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domenica 12 febbraio 2012

Gesù, 5


CRISTO NELLA CHIESA
***
Perché, mentre i Protestanti trovano nella vita di Gesù Cristo esposta nei Vangeli la testimonianza di tutti i suoi atti, e nelle sue parole «È consumato» una prova che la rivelazione è conclusa e la redenzione si è compiuta, i Cattolici credono che in un certo senso quella conclusione non sia che un principio, l'inizio dunque più che la fine. Perciò, mentre i Protestanti ritengono che non vi è necessità vitale di una Chiesa, a meno che una società umana sia conveniente e anche necessaria per l'indirizzo e l'organizzazione delle energie individuali, i Cattolici credono che la Chiesa è veramente il Corpo di Cristo, e che nella Chiesa Egli vive, parla, agisce realmente (benché in altro senso e in altre condizioni) come visse, parlò, agì in Galilea e a Gerusalemme. In altre parole: abbiamo ora visto che tutti i Cristiani si accordano nel ritenere che Dio assunse in unione con Se, nell'incarnazione, umana natura creata, per compiere l'opera sua e che Egli prese da Maria la sostanza creata nella quale Egli visse e per la quale agì. Benissimo. I Cattolici poi,  un passo in certo modo parallelo, benché non identico-fanno un passo avanti  all'atto della incarnazione – e credono inoltre che Egli si unisce alla umana natura dei suoi discepoli, e, in questo Corpo così formato, agisce, vive, parla. Riassumendo: i Cattolici credono che come Gesù Cristo visse la sua vita naturale sulla terra duemila anni fa in un corpo ricevuto da Maria, così Egli vive la sua vita mistica oggi in un corpo uscito dalla stirpe umana in generale  chiamato la Chiesa Cattolica  credono che le parole, le azioni della Chiesa sono le sue, la vita della Chiesa è la sua vita (con certe restrizioni ed eccezioni) come sue furono parole, azioni, vita a Lui attribuite dai Vangeli: per questa ragione essi danno alla Chiesa l'assenso della loro fede, persuasi in tal modo di darlo a Dio stesso. Essa non è soltanto luogotenente, rappresentante di Dio sulla terra, non soltanto sua Sposa; in certo senso essa è Gesù Cristo stesso. In tal modo, come in altro del quale ora non trattiamo, Egli adempie la sua promessa di rimanere con i suoi discepoli fino alla fine del mondo. Per illuminare ancora una volta sotto un altro aspetto questa posizione, che mi propongo di illustrare poi con maggiore ampiezza, si può dire che Dio si manifesta in una vita singola nei Vangeli, in una vita collettiva nella Chiesa.                                                                                     ROBERT HUGH BENSON  da: CRISTO NELLA CHIESA






Postato da: giacabi a 13:37 | link | commenti
chiesa, benson, gesù


CRISTO NELLA CHIESA
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«Iniziai a capire cheil Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”; che se ha scelto la sostanza creata di una Vergine per costituirsi come corpo naturale, allora può anche utilizzare la sostanza creata degli uomini per formare per sé quel corpo mistico attraverso cui Egli si rende presente a noi sempre.       Ma allora il cattolicesimo è materialistico? Certo, e lo è come la Creazione e l’Incarnazione, né più né meno».

ROBERT HUGH BENSON 

 figlio dell’arcivescovo anglicano di Canterbury 1871-1914



Postato da: giacabi a 08:18 | link | commenti
chiesa, benson, gesù

venerdì, 01 febbraio 2008

Cristo non toglie nulla
 e dona tutto
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Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita. Amen.
BENEDETTO XVI  Piazza San Pietro 24 aprile 2005


Postato da: giacabi a 15:32 | link | commenti
gesù, benedettoxvi

sabato, 26 gennaio 2008

canzoni

Si faceva chiamare Gesù
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   « Mi hanno detto che, (don Giussani) dopo aver domandato di ricevere l’ultima assoluzione, guardando chi era attorno al suo letto, ha chiesto che gli cantassero Noi non sappiamo chi era. Mi hanno detto che ha chiesto più volte di cantargli quel canto anche all’infermiere che lo ha assistito negli ultimi giorni di vita. Come mi ha commosso riconoscere quella gratuita prossimità, quella gratuita predilezione, anche in quest’ultima sua domanda! Non era certamente il canto metafisicamente, culturalmente più profondo. Era semplicemente il canto in cui il nome più caro (la cosa più cara, per riprendere le parole dello starets russo Giovanni) veniva più volte ripetuto: Gesù. «Si faceva chiamare Gesù».
don Tantardini da: www.30giorni.it
.....................................................................................
 NOI NON SAPPIAMO CHI ERA
  ***
Noi non sappiamo chi era,
noi non sappiamo chi fu,
ma si faceva chiamare Gesù.

Pietro lo incontrò sulla riva del mare,
Paolo lo incontrò sulla via di Damasco.
Vieni, fratello: ci sarà un posto,
posto anche per te.

Maria lo incontrò sulla pubblica strada,
Disma lo incontrò in cima alla croce.
Vieni, fratello: ci sarà un posto,
posto anche per te.

Noi lo incontrammo all’ultima ora,
io l’ho incontrato all’ultima ora.
Vieni, fratello: ci sarà un posto,
posto anche per te.

Ora sappiamo chi era,
ora sappiamo chi fu:
era colui che cercavi,
si faceva chiamare  Gesù.



Postato da: giacabi a 08:00 | link | commenti
canti, gesù, giussani

lunedì, 21 gennaio 2008


Grazie a Benedetto XVI per la sua testimonianza di fede e di vita
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di: Magdi Allam
Cari amici,
quando questa mattina verso la fine del suo discorso all’Angelus domenicale il Papa si è rivolto ai 200 mila fedeli che gremivano Piazza San Pietro e via della Conciliazione a Roma con la medesima espressione che mi è abituale da lunghi anni, “cari amici”,
mi si è aperto il cuore e si è consolidato in me il convincimento della profonda sintonia spirituale con l’uomo che io oggi considero l’unico vero faro e l’autentico paladino dei valori assoluti, universali e trascendenti che sostanziano l’essenza della nostra umanità, così come sono convinto che rappresenti l’estremo baluardo di difesa della civiltà occidentale dal cancro del relativismo cognitivo, etico, culturale e religioso, nonché di resistenza dall’aggressione del nichilismo dell’estremismo islamico globalizzato che ha messo solide radici all’interno stesso dell’Occidente.
Ugualmente ho sentito che Benedetto XVI mi era sempre più vicino quando ha usato, sempre nel finale dell’Angelus, un’altra espressione che mi è abituale, “andiamo avanti”, e quando ha indicato nella “verità e libertà” il percorso da intraprendere.
Ebbene il quel “cari amici”, “andiamo avanti” e “verità e libertà”, c’è la sintesi di un uomo che a fronte dell’acutezza intellettuale e profondità scientifica che contraddistinguono il suo eccezionale profilo teologico e accademico, è capace di una rara semplicità e disponibilità nel rapporto con l’altro, è animato da una solida volontà di affrontare con fermezza e vincere con determinazione le sfide imposte da un’umanità lacerata al suo interno e in conflitto con se stessa, è sorretto da una incrollabile fede nella verità che è tale sul piano terreno e trascendentale, nella sacralità della vita e nella libertà che s’identifica con la piena dignità della persona.
Che lezione di vita e di fede ci ha dato quando, sfiorando appena nella seconda metà dell’Angelus l’incresciosa vicenda che l’ha indotto, con una decisione fondata e saggia, a rinunciare “mio malgrado” alla visita all’Università La Sapienza, l’accademico di lunga data Joseph Ratzinger si è limitato ad esortare gli studenti: “Da professore vi dico, rispettate le opinioni altrui”. Che un Papa invochi il rispetto, con il sottinteso è che è venuto meno il rispetto nei suoi confronti, significa che in Italia è in crisi il fondamento della civiltà occidentale e il pilastro dei diritti dell’uomo: la libertà d’espressione. E giustamente il Santo Padre ci sollecita a focalizzare l’attenzione proprio sulla violazione del pilastro della civile convivenza, senza cui si precipita inevitabilmente nelle barbarie.
Il discorso del Papa ci chiarisce che chi lo teme, chi vorrebbe tacitarlo e chi gli ha impedito di parlare alla Sapienza, ha in realtà paura non delle supposte posizioni dogmatiche o peggio ancora oscurantiste di Benedetto XVI, bensì del confronto razionale.
Questo Papa è immensamente grande perché è in grado di sfidare e di vincere il confronto con i laicisti e i relativisti sul piano prettamente razionale. Ciò che i suoi nemici temono non è la sua solida fede che loro rigettano aprioristicamente, ma la forza della sua argomentazione razionale a cui non dovrebbero sottrarsi. Se lo fanno, e lo fanno, vuol dire che non sono solo poveri di spirito ma sono innanzitutto degli impostori che hanno sostituito l’ideologia al posto della scienza e della ragione.
Il Santo Padre ha vinto alla grande la battaglia impostagli dalla minoranza di docenti accecati dal fanatismo relativista e positivista e di un pugno di studenti inebriati dalla violenza ideologica vetero-comunista, ma la guerra è ancora lunga. La sfida che abbiamo di fronte sarà definitivamente vinta solo quando riusciremo a riscattare la certezza della verità dalla piaga del relativismo; a radicare in noi il sistema dei valori che corrisponde al bene comune affrancandoci dalla deriva etica; a compiere la buona azione che realizza il legittimo interesse della collettività bonificando il Tempio della politica dagli spregiudicati mercanti che l’hanno profanato per perseguire i propri egoistici interessi danneggiando l’insieme della collettività.
Ecco perché ho deciso di mantenere vivo e aperto a nuove adesioni l’Appello “Io sto con il Papa”. Nella consapevolezza che non è una vicenda che si conclude con il rammarico tardivo e ipocrita dei politici e dei docenti che non solo non hanno fatto nulla e non faranno nulla per sanzionare l’atteggiamento intollerante dei docenti e violento degli studenti della Sapienza, ma sono direttamente responsabili del marciume ideologico e del degrado scientifico in cui sono sprofondati le università e tutto il sistema dell’istruzione in Italia. Insieme al Papa diciamo “andiamo avanti” sulla via della verità, della sacralità della vita e della libertà.
Vi invito pertanto a continuare ad aderire e a far aderire all’Appello “Io sto con il Papa” tutti coloro che condividono i nostri valori e sentono la necessità di impegnarsi eticamente per risollevare le sorti del nostro Paese, al fine di testimoniare il vostro impegno etico per la verità contro la menzogna, per il bene contro il male, per la buona azione contro la cattiva azione. Lo potrete fare collegandovi al mio sito www.magdiallam.it e cliccando alla voce “Aderisci all’Appello”. Finora l’hanno già fatto oltre 850 persone con motivazioni articolate e approfondite che danno uno spaccato significativo di ciò che è nei cuori e nelle menti degli italiani. Vi invito a leggere queste adesioni e mi auguro che il loro numero cresca sempre di più.
Colgo infine l’occasione per chiedervi di proseguire questo nostro dialogo civile, responsabile e libero volto a costruire una comune civiltà dell’uomo, apportando il vostro contributo di riflessione e di proposta all’interno del mio sito.
Per farlo è necessario che vi registriate cliccando alla voce “Registrati”.
Non posso, prima di congedarmi, non ringraziare il Papa per la sua testimonianza di fede e di vita che ci illumina, ci conforta e ci da speranza. E grazie a voi tutti per il vostro impegno consapevole e risoluto per ergervi a protagonisti di un’Italia e di un mondo migliori. Vi saluto con i miei migliori auguri di successo e di ogni bene.
Magdi Allam



Postato da: giacabi a 18:36 | link | commenti
gesù, giussani

giovedì, 17 gennaio 2008

Cristo rimane nella storia, nella vita
dell'uomo personalmente, realmente, con il
volto storico, vivo, della comunità
cristiana, della Chiesa
***
  La Chiesa si pone nella storia anzitutto come rapporto con il Cristo vivo. Ogni altra riflessione, ogni altra considerazione consegue a questo originario atteggiamento. Luca, negli Atti degli Apostoli traccia il quadro di un gruppo di persone che ha continuato a sussistere come comunità dai giorni della vita terrena di Gesù nel periodo post-pasquale. Ci sarebbero state invece tutte le ragioni per un dissolvimento di quella aggregazione, nata al seguito di un uomo eccezionale. Morto Lui, se fosse stata distrutta quella presenza attorno alla quale ruotava il loro stare insieme, sarebbe stata anche comprensibile una definitiva dispersione del gruppo dei discepoli.
«Nell'anno 29 o 30 della nostra era, in coincidenza con la pasqua dei giudei tre croci furono innalzate alle porte di Gerusalemme. Su due di esse morirono dei criminali per diritto comune. La terza era invece stata riservata ad un agitatore politico, stando almeno alla scritta che portava il nome del condannato e la motivazione del suo supplizio: "Gesù di Nazareth, re dei Giudei". Esecuzioni del genere erano allora frequenti e non vi si prestava attenzione. Storici e cronografi avevano ben altro da fare perché sentissero il dovere di registrare fatti e gesta di poveracci i quali, spesso per motivi futili, venivano condannati alla morte di croce. L'esecuzione di Gesù sarebbe quindi passata inosservata se, due giorni dopo, alcuni amici e discepoli, non avessero visto apparire, pieno di vita, colui del quale avevano rispettosamente deposto il corpo in un sepolcro nuovo» (Gustave Bardy, La conversione al cristianesimo nei primi secoli, Jaca Book, Milano 1975, p. 184).

È questa pienezza di vita, cui accenna la efficace descrizione del Bardy, la chiave di quell'enigmatico periodo che seguì la scomparsa di Cristo. È il motivo per cui la morte di quell'uomo, che era stato per tre anni la loro ragione di vita, ha scosso i discepoli, li ha disorientati e confusi — così come Gesù stesso aveva predetto poco prima di morire: «Tutti rimarrete scandalizzati poiché sta scritto: percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse» (Mc 14,27) —, ma non li ha distrutti, non li ha dispersi senza possibilità di ritrovarsi. Anzi dopo il primo attimo di smarrimento, cominciarono a riunirsi forse più di prima, incominciarono poi addirittura ad aggregare qualcun altro. Pur nel dolore, nella paura per le conseguenze di quella esecuzione, il quadro che si può ricavare dai documenti è di un gruppo che si rafforza, si stabilisce. La percezione confusa di quella vita, cui poi si sono trovati di fronte quando Gesù è apparso loro risorto, sotterraneamente era nell'orizzonte delle loro convinzioni. Qualcosa che avrà fatto pensare qualcuno di loro: «Ma, è davvero tutto finito con la sua morte»? Un devoto ricordo, però, non avrebbe potuto tenere insieme quel gruppo in condizioni così difficili, ostili, neppure se fosse stato sorretto dal desiderio di diffondere l'insegnamento del Maestro. Per quegli uomini l'unico insegnamento che non poteva essere messo in discussione era il Maestro presente, Gesù vivo. Ed è esattamente questo che hanno trasmesso: la testimonianza di un Uomo presente, vivo.
L'inizio della Chiesa è proprio questo insieme di discepoli questo gruppetto di amici che dopo la morte di Cristo sta insieme ugualmente. Perché? Perché il Cristo risorto si rende presente in mezzo a loro.


Quell'uomo di cui gradualmente, lentamente, i discepoli avevano imparato a riconoscere il mistero divino, in un cammino di progressiva certezza cui Egli stesso, come abbiamo visto, li aveva condotti
, essi insieme, ce lo testimoniano vivo e presente. Ci avvertono che Dio non è venuto nel mondo, non si è stabilito come uomo nella storia in un momento senza nessi, per essere ricordato vanamente in una memoria astratta del tempo: Cristo rimane nella storia, nella vita dell'uomo personalmente, realmente, con il volto storico, vivo, della comunità cristiana, della Chiesa. Con la loro esistenza e con la loro testimonianza quei primi discepoli, quel gruppetto di amici, ci trasmettono che Dio non è sceso sulla terra un istante come punto nella storia inafferrabile per coloro che sarebbero venuti dopo l'epoca in cui Egli fu in Galilea e in Giudea. Dio è venuto nel mondo per rimanere nel mondo: Cristo è l'Emmanuel, il Dio con noi.

È certamente la convinzione di questa presenza con cui si viene a contatto leggendo gli inizi degli Atti degli Apostoli. Subito ci viene detto che «Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio» (At 1,3). E si specifica che queste apparizioni non erano immaginazioni ma quei colloqui avvenivano, per esempio, «mentre era a tavola con loro...». Ed è lo stesso tenore di osservazioni che accompagna particolari racconti di tali apparizioni, come il racconto di Matteo che riferisce il terrore comprensibile di due donne che avevano seguito Gesù di fronte al sepolcro vuoto e all'apparizione di un angelo, e nota che Gesù familiarmente va loro incontro e le interpella «Salute a voi» (Mt 28,1-10); o come alla fine del vangelo di Marco si osserva che Gesù dopo essere apparso a varie persone si fa vedere da tutti gli undici discepoli mentre sono insieme a mangiare, e li rimprovera per non aver creduto al racconto di quelli che lo avevano visto risuscitato (Mc 16, 14); o come l'apparizione narrata da Giovanni (Gv 21), quando Gesù sulla riva del lago di Tiberiade prepara la brace per cuocere il pesce appena miracolosamente pescato; o quella riportata da Luca della riunione di discepoli in cui Gesù compare (Lc 24,36-43), e di fronte al loro spavento non fa che rassicurarli invitandoli a toccarlo, a rendersi conto che è proprio lui finché per convincerli chiede qualcosa da mangiare.
Sono annotazioni che non hanno niente di solenne, di teatrale: testimoniano semplicemente una presenza familiare che continua, sono la traduzione in fatti dell'espressione «Dio con noi».

C'è perciò una continuità proprio fisiologica tra il Cristo e questo primo nucleo di Chiesa, ed è così che questo gruppetto di persone inizia il suo cammino nel mondo: come continuità della vita dell'uomo Cristo presente e attivo tra loro.
La realtà di questa presenza nella convinzione che quei primi hanno voluto trasmetterci è del resto ancora più evidente, se si continua a leggere gli Atti degli Apostoli, nell'episodio che viene subito narrato, sempre nel primo capitolo: «Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui» (At 1,14). [...]

È visibile in questo racconto la coscienza che quella prima comunità ci ha voluto comunicare di essere la continuità di Cristo: la loro assiduità e concordia nella preghiera poteva fondarsi sulla drammaticità sconvolgente dei fatti appena accaduti? La passione del Signore più logicamente avrebbe potuto portare scetticismo e divisione, come nella storia accade ogni volta che scompare il capo di un gruppo, il fondatore di una realtà! La assiduità e la concordia nella preghiera si radicavano nella fiducia e nella esperienza del Maestro presente. E la premura di ripristinare il gruppetto dei dodici che Gesù aveva scelto, sostituendo Giuda, rivela la convinzione di essere portatori di un mandato, testimoni di un evento senza pari custodi dell'attesa di un fatto, secondo la promessa di Gesù, che avrebbe dato loro forza, «tra non molti giorni» (At 1,1-8).

Non è questo il ritratto di un gruppo che ha saputo abilmente riorganizzarsi dopo i colpi di un'avversa fortuna, ma che non si è mai sciolto, perché il motivo della loro unione non li ha mai abbandonati.

Per loro Gesù non è qualcuno da ricordare, magari in un tentativo di fedeltà alle sue parole, è qualcuno da testimoniare ancora presente ed operante; secondo le parole di Pietro, sempre riportate dagli Atti degli Apostoli: «Dio lo ha risuscitato il terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua resurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunziare al popolo e di attestare che egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio. Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza: chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10, 40-43).
Nulla è cambiato, per un verso, da quando camminava per le strade di Galilea operando miracoli e rimettendo i peccati, scandalizzando i dottori della legge, Egli è operante come prima. Sorge, però, il problema: il problema della natura della sua continuità nella storia. Sorge in tal senso il problema della Chiesa che si lega al problema stesso di Cristo.
Il problema della Chiesa, prima di essere affrontato criticamente per valutarne la proposta, va visto nella sua radice di continuità di Cristo, così come si è posto ai primi che lo hanno vissuto, così come Gesù stesso lo ha posto dopo che tutta la sua missione in questo mondo era di rendere presente il Padre attraverso di sé. [...]

Ed è il Signore presente che ancor oggi definisce il problema della Chiesa. Perciò, prima di affrontarlo più dettagliatamente nei suoi fattori costitutivi è opportuno ribadire la coscienza del fatto che ci si propone attraverso il suo primo sorgere nella storia: la Chiesa sente se stessa come la comunità di Gesù, il Messia, ma non solo per una adesione dei discepoli agli ideali da lui predicati, che ancora certo non afferravano del tutto, bensì per un abbandono a Lui vivo e presente tra loro, come aveva promesso: «Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). E in ciò erano veramente aderenti a quanto da Lui insegnato, e cioè che la sua opera non era una dottrina, non un'ispirazione per una vita più giusta, ma Egli stesso mandato dal Padre come compagnia al cammino dell'uomo.
Concludendo, potremmo dire che il
contenuto della autocoscienza della Chiesa delle origini sta nel fatto che essa è la continuità di Cristo nella storia. Perciò ogni dettaglio analitico, ogni passo per addentrarci in questo problema dovrà portarci alla verifica di questa radice.
«
Il cristiano è prima di tutto colui che crede alla risurrezione di Cristo, la qual cosa significa che Cristo è vincitore vivente, che noi possiamo unirci a lui attualmente vivente, e che questa unione è lo scopo della nostra vita. La risurrezione di Cristo significa ancora che Gesù Cristo non è solamente il fondatore della Chiesa, ma che ne rimane il capo invisibile, ma attivo»
(Jacques Leclercq, La vita di Cristo nella sua Chiesa, Edizioni Paoline, Alba 1953, p. 238).
Le prime comunità esprimevano ciò che dava loro consistenza e le teneva unite in formule che gli studiosi chiamano confessioni di fede.
                                                                                                        Luigi GIUSSANI, Perché la Chiesa. Tomo 1: La pretesa permane, Jaca Book,


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chiesa, gesù

mercoledì, 16 gennaio 2008

Come il “divino” si fa presente
 ***
“Benedetta lo dice in altri termini, parlando della situazione di confusione che tante volte vive: «In quei momenti in cui le cose non vanno come vorrei, nei momenti in cui nego tutto quello che è entrato nella mia vita [perché possiamo arrivare fino a questa irrazionalità], proprio lì il mio cuore mi costringe a cercare quei volti, quelle persone, quella realtà, e mi rendo conto che li cerco perché cedo al Suo riconoscimento».
Che «fatto» è accaduto? Lo stesso che è accaduto a Giovanni e Andrea e che ha coinvolto tanti altri dopo. Come a loro, è capitato anche a noi. Dice don Giussani, descrivendo l'incontro di Giovanni e Andrea con Gesù: «Il loro cuore, quel giorno, si era imbattuto in una presenza che corrispondeva inaspettatamente ed evidentemente al desiderio di verità, di bellezza, di giustizia che costituiva la loro umanità semplice e non presuntuosa. Da allora, seppur tradendolo e fraintendendo mille volte [come noi], non l'avrebbero più abbandonato, diventando "suoi'». L'hanno tradito e frainteso mille volte, ma non l'hanno mai abbandonato, perché erano «suoi», come noi. Perché «suoi»? Perché hanno avuto l'esperienza di quella corrispondenza unica che è un punto di non ritorno. È questa Presenza all'opera che loro hanno visto quando si sono coinvolti nella compagnia con Lui, quando sono diventati amici: l'hanno visto esplodere davanti ai loro occhi. Immaginiamoci come sono stati colpiti coloro che hanno accompagnato Gesù, vedendo continuamente quello che faceva. Basterebbe leggere il Vangelo con questi occhi.”

“«Tu lo sai bene -ha scritto Tarkovskij -, non ti riesce qualcosa, sei stanco, non ce la fai più, e ad un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno, uno sguardo umano, ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto e tutto diventa improvvisamente più semplice». Questa è la differenza che, senza sapere con chiarezza di che cosa si tratta, si indovina. Un genio come Tarkovskij la indovina: è il divino nascosto. La folla di cui parla il Vangelo la indovina: la gente semplice, vedendo all'opera quell'Uomo, pensava a Dio. «Solo il divino può "salvare" l'uomo, cioè le dimensioni vere ed essenziali dell'umana figura e del suo destino [sono salvate] solo da Colui che ne è il senso ultimo», Gesù.
Questa è l'origine della differenza che noi percepiamo: il divino nascosto, e per questo sperimentiamo quella corrispondenza che abbiamo chiamato altre volte «impossibile», tanto è rara.
 Sembrerebbe impossibile trovare qualcosa di veramente corrispondente, ma succede all'improwiso una cosa unica: è l'incontro con qualcosa di oggettivo -altro che pensieri o sentimenti -, «l'incontro con un fatto obiettivo, originalmente indipendente dalla persona che compie l'esperienza»
don Carron Che cosa cercate Quaderni Tracce Gennaio 2008

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chiesa, gesù

lunedì, 14 gennaio 2008


Non aperturismo bigotto ma capacità di riconoscere il genio degli altri. Gli antichi latini hanno un'altra lezione da impartire a noi ciechi multiculturalisti moderni
Tempi num.48 del 29/11/2007 0.00.00
Cultura

Marta Sordi

di Persico Roberto

Marta Sordi è professore emerito di Storia antica dell'Università Cattolica di Milano. Le sue pubblicazioni sul mondo greco e su quello romano, sugli etruschi e sul cristianesimo dei primi secoli riempiono gli scaffali di una libreria. Oggi una grave malattia alle ossa limita un po' la sua mobilità. Talvolta, quando la invitano a un convegno, si limita a mandare un intervento. Lei, però, sopporta la sua sofferenza non solo con cristiana rassegnazione, ma con una letizia che è il segno di una fede profonda. E se la carne è debole, lo spirito è sempre quello, lucido e battagliero, pronto ad appassionarsi per la storia a cui ha dedicato una vita, con lo stesso entusiasmo con cui, tantissimi anni fa, ha cominciato. Così quando Tempi le ha chiesto un'intervista ha acconsentito prontamente.
Professoressa Sordi, lei ha speso tutta la vita a studiare le vicende dei greci e dei romani. Che cosa può dire di averne ricavato?
Moltissimo. La scoperta del metodo storico, all'università, col professor Alfredo Passerini, è stata una svolta per la mia vita, non solo sul piano culturale, ma anche per la mia fede. Sul piano culturale, perché arrivai all'università spinta da un'antica passione per gli etruschi, ma allora a Milano non c'erano cattedre di etruscologia, così finii per specializzarmi in storia greca, e mi incantò il metodo: la possibilità di leggere le fonti antiche, scoprendo attraverso un'attenta valutazione di ogni sfumatura la realtà che ci sta dietro. Per esempio, Passerini ci insegnò a riscoprire l'autentica figura di Tiberio negli scritti di Tacito. Tacito è fieramente avverso a Tiberio, e ne presenta un ritratto fortemente negativo. Ma una lettura attenta permette di distinguere i fatti da quelle che sono interpretazioni dello storico, e di scoprire così, al di là del filtro di chi riferisce, la figura di un grande imperatore. Tutto il mio lavoro di studiosa della storia antica è stato fedele a questa lezione: la possibilità di risalire, grazie a una lettura attenta, e tutte le volte che è possibile comparata, delle fonti, al dato contemporaneo che ne è all'origine. Certo, il metodo storico non attinge a una certezza assoluta, però può raggiungere una certezza "probabile", cioè che può essere provata.
Prima accennava al fatto che questa scoperta è stata determinante anche per la sua vita personale.
Certo, per la mia convinzione religiosa. Io sono cresciuta nella fede cattolica, e non l'ho mai abbandonata. Ma la scoperta del metodo storico è servita a rafforzarla, a renderla consapevole. Un primo passo in questa direzione era già avvenuto al liceo. Io ho frequentato il liceo scientifico italiano a Bucarest, dove ci eravamo trasferiti per ragioni di lavoro del babbo proprio negli anni della guerra, tra il 1941 e il 1945. A Bucarest avevamo un professore di filosofia crociano, che ci spiegava tutto in termini di immanentismo, ma in maniera molto rispettosa di chi invece, come me, credeva nella trascendenza di Dio: ecco, nel confronto con le posizioni di quel professore mi convinsi della razionalità di quelli che la tradizione cristiana chiama "preambula fidei", la certezza razionale dell'esistenza di Dio, della sua trascendenza e del suo carattere personale. Ma all'università, grazie al metodo storico, mi si aprirono davanti quelli che potrei chiamare i "preambula fidei" della fede cristiana in senso specifico, della fede nella divinità di Gesù.
Ci vuole spiegare meglio?
Guardi, ricordo una discussione con una compagna non credente, che una volta mi disse: «Ma come fai proprio tu che sei una storica a credere a queste cose?».
Proprio perché sono una storica, risposi, sono portata a credere alla verità della pretesa di Cristo di essere Dio. Certo, la fede non può essere ridotta a un'operazione storiografica, è un salto qualitativo. Però lo studio storico, puntuale dei Vangeli ce ne mostra la storicità, l'attendibilità, ci mostra che quel Gesù di Nazareth è davvero esistito ed è stato un uomo con determinate caratteristiche. Riconoscerne la pretesa divina, ripeto, è un'altra cosa, però lo studio storico dei Vangeli favorisce, direi prepara il salto dell'adesione di fede: o quell'uomo, quell'uomo concreto, realmente esistito, che i Vangeli ci mostrano, era un ciarlatano, un pazzo, o era quel che diceva di essere, era Dio. È estremamente illogico affermare, come tanti fanno, che Cristo sia stato un grande profeta, un riformatore e quant'altro, e negare che fosse Dio: se non è quel che diceva di essere non sta in piedi nemmeno il resto. Il cristianesimo è una religione che ha un fondamento storico, non è semplicemente credere in Dio ma che Dio si è incarnato in una persona storica. La storicità dei Vangeli, accertabile col metodo storico, è una sorta di "preambulum" alla fede in Cristo.

I suoi studi, però, non si sono limitati alle origini cristiane.

Perché è sbagliato, artificiale separare il cristianesimo e la civiltà che ne è seguita dal mondo classico. C'è una continuità evidente tra la civiltà antica e il cristianesimo: il mondo antico si apre, accoglie il cristianesimo. Roma è il luogo in cui il cristianesimo si diffonde non solo perché l'impero, come si è sempre osservato, offriva le strade e la sicurezza attraverso cui il messaggio cristiano poteva viaggiare, ma soprattutto perché la mentalità romana era pronta ad accogliere quel messaggio. Sono segni impressionanti di questa attesa quelli che poi saranno chiamati i "canti dell'Avvento" del mondo romano, la quarta egloga di Virgilio e il carme 64 di Catullo. Il primo saluta il prossimo avvento di una nuova era, nella quale «sarà cancellato l'antico delitto». Il secondo canta la nostalgia per il mondo degli eroi, cioè per un mondo in cui gli dèi vivevano insieme agli uomini, distrutto dal nostro peccato, «e la luce si è spenta», conclude. Il mondo romano aveva in sé, potremmo dire, i "preambula fidei", cui mancava solo la religione. Ma anche in questa molti (il citato Catullo per esempio, ma non solo) parlavano già del "divino", la "divinità": stavano già superando la concezione degli dèi omerici per aprirsi all'idea di un Dio unico. Il cristianesimo è dilagato perché il mondo antico era un mondo in attesa di qualche cosa.
Per questo dobbiamo recuperare la continuità con quel mondo.

Per questo e non solo. Un altro aspetto che sarebbe assolutamente da recuperare è quell'atteggiamento che si potrebbe definire "multiculturale" dei romani, i quali erano sempre pronti ad accogliere tutto quel che di buono trovavano presso altri popoli. Sottolineo: quel che trovavano di buono, diversamente dall'apertura indiscriminata dei giorni nostri, che considera tutto equivalente. I romani ebbero un senso fortissimo dell'importanza di acquisire tutto quel che di buono trovavano presso altri popoli, e non si facevano problemi a riconoscerlo. Quel che prendevano da altri lo riconoscevano come merito altrui. È proprio qui tra l'altro che fa leva sant'Ambrogio in una famosa risposta a Simmaco. Questi aveva immaginato una personificazione di Roma che chiedeva che le fossero lasciati gli dèi che le avevano dato tante vittorie: «Non mi pento di convertirmi anche se in tarda età», fa rispondere pressappoco Ambrogio alla medesima Roma, «perché, come ho sempre fatto, sto abbracciando una concezione migliore». Questa è stata la grande caratteristica dei romani, che li differenzia nettamente dai greci, che invece non si seppero aprire: la capacità di accogliere tutto ciò che riconoscevano migliore.
A proposito di greci, finora non ne abbiamo parlato. Cosa dobbiamo conservare della loro eredità?
La democrazia. La democrazia è un'invenzione greca, e in particolare ateniese, come rivendica con orgoglio Pericle nel grande discorso che Tucidide gli mette in bocca nel secondo libro de La guerra del Peloponneso. E ha due caratteristiche che non dovremmo dimenticare. La prima è che è una democrazia meritocratica: tutti sono uguali, non c'è differenza dovuta alla ricchezza o alla nascita, ma non tutti hanno le stesse competenze, e le cariche fondamentali vanno distribuite secondo la competenza. La seconda è l'obbedienza alle leggi, e soprattutto alle leggi non scritte, quelle degli dèi. È questo il fondamento che rende possibile una società democratica. Per i greci però questa era limitata ai cittadini, e la cittadinanza dipendeva strettamente dalla nascita. Uno straniero non poteva diventare cittadino: questa è stata la debolezza di Atene. Roma invece seppe passare dall'urbs alla civitas, dalla città su base etnica a quella fondata sull'adesione a valori condivisi, a un ordinamento comune.
Le sta proprio a cuore questa predisposizione degli antichi romani all'integrazione.

Perché è il cuore della tradizione occidentale. Come spiega Claudio, imperatore del I secolo, quando introduce alcuni galli, nemici sconfitti da meno di un secolo, nel novero dei senatori: «I miei antenati, il più antico dei quali, Clauso, di origine sabina, fu accolto contemporaneamente tra i cittadini romani e nel patriziato, mi esortano ad agire con gli stessi criteri nel governo dello Stato, trasferendo qui quanto di meglio vi sia altrove. Cos'altro costituì la rovina di spartani e ateniesi, per quanto forti sul piano militare, se non il fatto che respingevano i vinti come stranieri? Romolo, il fondatore della nostra città, ha espresso la propria saggezza quando ha considerato molti popoli, nello stesso giorno, prima nemici e poi concittadini». E Sallustio ne La congiura di Catilina spiega che la caratteristica di Roma sta nell'aver fatto una civitas di "gente diversa", grazie alla concordia. "Concordia" è un concetto giuridico/politico che caratterizza tutta la vicenda di Roma. Indica che "genti diverse" possono convivere (e arricchirsi reciprocamente) quando riconoscono un comune ordinamento, quando accettano le stesse leggi. Roma nasce da un incontro fra diversi (i romani in senso proprio, i sabini, gli etruschi) che imparano gli uni dagli altri il meglio e che sono riuniti dall'obbedienza a una norma comune. Anche il mito della fondazione di Roma da parte di Enea, cioè di uno straniero, allude a questo. Roma porta questa struttura nel suo Dna. La nostra cultura dovrebbe reimpararla.


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cristianesimo, gesù

martedì, 08 gennaio 2008


*** 
 E certo noi amiamo Gesù Cristo,
ma niente al mondo ci farà amare la morale.
Paul Claudel

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gesù, claudel



Lo stupore e le regole
*** 
 Il vero dramma della chiesa che ama definirsi moderna       [ il vero dramma dei cristiani che vogliono essere moderni ] è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole . E’ una mirabile frase di Giovanni Paolo I (sarebbe stato provvidenziale quel suo mese di pontificato, anche solo per questa osservazione, di cui non si trova altrove l’equivalente). Cristo è un evento, un avvenimento, un fatto, che innanzitutto riempie di stupore.
L’irruzione di qualcosa di imprevedibile e di imprevisto – un avvenimento, un “evento” – desta innanzitutto stupore. E lo stupore è l’inizio di una reverentia, di un rispetto, di un’attenzione umile. Come in un bambino posto di fronte a una situazione nuova: in lui istintivamente si desta un senso di stupore e di rispetto umile e un po’ timoroso. Chi si sottrae allo stupore dell’avvenimento, e all’attenzione, alla venerazione, alla curiosità rispettosa e umile che l’avvenimento istintivamente suscita, diventa schiavo di regole. Chi tenta di sottrarsi all’avvenimento si fa inevitabilmente schiavo di regole.
Questo spiega molto bene la caratteristica del soggetto umano creato dalla mentalità moderna: grumo di segmenti, di particelle e di brandelli, come dicevamo. Ognuno di questi brandelli sussiste e procede perché segue delle regole: le regole dell’ufficio, della famiglia, le regole anche dell’andare in chiesa o in parrocchia. Quando ci si sottrae allo stupore, alla luce e al calore che l’avvenimento di Cristo accende, e in cui soltanto emerge la faccia o l’unità dell’io nei suoi vari aspetti (per cui essi arricchiscono l’unità e non la deprimono in divisione rappattumata), non si può evitare di assoggettare la propria vita, segmentata, alla schiavitù delle regole.
Questa osservazione ci richiama a Cristo che ha dato la vita per salvare l’uomo dalle regole dei farisei, dal fariseismo. Da quando Cristo è venuto, nei due millenni cristiani nessuna epoca è stata più farisaica della nostra. (..)
don Luigi Giussani Tracce ,febbraio 2000

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gesù, stupore, giussani

lunedì, 24 dicembre 2007

Dio è diventato uomo
***

Dice Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov”: «La fede si riduce a questo problema angoscioso: un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del Figlio di Dio, Gesù Cristo?».
Al livello di tale domanda si gioca ormai la questione religiosa: in qualsiasi caso, per qualsiasi individuo che venga raggiunto da questa notizia, il semplice fatto che ci sia anche un uomo solo che affermi: «
Dio è diventato uomo» pone un problema radicale e ineliminabile per la vita religiosa dell’umanità.
E Kierkegaard nel suo diario scrive: «La forma più bassa dello scandalo, umanamente parlando, è lasciare senza soluzione tutto il problema intorno a Cristo. La verità è che è stato completamente dimenticato l’imperativo cristiano: tu devi.
Che il cristianesimo ti è stato annunciato significa che tu devi prendere posizione di fronte a Cristo. Egli, o il fatto che egli esiste, o il fatto che sia esistito è la decisione di tutta l’esistenza
».
Per il fatto che viene raggiunto dalla notizia che un uomo ha dichiarato: «Io sono Dio», l’uomo non può disinteressarsene, dovrà cercare di raggiungere il convincimento che la notizia è vera o che è falsa
. Un uomo non può accettare passivamente di essere distolto, distratto da un problema del genere, ed è in questo senso che Kierkegaard usa la parola “scandalo”.
Impedirebbe a se stesso d’essere uomo colui che subito o lentamente si lasciasse portar via dalla possibilità di farsi un’opinione personale intorno al problema di Cristo. Per inciso vorrei notare che si può essere convinti di vivere da cristiani, inseriti in qualcosa che definirei una “truppa cristiana”, senza che questo problema sia stato veramente risolto per la propria persona, senza che essa sia stata liberata da quell’impedimento.
Luigi Giussani



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dio, gesù, giussani

venerdì, 21 dicembre 2007

‘Il Verbo si è fatto carne’
  l’unica speranza dell’uomo
***
      
"Su Cristo, potete discutere, non essere d’accordo… tutte queste discussioni sono possibili e il mondo è pieno di esse, e a lungo ancora ne sarà pieno.
Ma io e voi, Šatov, sappiamo che sono tutte sciocchezze, che Cristo – in quanto solo uomo – non è Salvatore e fonte di vita, e che la sola scienza non completerà mai ogni ideale umano
e che la pace per l’uomo, la fonte della vita e
la salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini, la condizione sine qua non e la garanzia per l’intero universo si racchiudono nelle parole: ‘Il Verbo si è fatto carne’ e nella fede in queste parole".
F.Dostoevskij,
un appunto per I demoni:  citato dal card. Giacomo Biffi nella catechesi “La fede di Pietro e la nostra

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speranza, dostoevskij, gesù

giovedì, 20 dicembre 2007


Con la Rivelazione,
 Dio rivela l'uomo a se stesso
 ***
 «Si crede, e a ragione, che con la Rivelazione Dio si riveli all'uomo, ma c'è di più, molto di più: con la Rivelazione, Dio rivela l'uomo a se stesso. L'uomo non sa, non ha saputo cos'è né chi è se non attraverso Dio, e più precisamente attraverso Cristo. E questa Rivelazione è ri-creazione. L'uomo nuovo del cristianesimo è l'Uomo ritrovato al di là del peccato. E non c'è, non c'è mai stato altro uomo assolutamente universale e singolare che quello del cristianesimo.»
Maurice Clavel


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gesù, clavel

venerdì, 14 dicembre 2007

VOGLIO TE SOLO
***
Il mio cuore ripete senza fine
Che voglio Te,

Te solo!
Tutti i desideri che giorno e notte mi distraggono
Sono falsi e vani fin nel profondo dell'anima.
Come la notte cela nelle tenebre
La brama che ha della luce
Così nel profondo dell'essere mio
Un grido risuona:
Voglio Te, Te solo!
E come bufera,
Che nella sua furia pure ha per meta la pace,
Così anche il mio spirito ribelle
Lotta col tuo amore,
E il mio grido è sempre quello:
Voglio Te, Te solo!
Rabindranath Tagore


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tagore, gesù


Io ho bisogno di Cristo
***
 Le prove non sono esperimenti che Dio fa sulla mia fedeLui, questa, già la conosce; ero io che non la conoscevo Lui l’ha sempre saputo che il mio tempio era un castello di carte. L’unico modo per far sì che lo capissi anch’io era di buttarlo giù”.
Io ho bisogno di Cristo, e non di qualcosa che Gli somigli…Non la mia idea di Dio, ma Dio… La mia idea di Dio non è un’idea divina. Deve essere
continuamente mandata in frantumi. Ed è Lui
stesso a farlo. Lui è il grande iconoclasta.
Non potremmo quasi dire che questa frantumazione è uno dei segni della Sua presenza?”.
Lewis


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gesù, lewis


Il segreto per vivere in Cristo
***
Sai, figliuola, chi sei tu e chi sono io? Se saprai
queste due cose sarai beata. Tu sei quella che
non è; io sono invece colui che sono. Se avrai
nell’anima tua tale cognizione, il nemico non
potrà ingannarti.
Gesù a Santa Caterina

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santi, gesù

giovedì, 13 dicembre 2007

Dinanzi al Bambin Gesù,
pensando ai troppi innocenti
che nascono, derelitti, nel mondo
***

Nel gelo del disamore...
Senza asinello né bue...
Quanti, con le stesse Sue  
fragili membra, quanti
suoi simili, in tremore,
nascono ogni giorno in questa
Terra guasta!...
Soli
e indifesi, non basta
a salvarli il candore
del sorriso.
La Bestia
è spietata. Spietato  
l'Erode ch'è in tutti noi.
Vedi tu, che puoi
avere ascolto. Vedi
almeno tu, in nome
del piccolo Salvatore
cui, così ardentemente, credi, d'invocare per loro
un grano di carità.

A che mai serve il pianto
— posticcio — del poeta?
Meno che a nulla. È soltanto
vano orpello. È viltà.

Giorgio Caproni, Dinanzi al Bambin Gesù


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gesù, caproni

martedì, 11 dicembre 2007

Amarti di un amore disinteressato
***
Mio Dio, ti amo!
Non è per il cielo che io ti amo.
Né perché coloro che non ti amano
tu li punisci con il fuoco eterno.
La croce, mio Gesù: tu mi hai stretto sul tuo cuore.
Hai sopportato i chiodi, il colpo di lancia,
il colmo della vergogna, dolori senza numero,
il sudore e l'angoscia, la morte...
Tutto questo per me,
al mio posto, per i miei peccati.
Allora, Gesù, che tanto ami,
perché non amarti di un amore disinteressato,
dimentico del cielo e dell'inferno,
non per ricevere ricompensa,
ma semplicemente come tu mi hai amato.
Così mi hai amato,
così ti amerò,
solo perché tu sei il mio re,
solo perché tu sei il mio Dio.

San Francesco Saverio: TA 346-47.


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preghiere, gesù

domenica, 09 dicembre 2007

Cerca Cristo e troverai  tutto
***
È quando mi volgo a Cristo, quando mi abbandono alla Sua Personalità, che comincio ad avere una vera personalità mia Finché non Gli avrai dato tutto te stesso non sarai veramente te stessoRinuncia a te stesso e troverai il tuo vero io. Perdi la tua vita e la salverai. Cerca te stesso, e a lungo andare troverai solo odio, solitudine, disperazione, rabbia, rovina,disfacimento. Ma cerca Cristo e Lo troverai, e con Lui tutto il resto per soprappiù”.
Lewis

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gesù, lewis


Gesù
***

«C'è ai giorni nostri un essere, una idea, una esistenza,
che sia veramente capace di permettere agli uomini di unificarsi, di progredire, qualunque sia il loro livello, di riparare in un istante le loro perdite? Mi pare che la storia di Gesù, illuminata da quella delle epoche che l'hanno preceduta e dei venti secoli che l'hanno seguita, permettadi rispondere a questa interrogazione. Perché noi abbiamo fatto quasi tutte le esperienze, abbiamo esaurito tutte le negazioni: e non c'è altro nome che possa essere pronunziato per dare all'uomo del secoloXX la speranza e la gioia».
Jean Guitton

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gesù, guitton

venerdì, 07 dicembre 2007

L’unico punto in cui il mondo può salvarsi

***
Così è proprio in quel punto d’avvicinamento e di congiunzione che gli uomini, tutti gli uomini, in qualunque posizione ideologica si trovino, sono chiamati dal loro stesso essere uomini a incontrarsi e ad agire. Un punto che è l’unico per il quale il mondo può salvarsi, non solo dalla cecità d’un dolore demente, e senza significato, ma dalla sua stessa distruzione e dalla sua stessa rovina; e accogliere, ove pure non arrivi a meritarlo, il miracolo della speranza che continua a scendere in noi dalla Croce.
Giovanni Testori


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gesù, testori

domenica, 02 dicembre 2007

La religione è il fondamento dell'etica
***
«Quando la via non è più segnata dagli ideali, con la scala dei valori va smarrito anche il senso del nostro agire e soffrire, per cui l'ultima parola può essere soltanto della negazione e della disperazione. La religione è quindi il fondamento dell'etica, e questa a sua volta è il presupposto della vita. Ogni giorno infatti dobbiamo prendere decisioni, dobbiamo conoscere, o per lo meno intuire i valori in base ai quali orientare il nostro agire».
Werner Heisemberg
L'inventore della teoria quantlstica e Premio Nobel 1932 per la Fisica



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nichilismo, gesù


Cristo salva l’uomo
***
«In termini impercettibili, attraverso decenni di lenta erosione, il significato della vita in Occidente non è diventato altro che "inseguimento della felicità" (materiale).
I concetti di bene e di male sono stati messi in ridicolo e banditi dall'uso comune. Sono stati sostituiti da effimere considerazioni politiche o di classe. È diventato addirittura imbarazzante far appello a concetti eterni o anche solo affermare che il male si insinua nel cuore dell'uomo ancor prima di penetrare in un sistema politico. Abbandonando le generazioni più giovani all'ateismo, le società occidentali continuano a perdere una parte sempre più grande della loro essenza religiosa... L'Occidente dimostra così che la salvezza umana non è nell'abbondanza dei beni materiali e nell'accumulo di ricchezza.
Mentre gravi minacce incombono sul mondo intero, può sembrare poco pertinente che la chiave principale del nostro essere o non essere si trovi nel cuore di ogni individuo, nella sua scelta a favore del bene o del male. Eppure questa è la chiave più sicura di cui disponiamo. Le teorie sociali, che tanto promettevano, si sono dimostrate un fallimento e ci hanno abbandonato in un vicolo cieco.
Ogni tentativo di uscire dalla tragica situazione del mondo di oggi risulterà vano se non rivolgeremo di nuovo, pentiti, la nostra coscienza al Creatore universale. La vita non è caccia al successo materiale, ma la ricerca di una crescita spirituale. Tutta la nostra esistenza terrena è soltanto un momento di passaggio verso qualcosa di più alto, soltanto
un gradino della scala. Le leggi della materia, da sole, non bastano a spiegare la vita né le danno una direzione.
Alle speranze sconsiderate degli ultimi due secoli possiamo opporre soltanto la ricerca della calda mano di Dio, che abbiamo rifiutato con tanta temerarietà e presunzione. Soltanto così i nostri occhi si apriranno sugli errori di questo sfortunato ventesimo secolo, e noi potremo tentare di correggerli».

       Aleksandr Solgenitsin


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nichilismo, gesù, solzenicyn


Cristo divinizza l’uomo
***
“ Dio si è fatto uomo perché l'uomo fosse fatto Dio”.
Sant'Ireneo

                                                    

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gesù


Cristo divinizza l’uomo
***
 :
 «Come la calamità attira a sé la limatura di ferro e, tenendola unita a sé, ne magnetizza ogni particella, così Egli attira e tiene stretti a sé, armonizza e divinizza i nostri istinti, i nostri desideri e le nostre passioni, i nostri sentimenti e i nostri pensieri. Con questa molteplicità, Cristo ricostruisce nel suo amore, in una unità immortale, la nostra anima»

F. MAURIAC, Paro/e ai credenti, Morcelliana, Brescia 1954,
                                                    

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persona, gesù, mauriac


Cristo speranza e gioia dell’uomo
***
 :
 «C'è ai giorni nostri un essere, una idea, una esistenza, che sia veramente capace di permettere agli uomini di unificarsi, di progredire, qualunque sia il loro livello, di riparare in un istante le loro perdite? Mi pare che la storia di Gesù, illuminata da quella delle epoche che l'hanno preceduta e dei venti secoli che l'hanno seguita, permetta di rispondere a questa interrogazione. Perché noi abbiamo fatto
quasi tutte le esperienze, abbiamo esaurito tutte le negazioni: e non c'è altro nome che possa essere pronunziato per dare all'uomo del secolo XX la speranza e la gioia».
J. GUITTON, Gesù, Marietti, Torino 1964, p. 30


                                                    

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gesù, guitton


Senza Cristo Dio è vocabolo vuoto di senso
***
 :
« Io non credo che a ciò che tocco, che a ciò che
vedo, che a ciò che s'incorpora nella mia sostanza; ed è perciò che ho fede nel Cristo... Devo confessarlo? Se non avessi conosciuto il Cristo,"Dio" sarebbe stato per me un vocabolo vuoto di senso. Salvo il caso di una grazia particolarissima, l'Essere infinito mi sarebbe stato inimmaginabile, impensabile. Il Dio dei filosofi e degli eruditi non avrebbe occupato nessun posto nella mia vita morale. È bisognato che Dio si immergesse nell'umanità e che, a un preciso momento della storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi getti in ginocchio»

 F. Mauriac                                             

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venerdì, 30 novembre 2007

La casa di Emmaus
 ***
A chi di noi, dunque, la casa di Emmaus non è familiare? Chi non ha camminato su quella strada, una sera che tutto pareva perduto? Il Cristo era morto in noi. Ce l'avevano preso il mondo, i filosofi e gli scienziati, nostra passione. Non esisteva più nessun Gesù per noi sulla terra. Seguivamo una strada, e qualcuno ci veniva a lato. Eravamo soli e non soli. Era la sera. Ecco una porta aperta, l'oscurità d'una sala ove la fiamma del caminetto non rischiara che il suolo e fa tremolare delle ombre. O pane spezzato! O porzione del pane consumata malgrado tanta miseria! Rimani con noi, perché il giorno declina…! Il giorno declina, la vita finisce. L'infanzia sembra più lontana che il principio del mondo, e della giovinezza perduta non sentiamo più altro che l'ultimo mormorio degli alberi morti nel parco irriconoscibile…

Francois Mauriac


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giovedì, 29 novembre 2007

Tua è Signore,la sola Verità
***


“Epperò mai,
ora sappiamo,
mai il Potere,
neppure fabbricandoci
macchine irreali,
potrà la memoria di Te
dal cosmo
via gettare.
Sempre lì
resterà,
come segno di te,
 o sola Verità.
Lo dannerà
a demenza,
sì che alla fine,
com'ebbe a fare
nel bosco della notte
il traditore,
 lui stesso
al suo disegno
strozzando
appenderà.

Tua è
Signore,
la sola Verità.
Quella che noi
qui adesso
afferra.
Da Lei sola
lasciandoci sapere
ci è dato,
sia pure nella fine
che ci prende,
-guardate, spettatori –
 e ci cancella,
speranza e vera scienza
contenere,
la vita dare
non tenere,
realtà essere
non avere.

Così nel segno di Te,
dove tutto comincia
e rifluisce,
la nostra azione,
continuando in dolori
e in orrori,
si sigilla.
E qui,
in questa stanza,
che è sede di teatro,
senza fine si alza
la nostra sfatta voce.
Sperando disperata
a Te s’aggrappa,
o Padre,
e alla tua Croce.
.

G. Testori Post-Hamlet



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giovedì, 22 novembre 2007

Cristo trasforma l’uomo:
da oggetto lo rende persona
***
 Ezechiele 37

[1] La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa;
[2] mi fece passare tutt'intorno accanto ad esse. Vidi che erano in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte inaridite.
[3] Mi disse: "Figlio dell'uomo, potranno queste ossa rivivere?". Io risposi: "Signore Dio, tu lo sai".
[4] Egli mi replicò: "
Profetizza su queste ossa e annunzia loro: Ossa inaridite, udite la parola del Signore.
[5]
Dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete.
[6]
Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete: Saprete che io sono il Signore".
[7] Io profetizzai come mi era stato ordinato;
mentre io profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l'uno all'altro, ciascuno al suo corrispondente.
[8] Guardai ed ecco sopra di esse i nervi, la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c'era spirito in loro.
[9] Egli aggiunse: "
Profetizza allo spirito, profetizza figlio dell'uomo e annunzia allo spirito: Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano".
[10] Io profetizzai come mi aveva comandato e
lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.
[11] Mi disse: "
Figlio dell'uomo, queste ossa sono tutta la gente d'Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti.
[12] Perciò profetizza e annunzia loro
: Dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d'Israele.
[13] Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio.
[14]
Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò". Oracolo del Signore Dio.
[15] Mi fu rivolta questa parola del Signore:
[16] "Figlio dell'uomo, prendi un legno e scrivici sopra: Giuda e gli Israeliti uniti a lui, poi prendi un altro legno e scrivici sopra: Giuseppe, legno di Efraim e tutta la casa d'Israele unita a lui,
[17] e accostali l'uno all'altro in modo da fare un legno solo, che formino una cosa sola nella tua mano.
[18] Quando i figli del tuo popolo ti diranno: Ci vuoi spiegare che significa questo per te?,
[19] tu dirai loro: Dice il Signore Dio: Ecco, io prendo il legno di Giuseppe, che è in mano a Efraim e le tribù d'Israele unite a lui, e lo metto sul legno di Giuda per farne un legno solo; diventeranno una cosa sola in mano mia.
[20] Tieni in mano sotto i loro occhi i legni sui quali hai scritto e
[21] dì loro: Così dice il Signore Dio: Ecco, io prenderò gli Israeliti dalle genti fra le quali sono andati e li radunerò da ogni parte e li ricondurrò nel loro paese: [22] farò di loro un solo popolo nella mia terra, sui monti d'Israele; un solo re regnerà su tutti loro e non saranno più due popoli, né più saranno divisi in due regni.
[23]
Non si contamineranno più con i loro idoli, con i loro abomini e con tutte le loro iniquità; li libererò da tutte le ribellioni con cui hanno peccato; li purificherò e saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio.
[24] Il mio servo Davide sarà su di loro e non vi sarà che un unico pastore per tutti; seguiranno i miei comandamenti, osserveranno le mie leggi e le metteranno in pratica.
[25] Abiteranno nella terra che ho dato al mio servo Giacobbe. In quella terra su cui abitarono i loro padri, abiteranno essi, i loro figli e i figli dei loro figli, attraverso i secoli; Davide mio servo sarà loro re per sempre.
[26]
Farò con loro un'alleanza di pace, che sarà con loro un'alleanza eterna. Li stabilirò e li moltiplicherò e porrò il mio santuario in mezzo a loro per sempre.
[27]
In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.

[28]
Le genti sapranno che io sono il Signore che santifico Israele quando il mio santuario sarà in mezzo a loro per sempre".
 Bibbia CEI
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La Visione di Ezechiele --- La Valle di Ossa Secche

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