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domenica 12 febbraio 2012

Gesù, 7


Gesù Cristo,
è la Verità fatta Persona
***
«Con acuta conoscenza della realtà umana, sant'Agostino ha messo in evidenza come l'uomo si muova spontaneamente, e non per costrizione, quando si trova in relazione con ciò che lo attrae e suscita in lui desiderio. Domandandosi, allora, che cosa possa ultimamente muovere l'uomo nell'intimo, il santo Vescovo esclama: « Che cosa desidera l'anima più ardentemente della verità? » (2). Ogni uomo, infatti, porta in sé l'insopprimibile desiderio della verità, ultima e definitiva. Per questo, il Signore Gesù, « via, verità e vita » (Gv 14,6), si rivolge al cuore anelante dell'uomo, che si sente pellegrino e assetato, al cuore che sospira verso la fonte della vita, al cuore mendicante della Verità. Gesù Cristo, infatti, è la Verità fatta Persona, che attira a sé il mondo. « Gesù è la stella polare della libertà umana: senza di Lui essa perde il suo orientamento, poiché senza la conoscenza della verità la libertà si snatura, si isola e si riduce a sterile arbitrio. Con Lui, la libertà si ritrova ».


SANTO PADRE BENEDETTO XVI SACRAMENTUM CARITATIS
 


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verità, gesù, benedettoxvi

mercoledì, 19 settembre 2007

Lo scandalo di Cristo
***
Dio è lo scandalo. Lo è stato ai suoi tempi e lo sarebbe oggi.
Il Cristo, se tornasse, sarebbe lo scandalo che attraverso un segno concreto, una presenza misteriosa, toglie i mortali dalla loro falsa sicurezza.
E' il Dio che distrugge la buona coscienza, acquisita a poco prezzo, al riparo della quale vivono o piuttosto vegetano i benpensanti, i borghesi, in una falsa idea di sé stessi.
P.P. Pasolini
 

Postato da: giacabi a 14:55 | link | commenti
pasolini, gesù

domenica, 09 settembre 2007

Croce
***
Dal vangelo di oggi

Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo Luca 14,25-33.
 

Postato da: giacabi a 17:42 | link | commenti
croce, gesù

mercoledì, 05 settembre 2007

Signore, non è così facile sfuggirTi
***
« Signore, non è così facile sfuggirTi
 e s'egli non viene a Te attraverso ciò che è chiaro,
giunga a Te per quello che è oscuro;
e se non viene a Te attraverso ciò che è diretto,
 giunga a Te per quello che è indiretto,
e attraverso ciò che è semplice;
Attraverso ciò che è in lui numeroso, e laborioso e confuso
E se desidera il male,
sia un male tale che possa essere compatibile solo col bene,
  E se desidera il disordine,
 un tal disordine che implichi la scossa
e il crollo delle muraglie che gli sbarravano la salvezza,
Questo dico a lui e a codesta moltitudine ch'è con lui che egli coinvolge oscuramente.
Poiché egli è di quelli che possono salvarsi
 solo salvando tutta la massa che prende a loro forma dietro di loro.
E già Tu gli avevi insegnato il desiderio
ma egli non sa ancora nulla di ciò che è essere desiderato».
P. Claudel   La scarpina di raso
 

Postato da: giacabi a 21:20 | link | commenti
preghiere, gesù, claudel

martedì, 04 settembre 2007

Cristo
***
L'uomo che vuole comprendere se stesso fino in fondo deve, con la sua inquietudine e incertezza, con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo.

Noi crediamo in Cristo morto e risorto, in Cristo presente qui ed ora che solo può cambiare e cambia, trasfigurandoli l'uomo e il mondo.”

Giovanni Paolo II



 

Postato da: giacabi a 17:50 | link | commenti
gesù, giovanni paoloii, senso religioso

venerdì, 31 agosto 2007

Gesù
***
 Lo abbiamo
lasciato passare diritto
davanti a noi
 E solo
 quand’è scomparso,
 il deserto
ci è apparso chiaro.
 Che fare […] Abbiamo
scosso le spalle.
 Faremo,
ci siamo detti, senza
 di lui.
Saremo,
magari, anche più forti
e liberi.
 Come i morti.
Giorgio Caproni
 (Determinazione, in Il franco cacciatore, 1973-1982

 

Postato da: giacabi a 16:33 | link | commenti
gesù, caproni


GESU' CRISTO
***

Alessandro Bono.. Il suo grido di felicità era segnato da una vita che da lì a poco si sarebbe conclusa. Era malato di AIDS e morì nel 1994 a soli trent'anni. Lascia dietro di sè pochi pezzi ma tutti scritti con questa statura umana fatta di cuore, desiderio, soddisfazione totale.


Perché faccio musica
Dimmi cosa altro potrei
Perché fumo troppo
Sto bruciando tutti i sogni miei

Gesù Cristo ritorna
Perché qui abbiam bisogno di te
Per favore ritorna
Hanno sporcato tutto quello che c'è
Passare il tempo qui
Tra queste facce bianche d'infelicità
Intorno ad un biliardo
Perché depressi come in questa città

Gesù Gesù.
Gesù Cristo ritorna
Perché qui abbiam bisogno di te
Per favore ritorna
Hanno sporcato tutto quello che c'è
Dietro di me ci sei anche tu
Io non ti vedo davanti a me
In mezzo agli altri ancora tu
Però ci credo
E non si vive senza speranza
Senza orizzonti non si vive
Quindi torna se tu puoi
Gesù Cristo ritorna

Perché qui abbiam bisogno di te
Per favore ritorna
Hanno sporcato tutto quello che c'è
Per non morire canto disperato
E metto un grido che va
E se lo puoi sentire
Accendi tutte le luci in questa città
Gesù Cristo ritorna

Perché qui abbiam bisogno di te
Per favore ritorna
Hanno sporcato tutto quello che c'è
Gesù Cristo ritorna
Perché qui abbiam bisogno di te
Per favore ritorna
Hanno sporcato tutto quello che c'è
Gesù Cristo ritorna
Perché qui abbiam bisogno di te
Per favore ritorna
Hanno sporcato tutto quello che c'è
 

Postato da: giacabi a 13:55 | link | commenti
gesù

mercoledì, 29 agosto 2007

Bisogna lasciarsi andare
***

Non pensare al Niente. Non pensare che a inezie. Non pensare al Tutto. Pensare a tutto e a niente.
Pensare a inezie da niente... e, se solo potessi, pensare che Dio mi pensa, pensare sotto la protezione di Dio. Dio è? Esiste? Penso che non esiste, ma che è. Oh, esiste attraverso Gesù. Sì, attraverso Gesù... Attraverso Gesù è entrato nell'esistenza.
Queste non sono che parole, no... se... forse no... Se è e se esiste, che cosa farà di me, che cosa farà di Rodica, di Marie-France., di tutti noi che esistiamo come Gesù è esistito. Questo, lo credo. Gesù è esistito. Se è esistito, anche il nostro Padre esiste, o è. Mi ascolta. Bisogna lasciarsi andare. Bisogna che io abbia fiducia. Tuttavia, tuttavia...
In me, troppi vizi, troppi difetti, troppa vanità, troppo amor proprio, troppo egoismo, troppo io, difatti è ancora su di me che scrivo, è a me soprattutto che penso... Signore, fa... fa... che mi liberi di tanti errori, inganni, viltà... stupidaggini... Vivo da molto tempo. Ho perduto molto, molto tempo...
Se Gesù esiste, Dio c'è. Siccome Gesù esiste, Suo padre dev'esserci. Come dire ? Invece di andare verso Gesù,voglio che Gesù venga a me..Quasi volessi forzare Dio.
Eugene Ionesco “La ricerca intermittente”ed.Guanda




 

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gesù, jonesco

lunedì, 27 agosto 2007

Il tuo volto Signore
io cerco
***
Sono solo un uomo, ho quindi bisogno di segni visibili...Capisco però che i segni possono essere soltanto umani. Desta dunque un uomo, in un posto qualsiasi della terra e permetti che guardandolo io possa ammirare te.
(Oscar Vladislas Milosz, "Veni Creator", in Poesie, Adelphi, Milano 1983, p.112)
"

 

Postato da: giacabi a 14:53 | link | commenti (1)
gesù, milosz

sabato, 25 agosto 2007

10. Dimensione umana del mistero della Redenzione
***

L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E perciò appunto Cristo Redentore - come è stato già detto - rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso. Questa è - se così è lecito esprimersi - la dimensione umana del mistero della Redenzione. In questa dimensione l'uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità. Nel mistero della Redenzione l'uomo diviene nuovamente «espresso» e, in qualche modo, è nuovamente creato. Egli è nuovamente creato! «Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù»64. L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve «appropriarsi» ed assimilare tutta la realtà dell'Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso. Quale valore deve avere l'uomo davanti agli occhi del Creatore se «ha meritato di avere un tanto nobile e grande Redentore»65, se «Dio ha dato il suo Figlio», affinché egli, l'uomo, «non muoia, ma abbia la vita eterna»66.
In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore ed alla dignità dell'uomo si chiama Vangelo, cioè la Buona Novella. Si chiama anche Cristianesimo. Questo stupore giustifica la missione della Chiesa nel mondo, anche, e forse di più ancora, «nel mondo contemporaneo». Questo stupore, ed insieme persuasione e certezza, che nella sua profonda radice è la certezza della fede, ma che in modo nascosto e misterioso vivifica ogni aspetto dell'umanesimo autentico, è strettamente collegato a Cristo. Esso determina anche il suo posto, il suo - se così si può dire - particolare diritto di cittadinanza nella storia dell'uomo e dell'umanità. La Chiesa, che non cessa di contemplare l'insieme del mistero di Cristo, sa con tutta la certezza della fede, che la Redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato definitivamente all'uomo la dignità ed il senso della sua esistenza nel mondo, senso che egli aveva in misura notevole perduto a causa del peccato. E perciò la Redenzione si è compiuta nel mistero pasquale, che attraverso la croce e la morte conduce alla risurrezione.
Il compito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra, è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Cristo Gesù. Contemporaneamente, si tocca anche la più profonda sfera dell'uomo, la sfera - intendiamo - dei cuori umani, delle coscienze umane e delle vicende umane.
IOANNES PAULUS PP. II REDEMPTOR HOMINIS



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chiesa, cristianesimo, gesù, giovanni paoloii

martedì, 21 agosto 2007

L’uomo attende Cristo
                     ***
«Non mi piace la vostra giustizia fredda e nell'occhio dei vostri giudici riluce sempre per me il boia con la sua spada gelida. Dite: dove si trova la giustizia che è amore e ha occhi per vedere? Inventatemi, dunque, l'amore che porta su di sé  non solo tutte le pene, ma anche tutte le colpe».
  F. W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi

 

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nietzsche, gesù, senso religioso

lunedì, 13 agosto 2007

Il Significato
                     ***
 Idiota e lurido Kant,
se Dio non c'è tutto è permesso. Solo la carità è rispettabile. Cristo e Dostojevski, tutto il resto sono balle.
Cesare Pavese da "il mestiere di vivere"  
Diario 1935-1950

 

Postato da: giacabi a 06:28 | link | commenti
dio, pavese, gesù

mercoledì, 01 agosto 2007

IL POSITIVO
***

"Si racconta che un giorno Gesù, riconosciuto come profeta dai musulmani, passeggiava coi discepoli. Passano davanti a un cane morto e i discepoli sottolineano il puzzo insopportabile. Gesù, con grande calma, dice all'incirca questo: "Ma avete visto come sono bianchi i suoi denti? Sono stupendi". E il testo spiega poi che Gesù ha detto ciò per far vedere che a proposito di una cosa o di una persona, si devono sottolineare solo gli aspetti positivi. È un elemento molto presente nel patrimonio culturale arabo-musulmano”.
padre Lagarde, insignito dall'Unesco del Premio per la cultura araba
 da: avvenire 30-09-2005

 

Postato da: giacabi a 23:17 | link | commenti (4)
gesù

sabato, 21 luglio 2007

Grazie Gesù
***
 Gesù ti abbiamo fissato in una croce, inchiodandoTi piedi e mani, per impedirTi di venirci incontro e abbracciarci; ma Tu sei risorto e sei rimasto in mezzo a noi tramite il tuo Corpo che è la Chiesa.
Giacabi
Gauguin Il Cristo giallo

 

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croce, gesù

martedì, 17 luglio 2007

Fa splendere il Tuo volto
***


Guardando Lui si riceve sempre più la somiglianza di Colui nel quale uno fissa lo sguardo, fissando lo sguardo su Lui diventiamo come Lui
 M. Luzi

 

Postato da: giacabi a 16:07 | link | commenti
bellezza, gesù

lunedì, 16 luglio 2007

L’Avvenimento
***
 Una sola cosa bella deve entusiasmare l'uomo per tutta la vita, è vero; ma lo splendore di questo incontro deve illuminare tutto il resto..
. Franz Schubert

 

Postato da: giacabi a 21:10 | link | commenti
chiesa, bellezza, gesù


Desiderio di Infinito
***
«Uomini che hanno in sé un desiderio così possente che supera la loro natura, ed essi bramano e desiderano più di quanto all'uomo sia consono aspirare, questi uomini sono stati colpiti dallo Sposo stesso; Egli stesso ha inviato ai loro occhi un raggio ardente della sua bellezza. L'ampiezza della ferita rivela già quale sia lo strale e l'intensità del desiderio lascia intuire Chi sia colui che ha scoccato il dardo» .
 N.Kabasillas
 

Postato da: giacabi a 14:50 | link | commenti
gesù

venerdì, 13 luglio 2007


Si chiama Gesù

***

 





Postato da: giacabi a 22:25 | link | commenti
gesù


Senza Cristo
la vita non ha significato
***
Le nazioni occidentali «stanno sviluppandosi in società manageriali i cui abitanti, ben nutriti e ben vestiti, vedono soddisfarsi i propri desideri e non hanno desideri che non possano essere soddisfatti, automi che seguono senza essere forzati, che sono guidati senza capi, che fabbricano macchine che si comportano come uomini e producono uomini che si comportano come macchine; uomini la cui ragione decade mentre aumenta l'intelligenza, creando così la situazione di dotare l'uomo dei più grandi poteri materiali senza la sapienza per usarli. Questa alienazione e automazione portano a pazzia sempre crescente.
La vita non ha significato, non c'è gioia, né fede, né realtà. Ognuno è "felice": solamente, non sente, non ragiona, non ama.
Nel diciannovesimo secolo il problema era: Dio è morto; nel ventesimo secolo è questo: è morto l'uomo. Nel diciannovesimo secolo inumanità voleva dire crudeltà; nel ventesimo vuoi dire alienazione schizoide.
Il pericolo del passato era che gli uomini diventassero schiavi. Il pericolo del futuro è che possano diventare robot. È vero che i robot non si ribellano. Ma, data la natura dell'uomo, essi diventano "Golem" che distruggeranno se stessi e il loro mondo perché non possono più tollerare la noia di una vita priva di significato».
5 E. FROMM, Psicanalisi della società contemporanea,

 

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gesù, fromm, non senso

giovedì, 12 luglio 2007


Atto d'Amore
***
Non seppi dirti quant'io t'amo, Dio
nel quale credo, Dio che sei la vita
vivente, e quella già vissuta e quella
ch'è da viver più oltre: oltre i confini
dei mondi, e dove non esiste il tempo.
Non seppi; - ma a Te nulla occulto resta
di ciò che tace nel profondo.
Ogni atto
di vita, in me, fu amore. Ed io credetti
fosse per l'uomo, o l'opera, o la patria
terrena, o i nati dal mio saldo ceppo,
o i fior, le piante, i frutti che dal sole
hanno sostanza, nutrimento e luce;
ma fu amore di Te, che in ogni cosa
e creatura sei presente.
Ed ora
che ad uno ad uno caddero al mio fianco
i compagni di strada,
e più sommesse
si fan le voci della terra, il tuo
Volto rifulge di splendor più forte
e la tua voce è cantico di gloria
.
Or - Dio che sempre amai - t'amo sapendo
d'amarti;
e l'ineffabile certezza
che tutto fu giustizia, anche il dolore,
tutto fu bene, anche il mio male, tutto
per me Tu fosti e sei, mi fa tremante
d'una gioia più grande della morte.

Resta con me, poiché la sera scende
sulla mia casa, con misericordia
d'ombre e di stelle. Ch'io ti porga, al desco
umile, il poco pane e l'acqua pura
della mia povertà.
Resta Tu solo
accanto a me tua serva; e nel silenzio
degli esseri, il mio cuore oda Te solo
Ada Negri
 

Postato da: giacabi a 10:47 | link | commenti
gesù, negri


Cristo Luce del mondo
***

"A voi, negatori di Dio e del Cristo, non è mai venuto in mente che tutto sarebbe fango e peccato nel mondo, senza Cristo? "
Dostoievski
 

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bellezza, dostoevskij, gesù

mercoledì, 11 luglio 2007

sulla fede e Cristo
***

sulla fede, Kafka risponde: "a Chi la possiede non la può definire, e quando uno non la possiede la sua definizione è aggravata dalla mancanza di grazia. Il credente quindi non può e il miscredente non dovrebbe parlare ". E Cristo? Kafka chinò la fronte: " Questo è un abisso di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitare... ".
(Janouch, Colloqui con Kafka).


 

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fede, kafka, gesù

martedì, 10 luglio 2007

Gli esseri umani sono anfibi –
 mezzo spirito e mezzo animale
***



Mio caro Malacoda
dunque tu "nutri grandi speranze che la fase religiosa del tuo paziente stia morendo"?Io sono sempre stato dell'opinione che la suola di tirocinio fosse bell'e spacciata da quando Ciriatto Sannuto vi fu messo a capo, e ora ne  sono sicuro. Non v'è mai stato nessuno che t'ha detto qualcosa sulla legge dell'Ondulazione?
Gli esseri umani sono anfibi - mezzo spirito e mezzo animale. ( la risoluzione del Nemico di produrre un ibrido talmente ributtante fi una delle cose che decisero Nostro Padre a ritirargli il suo appoggio). Come spiriti essi appartengono al mondo dell'eternità, ma come animali sono abitatori del tempo. Ciò significa che, mentre il loro spirito può essere diretto verso un oggetto eterno, il loro corpo, le passioni e l'immaginazione sono in continuo divenire,  poiché essere nel tempo significa mutare. Perciò la cosa che più li avvicina alla costanza è l'ondulazione - cioè il ripetuto ritorno a un livello dal quale ripetutamente si allontanano, una serie di depressioni e elevazioni. (...)
Per decidere il miglior uso che ne puoi fare, devi chiederti qual è l'uso che desidera farne il Nemico, e poi agire all'opposto. Ora, può essere per te una sorpresa venire a sapere che nei suoi sforzi di impossessarsi per sempre di un'anima, Egli si basa sulle depressioni ancor più che sulle elevazioni. Alcuni dei suoi speciali favoriti sono passati attraversi depressioni più lunghe e più profonde di qualsiasi altro. la ragione è questa. Per noi un essere umano è innanzitutto cibo: nostro scopo è l'assorbimento della sua volontà nella nostra, l'aumento, a sue spese, della nostra area di egoismo. Ma l'obbedienza che il Nemico chiede all'uomo è cosa del tutto diversa. Bisogna guardare in faccia al fatto che tutto quel parlare intorno al Suo amore per gli uomini, e intorno al Suo servizio come perfetta libertà, non è(come si vorrebbe allegramente credere) pura propaganda, ma terribile verità. Egli vuole proprio riempire l'universo di una quantità di nauseanti piccole imitazioni di Se stesso - creature la cui vita, in miniatura, sarà qualitativamente come la Sua, non perchè Egli li assorbirà, ma perchè la loro volontà si conformeranno liberamente alla Sua.Noi vogliamo mandrie che finiranno per diventare cibo; Egli vuole servi che diverranno infine, figliuoli. Noi vogliamo assorbire, Egli vuole concedere in abbondanza. Noi siamo vuoti e vorremmo riempirci; Egli possiede la pienezza e trabocca. La nostra guerra ha come scopo un mondo nel quale Nostro Padre Laggiù abbia attratto a sé tutti gli altri esseri; il Nemico vuole un mondo pieno di esseri uniti a Lui, ma sempre distinti.

(...)

Tuo affezionatissimo Zio

C.S. LEWIS - LE LETTERE DI BERLICCHE

 

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chiesa, dio, gesù, lewis

venerdì, 22 giugno 2007

Quello che il cuore cerca
***

Dostoevskij ha conosciuto il Vangelo durante il periodo di prigionia in Siberia
 così scrive:
«In questi momenti ho composto in me una professione di fede in cui tutto è chiaro e sacro. Eccola: credere che non c'è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più coraggioso, né di più perfetto del Cristo... e non solo che non c'è nulla, io me lo dico con un amore geloso, ma che nulla ci può essere. Più ancora: se qualcuno mi avesse provato che il Cristo è al di fuori della verità... avrei preferito restare col Cristo piuttosto che con la verità».
Dostoevskij


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dostoevskij, gesù, senso religioso

domenica, 22 aprile 2007

DALLO ZEN A GESÙ
Famiglia Cristiana n° 49 - dicembre 2006
***
LA CONVERSIONE DI MASTERBEE, ARTISTA E MAESTRO DI MEDITAZIONE
Viaggio alle sorgenti delle grandi religioni orientali. Per approdare alla Chiesa attraverso l’amicizia con padre Raniero Cantalamessa.
«Ritorna là da dove sei venuto e vi troverai quello che stai cercando». Queste parole, che un maestro indù rivolse un giorno a Masterbee (come egli stesso ricorda nella sua autobiografia spirituale, Mendicante di luce, edita da san Paolo), sono la sintesi dei viaggi e degli incontri compiuti “dal Tibet al Gange” da questo affermato artista, nato 66 anni fa nella Svizzera tedesca, che aveva cercato l’illuminazione nel buddhismo, nello yoga e nello zen. E che oggi, con questo suo libro-testimonianza, scritto su invito di padre Raniero Cantalamessa, non rinnega quel passato ma lo usa come un formidabile trampolino di lancio per un ritorno a Cristo, a quel Gesù amato e invocato fin dall’infanzia.
Per conoscere Masterbee siamo andati a trovarlo nella sua casa-eremo dove vive con la moglie Kicka, cantante e scultrice. Entriamo. La luce è filtrata da tende colorate. Alle pareti i suoi quadri del periodo della ricerca interiore (insight) si alternano alle sculture di Kicka e a bellissime icone di Cristo e di Maria (neoiconografia). La voce di Masterbee e il suo sguardo chiaro e penetrante esprimono la gioia di chi ha trovato la fonte: nella preghiera, nella Messa quotidiana, nell’amore per gli ammalati per cui prega con Kicka ogni giorno.
– Maestro, qual è la cosa più importante nella vita?
«L’incarnazione di Cristo è il più grandioso avvenimento di tutta la storia dell'umanità. Cristo ha rinnovato la materia trasformando il mondo e riportando l’intero cosmo all'origine della sua causa primordiale: il Padre. Solo oggi siamo in grado di essere aperti verso tutte le tradizioni religiose autentiche. Infatti, grazie alla comprensione che tutta la materia nella sua essenza è energia, possiamo giungere all’intuizione profonda dell’unità indivisibile della creazione, senza perdere la nostra autentica tradizione religiosa».
– Cosa ha rappresentato per lei la pubblicazione di questo libro?
«Si tratta del racconto di tutta la mia ricerca interiore dell’Assoluto, durata decenni. Abbiamo ricevuto già molte testimonianze che dimostrano come questo libro abbia la capacità di toccare il cuore dei lettori».
– Lei ha scritto “Mendicante di luce” su invito di padre Cantalamessa: che cosa rappresenta la vostra amicizia?
«Padre Cantalamessa rappresenta la persona più importante della nostra conversione a Cristo. Egli, con la dovuta prudenza, da vero padre spirituale ha intuito l’autenticità della nostra esperienza. La nostra è un’amicizia profonda. All’inizio non ero disponibile a raccontare la mia vita; ma poi ho accettato, per obbedienza e, soprattutto, per amore verso di lui, di Cristo e della Chiesa».
– Cosa ha significato la lettura di stralci della sua autobiografia davanti a Benedetto XVI?
«Sono stato sorpreso e meravigliato nello stesso tempo. Mi ha colpito l’effetto positivo e come sia stato accolto dal Santo Padre e dai cardinali».
– Cosa cercavano le persone che si rivolgevano a lei come maestro zen, e cosa cerca oggi chi la contatta?
«Cercavano la via dell’illuminazione interiore e oggi ancora mi cercano per trovare la via del cuore, attraverso la preghiera di Gesù, che ho imparato da uno staretz ortodosso e che pratichiamo al posto della meditazione del profondo. Cerchiamo di aiutare le persone a ritrovare le loro radici religiose, a riscoprire la perenne novità del Risorto».
– L’incontro con il cristianesimo le ha fatto rinunciare alla bellezza incontrata nelle altre tradizioni religiose?
«La bellezza delle altre tradizioni non è scomparsa dalla mia coscienza, ma quelle esperienze, pure importanti, non sono state in grado di trasmettermi la Luce che ho incontrato in Cristo.
Ogni autentica tradizione è ispirata da Dio nel suo imperscrutabile disegno divino. Le tradizioni religiose sono il più grande dono di Dio, senza di esse la vita perderebbe significato».
– Se nei sacramenti c’è la presenza di Dio e si tocca il vertice dell'incontro con Lui, quale valore hanno le pratiche di meditazione?
«Le pratiche di meditazione orientali per noi sono limitate. La ricerca del sé è solo una tappa del nostro percorso verso l’assoluto. La preghiera di Gesù della tradizione ortodossa sostituisce la meditazione buddista e induista. Con la sola ricerca del sé interiore l’uomo non può salvarsi. La salvezza deve venire dall’alto e si è perfettamente realizzata con la venuta di Cristo. Abbiamo nei sacramenti il culmine della trascendenza: in essi riceviamo e sperimentiamo l’amore di Dio».
– Come è cambiata la sua arte dopo la conversione, e qual è il ruolo dell’attività artistica nella sua vita spirituale?
«Il contenuto della nostra arte è sempre stato la ricerca interiore e dell’Assoluto. Dopo la conversione a Cristo, la nostra arte è stata profondamente segnata. Kicka nella musica ha creato nuove composizioni e nelle arti plastiche realizza un transfert dalla sofferenza umana in quella divina e luminosa di Cristo. Da parte mia esprimo l’inesprimibile attraverso la serie delle Ultime cene e la nuova iconografia cristologica. L’arte per noi è preghiera e comunicazione con la trascendenza. Sentiamo nel cuore la chiamata a testimoniare la grande luce di Cristo nel mondo con l’arte che abbiamo ricevuto in dono».
– Nel suo libro lei racconta dei rischi delle pratiche medianiche e magiche: ce ne vuole parlare?
«
Le pratiche medianiche e la magia fanno perdere l’anima. Personalmente ho sperimentato la devastante forza che queste forze esercitano sulla psiche e sull’anima. La magia è diabolica e vuole sostituirsi a Dio, col pretesto di aiutare l’uomo lo cattura con false promesse e lo lega alle potenze delle tenebre. A chi ha avuto a che fare con la magia consiglio di rivolgersi alla Chiesa, che sola è in grado di liberare l’anima».
– Cosa ha significato la compagnia di sua moglie nella sua ricerca, e come vede oggi il rapporto uomo-donna?
«Mia moglie è stata messa sul mio cammino da Dio, la sua presenza ha agevolato la mia ricerca della trascendenza. Viviamo in profonda comunione spirituale.
Il rapporto tra l’uomo e la donna è il più grande dono di Dio. Ma occorre mettere da parte il nostro io negativo e sostituirlo con il dono dell’amore. Se Cristo è al centro, la coppia raggiunge la più alta gioia spirituale. Per l’uomo d’oggi la sfida del matrimonio è la più interessante, ma anche la più difficile. La coppia che chiede aiuto nella preghiera e nei sacramenti è sicura. L’indissolubilità non è un’utopia, ma uno dei più grandi doni e verità che Cristo ha lasciato alla sua Chiesa».
– Nelle difficoltà tra islam e cristianesimo quale via d’uscita vede?
«Il dialogo, la stima reciproca, l’amore, la sincerità, la chiarezza e la fermezza, come insegnano Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Sono fiducioso e convinto che le relazioni tra islam e cristianesimo troveranno il loro giusto equilibrio».
– Lei è partito come “mendicante di luce” e ora che è stato investito dalla Luce di Cristo cosa cerca ancora?
«
Non cerco altro che la grazia di rimanere nella Sua luce e misericordia».
Ci congediamo. Masterbee e Kicka stanno chini sulla porta a mani giunte. Kicka mi spiega: «Stiamo salutando la tua anima e la Trinità che la inabita».

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gesù, senso religioso

lunedì, 09 aprile 2007

Gesù Cristo
è «la misura di tutte le cose umane»

Soltanto il cristianesimo è in grado di assumere completamente su di sé e riconoscere fino in fondo le infermità della nostra epoca mostrando dove sia veramente il male e quale sia la via per giungere alla guarigione. Il cristianesimo non sfugge dal mondo, come frequentemente si pensa, ma entra nel mondo in un modo particolare, assume su di sé i mali del mondo mostrandone la reale profondità e il loro vero significato. Il cristianesimo accetta l'uomo, qualsiasi uomo, indipendentemente dalla sua casta e dalle doti intellettuali, ma anche senza farsi illusioni su di lui. Il cristianesimo considera l'uomo caduto, mendace prima ancora che la sua falsità diventi falsità ideologica, prima ancora che la sua caduta diventi caduta «storica», ma il cristianesimo sa liberare in lui l'uomo autentico e inserirlo in una storia autentica.
Ciò significa che il cristianesimo riporta l'uomo a quella autenticità che è racchiusa in Dio incarnato, a quella storia che è stata vissuta e «misurata» sull'uomo dal Dio incarnato, Gesù Cristo. Gesù Cristo è «la misura di tutte le cose umane» e su questa misura anche oggi l'uomo può essere riconosciuto e compreso come uomo. Cristo è il criterio di tutte le decisioni spirituali morali, volitive e storiche che si possono anche oggi presentare all'uomo, qualsiasi uomo egli possa essere, scienziato o operaio, qualsiasi cosa egli faccia, sia che combatta in guerra o badi ai bambini, in qualsiasi luogo egli si trovi, nel lager o nel cosmo.
(A. Kolosov, Utopia e speranza, in «Rinascita cristiana nell'URSS»)

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martedì, 20 marzo 2007

Cristo
l'ideale della Bellezza
Lettera a V.A.Alekseev
Pietroburgo, 7 giugno 1876
Egregio Signore, La prego di scusarmi se rispondo soltanto oggi alla Sua lettera del 3 giugno, ma sono stato malato per un attacco di epilessia.
Lei mi rivolge una domanda molto ardua in quanto esigerebbe una risposta lunga. La sostanza della cosa, di per sé, è chiara. Nella tentazione di Cristo da parte del diavolo sono proposte tre colossali idee di portata universale; sono trascorsi ormai diciotto secoli e non c'è nulla di più difficile, e cioè di più profondo, di queste idee, e tuttora non si riesce a risolvere le questioni in esse poste.
"Le pietre e i pani" significa l'attuale questione sociale, cioè l'ambiente. Questa non è una profezia, questo è sempre stato così. "Come ci si può rivolgere a dei poveri derelitti, che la fame e l'oppressione hanno ridotto a una condizione piuttosto di animali che non di uomini, come ci si può rivolgere a degli affamati predicando l'astensione dal peccato, la mansuetudine e la continenza? Non sarebbe meglio anzitutto dar loro da mangiare? Ciò sarebbe più umano. Anche davanti a Te sono venuti a predicare, ma Tu sei il Figlio di Dio, Tu eri atteso da tutto il mondo con impazienza; agisci dunque come chi è superiore a tutti per l'intelletto e la giustizia. Da' dunque loro un'organizzazione sociale tale che non manchino mai il pane e l'ordine, e solo allora chiedi loro di rinunciare al peccato. Se anche allora peccheranno, ebbene, vorrà dire che sono degl'ingrati, ma ora essi peccano per colpa della fame, ed è un peccato pretendere da loro che non pecchino.
"Tu sei Figlio di Dio, e dunque Tu puoi tutto. Vedi qui intorno queste pietre: è sufficiente che Tu lo ordini e queste pietre si trasformeranno in pani."
"Ma anzitutto ordina che la terra dia i suoi frutti senza fatica, insegna agli uomini una scienza o un ordine sociale tali che la loro vita sia per sempre assicurata. È forse possibile che Tu non sappia che i vizi e le sventure più gravi dell'uomo sono provocate dalla fame, dal freddo, dalla miseria e dalla spietata lotta per l'esistenza?"
Ecco la prima questione che lo spirito maligno propose a Cristo. Lei sarà d'accordo sul fatto che è difficile risolverla. Il socialismo attuale, sia in Europa che da noi, vuole eliminare completamente Cristo e si adopera anzitutto per il pane, si affida alla scienza e sostiene che la causa di tutte le sciagure umane è una soltanto: la miseria, la lotta per l'esistenza, "l'ambiente che divora l'uomo".
Ma Cristo a ciò ha risposto: "Non di solo pane vive l'uomo", proclamando la verità sull'origine anche spirituale dell'uomo. L'idea del diavolo poteva andar bene soltanto per un uomo-animale, ma Cristo sapeva che l'uomo non può vivere di solo pane. Infatti, se non esistesse più la vita spirituale, e cioè l'ideale della Bellezza, l'uomo cadrebbe in preda all'angoscia, morirebbe, impazzirebbe, si ucciderebbe o si affiderebbe a fantasie pagane. E siccome Cristo recava in Se stesso e nella Sua Parola l'ideale della Bellezza; avendolo nelle loro anime, tutti diventeranno fratelli l'uno dell'altro, e allora, naturalmente, lavorando l'uno per l'altro, saranno anche ricchi. Se invece si desse loro del pane, può darsi che essi diventino nemici l'uno dell'altro solo per la noia.
Ma se si desse all'uomo sia l'ideale della Bellezza che il Pane insieme? In tal caso verrà tolto all'uomo il lavoro, la personalità, il sacrificio dei propri beni a favore del prossimo, insomma gli verrà tolta tutta la vita, ogni ideale di vita. E quindi è meglio proclamare soltanto l'ideale spirituale.
La prova del fatto che, in questo breve passo del Vangelo, la questione riguardava proprio questa idea, e non semplicemente il fatto che Cristo aveva fame e che il diavolo gli consigliava di prendere delle pietre e ordinar loro di trasformarsi in pane, la prova di ciò sta nel fatto che Cristo rispose rivelando il segreto della natura: "Non di solo pane (e cioè come gli animali) vive l'uomo".
Se si fosse trattato soltanto di placare la fame di Cristo, perché si sarebbe dovuto portare il discorso sulla natura spirituale dell'uomo in generale? E sarebbe stato anche inutile, giacchè anche senza il consiglio del diavolo Egli avrebbe già potuto da prima procurarsi del pane se avesse voluto. A proposito: Lei ha certo presenti le teorie di Darwin e di altri sull'origine dell'uomo dalla scimmia. Ebbene, senza formulare nessuna teoria, Cristo dichiara esplicitamente che nell'uomo, oltre alla dimensione animale, c'è anche quella spirituale. E quindi qualunque sia l'origine dell'uomo (nella Bibbia non è affatto spiegato in che modo Iddio lo formò dal fango, lo prese dalla terra), è un fatto che Dio gl'ispirò il soffio della vita (ma è terribile che l'uomo, attraverso il peccato, possa nuovamente trasformarsi in animale).
Il Suo devoto servitore F.Dostoevskij

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venerdì, 16 marzo 2007

 Pensieri di uno Spaventapasseri: il libro di Carlo Marongiu
PENSIERI DI UNO INNAMORATO DI CRISTO
CHE HA LA “MALEDETTA SLA”
( La malattia di Welby)
Per sapere chi è Carlo Marongiu: http://www.vigilfuoco.net/pensieri/index.html

 ***
Alcuni pensieri tratti dal libro:
***
"La sofferenza maggiore in questa malattia è data dall'immobilità. Non è piacevole essere costretto a chiedere sempre per ogni minima esigenza.         
Quanta pazienza per sopportare una mosca  che passeggia nelle ciglia o una zanzara che effettua un prelievo indesiderato e che non posso scacciare, perché la mano non si muove di un millimetro.
Una delle cose più fastidiose è il prurito: quante volte ho immaginato di poter strofinare smodatamente la schiena sullo spigolo di un muro ruvido e non posso nemmeno soffermarmi troppo su questa condizione di immobilità, perché il cervello comincia a girare in senso contrario. I momenti peggiori sono quelli notturni durante i quali sento veramente la solitudine. Allora con la fantasia faccio una capatina a Lourdes, giusto il tempo di recitare una preghiera davanti alla grotta. Oppure arriva il pianto liberatorio e con esso il bruciore causato dalle lacrime che impastano gli occhi e che non posso asciugare. «Quanto si soffre Signore!».
La sofferenza, questo grande mistero che nessuna mente umana riuscirà mai a penetrare. Solo la fede ci aiuta a comprendere e a darle un senso. D’altronde se Gesù ha scelto questo mezzo per salvare l’umanità, un motivo deve pur essere."
***
"Ho passato undici mesi a guardare il soffitto della rianimazione e quattro mesi a guardare la cucina della mia casa. Adesso che ho trovato davanti alla porta il mio ideale posto di osservazione non voglio rinunciare a guardare la gente che passa nella strada. Mi piace guardare gli alberi mossi dal vento, il cielo azzurro e le nuvole che si affacciano proprio di fronte a me. Mi immagino in strada completamente fradicio e penso che deve essere bellissimo buscarsi una broncopolmonite in quel modo.!
***
 "Chissà che quella felicità che tutti cerchiamo non stia paradossalmente proprio laddove nessuno l'aspetta e cioè nell'accettazione e nell' offerta a Dio della sofferenza, qualunque essa sia. Quella felicità che devono provare non solo quelli che portano la croce, ma anche coloro che più da vicino la sostengono."
***
"Lo spaventapasseri è immobile, non respira e non parla. Nessuno si sogna di salutarlo o di chiedergli qualcosa.
Ho già detto che questa malattia è maledetta perché distrugge tutto. Per questo continuo a sentirmi uno spaventapasseri, una cosa, un peso.
Devo sopportare tutto, perché un malato è già fastidioso di per sé, figurarsi quando si lamenta. In fondo siamo in tanti a comportarci allo stesso modo con Dio.
Non pensiamo mai di chiedergli qualcosa, neanche quando abbiamo bisogno e facciamo come se non esistesse.
Quando andiamo nella sua casa non ci prepariamo all'incontro e siamo sempre talmente distratti  che ci dimentichiamo persino di salutarlo.
Penso che anche Dio, più di una volta deve sentirsi uno spaventa passeri."
***
“Io so bene che a Lui piace  tanto vedersi offrire sofferenze, ma so anche che ricambia dando cento volte quello che riceve.”

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lunedì, 15 gennaio 2007

Giacomo card. Biffi 

Una singolare, emozionante

e affascinante ricerca

sulla figura di Gesù Cristo


Una  esplorazione  emozionante

Il mondo interiore dell’uomo è sempre un mistero, che non si riesce mai a penetrare del tutto. Tanto più ci è difficile accostarci alla ricchezza dell’animo di Cristo e addentrarci nella sua realtà psicologica.
È una ricerca singolare, problematica, emozionante, ma anche fascinosa e ineludibile. Va intrapresa con umiltà e consapevolezza sempre vigile di quanto siano inadeguate le nostre possibilità conoscitive.
Siamo però incoraggiati nel compito dall’aiuto decisivo offertoci dagli evangeli, che del nostro Salvatore ci rivelano - generosamente - sia pure attraverso testimonianze sparse, occasionali, spesso indirette - i pensieri, la mentalità, gli affetti, i sentimenti, il temperamento, lo stile espressivo e comportamentale.

 

Una  grande  chiarezza  di  idee

Ciò che primariamente colpisce nel magistero di Gesù è la straordinaria chiarezza di idee. Tutto è lucida-mente enunciato senza ambiguità o tentennamenti. Le esitazioni, il rifugio nel soggettivismo, le formule dubitative («forse», «secondo me», «mi parrebbe»), così frequenti nel nostro dire, non si incontrano mai nei suoi discorsi, dai quali sono lontanissimi i vezzi, le civetterie, l’apparente arrendevolezza del «pensiero debole».
Gesù manifesta anzi una sicurezza che sarebbe persino irritante, se non fossimo contestualmente conquistati dall’oggettiva elevatezza e luminosità del suo insegnamento.
Pur nella grande varietà degli argomenti toccanti, non c’è frammentazione o incoerenza nella visione di Cristo. Tutto è raccolto e unificato attorno a due temi fondamentali sempre ricorrenti: quello del «Padre» (un padre che sta all’origine di qualsivoglia esistenza) e quello del «Regno», traguardo di ogni tensione delle creature e del loro peregrinare nella storia.

 

L’attenzione  alla  concreta  realtà  umana

In lui però non c’è nulla né del pensatore distratto, così assorto nelle sue alte elucubrazioni da non accorgersi nemmeno più delle piccole cose, né del superuomo che disdegna di lasciarsi impigliare negli accadimenti senza rilevanza e senza gloria. Al contrario: Gesù si dimostra un osservatore attento - anzi interessato e compiaciuto - della realtà «feriale» nella quale siamo tutti immersi.
Dai suoi detti e dalle sue parabole occhieggiano numerose le normali scenette della vita di allora e di sempre: il bimbo che fa i capricci per avere qualcosa da mangiare, i ragazzi che giocano nelle piazze avvalendosi delle filastrocche tradizionali (Lc 7, 32: «Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto”»), il vicino scocciatore che ti disturba perfino di notte e non ti dà pace finché non l’accontenti, la donna che non si rassegna a non trovare la moneta rotolata sotto i mobili, la partoriente che soffre ma poi dimentica i dolori patiti nella gioia di contemplare il piccolo nato da lei, i servi che si danno alla bella vita nell’assenza del padrone, l’amministratore disonesto e furbo, il trambusto di una festa di nozze, i banchieri che offrono un interesse sul capitale, il ladro che scassina la casa senza mandare preavvisi, il viandante che incappa nei rapinatori, i braccianti disoccupati che in piazza aspettano la buona occasione, la casalinga che impasta la farina e poi la lascia lievitare. Eccetera.
Chi parla così è evidentemente uno che non si è chiuso e arroccato in se stesso, ma è capace di guardarsi attorno e partecipa con simpatia alla quotidiana commedia umana.
Le cose più umili vengono utilizzate nei suoi paragoni: i bicchieri e i piatti da lavare, la lucerna e il lucerniere, il sale da usare in cucina, il bicchiere d’acqua fresca, il vino vecchio che è più buono, il vestito rattoppato, la pagliuzza e la trave, la cruna degli aghi, i danni provocati dalle tarme e dalla ruggine, gli effimeri fiori del campo, le prime foglie del fico, l’arbusto di senape, il seme che cade in terreni diversamente accoglienti e produttivi, la rete dei pescatori che raccoglie al tempo stesso pesci commestibili e pesci da buttare, la pecora che si allontana dal gregge e si perde. E anche questo è un elenco che si potrebbe molto allungare.
Quanto s’è detto dovrebbe bastare a persuaderci che Gesù non ha somiglianza alcuna con l’ideologo che - tutto preso dalle sue grandiose teorie - non riesce più a vedere e a prendere in considerazione le vicissitudini spicciole della gente comune.
E proprio questa sua sensibilità per le piccole cose concrete e l’arte sua inimitabile di incastonarle nei ragionamenti più alti gli consentono di parlare a tutti, anche ai semplici, delle verità più sublimi con la mediazione di un linguaggio limpido e originale; un linguaggio che ci appare ben diverso da quello di molti pensatori professionisti e di non pochi attori della scena politica.

Una  volontà  forte

Alla solarità della sua intelligenza e all’efficacia del suo dire fa riscontro una volontà senza fiacchezza, in grado di operare rapidamente scelte operative e di attenersi ai propositi stabiliti senza alcuna titubanza. Ha una missione che ha cordialmente sposato, e non se ne lascia distogliere.
Talvolta questa fermezza trapela perfino dall’atteggiamento esteriore. I circostanti ne sono impressionati, e la narrazione evangelica si sente in dovere di registrarlo: «Si diresse decisamente verso Gerusalemme» (Lc 9, 51). Il testo originale è anche più significativo: to prosopwn ’esterisen tou poreuesqai ’eiV ’Ierrousalem («irrigidì il suo volto per andare alla volta di Gerusalemme»).
Egli è un capo che, in certi momenti, andando davanti a tutti sul cammino che si è prefissato, irradia tanta risolutezza da incutere in chi lo segue meraviglia, soggezione, inquietudine: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti, e gli andavano dietro pieni di timore» (Mc 10, 32).

 

Libertà  di  fronte  ai  parenti  e  agli  oppositori

Gesù si dimostra sempre un uomo sovranamente libero. Nessuno riesce a distoglierlo dai suoi intenti.
È libero di fronte a quelli del suo «clan», i quali, dopo averlo preso per matto (cfr Mc 3, 21), poi si imma-ginano di poter ricavare qualche vantaggio dal suo successo e dalla sua notorietà e cercano di riprendere  i rapporti (cfr Mc 3, 31-34).
È libero di fronte ai capi del suo popolo e ai suoi avversari, che cercano di ostacolarlo nel suo ministero, e ai quali risponde seccamente: «Il Padre mio lavora sempre e anch’io lavoro» (Gv 5,17).
Egli riconosce e rispetta l’autorità, ma non ha timori reverenziali nei confronti delle persone che ne sono investite. Basti pensare alle invettive rivolte ai farisei e agli scribi (cfr Mt 23, 32). Ai sadducei, che ricoprivano le più alte cariche sacerdotali, non esita a manifestare il suo dissenso nei termini più decisi: «Voi vi ingannate, poiché non conoscete né le Scritture né la potenza di Dio» (Mt 22, 29). Col tetrarca di Galilea, Erode, non fa proprio complimenti: «Andate a dire a quella volpe...» (cfr Lc 13, 32).
Del resto, la sua franchezza è esplicitamente riconosciuta anche da quelli che gli sono ostili, come i farisei e gli erodiani che una volta così gli si rivolgono: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio» (Mc 12, 14).

 

Libertà  dagli  amici

Si mantiene libero - cosa che è senza dubbio più difficile - anche dalle attenzioni affettuose degli amici quando contrastano con la sua missione.
Il caso più tipico e clamoroso è quello di Pietro. A Cesarea di Filippo l’apostolo si vede elogiato per la sua ispirata professione di fede con espressioni di ineguagliabile esaltazione. Subito dopo, però, quando si permette di distogliere il suo Maestro dalla «via della croce», viene investito da parole durissime: «Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai!”. Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”» (Mt 16, 21-23).
In un’ora di crisi, quando egli viene abbandonato da molti discepoli che non sanno accettare il discorso sulla sua «carne» e sul suo «sangue» proposti come cibo e bevanda, non cede di un punto, non attenua le sue affermazioni spigolose per amore del dialogo e di una «comunione senza verità»: «Gesù disse ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?”» (cfr Gv 6, 67). Che è una delle frasi più drammatiche e meno obliabili pronunciate dal Salvatore.

 

Libertà  dai  giudizi  altrui

Gesù è libero perfino dalla «apparenza della virtù»; vale a dire, non lo preoccupano affatto i giudizi malevoli e manifestamente infondati, che la gente può formulare su di lui. Egli va avanti per la sua strada, anche a prezzo del deterioramento della sua buona fama: «È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori”» (Mt 11, 19).
Si direbbe che ritenga valido anche per sé l’ammonimento che rivolge agli altri: «Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi» (cfr Lc 6, 26).

 

La  sensibilità  dell’ animo

Capita spesso che uno spirito assolutamente autonomo ed emancipato risulti poi anche arido, indifferente ai mali altrui, scarsamente sensibile.
Non è il caso di Gesù: in lui la sovrana libertà, che s’è vista, si disposa a una forte emotività e a una estesa gamma di sentimenti.
Per esempio, di fronte alla strumentalizzazione «teologica» della sventura, non sa frenare la collera, come si vede nell’episodio dell’uomo dalla mano rattrappita che gli viene collocato davanti proprio perché egli lo guarisca in sabato e così lo si possa accusare (cfr Mc 3, 1-6). Allora chiama il poveretto nel mezzo, al cospetto di tutti e, dice il testo originale, gira sui presenti lo sguardo con rabbia (met' ’orgeV,) rattristato (sullupoumenoV), per la durezza del loro cuore.

 

La  compassione

Con molta più frequenza gli evangelisti annotano la sua compassione verso tutte le miserie umane. Lo fanno adoperando costantemente un verbo che nella sua etimologia evoca una commozione anche fisica splagkuixesqai («sentir compassione»), da splagkna («viscere»).
È uno stato d’animo che prende il Salvatore all’udire il lamento accorato dei due ciechi di Gerico (Mt 20, 34: «Gesù si commosse»); al vedere l’angoscia di una madre che segue il funerale del suo unico figlio giovinetto (Lc 7, 13: «Vedutala il Signore ne ebbe compassione e le disse: “Non piangere!”»); nel rendersi conto che c’è una folla affamata (Mc 8, 1: «Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare»); nel contemplare un’umanità dispersa e smarrita (Mc 6, 34: «Vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore»).

 

L’ amicizia

Gesù ha molto vivo il senso dell’amicizia con tutte le sue diverse gradazioni di intensità.
Suoi «amici» egli chiama gli apostoli (cfr Gv 15, 5). Ed è un’amicizia attenta e premurosa, tanto che si preoccupa del loro eccessivo affaticamento: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’» (Mc 6, 31). Tra i Dodici si sente più intimo di Pietro, Giacomo e Giovanni, e li vuole vicini sia nell’ora splendente della Trasfigurazione (cfr Mc 9, 28) sia in quella penosissima del Getsemani (cfr Mc 14, 32-42). Al solo Giovanni è stata attribuita la qualifica: «il discepolo che Gesù amava» (cfr Gv 13, 23; 19, 5; 20, 2; 21, 7.20).
Al di fuori della cerchia apostolica è testimoniato il grande affetto da lui nutrito per i componenti della famiglia di Betania: «Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro» (Gv 11,5).

 

I bambini  e  le  donne

Era nota l’amabilità di Gesù verso i bambini: «Gli presentavano i bambini...perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s’indignò (letteralmente: “non lo poté sopportare” «’hganakthsen») e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio”. E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva» (Mc 10, 13-16).
Manifesta molta gentilezza d’animo verso le donne e più di una volta interviene a loro difesa.
Salva dalla lapidazione la sconosciuta sorpresa in adulterio (cfr Gv 8, 1-11), loda, contro i pensieri maligni del padrone di casa, la peccatrice che durante un banchetto offertogli da un fariseo aveva osato venire a profumarlo e a bagnarlo con le sue lacrime (cfr Lc 7, 36-50); ribatte seccamente a Giuda e agli altri commensali che criticavano Maria, la sorella di Lazzaro, per il suo gesto inatteso e la sua prodigalità: «Lasciatela stare! Perché le date fastidio? Ella ha compiuto verso di me un’opera buona...» (cfr Mc 14, 6).

 

Il  pianto  e  la  gioia

Sono eccezionali in Gesù la solidità psicologica e il dominio di sé. È tranquillo e impavido nel bel mezzo di una tempesta che rischia di rovesciargli la barca (cfr Mc 4, 35-41), così come con impressionante forza d’animo affronta e quasi ipnotizza la folla inferocita di Nazareth che si propone di ucciderlo: «Tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò» (Lc 4, 28-30).
Non è però un imperturbabile gentleman della società vittoriana, che si fa un punto d’onore di non lasciar trapelare all’esterno le proprie emozioni. Al contrario, Gesù non ha alcun ritegno a mostrarsi sconvolto, come per esempio davanti alle lacrime di Maria, la sorella di Lazzaro: «Quando la vide piangere... si commosse profondamente»; anzi «si turbò», precisa l’evangelista (cfr Gv 11, 33). E al pensiero della morte dell’amico, «scoppiò in pianto» anche lui, tanto che i presenti commentano: «Vedi come l’amava» (cfr Gv 11, 35-36).
Contemplando dall’alto Gerusalemme, alla prospettiva della sua distruzione non sa frenare le lacrime: «Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace”» (cfr Lc 10, 42-42).
Ma sa anche entusiasmarsi, lasciandosi contagiare dalla gioia dei discepoli, felici di aver portato a termine la loro prima esperienza di evangelizzazione: «I settantadue tornarono pieni di gioia... In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra”» (cfr Lc 10, 17-21).
Gesù era dunque un uomo che sapeva piangere e sapeva stare allegro. Che sapesse piangere è esplicitamente documentato, come s’è visto; che sapesse anche stare lietamente in compagnia, lo si deduce se non altro dal piacere con cui i pubblicani - che erano di solito gaudenti e bontemponi - l’accoglievano alla loro mensa.
Quando aveva di fronte della gente affaticata ed esausta, provvedeva fattivamente a sostenerla. Ma certo non doveva avere l’abitudine di rovinare la serenità e la giocondità di un convito con riflessioni troppo malinconiche o con richiami intempestivi alla fame nel mondo.
Attenendosi appunto all’esempio del Signore, san Paolo enuncerà per i cristiani la regola aurea di comportamento: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12, 15).

 

La « ebraicità » di  Gesù

Tanta pienezza di umanità potrebbe indurre a ritenerlo un soggetto così superiore e ideale da trascendere ogni catalogazione antropologica e ogni specificazione etnica e culturale: quasi un apolide senza appartenenza e senza nessi. Ma non saremmo nel giusto.
Egli ragiona, parla, agisce da autentico figlio d’Israele. La sua «ebraicità» è fuori discussione. Chi non la cogliesse, non potrebbe dire di aver raggiunto la sua effettiva verità: ne risulterebbe un identikit di Cristo alterato e improbabile.
La mentalità, la concezione generale, il linguaggio del Nazareno sono quelli tipici del suo popolo. Sulle sue labbra le citazioni bibliche tornano spontanee e frequenti. I nomi più noti e più cari ai suoi connazionali - Abramo, Mosè, Davide, Salomone, Isaia, Giona - infiorano con naturalezza i suoi discorsi.
Egli padroneggia la dialettica peculiare dei rabbini e se ne avvale nelle sue dispute, come quando riduce al silenzio scribi e farisei partendo dalla loro stessa interpretazione del salmo 110 (cfr Mc 12, 35-37; Mt 22, 41-46).

 

Lo  stile  semitico

Lo stile dei suoi discorsi è quello dei testi letterari semitici. Perciò le sue frasi sono spesso scandite sullo schema (usuale nella poesia ebraica) del «parallelismo», nelle sue variazioni. Citiamo solo qualche esempio.

 

Parallelismo semplice

«Il discepolo non è da più del maestro / né un servo da più del suo padrone» (Mt 10, 24). «Il calice che io bevo voi lo berrete, / e il battesimo che io ricevo voi lo riceverete» (Mc 10, 39).
Parallelismo antitetico.
«Ogni albero buono produce frutti buoni / e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; / un albero buono non può produrre frutti cattivi / né un albero cattivo produrre frutti buoni» (Mt 7, 17-18).
Parallelismo strofico.
«Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, / è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. / Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti / e si abbatterono su quella casa / ed essa non cadde / perché era fondata sulla roccia. / Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, / è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. / Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti / e si abbatterono su quella casa / ed essa cadde, / e la sua rovina fu grande» (Mt 7, 24-27).

 

Il « cuore »

Anche il cuore di Gesù è un cuore di ebreo. Egli ama in modo particolarmente intenso e privilegiato la sua terra e il suo popolo: alla sua terra e al suo popolo egli si sente primariamente inviato: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 15, 24). Alla sua terra e al suo popolo è destinata la prima provvisoria missione degli apostoli, che ricevono a questo proposito istruzioni limitative precise: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 10, 5-6).
E abbiamo già visto come il pensiero della futura fine della città di Davide lo commuove fino alle lacrime (cfr Lc 10, 41-42).

 

Un  « integrato »

Egli è un israelita osservante, che onora tutte le tradizioni legittime della nazione. Ogni sabato frequenta, come tutti, la sinagoga. Celebra ogni anno la Pasqua secondo il rito prescritto. Paga, come tutti, la tassa a favore del tempio: «Si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: “Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?”. Rispose: “Sì”» (cfr Mt 17, 24-25).
Ogni tanto c’è qualcuno che si compiace di annoverare Gesù tra i rivoluzionari politici o gli agitatori sociali; ma le testimonianze ci persuadono piuttosto del contrario. A volerlo denominare con il vocabolario della moderna ideologia eversiva, si dovrebbe piuttosto qualificarlo un «integrato».
Rispetta ogni ordinamento, persino la prescrizione che attribuiva ai sacerdoti la funzione di autorità sanitaria nell’accertamento della guarigione dei lebbrosi: «Andate a presentarvi ai sacerdoti» (cfr Lc 17, 14). E non intende affatto sostituirsi a chi è preposto all’amministrazione della giustizia ordinaria: «Uno della folla gli disse: “Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”. Ma egli rispose: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”» (Lc 12. 13-14).
La sua «integrazione» è così attesa e totale, che evita di lasciarsi coinvolgere nella contestazione della presenza romana sul suolo giudaico; e anzi riconosce, almeno praticamente, il diritto dell’invasore di imporre la propria moneta e di riscuotere un tributo (cfr Mc 12, 13-17).

 

Il  problema  finanziario

Diversamente da ciò che talvolta è stato affermato, Gesù da buon ebreo non demonizza il denaro. Lo rispetta e si preoccupa anzi di dare alla sua attività una realistica base finanziaria.
La sua piccola comunità ha un cassiere regolarmente designato (cfr Gv 12, 6; 13. 29), e si appoggia a una specie di «istituto per il sostentamento del clero»: «C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni» (Lc 8, 1-3).

 

La  « ricompensa  nei  cieli »

Gesù dimostra la «ebraicità» della sua «forma mentis» persino trattando della vita dello spirito e del rapporto con il Creatore vindice di ogni giustizia.
Egli non si dimentica mai di prospettare il «guadagno» (sia pure un guadagno ultraterreno) come incitamento al bene agire: «Grande è la vostra ricompensa nei cieli» (cfr Mt 5, 2; Lc 6, 23). Si preoccupa di informarci che il Dio vivo e vero non è un seguace dell’etica kantiana; e dunque non ritiene che il disinteresse sia la connotazione essenziale e necessaria della bontà morale di un comportamento: «Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (cfr Mt 6, 4.6.17).

Tratto da:   L'OSSERVATORE ROMANO  19 novembre 1999

Postato da: giacabi a 18:52 | link | commenti
gesù, biffi

giovedì, 28 dicembre 2006

Questo “non avere Cristo
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L’alba meridionale da Poesia in forma di rosa
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<< Manca sempre qualcosa, c’è un vuoto/
 in ogni mio intuire. Ed è volgare/
Mai fui così volgare come in questa ansia,/ questo “non avere Cristo” una faccia/
che sia strumento di un lavoro non tutto/
sperduto nel puro intuire in solitudine,/ amore con se stessi senza altro interesse / che l’amore,…»
Pier Paolo Pasolini

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