamente una parte. Ognuno di voi vede solo un piccolo angolo di mondo ma se impara a condividere e ad ascoltare i racconti di chi gli sta accanto saprà conoscere anche ciò che non ha ancora visto”.
E come era capitato ai sudditi del re, anche i monaci e gli eremiti che fino a poco prima litigavano capirono che la verità è una anche se ha molte forme e che la conoscenza ci può arrivare da chiunque, basta voler ascoltare.

Postato da: giacabi a 15:01 | link | commenti
fiabe

mercoledì, 23 gennaio 2008

Il vestito nuovo dell'Imperatore
***
C'era una volta un imperatore che amava così tanto la moda da spendere tutto il suo denaro soltanto per vestirsi con eleganza. Non aveva nessuna cura per i suoi soldati, né per il teatro o le passeggiate nei boschi, a meno che non si trattasse di sfoggiare i suoi vestiti nuovi: possedeva un vestito per ogni ora del giorno, e mentre di solito di un re si dice: "È nella sala del Consiglio", di lui si diceva soltanto: "È nel vestibolo".
Nella grande città che era la capitale del suo regno, c'era sempre da divertirsi: ogni giorno arrivavano forestieri, e una volta vennero anche due truffatori: essi dicevano di essere due tessitori e di saper tessere la stoffa più incredibile mai vista. Non solo i disegni e i colori erano meravigliosi, ma gli abiti prodotti con quella stoffa avevano un curioso potere: essi diventavano invisibili agli occhi degli uomini che non erano all'altezza della loro carica, o che erano semplicemente molto stupidi.
"Quelli sì che sarebbero degli abiti meravigliosi!", pensò l'imperatore: con quelli indosso, io potrei riconoscere gli incapaci che lavorano nel mio impero, e saprei distinguere gli stupidi dagli intelligenti! Devo avere subito quella stoffa!".
E pagò i due truffatori, affinché essi si mettessero al lavoro.
Quei due montarono due telai, finsero di cominciare il loro lavoro, ma non avevano nessuna stoffa da tessere. Chiesero senza tanti complimenti la seta più bella e l'oro più brillante, se li misero in borsa, e continuarono a così, coi telai vuoti, fino a tarda notte.
"Mi piacerebbe sapere a che punto stanno con la stoffa!", pensava intanto l'imperatore; ma a dire il vero si sentiva un po' nervoso al pensiero che una persona stupida, o incompetente, non avrebbe potuto vedere l'abito. Non che lui temesse per sé, figurarsi: tuttavia volle prima mandare qualcun altro a vedere come procedevano i lavori.
Nel frattempo tutti gli abitanti della città avevano saputo delle incredibili virtù di quella stoffa, e non vedevano l'ora di vedere quanto stupido o incompetente fosse il proprio vicino.
"Manderò dai tessitori il mio vecchio e fidato ministro", decise l'imperatore, "nessuno meglio di lui potrà vedere che aspetto ha quella stoffa, perché è intelligente e nessuno più di lui è all'altezza del proprio compito".
Così quel vecchio e fidato ministro si recò nella stanza dove i due tessitori stavano tessendo sui telai vuoti. "Santo cielo!", pensò, spalancando gli occhi, "Non vedo assolutamente niente!"
Ma non lo disse a voce alta.
I due tessitori gli chiesero di avvicinarsi, e gli domandarono se il disegno e i colori erano di suo gradimento, sempre indicando il telaio vuoto: il povero ministro continuava a fare tanto d'occhi, ma senza riuscire a vedere niente, anche perché non c'era proprio niente.
"Povero me", pensava intanto, "ma allora sono uno stupido? Non l'avrei mai detto! Ma è meglio che nessun altro lo sappia
! O magari non sono degno della mia carica di ministro? No, in tutti casi non posso far sapere che non riesco a vedere la stoffa!"
"E allora, cosa ne dice", chiese uno dei tessitori.
"Belli, bellissimi!", disse il vecchio ministro, guardando da dietro gli occhiali. "Che disegni! Che colori! Mi piacciono moltissimo, e lo dirò all'imperatore."
"Ah, bene, ne siamo felici", risposero quei due, e quindi si misero a discutere sulla quantità dei colori e a spiegare le particolarità del disegno. Il vecchio ministro ascoltò tutto molto attentamente, per poterlo ripetere fedelmente quando sarebbe tornato dall'imperatore; e così fece.
Allora i due truffatori chiesero ancora soldi, e seta, e oro, che gli sarebbe servito per la tessitura. Ma poi infilarono tutto nella loro borsa, e nel telaio non ci misero neanche un filo. Eppure continuavano a tessere sul telaio vuoto.
Dopo un po' di tempo l'imperatore inviò un altro funzionario, assai valente, a vedere come procedevano i lavori. Ma anche a lui capitò lo stesso caso del vecchio ministro: si mise a guardare, a guardare, ma siccome oltre ai telai vuoti non c'era niente, non poteva vedere niente.
"Guardi la stoffa, non è magnifica?", dicevano i due truffatori, e intanto gli spiegavano il meraviglioso disegno che non esisteva affatto.
"Io non sono uno stupido!", pensava il valente funzionario. "Forse che non sono all'altezza della mia carica! Davvero strano! Meglio che nessuno se ne accorga!" E così iniziò anche lui a lodare il tessuto che non riusciva a vedere, e parlò di quanto gli piacessero quei colori, e quei disegni così graziosi. "Sì, è davvero la stoffa più bella del mondo", disse poi all'imperatore.
Tutti i sudditi non facevano che discutere di quel magnifico tessuto. Infine anche l'imperatore volle andare a vederlo, mentre esso era ancora sul telaio. Si fece accompagnare dalla sua scorta d'onore, nella quale c'erano anche i due ministri che erano già venuti, e si recò dai due astuti imbroglioni, che continuavano a tessere e a tessere... un filo che non c'era.
"Non è forse 'magnifique'?", dicevano in coro i due funzionari; "Che disegni, Sua Maestà! Che colori!", e intanto indicavano il telaio vuoto, perché erano sicuri che gli altri ci vedessero sopra la stoffa.
"Ma cosa sta succedendo?", pensò l'imperatore, "non vedo proprio nulla! Terribile! Che io sia stupido? O magari non sono degno di fare l'imperatore? Questo è il peggio che mi potesse capitare!"
"Ma è bellissimo", intanto diceva. "Avete tutta la mia ammirazione!", e annuiva soddisfatto, mentre fissava il telaio vuoto: mica poteva dire che non vedeva niente! Tutti quelli che lo accompagnavano guardavano, guardavano, ma per quanto potessero guardare, la sostanza non cambiava: eppure anch'essi ripeterono le parole dell'imperatore: "Bellissimo!", e gli suggerirono di farsi fare un abito nuovo con quella stoffa, per l'imminente parata di corte.
"'Magnifique'!, 'Excellent'!", non facevano che ripetere, ed erano tutti molto felici di dire cose del genere.
L'imperatore consegnò ai due imbroglioni la Croce di Cavaliere da tenere appesa al petto, e li nominò Grandi Tessitori.
Per tutta la notte prima della parata di corte, quei due rimasero alzati con più di sedici candele accese, di modo che tutti potessero vedere quanto era difficile confezionare i nuovi abiti dell'imperatore. Quindi fecero finta di staccare la stoffa dal telaio, e poi con due forbicioni tagliarono l'aria, cucirono con un ago senza filo, e dissero, finalmente: "Ecco i vestiti, sono pronti!"
Venne allora l'imperatore in persona, coi suoi più illustri cavalieri, e i due truffatori, tenendo il braccio alzato come per reggere qualcosa, gli dissero: "Ecco qui i pantaloni, ecco la giacchetta, ecco la mantellina..." eccetera. "Che stoffa! È leggera come una tela di ragno! Sembra quasi di non avere indosso nulla, ma è questo appunto il suo pregio!"
"Già", dissero tutti i cavalieri, anche se non vedevano niente, perché non c'era niente da vedere.

"E ora", dissero i due imbroglioni, se Sua Maestà Imperiale vorrà degnarsi di spogliarsi, noi lo aiuteremo a indossare questi abiti nuovi proprio qui di fronte allo specchio!"
L'imperatore si spogliò, e i due truffatori fingevano di porgergli, uno per uno, tutti i vestiti che, a detta loro, dovevano essere completati: quindi lo presero per la vita e fecero finta di legargli qualcosa dietro: era lo strascico. Ora l'imperatore si girava e rigirava allo specchio.
"Come sta bene! Questi vestiti lo fanno sembrare più bello!", tutti dicevano. "Che disegno! Che colori! Che vestito incredibile!"
"Stanno arrivando i portatori col baldacchino che starà sopra la testa del re durante il corteo!", disse il Gran Maestro del Cerimoniale.
"Sono pronto", disse l'imperatore. "Sto proprio bene, non è vero?" E ancora una volta si rigirò davanti allo specchio, facendo finta di osservare il suo vestito.
I ciambellani che erano incaricati di reggergli lo strascico finsero di raccoglierlo per terra, e poi si mossero tastando l'aria: mica potevano far capire che non vedevano niente.
Così l'imperatore marciò alla testa del corteo, sotto il grande baldacchino, e la gente per la strada e alle finestre non faceva che dire: "Dio mio, quanto sono belli gli abiti nuovi dell'imperatore! Gli stanno proprio bene!"
Nessuno voleva confessare di non vedere niente, per paura di passare per uno stupido, o un incompetente. Tra i tanti abiti dell'imperatore, nessuno aveva riscosso tanto successo.
"Ma l'imperatore non ha nulla addosso!", disse a un certo punto un bambino.
"Santo cielo", disse il padre, "Questa è la voce dell'innocenza!". Così tutti si misero a sussurrare quello che aveva detto il bambino.
"Non ha nulla indosso! C'è un bambino che dice che non ha nulla indosso!"
"Non ha proprio nulla indosso!", si misero tutti a urlare alla fine. E l'imperatore rabbrividì, perché sapeva che avevano ragione; ma intanto pensava: "Ormai devo condurre questa parata fino alla fine!", e così si drizzò ancora più fiero, mentre i ciambellani lo seguivano reggendo una coda che non c'era per niente
.



Hans Christian Andersen

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