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domenica 12 febbraio 2012

gaber


La strana famiglia -

Giorgio Gaber

***




Vi presento la mia famiglia
non si trucca, non si imbroglia
è la più disgraziata d'Italia,
anche se soffriamo molto
noi facciamo un buon ascolto
siamo quelli con l'audience più alto.

I miei genitori due vecchi intronati
per mezz'ora si sono insultati
a "C'eravamo tanto amati",
dalla vergogna lo zio Evaristo
si era nascosto, povero Cristo,
lo han già segnalato a "Chi l'ha visto?".

Il Ginetto dell'Idroscalo
quando la moglie lo manda a "fanculo"
piange in diretta con Sandra Milo,
per non parlare di mio fratello
che gli han rotto l'osso del collo
ora fa il morto a "Telefono giallo".

Come ti chiami, da dove chiami,
ci son per tutti tanti premi,
pronto, pronto, pronto tanti gettoni, tanti milioni,
pronto, pronto, pronto con Berlusconi o con la RAI.

E giù in Aspromonte c'ho dei parenti,
li ho rivisti belli contenti
nello "Speciale rapimenti",
mentre a Roma c'è lo zio Renzo
che è analfabeta ma ha scritto un romanzo
è sempre lì da Maurizio Costanzo.

E la fortuna di nonna Piera
che ha ucciso l'amante con la lupara
ha preso vent'anni in "Un giorno in pretura";
mio zio che ha perso la capra in montagna
che era da anni la sua compagna
ha fatto piangere anche Castagna.

Come ti chiami, da dove chiami,
ci son per tutti tanti premi,
pronto, pronto, pronto tanti gettoni, tanti milioni,
pronto, pronto, pronto con Berlusconi o con la RAI.

E poi chi c'è? Ah già, la Tamara
un mignottone di Viale Zara
che ha dato lezioni a Giuliano Ferrara,
e alla fine c'è nonno Renato
che c'ha l'AIDS da quando è nato
ha avuto un trionfo da Mino D'Amato.

Vi ho presentato la mia famiglia
non si trucca non si imbroglia
è la piu` disgraziata d'Italia.
Il bel paese sorridente
dove si specula allegramente
sulle disgrazie della gente.

Come ti chiami, da dove chiami,
stiam diventando tutti scemi,
pronto, pronto, pronto stiam diventando tutti coglioni,
pronto, pronto, pronto con Berlusconi o con la RAI.
 

Postato da: giacabi a 17:46 | link | commenti
gaber

giovedì, 02 giugno 2011


Amore
non ha senso incolpare qualcuno
calcare la mano
su questo o quel difetto
o su altre cose che non contano affatto.

Amore
non ti prendo sul serio
quello che ci manca
si chiama desiderio.


Il desiderio
è la cosa più importante
è l'emozione del presente
è l'esser vivi in tutto ciò che si può fare
non solo nell'amore
il desiderio è quando inventi ogni momento
è quando ridere e parlare è una gran gioia
e questo sentimento
ti salva dalla noia.
Il desiderio
è la cosa più importante
che nasce misteriosamente
è il vago crescere di un turbamento
che viene dall'istinto
è il primo impulso per conoscere e capire
è la radice di una pianta delicata
che se sai coltivare
ti tiene in vita.


Amore
non ha senso elencare problemi
e inventar nuovi nomi
al nostro regredire
che non si ferma continuando a parlare.

Amore,
non è più necessario
se quello che ci manca
si chiama desiderio.

Il desiderio
è la cosa più importante
è un'attrazione un po' incosciente
è l'affiorare di una strana voce
che all'improvviso ti seduce
è una tensione che non riesci a controllare
ti viene addosso non sai bene come e quando
e prima di capire
sta già crescendo.
Il desiderio è il vero stimolo interiore
è già un futuro che in silenzio stai sognando
è l'unico motore
che muove il mondo.

Postato da: giacabi a 10:37 | link | commenti (1)
gaber

mercoledì, 02 marzo 2011

Il secolo che sta morendo
è un secolo piuttosto avaro
nel senso della produzione di pensiero.
Dovunque c'è, un grande sfoggio di opinioni, piene di svariate
affermazioni che ci fanno bene e siam contenti
un mare di parole
un mare di parole
ma parlan più che altro i deficienti.

Il secolo che sta morendo
diventa sempre più allarmante
a causa della gran pigrizia della mente.
E l'uomo che non ha più il gusto del mistero, che non ha passione
per il vero, che non ha coscienza del suo stato
un mare di parole
un mare di parole
è, come un animale ben pasciuto.


E pensare che c'era il pensiero
che riempiva anche nostro malgrado le teste un po’ vuote.

Ora inerti e assopiti aspettiamo un qualsiasi futuro
con quel tenero e vago sapore di cose oramai perdute.
Va' pensiero su l'ali dorate
va' pensiero su l'ali dorate.

Nel secolo che sta morendo
si inventano demagogie
e questa confusione è il mondo delle idee.
A questo punto si può anche immaginare che potrebbe dire
o rinventare un Cartesio nuovo e un po' ribelle
un mare di parole
un mare di parole
io penso dunque sono un imbecille.

Il secolo che sta morendo
che sembra a chi non guarda bene
il secolo del gran trionfo dell'azione
nel senso di una situazione molto urgente, dove non succede
proprio niente, dove si rimanda ogni problema
un mare di parole
un mare di parole
e anch'io sono più stupido di prima.

E pensare che c'era il pensiero
era un po' che sembrava malato, ma ormai sta morendo.
In un tempo che tutto rovescia si parte da zero
e si senton le noti dolenti di un coro che sta cantando.

Vieni azione coi piedi di piombo vieni azione coi piedi di piombo.

 
Il secolo che sta morendo
è un secolo piuttosto avaro
nel senso della produzione di pensiero.
Dovunque c'è, un grande sfoggio di opinioni, piene di svariate
affermazioni che ci fanno bene e siam contenti
un mare di parole
un mare di parole
ma parlan più che altro i deficienti.

Il secolo che sta morendo
diventa sempre più allarmante
a causa della gran pigrizia della mente.
E l'uomo che non ha più il gusto del mistero, che non ha passione
per il vero, che non ha coscienza del suo stato
un mare di parole
un mare di parole
è, come un animale ben pasciuto.


E pensare che c'era il pensiero
che riempiva anche nostro malgrado le teste un po’ vuote.
Ora inerti e assopiti aspettiamo un qualsiasi futuro
con quel tenero e vago sapore di cose oramai perdute.
Va' pensiero su l'ali dorate
va' pensiero su l'ali dorate.

Nel secolo che sta morendo
si inventano demagogie
e questa confusione è il mondo delle idee.
A questo punto si può anche immaginare che potrebbe dire
o rinventare un Cartesio nuovo e un po' ribelle
un mare di parole
un mare di parole
io penso dunque sono un imbecille.

Il secolo che sta morendo
che sembra a chi non guarda bene
il secolo del gran trionfo dell'azione
nel senso di una situazione molto urgente, dove non succede
proprio niente, dove si rimanda ogni problema
un mare di parole
un mare di parole
e anch'io sono più stupido di prima.

E pensare che c'era il pensiero
era un po' che sembrava malato, ma ormai sta morendo.
In un tempo che tutto rovescia si parte da zero
e si senton le noti dolenti di un coro che sta cantando.

Vieni azione coi piedi di piombo vieni azione coi piedi di piombo.

Postato da: giacabi a 21:37 | link | commenti
gaber

giovedì, 30 ottobre 2008

Il conformista
***
Io sono
un uomo nuovo
talmente nuovo che è da tempo che non sono neanche più fascista

sono sensibile e altruista

orientalista
ed in passato sono stato
un po' sessantottista

da un po' di tempo ambientalista

qualche anno fa nell'euforia mi son sentito
come un po' tutti socialista.

Io sono
un uomo nuovo
per carità lo dico in senso letterale sono progressista
al tempo stesso liberista
antirazzista
e sono molto buono
sono animalista
non sono più assistenzialista
ultimamente sono un po' controcorrente
son federalista
.

Il conformista
è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta,

il conformista ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa
è un concentrato di opinioni
che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani
e quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire
forse da buon opportunista
si adegua senza farci caso e vive nel suo paradiso.


Il conformista
è un uomo a tutto tondo che si muove senza consistenza,
il conformista s'allena a scivolare dentro il mare della maggioranza
è un animale assai comune
che vive di parole da conversazione
di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori
il giorno esplode la sua festa
che è stare in pace con il mondo
e farsi largo galleggiando
il conformista

il conformista.

Io sono
un uomo nuovo
e con le donne c'ho un rapporto straordinario sono femminista
son disponibile e ottimista
europeista
non alzo mai la voce
sono pacifista
ero marxista-leninista
e dopo un po' non so perché mi son trovato
cattocomunista.

Il conformista
non ha capito bene che rimbalza meglio di un pallone

il conformista aerostato evoluto
che è gonfiato dall'informazione
è il risultato di una specie
che vola sempre a bassa quota in superficie
poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato,
vive e questo già gli basta
e devo dire che oramai
somiglia molto a tutti noi
il conformista
il conformista.

Io sono
un uomo nuovo
talmente nuovo che si vede a prima vista sono il nuovo conformista.
grazie a:

Postato da: giacabi a 09:24 | link | commenti
gaber

mercoledì, 12 dicembre 2007

L’appartenenza
***

Domanda: Cosa significa per lei l’appartenenza?
Gaber: L’appartenenza è un bisogno: come uno ha bisogno di
mangiare, ha bisogno di vivere, di pensare, così ha bisogno di
appartenere. Ecco questa è l’affermazione, ed è un’affermazione
neutra perché non è né positiva né negativa. Se questa partecipazione
prende dei connotati negativi o positivi, questo è difficile dirlo, ma comunque è un bisogno dell’uomo. Anche lei credo abbia bisogno di appartenere a qualche cosa, altrimenti si sente molto sola. Ne può venire fuori una discussione terminologica,però sono convinto che la forza di poter dire “noi” è sicuramenteun grande elemento di forza per ciascuno, la canzone infatti finisce dicendo: “sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi”. Ora, è chiaro che a queste appartenenze si possono mettere condizioni molto alte. E non l’appartenenza padana o l’appartenenza austriaca



 

Postato da: giacabi a 19:11 | link | commenti
amicizia, gaber

sabato, 14 luglio 2007

Giorgio Gaber
***

L'appartenenza/ non è un insieme casuale di persone/ non è il consenso a un'apparente aggregazione/ l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé". Che suggestione in queste parole di Giorgio Gaber! In un popolo sempre il genio illumina aspetti dell'esistenza, assicurando a tutti e a ciascuno una più matura coscienza delle evidenze ed esigenze elementari del cuore. L'appartenenza è un'evidenza naturale: se l'uomo non appartenesse a niente, sarebbe niente. Essa implica naturalmente il fatto che un io, che non c'era, adesso c'è. L'uomo non c'era, dunque è stato fatto da un Altro, così come il cosmo. Per questo l'appartenenza a Dio - il Mistero che fa tutte le cose - è la cosa più evidente che un uomo cosciente deve ammettere, pena il negare se stesso. Ma come si può "avere gli altri dentro di sé" - pare un miraggio - ? Il finale della canzone accenna l'alba di una risposta: "Sarei certo di cambiare la mia vita/ se potessi cominciare/ a dire noi". Duemila anni fa è risuonato l'annuncio che Dio è diventato uno di noi - l'ebreo Gesù di Nazareth - per farci vivere bene. E' l'amicizia con Lui a rendere l'uomo capace di realizzarsi nel profondo di una comunione, ciò che compie il desiderio che la genialità poetica di Gaber ha fissato in poche umanissime parole: "Sarei certo di cambiare la mia vita/ se potessi cominciare/ a dire noi". Grazie
Don Giussani

 



 

Postato da: giacabi a 06:28 | link | commenti
gaber, giussani


Giorgio Gaber
***

La Razza In Estinzione



Non mi piace la finta allegria
non sopporto neanche le cene in compagnia
e coi giovani sono intransigente
di certe mode, canzoni e trasgressioni
non me ne frega niente.

E sono anche un po' annoiato
da chi ci fa la morale
ed esalta come sacra la vita coniugale
e poi ci sono i gay che han tutte le ragioni
ma io non riesco a tollerare
le loro esibizioni.

Non mi piace chi è troppo solidale
e fa il professionista del sociale
ma chi specula su chi è malato
su disabili, tossici e anziani
è un vero criminale.
Ma non vedo più nessuno che s'incazza
fra tutti gli assuefatti della nuova razza
e chi si inventa un bel partito
per il nostro bene
sembra proprio destinato
a diventare un buffone.

Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.

La mia generazione ha visto
le strade, le piazze gremite
di gente appassionata
sicura di ridare un senso alla propria vita
ma ormai son tutte cose del secolo scorso
la mia generazione ha perso.

Non mi piace la troppa informazione
odio anche i giornali e la televisione
la cultura per le masse è un'idiozia
la fila coi panini davanti ai musei
mi fa malinconia.
E la tecnologia ci porterà lontano
ma non c'è più nessuno che sappia l'italiano
c'è di buono che la scuola
si aggiorna con urgenza
e con tutti i nuovi quiz
ci garantisce l'ignoranza.

Non mi piace nessuna ideologia
non faccio neanche il tifo per la democrazia
di gente che ha da dire ce n'è tanta
la qualità non è richiesta
è il numero che conta.
E anche il mio paese mi piace sempre meno
non credo più all'ingegno del popolo italiano
dove ogni intellettuale fa opinione
ma se lo guardi bene
è il solito coglione.

Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.

La mia generazione ha visto
migliaia di ragazzi pronti a tutto
che stavano cercando
magari con un po' di presunzione
di cambiare il mondo
possiamo raccontarlo ai figli
senza alcun rimorso
ma la mia generazione ha perso.

Non mi piace il mercato globale
che è il paradiso di ogni multinazionale
e un domani state pur tranquilli
ci saranno sempre più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli.
E immagino un futuro
senza alcun rimedio
una specie di massa
senza più un individuo
e vedo il nostro stato
che è pavido e impotente
è sempre più allo sfascio
e non gliene frega niente

e vedo anche una Chiesa
che incalza più che mai
io vorrei che sprofondasse
con tutti i Papi e i Giubilei.

Ma questa è un'astrazione
è un'idea di chi appartiene
a una razza
in estinzione.
G. Gaber
 



 

Postato da: giacabi a 06:18 | link | commenti
gaber


Canzone Dell'appartenenza
***






G. Gaber

L'appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé.


L'appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un'apparente aggregazione
l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé.

Uomini
uomini del mio passato
che avete la misura del dovere
e il senso collettivo dell'amore
io non pretendo di sembrarvi amico
mi piace immaginare
la forza di un culto così antico
e questa strada non sarebbe disperata
se in ogni uomo ci fosse un po' della mia vita
ma piano piano il mio destino
é andare sempre più verso me stesso
e non trovar nessuno.

L'appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l'appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.


L'appartenenza
è assai di più della salvezza personale
è la speranza di ogni uomo che sta male
e non gli basta esser civile.
E' quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa
che in sé travolge ogni egoismo personale
con quell'aria più vitale che è davvero contagiosa.

Uomini
uomini del mio presente
non mi consola l'abitudine
a questa mia forzata solitudine
io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto un luogo un posto più sincero
dove magari un giorno molto presto
io finalmente possa dire questo è il mio posto
dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo
.

L'appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un'apparente aggregazione
l'appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.

L'appartenenza
è un'esigenza che si avverte a poco a poco
si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo
è quella forza che prepara al grande salto decisivo
che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti
in cui ti senti ancora vivo.

Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi.
 

Postato da: giacabi a 06:12 | link | commenti
gaber


Giorgio Gaber
***

Giorgio Gaber con un nuovo disco
"La mia generazione ha perso"

 
Giorgio Gaber: «Provaci ancora Giorgio! Giorgio Gaber con un nuovo disco - "La mia generazione ha perso"», di Massimo Bernardini, Tracce Aprile 2001
Parla il cantautore milanese, che sarà al prossimo Meeting. «La mia generazione ha perso». La coscienza del proprio limite e il desiderio di una ripresa. Più forte di qualunque delusione
 di Massimo Bernardini,


Che cosa strana Giorgio Gaber con un nuovo disco
(La mia generazione ha perso), assediato dai giornali, intervistato dai tg, star su Raiuno per una notte con quel matto di Celentano, perfino ritornato in hit parade. Come se quelle 12 canzoni, dopo tanti dischi-testimonianza live dai suoi spettacoli teatrali, fossero a sessant’anni la fine di un esilio, per dorato e di successo che fosse. E oggi ce lo ritrovassimo accanto più arrivabile e diretto. Le parole poi, dedicategli a sorpresa nel disco (non l’ha saputo se non dalle prove di stampa della copertina del cd) da gente come Mina, Alberoni, Antonio Ricci, De Bortoli, Lerner, Albertini, persino Fausto Bertinotti. E, sorpresa fra le sorprese, quelle di don Giussani, che per primo aveva sorpreso il nostro citando, del cantante attore milanese, la sua straordinaria Canzone dell’appartenenza agli Esercizi Spirituali della Fraternità. «L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. Che suggestione - recita un frammento del fondatore di Cl nel disco -in queste parole di Giorgio Gaber! In un popolo sempre il genio illumina aspetti dell’esistenza, assicurando a tutti e a ciascuno una più matura coscienza delle evidenze e delle esigenze elementari del cuore. L’appartenenza è un’evidenza naturale: se l’uomo non appartenesse a niente, sarebbe niente. Essa implica naturalmente il fatto che un io, che non c’era, adesso c’è. L’uomo non c’era, dunque è stato fatto da un Altro, così come il cosmo».
Gaber, che effetto le fa la presenza di uno scritto di Giussani nel suo disco (unico degli ospiti, fra l’altro, a concluderlo con un Grazie)?
C’è qualcosa dentro di talmente impegnativo da farmi avvertire uno scarto, quasi un lieve imbarazzo. Ma la stima nei suoi confronti è grande: sono molto onorato di questa attenzione nei miei confronti (anche se lui, sbagliando, insiste a dire che a sentirsi onorato è lui). Avverto nel suo sentire forti punti di contatto, come se la mia fede laica derivasse da quel nocciolo di fede cristiana. Don Giussani porta l’idea dell’appartenenza in una zona che mi… appartiene, che sento mia. E poi mi piace perché è una persona così riservata, così assente dal pubblico chiacchiericcio anche di certi suoi noti colleghi. E indubbiamente mi ha colpito il suo grazie finale: un segnale che fa parte della sua discrezione, del suo essere fuori dei giochi.
La mia generazione ha perso è stato avvertito da molti come un giudizio implacabile sull’Italia del 2001. Che effetto le fa oggi il nostro Paese?
Più tristezza che orrore. Il mondo occidentale in generale mi suscita orrore, l’Italia invece mi suscita tristezza. La sento travolta da un’inarrestabile decadenza. Le faccio un esempio attraverso la televisione. Ho contribuito alla prima fase della tv italiana: noi che la facevamo eravamo sorpresi e intimiditi dalla forza del mezzo (in 45 secondi diventavi qualcuno in tutto il Paese). La sorpresa era nell’effetto unificante, la Tv era un luogo che intimoriva all’interno e suscitava entusiasmi all’esterno. Adesso è tutto alla rovescia: sono allegri quelli che la fanno e annoiati quelli che la vedono. Quanto poi al tema de La mia generazione ha perso, è stato certamente giusto lottare per una consapevolezza nuova, ma poco alla volta ci siamo accorti che qualcosa si rompeva, che il nostro era sempre più uno «sviluppo senza progresso», come avvertì Pasolini. L’individuo è ormai travolto dal mercato e dal consumo, non abbiamo saputo dare un senso al superfluo. Ci siamo allontanati da chi lo subiva lasciando che corrompesse il popolo. Il difficile dopoguerra dei nostri genitori ci aveva messo davanti un mondo in cui avanzare verso il meglio; noi invece lasceremo ai nostri figli solo incertezza sul futuro. Oggi si fa un gran dire: i genitori devono parlare coi figli. Sì, ma di cosa, se non hanno più niente da dire? In questo senso la nostra generazione ha perso, è passata dall’opposizione ai padri autoritari al nostro niente, a una autorevolezza mancata. Vengo dalla guerra, da una città distrutta: noi avevamo davanti un mondo tutto ancora da conquistare. Nei ragazzi di oggi, invece, sento il rischio della mancanza di un futuro da conquistare, che li fa oscillare fra il velleitarismo e la depressione.
Nel disco c’è una canzone molto intensa che mi pare contenga anche un riferimento autobiografico, o almeno generazionale, Quando sarò capace di amare. Lei, dopo trentasei anni di matrimonio, ci è riuscito?
No, non sono riuscito a imparare. Con Ombretta, mia moglie, c’è un grande patto, un noi molto presente per cui abbiamo molto resistito, senza che mai abbia prevalso l’idea di dividersi. Anche nei momenti difficili è come se avessi sempre pensato che quella era la mia vita, una scelta definitiva. Non c’era il poi vediamo come va, mi è sempre sembrato per sempre.
Nel 1965 vi siete sposati in chiesa.
Perché era una festa, mentre quello in Comune era una sorta di contratto patrimoniale di fronte allo Stato: mi sarebbe sembrato volgare. Invece il matrimonio in chiesa era un rito antico che forse veniva prima del cattolicesimo, ma comunque era il Sacro. Un punto di partenza che affermasse che l’importante per una coppia è dedicare la propria vita all’altro: a che serve conquistare il mondo, se non hai qualcuno a cui dedicarlo? Forse l’avventura non ci è riuscita completamente, ma il desiderio c’è ancora. A volte ci siamo battuti in maniera solitaria, ma abbiamo mantenuto questo legame che viene da una tradizione antica.
Ha fatto rumore un verso suo e di Luporini ne La mia generazione ha perso, in cui auspichereste che «una Chiesa che incalza più che mai… sprofondasse con tutti i Papi e i Giubilei».
Io, credente profondamente laico, sento in questo continuo allargarsi sulla scena solo un fenomeno di massa. La Chiesa è una cosa sacra, non può intervenire nel dibattito come fosse Mediaset o la Rai. Per questo sento che oggi quelli che stimo dentro la Chiesa devono fare molti sacrifici.
A metà agosto tornerà per la terza volta al Meeting di Rimini. Cosa vuol dire incontrare quel popolo?
Mi sono trovato bene. Non ho capito bene perché, ma mi sono trovato bene. Hanno cominciato con Io se fossi Dio: ma come, ho pensato, io sparo a zero contro un certo mondo e questi che ne provengono mi vengono a cercare? E poi ragazzini così giovani che vanno dietro a domande così drammatiche? Così è cominciata. Ma quello che non è mai finito è stata la voglia di parlare: sono gente che ha voglia di parlare del mondo, della vita. Per questo mi viene da dire che sono bravi. In fondo ne so poco, ma per me, laico, la cosa pazzesca è constatare che dove si accettano ancora i dogmi si vuole parlare del mondo e della vita, mentre là dove non si accetta più nessun dogma, e dunque apparentemente si dovrebbe essere più liberi, non si ha più voglia di parlare di niente. Passano per integralisti? A me personalmente non risulta. Non so nulla di Compagnia delle Opere ed affini, ma da laico sento che il mondo di Cl mi ha sempre accettato. In giro sento parlare di una specie di spirito di setta: per quello che ho incontrato io è esattamente il contrario.
da:galatro
 



 

Postato da: giacabi a 05:58 | link | commenti
gaber

domenica, 01 aprile 2007


          Qualcuno era comunista
                              di Giorgio Gaber

 
***


Uh? No, non è vero, io non ho niente da rimproverarmi. Voglio dire non mi sembra di aver fatto delle cose gravi.
La mia vita? Una vita normale. Non ho mai rubato, neanche in casa da piccolo, non ho ammazzato nessuno figuriamoci, qualche atto impuro ma è normale no?
Lavoro, la famiglia, pago le tasse. Non mi sembra di avere delle colpe, non vado neanche a caccia.
Uh? Ah, voi parlavate di prima. Ah ma prima, ma prima mi sono comportato come tutti.
Come mi vestivo? Mi vestivo, mi vestivo come ora… beh non proprio come ora, un po’ più… sì jeans, maglione, l’eskimo. Perché, non va bene? Era comodo.
Cosa cantavo? Questa poi, volete sapere cosa contavo. Ma sì certo, anche canzoni popolari, sì…"Ciao bella ciao". Devo parlar più forte? Sì, "Ciao, bella, ciao" l’ho cantata d’accordo e anche l’Internazionale, però in coro eh, in coro.
Sì, quello sì, lo ammetto, sì, ci sono andato, sì, li ho visto anch’io gli intillimanni, però non ho pianto.
Come? Se in camera ho delle foto? Che discorsi, certo, le foto dei miei genitori, mia moglie, mia…
Manifesti? Non mi pare. Forse uno, piccolo però, piccolino: "Che Ghevara". Ma che cos’è un processo questo qui?
No, no, no, io quello no, il pugno non l’ho mai fatto, il pugno no, mai. Beh insomma una volta ma… un pugnettino rapido proprio…
Come? Se ero comunista? Eh. Mi piacciono le domande dirette. Volete sapere se ero comunista? No, no finalmente perché adesso non ne parla più nessuno, tutti fanno finta di niente e invece è giusto chiarirle queste cose, una volta per tutte, ohhh.


Se ero comunista? Mah? In che senso? No voglio dire…


qualcuno era comunista perché era nato in Emilia.
Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà… la mamma no.
Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il "Paradiso Terrestre".
Qualcuno era comunista perché si sentiva solo.
Qualcuno era comunista perché aveva avuto un’educazione troppo cattolica.
Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche… lo esigevano tutti.
Qualcuno era comunista perché: "La storia è dalla nostra parte!".
Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto.
Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto.
Qualcuno era comunista perché prima era fascista.
Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano ma lontano.
Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché era ricco ma amava il popolo.
Qualcuno era comunista perché beveva il vino e si commuoveva alle feste popolari.
Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio.
Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l’operaio.
Qualcuno era comunista perché voleva l’aumento di stipendio.
Qualcuno era comunista perché la borghesia - il proletariato - la lotta di classe. Facile no?
Qualcuno era comunista perché la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopo domani sicuramente…
Qualcuno era comunista perché: "Viva Marx, viva Lienin, Viva Mao Zetung".
Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre.
Qualcuno era comunista perché guardava sempre RAI TRE.
Qualcuno era comunista per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione.
Qualcuno era comunista perché voleva statalizzare tutto.
Qualcuno era comunista perché non conosceva gli impiegati statali, parastatali e affini.
Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il "materialismo dialettico" per il "Vangelo secondo Lienin".
Qualcuno era comunista perché era convinto d’avere dietro di sé la classe operaia.
Qualcuno era comunista perché era più comunista degli altri.
Qualcuno era comunista perché c’era il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista nonostante ci fosse il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista perché non c’era niente di meglio.
Qualcuno era comunista perché abbiamo il peggiore Partito Socialista d’Europa.
Qualcuno era comunista perché lo Stato peggio che da noi solo l’Uganda.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di quarant’anni di governi viscidi e ruffiani.
Qualcuno era comunista perché piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera.
Qualcuno era comunista perché chi era contro era comunista.
Qualcuno era comunista perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia.
Qualcuno credeva di essere comunista e forse era qualcos’altro.
Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana.
Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.
Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché era disposto a cambiare ogni giorno, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché forse era solo una forza, un volo, un sogno, era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.


Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso, era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita.
No, niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare, come dei gabbiani "ipotetici".


E ora? Anche ora ci si sente come in due, da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si era rattrappito.


Due miserie in un corpo solo.



Postato da: giacabi a 09:07 | link | commenti
comunismo, gaber

sabato, 30 dicembre 2006

Giorgio Gaber
***
Il Potere Dei Più Buoni

La mia vita di ogni giorno
è preoccuparmi di ciò che ho intorno
sono sensibile ed umano
probabilmente sono il più buono
ho dentro il cuore un affetto vero
per i bambini del mondo intero
ogni tragedia nazionale
è il mio terreno naturale
perché dovunque c'è sofferenza
sento la voce della mia coscienza.

Penso ad un popolo multirazziale
ad uno stato molto solidale
che stanzi fondi in abbondanza
perché il mio motto è l'accoglienza
penso al disagio degli albanesi
dei marocchini, dei senegalesi
bisogna dare appartamenti
ai clandestini e anche ai parenti
e per gli zingari degli albergoni
coi frigobar e le televisioni.

E' il potere dei più buoni
è il potere dei più buoni
son già iscritto a più di mille associazioni
è il potere dei più buoni
e organizzo dovunque manifestazioni.

E' il potere dei più buoni
è il potere dei più buoni
è il potere... dei più buoni...

La mia vita di ogni giorno
è preoccuparmi per ciò che ho intorno
ho una passione travolgente
per gli animali e per l'ambiente
penso alle vipere sempre più rare
e anche al rispetto per le zanzare
in questi tempi così immorali
io penso agli habitat naturali
penso alla cosa più importante
che è abbracciare le piante.

Penso al recupero dei criminali
delle puttane e dei transessuali
penso ai giovani emarginati (1)
al tempo libero dei carcerati
penso alle nuove povertà
che danno molta visibilità
penso che è bello sentirsi buoni
usando i soldi degli italiani.

E' il potere dei più buoni
è il potere dei più buoni
costruito sulle tragedie e sulle frustrazioni

è il potere dei più buoni

che un domani può venir buono
per le elezioni.
E' il potere dei più buoni
è il potere dei più buoni
è il potere... dei più buoni...


Postato da: giacabi a 14:19 | link | commenti
gaber

martedì, 15 agosto 2006

LA LIBERTÀ
Propongo questa canzone di G. Gaber sulla  falsa libertà

Si può

di Gaber - Luporini
La mia generazione ha perso (2001)

Si può
si può siamo liberi come l'aria, si può.
si può siamo noi che facciam la storia, si può.

Si può io mi vesto come mi pare
si può sono libero di creare
si può son padrone del mio destino
si può ho già il nuovo telefonino, si può.

Si può occuparsi di agriturismo
si può fare il tifo per il buddismo
si può con un gioco televisivo
si può inventare ogni giorno un divo, si può.

Basta uno spunto qualunque
e la nostra fantasia non ha confini.
Basta un talk-show un po' scadente
e noi perpetuiamo allegramente
la creatività dei popoli latini.

Si può far miliardi con l'Enalotto
si può esser vittima di un complotto
si può far la guerra per scopi giusti
si può siamo autentici pacifisti, si può.

Si può trasgredire qualsiasi mito
si può invaghirsi di un travestito
si può fare i giovani a sessant'anni
si può far riesplodere il sesso ai nonni, si può.

Con alle spalle una storia esaltante
di invenzioni e di coraggio
è naturale che poi siamo noi
che possiamo cambiar tutto
a patto che ogni cosa vada sempre peggio.

Si può siamo liberi come l’aria, si può
si può siamo noi che facciam la storia, si può.
Libertà, libertà, libertà
liberta obbligatoria.

Sono assai cambiato sono così spregiudicato
sono infedele sono matto posso far tutto.
Viene la paura di una vertigine totale
viene la voglia un po' anormale
di inventare una morale.

Utopia… Utopia… Utopia…pia…pia…

Si può ricoprirsi di gran tatuaggi
si può far politica coi sondaggi
si può liberarsi e cambiare ruolo
si può rinnovarsi le tette e il culo, si può.

Per ogni assillo o rovello sociale
sembra che la gente goda.
Tutti che dicon la loro facciamo un bel coro
di opinioni fino a quando
il fatto non è più di moda.

Si può far ginnastica un'ora al giorno
si può collegarsi coi siti porno
si può a ridosso delle elezioni
si può insultarsi come coglioni, si può.

Si può far discorsi convenzionali
si può con il tono da intellettuali
si può dare al mondo un messaggio giusto
si può a livello di Gesù Cristo si può.

Contro il gran numero di ideologie
che noi abbiamo rifiutato
l'unica grande invenzione davvero efficace
e che ci piace è
questa dittatura imposta dal mercato.

Si può siamo liberi come l'aria, si può
si può siamo noi che facciam la storia, si può.

…ma come, con tutte le libertà che avete
volete anche la libertà di pensare?..

Utopia… Utopia… Utopia…pia…pia…

Libertà, libertà, libertà, libertà,
libertà, libertà, libertà, libertà,
libertà, libertà, libertà, libertà libertà


Per comprendere meglio cos’è la libertà
è utile questo riflessione  di don Carron
fatta al Meeting di Rimini dell’anno scorso:

LA LIBERTA’ E’ IL BENE PIU’ GRANDE CHE I CIELI ABBIANO DONATO AGLI UOMINI
Juliàn Carròn:
 «La libertà, Sancio, è uno dei più preziosi doni che i cieli abbiano mai dato agli uomini; né i tesori che racchiude la terra né che copre il mare sono da paragonare a essa; per la libertà, come per l’onore, si può e si deve mettere a repentaglio la vita»[1]. Che non sia cambiato molto il valore della libertà per gli uomini da quando Cervantes scrisse questa frase lo dimostra questa affermazione dell’allora cardinal Ratzinger con cui inizia un suo intervento sulla libertà: «Nella coscienza dell’umanità di oggi la libertà appare di gran lunga come il bene più alto, al quale tutti gli altri beni sono subordinati»[2]. La somiglianza delle due affermazioni non deve però farci sfuggire la differenza del modo con cui era concepita la libertà allora e come lo è adesso. Per Cervantes essa era un bene così prezioso che per la libertà «si può e si deve mettere a repentaglio la vita». Invece oggi siamo in una situazione in cui è difficile trovare uomini che si avventurino nel cammino della libertà. Possiamo dire che la libertà oggi è un bene tanto prezioso quanto scarso. Basta domandarsi quanti uomini veramente liberi conosciamo. Ci troviamo di fronte a un desiderio enorme di libertà, ma allo stesso tempo all’incapacità d’essere veramente liberi, cioè noi stessi, nella realtà. È come se, di fatto, ognuno si piegasse a quanto ci si aspetta da noi in ogni circostanza: così si ha una faccia nel lavoro, un’altra con gli amici, un’altra ancora in casa… Dove siamo veramente noi stessi? Per non dire quante volte uno si sente soffocare nelle circostanze della vita quotidiana, senza la minima idea di come liberarsi, se non aspettando di cambiare le circostanze o che queste cambino per il loro gioco stesso. Alla fine uno si trova bloccato, sognando una libertà che non arriva mai. In un momento storico in cui si parla tanto di libertà assistiamo al paradosso della sua assenza. E quel che è ancora peggio, ci accontentiamo di vivere senza di essa, come denunciava Kafka: «Si temono la libertà e la responsabilità e ciascuno preferisce soffocare dietro le sbarre che si è costruito per se stessa».
 «La storia degli ultimi secoli potrebbe riassumersi come una riduzione progressiva della persona all’individuo spersonalizzato o alla libertà formale, mettendo tra parentesi la libertà reale»……

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