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«Oggi il difficile non è l’accettare che Cristo sia Dio; il difficile sarebbe accettare Dio se non fosse Cristo».
Joseph Malegue
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Postato da: giacabi a 14:59 |
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perle, gesù
Quando Gesù guarda, si piange
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……….Vorrei
suggerirvi tre brevi pensieri di sant’Ambrogio. Sant’Ambrogio è uno dei
Padri della Chiesa che più evidenzia la misericordia. Forse la frase
con cui conclude l’Esamerone, il racconto della creazione, è nota a
tutti voi: «Ha creato il
cielo e non leggo che si sia riposato, ha creato la terra e non leggo
che si sia riposato, ha creato il sole, la luna e le stelle e non leggo
che abbia riposato. Leggo che ha creato l’uomo e allora si è riposato /
habens cui peccata dimitteret / perché finalmente aveva uno cui poteva
perdonare i peccati»3. Questo è il riposo di Dio. Lo dice
Gesù nel Vangelo: «Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo [cioè nel
cuore di Dio] per un peccatore che si converte che non per novantanove
giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15, 7).
Ambrogio non aggiunge nulla a queste parole di Gesù circa la gioia del
cuore di Dio; semplicemente è bello che dica che Dio si è riposato
perché finalmente aveva uno cui poteva perdonare i peccati.
Il brano che ora leggo è tratto dal commento di sant’Ambrogio al Vangelo di Luca: «Bonae lacrimae quae lavant culpam. / Come sono buone [care al cuore] le lacrime che lavano i peccati. / Denique quos Iesus respicit plorant. / Pertanto, quelli che Gesù guarda, si mettono a piangere [quando Gesù guarda un povero peccatore, questo si mette a piangere]. Pietro ha negato una prima volta e non ha pianto perché il Signore non lo aveva guardato. Pietro ha negato una seconda volta e non ha pianto perché il Signore ancora non lo aveva guardato. Pietro ha negato la terza volta: / respexit Iesus et ille amarissime flevit / Gesù lo ha guardato e lui ha pianto amaramente»4. Il pianto non viene dal peccato. «Chi commette il peccato è schiavo del peccato» (Gv 8, 34). Il peccato ci conduce al vizio, non al pianto. «Se il Figlio vi fa liberi sarete liberi davvero» (Gv 8, 36). Quando Gesù guarda, si piange. E si piange nella memoria di Lui. «Il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò» (Lc 22, 61). Si piange non per l’umiliazione, si piange perché si è così voluti bene. Si piange per gratitudine, perché siamo guardati così. Perché, poveri peccatori, siamo così voluti bene. «Respice, Domine Iesu, / Guardaci, Signore Gesù, / ut sciamus nostrum deflere peccatum. / perché impariamo a piangere i nostri peccati. / Unde etiam lapsus sanctorum utilis. / Per questo anche il peccato dei santi è utile. Non mi ha recato nessun danno che Pietro Lo abbia tradito, mi ha giovato il fatto che [Gesù] lo abbia perdonato»5. Un secondo brano. Ambrogio sta commentando un salmo, e parla di Pietro: «Quem Dominus respicit salvat. / Chi il Signore guarda, lo salva. Pertanto, nella passione del Signore, quando Pietro tradì / [e qui Ambrogio dice una cosa che mi sembra così bella] sermone, non mente / [quando Pietro tradì] con la parola, ma non con il cuore...»6. Così sant’Ambrogio distingue i peccati di fragilità dal progetto del peccato. Anche i peccati di fragilità possono essere peccati mortali; non è questo che sant’Ambrogio contesta. I nostri peccati di fragilità possono essere peccati mortali, se ci sono le tre condizioni perché un’azione sia peccato mortale. Ma il peccato di fragilità è diverso dal progetto del peccato. Il peccato di fragilità è diverso dall’avere la progettualità del peccato. Ambrogio ha nei confronti di Pietro questo sguardo di tenerezza, come verso un bambino che sbaglia. Pietro ha rinnegato, ma con le labbra (sermone) non con il cuore (non mente). E aggiunge un’osservazione stupenda: «(benché le parole di Pietro che Lo rinnega siano più piene di fede che non la dottrina di molti [le parole di Pietro, che per paura Lo tradisce, non distruggono un attaccamento al Signore, un attaccamento più fedele che non i discorsi di molti]) / respexit eum Christus / Cristo lo ha guardato / et Petrus flevit; / e Pietro ha pianto; e così [col pianto] ha lavato il proprio errore. / Ita quem visus est voce denegare / Così colui che con la parola è sembrato agli altri [forse anche a Giovanni quando ha visto Pietro dire quello che ha detto] rinnegare il Signore, / lacrimis fatebatur / con le lacrime Lo testimoniava»7. Con le lacrime Pietro ha testimoniato il Signore. Vorrei aggiungere un’osservazione. C’è un indizio che distingue la fragilità del peccato dalla progettualità del peccato, ed è evitare le occasioni prossime di peccato. Lo diremo nell’Atto di dolore quando ci confesseremo. L’indizio che il peccato non è il nostro progetto, è la volontà di fuggire le occasioni prossime di peccato. Perché il peccato si compie nel cuore. Il peccato si compie quando si aderisce nel cuore al desiderio cattivo. È nel cuore che si compie il peccato. Il gesto, qualunque gesto peccaminoso, è una conseguenza del cuore che aderisce al desiderio cattivo; del cuore che cede al desiderio cattivo, invece di mettersi in ginocchio a domandare. Anche il mettersi in ginocchio, anche solo questo gesto fisico di mettersi in ginocchio, come è prezioso al Signore! Mettersi in ginocchio e domandare. E la grazia della domanda certa, quando il Signore la dona, la certezza della domanda che chiede senza dubitare è infallibile. Lo dice Gesù (cf. Mc 11, 23-25). Lo scrive l’apostolo prediletto: «Chiunque rimane in Lui non può peccare» (1Gv 3, 6). Quando si rimane nel Signore non si pecca. Quando il Signore dona di rimanere in Lui, questa preghiera è infallibile. Evitare le occasioni prossime di peccato è il segno che i nostri sono poveri peccati di fragilità, ma che non sono il progetto della nostra vita. Non sono una progettualità cattiva.
Cito un terzo brano, sempre di sant’Ambrogio, tratto dal Commento al Salmo 1188 al versetto: «“Adiutor et susceptor meus es tu, et in verbum tuum spero” / “Tu sei il mio aiuto e il mio sostegno e spero nella tua parola”». In questo brano di sant’Ambrogio sono raccolte tutte le cose che ci siamo detti in questi giorni. «Adiutor per legem, / Tu sei aiuto con la legge [i dieci comandamenti], / susceptor per Evangelium / Tu sei sostegno [mi prendi in braccio] con la grazia»9. Questa è la sintesi del cammino morale cristiano. Con la legge ci aiuti. La legge fa conoscere i comandamenti di Dio. La
legge ha come scopo semplicemente quello di indicarci e farci conoscere
con chiarezza ciò che bisogna fare e ciò che bisogna evitare. E la legge non si mette in pratica se vi si fanno sopra discorsi teologici. La legge si mette in pratica in virtù di un’altra realtà distinta dalla legge che è la grazia. È bellissima la lettura del breviario della festa della Natività della Madonna, in cui sant’Andrea di Creta, vescovo, afferma che, come
sono distinte e non confuse la natura umana e la natura divina del
Verbo incarnato, così anche la legge e la grazia sono due realtà
distinte, non confuse. Ciascuna realtà conserva le sue caratteristiche10.
La legge ha la caratteristica di indicare con chiarezza la strada, la
grazia ha la caratteristica di prendere in braccio e di portare e quindi
di far camminare sulla strada. «Adiutor per legem, susceptor per
gratiam. Quos lege adiuvit, in carne suscepit / Quelli che ha aiutato con la legge [indicando la strada] li ha portati nella Sua carne / quia scriptum est: / perché è stato scritto: / “Hic peccata nostra portat” / “Questi porta su di sé i nostri peccati” / et ideo in verbum eius spero. / e perciò io spero nella Sua parola. / Pulchre autem ait: / È bello che il salmo dica: / “In verbum tuum speravi”, / “Ho sperato nella Tua parola”, / hoc est: Non in prophetas speravi, / cioè: Non ho sperato nei profeti [buona è la profezia ma non ho sperato nei profeti], / non in legem, / non ho sperato nella legge [buona è la legge di Dio ma non ho sperato nella legge], / sed in verbum tuum speravi / ma ho sperato nella Tua parola / hoc est in adventum tuum... / cioè che Tu venga...»11:
questa è la cosa più bella! Ho sperato nella Tua parola cioè che Tu
venga. Cioè nel Tuo venire a me. Se guardiamo un bambino, un bambino non
spera astrattamente nella mamma. Il bambino spera che la mamma gli stia
vicino. Che la mamma venga vicino a lui; «... ut venias / ... che Tu venga / et suscipias peccatores, / e prenda in braccio i peccatori, / delicta condones, / perdoni i nostri delitti, / ovem lassam tuis in cruce humeris bonus pastor inponas / e metta come buon pastore sulle Tue spalle, cioè sulla Tua croce, questa pecorella affaticata»12. Come è bello: «In verbum tuum speravi / ho sperato nella Tua parola / hoc est in adventum tuum, / cioè nel Tuo arrivare, / ut venias / che Tu venga vicino / et suscipias / e Tu prenda in braccio» questa pecorella smarrita che sono io. Conclude Ambrogio: «Se uno spera in Gesù Cristo, si deve allontanare dalla compagnia dei cattivi»13. Un piccolo accenno decisivo: se uno spera in Lui, evita le occasioni prossime di peccato (cf. 1Gv 3, 3).
Concludo con due preghiere della liturgia ambrosiana. Due preghiere di sant’Ambrogio. Prima preghiera, dall’inno Al canto del gallo, Aeterne rerum conditor, che nell’antica liturgia ambrosiana si recitava sempre, ogni giorno, al Mattutino. Insieme all’inno dei Vespri Deus creator omnium, l’inno Aeterne rerum conditor credo che sia la più bella poesia della letteratura cristiana antica: «Iesu, labantes respice / O Gesù, guarda noi che cadiamo [i lapsi erano quelli che durante le persecuzioni avevano tradito la fede] / et nos videndo corrige; / e sollevaci guardandoci [corrige vuol dire cum-regere, sollevare]; / si respicis labes cadunt / se Tu ci guardi i peccati vengono meno / fletuque culpa solvitur / e nel pianto la colpa viene sciolta». Seconda preghiera, una piccola preghiera, la preghiera del Buon ladrone. Come sarà per santa Teresina di Gesù Bambino, così per sant’Ambrogio il Buon ladrone è uno dei santi preferiti. L’inno di Pasqua, Hic est dies verus Dei, di sant’Ambrogio, è tutto sul Buon ladrone. Nella liturgia di oggi del breviario, san Cirillo di Gerusalemme usa la stessa espressione che usa sant’Ambrogio in questo inno: il Signore dona la salvezza «con la fede di un istante»14. La preghiera dice: «Manum tuam porrige lapsis / Porgi la tua mano a noi che siamo caduti, / qui latroni confitenti Paradisi ianuas aperuisti / Tu che al ladrone che Ti ha riconosciuto hai aperto le porte del Paradiso»15. Come è bello quel latroni confitenti! Non ha fatto niente quell’assassino. Lo ha solo riconosciuto. Ha solo riconosciuto. Confessio. E domandato. Supplex confessio: «Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno». Solo quel «Gesù», quel: «Ricordati di me». Solo quel riconoscimento supplice. E Gesù gli ha detto: «Oggi sarai con me in Paradiso» (cf. Lc 23, 39-43). Oggi, in questo istante. Come nel sacramento della confessione: «Io ti assolvo». Così, in questa fede di un istante, così si comunica anche a noi la salvezza di Gesù Cristo.
Don Giacomo Tantardini da: Una
delle meditazioni degli esercizi spirituali predicati ai sacerdoti
della diocesi suburbicaria di Porto – Santa Rufina nel novembre 2006
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Postato da: giacabi a 14:24 |
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gesù, tantardini
Egli è qui.
E' qui come il primo giorno
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«Così
ciascuno poteva avvicinarti. E quel vecchio, alla sera della sua vita,
ti ha baciato come un piccolo bimbo ordinario. Ti ha sicuramente
baciato. Come a un vecchio, come ai vecchi piace baciare i bambini, i
piccoli, i bimbi piccoli piccoli. (...) Che mistero, mio Dio, che
mistero.
Quando si pensa, quando si pensa, bisognava essere lì, bastava essere nati giusto lì, in quel tempo e in quel paese. Mio Dio, mio Dio, hai dato ai tuoi carnefici ciò che fu rifiutato a tanti dei tuoi martiri. (...) Felici coloro che bevevano lo sguardo dei tuoi occhi; felici coloro che mangiavano il pane alla tua tavola; e Giuda, Giuda stesso ha potuto avvicinarti. Felici coloro che bevevano il latte delle tue parole. Felici coloro che mangiarono, un giorno, un giorno unico, un giorno tra tutti i giorni, felici di una gioia unica, felici coloro che mangiarono un giorno, un giorno unico, quel giovedì santo, felici coloro che mangiarono il pane del tuo corpo; te stesso consacrato da te stesso; con una consacrazione unica; un giorno che mai ricomincerà; quando tu stesso dicesti la tua prima messa; sul tuo stesso corpo; (...) quando di quel pane, davanti ai dodici, e davanti al dodicesimo, il tredicesimo, facesti il tuo corpo; e quando di quel vino facesti il tuo sangue; (...) Quando si pensa, mio Dio, quando si pensa, mio Dio, quando si pensa che tu eri lì, che non c'era che da avvicinarti, mistero terribile; che non c'era che da avvicinarsi a quel mistero terribile. No, quando si pensa che è successo una volta. Che si è visto questo sulla terra. (...) Gesù, Gesù, ci sarai mai così presente. Se tu fossi qui, Dio, non andrebbe così, tuttavia. Le cose non sarebbero mai andate così. (Madama Gervaise)
Egli è qui.
È qui come il primo giorno. È qui tra di noi come il giorno della sua morte. In eterno è qui tra di noi proprio come il primo giorno. In eterno tutti i giorni. È qui fra di noi in tutti i giorni della sua eternità. Il suo corpo, il suo medesimo corpo, pende dalla medesima croce; I suoi occhi, i suoi medesimi occhi, tremano per le medesime lacrime; Il suo sangue, il suo medesimo sangue, sgorga dalle medesime piaghe; Il suo cuore, il suo medesimo cuore, sanguina dal medesimo amore. (...) È la medesima storia, esattamente la stessa, eternamente la stessa, che è accaduta in quel tempo e in quel paese e che accade tutti i giorni in tutti i giorni di ogni eternità». (Da: Il mistero della carità di Giovanna D'Arco)
«Tant'è vero, tanto è reale che egli era divenuto uno di loro
E che si era legato alla loro sorte mortale E che era divenuto uno di loro, per così dire a caso, E che si era fatto uno di loro Senza alcuna limitazione né misura. Perché prima di quella perpetua, quell'imperfetta, Quella perpetuamente imperfetta imitazione di Gesù Cristo, Di cui essi parlano sempre, Ci fu quella perfettissima imitazione dell'uomo da parte di Gesù Cristo, Quell'inesorabile imitazione, da parte di Gesù Cristo, Della miseria mortale e della condizione dell'uomo. (...) Un avvenimento è accaduto nell'intervallo, un avvenimento è intervenuto, un avvenimento ha fatto una barriera. Il fatto che mio figlio è venuto». Peguy (Da: Il Mistero dei santi innocenti)
da:
http://www.tracce.it/ |
Postato da: giacabi a 10:59 |
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gesù, peguy
Gesù di Nazareth
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La
divinità dei cristiani non consiste solo in un Dio semplice autore
delle verità geometriche e dell'ordine degli elementi: questa è una
concezione pagana. Essa non consiste in un Dio che esercita la sua
Provvidenza sulla vita e sui beni degli uomini per concedere un felice
seguito d'anni: questa è una concezione ebraica.
Ma il
Dio di Abramo e di Giacobbe, il Dio dei cristiani è un Dio di amore e
di consolazione: è un Dio che riempie l'anima e il cuore di coloro che
lo possiedono. È un Dio che fa sentire interiormente la loro miseria e
la sua infinita misericordia; che
li raggiunge in fondo alla loro anima; che li riempie di umiltà, di
fede, di fiducia e di amore; che li rende incapaci di un altro scopo
oltre se stesso.
Il
Dio dei cristiani è un Dio che fa sentire all'anima che egli è il suo
unico bene; che il suo riposo è in lui, che proverà gioia solo ad
amarlo; e che, al tempo stesso, le fa aborrire gli ostacoli che la
trattengono e le impediscono di amarlo con tutte le sue forze.
L'amor
proprio e la concupiscenza che la fermano gli sono insopportabili, e
Dio le fa sentire che essa ha questo fondo di amor proprio e che lui
solo può guarirla.
Blaise Pascal
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Postato da: giacabi a 19:50 |
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pascal, gesù
Gesù di Nazareth
***
Un
uomo che nacque e morì come noi; la cui presenza e il cui insegnamento
hanno continuato a brillare per ogni nuova generazione, come avvenne per
i suoi discepoli e per tutti coloro che lo conobbero e lo ascoltarono
in Galilea tanti anni fa. Egli
è morto, ma nondimeno è rimasto vivo come nessun altro, e rimane vivo;
ci ha offerto la prospettiva misteriosa di morire al fine di vivere; ha
sconvolto tutti i falsi valori del mondo, dicendoci che erano i deboli,
non i forti, a essere importanti, i semplici, non i dotti, a possedere
la verità, i poveri, non i ricchi, a essere benedetti.
La
croce su cui agonizzò e morì divenne simbolo delle speranze più acute e
più dolci che si siano mai nutrite, e l’ispirazione delle esistenze più
nobili e più felici.
Malcolm Muggeridge Tratto da “ Cristo riscoperto”
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Postato da: giacabi a 19:46 |
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gesù
Gesù è l'ebreo centrale
.***
"Gesù è l'ebreo centrale: con una mano stringe quelle dei suoi fratelli ebrei; con l'altra quelle dei suoi discepoli cristiani. “
Martin Buber |
Postato da: giacabi a 09:47 |
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gesù, buber
Discepoli di Cristo
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"Cristo non vuole ammiratori, ma discepoli. Non sa che farsene di chi lo loda, vuole chi lo segua. "
Soren Kierkegaard |
Postato da: giacabi a 09:43 |
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gesù, kierkeergaard
Cristo può nascere in noi
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"Eppure questo miracolo nuovo non è impossibile purché sia desiderato e aspettato. Il
giorno nel quale non sentirai una punta di amarezza e di gelosia
dinanzi alla gioia del nemico o dell'amico, rallegrati perché è segno
che quella nascita è prossima. Il giorno nel quale non sentirai una
segreta onda di piacere dinanzi alla sventura e alla caduta altrui,
consolati perché la nascita è vicina. Il giorno nel quale sentirai il
bisogno di portare un po' di letizia a chi è triste e l'impulso di
alleggerire il dolore o la miseria anche di una sola creatura, sii lieto
perché l'arrivo di Dio è imminente. E se un giorno sarai percosso e
perseguitato dalla sventura e perderai salute e forza, figli e amici e
dovrai sopportare l'ottusità, la malignità e la gelidità dei vicini e
dei lontani, ma nonostante tutto non ti abbandonerai a lamenti né a
bestemmie e accetterai con animo sereno il tuo destino, esulta e trionfa
perché il portento che pareva impossibile è avvenuto e il Salvatore è
già nato nel tuo cuore. Non
sei più solo, non sarai più solo. Il buio della tua notte fiammeggerà
come se mille stelle chiomate giungessero da ogni punto del cielo a
festeggiare l'incontro della tua breve giornata umana con la divina
eternità"
Giovanni Papini Scriveva così il 25 dicembre 1955, poco più di sei mesi prima di morire
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Postato da: giacabi a 09:35 |
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gesù, papini
Noi abbiamo bisogno d'esser salvati!
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"La grande esperienza volge alla fine. Gli
uomini, allontanandosi dall'Evangelo, hanno trovato la desolazione e la
morte. Più d'una promessa e d'una minaccia s'è avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d'un tuo ritorno. Se
non vieni a destare i dormenti accovati nella melma puzzante del nostro
inferno, è segno che il castigo ti sembra ancor troppo corto e leggero
per il nostro tradimento e che non vuoi mutare l'ordine delle tue leggi. E sia la tua volontà ora e sempre, in cielo e sulla terra. Ma
noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto
della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo
torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti
tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del
tuo implacabile amore".
Giovanni Papini |
Postato da: giacabi a 09:17 |
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gesù, papini
Noi abbiamo bisogno d'esser salvati!
***
"Sei
venuto, la prima volta, per salvare; nascesti per salvare; parlasti per
salvare; ti facesti crocifiggere per salvare: la tua arte, la tua
opera, la tua missione, la tua vita è di salvare. E
noi abbiamo oggi, in questi giorni grigi e maligni, in questi anni che
sono un condensamento e un accrescimento insopportabile d'orrore e
dolore, abbiamo bisogno, senza ritardi, d'esser salvati! Se
tu fossi un Dio geloso e acrimonioso, un Dio che tiene il rancore, un
Dio vendicativo, un Dio solamente giusto, allora non daresti ascolto
alla nostra preghiera. Perché tutto quello che gli uomini potevan farti
di male, anche dopo la tua morte, e più dopo la tua morte che in vita,
gli uomini l'hanno fatto; noi tutti, quello stesso che ti parla insieme
agli altri, l'abbiamo fatto.
Milioni di Giuda ti hanno baciato dopo averti venduto, e non per trenta
denari soli, e neppure una volta sola; legioni di Farisei, sciami di
Caifa ti hanno sentenziato malfattore, degno d'esser rinchiodato; e
milioni di volte, col pensiero e la volontà, ti hanno crocifisso; e
un'eterna canaia di fecciosi esaltati t'ha ricoperto il viso di saliva e
di schiaffi; e gli staffieri, gli scaccini, i portinai, la gente d'arme
degli ingiusti detentori d'argento e di potestà ti hanno frustato le
spalle e insanguinata la fronte; e migliaia di Pilati, vestiti di nero o
di vermiglio, e usciti appena dal bagno, profumati d'unguenti, ben
pettinati e rasati, ti hanno consegnato migliaia di volte
agl'impiccatori dopo averti riconosciuto innocente; e innumerevoli
bocche flatulenti e vinose hanno chiesto innumerevoli volte la libertà
dei ladri sediziosi, dei criminali confessi, degli assassini conosciuti,
perché tu fossi innumerevoli volte trascinato sul Teschio e affisso
all'albero con cavicchi di ferro fucinati dalla paura e ribattuti
dall'odio".
Giovanni Papini
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Postato da: giacabi a 09:08 |
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gesù, papini
Cristo, invece, è sempre vivo
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Cesare
ha fatto, ai suoi tempi, più rumore di Gesù; e Platone insegnava più
scienza di Cristo. Ancora oggi si ragiona del primo e del secondo; ma chi si accalora per Cesare o contro Cesare? E dove sono oggi i platonisti e gli antiplatonisti?
Cristo, invece, è sempre vivo in noi. C'è
ancora chi lo ama e chi lo odia. C'è una passione per la passione di
Cristo e una per la sua distruzione. E l'accanirsi di tanti contro di
Lui dice che non è ancora morto. –
Giovanni Papini in Storia di Cristo
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Postato da: giacabi a 20:07 |
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gesù, papini
Cristo non ha mani
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Cristo non ha mani
ha soltanto le nostre mani
per fare il suo lavoro oggi.
Cristo non ha piedi
ha soltanto i nostri piedi
per guidare gli uomini
sui suoi sentieri.
Cristo non ha labbra
ha soltanto le nostre labbra
per raccontare di sé
agli uomini d'oggi.
Cristo non ha mezzi
ha soltanto il nostro aiuto
per condurre gli uomini a sé.
Noi siamo l'unica Bibbia
che i popoli leggono ancora.
Siamo l'ultimo messaggio di Dio
scritto in opere e parole.
***
E ora tocca
a voi battervi
gioventù del mondo;
siate intransigenti
sul dovere di amare.
Ridete di coloro
che vi parleranno di prudenza,
di convenienza, che
vi consiglieranno
di mantenere
il giusto equilibrio.
La più grande
disgrazia che vi
possa capitare
e' di non essere
utili a nessuno,
e che la vostra
vita non serva
a niente.
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Postato da: giacabi a 10:16 |
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gesù, r follereau
La legge della grazia
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"La
Chiesa di Cristo non è costituita di sani, ma di malati: ed è stato
così fin dal principio. Questo turbava i dottori della legge, e a
ragione: infatti dal punta di vista della legge della coerenza morale è
un assurdo.
La
legge della coerenza morale ha un suo proprio criterio e una sua
propria misura. Tale misura è la «giustizia», l'adempimento della legge,
la moralità ecc.
La legge della grazia invece ha una misura completamente diversa. Questo non significa che la pietà la moralità siano abolite, significa però che sana un fattore secondario. Infatti il cristiano non è salvato né dalla pietà né
dalla moralità come tali, ma dalla grazia ricevuta per fede, che a sua
volta genera in lui i frutti della pietà e della moralità. Per questo il
buon ladrone in croce o il morente che si pente sinceramente delle
proprie colpe, si salvano prima che possano maturare i frutti della
grazia e della fede: ecco perchè pietà e moralità sano fattori
secondari.
Il
peccatore e la prostituta non potevano appartenere all'organizzazione
del tempio di Gerusalemme; invece possono appartenere al tempio del
Corpo di Cristo.
Il
dottore della legge diceva: se sei un pubblicano, un peccatore o una
prostituta, non ti posso ammettere nella mia organizzazione. E se la
Chiesa fosse solo un'organizzazione, dovrebbe dire la stessa cosa. Cristo
invece non si comporta come il dottore della legge, perchè non parte
dalla legge della pieta, ma dalla legge dell a grazia.
Vede un pubblicano lì seduto: «Seguimi (Lc 5,27).Vieni a far parte del mio Corpo. Ho la forza di rigenerarti e salvarti. A
me e al mio regno non servono le opere della legge, posso accoglierti
anche senza di esse. E quando diverrai parte di Me, e io vivrò in te,
allora tu comincerai a compiere le opere di Cristo, perchè rinuncerai a
te stesso»
Tutti gli apostoli a una sola voce parlano soltanto di quest'unica cosa.
E proprio in questo senso si dice che la forza di Dio si rivela nella debolezza.
Se
ci pensate, vi accorgerete di quanta profondamente questa predicazione
doveva scandalizzare i dottori della legge, e di come mai i pubblicani,
coperti di infermità e impotenti ad addurre alcuna giustificazione,
andavano a Cristo. E così rinascevano. E si purificavano dalle lara
infermità, sia pur in modo invisibile.. .
Il
razionalista si preoccupa soltanto di purificarsi, di liberarsi dalle
infermità con i propri sforzi... Il cristiano dice: abbi pietà di me
peccatore (Lc 18,13)."
Michail Novoselov Lettere agli amici. BUR , Milano
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Postato da: giacabi a 19:39 |
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gesù, novoselov
Agnello di Dio!
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Sono insoddisfatto dei falsi valori di questo secolo e ho capito che c’è solo un’alternativa: quella proposta duemila anni fa presso il mare di Galilea e sulla collina del Golgota… I vecchi dèi pagani venivano tutti rappresentati in termini di potere terreno, di ricchezza, potenti ma mediocri e lascivi. La
croce invece per la prima volta ha rivelato Dio in termini di
debolezza, di umiltà, di sofferenza e, da un punto di vista umano, di
assurdità. Da allora abbiamo visto questo Dio rappresentato
nell’agnello, che è la più timida, mite e vulnerabile creatura vivente.
Agnello di Dio! Così si è cantato con gioia attraverso i secoli!
M. Muggeridge
Giornalista televisivo inglese, battezzato nella fede cattolica a 79 anni
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Postato da: giacabi a 19:10 |
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gesù
Noi siamo fatti per Cristo
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“mente e desiderio sono stati foggiati in funzione di Lui. Per conoscere Cristo abbiamo ricevuto il pensiero, per correre verso di Lui il desiderio, e la memoria per portarlo in noi"
(N: Cabasilas, La vita in Cristo, CN ed., Roma 1994, pag. 309).
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Postato da: giacabi a 21:14 |
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gesù
Postato da: giacabi a 21:11 |
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gesù, socci
Postato da: giacabi a 20:43 |
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dostoevskij, gesù
Gesù
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“T’ho amato con pietà
Con furia T’ho adorato.
T’ho violato, sconciato,
bestemmiato.
Tutto puoi dire di me
Tranne che T’ho evitato”.
Giovanni Testori
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Postato da: giacabi a 20:20 |
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gesù, testori
Postato da: giacabi a 20:14 |
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gesù, socci
L’ unione con Cristo dona letizia
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“l’unione
con Cristo dona un’elevazione interiore, conforto nel dolore,
tranquilla certezza e cuore aperto all’amore del prossimo, ad ogni cosa
nobile e grande, non già per ambizione né brama di gloria, ma solo per
amore di Cristo, dunque l’unione
con Cristo dona una letizia che invano l’epicureo nella sua filosofia
superficiale, invano il più acuto pensatore nelle più riposte profondità
del sapere, tentarono di cogliere; una letizia che solo può conoscere
un animo schietto, infantile, unito a Cristo e attraverso di Lui a Dio,
una letizia che innalza e più bella rende la vita”.
Il giovanissimo Karl Marx.
Chi
è Gesù? Perché nessuno, dopo duemila anni, si sottrae al suo fascino?
Anche i “lontani” non sanno nascondere lo stupore, l’ammirazione e
l’incanto per quest’uomo misterioso, potente e buono, unico al mondo,
“il più bello fra i figli degli uomini”: da Marx a Renan, da Rousseau a
Nietzsche, da Borges a Kafka, da Camus a Salvemini, da Kerouac a
Pasolini, da un “persecutore” come Napoleone a una personalità come
Gandhi, fino al libro dell’islam, il corano.
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Postato da: giacabi a 19:59 |
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marx, gesù
RITROVIAMO IL VERO SIGNIFICATO DELLA FESTA CRISTIANA
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I
sentimenti dell'infanzia? Un pasto dignitoso ai poveri? Qualche residuo
di bontà? No. E' la memoria della venuta carnale del Signore sulla
terra, inizio di un mondo nuovo
Luigi Negri Hanno accompagnato il mio cammino di questi mesi prima del Natale i brani di alcune lettere che S. Ignazio di Antiochia ha scritto ad alcune Chiese dell'Asia minore e a quella di Roma nel suo cammino verso il martirio, da lui amato come termine del suo personale rapporto di amore con il Signore. Questa grande personalità ecclesiale, che la tradizione cristiana ha considerato per secoli un quasi-apostolo e che, secondo le ultime indagini della scienza storica, pare abbia esercitato proprio nei lunghi mesi del suo avvicinamento a Roma, la funzione di Papa della Chiesa universale, scrive ai cristiani di Tralle un brano di assoluta chiarezza e di perentoria attualità. È da questo che intendo partire per introdurmi all'attualità del Natale. «Chiudete le orecchie quando qualcuno vi parla d'altro che di Gesù Cristo, della stirpe di David, figlio di Maria, che realmente nacque, mangiava e beveva, che fu veramente perseguitato sotto Ponzio Pilato, che fu veramente crocifisso e morì al cospetto del cielo, della terra e degli inferi, e che poi realmente è risorto dai morti. Lo stesso Padre suo lo fece risorgere dai morti e farà risorgere nella stessa maniera in Gesù Cristo anche noi, che, crediamo in lui, al di fuori del quale non possiamo avere la vera vita». Il Natale 2008, come del resto il Natale 2007, sarà per tanti cristiani e non cristiani, quindi per l'intera società, il ritorno di una consuetudine largamente prevista e addirittura tollerata nella struttura impietosa e disumana di questa società. Una parentesi, nella quale cristiani e no si prodigano a ritrovare i sentimenti della loro infanzia, i sentimenti e le aspirazioni dimenticati da anni, qualche residuo di bontà che fa aprire almeno il giorno di Natale le case e le istituzioni ai poveri, come se il problema fosse un pasto dignitoso a Natale. Il Natale come una caramella: la si assapora, la si succhia, si scioglie e qualche istante dopo non rimane più niente. Non dico che non ci siano cose buone o momenti significativi o testimonianze di benevolenza contro l'orrore dei rapporti quotidiani, retti solo da logiche di potere e di sopraffazione, ma il Natale cristiano non è questo. Il Natale è la venuta di Dio nella carne: e Dio non è venuto "nella nostra carne mortale", come dice sant'Agostino, per costruire una precaria parentesi buonista in una società rigida e ferrigna ma per costruire in sé l'uomo nuovo ed il mondo nuovo. Perché accettiamo che il Natale diventi questa piccola e meschina caricatura? Perché il nostro cuore è malato o meglio perché, come dicevano i profeti, "il nostro cuore è lontano da Dio". Il popolo cristiano è quasi "costretto" a partecipare, impotente, a un fenomeno terribile che dura da secoli e che si sta compiendo sotto i nostri occhi. Benedetto XVI ha avuto il coraggio di chiamarlo con il suo nome e cognome: l'APOSTASIA DA GESÙ CRISTO. Il peccato mortale della cristianità di oggi è la mancanza di fede, non come intenzione morale o sentimentale, ma come mentalità. Dove la fede raggiunge la sua pienezza e la sua maturità: quando diviene cultura. Quanti cristiani di oggi, ecclesiastici e laici, vecchi e giovani, proclamano con orgoglio ed entusiasmo quel numero 423 del Catechismo della Chiesa Cattolica, in cui è stato genialmente sintetizzato il contenuto reale ed esauriente della fede? «Noi crediamo e professiamo che Gesù di Nazareth, nato ebreo da una figlia d'Israele, a Betlemme, al tempo del re Erode il Grande e dell'imperatore Cesare Augusto, di mestiere carpentiere, morto crocifisso a Gerusalemme, sotto il procuratore Ponzio Pilato, mentre regnava l'imperatore Tiberio, è il Figlio eterno di Dio fatto uomo, il quale è «venuto da Dio» (Gv 13,3), «disceso dal cielo» (Gv 3,13; 6,33), venuto nella carne; infatti «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. […] Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia» (Gv 1,14.16)». Gesù Cristo non è uno dei contenuti fondamentali della fede, che trova la sua collocazione in rapporto ad altre certezze o valori che gli sono equivalenti: Gesù Cristo è il contenuto fondamentale e totalizzante della fede. Credere vuol dire credere in Gesù Cristo Figlio di Dio. I Padri dei primi concili, quelli del IV e del V secolo, hanno formulato in modo diverso una grande verità nella quale si riconosceva tutto il popolo cristiano: chiunque nega che uno di noi (cioè l'uomo Gesù Cristo) è Uno della Trinità, sia scomunicato. Il Cristianesimo è dunque l'incarnazione di Dio nell'uomo Gesù Cristo; non Dio che si collega ad un uomo ma che diventa un uomo, in un'unica persona in cui vivono in piena comunione la totalità della divinità e la totalità dell'umanità. Ma poiché un uomo diventa uomo perché nasce dal ventre di una donna, il Natale ci ricorda con puntualità e precisione anagrafica e carnale che il Figlio di Dio, Gesù Cristo, è nato a Betlemme, dalla Vergine Maria. E quella nascita, piccola e casuale come tutte le nascite umane, segnata da precisi condizionamenti, come il rifiuto a poter nascere in una casa di uomini, è già l'inizio dell'unico grande sconvolgimento della storia e del cosmo: la venuta di Dio sulla terra. Nel Bambino Gesù, verso cui va da 2000 anni l'affezione profonda e totale di tante generazioni cristiane, è già contenuta l'identità del Redentore: così che ogni gesto, anche faticoso, dell'inizio della vita di un uomo si carica della pienezza e della definitività del mondo nuovo di Dio, che nasce nel mondo vecchio e miserevole degli uomini. La Madre del Signore comprese tutto questo: dopo averlo generato dolorosamente dalla profondità del suo cuore e della sua carne e dopo averlo deposto nella mangiatoia e avvolto in poveri panni si prostrò ad adorare quel Dio cui aveva dato carne mortale. «La mira Madre in poveri / panni il Figliol compose, / e nell'umil presepio / soavemente il pose; / e l'adorò: beata! / innanzi al Dio prostrata, / che il puro sen le aprì» (A. Manzoni, Il Natale). San Luca con grande attenzione e tenerezza ci ricorda l'infanzia del Signore, questo suo crescere e diventare uomo, in questa misteriosa comunione di una umanità che cresce nel tempo e nello spazio, unita ad una divinità che è da sempre e per sempre. Che cosa mi aspetto per il mio Natale e per il Natale di tutti i cristiani? Che possiamo recuperare la radicale semplicità e la totalità della fede nel Bambino Gesù, cioè della fede nell'inizio della pienezza del mistero cristiano. Solo così potremo cercare di opporci efficacemente alla terribile conseguenza dell'apostasia da Gesù Cristo, che è, ed è ancora Benedetto XVI ad insegnarcelo, l'APOSTASIA DELL'UOMO DA SE STESSO. Il mondo è malato, assistiamo ogni giorno alle spaventose degenerazioni di questa multiforme malattia, che si possono sintetizzare in un'unica espressione: la bruttezza della vita. Gli uomini sono costretti ad una vita brutta, senza dignità, senza responsabilità, senza creatività. Questa bruttezza non è vinta da qualche particolare "aggiustamento": qualche impegno buonistico che rompa per qualche istante la logica devastante dell'egoismo e dell'istintivismo; qualche momento di solidarietà che riduca la logica ferrea dell'egoismo e della violenza. Dio non è venuto per qualche aggiustamento, Dio in Cristo è venuto per costruire quella bellezza che "sola salverà il mondo" (Norwid). La fede, ci ricordava Giovanni Paolo II, non è una appendice preziosa ma inutile della vita, ma la verità definitiva dell'esistenza. Questo è tutto quello che la mia coscienza cristiana dice a me stesso e a tutti i cristiani e agli uomini di buona volontà per questo Natale 2008. Un'ultima preghiera vorrei fare al Signore che nasce bambino: che aiuti la cristianità, ma soprattutto l'ecclesiasticità, a non essere complice di quel terribile fenomeno di gnosticizzazione della fede che è purtroppo in atto. L'aveva già previsto, con tragica lucidità profetica, il grande Papa Paolo VI: «Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia». Ci siamo dentro in pieno, solo la misericordia di Dio può salvarci. Ma la misericordia di Dio è la nostra forza. E nessuno ci fermerà in questa quotidiana testimonianza. "Tu, fortitudo mea" Luigi Negri, Vescovo di San Marino - Montefeltro 3 novembre 2008 |
Postato da: giacabi a 08:42 |
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gesù, negri, paolovi
Innamoramento
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Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza.
Sai che la sopravvivenza significa vita senza senso e sensibilità, una
morte strisciante: mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi acqua e
non ti disseti, tocchi le cose e non le senti al tatto, annusi il fiore e
il suo profumo non arriva alla tua anima.
Se però l'amato è accanto a te, tutto, improvvisamente, risorge, e la
vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso d'argilla della tua
esistenza incapace a sostenerla. Tale piena della vita è l'eros. Non parlo di sentimentalismi e di slanci mistici, ma
della vita, che solo allora diventa reale e tangibile, come se fossero
cadute squame dai tuoi occhi e tutto, attorno a te, si manifestasse per
la prima volta, ogni suono venisse udito per la prima volta, e il tatto
fremesse di gioia alla prima percezione delle cose. Tale eros non è
privilegio né dei virtuosi né dei saggi, è offerto a tutti, con pari
possibilità. Ed
è la sola pregustazione del Regno, il solo reale superamento della
morte. Perché solo se esci dal tuo Io, sia pure per gli occhi belli di
una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro di Lui.
di Christos Yannaras
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Postato da: giacabi a 21:22 |
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gesù
IL DISCO SI POSÒ
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Era sera e la campagna già mezza addormentata, dalle vallette levandosi lanugini di nebbia e il richiamo della rana solitaria che però subito taceva (l’ora che sconfigge anche i cuori di ghiaccio, col cielo limpido, l’inspiegabile serenità del mondo, l’odor di fumo, i pipistrelli e nelle antiche case i passi felpati degli spiriti), quand’ecco il disco volante si posò sul tetto della chiesa parrocchiale, la quale sorge al sommo del paese. All’insaputa degli uomini che erano già rientrati nelle case, l’ordigno si calò verticalmente giù dagli spazi, esitò qualche istante, mandando una specie di ronzio, poi toccò il tetto senza strepito, come colomba. Era grande, lucido, compatto, simile a una lenticchia mastodontica; e da certi sfiatatoi continuò a uscire zufolando un soffio. Poi tacque e restò fermo, come morto. Lassù nella sua camera che dà sul tetto della chiesa, il parroco, don Pietro, stava leggendo, col suo toscano in bocca. All’udire l’insolito ronzio, si alzò dalla poltrona e andò ad affacciarsi al davanzale. Vide allora quel coso straordinario, colore azzurro chiaro, diametro circa dieci metri. Non gli venne paura, né gridò, neppure rimase sbalordito. Si è mai meravigliato di qualcosa il fragoroso e imperterrito don Pietro? Rimase là, col toscano, ad osservare. E quando vide aprirsi uno sportello, gli bastò allungare un braccio: là al muro c’era appesa la doppietta. Ora sui connotati dei due strani esseri che uscirono dal disco non si ha nessun affidamento. È un tale confusionario, don Pietro. Nei successivi suoi racconti ha continuato a contraddirsi. Di sicuro si sa solo questo: ch’erano smilzi e di statura piccola, un metro un metro e dieci. Però lui dice anche che si allungavano e si accorciavano come fossero di elastico. Circa la forma, non si è capito molto: «Sembravano due zampilli di fontana, più grossi in cima e stretti in basso» così don Pietro «sembravano due spiritelli, sembravano due insetti, sembravano scopette, sembravano due grandi fiammiferi.» «E avevano due occhi come noi?» «Certo, uno per parte, però piccoli.» E la bocca? e le braccia? e le gambe? Don Pietro non sapeva decidersi: «In certi momenti vedevo due gambette e un secondo dopo non le vedevo più... Insomma, che ne so io? Lasciatemi una buona volta in pace!». Zitto, il prete li lasciò armeggiare col disco. Parlottavano tra loro a bassa voce, un dialogo che assomigliava a un cigolio. Poi si arrampicarono sul tetto, che ha una moderatissima pendenza, e raggiunsero la croce, quella che è in cima alla facciata. Ci girarono intorno, la toccarono, sembrava prendessero misure. Per un pezzo don Pietro lasciò fare, sempre imbracciando la doppietta. Ma all’improvviso cambiò idea. «Ehi!» gridò con la sua voce rimbombante. «Giù di là, giovanotti. Chi siete?» I due si voltarono a guardarlo e sembravano poco emozionati. Però scesero subito, avvicinandosi alla finestra del prevosto. Poi il più alto cominciò a parlare. Don Pietro – ce lo ha lui stesso confessato – rimase male: il marziano (perché fin dal primo istante, chissà perché, il prete si era convinto che il disco venisse da Marte; né pensò di chiedere conferma), il marziano parlava una lingua sconosciuta. Ma era poi una vera lingua? Dei suoni, erano, per la verità non sgradevoli, tutti attaccati senza mai una pausa. Eppure il parroco capì subito tutto, come se fosse stato il suo dialetto. Trasmissione del pensiero? Oppure una specie di lingua universale automaticamente comprensibile? «Calmo, calmo» lo straniero disse «tra poco ce n’andiamo. Sai? Da molto tempo noi vi giriamo intorno, e vi osserviamo, ascoltiamo le vostre radio, abbiamo imparato quasi tutto. Tu parli, per esempio, e io capisco. Solo una cosa non abbiamo decifrato. E proprio per questo siamo scesi. Che cosa sono queste antenne? (e faceva segno alla croce). Ne avete dappertutto, in cima alle torri e ai campanili, in vetta alle montagne, e poi ne tenete degli eserciti qua e là, chiusi da muri, come se fossero vivai. Puoi dirmi, uomo, a cosa servono?» «Ma sono croci!» fece don Pietro. E allora si accorse che quei due portavano sulla testa un ciuffo, come una tenue spazzola, alta una ventina di centimetri. No, non erano capelli, piuttosto assomigliavano a sottili steli vegetali, tremuli, estremamente vivi, che continuavano a vibrare. O invece erano dei piccoli raggi, o una corona di emanazioni elettriche? «Croci» ripeté, compitando il forestiero. «E a che cosa servono?» Don Pietro posò il calcio della doppietta a terra, che gli restasse però sempre a portata di mano. Si drizzò quindi in tutta la statura, cercò di essere solenne: «Servono alle nostre anime» rispose. «Sono il simbolo di Nostro Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, che per noi è morto in croce.» Sul capo dei marziani all’improvviso gli evanescenti ciuffi vibrarono. Era un segno di interesse o di emozione? O era quello il loro modo di ridere? «E dove, dove questo sarebbe successo?» chiese sempre il più grandetto, con quel suo squittio che ricordava le trasmissioni Morse; e c’era dentro un vago accento di ironia. «Dio, vuoi dire, sarebbe venuto qui, tra voi?» «Qui, sulla Terra, in Palestina.» Il tono incredulo irritò don Pietro. «Sarebbe una storia lunga» disse «una storia forse troppo lunga per dei sapienti come voi.» In capo allo straniero la leggiadra indefinibile corona oscillò due tre volte. Pareva che la muovesse il vento. «Oh, dev’essere una storia magnifica» fece con condiscendenza. «Uomo, vorrei proprio sentirla.» Balenò nel cuore di don Pietro la speranza di convertire l’abitatore di un altro pianeta? Sarebbe stato un fatto storico, lui ne avrebbe avuto gloria eterna. «Se non vuoi altro» disse, rude. «Ma fatevi vicini, venite pure qui nella mia stanza.» Fu certo una scena straordinaria, nella camera del parroco, lui seduto allo scrittoio alla luce di una vecchia lampada, con la Bibbia tra le mani, e i due marziani in piedi sul letto perché don Pietro li aveva invitati ad accomodarsi, che si sedessero sul materasso, e insisteva, ma quelli a sedere non riuscivano, si vede che non ne erano capaci e tanto per non dir di no alla fine vi erano saliti, standovi ritti, il ciuffo più che mai irto e ondeggiante. «Ascoltate, spazzolini!» disse il prete, brusco, aprendo il libro, e lesse: “...l’Eterno Iddio prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino d’Eden... e diede questo comandamento: Mangia pure liberamente del frutto di ogni albero del giardino, ma del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare: perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo sarà la tua morte. Poi l’Eterno Iddio...” Levò gli sguardi dalla pagina e vide che i due ciuffi erano in estrema agitazione. «C’è qualcosa che non va?». Chiese il marziano: «E, dimmi, l’avete mangiato, invece? Non avete saputo resistere? È andata così, vero?». «Già. Ne mangiarono» ammise il prete, e la voce gli si riempì di collera. «Avrei voluto veder voi! È forse cresciuto in casa vostra l’albero del bene e del male?» «Certo. È cresciuto anche da noi. Milioni e milioni di anni fa. Adesso è ancora verde...» «E voi?... I frutti, dico, non li avete mai assaggiati?». «Mai» disse lo straniero. «La legge lo proibisce.» Don Pietro ansimò, umiliato. Allora quei due erano puri, simili agli angeli del cielo, non conoscevano peccato, non sapevano che cosa fosse cattiveria, odio, menzogna? Si guardò intorno come cercando aiuto, finché scorse nella penombra, sopra il letto, il crocefisso nero. Si rianimò: «Sì, per quel frutto ci siamo rovinati... Ma il figlio di Dio» tuonò, e sentiva un groppo in gola «il figlio di Dio si è fatto uomo. Ed è sceso qui tra noi!» L’altro stava impassibile. Solo il suo ciuffo dondolava da una parte e dall’altra, simile a una beffarda fiamma. « È venuto qui in Terra, dici? E voi, che ne avete fatto? Lo avete proclamato vostro re?... Se non sbaglio, tu dicevi ch’era morto in croce... Lo avete ucciso, dunque?» Don Pietro lottava fieramente: «Da allora sono passati quasi duemila anni! Purtroppo per noi è morto, per la nostra vita eterna!». Tacque, non sapeva più che dire. E nell’angolo scuro le misteriose capigliature dei due ardevano, veramente ardevano di una straordinaria luce. Ci fu silenzio e allora di fuori si udì il canto dei grilli. «E tutto questo» domandò allora il marziano con la pazienza di un maestro «tutto questo è poi servito?» Don Pietro non parlò. Si limitò a fare un gesto con la destra, sconsolato, come per dire: che vuoi? siamo fatti così, peccatori siamo, poveri vermi peccatori che hanno bisogno della pietà di Dio. E qui cadde in ginocchio, coprendosi la faccia con le mani. Quanto tempo passò? Ore, minuti? Don Pietro fu riscosso dalla voce degli ospiti. Alzò gli occhi e li scorse già sul davanzale, in procinto, si sarebbe detto, di partire. Contro il cielo della notte i due ciuffi tremolavano con affascinante grazia. «Uomo» domandò il solito dei due. «Che stai facendo?» «Che sto facendo? Prego!... Voi no? Voi non pregate?» «Pregare, noi? E perché pregare?» «Neanche Dio non lo pregate mai?» «Ma no!» disse la strana creatura e, chissà come, la sua corona vivida cessò all’improvviso di tremare, facendosi floscia e scolorita. «Oh, poveretti» mormorò don Pietro, ma in maniera che i due non lo udissero come si fa con i malati gravi. Si levò in piedi, il sangue riprese a correre con forza su e giù per le sue vene. Si era sentito un bruco, poco fa. E adesso era felice. “Eh, eh” ridacchiava dentro di sé “voi non avete il peccato originale con tutte le sue complicazioni. Galantuomini, sapienti, incensurati. Il demonio non lo avete mai incontrato. Quando però scende la sera, vorrei sapere come vi sentite! Maledettamente soli, presumo, morti di inutilità e di tedio.” (I due intanto si erano già infilati dentro allo sportello, lo avevano chiuso, e il motore già girava con un sordo e armoniosissimo ronzio. Piano piano, quasi per miracolo, il disco si staccò dal tetto, alzandosi come fosse un palloncino: poi prese a girare su se stesso, partì a velocità incredibile, su, su in direzione dei Gemelli.) «Oh» continuava a brontolare il prete «Dio preferisce noi di certo! Meglio dei porci come noi, dopo tutto, avidi, turpi, mentitori, piuttosto che quei primi della classe che mai gli rivolgon la parola. Che soddisfazione può avere Dio da gente simile? E che significa la vita se non c’è il male, e il rimorso, e il pianto?» Per la gioia, imbracciò lo schioppo, mirò al disco volante che era ormai un puntolino pallido in mezzo al firmamento, lasciò partire un colpo. E dai remoti colli rispose l’ululio dei cani. Dino Buzzati da: “La boutique del mistero” Ediz. Mondadori, 1968. |
Postato da: giacabi a 19:58 |
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gesù, buzzati
Gesù Cristo
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« Come mai, quindi, un ebreo, la cui esistenza storica è testimoniata con piu sicurezza di tutte quelle del tempo in cui visse, lui
solo, figlio di un falegname, si presenti subito come Dio stesso, come
l'essere per eccellenza, come il creatore degli esseri. Egli si arroga ogni forma di adorazione.
Costruisce il suo culto con le sue mani, non con le pietre ma con gli
uomini. Ci si esalta davanti alle conquiste di Alessandro! Ebbene, ecco
un conquistatore che confisca a proprio vantaggio, che unisce, che
aggrega a sé non una nazione ma la specie umana. Che miracolo! L'anima
umana con tutte le sue facoltà diventa un'appendice dell'esistenza di
Cristo.
E
in che modo accade questo? Con un prodigio che supera ogni prodigio.
Egli vuole l'amore degli uomini, vuole, cioè, la cosa al mondo piu
difficile da ottenere. Ciò che un saggio domanda inutilmente a qualche
amico, ciò che un padre chiede ai suoi figli, la sposa al suo sposo, un
fratello al fratello, in una parola il cuore, questo e ciò che egli
vuole per sè. Lo esige m forma assoluta e immediatamente lo ottiene. Così egli conferma ai miei occhi la sua natura divina. Alessandro, Cesare, Annibale, Luigi XIV, con tutto il loro genio hanno fallito su questo punto. Hanno conquistato il mondo e non sono riusciti ad avere un amico»
Napoleone,Conversazioni religiose Editori Riuniti
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Postato da: giacabi a 21:00 |
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gesù, napoleone
La Speranza di Cristo
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Eppure da qualche parte ormai deve far caldo, deve essere primavera.
Da qualche parte le betulle mettono le gemme, sbocciano i narcisi e i lillà ...
A dire il vero, anche qui ormai si sente nell'aria
un
non so che di primavera ... Se sopra la giacca imbottita, il maglione,
la camicia pesante indosso il giubbone non fa poi così freddo ...
Assomiglia così poco a una vera primavera,
come la pena tormentosa della solitudine non somiglia
alla vita vera, piena, intrisa di luce e di un sorriso carezzevole.
Ma bisogna sopportare. Basta che l'anima non si indurisca, non si assideri e non avvizzisca del tutto,
che non si immiserisca fino in fondo in questo vano, penoso agitarsi.
E in tutto questo io so che il Signore è vicino ..
10 maggio 1935
Dal diario di padre Anatolij
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Postato da: giacabi a 14:46 |
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gesù
Gesù Cristo
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«Solo quando io sono storicamente convinto
che vi fu un uomo che ebbe la coscienza di essere Figlio di Dio e
Salvatore dell’umanità, solo quando sono storicamente persuaso che tale
uomo è assolutamente degno di fede, allora solamente io sono
autorizzato, anzi obbligato dalla mia scienza e dalla mia conoscenza, a
prestar fede a tale uomo, anche quando pronuncia delle misteriose
attestazioni riguardanti la sua persona, che toccano la profondità di
Dio trino, anche se di queste mi sfugge l’intrinseca evidenza.
• La via che conduce al mistero di Cristo non passa quindi attraverso oscuri meandri che sfuggono alla storia, non costeggia gli abissi del paradosso e dell’incredibile, ma si snoda sulla luminosa e chiara pianura della vita storica di Gesù.
Tale è il cammino della fede “per Gesù al Cristo”, o per dirla ancor
più chiaramente con le parole di sant’Agostino: “per l’Umanità di Cristo
alla sua Divinità»
Karl Adam (Gesù il Cristo, Morcelliana 1973, pp.47-48).
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Postato da: giacabi a 20:20 |
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gesù, adam
Gesù
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«Quando mia moglie era ancora a casa e, almeno a tratti, in sé, le ho parlato un giorno a lungo di Gesù (non, badi, di Gesù Cristo, ma di Gesù semplicemente).
Si era
a tavola, pareva molto commossa, tanto che, appena l’aiutai a mettersi a
letto, le dissi: “Lina mia, vuoi che ci baciamo in Gesù?”. La
povera vecchia mi rispose: “Magari”. Abbiamo provato entrambi un
momento di grande dolcezza: ci siamo baciati e abbiamo pianto.
Perché, da quando sono vecchio e malato, due soli personaggi della storia universale resistono in me: Gesù (quel tanto che di Lui posso sapere) e - non la prenda come una bestemmia - Napoleone. Sono due diverse grandezze: il tratto che hanno in comune è di avere salita la montagna da parti opposte e di avere trovato entrambi, alla sommità, la Croce... Se insomma io mi rappresento il mondo come una montagna, sempre in cima ci vedo la Croce»
Umberto Saba (Euro, maggio 1979).
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Postato da: giacabi a 09:13 |
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saba, gesù
Gesù Cristo
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«Come cultura, Cristo è non meno importante di ciò che è come fede e vita dei fedeli. Nulla di quanto gli uomini hanno detto di nuovo o concreto o anche solo utile, dopo di Lui, è stato detto in contrasto con Lui»
Elio Vittorini (1908-1966), (cit. in Ipotesi su Gesù di V. Messori, Torino 1977, p. 92)
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Postato da: giacabi a 21:25 |
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gesù
Gesù Cristo
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Poiché Gesù Cristo è l'amore di Dio fatto uomo per gli uomini, proprio per questo non è annunciatore di astratte ideologie etiche, bensì esecutore dell'amore di Dio.
Dietrich Bonhoeffer
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Postato da: giacabi a 14:33 |
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gesù, bonhoeffer
Gesù Cristo
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«Conosco gli uomini e vi dico
che Gesù non è un uomo.
Gli spiriti superficiali scorgono una somiglianza tra il Cristo e i
fondatori di Imperi, i conquistatori e le divinità di altre religioni.
Questa somiglianza non esiste. Tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione c'è la distanza dell'infinito.»
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