TESTIMONI DI CRISTO
FRATEL ETTORE
UN “FOLLE” DI DIO SULLA FRONTIERA DELLA CARITA’
Di Teresa Martino
Per
capire il carisma e comprendere l’origine dell’esperienza di Fratel
Ettore Boschini a servizio dei poveri bisogna riascoltare le parole da
lui pronunciate nel corso di un’intervista.
Parla del suo arrivo a Milano dove intuisce che nella sua vita c’è un passo in più da compiere, e lo racconta così: “La
mia è semplicemente una storia d’amore, un percorso scelto per me da
Dio. Una mattina bussa da me un uomo, era malato, stanco, sporco.
Chiedeva aiuto.
Ho
spogliato delicatamente il suo corpo coperto di piaghe, l’ho lavato e
medicato. Quel giorno di tanti anni fa la mia scelta è diventata
definitiva, non avrei aspettato che gli ultimi della terra arrivassero
moribondi alla mia porta: sarei andato io a cercarli sui marciapiedi,
nelle stazioni e nei sottoscala della città”. Fratel Ettore, senza
tregua, ha offerto tutto se stesso alla causa degli emarginati.
Difficile
contare le sue notti insonni, trascorse alla guida di un pulmino
traballante, lungo le vie meno frequentate di Milano. Andava alla
ricerca dei suoi poveri, di chi non aveva né tetto né cibo. “Hai fame?
Hai bisogno di un vestito? Vuoi venire con me?”.
Quando
c’era da soccorrere, intervenire, dare sollievo alle sofferenze, non si
fermava davanti a nulla. Senza clamori, in anni di rinunce e
sofferenze, ha saputo provvedere tempestivamente ad alcune tra le
urgenze più drammatiche di Milano.
Per primo ha accolto i barboni che languivano sui binari della Stazione
centrale. Per primo ha deciso, già alla fine degli anni settanta, di
aprire le porte dei suoi Rifugi agli immigrati, offrendo conforto
materiale e parole di speranza. Ha istituito uno dei primi centri
privati per accogliere gli ammalati di Aids, alla fine degli anni
Ottanta, mentre l’assistenza pubblica sembrava disarmata di fronte
all’incalzare della tragedia. Il suo centro in uno dei padiglioni del
“Paolo Pini” ad Affori, è stato a lungo l’unica alternativa alle poche
strutture pubbliche esistenti. Con
lo stesso slancio inesausto ha pensato ai tossicodipendenti, ai malati
mentali, agli anziani lungo degenti e senza assistenza. Ecco perchè
Milano è grata a questo uomo di Dio che ha fatto proprio, rinnovandolo e
adeguandolo alle nuove emergenze, il carisma del fondatore dell’ordine a
cui apparteneva, San Camillo De Lellis, l’apostolo dei malati.
Con la forza della sua misericordia Fratel Ettore ha sferzato la
fraternità tascabile, gli animi tiepidi, la solidarietà minimalista. Ha
mostrato che lo scandalo dell’amore evangelico, totale e senza
condizioni, è il filo tenace che lega gli uomini al mistero. Il primo miracolo di Fratel Ettore è il Rifugio di via Sammartini: eccolo in un ricordo del sindaco Albertini:
“I milanesi seppero che il frate camilliano voleva aprire un rifugio
per gli emarginati sotto il cavalcavia ferroviario della Stazione
Centrale in via Ferrante Aporti, e pensarono che posto più squallido non
poteva trovarlo, ma proprio la campata sotterranea del ponte è
diventata la cattedrale di Fratel Ettore. Proprio lì, nel 1987
partecipai in incognito alla Messa celebrata davanti a credenti e non
credenti di tutte le razze accomunati dalla miseria e dalla
disperazione. L’altare era il tavolo della mensa e le panche i cartoni
sistemati per terra. Come pulpito Fratel Ettore salì su una sedia e
rivolto a quella platea di fedeli disse loro di pregare tutti assieme
per le intenzioni di una persona che in quel momento era in mezzo a
loro, anonima come loro, ma che ricopriva alte responsabilità è per la
città di Milano. Fu un momento di forte intensità spirituale il cui
ricordo ancora oggi mi pervade lasciandomi intuire il misticismo di
questo religioso”.
Al Rifugio di via Sammartini offriva a tutti un pasto e un letto. Poi prima
di spegnere la luce, prendeva la corona del Rosario, si inginocchiava e
cominciava a pregare: “Ringraziamo Maria che anche oggi è stata
generosa con noi. Chi vuole ripeta le mie parole”. Nessuno si rifiutava.
Anche chi da tempo aveva smarrito la fede, anche chi non era cristiano.
Fratel Ettore con il sorriso dolce e gli occhi luccicanti, non
conosceva le sottigliezze teologiche del dialogo interreligioso. Ai
musulmani, che sempre più numerosi affollavano i suoi centri in questi
ultimi anni, diceva: “Pregate come siete capaci, Dio sa leggere nei
cuori”. E lui intonava il Salve Regina, senza iattanze né obiettivi di
proselitismo, ma perchè convinto che il manto materno della Vergine
fosse per tutti un aiuto formidabile. Fratel
Ettore era ciò che nel monachesimo viene indicato come guida, che è
molto più di un maestro, come spiega bene André Louf, abate di
Mont-des-Cats in un suo libro. L’intera vita di Fratel Ettore era ciò
che sapeva o poteva dire, ma in forza di ciò che era. Solo dall’amore
scaturisce la vita perchè l’amore è interamente immagine di Dio e del
figlio suo, di cui la guida tende ad essere l’icona.
Il messaggio di vita s’irradiava da lui in qualità del suo essere e quasi inconsapevolmente. Sul
volto di questo uomo santo e attraverso il suo modo di agire abbiamo
percepito l’amore di Dio nelle sue sfaccettature di tenerezza e di
fermezza. Era molto forte in Ettore la paternità. Quando è morto sulla
sua bara una mano sapiente e è perspicace ha voluto scrivere: “Padre dei
poveri”
e il cardinale Tettamanzi, nella sua omelia, riprenderà
quell’appellativo spiegando che la Bibbia lo riferisce solo a Dio, il
Pater Pauperum per eccellenza. Ma, continua il Cardinale, Fratel
Ettore è stato, con tutta la sua carica di umanità e per un dono grande
di Dio e del suo amore, una trasparenza particolarmente luminosa,
credibile ed efficace di questa paternità.
Padre Fausto Beretta, missionario comboniano in Brasile, racconta in
una testimonianza: “Il primo ricordo con Fratel Ettore risale al 1947,
quando nell’Auditorium del “Cenacolo di Milano”, era di autunno, ci
comunicò la sua scelta di viver con gli ultimi alla Stazione Centrale.
Era una sfida a seguirlo, ad andare con lui. L’abbiamo accettata, ma
quante volte di sabato pomeriggio andando a Milano ci chiedevamo: ma
perchè ci andiamo? Per vedere chi? Se poi, probabilmente, Fratel Ettore
sarà tutto indaffarato e non ci darà attenzione o ci farà fare cose
assurde? Sì, perchè davvero diceva e faceva cose che nessuno di noi
aveva il coraggio di fare, ma la sua testimonianza ci ha sedotto e dato
coraggio. Ricordo i rosari al “Rifugio”, prima e dopo cena, i digiuni e
le penitenze imposte ai poveri barboni che avevano abusato nel bere, o
quelle minestre troppo saporite, annacquate all’ultima ora a mortificare
la gola. Fratel Ettore si spingeva sempre avanti, oltre il buon senso,
con la forza e la chiarezza dei profeti. Erano
proposte sempre nuove e quasi assurde, ma che venivano dal suo cuore,
dal suo amore per Maria e per chi viveva al margine della società: per
il barbone, l’alcolizzato, la prostituta, la vecchia abbandonata, il
terzomondiale, il fallito nella vita. Il Rifugio di via Sammartini
divenne per molti la scuola del Vangelo, il luogo di verifica della
nostra preghiera, il luogo della scoperta del volto di Gesù di Nazareth
nel povero e la fonte di molte vocazioni missionarie, e non solo. Là, in
via Sammartini, molti giovani, ragazzi e ragazze, hanno deciso di
lasciare tutto per seguire il Signore, scegliendo la vita religiosa
contemplativa o attiva”.
Devotissimo
a Maria, angosciato quando rubarono la statua davanti al dormitorio di
via Sammartini, si mise a girare per Milano su una scassatissima
automobile con la sacra immagine legata sul tettuccio, mentre da un
megafono usciva la sua voce che recitava il rosario.
Come quell’altra volta, ricorda il sindaco di Seveso, Tino Galbiati,
che Fratel Ettore, arrabbiato perchè non gli venivano concessi i
permessi per ampliare il centro, girò per due giorni le strade del paese
con l’auto con sopra la Madonna, finchè i permessi non giunsero. Allo
scoppio della guerra nei Balcani portò la sua Mamma Celeste in piazza
Duomo, la pose sui gradini, si inginocchiò e cominciò a sgranare la
corona, fra lo stupore della folla, per chiedere la fine della guerra.
Al
Gay Pride si mescolò alle lesbiche e agli omosessuali chiedendo a Maria
di intercedere per loro e, dopo aver pregato brandendo la statua della
Vergine e ponendosi di fronte al corteo, come il ragazzo di Tienan-Men
davanti al carro armato, gridava “Convertitevi!”. Ai
più queste scene apparivano patetiche. Perchè Fratel Ettore era
sorretto dalla fede ma soprattutto da una ingenuità beata e testarda,
tipica dei santi. Lo dimostrò anche nell’ottobre del 1989 quando il Coro
della Scala partì per una tournee in Unione Sovietica. Ai coristi diede
centinaia di Bibbie, perchè le nascondessero nelle valigie e le
distribuissero a Mosca e Leningrado. A uno di loro, il Frate che credeva
nella Provvidenza, consegnò
un regalo per Gorbaciov, un’icona di San Michele, con la
raccomandazione:”Portalo al fratello Michele per il suo onomastico e
digli che prego per lui”. Il corista obbedì. Il vice ministro che prese
in consegna il donò ringraziò...a solo due settimane dal crollo del Muro
di Berlino e dal disfacimento dell’Unione Sovietica.
Non c’era ricorrenza significativa che non lo vedesse raggiungere
piazza Duomo con i suoi mezzi alternativi ed il suo seguito di umanità
sofferente, megafono alla mano per il rosario e due volontari a
distribuire immaginette della Vergine Maria. Era, la sua, un’autentica
evangelizzazione di strada, tanto più dirompente e scandalosa perchè
giungeva a sorprendere la fretta un poco indifferente della metropoli.
Ben presto Fratel Ettore stesso, diventa meta di pellegrinaggi altrui,
da madre Teresa All’Abbé Pierre. Lui non si ferma, va in visita al Papa,
torna in stazione, va fra i terremotati; durante
la guerra nell’ex-Iugoslavia, a metà anni Novanta, aiuterà con più di
duecento viaggi di Tir carichi di aiuti umanitari e i Savoia si terranno
obbligati a fargli visita per ringraziarlo. Controcorrente
sempre, capace di sorprendere e di disorientare con quella forza
segreta che gli veniva da lunghe ore trascorse immerso in preghiera.
Quando un sacerdote camillliano in
partenza per l’America Latina gli chiese una statuetta della Madonna da
portare in missione, Fratel Ettore andò ad acquistarne una da un amico
scultore, alta quasi due metri, pesantissima, in marmo bianco,
magnificamente scolpita. Costo, cinque milioni di vecchie lire. E quasi
altrettanto occorreva spendere per imballarla e spedirla oltre Oceano.
Quando
l’economo di Casa Betania a Seveso -il quartiere generale delle sue
opere di misericordia- fu informato della spesa, assalì Fratel Ettore
con parole di fuoco: “Ma come, dobbiamo pagare un conto di cento
milioni, tra pochi giorni per i lavori qui alla casa e tu vai a
spenderne altri dieci per una statua”.
Ma lui non si fece intimorire:”E’ una missione che sta muovendo i primi
passi. Hanno il diritto di avere una bella immagine di Maria”. Quella
sera stessa una signora mai vista prima bussò alla porta e consegnò un
assegno di alcune centinaia di milioni, sufficiente per la statua, per pagare i lavori e per altre spese ancora. La
casa di Bogotà, la sua missione in Colombia, l’ha pagata Luis Gabriel.
Naturalmente quella casa Fratel Ettore l’aveva fermata con il conto in
banca sotto zero. Un giorno andando a messa con i suoi poveri, incontra
per strada un uomo appoggiato al muro che tiene sul viso uno straccio,
(quell’uomo si chiamava Luis-Gabriel, ha fatto una morte santa).
Pensandolo ubriaco lo invita a bere un tinto, così si chiama il caffè a
Bogotà. Quando il povero si stacca dal muro per seguirlo e toglie lo
straccio dal viso, Fratel Ettore non trattiene un urlo...Luis ha solo
mezza faccia, il resto gliel’ha mangiata il cancro. Lo convince a
seguirlo in un ospedale da dove viene cacciato insieme al povero:”E’ uno
di strada, non lo vogliamo. E poi che serve curarlo? Ha poco da
vivere”. Come una mamma se lo porta a casa e sembra non sentire il
fetore che emana quel povero viso devastato. Lo netta del pus, stacca
brandelli di pelle marcia, lo fascia con amore e gli dà un bacio. Il
giorno dopo dall’Italia gli comunicano che un benefattore ha donato 90
milioni. Il costo della casa.
Non
era uno che “chiedeva” Fratel Ettore. Soldi meno che mai. La
Provvidenza (scrivi “Provvidenza” sempre con la maiuscola, diceva,
perchè significa Dio!), ci pensava da sola: si chiama “Rotary” o con
qualunque altro nome. No, era lui, Fratel Ettore, ad andare incontro
alle altrui necessità. Era
lui a fare offerte al Papa, accompagnandole con un bigliettino pieno di
candore: “Dai poveri per i più poveri del Papa”; oppure offerte per le
missioni del suo Ordine Camilliano; o aiuti di tutti i generi ad altre
Comunità religiose.
Se vi erano richieste, le sue erano di tutt’altra natura. Come quando fece irruzione ad un convegno sulla solidarietà milanese, pieno di nomi importanti, portandosi dietro un centinaio di ucraine: “Se volete davvero fare qualcosa di utile – gridò – ciascuno di voi ne assuma una come colf. Adesso!”.
Era
un grand’uomo che ha stupito Milano con la sua semplicità, umiltà e
determinazione. Era uno che apriva strade impensabili ad altri e le
percorreva tutte, fino in fondo, con passione, Aveva una fiducia cieca
nella Provvidenza.
“L’altro
giorno” ha raccontato una volta “eravamo senza pane. Stavo uscendo per
andarlo a cercare quando ne è arrivato un camion pieno”.
“E chi te lo ha mandato?”
“Non lo so. Secondo me Maria Vergine”.
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