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sabato 11 febbraio 2012

florenskij


Non agire con approssimazione
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Amati figlioletti miei, il mio cuore si strugge per voi. Quando crescerete, capirete quanto si strugga il cuore di un padre o di una madre per i figli. Il mio cuore si strugge anche per la mia povera mamma, che è tutta sola e alla quale non ho la forza interiore di avvicinarmi. Avrei tante cose da scrivervi. Mi vengono tanti pensieri e sentimenti, ma non ho né il tempo, né le forze di scriverli. Eccovi una cosa che non posso non scrivere: Abituatevi, educate voi stessi a fare tutto ciò che fate perfettamente, con cura e precisione; che il vostro agire non abbia niente di impreciso, non fate niente senza provarvi gusto, in modo grossolano. Ricordatevi che nell’approssimazione si può perdere tutta la vita, mentre al contrario, nel compiere con precisione e al ritmo giusto anche le cose e le questioni di secondaria importanza, si possono scoprire molti aspetti che in seguito potranno essere per voi fonte profondissima di un nuovo atto creativo. E ancora. Chi agisce con approssimazione, si abitua anche a parlare con approssimazione, e il parlare grossolano, impreciso e sciatto coinvolge in questa indeterminatezza anche il pensiero. Cari figlioletti miei, non permettete a voi stessi di pensare in maniera grossolana. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che si abbia cura di sé. Essere precisi e chiari nei propri pensieri.
Pavel Florenskij da: non dimenticatemi

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florenskij

sabato, 21 agosto 2010

La ragione
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«La vita scorre, non è identica a se stessa, può essere ragionevole, può essere trasparente per la ragione; eppure proprio per questo non è contenibile nel raziocinio e ne oltrepassa la limitatezza. A sua volta il raziocinio è avverso alla vita perché cerca di mortificarla prima di acconsentire ad accoglierla in se stesso»19.
 «La ragione brama la salvezza; in altre parole, essa perisce nella sua forma puramente logica, nella forma del raziocinio [...] Scomponendosi in antinomie e morta nella sua esistenza raziocinante, la ragione cerca il principio della vita e della fermezza. In ambito teoretico la salvezza si intende prima di tutto come stabilità dell' intelletto»
.
«La ragione non è una scatola o un qualsivoglia ricettacolo di contenuto geometrico nel quale depositare ciò che più si desidera; e non è nemmeno una macina che tritura il grano così come l'immondizia; essa, cioè, non è un sistema di funzioni meccaniche sempre uguali a se stesse, ugualmente applicabili a qualunque materiale e a qualunque situazione. No, essa è qualcosa di vivo e di teleologico, un organo dell' essere umano, un modus di interazione dinamica del soggeto conoscente con l'oggetto conoscibile vale a dire un tipo di relazione vitale con la realtà».
Pavel A. Florenskij

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ragione, florenskij

giovedì, 29 luglio 2010


La Sofia Divina:
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Icona della Santa Sofia
“La Sofia non è una persona in senso stretto, essa può però essere identificata con il Logos. E’ tuttavia una personificazione come il mare, il sole, la luna, il Mar Rosso, il Giordano, Betlemme, la sinagoga e così via.
Sofia – è il Figlio di Dio, divenuto uomo da Maria
Sofia – è la Madre di Dio, il Tempio della “Sapienza in persona”, ovvero della Parola di Dio. Per questo le feste di patrocinio delle Chiese dedicate alla Sofia nella Rus sono la festa della nascita di Maria, l’8 settembre, e il giorno dell’assunta, il 15 agosto.
Sofia – è l’idea della purezza e castità, la perfezione spirituale, la bellezza interiore.
Sofia – è l’unità dell’intera creazione con Dio, ovvero la Chiesa.
Sofia – è la memoria divina, nel cui grembo tutto sussiste e al di fuori del quale vi è solo morte e ignoranza.

“La Sofia è la Grande Radice dell’intera creazione (πασα η κτισις, Rom 8,22) cioè il creato tutto integrale – e non semplicemente il tutto. Per mezzo suo la creazione scaturisce dall’intimo della vita trinitaria e riceve vita eterna dall’unica fonte di vita. La Sofia è il primo essere creato, l’amore divino poietico, riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rom 5,5); perciò il vero “Io” divinizzato, il suo “cuore” appare come amore divino simile alla natura di Dio – all’amore divino delle tre persone della Trinità. Poiché tutto esiste veramente solo come parte dell’amore divino, della fonte dell’essere e della verità. Se la creazione viene strappata dalla sua radice, allora è destinata alla morte: “Infatti chi trova me – dice la Sapienza – trova la vita e ottiene favore dal Signore; ma chi pecca contro di me danneggia se stesso; quanti mi odiano trovano la morte.” (Prov 8, 35-36)

(Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, p 326)

"Se tutta l'umanità è la Sofia, la Chiesa che è l'anima e la coscienza dell'umanità è la Sofia universale. Se la Chiesa dei santi è la Sofia, Maria è colei che intercede per tutte le creature presso il Verbo Divino..., è Sofia per eccellenza."
(
Pavel Florenskij)



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florenskij

giovedì, 08 luglio 2010

Cercate ogni giorno il volto dei santi
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Tutto è bellissimo nella persona quando essa è rivolta a Dio, e tutto è invece deforme quando essa volge le spalle a Dio.”
Pavel Florenskij

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florenskij

martedì, 06 luglio 2010

La verità: la segreta speranza di incontrarla
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«Io non ho la verità in me ma l’idea della verità mi  brucia; non ho i dati per affermare che cosa sia la verità e che io la raggiungerò, ma confessandolo rinuncerei alla sete dell’assoluto, perché accetterei qualcosa di indimostrato. Tuttavia l’idea della verità brucia  in me  come “fuoco divoratore” e la segreta speranza di incontrarla a faccia a faccia incolla la mia lingua al palato, è essa il torrente infuocato che mi ribolle e gorgoglia nelle vene »
P. Florenskij

Postato da: giacabi a 21:27 | link | commenti
verità, florenskij


Il vero amore per il fratello
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Non è vero che l’amore per il fratello sia il contenuto della verità, come affermano i tolstojani e altrettanti nichilisti religiosi. L’amore per il fratello consiste invece nel manifestare all’altro, passare all’altro, quasi far confluire nell’altro quello stesso ingresso nella vita divina che il soggetto comunicante con Dio sperimenta in sé  come conoscenza della verità
 P. Florenskij

Postato da: giacabi a 20:59 | link | commenti
amicizia, florenskij


Quando agisci in nome di Cristo senti la Sua presenza
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"Ci sono degli istanti e dei periodi ( anche di qualche giorno) in cui cesso di sentire Cristo, la Sua gioia e la Sua leggerezza. Non è che vengano fuori dei dubbi, i dubbi hanno i loro rimedi; è quando guardi a Cristo come a qualcosa di passato, che se n’è andato. Ho cercato a lungo di capire da dove nascesse questa situazione e alla fine credo di aver capito. Quando agisci in nome di Cristo senti la Sua presenza, ma appena smetti di lavorare in questo modo, chissà perché, per motivi indipendenti dalla tua volontà, è come se Cristo se ne fosse andato chissà dove."
P. Florenskij

Postato da: giacabi a 14:34 | link | commenti
florenskij

lunedì, 05 luglio 2010

Gesù Cristo
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"non è neppure una regola morale ambulante o un modello da copiare"
"è il principio della nuova vita che, una volta accettata da Lui e accolta nel cuore si evolve secondo leggi proprie"


Postato da: giacabi a 21:02 | link | commenti
gesù, florenskij


L'astrazione scientifica
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"da un lato c'era il pensiero scientifico inumano,dall'altro l'umanità priva di pensiero. L'astrazione scientifica che danza il trionfo della morte-vincitrice sulle ossa dell'uomo che ha distrutto, e lo spirito umano avvilito che tenta di nascondersi negli angoli"
P.Florenskij


Postato da: giacabi a 20:44 | link | commenti
florenskij, scienza - articoli

martedì, 29 giugno 2010

La Chiesa
Affinché sia possibile comprendere la natura della Chiesa nella sua profondità, bisogna vivere in un ambiente ecclesiale, essere membri della Chiesa.
“Porto dove trova quiete l’ansia del cuore, dove si piegano le pretese del raziocinio, dove una grande pace scende sulla ragione”
"Sono penetrato all’interno di ogni guscio, sono andato al di là dei difetti. Davanti a me si è aperta la vita, forse un po’ turbolenta, ma vita, si è aperto senza dubbio il nucleo santo. E allora ho capito che non me ne sarei più andato dal luogo dove ho visto tutto questo.
"
Pavel A. Florenskij

Postato da: giacabi a 20:55 | link | commenti
chiesa, florenskij

lunedì, 28 giugno 2010

L’amicizia,
come nascita misteriosa del Tu

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Sofia la vera creatura, ossia la creatura nella verità, è come un accenno anticipato al mondo trasfigurato e spiritualizzato. Questa rivelazione si compie nell’amore personale e sincero di due persone, nell’amicizia, quando a chi ama è concesso in forma previa, senza sforzo ascetico di distruggere l’autoidentità, di abolire i confini dell’Io, di uscire da se stesso e di trovare il proprio Io nell’Io dell’altro. L’amicizia, come nascita misteriosa del Tu, è l’ambiente nel quale incomincia la rivelazione della Verità”

Postato da: giacabi a 21:13 | link | commenti
amicizia, florenskij

domenica, 27 giugno 2010

La ragione  ortodossa e cattolica
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“Opera della ragione  ortodossa e cattolica, è raccogliere tutti i frammenti, la loro totalità,  mentre opera dell’intelletto eretico e settario è scegliere i frammenti che piacciono”
Pavel A. Florenskij (1882-1937
Grazie ad :anna vercors

Postato da: giacabi a 06:53 | link | commenti
cattolico, cristianesimo, florenskij

sabato, 26 giugno 2010

Senza vera comunione non esiste nè la Chiesa nè il cristianesimo
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l'amicizia,  come nascita come nascita misteriosa del "Tu", è l'ambiente nel quale incomincia la rivelazione della Verità">
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"realizzare un'autentica, piena comunione come garanzia della vita della Chiesa. E io non trovo da nessuna parte questa comunione: solo carte e mai l’oro. Non dico che nella Chiesa non ci sia dell’oro puro, ma a me non è capitato di trovarlo. Se non c’è comunione non esiste né Chiesa né cristianesimo. Mi  si ordina di credere, e io credo, ma questa non è ancora vita: la vita inizia appunto dal momento in cui vedi e tocchi con mano questo fatto fondamentale”
Pavel A. Florenskij (1882-1937),


Postato da: giacabi a 14:43 | link | commenti
chiesa, amicizia, florenskij


La realtà è segno di Dio
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“Ricordo le mie impressioni di bambino e non mi sbaglio: sulla riva del mare mi sentivo faccia a faccia con l’Eternità amata, solitaria, misteriosa e infinita dalla quale tutto scorre e alla quale tutto ritorna. L’Eternità mi chiamava, e io ero con lei”.
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«Nelle cose più ovvie e ordinarie è nascosto un vertigino sosenso dell’infinità e della trascendenza»

Pavel Florenskij


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reale, senso religioso, florenskij

domenica, 20 giugno 2010

FLORENSKIJ,
 NUOVO AGOSTINO DEL NOVECENTO
 MARCO RONCALLI
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Cancellato dal totalitarismo sovietico insieme ai suoi scritti, segnati da una costante ricerca dell’Assoluto, rimosso dalla coscienza pubblica del suo Paese, e tuttavia sopravvissuto grazie alla memoria di discepoli, familiari e amici, dopo essersene andato – per usare le parole di Sergej Bulgakov – «cinto dall’aureola di martire e confessore del nome di Cristo», Pavel Aleksandrovic Florenskij continua ad essere al centro di una felice riscoperta. Essa ne restituisce i tratti di straordinario e poliedrico pensatore, alimentando il nostro stupore davanti alle sue intuizioni, alle sue parole, alla sua vita, che, nella loro tragica apparente incompiutezza, restano saldate in una unità indissolubile. È un dato confortante: per noi è l’eredità del presbitero ortodosso, padre di cinque figli, letterato, matematico, filosofo, teologo, fisico, studioso di estetica, simbologia, semiotica…, fucilato a 55 anni l’8 dicembre 1937, nei pressi di Leningrado, dopo aver trascorso lunghi periodi di gulag nelle isole Solovski, dov’ era stato recluso non appena la sua presenza di scienziato in talare era diventata intollerabile per il regime. Una morte, la sua, atto d’amore, con crocefisssione al Cristo, dopo aver rifiutato durante la detenzione la possibilità di essere liberato e inviato all’estero con la famiglia. Se anche solo venti anni fa Sergej Averincev non nascondeva il suo sconcerto per il fatto che l’opera di Florenskij venisse ancor «somministrata in dosi omeopatiche», oggi la situazione è mutata. Anche solo a giudicare l’attenzione dell’editoria e della nuova stagione ermeneutica, capace di mostrarci come il pensiero florenskijano abbia incarnato il messaggio evangelico nelle generalità culturali del suo tempo e in un approccio alla cultura «germinazione del culto». Certo, si stenta ancora a valutare la cifra complessiva della sua Weltanschauung: sfuggente alle consuete classificazioni e più facilmente frammentabile in questo o quel comparto disciplinare, essa richiede tuttavia un abbraccio vasto, profondo, concentrato sulla sua inviolabile unità, non su ritagli talvolta arbitrari. Ce lo ricorda uno dei massimi studiosi di colui che è stato definito il Leonardo da Vinci o il Pascal russo, e cioè Natalino Valentini , che ha appena mandato in libreria –per Mondadori – «Bellezza e liturgia», una raccolta di scritti florenskijani su cristianesimo e cultura, e – per le Edizioni San Paolo – il capolavoro del pensatore russo: «La colonna e il fondamento della verità.
  Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere». Apparsa in Italia nel 1974 a cura di Elemire Zolla per i tipi di Rusconi, da tempo introvabile, è l’opera più rappresentativa del nostro, ma anche una summa del pensiero ortodosso, un trattato spirituale e ascetico, un confronto fecondo tra ragione e fede, un percorso alla ricerca della verità colta nel suo valore ontologico e salvifico. Da qui si può ripartire. A detta di Evgenij Trubeckoj che pure – come Nikolaj Berdjaev e altri – non condivideva diverse teorie di Florenskij : «Forse, in tutta la letteratura mondiale, se si fa eccezione per le 'Confessioni' di sant’Agostino, non c’è analisi più illuminante e tormentata dell’animo umano..., e nessuna opera ha saputo manifestare con tanta chiarezza la necessità di un aiuto dall’Alto per soccorrere il dubbio umano».

Postato da: giacabi a 07:40 | link | commenti
florenskij

mercoledì, 19 maggio 2010

    L'anonima fine  del detenuto n. 368



        Diventerà una mostra itinerante l'esposizione "Nulla va perduto. L'esperienza di Pavel Florenskij" allestita a Rimini in occasione del Meeting per l'amicizia dei popoli. Pubblichiamo un articolo di uno dei curatori.
       

        di Adriano Dell'Asta

        Pavel Florenskij fu per molti versi un personaggio eccezionale:  grandissimo matematico, fisico, inventore, filosofo, linguista, teologo, studioso dell'iconografia, poeta; non c'è quasi disciplina che non abbia almeno in parte affrontato, e in quelle a cui si dedicò più a lungo lasciò comunque un segno. Di lui Sergij Bulgakov, un altro genio enciclopedico - prima di essere filosofo e teologo fu economista - ebbe a scrivere:  "Di tutti i contemporanei che ho avuto la ventura di conoscere nel corso della mia lunga vita è il più grande. E tanto più grande il delitto di chi ha levato la mano su di lui, di chi lo ha condannato a una pena peggiore della morte, a un lungo e tormentoso esilio, a una lenta agonia".
        Una figura eccezionale, con un destino non meno eccezionale nella sua tragicità; quando padre Bulgakov scriveva il commosso ricordo da cui abbiamo tratto le righe appena citate, le notizie sulla morte di Florenskij erano ancora avvolte nel mare di oscurità, imprecisioni e menzogne di cui il regime sovietico si compiaceva di circondare la fine delle proprie vittime, per cancellarne dopo l'esistenza fisica anche la memoria. Accanto alle inesattezze sulla data della morte - nel 1974, la prima edizione italiana de La colonna e il fondamento della verità (Milano, Rusconi) portava ancora la data ufficiale del 15 dicembre 1943 - fiorì così ogni sorta di leggenda e di mito anche pittoresco:  si raccontava per esempio che fosse morto perché, assorto nelle sue meditazioni, non si sarebbe reso conto di essere entrato in una zona proibita ai detenuti e una guardia gli avrebbe immediatamente sparato; altre versioni, al contrario, lo facevano vivere molto più a lungo e lavorare in un laboratorio segreto alla costruzione della bomba atomica sovietica. Oggi di questa fine, molto meno teatrale, sappiamo invece quasi tutto:  la condanna alla fucilazione venne pronunciata il 25 novembre 1937, mentre era già detenuto alle Solovki, ed eseguita l'8 dicembre, non alle Solovki, ma sul continente, nei pressi di Leningrado, dove padre Pavel era stato inviato tra il 2 e il 3 dicembre con un gruppo di altri 509 condannati; lui, uno dei tanti anonimi "casi" da liquidare alla svelta, portava il numero 368.
        Non sappiamo ancora con assoluta certezza il luogo della sepoltura, e probabilmente non lo sapremo mai, ma in compenso conosciamo alcuni particolari che, fuori da ogni mito o leggenda pia, rendono la fine di padre Pavel ancor più eccezionale:  caso, se non unico, rarissimo, Florenskij andò al martirio dopo aver ripetutamente rifiutato durante la detenzione la possibilità di essere liberato e inviato all'estero con la famiglia.
        Una prima serie di rifiuti a proposte simili risalirebbe al periodo del primo arresto, avvenuto il 21 maggio 1928 e culminato in una condanna a tre anni di confino, relativamente mite per quel periodo e oltre tutto annullata dopo poche settimane; il principio che avrebbe ispirato questi rifiuti era quello che padre Pavel condivideva con i suoi figli spirituali e con chiunque gli chiedesse consiglio in quegli anni tremendi:  "Quelli tra voi che si sentono abbastanza forti da resistere devono restare, e quelli invece che hanno timore e non si sentono saldi e sicuri possono andare". Un principio di grande realismo e sobrietà, ma può sempre sorgere il dubbio che sia facile dare simili consigli parlando del destino altrui e vivendo ancora in una condizione di relativa libertà.
        Tutto diventa evidentemente ben più spinoso e sofferto dopo il secondo arresto, avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 1933. L'accusa è quella di aver fondato un partito per la rinascita della Russia, che gli organi inquirenti definiscono sinistramente "un'organizzazione controrivoluzionaria nazionalfascista". Si tratta di una colossale montatura, ma la condanna arriva ugualmente, il 26 luglio del 1933, e questa volta è a dieci anni di campo di concentramento, una misura che non lascia molto spazio a facili eroismi. Eppure nell'estate del 1934, tra la fine di luglio e i primi di agosto, Florenskij rifiuta nuovamente l'offerta di uscire dall'Unione Sovietica con la propria famiglia; è la stessa moglie che gli presenta questa proposta, durante una visita che gli può fare nel campo dove è detenuto. Approfittando dell'incontro gli presenta il caso di due sue figlie spirituali, Ksenija Rodzjanko e Tat'jana Saufus, che erano già state arrestate tre volte e nel 1930-1933 erano state mandate al confino in Siberia:  le due donne chiedono se restare in patria o cercare salvezza espatriando e padre Pavel benedice la loro partenza; andranno in Cecoslovacchia. Contemporaneamente la moglie lo informa che il Governo cecoslovacco si è detto disposto a offrire asilo a lui e alla sua famiglia, ma ha bisogno della sua disponibilità per iniziare contatti ufficiali con il Governo sovietico; come abbiamo già anticipato Florenskij risponde con un netto rifiuto.
        La cosa non finisce però qui; la Saufus, dopo essere arrivata in Cecoslovacchia ed essere entrata nella segreteria dell'ex presidente Masaryk, nell'autunno del 1936 fa in modo che la questione venga riproposta ancora una volta attraverso la ex moglie di Gor'kij, Ekaterina Peskova, un personaggio insospettabile per il suo passato rivoluzionario, e che inoltre sapeva farsi ascoltare dal regime e già altre volte era intervenuta a favore di Florenskij e di altri intellettuali caduti in disgrazia. A questo punto, fuori da qualsiasi abbellimento agiografico, e a conferma di questa storia quasi incredibile, abbiamo la testimonianza della stessa Peskova, conservata negli archivi di Gor'kij presso l'Istituto di Letteratura mondiale dell'Accademia delle scienze russa; in un suo appunto indirizzato al Commissariato del popolo degli Affari interni (Nkvd) leggiamo:  "C'è stata la richiesta di Masaryk, trasmessami dal console ceco Slavek, nella quale si proponeva per Florenskij, come eminente scienziato, la commutazione del lager con l'esilio in Cecoslovacchia, dove gli si offriva la possibilità di un lavoro scientifico. In seguito ai contatti avuti con la moglie di Florenskij, che mi ha comunicato che il marito non intende andare all'estero, mi sono limitata a chiedere la liberazione di Florenskij "qui"".
        Questa rinuncia alla libertà è un fatto già di per sé straordinario, ma per rendersi conto sino in fondo della sua eccezionalità dobbiamo tornare ancora brevemente alle condizioni in cui avviene:  quando Florenskij oppone questo ennesimo rifiuto alla proposta di espatriare non è in libertà o al confino o in un lager "sopportabile"; nel 1936 è già alle Solovki, le "isole dell'inferno", e su quello che sta vivendo ormai non si fa più alcuna illusione, come risulta dalle lettere alla famiglia - la cui edizione italiana, col titolo Non dimenticatemi, è stata curata da Natalino Valentini e Lubomír Zák (Milano, Mondadori, 2006, pagine 420, euro 10,40). La tragedia è percepita in tutta la sua atrocità, nella sua realtà completamente disumanizzante e nella desolazione che tutto questo comporta.
        È sì vero che nonostante tutto e persino in queste condizioni padre Pavel riesce a conservare una integrità spirituale che gli consente di essere ancora un punto di riferimento e un esempio per i suoi compagni di detenzione:  lavora in modo encomiabile, aiuta chiunque abbia bisogno di lui, è sempre disposto a qualsiasi sacrificio pur di soccorrere i suoi compagni di sventura. Ma questo comportamento esemplare non toglie minimamente il dolore e la sofferenza, anzi rende l'insensatezza di questo destino ancora più bruciante. Ci sono delle lettere dalle Solovki nelle quali questa percezione si fa quasi disperata:  riesce ancora a dare dei contributi scientifici, ma lo fa in condizioni così assurde che deve concludere:  "Quanto al lavoro scientifico, per svolgerlo non c'è proprio niente, almeno di ciò che serve a me"; a ben vedere, poi, non è tanto il lavoro scientifico a essere difficile, ma qualsiasi attività intellettuale in quanto tale:  "Non ho tempo, né luogo, non solo per fare qualcosa, ma neanche per pensare", dice in una lettera e poi aggiunge "anche la lettura è diventata per me una cosa estranea, una occupazione del tutto passiva". L'esito è una quasi totale estraniazione dalla realtà e dalla vita:  "È così che mi sento, soprattutto in questi ultimi giorni:  tagliato fuori da tutto ciò che è vivo".
        Florenskij sembra aver toccato l'estremo nulla, il nichilismo nel suo senso estremo, dove le cose non valgono e non dicono più nulla, soprattutto dove le cose non dicono più la loro bellezza e non rimandano più al loro creatore. Di fronte allo spettacolo delle isole e del loro monastero (una delle meraviglie del panorama storico e naturale russo), non scatta in Florenskij alcuna commozione; per quanto quello che vede possa essere bello, "In queste condizioni non fa piacere (...) So che questo è molto bello, ma l'anima è quasi sorda a questa bellezza", anzi riesce a cogliere esattamente il suo contrario:  "Il monastero-fortezza ha un aspetto fatiscente, estremamente sgradevole, malgrado il suo interesse storico e archeologico. Io non ho neanche voglia di guardarlo".
        Sono osservazioni tanto più sorprendenti quanto più ci si ricorda che vengono da un uomo che proprio nella natura e nella sua bellezza misteriosa aveva trovato una traccia del mistero di Dio; sin da bambino, la natura era stata per lui innanzitutto il luogo del mistero e dell'eternità:  "Sulla riva del mare mi sentivo faccia a faccia con l'Eternità amata, solitaria, misteriosa e infinita dalla quale tutto scorre e alla quale tutto ritorna. L'Eternità mi chiamava e io ero con lei".
        Qui invece la natura sembra non dire più nulla e l'uomo sembra gridare di nuovo come Cristo sulla croce:  "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
        L'eccezionalità del rifiuto a espatriare si capisce proprio alla luce di questa situazione esterna:  là dove sembra che sia rimasto soltanto il non senso, là dove si è preda soltanto dell'apparente abbandono di Dio e tutto sembrerebbe dover spingere alla fuga, questo stesso Dio si fa misteriosamente presente proprio nella forza che consente a Florenskij non solo di non cercare la fuga, ma di rifiutare la liberazione che gli viene offerta; quali che siano le tragedie vissute e sperimentate sulla propria pelle, per quanto possa essere reale e potente la sensazione della tempesta che sta per travolgerlo e per cancellare non solo la sua esistenza e i frutti del suo lavoro ma la sua stessa memoria, altrettanto reale è un'altra esperienza:  c'è qualcosa, un luogo, qualcuno in cui nulla va perduto.
        In un passo straziante di una lettera al figlio Kirill, Florenskij scrive:  "La mia unica speranza è che tutto ciò che si fa rimane. Spero che un giorno, in qualche modo pur a me sconosciuto, sarete ricompensati di tutto ciò che ho tolto a voi, miei cari. La cosa più orribile della mia sorte è la cessazione del lavoro e la sostanziale distruzione dell'esperienza di tutta la mia vita. Ebbene, se non fosse per voi non mi lamenterei di aver subito questa sorte. Se la società non ha bisogno dei frutti del lavoro della mia vita, rimanga pure senza di essi:  bisogna ancora vedere chi subisca il maggior danno, se io o la società, per il fatto che non darò ciò che potrei dare. Ma mi dispiace di non poter far voi partecipi della mia esperienza e soprattutto di non potervi accarezzare".
        Tutto sembra perduto ma non è mai così:  Florenskij vive sino in fondo tutto quello che gli è dato di vivere, sapendo che "non sono gli affanni del presente a oscurare l'eternità, ma che l'eternità ci guarda dalle profondità degli affanni del presente"; non è l'uomo a dover abbattere ostacoli insormontabili e a dover vincere tenebre paurose per potersi avvicinare alla luce e scorgerne qualche raggio, è questa stessa luce che gli viene incontro e lo avvolge, rendendolo a sua volta luminoso e fonte di luce per tutti proprio nel cuore del buio più profondo.
        Nella tradizione cristiana il testimone dell'eterno e della luce è quello che si chiama il santo o il martire, quello per il quale fede e vita sono ormai diventati una cosa sola, come Florenskij aveva detto molti anni prima della propria fine:  "Il santo è testimone, è testimonianza non a causa delle parole che dice, ma perché egli è santo, perché vive nei due mondi, perché vediamo in lui con i nostri occhi i flussi puri della vita eterna, indipendentemente dal fatto che essi scorrono in mezzo alle nostre torbide e terrestri acque che rovinano la vita. In mezzo alle acque morte - ma anche vive - della storia, nonostante la presenza delle potenze negative del mondo. Ed è per questo che il santo testimonia con il suo stesso essere l'esistenza della Sorgente di forza contraria:  la Vita".
        Nelle lettere non poteva dirlo, ma Kirill e tutti gli altri suoi figli sapevano benissimo da dove venisse e in cosa consistesse questa vita; glielo aveva scritto nel proprio testamento spirituale:  "Vi prego, miei cari, quando mi seppellirete, di fare la comunione in quello stesso giorno, o se questo proprio non dovesse essere possibile, nei giorni immediatamente successivi. E in genere vi prego di comunicarvi spesso dopo la mia morte. La cosa più importante che vi chiedo è di ricordarvi del Signore e di vivere al suo cospetto. Con ciò è detto tutto ciò che voglio dirvi, il resto non sono che dettagli o cose secondarie, ma questo non dimenticatelo mai".
        Del resto era proprio questo che aveva detto per motivare il suo rifiuto di espatriare:  "Tutto posso in colui che mi dà la vita", "Tutto posso in colui che mi dà la forza".
        Anche in questo caso Florenskij realizzava una cosa che aveva scritto molti anni prima, addirittura nel 1906:  "La vita non ci aspetta, la vita reclama le sue esigenze, e ora non si potrà più restare semi-credenti o semi-ortodossi come la maggior parte di noi, ma è necessario raccogliere tutte le forze dell'anima in vista di un unico fine:  per servire la Chiesa, per difendere la Chiesa e chi lo sa, forse per il martirio".
        Là dove l'umano abbandonato a se stesso sembrava non poter vedere più nulla, la luce della fede aveva illuminato la ragione e, radicandola nella Chiesa e nel suo servizio, le aveva fatto cogliere la verità ultima delle cose:  che l'uomo, in Cristo, diventa capace di resistere anche alle potenze apparentemente più invincibili, si compie come altrimenti gli sarebbe impossibile anche solo immaginare. Era in fondo l'esperienza vissuta dallo stesso Florenskij, scienziato e filosofo, per il quale l'incontro con la fede non aveva escluso la ragione e neppure esentato dal suo uso, come se l'uomo, una volta incontrata la fede, potesse fare a meno della ragione, ma anzi l'aveva potenziata; la fede, con il mistero al quale continuamente rimandava, non solo non aveva impedito alla ragione di procedere, ma l'aveva spinta anzi a un ricerca continua, secondo quello che per Florenskij era il dinamismo stesso della ricerca scientifica:  "Tutte le idee scientifiche che mi stanno a cuore sono sempre state suscitate in me dalla percezione del mistero".
        Nella prima lettera di Florenskij a uno dei suoi due grandi padri spirituali, il vescovo Antonij Florensov (1847-1918), quello che è ancora un giovane matematico alla ricerca della sua definitiva vocazione mostra già di aver intuito quale sia il centro della vita:  Cristo, un Cristo che è irriducibile a dogmi e a valori astratti, ma che non può neppure essere ridotto alle azioni compiute per Lui, neppure alle buone azioni e alla bontà; tutto ciò infatti non basta ancora, come Florenskij aveva imparato dalla storia della sua famiglia, un'ottima famiglia, con un padre una madre di grande generosità, ma che proprio per generosità, per un rispetto umano mal inteso, per evitare imposizioni, avevano tenuto lontano il proprio figlio dalla religione e così lo avevano privato, come avrebbe detto lui stesso "del sostegno più forte, della più fidata delle consolazioni".
        Presentiamo alcuni brani della lettera dell'11 luglio 1904:  "Ci sono degli istanti e dei periodi (anche di qualche giorno) in cui cesso di sentire Cristo, la Sua gioia e la Sua leggerezza. È difficile spiegarlo a chi non l'abbia provato:  non è che vengano fuori dei dubbi, i dubbi hanno i loro rimedi, ma ti senti sordamente insensibile, indifferente, né freddo, né caldo, tiepido verso ciò che è fondamentale; e la preghiera poi diventa formale, solo parole; e vedi chiaramente tutto l'orrore di una situazione in cui guardi a Cristo come a qualcosa di passato, che se n'è andato (...) Ho cercato a lungo di capire da dove nascesse questa situazione e alla fine credo di aver capito. Quando agisci in nome di Cristo senti la Sua presenza, ma appena smetti di lavorare in questo modo, chissà perché, per motivi indipendenti dalla tua volontà, è come se Cristo se ne fosse andato chissà dove (...) I miei genitori sono persone con una buona formazione secolare, ma assai scarsa da un punto di vista filosofico-religioso e comunque non si considerano credenti. Sono caratterizzati da una grande bontà e da una costante disponibilità ad aiutare gli altri; so da altri (da altri perché di questo loro non parlano) che mio padre ha aiutato e aiuta molto il prossimo, spesso rinunciando anche alle più normali comodità. Ma l'oggetto principale dei loro pensieri e dei loro sentimenti è la famiglia. Tutto è per lei, per noi, per i figli. (...) I genitori non hanno e non hanno mai avuto del tempo per loro, dei divertimenti e degli svaghi (teatro o cose simili) per loro soli, delle comodità. Decisamente tutte le forze dei genitori sono sempre state spese per noi, e tutti i loro pensieri sono sempre stati rivolti a come far sì che noi potessimo avere la migliore istruzione, la migliore educazione, i migliori divertimenti, e via dicendo (...) Non conoscerei una famiglia più perfetta della nostra (per quel che riguarda i genitori) se non fosse per un particolare:  la vita religiosa ne era assolutamente esclusa. I miei genitori, essendo non credenti, o per lo meno non cristiani nel senso pieno della parola, erano però assolutamente tolleranti nei confronti di qualsiasi convinzione religiosa, a patto che restasse pura teoria. Questo li indusse a non infonderci le loro convinzioni, ma non permise neppure loro di esercitare su di noi una qualsiasi influenza religiosa. Ed ecco, dopo che tutta la vita era stata interamente spesa per fare della famiglia qualcosa di unico, perché questo era il sogno dei genitori, dopo che fummo cresciuti, i genitori videro, con il più totale sconforto, che la famiglia si disfava, oltretutto (...) per dei motivi assolutamente incomprensibili. Si dice che questo sia uno dei frutti dell'individualismo contemporaneo, ma mi pare che questo sia soltanto un altro modo di chiamare lo stesso fatto e che non spieghi nulla (...) Non è che ci fossero litigi; questo proprio non c'era, semplicemente non c'era unità, non c'era nulla che unisse dall'interno; non c'era una famiglia, ma un gruppo di persone, ed era come se ciascuno facesse per conto suo. Dentro di me penso:  "Qui non c'è Cristo"".




(©L'Osservatore Romano 2 settembre 2009)

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florenskij

venerdì, 02 aprile 2010

 
Cristo è risorto!
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 “Non è vana la nostra fede, né le imprese dello spirito, perché Cristo è risorto. Nel fluire confuso degli eventi si è trovato un centro, è stato scoperto un punto d’appoggio: Cristo è risorto! Esiste una sola verità: Cristo è risorto.Se il Dio-Uomo non fosse risorto, allora tutto il mondo sarebbe divenuto completamente assurdo e Pilato avrebbe avuto ragione con la sua domanda sprezzante: cosa è la verità?”.
Pavel Florenskij,


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gesù, florenskij

mercoledì, 23 dicembre 2009

Cosa vuol dire autentico portatore dello Spirito di Dio

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L’abba Isidoro era un autentico portatore dello Spirito di Dio. Ecco perché quanto di eccezionale è in lui era e continua a restare inefferrabile per il nostro linguaggio, impercettibile per il nostro intelletto. Di per sé tutto d’un pezzo, unitario, l’abba diventa interamente contraddittorio nel momento in cui si tenta di caratterizzarlo a parole, dicendo: “Ecco, era questo e quest’altro”. È vero, sottostava ai digiuni, ma al contempo li violava. È vero, era dotato dello spirito di sottomissione, ma anche di indipendenza. È vero, viveva relegato dal mondo, ma amava tutta la creazione come nessuno mai. È vero, viveva tutto assorto in Dio, ma non trascurava di leggere i giornali e di dilettarsi di poesia. È vero, era di carattere mite, ma sapeva essere anche severo. In una parola, al nostro intelletto egli si presenta come un’insanabile contraddizione. Ma alla ragione purificata egli appare come un tutto coerente come nessuno mai. Anche la sua unità spirituale sembra costituire una contraddizione sul piano razionale. Viveva nel mondo, e al contempo non era di questo mondo. Non disdegnava nulla, eppure si manteneva sempre al di sopra, in una dimensione celeste. Era spirituale, pneumatoforo, e nella sua persona era possibile comprendere che cosa significhi la spiritualità cristiana, che cosa significhi essere cristiani “non di questo mondo”.

Pavel A. Florenskij, Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro


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cattolico, florenskij

venerdì, 30 ottobre 2009

L 'esperienza immediata
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«Solo con l'esperienza immediata è possibile percepire e valutare la ricchezza della Chiesa».
 Pavel Florenskij

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esperienza, florenskij

sabato, 24 ottobre 2009

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In ciascuno di noi c’è qualcosa di simile ad un cherubino, qualcosa di somigliante all’angelo divino dai molti occhi, come una coscienza.
Ma questa somiglianza non è esteriore, né apparente. La somiglianza con il cherubino è interiore, misteriosa e nascosta nel profondo dell’anima.
E’ una somiglianza spirituale. C’è un grande cuore cherubico nella nostra anima, un nucleo angelico dell’anima, ma esso è nascosto nel mistero ed è invisibile agli occhi della carne.
Dio ha messo nell’uomo il suo dono più grande: l’immagine di Dio. Ma questo dono, questa perla preziosa, si nasconde negli strati più profondi dell’anima: chiuso in una rozza conchiglia, fangosa, giace sepolto nel limo, negli strati più profondi dell’anima.
Tutti noi siamo come dei vasi di argilla colmi d’oro scintillante. Di fuori siamo anneriti e macchiati, dentro invece siamo risplendenti di una luce radiosa.
Il tesoro di ognuno di noi è sepolto nel campo della nostra anima. E se qualcuno trova il proprio tesoro, allora trattiene il respiro, abbandona tutti i suoi affari per poterlo portare alla luce. In questo sta la più grande felicità, il bene supremo dell’uomo. In questo consiste la sua gioia eterna.
Il regno dei cieli è la parte divina dell’anima umana. Trovarla in se stessi e negli altri, convincersi con i propri occhi della santità della creatura di Dio, della bontà e dell’amore delle persone, in questo sta l’eterna beatitudine e la vita eterna.
Chi l’ha gustata una volta è pronto a scambiare con essa tutti i beni personali. La perla che il mercante cercava non è lontana, l’uomo la porta con sé ovunque, solo che non lo sa.
E ognuno di noi va angosciato per il mondo, pur avendo un tesoro dentro di sé molto spesso crede che una simile perla sia in qualche posto lontano. Beato colui che vede il suo tesoro! Ma chi è in grado di vederlo? Chi vede la sua perla?
Le cose terrene le vede solo colui che ha un occhio corporeo puro; le cose celesti le vede solo colui che ha puro l’occhio celeste, il cuore. BEATI I PURI DI CUORE PERCHE’ VEDRANNO DIO, lo vedranno nel proprio cuore e in quello altrui; lo vedranno non solo in futuro, ma anche in questa vita, lo vedranno adesso.
Basta solo che purifichino il loro cuore!
Pavel Aleksandrovič Florenskij, Il cuore cherubico, Piemme 1999)


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florenskij

sabato, 08 agosto 2009

L’uomo è se stesso quando è insieme

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"Non riesco a immaginarmi la vita se non con qualcun altro; senza qualcuno con cui vivere non voglio neppure la salvezza; non sento alcuna attrattiva per la vita né per la salvezza della mia anima se devo restare solo"

Pavel Florenskji


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amicizia, florenskij

martedì, 09 giugno 2009

Florenskij, il Pascal delle steppe
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inedito               clicca qui
     
Una delle ultime lezioni di padre Aleksandr Men’, il pope russo assassinato nel settembre 1990, fu dedicata al «collega» fucilato dai comunisti nel 1937


 Florenskij era legato all’Univer­sità di Mosca, ai progetti e agli istituti per l’elettrificazione del Paese, inoltre era professore dell’Accademia teologica di Mosca, docente di Storia della filosofia; al tempo stesso era redattore della rivista  Bogoslovskij vestnik. La molteplicità di interessi era emersa in lui sin dall’infanzia, lo chiamavano « il Leonardo da Vinci russo». Ma quando diciamo Leonardo da Vinci ci viene in mente un maestoso vegliardo, che guarda l’umanità dall’alto dei suoi anni. Florenskij, invece, è morto giovane. Era scomparso. Arrestato nel 1933, era sparito e i suoi familiari, moglie e figli, non sapevano dove fosse, né cosa gli fosse accaduto: lo ignoraro­no per molto tempo, perché nel 1937 gli avevano tolto il diritto di corrispondenza. Mi ricordo quando con la mamma camminavo per Zagorsk, in tempo di guerra, lei salutava la moglie di Florenskij e diceva: «Questa donna sta portando un’enorme croce». E mi spiegava che non sapeva cosa fosse accaduto al marito. Anche mio padre a quel tempo era appena stato liberato dalla detenzione e io, sebbene fossi abbastanza giovane, capivo cosa voleva dire. In realtà, a quell’epoca Florenskij ormai era già morto. Ai tempi di Chrušcëv, nel 1958, sua moglie aveva chiesto la riabilitazione, e aveva ricevuto un certificato in cui si attestava che Florenskij era morto nel 1943, ossia alla fine della condanna. Infatti nel 1933 gli avevano dato 10 anni, come a un pericoloso delinquente.

Sì, quando io e la mamma parlava­mo della sua sorte, lui ormai non c’e­ra già più. Il certificato di morte i familiari l’hanno ricevuto solo nel n­vembre 1989. «Il cittadino Florenskij Pavel Aleksandrovic è deceduto 1’8 dicembre 1937... Età: 55 anni (non è vero, ne aveva 56). Causa del decesso: fucilazione.
  Luogo del decesso: regione di Leningrado». Un uomo che, alcuni mesi prima, trovandosi ai lavori forzati in condizioni infernali, proseguiva attivamente il suo lavoro di ricerca; un uomo che aveva una profonda vita spirituale, intellettuale, che trasmetteva ai figli le sue ricche conoscenze. Fino al 1937, infatti, ebbe il permesso di scrivere, e vi furono persino dei momenti in cui la famiglia poté andarlo a trovare. Di un uomo come lui può andare fiera qualsiasi civiltà: sta sullo stesso piano di Pascal, di Teilhard de Chardin, di molti studiosi e pensatori di tutti i tempi e i popoli.
  Fra i filosofi russi, Florenskij era il più apolitico. Tutto immerso nei suoi pensieri, nel suo lavoro, stava sempre un po’ in disparte dalla vita pubblica. Era innocente e il Paese aveva bisogno di lui: come in­gegnere, come scienziato, come lavoratore disinteressato. Eppure, preferirono fucilarlo. Assieme al certificato, il Kgb ha consegnato ai familiari la copia della sentenza. C’è anche una fotografia allegata: un uomo con il volto segnato dalle percosse, che ha toccato il fondo, perché lo hanno straziato e torturato. Ecco in che e­poca siamo vissuti.
  Padre Pavel viveva come in un mondo a sé. Comprendeva più la natura che le persone. Aveva una predilezione per le pietre, le piante, i colori: in questo senso assomiglia molto a Teilhard de Chardin, che pure, da bambino, provava tenerezza per la materia, era, oserei dire, innamorato della materia. Per Florenskij questo era iniziato dall’infanzia. Forse il mondo delle persone gli era persino estraneo e talvolta opprimente. Un certo dottor Bochgol’c, ortodosso fervente, aveva incominciato a compilare con Florenskij un vocabolario dei simboli, e qualcuno gli aveva chiesto che cosa avesse in comune con quell’uomo, e Bochgol’c  aveva risposto che nessuno dei due amava gli uomini. Certo, lui parlava per sé, di Florenskij è difficile poter dire una cosa del genere. Oggi, leggendo le lettere di padre Pavel ai propri cari, alla moglie, ai figli, possiamo constatare quale enorme tesoro di tenerezza, di attenzione, di amore autentico e meraviglioso custodisse il suo cuore. E tuttavia, non era un cure spalancato ma, al contrario, piuttosto chiuso, nel quale più di una vo­ta si erano aperte delle spaccature dolorose.
  Almeno tre profonde crisi interiori colpirono la vita di Pavel. La prima fu una crisi salutare, nel periodo della giovinezza, quando Florenskij, cresciuto in una famiglia non religiosa, lontana dalla Chiesa, a un certo punto comprese l’inconsistenza della visione materialistica del mondo e si mise a cercare appassionatamente una via d’uscita. Vi fu un’altra grave crisi, per così dire personale, quando cercò di compiere da sé la propria vita. Per uno come lui non era affatto semplice portare il proprio fardello, il peso di se stesso. Un suo conoscente mi ha raccontato che Florenskij gli aveva detto, scherzando, che dal punto di vista logico era in grado di dimostrare, e in modo molto convincente, cose assolutamente contraddittorie. Il suo intelletto era una macchina colossale, ma al tempo stesso Florenskij non era solo un uomo astratto, era un uomo profondamente appassionato, un teorico. Berdjaev ricorda di aver visto Florenskij da giovane in un monastero, da uno starec dove lo avevano portato alcuni amici devoti: stava in piedi in mezzo alla chiesa e piangeva, singhiozzando... Una vita tutt’altro che semplice, la sua.
  Infine, a 42 anni, sopraggiunse un’altra crisi, quando Florenskij stava scrivendo uno studio critico in cui avanzava una serie di tesi che suscitarono la dura reazione dei suoi amici ultraortodossi. La critica lo aveva messo così in subbuglio, che padre Pavel aveva detto: «Non scriverò più niente di teologia». Non doveva essere stato semplice, per un uomo come lui, autore di un libro celebre come La colonna e il fondamento della verità, lasciarsi sfuggire un’espressione del genere.
  Era una persona difficile e contraddittoria, padre Pavel. Si era laureato brillantemente in matematica all’Università di Mosca, dove aveva subito ottenuto una cattedra. La matematica era per lui come il fonda­mento dell’universo. Alla fine, era ar­rivato a pensare che tutta la natura visibile, in sostanza, può essere ridotta a punti d’appoggio invisibili. Per questo amava tanto Platone, infatti per quest’ultimo l’invisibile è la fonte di ciò che è visibile. Florenskij amò, studiò, commentò Platone per tutta la vita.
  Negli anni in cui era studente, Florenskij fu molto influenzato da Vladimir Solov’ëv. Bisogna dire che entrambi erano platonici, che a entrambi stava a cuore il problema del fondamento spirituale dell’essere e il tema misterioso della Sofia-Sapienza Divina. Forse per questo Florenskij cercava di prendere le distanze da Solov’ëv, quasi non lo cita e – se lo cita – lo fa in modo critico. Eppure, nella storia del pensiero i due sono molto vicini, molto più di quanto lo stesso Florenskij potesse sospettare.
  L a matematica non rimase la sua preferita per tutta la vita. Florenskij abbandonò la scienza, si trasferì a Sergiev Posad ed entrò all’Accademia teologica. Andrej Belyj, che l’aveva conosciuto in quegli anni, parla con tenerezza e ironia di questo giovane dai capelli lunghi; dice che lo chiamavano «il naso coi riccioli », perché Florenskij aveva un viso olivastro, ereditato dalla madre armena, un naso come quello di Gogol’ e lunghi capelli ondulati. Era basso di statura e di costituzione esile. Parlava a bassa voce, soprattutto dopo essersi stabilito nel monastero: senza volere aveva fatto proprio il comportamento monastico. Quando nel 1909 venne inaugurato il monumento a Gogol’, quando fu tolto il drappo un uomo esclamò: «Ma questo è Pavlik!». In effetti, la figura curva, i capelli, il naso somigliavano straordinariamente a quelli di Florenskij.
   Lo scrittore religioso Sergej Fudel’, figlio del noto sacerdote moscovita Iosif Fudel’, da giovane aveva conosciuto Florenskij. Mi descriveva il suo aspetto esteriore, i suoi gesti, e diceva che assomigliava a un affresco egiziano che aveva preso vita. Raccontava che poteva ascoltarlo a lun­o quando parlava con suo padre a voce sommessa. Non era sempre chiaro di cosa stessero parlando, nei loro discorsi si mescolavano tanti ar­omenti: la moda femminile, che era un indicatore preciso dello stile della civiltà del tempo; le esperienze occulte; il mistero dei colori delle i­cone; i significati profondi delle parole. Florenskij conservò per tutta la vita un interesse filologico e filosofico per il significato delle parole.
  Sergej Fudel’ mi raccontava che quando, nel 1914, aveva letto La colonna e il fondamento della verità, era ritornato nella Chiesa, interiormente. Perché nello spirito viveva in una sorta di bohème simbolica, e il mondo della Chiesa gli sembrava antiquato, fossilizzato, quasi uscito da una commedia di Ostrovskij. Ma improvvisamente si era accorto che della Chiesa si poteva scrivere in modo raffinato, come faceano i simbolisti, come faceva An­rej Belyj. Posso confermarlo sul mio esempio personale. Ero studente del primo anno, quando lessi per la prima volta La colonna (era l’anno del­la morte di Stalin). Il libro mi colpì, e mi colpì proprio perché, esattamente come Solov’ëv, Florenskij si pre­entava come uno che si trova ai vertici della cultura, e non come uno che ci era arrivato per vie traverse e ne usava i frutti per i propri scopi. Come uno che era lui stesso cultura. Florenskij e Solov’ëv erano la cultura stessa fatta persona. E la cultura rende testimonianza alla Chiesa, a Cristo, al cristianesimo.

di ALEKSANDR MEN’ Avvenire 9.6.09

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men, florenskij

lunedì, 27 aprile 2009

L'amicizia
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"L'amicizia, questa
nascita misteriosa
del Tu, è l'ambiente e il mezzo in cui comincia la
rivelazione della
Verità".
Pavel Florenskij, da La colonna e il fondamento della verità
grazie a:  Annina

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amicizia, florenskij

venerdì, 26 dicembre 2008

Le stelle
***
" Osservate più spesso le stelle quando avrete un peso nell'animo, guardate le stelle o l'azzurro del cielo".
Pavel Florenskij, così diceva ai suoi figli

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florenskij

mercoledì, 10 dicembre 2008

La profondità prospettica della realtà
***
·                     «Noi non ci accontentiamo della "superficie" della realtà, pretendiamo il "riconoscimento" del suo carattere prospettico, noi vediamo "la gelida altezza", "le ampiezze sfuggenti". Questa profondità prospettica consiste nel fatto che noi non livelliamo tutta la multiformità della realtà alla sola superficie, quella percepibile sensorialmente, non schediamo la realtà, schiacciandola e seccandola nel grosso registro contabile del positivismo.»


Pavel Florenskij

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reale, florenskij

giovedì, 04 dicembre 2008

Pavel Vaslievič Florenskij
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“Che cosa ho fatto io per tutta la vita?
Ho contemplato  il mondo come un insieme, come un quadro e una realtà unica, ma in ogni istante o, più precisamente, in ogni fase della mia vita, da un determinato angolo di osservazione. Ho esaminato i rapporti universali in un certo spaccato del mondo, seguendo una determinata direzione, in un determinato piano, e ho cercato di comprendere la struttura del mondo a partire da quella sua caratteristica, di cui mi occupavo  in quella fase. I piani di questo spaccato mutano, tuttavia un piano non annulla l’altro, ma lo arricchiva, cambiando: ossia con una continua dialettica del pensiero (il cambio dei piani in esame, con la costante dell’orientamento verso il mondo come un insieme)”.
ultime lettere dal Lager di Solovki, quella al figlio Kirill, quella del 21 febbraio 1937
Chi è Pavel Florenskij? 
 Pavel Aleksandrovič Florenskij  era figlio di un ingegnere delle ferrovie. Nacque il 9 gennaio 1882 in una famiglia mista russo-armena a Evlach nell’Azerbaigian, nel Caucaso.

Dopo aver studiato matematica e filosofia all’Università di Mosca, a 22 anni si laureò in matematica nel 1904.  Rifiutò  una borsa di studio all’università per il dottorato in matematica e il 4 settembre dello stesso anno venne accolto, senza esame d’ammissione, perché era già molto bravo, all’Accademia ecclesiastica che si trovava allora, come anche oggi, a Sergiev Posad villaggio presso il Monastero della Trinità e di S. Sergio, a circa 70 Km da Mosca. Da allora fino all’arresto avvenuto nel 1933 risiedette in questa località anche quando era costretto a lavorare a Mosca.

L’intelligenza eccezionale e la straordinaria versatilità gli assicurarono nel 1907, ancor prima di aver conseguito la licenza in teologia 1908, la cattedra di professore di storia e della filosofia. 

Florenskij manterrà questo insegnamento fino alla soppressione dell’accademia  1917.

Nel 1910 si sposò con Anna Michajlovna Giacintova, che è morta nel 1973 ed ebbe cinque figli.

Il 23 aprile 1911 venne ordinato diacono e il giorno seguente sacerdote. Nel 1912 fu nominato direttore responsabile della rivista mensile dell’Accademia “Bogoslovkij Vestnik” Messaggero Teologico, in cui fino al 1937 pubblicò veri e interessantissimi saggi filosofici, teologici e matematici miranti ad una riconciliazione tra religione e scienza, tra fede e ragione, tra ortodossia e cultura.

Nel 1914 ottenne il dottorato in teologia presentando come dissertazione la sua Tesi di Laurea: “O duchovnoj Istine”,  La verità spirituale  nel 1912, sviluppata e approfondita, che venne pubblicata  poi con il titolo: La colonna  e il fondamento della verità,  “Stolp i utverždenie Istiny” pubblicato nel 1914.
Durante la rivoluzione bolscevica, poiché l’Accademia di teologia venne chiusa lavorò all’Istituto di Fisica a Mosca; quindi fu deportato in un campo di concentramento nel Turkestan. Poiché era un matematico geniale e  un inventore, nel 1927 infatti, inventò un olio lubrificante per macchine non  coagulante, antigelo chiamato dai bolscevichi dekanite in onore del decimo anniversario della rivoluzione sovietica. Venne liberato e nominato membro del Comitato per l’edificazione della Russia sovietica Glavelektro.
Negli anni della Nep 1921-1927,  cioè una nuova politica economica. Insegnò all’Istituto di Studi superiori statali Tecnico-Artistici e qui la sua attività fu molto intensa. Si dedicò alle sperimentazioni didattiche, insegnò teoria della prospettiva a Mosca, lavorò quale ingegnere nella fabbrica Karbolit, si occupò della teoria della relatività e dei quanti.

Nel 1827 iniziò a collaborare alla redazione dell’Enciclopedia tecnica  ma nel 1921 dovette interrompere questa e anche tutte le altre attività.

Il suo ultimo articolo su “Fisica al servizio della Matematica” comparve nel 1932 e praticamente  fu l’ultimo articolo che egli scrisse.

Rifiutò sempre di rinunciare alla sua fede e al suo sacerdozio. Anzi insistette a portare la sua croce pettorale di sacerdote e di indossare la talare nelle funzioni ufficiali; anche agli incontri accademici e scientifici si presentava sempre in abito talare. Alla fine era inevitabile che fosse colpito dalle purghe staliniste, naturalmente accusato di attività controrivoluzionaria.

Arrestato nel 1933 fu nuovamente deportato prima  a Solovki, un’isola del mare del Nord, e poi in Siberia. L’8 dicembre  del 1937 in un luogo rimasto sconosciuto, presso Leningrado, all’età di 55 anni venne fucilato. La notizia della sua morte si ebbe soltanto nel 1939.

La  chiesa ortodossa si appresta a canonizzarlo tra i martiri del XX secolo.

Nel 1956, dopo la morte di Stalin ebbe una riabilitazione postuma per cui alcuni dei suoi scritti vennero pubblicati non soltanto all’estero ma anche nell’Unione Sovietica sia nelle riviste statali sia nelle pubblicazioni del Patriarcato di Mosca.

Florenskij fu un uomo eccezionale, oltre che scrittore fecondissimo e originale.

Ecco come lo descrive Nikolaj Lossky : poeta simbolista, astronomo di talento, sostenitore di una concezione deocentrica del mondo, matematico eminente, autore di Finzioni nella geometria, e di una serie di studi matematici, fisico autore della Teoria dei dielettrici, un libro che fa ancora autorità, come diceva Lossky, critico d’arte, autore di numerose monografie e soprattutto di un opera sulla scultura in legno, di queste opere noi conosciamo molto poco, notevole ingegnere elettrico che occupò uno dei posti più importanti nella Commissione per l’elettrificazione,   professore di pittura in  prospettiva alla scuola di Belle Arti di Mosca, musicista  dotato,  fine conoscitore e ammiratore di Johann Sebastian  Bach e della musica polifonica, di  Beethoven  e dei contemporanei, poliglotta conosceva a perfezione il greco e il latino e la maggior parte delle lingue europee come pure gli idiomi del Caucaso, dell’Iran e dell’India.

E’ stato per questo, più volte, paragonato a Leonardo da Vinci o a  Blaise Pascal per la sua intelligenza straordinaria di grandissimo studioso in grado di unire le più alte speculazioni  metafisiche quali la matematica  e l’ingegneria, la  storia dell’arte e la letteratura.

Vediamo un po’ le opere di Florenskij.

Come  ho già detto Florenskij fu uno scrittore fecondissimo e originalissimo quindi non è possibile neppure elencare tutte le sue opere. Ne cito alcune tra le più principali, alcune delle quali sono state tradotte anche in italiano e che potete trovare nel banchetto laggiù in fondo:

I simboli dell’infinito  oppure  I tipi di crescita , questo libro interessante perché è uno studio antropologico dove Florenskij descrive sotto forma di circolo, sentite la matematica e la geometria,  la possibilità soggettive  in cui si scrive il destino di ogni uomo.

Tra le opere scientifiche che toccano anche l’epistemologia, la gnoseologia vanno ricordate:  La descrizione simbolica del 1922, Il numero come forma; Lo spazio, la massa e il medio.

Molto ancora interessanti, e queste le cito solo perché sono solo in russo Il limite della gnoseologia,  Smysl idealizma:  Il significato dell’idealismo;  anche  questo è interessante sono Le antinomie cosmologiche di Emanuel Kant ;  Superstizione e miracolo.

In questo articolo l’autore, ...

In italiano sono state tradotte ancora  alcune opere che vi accenno.

Una interessantissima è proprio un saggio sull’icona Ikonostas che è stata tradotta da Adelphi nel 1977 con “Le porte regali” .questo  saggio è la prima traduzione mondiale di un testo di  Pavel Florenskij.

Per Florenskij  l’icona presuppone una metafisica dell’immagine e della luce e un nesso strettissimo con la liturgia della Chiesa Orientale.  Solo con queste precomprensioni, incompatibili con la concezione della pittura dominante in Occidente dal Rinascimento in poi, si possono varcare le porte regali dell’iconostasi, che è il confine tra il mondo visibile e il mondo invisibile, luogo dove si manifesta una pittura sublime, quasi mistica in cui le cose, sono prodotti della luce.

Ma l’opera che lo ha reso famoso  rimane ... "La colonna  e il fondamento della verità"

...

Come ho già detto questa tesi era già apparsa nel 1912 con il titolo “O duchovnoj Istine”,  La verità spirituale. Il titolo è chiaramente ispirato a S. Paolo 1 Tim 3,15.

L’opera ebbe grandissimo successo  e convertì alla fede ortodossa nel 1918 il filosofo Nikolaj Lossky. Ben  presto divenne introvabile. Nel 1929 a Berlino un gruppo di amici  di Florenskij ne curò una edizione fototipica in un numero limitatissimo di copie e  non commerciabili. In italiano è stata tradotta  da Pietro Modesto per la  Rusconi editore eseguita sulla edizione  berlinese ed è stata tradotta nel 1974.     

L’opera è scritta sotto forma di dodici lettere indirizzate a un amico, di una erudizione impressionante. Le sole note occupano 200 pagine alla fine dell’opera. Questo libro sintetizza la tradizione  patristica, la scienza più avanzata, le dottrine esoteriche  di tutte le epoche. Il libro è dedicato al nome tutto puro  e profumato della Vergine e Madre.


Tutta la  sofiologia  di Florenskij di cui sentiremo parlare  in una relazione successiva.

Baris Jacovenko,  proprio descrivendo questo libro, diceva che si trattava di una specie di confessione speculativa religiosa  degna di essere messa accanto alle confessioni di S. Agostino.  Tra le altre opere di Pavel Florenskij tradotte in italiano, le potete trovare anche nei libri esposti, ci sono: La prospettiva  rovesciata e altri scritti  pubblicata da Cangemi di Roma 1983, Lo spazio e il tempo nell’arte  1995;  La qualità della parola, La lingua tra scienza e mito. Questo è un testo formidabile perché fa vedere come la parola  non sia solo un mezzo di espressione e di comunicazione ma sia un dono che uno  riceve, proprio uno nasce con la parola,  poi è il carisma praticamente. Uno nasce con una parola, cioè con un dono che è personale. E’ un dono che deve fare agli altri col dono della parola. Poi il valore magico della parola. 

Insiste sulla parola Florenskij sul modo di comunicare, che non solo è un modo di rapportarsi ma è una conoscenza  vitale. Insiste molto su questo termine.

Il sole della  terra, vita dello Starec Isidoro, di cui ho già accennato  poi Cuore cherubico, scritti teologici  e mistici, anche questi sono molto belli, e poi il testo che stato citato già Non dimenticatemi, pubblicato  di recente da Mondadori nel 2000, una raccolta di lettere che Floreanskij inviò dal lager ai familiari, alla madre, alla moglie ai 5 figli.


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sabato, 29 novembre 2008

Conoscere
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«uscire dal piano dei concetti per entrare nella sfera dell'esperienza viva»
Pavel  Florensky


Postato da: giacabi a 20:41 | link | commenti
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La caratteristica particolare dei grandi santi
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“L'ascetismo non produce tanto una personalità buona, quanto una personalità bella; la caratteristica particolare dei grandi santi non è tanto la bontà di cuore, che hanno anche gli uomini carnali e persino i grandi peccatori, ma la bellezza dello spirito, la bellezza abbagliante di una personalità radiosa e luminosa, che non riescono a ottenere gli uomini carnali appesantiti dal mondo."
Pavel  Florensky  

Postato da: giacabi a 19:02 | link | commenti
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  Cristo stava con i peccatori
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 Pavel (Paul) Florensky and Sergius Bulgakov.

"A un certo punto, Elchaninov e Florensky discussero di un certo Vescovo Gabriel. "Il giorno prima," scrive Elchaninov, "[il vescovo] aveva celebrato da noi, e io rimasi affascinato dalla solennità e dalla particolarità con cui celebrava. Ne parlai con Paolo. 'Conosci la mia opinione di lui,' iniziò a dirmi con irritazione. 'Tutto suona falso e teatrale. Egli pronuncia le parole, e si sente che il tono e la dizione sono preparati in partenza, e che si guarda intorno per vedere che tipo di impressione quelle parole creano negli altri. E' possibile che oggettivamente tutto ciò si possa spiegare in modo diverso. Ma io lo conosco, e non posso liberarmi da questa sensazione. Conosce bene il servizio della chiesa, lo ama; ma questa precisione e questa efficacia non è il modo ortodosso di fare le cose. C'è in te molto dell'occidentale, e per noi, al contrario, il servizio della chiesa è amato proprio quando viene condotto come in ogni parte della Russia, dove è goffo, caotico, e via dicendo. Amiamo l'aspetto degli schiavi, (7) mentre tu vorresti che perfino gli stracci sembrino irreali e abbiano i bordi di seta. Ciò che sto dicendo è evangelico, non solo ortodosso. Perché Cristo amava tanto la compagnia delle prostitute e dei pubblicani? Immaginale: erano vere puttane che litigavano, parlavano in modo indecente, imprecavano... e Cristo preferiva la loro compagnia a quella dei farisei. Pensaci, perché si dice, 'Il potere di Dio si vede nella povertà'? La povertà non è solo debolezza, non è qualche malattia poetica come la tubercolosi, ma peccaminosità, corruzione. Cristo stava con i peccatori non solo perché ne avevano più bisogno, ma perché per Lui era più piacevole stare con loro; li amava per la loro semplicità e umiltà."
Paolo Florensky  Iz Vstrech s P. A. Florenskim", p. 74.

Postato da: giacabi a 13:37 | link | commenti
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venerdì, 17 ottobre 2008

L’esperienza
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Gli uomini dei tempi nuovi, a partire dall'epoca del Rinascimento, si sono ammalati sempre più di Fede nel sistema, sostituendo erroneamente il senso della realtà con formule astratte che non hanno più la funzione di essere simboli della realtà, ma diventano un surrogato di essa. Così l'umanità si è immersa nell'illusionismo, nella perdita del contatto con il mondo e nel vuoto, il che inevitabilmente ha portato alla noia, allo sconforto, allo scetticismo corrodente, alla mancanza del buon senso.
Uno schema, in quanto schema, per se stesso, se non è controllato dalla viva percezione del mondo, non può neanche essere seriamente valutato: qualunque schema può essere bello, cioè strutturato bene in se stesso. Ma la visione del mondo non è il gioco degli scacchi, non è costruire schemi a vuoto, senza avere il sostegno dell'esperienza e senza tendere risolutamente alla vita. Per quanto ingegnosamente possa essere strutturato in se stesso, senza queste basi e senza questo scopo ogni schema è privo di valore. Ecco perché credo che sia assolutamente necessario accumulare da giovani una concreta percezione del mondo, e darle forma solo a un'età più matura
Pavel Aleksandrovič Florenskij

1 commento:

Anonimo ha detto...

un essere illuminato, un'anima eterna che ha attraversato il mondo per elevarlo... il suo spirito è ancora qui, vivo, splendente... egli è nel Padre