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domenica 12 febbraio 2012

Gesù2


Cristo solo uomo non sarebbe il salvatore ***

 

"Su Cristo, potete discutere, non essere d’accordo… tutte queste discussioni sono possibili e il mondo è pieno di esse, e a lungo ancora ne sarà pieno.
Ma io e voi, Šatov, sappiamo che sono tutte sciocchezze,
che Cristo – in quanto solo uomo – non è Salvatore e fonte di vita, e che la sola scienza non completerà mai ogni ideale umano e che la pace per l’uomo, la fonte della vita e la salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini, la condizione sine qua non e la garanzia per l’intero universo si racchiudono nelle parole: ‘Il Verbo si è fatto carne’ e nella fede in queste parole".

F. Dostoevskij scrisse in un appunto per I demoni:
(da F.Dostoevskij, citato dal card. Giacomo Biffi nella catechesi “La fede di Pietro e la nostra fede” del 20 ottobre 2000, nella chiesa di San Gregorio VII, durante il pellegrinaggio giubilare a Roma)

da: http://www.gliscritti.it/





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dostoevskij, gesù

lunedì, 14 dicembre 2009

Volle essere bambino ***



Volle essere bambino,
perché tu potessi diventare uomo perfetto;
egli fu costretto in  fasce,
 perché tu fossi sciolto dai lacci della morte;
egli fu nella stalla,
 per porre te sugli altari;
 egli fu in terra,
 affinché tu raggiungessi le stelle
S. Ambrogio


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natale, gesù, sambrogio

domenica, 13 dicembre 2009

Gesù
***
«Al di là di ciò che ognuno possa personalmente pensare o credere di lui, Gesù di Nazaret è stato per quasi venti secoli la figura dominante nella storia della cultura occidentale».
Jaroslav Pelikan

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gesù


Gesù
***
 « L’umanità di Cristo è spinta da una tale forza interiore che per essa la metafora divina è ai limiti della metaforicità,  fino ad essere idealmente una realtà.».  

P.P. Pasolini. (Lettera al produttore del film Il vangelo secondo Matteo).


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pasolini, gesù


Gesù
***
 «Cristo ci ha collocati di fronte al mistero, ci ha posti definitivamente nella situazione dei suoi discepoli di fronte alla domanda: Ma voi, chi dite che io sia?».  

Mario Pomilio


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gesù


Gesù
http://www.cinquepani.it/images/fotocalen/GesuSSofiaR05.jpg
***
«In Gesù non venne inchiodato sulla croce un fanatico inoffensivo ma fu l'avvento di un uomo che inverte i valori del mondo presente».

ERNST BLOCH


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gesù

martedì, 27 ottobre 2009


Sono nato nudo, dice Dio,
Perché tu sappia spogliarti di te stesso.
Sono nato povero,
Perché tu Possa considerarmi l'unica ricchezza.
Sono nato in una stalla,
Perché tu impari uno santificare ogni ambiente.
Sono nato debole, dice Dio,
Perché tu non abbia mai paura di me.
Sono nato per amore,
Perché tu non dubiti mai del mio amore.
Sono nato di notte,
Perché tu creda che posso illuminare qualsiasi realtà.
Sono nato persona, dice Dio,
Perché tu non abbia mai a vergognarti di Essere te stesso.
Sono nato uomo
Perché tu possa essere "Dio".
Sono nato perseguitato,
Perché tu sappia accettare le difficoltà.
Nella semplicità Sono nato,
Perché tu smetta di essere complicato.
Sono nato nella tua vita, dice Dio,
 per portare tutti alla casa del Padre.
Lambert Noben

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preghiere, gesù

martedì, 20 ottobre 2009

***
Un avvenimento, un uomo, che si dice Dio: "Io sono la via, la verità e la vita", io sono Dio, io sono il Mistero che fa tutte le cose, sono il principio, io sono lo scopo di tutto, io sono il senso delle tue aspirazioni alla felicità, alla verità, alla giustizia, all'amore, che costituiscono il nucleo del tuo io, il tuo cuore. La nostra religiosità naturale si imbatte in un avvenimento della storia in cui un uomo, nato dalle viscere di una ragazza di quindici o sedici anni, dice, diventato più grande: "Io sono Dio".
Luigi Giussani

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dio, gesù

giovedì, 24 settembre 2009

 Gesù è misericordia
***

 Gesù si rivolge a noi e si fa "incontro" per noi, chiedendoci una cosa sola: non "che cosa hai fatto", ma "mi ami? ". Occorre una potenza infinita per essere questa misericordia, una potenza infinita dalla quale - in questo mondo terreno, nel tempo e nello spazio che ci è dato di vivere, negli anni, pochi o tanti che siano - noi nutriamo, attingiamo letizia. Perché un uomo, con la coscienza di tutta la sua pochezza, è lieto di fronte all'annuncio di questa misericordia: Gesù è misericordia. Egli è mandato dal Padre per farci conoscere che l'essenza di Dio ha come caratteristica suprema per l'uomo la misericordia.
Don Luigi Giussani

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gesù, giussani

martedì, 22 settembre 2009

 Gesù
***
  Goethe afferma. “Gesù rimarrà sempre un  problema per chi pensa”; Pascal dice: Gesù rimarrà sempre un mistero per chi crede”. Esiste dunque il “problema-mistero” di Gesù che si compenetrano.
Io ho esaminato, in logica pura, pensando il pro e il contro, le possibili soluzioni allo scopo di rendere la scelta di ciascuno più lucida e più libera. Ma mentre l’intelligenza sviscera  il problema e pone l’alternativa,il cuore ha già scelto. Pro o contro. Il cuore degli uni si chiude perché è tutto assurdo; il cuore degli altri s’apre, perché tutto è sublime. Io ho risolto favorevolmente. Smetto di esercitare lo spirito critico e medito sulla Persona piena di mistero tratteggiata dai quattro Vangeli
Jean Guitton, l’Evangelo nella mia vita


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gesù, guitton

lunedì, 06 luglio 2009

Cristo se non è contemporaneo non opera su di noi
 ***
Che Dio sia diventato uomo per aiutare gli uomini a ridiventare uomini non è semplicemente un fatto di 2000 anni fa. E’ cominciato 2000 anni fa, ponendo l’inizio di una memoria che riempie il presente: riempie il presente rendendo presente il passato. Vale a dire, è incominciato 2000 anni fa, ma è un avvenimento che accade e mi investe ora, è un problema di oggi. Si chiama avvenimento l’immettersi dentro l’esperienza di un fattore nuovo: Cristo è il fattore nuovo entrato nella storia 2000 anni fa, Cristo è il fattore nuovo che entra nella mia giornata oggi, mi rende capace di camminare verso il destino, mi permette di ridiventare uomo oggi. Oggi, perché devo essere uomo oggi. Come diceva Kierkegaard, l’ideale non può che essere contemporaneo:L’unico rapporto che si può creare con la grandezza (cioè con Cristo, Dio fatto uomo) è la contemporaneità”. Non si può essere in rapporto con Cristo se non ora. Se non è contemporaneo non opera su di noi. L’avvenimento di duemila anni fa è un avvenimento che continua. E’ un inizio di ogni giorno e di ogni ora, è qualcosa di nuovo che incontri ora, altrimenti non è stato vero neanche allora. Soltanto che non ha la forma di un bell’uomo, come facilmente ci adagiamo ad immaginare – un bell’uomo che incontriamo per la strada, cui si può star seduti vicino, e guardarlo e sentirlo parlare ed esser commossi di quel che dice, che ci tocca l’occhio cieco e ci fa vedere. No! Ha un’altra forma, come l’uomo che nasce bambino, e poi si sviluppa, e il suo faccino grazioso s’ingrandisce e si modifica in ogni sua parte. Così, il modo con cui Egli è presente ora, il modo con cui l’avvenimento di Cristo diventa presente ora, è l’introdursi nella nostra vita di una presenza umana diversa.
Gesù Cristo, quell’uomo di 2000 anni fa, si cela, diventa presente, sotto la tenda, sotto l’aspetto di una umanità diversa. L’incontro, l’impatto, è con una umanità diversa, che ci sorprende perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce l’aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è reperibile altrove. La diversità umana in cui Cristo diventa presente sta propriamente in ciò: nella maggior corrispondenza, nell’impensabile e impensata corrispondenza maggiore di questa umanità in cui ci imbattiamo, alle esigenze del cuore – alle esigenze della ragione. Quest’imbattersi della persona in una diversità umana è qualcosa di semplicissimo, di assolutamente elementare, che viene prima di tutto, prima di ogni catechesi, riflessione e sviluppo: è qualcosa che non ha bisogno di essere spiegato, ma solo di esser visto, intercettato, che suscita uno stupore, desta una emozione, costituisce un richiamo, muove a seguire, in forza della sua corrispondenza all’attesa strutturale del cuore. L’imbattersi in una presenza di umanità diversa viene prima e non solo all’inizio, ma in ogni momento che segue l’inizio: un anno o vent’anni dopo.
mons. Luigi Giussani Appunti da una conversazione di con alcuni universitari di Milano  Febbraio 1993


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chiesa, gesù, giussani

sabato, 02 maggio 2009

Ultima scoperta sulla Sindone
*** 

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gesù

lunedì, 13 aprile 2009

Gesù mi ha sorpreso

***
Io che sono vicina alla morte,
io che sono lontana dalla morte,
io che ho trovato un solco di fiori
che ho chiamato vita
perchè mi ha sorpreso,
enormemente sorpreso
che da una riva all'altra
di disperazione e passione
ci fosse un uomo chiamato Gesù.
Io che l'ho seguito senza mai parlare
e sono diventata una discepola
dell'attesa del pianto,
io ti posso parlare di lui.
Io lo conosco:
ha riempito le mie notti con frastuoni orrendi,
ha accarezzato le mie viscere,
imbiancato i miei capelli per lo stupore.
Mi ha resa giovane e vecchia
a seconda delle stagioni,
mi ha fatta fiorire e morire
un'infinità di volte.
Ma io so che mi ama
e ti dirò, anche se tu non ci credi,
che si preannuncia sempre con una
grande frescura in tutte le membra
come se tu ricominciassi a vivere
e vedessi il mondo per la prima volta.
E questa è la fede, e questo è lui,
che ti cerca per ogni dove
anche quando tu ti nascondi
per non farti vedere.
Alda Merini



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gesù

sabato, 11 aprile 2009

Tu ci sei necessario
***

O Cristo, nostro unico mediatore,
Tu ci sei necessario
per entrare in comunione con Dio Padre.

Tu ci sei necessario,
o solo vero MAESTRO,
per conoscere il nostro essere
e il nostro destino,
e la via per conseguirlo.

Tu ci sei necessario,
o Redentore nostro,
per scoprire la nostra miseria e per guarirla,
per deplorare i nostri peccati
e per averne il perdono.

Tu ci sei necessario,
o grande paziente dei nostri dolori,
per conoscere il senso della nostra sofferenza
e per dare ad essa un valore
di espiazione e di redenzione.

Tu ci sei necessario,
o vincitore della morte,
per liberarci dalla disperazione
e per avere certezze che non tradiscono in eterno.

Tu ci sei necessario,
o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi,
per IMPARARE l'amore vero
e per camminare nella gioia
e nella forza della Tua carità,
lungo il cammino della nostra via faticosa,
fino all'incontro finale
con Te amato,
con Te atteso,
con Te benedetto nei secoli.

( PAOLO VI )


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gesù, paolovi

sabato, 21 marzo 2009

IL SUDARIO DI OVIEDO
***

  
"Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, era piegato in un luogo a parte"(Gv, 20,6-7). 

Nella Cattedrale di Oviedo, nella Spagna settentrionale, è custodito uno scrigno d'argento contenente un sudario che si ritiene essere quello che Pietro trovò piegato in un luogo a parte nel sepolcro di Gesù, "il suda­rio che gli era stato posto sul capo". Questo reperto poco noto - chiamato "Sudario di Oviedo", "Volto Santo" o "Sudario" - potrebbe essere la chiave di lettura per svelare il mistero della ben più nota Sindone di Torino, offrendo da un lato una prova a sostegno dell'autenticità della Sindone e dall'altro nuove e dettagliate informazioni sulla passione, la morte e la sepoltura di Gesù.

La storia del Sudario di Oviedo è ancora in corso di svolgimento, dopo aver recentemente ricevuto nuovo vigore dalle ricerche storiche e scien­tifiche effettuate dal Centro Spagnolo di Sindonologia che avviò nel 1989 un approfondito studio inter­disciplinare del Sudario e ha ora cominciato a pubblicare i risultati.
Come il Sudario è arrivato a Oviedo
Si pensa che, dopo aver trovato il sudario nella tomba, S. Pietro lo prese in custodia, forse utilizzandolo come mezzo di guarigione durante le preghiere. Successivamente fu nascosto in una grotta per proteggerlo e, più tardi ancora, riposto in uno scri­gno d'argento con altri reperti e venerato dai primi cristiani. Questo "scrigno sacro" restò a Gerusalemme, o perlomeno in Palestina, per quasi seicento anni. Quando Gerusalemme fu invasa dai persiani nel 614 d.C., i cristiani si diedero alla fuga portando lo scrigno ad Alessandria, quindi nel Nord Africa e infine in Spagna, giungendo a Cartagena. Da lì fu portato a Siviglia e consegnato a S. Isidoro, quindi, poco dopo la sua morte, trasferito a Toledo.

Nel 711 i mori invasero la Spagna, devastando in breve tempo tutto il territorio.

I cristiani in fuga portarono per sicurezza ciò che essi chiamavano l'Arca Santa (lo scrigno sacro) verso nord, sulle montagne asturiane, nascondendolo in un eremitaggio sul Monsacro, una montagna a 10 chilo­metri da Oviedo. Nel 840 il re Alfonso li lo fece trasportare da Monsacro alla Camara Santa (la Camera Sacra), una cappella appositamente costruita per salvaguardare lo scrigno e i reperti in esso contenuti. Nel corso degli anni i vari re asturiani che si succedettero donarono alla cappella numerosi altri reperti e oggetti preziosi, tra cui la Croce della Vittoria che Don Pelayo fece elevare dopo la vittoria di Covadonga, il luogo della sconfitta dei Mori e punto di partenza per la ricon­quista cristiana della Spagna.

Una data chiave nella storia del Sudario è il 13 marzo 1075. Nello stesso giorno l'Arca Santa fu ufficialmente aperta alla presenza di re Alfonso VI, sua sorella, alcuni vescovi e di El Cid, il leggendario eroe militare spagnolo. Fu fatto un inventario del contenuto dello scrigno, del quale resta una copia risalente al XIII secolo conservata negli archivi della Cattedrale di Oviedo. Successivamente Alfonso VI fece rivestire d'argento lo scrigno di legno, facendo inoltre incidere in latino sul margine attorno al coperchio l'elenco delle principali reliquie custodite all'interno. In quell'elenco si legge chiaramente: "Del Sepolcro del Signore e del Suo Suda­rio e del Suo Santissimo Sangue".

In seguito a questa dichiarazione ufficiale delle reliquie custodite nel Sacro Scrigno, Oviedo divenne un'importante meta per i pellegrini sulla strada per Santiago de Compostela. Nel XIV secolo, quando fu eretta la grande cattedrale gotica di San Salvador di Oviedo, la Camara Santa fu inglobata al suo interno e lì rimase anche lo scrigno, chiuso, con i pellegrini che dovevano accontentarsi di toccarlo o di baciarlo.

A metà del XVIII secolo, quando Filippo II commissionò un inventario delle reliquie di Oviedo, lo scrigno venne aperto ufficialmente e i suoi preziosi contenuti visionati. Qualche tempo dopo, ebbe inizio la tradizione di esporre pubblicamente il Sudario nella cattedrale tre volte all'anno.

Nel 1965 il sacerdote italiano e stu­dioso della sindone, padre Giulio Ricci, intraprese uno studio scienti­fico del Sudario per cercare di stabi­lirne il legame con la Sindone di Torino. Ne derivarono altre ricerche finché, alla fine degli anni Ottanta, si giunse alla fondazione del Centro Spagnolo di Sindonologia (CES), dove studi approfonditi effettuati sul Sudario stanno dando risultati affascinanti.

Cosa rivela il Sudario di Oviedo
Utilizzando gli strumenti della moderna medicina legale, gli scien­ziati del CES sono riusciti ad estra­polare rivelazioni sorprendenti da questo piccolo pezzo di stoffa: l'età, il percorso seguito per giungere in Spagna, la causa della morte della persona di cui aveva coperto il volto, il fatto che è stata avvolta e successivamente riavvolta per due volte attorno al capo del cadavere.
Il panno è di lino con trama a taffettà, della dimensione di circa cm 53 x 86, un tempo bianco ma ora macchiato, sporco e sgualcito. I soli segni visibili ad occhio nudo sono delle macchie marroncino chiaro di varia intensità. Al microscopio, ovviamente, si può vedere molto di più: macchie più confuse, granelli di polline, tracce di aloe e mirra, ecc.

Gli scienziati del CES hanno accertato che il panno era stato posto sul viso di un defunto di sesso maschile, ripiegato, ma non nel mezzo, e appuntato dietro alla testa. Il panno non era stato avvolto interamente attorno alla testa perché la guancia destra era quasi appoggiata sulla spalla destra, il che lascia supporre che il corpo fosse ancora sulla croce.

Vi è poi una quadruplice serie di macchie (ovvero macchie speculari su entrambi i lati del panno ripiegato) composte da una parte di sangue e da sei parti di liquido edematico polmonare, una sostanza che si accumula nei polmoni quando una persona crocefissa muore di asfissia e che, se il corpo viene mosso o scosso, può fuoriuscire dalle narici. Alcune macchie risultano essere sovrapposte ad altre, i cui margini restano chiaramente individuabili, a significare che la prima macchia era già asciutta quando si è formata quella successiva.

Alcune di queste macchie sono a forma di dita, chiaramente disposte nella parte attorno alla bocca e al naso. Sono state individuate sei posizioni diverse di varie dita di mano sinistra, probabilmente determinati da qualcuno che stava cercando di arrestare il flusso di sangue dal naso dopo che il panno era stato avvolto sulla testa della vittima.

La disposizione e la successione delle macchie suggeriscono una probabile cronologia dei fatti. Il cadavere deve essere rimasto sulla croce per circa un'ora dopo la morte, con il braccio destro piegato in alto e la testa incli­nata in avanti riversa sulla destra. Il corpo, con il capo ancora piegato verso destra, è poi stato spostato e adagiato in posizione orizzontale sul fianco destro per circa 45 minuti. Quindi è stato spostato di nuovo, mentre qualcuno (l'apostolo Giovanni?) cercava di arginare con la mano il flusso di liquido che fuoriusciva dal naso. Infine è stato disteso supino.

Oltre alle macchie di liquido edematico ve ne sono di altri tipi, tra cui puntini di sangue causati da piccoli corpi appuntiti, che si ritengono essere stati spine.

II Sudario e la Sindone di Torino
La storia del Sudario di Oviedo è ben documentata e molto più chiara di quella della Sindone di Torino. Molte delle informazioni al riguardo derivano dalle opere storiche di Pelagio, vescovo a Oviedo nel XII secolo, che ha ricostruito l'itinerario del Sudario dalla Palestina attraverso il Nord Africa fino in Spagna, un itinerario che è stato corroborato dagli attuali studi sui pollini. Esistono inoltre numerosi altri documenti ed attestano che la reliquia è sempre rimasta in Spagna a partire dal XVII secolo.

Se i dati scientifici sui due paramenti funebri, il Sudario e la Sindone, riuscissero dimostrare che entrambi sono stati in contatto con lo stesso uomo, ciò rafforzerebbe l'autenticità della seconda, che ha un'origine controversa e molto meno ben documentata (e che la datazione al carbonio radioattivo ha fatto risalire al XIV secolo).

La prima e più evidente coincidenza è che il sangue del Sudario e della Sindone appartengono allo stesso grup­po, l'AB, un gruppo molto comune in Medio Oriente, ma raro in Europa. Ancora più affascinante è il fatto che le macchie di sangue sul Sudario mostrano una notevole corrispondenza con quelle della Sindone. Ci sono oltre settanta macchie di sangue corrispondenti nella zona del volto e oltre cinquanta sulla nuca e sul collo.

Le macchie del Sudario sono più estese, soprattutto nella parte corrispondente alla bocca e al naso, il che indica che il Sudario è stato posto sul corpo la prima volta quando il sangue era ancora più fluido. Ciò è conforme alla pratica ebraica di coprire il volto del deceduto con una piccola pezza, in segno di rispetto, durante i preparativi per la sepoltura, nel caso il viso fosse sfigurato o ferito. Il panno veniva poi tolto prima di avvolgere il corpo, ma veniva comunque messo nella tomba perché intriso di sangue (nella tradizione ebraica si riteneva che la vita fosse contenuta nel sangue e quindi qualsiasi cosa che ne contenesse veniva sepolta con il corpo).

Sul Sudario le macchie nella zona del viso sono disposte senza interruzione da una parte all'altra dell'attaccatura laterale dei capelli, diversamente dalle macchie del volto impresso sulla Sindone, che presenta zone prive di macchie su ciascun lato del viso in corrispondenza del bendaggio sottomento che incorniciava la faccia. Sappiamo pertanto che, in conformità con le usanze ebraiche, il Sudario è stato prima appoggiato sul capo e poi tolto prima di legare il bendaggio sottomento al suo posto. Infine, poiché sul Sudario non ci sono impresse immagini del corpo, sappiamo che non è stato rimesso sul viso, ma è invece stato depositato nella tomba separatamente.

Il naso visibile sia sulla Sindone che sul Sudario ha, secondo le misurazioni effettuate, una lunghezza di otto centimetri. Su entrambi i panni il naso è gonfio e un po' spostato verso destra e le cavità nasali contengono un'elevata quantità di sporci­zia e polvere. Questo è plausibile nel caso in cui la vittima, già indebolita, avesse avuto le braccia legate ai pesanti bracci orizzontali della croce e quindi, cadendo sotto questo peso, non avrebbe potuto proteggersi il viso nella caduta.

Queste sono solo alcune delle corrispondenze accertate finora, alcune delle quali sono di natura molto tecnica e quindi difficili da comprendere per le persone comuni. C'è da aspettarsi che, mano a mano che i. risultati delle ricerche ancora in corso verranno resi pubblici, ci saranno altre sorprendenti rivelazioni.

Esposizione pubblica del Sudario
Solo tre giorni all'anno il Sudario viene tirato fuori dal suo scrigno d'argento nella Camara Santa ed esposto per la benedizione pubblica durante una messa celebrata sull'altare maggiore della cattedrale. Ciò che vede il pubblico è il rovescio del Sudario (non il lato che è stato in contatto con il volto di Gesù) cucito su una base di pezza bianca montata a sua volta su un telaio e racchiusa in una cornice d'argento. I tre giorni in cui viene esposto il Sudario sono sempre gli stessi ormai da secoli: il Venerdì Santo e il primo e l'ultimo giorno del Giubileo della Santa Croce, cioè il 14 settembre (la festa della Santa Croce) e il 21 settembre (festa di S. Matteo). In altri periodi dell'anno il Sacro Scrigno e altre reliquie possono essere ammirati solo attraverso la griglia d'acciaio della Camara Santa. Nel corso del Giubileo del 2000, per il crescente interesse nei confronti del Sudario, nella cattedrale è stata allestita un'esposizione fotografica che metteva in luce i risultati delle ricerche effettuate dal CES. Da allora nella cappella è esposta una riproduzione del Sudario a grandezza naturale.

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gesù, il sudario di oviedo

mercoledì, 04 marzo 2009

Cristo, parola definitiva e sempre nuova sulla storia
***


Nel mondo come nell'individuo, il Dio cristiano è insieme Colui che il mondo non sfiora - noli me tangere - e Colui che gli è più intimo di se stesso - intimius intimo suo -.Non è soltanto un principio immobile cui tutto si volge; è il maestro che «conduce la creatura per gradi di perfezione (de Lubac), e lo fa [...] con una sorta di evoluzionismo sovrannaturale, che coinvolge nella propria azione tutta l'opera della natura. L'incarnazione non ha ritardato che per attendere che l'uomo avesse fatto lunga e molteplice esperienza della miseria umana e sentita l'esigenza di un Redentore ed insieme, attraverso la parola dei Profeti ed anche dei Sapienti, si fosse come «assuefatto alla Divinità», secondo l'espressione audace di sant'Ireneo, che ancora più audacemente aggiunge che anche il Verbo doveva in qualche sorta assuefarsi ai nostri modi. E vi è ritardo nella Parusia, perché l'uomo dee ve assimilare progressivamente, per così dire, sviluppare il Cristo. [...]
Il Cristo è venuto e ha dato il suo senso alla storia. Il mondo non giuoca ai dadi il proprio avvenire: esso è già salvato, e gli sono state rivelate le condizioni della salvezza. La storia non è eterna, c'è una fine della storia, del mondo, del tempo. Il cristianesimo non è suscettibile di superamento. In altri termini, non è soltanto progressivo, è escatologico. Progressivo ed escatologico: la complessità dell'esegesi storica cristiana sta tutta in questo collegamento. Si ode spesso oggi contrapporre ad una concezione progressista della storia un ritorno al senso apocalittico della fede. Parrebbe che si dovesse optare tra un mondo che procede per gradi verso la perfezione e un mondo che si troverebbe come sospeso in un'eternità più immobile dei suoi movimenti, più minacciosa delle sue speranze, e in cui l'angoscia della fine, imminente ad ogni istante, avrebbe più valore della promessa sempre offerta dei giorni. È questo un rompere l'antinomia vivente, che è appunto il nodo della concezione cristiana d'una storia escatologica [...].
[È] ingiusto ritenere, insieme all'esistenzialismo ateo, che col dare un termine alla storia, il progresso cristiano sopprima quella piena disponibilità verso tutto il possibile, che fa la grandezza tragica dell'avventura umana. Certamente, tutto non è possibile in un universo, il cui destino spirituale è fissato. Ma quando quel destino dipende dalla quarta dimensione di una liberalità infinita, si ha il diritto di pensare che le sue realizzazioni nelle dimensioni dell'esistenza siano anch'esse aperte a possibilità infinite, in seno alloro duplice condizionamento sovrannaturale ed empirico.
L'indefinito del procedere è sostituito, nella visione cristiana, da un indefinito o, con più proprietà, da un infinito di sovrabbondanza, per chi accetti di porsi nelle condizioni della sovrabbondanza. Perciò, che in certo senso tutto si sia compiuto con l'incarnazione del Cristo non distrugge il valore della durata, il suo coefficiente di novità incessante. La trascendenza del Cristo dovrebbe essere una trascendenza pietrificata od avara perché la storia, dopo di Lui, non avesse a portarci più nulla di sostanziale, come sembrano talora asserire le affermazioni di Barth. Egli è venuto perché«ricevessimo la vita e la ricevessimo sovrabbondante». Quando Egli traccia il campo della storia, non pone limiti, rende liberi, non ferma la vita, feconda.
Emmanuel MOUNIER (1905-1950)

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gesù, mounier

martedì, 24 febbraio 2009


Gesù Cristo
***

GIULIANO: - Tu non puoi comprendere, tu che non sei mai stato sotto il giogo dell'Uomo-Dio. Quello che Egli ha divulgato per il mondo è più che una dottrina: è una malìa che incatena le anime. Chi una volta ne ha subito il fascino, credo che non potrà liberarsene più.
MASSIMO: - Perché tu non vuoi usare tutta la tua volontà.
GIULIANO: - Come volere l'impossibile?
MASSIMO: - E varrebbe la pena di volere il possibile?
GIULIANO: - Frasi delle scuole di filosofia! Con questa roba non fate più presa su di me. Eppure -Oh, no, no, Massimo! Voi non potete comprendere!. Noi siamo come vigne trapiantate in un terreno nuovo, diverso dal nativo; ripiantateci nel vecchio e moriremo; e tuttavia in questo nuovo, non possiamo attecchir bene…
MASSIMO: - Noi? Chi intendi con questo noi?
GIULIANO: - Tutti coloro che sono soggiogati dal terrore della rivelazione.
GIULIANO: - (...) Imperatore e Galileo! Come fondere questa contraddizione? Sì; Gesù Cristo è il più grande sovvertitore che sia mai venuto al mondo. Cos'era Bruto, cos'era Cassio in suo confronto? Costoro non uccisero che un Giulio Cesare: ma Colui uccide l'essenza stessa di Cesare. O di Augusto. Si può concepire un accordo fra l'Imperatore e il Galileo? C'è posto sulla terra per l'uno e per l'altro? Perché Egli vive su questa terra, Massimo. - Il Galileo vive, ti dico, anche se Ebrei e Romani han creduto d'averlo ucciso. Vive nel cuore ribelle degli umani; vive nel dispregio e nella sfida verso qualunque potere visibile. «Dà a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio». Mai da labbra umane usci un detto più insidioso! Che nasconde? E cosa spetta all'Imperatore e quanto? Pare una mazza per schiacciare la corona sul capo dell'Imperatore! (...)
Val la pena di vincere? Cosa ci han guadagnato un Alessandro di Macedonia o un Giulio Cesare? I Greci e i Romani ricordano con fredda ammirazione le loro glorie, mentre l'altro - il Galileo, il figlio del falegname - trionfa nei cuori umani, caldi di fede, come il re dell'amore. Dove si trova Egli ora? Dopo ciò che avvenne sul Golgota, continua ad esercitare la sua, missione? Ho sognato di Lui, recentemente. Nel sogno, avevo assoggettato tutto il mondo, e dato l'ordine che il ricordo del Galileo fosse cancellato dalla terra e l'ordine era stato eseguito. Allora vennero a me gli spiriti e mi servirono; mi mettevano ali alle spalle; io volai nello spazio infinito fino a che posai piede su un'altra terra. Era una terra diversa dalla mia. L'orizzonte era più vasto, e la luce più dorata, e molte lune le giravano intorno. Rivolsi allora lo sguardo giù sulla mia terra, la terra dell'Imperatore, che io avevo liberata dal Galileo; - e pensavo di aver fatto bene ciò che avevo fatto. Ma allora, o mio Massimo, allora, su quella terra straniera in cui mi trovavo, cominciò a sfilarmi davanti un corteo. C'erano, in testa, e guerrieri, e giudici e carnefici, e donne seguivano piangenti. E, - senti! - in mezzo a quella turba che avanzava lentamente, c'era il Galileo vivo - Lui che portava sulle spalle una croce. Allora io, gridando, gli chiesi: «Dove vai, o Galileo? » Egli volse il viso verso di me, sorrise, fece un lento cenno di testa e disse: «Al Calvario!» - Dove è Egli ora? E se quella faccenda sul Golgota, là vicino a Gerusalemme, non fosse stata che una cosa contingente qualunque, una cosa compiuta - per dir così - a tempo perso? E se Egli invece continuasse ad andare e andare - soffrire - morire - e vincere, vincere sempre, da una terra all'altra?
HENRIK IBSEN  Da Giuliano l’Apostata


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gesù, ibsen

lunedì, 23 febbraio 2009

La solitudine sulla terra
***

“L'Onnipotente è vinto. Egli non può! Ha creato cielo e terra e non può vincere questa semplice creatura che rifiuta! Questo fanciullo, non vi è speranza, non lo conquisterà mai. Quella scintilla di Se Stesso nell'intimo del ribelle, non la riprenderà più. Non Lo vogliono. Mostra agli uomini l'inferno, e gli uomini ridono. Una minaccia vecchia. Indica agli uomini il cielo e la terra, e gli uomini non vogliono. Lui Stesso scende sulla terra, Lui Stesso si offre, si cinge i fianchi, si prosterna ai nostri piedi, li prende, li bacia, li bagna con le sue lacrime. Gli uomini lo respingono con orrore, con odio, con ironia, o lo respingono - ed è, questa, la peggiore offesa con annoiata sufficienza, sbadigliando, con esasperata mollezza. Non pensano valga neppure la pena di discutere. «Ma via! Quando la smetterà! Ne abbiamo abbastanza di queste storie! Basta! Che ci lasci in pace! »E ora il Figlio di Dio è sulla croce. Affronta la prova suprema, e da ogni parte viene attaccato: ed Egli si strazia, il costato si fende, il cuore è allo scoperto e pare quasi che sgorghi dal petto. Ma sul viso dello spettatore, un viso che noi conosciamo, appare appena una smorfia di disgusto. «Che ora è?»

Paul Claudel

da: http://www.jesuschrist.it/


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gesù, claudel

domenica, 22 febbraio 2009

Su Gesù
 ***

Non sarà meno un enigma questo foglio
di quelli dei Miei libri sacri
nè di quegli altri che ripetono
le bocche ignoranti
credendoli di un uomo, non specchi
oscuri dello Spirito.
Io che sonol'E', il Fu e il Sarà
accondiscendo di nuovo al linguaggio
che è tempo successivo ed emblema.
Chi gioca con un bambino gioca con qualcosa
di vicino e di misterioso;
io ho voluto giocare con i Miei figli.
Sono stato fra loro con stupore e tenerezza.
Per opera di una magia
nacqui stranamente da un ventre.
Vissi stregato, incarcerato in un corpo
e nell'umiltà dell'anima.
Ho conosciuto la memoria,
quella moneta che non è mai la stessa.
Ho conosciuto la speranza e il timore,
quei due volti dell'incerto futuro.
Ho conosciuto la veglia, il sonno, i sogni,
l'ignoranza, la carne,
i goffi labirinti della ragione,
l'amicizia degli uomini,
la misteriosa devozione dei cani.
Sono stato amato, capito, elogiato e fui appeso a una croce.
Ho bevuto il bicchiere fino alla feccia.
Ho visto con i Miei occhi quello che non avevo mai visto:
la notte e le sue stelle.
Ho conosciuto il levigato, il sabbioso, il disuguale, l'aspro,
il sapore del miele e della mela,
l'acqua nella gola della sete,
il peso di un metallo sul palmo,
la voce umana, il rumore di alcuni passi sull'erba,
l'odore della pioggia in Galilea,
l'alto grido degli uccelli.
Ho conosciuto anche l'amarezza.
Ho commissionato questo scritto a un uomo qualunque;
non sarà mai quello che voglio dire,
non farà a meno di essere il suo riflesso.
Dalla Mia eternità cadono questi segni.
Che un altro, non colui che adesso è il suo amanuense, scriva la poesia.
Domani sarò una tigre fra le tigri
e predicherò la Mia legge alla loro selva,
o un grande albero in Asia.
A volte penso con nostalgia
all'odore di quella falegnameria.

( Jorge Luis Borges )
 

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gesù


Cristo:
l'Uomo più grande esistito finora sulla terra
***

Tu mi rispondi che Cristo non è cultura. E che perciò non si possa farlo valere come cultura? Che non si possa farlo contare per chi non è suo fedele? Che non si possono combattere ed eliminare, con Lui, le sofferenze terrene di chi è Suo fedele e di chi non è Suo fedele?
Tu vedi, io uso le maiuscole scrivendo di Lui, come se anch'io credessi alla Sua divinità, oltre che alla Sua umanità. Nella mia infanzia ho creduto anch'io alla Sua divinità. Andavo a messa, mi confessavo, mi comunicavo.
Avevo già venti anni l'ultima volta che mi sono confessato e comunicato. Poi ho smesso di credere nella Sua divinità, ma per cominciare a credere nella Sua umanità. Ora credo che l'Uomo più grande esistito finora sulla terra sia Lui; e che nulla di quanto gli uomini hanno pur detto di più nuovo e concreto, o anche di più utile, dopo di Lui, sia stato ancora detto in contrasto con Lui.
Inoltre sono pieno di riverenza per la fede che tante generazioni di uomini hanno potuto avere in Lui, e per i riti stessi con i quali hanno espresso, generazioni e generazioni, questa loro fede in Lui.

Ma sento che Cristo non ha perduto importanza, dentro di me, da quando ho smesso di credere nella Sua divinità; e che anzi ne ha guadagnata. Egli è diventato più importante per me, come cultura, di quello che prima non fosse, per me stesso, come « via dell'altra vita ». Prima le Sue parole erano per me verità rivelata, ed ora sono verità cercata, sono scienza, sono esperienza. Qual è il valore che prima avevano per me? Erano un insegnamento per me solo; la « via» tra me e lui. E ora sono una via, fatta di Lui stesso, tra me e tutti gli uomini. Ora hanno un. posto, per me, nella storia, hanno un tempo, hanno un senso che riguarda la società degli uomini; e hanno bisogno di seguito e di sviluppo come ogni cosa viva che è nella storia. Era più grande il posto che prima avevano, per me, solo nell'« eternità» della mia anima?
VITTORINI ELIO (1908-1965)  dal ‘Politecnico’



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gesù


Ai piedi di Cristo
***

M'ha ferito, mio Dio, il tuo amore infinito,
e la ferita in me a lungo vibra ancora.
M'ha, ferito, mio Dio, il tuo amore infinito.

Il timore di te m'ha colpito, o Signore,
e quella piaga ardente ancora in me risuona.
Il timore di te m'ha colpito, O Signore.

Ho compreso, mio Dio, che tutto è poca cosa,
e in me la tua divina gloria si è installata.
Ho compreso, mio Dio, che tutto è poca cosa.

Nell'onda del tuo Vino anneghi la mia anima,
riposi la mia vita sulla tua Mensa sacra,
nell'onda del tuo Vino anneghi la mia anima.

Ecco il mio sangue che non ho versato,
e la mia carne indegna di dolore,
ecco il mio sangue che non ho versato.

Ecco la fronte piena di vergogna,
perché vi ponga i tuoi piedi adorabili,
ecco la fronte piena di vergogna.

Ecco le mani a cui il lavoro è ignoto,
per gli ardenti carboni e i rari incensi,
ecco le mani a cui il lavoro è ignoto.

Ecco il mio cuore che ha battuto invano,
per straziarsi alle spine del Calvario,
ecco il mio cuore che ha battuto invano.

Ecco i miei piedi, frivoli viandanti,
per correre al richiamo della grazia,
ecco i miei piedi, frivoli viandanti.

E la mia voce, aspra e insincera,
per l'espiazione della Penitenza,
e la mia voce, aspra e insincera.

Ecco i miei occhi, luci dell'errore,
per spegnersi nel pianto e la preghiera,
ecco i miei occhi, luci dell'errore.

Ahimè, o Dio d'offerta e di perdono,
non ha fondo in me l'ingratitudine.
Ahimè, o Dio d'offerta e di perdono.

Dio di terrore e Dio di santità,
nero è l'abisso della mia vergogna,
Dio di terrore e Dio di santità.

Dio di pace, di speranza e di gioia,
le mie paure e ogni mia ignoranza,
Dio di pace, di speranza e di gioia.

Tu conosci di me tutto, ogni cosa,
e sai la nuda povertà che è in me,
Tu conosci di me tutto, ogni cosa,

ma quel che ho, mio Dio, lo dono a te.
 VERLAlNE PAUL (1844-1896)


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verlaine, gesù


Il guardiano di greggi
***


Il Fanciullo Eterno mi accompagna sempre.
La direzione del mio sguardo è nel suo indice teso.
Il mio udito gioiosamente attento a tutti i suoni
è il solletico ch'egli mi fa scherzandomi nelle orecchie.
Ce la intendiamo così bene l'un con l'altro
nella compagnia di tutto,
che mai pensiam l'uno all'altro,
ma viviamo uniti e due
con un accordo intimo
come la destra e la sinistra mano.

Al tramonto giochiamo alle cinque pietruzze
sul gradino della porta di casa,
gli avi come si addice a un dio e ad un poeta,
e come se ogni pietra
fosse tutto l'universo
e perciò fosse il gran guaio per essa
lasciata cadere per terra.

Poi io gli conto storie di cose solo umane
ed egli sorride; perché tutto è incredibile.
Ride dei Re e di quelli che non sono Re,
e s'attrista a sentir parlar delle guerre,
e dei commerci, e delle navi
di cui sol fumo resta nell'aria degli alti mari:
perché egli sa che a tutto questo manca quel vero
che un fiore ha nel fiorire
e che con la luce del sole
varia i monti e le valli
e fa dolere gli occhi sui muri calcinati.

Poi egli si addormenta ed io lo corico:
lo porto al collo in casa
e lo corico spogliandolo lentamente
e come seguendo mi antico rito molto innocente
e tutto materno fin ch'egli resta nudo.

Egli dorme dentro dell'anima mia
e a volte si sveglia di notte
e scherza coi miei sogni.
Li fa caprioleggiare,
li sovrappone a vicenda,
e batte le mani da solo
sorridendo al mio sonno.

Quando io mi muoia, figlietto,
sia io il bambino, il più piccolo,
e tu prendimi in collo
e portami dentro alla tua casa.
Spoglia l'essere mio spossato e umano
e coricami sul tuo letto.
E contami le storie, s'io mi svegli,
perché io ritorni a dormire.
E dammi i sogni tuoi perché io scherzi,
fino a che nasca il tal giorno
che tu ben sai qual è.
Questa è la storia del mio Bambino Gesù.
PESSOA FERNANDO Il guardiano di greggi

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pessoa, gesù


Santuario
***
Gesù non è venuto per dirci delle cose semplici.

Gesù non ci ha affidato delle parole morte da conservare nell'olio rancido, come le mummie d'Egitto... Ci ha dato delle parole vive, di vita.

La morale è stata inventata dai deboli. Ma la vita cristiana è stata inventata da Gesù Cristo.

Gesù ha creato per noi il modello perfetto dell'obbedienza filiale e della sottomissione, nel medesimo tempo che creava per noi il modello perfetto del lavoro manuale e della pazienza.

L'obbedienza, la sottomissione quotidiana di Gesù a Giuseppe e a Maria non erano che l'annuncio, la raffigurazione, l'anticipo della tremenda obbedienza e sottomissione del Giovedì Santo.

L'incarnazione: ecco l'unica storia interessante che sia mai accaduta.

Gesù ha predicato, pregato, sofferto... Dobbiamo imitarlo secondo tutte le nostre forze... Dobbiamo sforzarci con tutte le nostre forze umane di diffondere, di insegnare la parola divina, meglio che ci è possibile; dobbiamo sforzarci con tutte le nostre forze umane di pregare meglio che ci è possibile, secondo la parola divina; dobbiamo sforzarci con tutte le nostre forze umane di soffrire quanto più ci è possibile, e fino all'estrema sofferenza, senza mai finire, tutto ciò che ci è possibile dell'umana sofferenza.

Vi è una questione, intorno alla quale siamo sicuri che non ci sarà mai riconciliazione, ma scissione eterna: la questione di Gesù:.. Sfido chiunque a trovarmi nei tempi dei tempi un solo uomo che come storico abbia parlato di Gesù. Di lui è possibile parlare solo da cristiani o da anticristiani.

La Comunione dei Santi comincia da Gesù, egli ne fa parte, ne è il capo. Tutte le preghiere, tutte le sofferenze messe insieme, tutte le fatiche, tutti i meriti, tutte le virtù messe insieme, sia di Gesù che di tutti gli altri santi messi insieme, tutte le santità messe insieme lavorano e pregano per tutto il mondo, per tutta la cristianità.

Gesù si è abbandonato all'esegeta, allo storico, al critico, come si è abbandonato ai soldati, ai giudici, al popolo... Se avesse tentato di sfuggire alla critica e alla controversia, se si fosse sottratto all'esegeta, al critico, allo storico, l'incarnazione non sarebbe stata integrale.

Vi è in Omero un certo cielo sopra la terra la quale è diversa dal suo cielo... Quel cielo non è una cosa sola con la terra... i suoi dei non sono gli dei di quegli uomini... Voi mi capite benissimo: Gesù è dell'ultimo dei peccatori e l'ultimo dei peccatori è di Gesù. È uno stesso. mondo. Per quelli invece, gli dei non sono loro amici, ed essi non sono amici loro.

C'è nel cielo un tesoro di grazia, che scende eternamente e che è eternamente pieno; ma i dottori della terra non l'hanno capito.

C'è il tesoro delle sofferenze, il tesoro eterno delle sofferenze. La passione di Gesù l'ha posseduto interamente, d'un tratto. Tuttavia egli aspetta sempre che anche noi l'abbiamo a possedere interamente, ma i dottori della terra non l'hanno capito.

C'è il tesoro delle preghiere. Subito, la prima volta, Gesù l'ha posseduto interamente. Egli aspetta sempre che noi l'abbiamo a possedere interamente, ma i dottori della terra non l'hanno capito.

C'è il tesoro dei meriti. Esso è colmo, completamente colmo dei meriti di Gesù. È un tesoro infinito, al quale tuttavia noi non possiamo aggiungere nulla. Ma i dottori della terra non l'hanno capito.

C'è il tesoro delle promesse. Subito Gesù ha mantenuto tutte le promesse... Esse aspettano il loro avverarsi, il loro compiersi eternamente da noi, anche da noi, perfino da noi.

Egli era troppo grande fra i dottori della legge... si era manifestato troppo come Dio. Ai dottori non piace questo... Quel giorno egli li aveva certamente feriti: a dodici anni... A trentatré anni l'avevano finalmente nelle unghie. I dottori hanno la memoria lunga.

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gesù, peguy


Preghiera a Cristo
***


Sei ancora, ogni giorno, in mezzo a noi. E sarai con noi per sempre.
Vivi tra noi, accanto a noi, sulla terra ch'è tua e nostra, su questa terra che ti raccolse, fanciullo, tra i fanciulli e, giustiziabile, tra i ladri; vivi coi vivi, sulla terra dei viventi che ti piacque e che ami, vivi d'una vita non umana sulla terra degli uomini, forse invisibile anche a quelli che ti cercano, forse sotto l'aspetto d'un povero che compra il suo pane da sé e nessuno lo guarda.
Ma ora è giunto il tempo che devi riapparire a tutti noi e dare un segno perentorio e irrecusabile a questa generazione.
Tu vedi, Gesù, il nostro bisogno; tu vedi fino a che punto è grande il nostro grande bisogno; non puoi fare a meno di conoscere quanto è improrogabile la nostra necessità, come è dura e vera la nostra angustia, la nostra indigenza, la nostra disperanza; tu sai quanto abbisognamo d'una tua intervenzione, quant'è necessario un tuo ritorno.
Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa, subito seguita da un'improvvisa scomparsa; un'apparizione sola, un arrivare e un ripartire, una parola sola nel giungere, una parola sola nello sparire, un segno solo, un avviso unico, un balenamento nel cielo, un lume nella notte, un aprirsi del cielo, una risplendenza nella notte - un'ora sola della tua eternità, una parola sola: per tutto il tuo silenzio.
Abbiamo bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, puoi sentire per noi tutti che soffriamo, la pietà che ciascuno di noi sente per se stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande, immisurabilmente grande, il bisogno che c'è di te, in questo mondo, in questa ora del mondo. Nessun altro, nessuno dei tanti che vivono, nessuno di quelli che dormono nella mota della gloria, può dare, a noi bisognosi, riversi nell'atroce penuria, nella miseria più tremenda di tutte, quella dell'anima, il bene che salva. Tutti hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo sanno, assai più di quelli che sanno. L'affamato s'immagina di cercare il pane e ha fame di te; l'assetato crede di voler l’acqua e ha sete di te; il malato s'illude di agognare la salute e il suo male è l'assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l'unica verità degna d'esser saputa; e chi s'affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti. Essi ti chiamano senza sapere che ti chiamano e il loro grido è inesprimibilmente più doloroso del nostro.
Noi non gridiamo verso di te per la vanità di poterti vedere come ti videro Galilei e Giudei, né per la gioia di guardare una volta i tuoi occhi, né per l'orgoglio matto di vincerti colla nostra supplicazione. Non chiediamo, noi, la grande discesa nella gloria dei cieli, né il fulgore della Trasfigurazione, né gli squilli degli angeli e tutta la sublime liturgia dell'ultima venuta. C'è tanta umiltà, tu lo sai, nella nostra irrompente tracotanza! Noi vogliamo soltanto te, la tua persona, il tuo povero corpo trivellato e ferito, colla sua povera camicia d'operaio povero; vogliamo veder quegli occhi che passano la parete del petto e la carne del cuore, e guariscono quando feriscono collo sdegno, e fanno sanguinare quando guardano con tenerezza. E vogliamo udire la tua voce che sbigottisce i demoni da quanto è dolce e incanta i bambini da quanto è forte.
Tu sai quanto sia grande, proprio in questo tempo, il bisogno del tuo sguardo e della tua parola. Tu lo sai bene che un tuo sguardo può travolgere e mutare le nostre anime, che la tua voce ci può trarre dallo stabbio della nostra infinita miseria; tu sai meglio di noi, tanto più profondamente di noi, che la tua presenza è urgente e indifferibile in questa età che non ti conosce
.
Sei venuto, la prima volta, per salvare; nascesti per salvare; parlasti per salvare: ti facesti crocifiggere per salvare: la tua arte, la tua opera, la tua missione, la tua vita è di salvare. E noi abbiamo oggi, in questi giorni grigi e maligni, in questi anni che sono un condensamento, un accrescimento incomparabile d'orrore e dolore, abbiamo bisogno, senza ritardi, d'esser salvati!
Se tu fossi un Dio geloso e acrimonioso, un Dio che tiene il rancore, un Dio vendicativo, un Dio solamente giusto, allora non daresti ascolto alla nostra preghiera. Perché tutto quello che gli uomini potevan farti di male anche dopo la tua morte, e più dopo la morte che in vita, gli uomini l'hanno fatto; noi tutti, quello stesso che ti parla insieme agli altri. l'abbiamo fatto. sola; legioni di Farisei, sciami di Caifa ti hanno venduto, e non per trenta denari soli, e neppure una volta sola; legioni di Farisei, sciami di Caifa ti hanno sentenziato malfattore, degno d'esser inchiodato; e milioni di volte col pensiero e la volontà ti hanno crocifisso; e un'eterna canaia di fecciosi insobilliti t'ha ricoperto il viso di saliva e di schiaffi, e gli staffieri, gli scaccini, i portinai, la gente d'arme degli ingiusti detentori d'argento e di potestà ti hanno frustate le spalle e insanguinata la fronte; e migliaia di Pilati, vestiti di nero o di vermiglio, usciti appena dal bagno, profumati d'unguenti, ben pettinati e rasati, ti hanno consegnato migliaia di volte agl'impiccatori dopo averti riconosciuto innocente; e innumerevoli bocche flatulenti e vinose hanno chiesto innumerevoli volte la libertà dei ladri sediziosi, dei criminali confessi, degli assassini conosciuti, perché tu fossi innumerevoli volte trascinato sul Teschio e affisso all'albero con cavicchi di ferro fucinati dalla paura e ribattuti dall'odio.
Ma tu hai perdonato tutto e sempre. Tu sai, tu che sei stato in mezzo a noi, qual è il fondo della nostra natura sciagurata. Non siamo che rappezzi e bastardume, foglie instabili e passanti, carnefici di noi medesimi, aborti malvenuti che si sdraiano nel male a guisa d'un lattante rinvoltato nel suo piscio, d'un briaco stramazzato nel suo vomito, d'un accoltellato disteso nel suo sangue, d'un ulceroso giacente nel suo marciume. T'abbiamo respinto perché troppo puro per noi; t'abbiamo condannato a morte perché eri la condanna della nostra vita.
Tu stesso l'hai detto in quei giorni: «Stetti in mezzo al mondo e nella carne mi rivelai ad essi; e trovai tutti ubriachi e nessuno trovai fra loro assetato e l'anima mia soffre per i figlioli degli uomini, poiché son ciechi nel loro cuore ». Tutte le generazioni sono eguali a quella che ti crocifisse e, sotto qualunque forma tu venga, ti rifiutano. « Simili, - tu dicesti -. a quei ragazzi che stanno per le piazze e gridano ai compagni: V'abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto ». Così abbiamo fatto noi, per quasi sessanta generazioni.
Ma ora è venuto il tempo che gli uomini son più ebbri d'allora ma più sitibondi. In nessuna età come in questa abbiamo sentito la sete struggente d'una salvazione soprannaturale. In nessun tempo, di quanti ne ricordiamo, l'abbiettezza è stata così abbietta e l'arsura così ardente. La terra è un inferno illuminato dalla condiscendenza del sole. Ma gli uomini sono attu1tati in una pegola di sterco temperato nel pianto, dalla quale si levano, talvolta, frenetici e sfigurati, per .buttarsi nel bollor vermiglio del sangue, con la speranza di lavarsi. Da poco sono usciti da uno di questi feroci lavacri e son tornati, dopo l'immensa decimazione, nel comun brago escrementizio.
Le pestilenze hanno seguito le guerre; i terremoti le pestilenze; immani armenti di cadaveri infraciditi, quanti ne bastava una volta per popolare un regno, son distesi sotto il lieve schermo della terra bacosa, occupando, se fossero insieme, lo spazio di molte provincie. Eppure, come se tutti quei. morti non fossero che una prima rata dell'universale distruzione, seguitano ad uccidersi e ad uccidere.
Le nazioni opulente condannano alla fame le nazioni povere; i ribelli ammazzano i loro padroni di ieri; i padroni fanno ammazzare i rivoltosi dai loro mercenari; nuovi dittatori, profittando dello sfasciume di tutti i sistemi e di tutti i regimi, conducono intere nazioni alla carestia, alla strage e alla dissoluzione.
L'amore bestiale di ciascun uomo per se stesso, di ogni casta per sé medesima, di ogni popolo per sé solo, è ancora più cieco e gigante dopo gli anni che l'odio ricoprì di fuoco, di fumo, di fosse e d'ossami la terra.
L'amore di sé, dopo la disfatta universale e comune, ha centuplicato l'odio: odio dei piccoli contro i grandi, degli scontenti contro gli inquieti, dei servi-padroni contro i padroni asserviti, dei ceti ambiziosi contro i ceti declinanti, delle razze egemoni contro le razze vassalle, dei popoli aggiogati contro i popoli aggiogatori. L'ingordigia del troppo ha generato l'indigenza del necessario; la prurigine dei piaceri il rodio delle torture; la smania di libertà l'aggravamento delle pastoie.

Negli ultimi anni la specie umana, che già si torceva nel delirio di cento febbri, è impazzita. Tutto il mondo rintrona del fragore di macerie che rovinano; le colonne sono interrate nel pattume; e le stesse montagne precipitano dalle cime valanghe di pietrisco perché tutta la terra diventi un maligno piano eguale.
Anche gli uomini ch'eran rimasti intatti nella pace dell'ignoranza li hanno strappati a forza dalle sodaglie pastorali per rammontarli nel mescolamento rabbioso delle città a inzafardarsi e patire.
Dappertutto un caos in sommovimento, un subbuglio senza speranza, un brulicame che appuzza l'aria afosa, una irrequietudine scontenta di tutto e della propria scontentezza. Gli uomini, nell'ebrietà sinistra di tutti i veleni, consuman se stessi per bramosia di fiaccare i loro fratelli di pena, e pur di uscire da questa passione senza gloria, cercano, in tutte le maniere, la morte. Le droghe estatiche e afrodisiache, le voluttà che struggono e non saziano, l'alcool, i giuochi, le armi, prelevano ogni giorno a migliaia i sopravvissuti alle decimazioni obbligatorie.
Il mondo, per quattr'anni interi, s'è imbrattato di sangue per decidere chi doveva aver l'aiola più grande e il più grosso marsupio. I servitori di Mammona hanno cacciato Calibano in opposte interminabili fosse per diventare più ricchi e impoverire i nemici. Ma questa spaventevole esperienza non ha giovato a nessuno. Più poveri tutti di prima, più affamati di prima, ogni gente è tornata ai piedi di fango del dio negozio a sacrificargli la pace propria e la vita altrui. Il divino affare e la santa moneta occupano, ancora più che nel passato, gli uomini invasati.
Chi ha poco vuol molto; chi ha molto vuol più; chi ha ottenuto il più vuol tutto.
Avvezzati allo, sperpero degli anni divoratori, i sobri son diventati ghiotti, i rassegnati son fatti avidi, gli onesti si son dati al ladroneccio, i più casti al mercimonio. Sotto il nome di commercio si pratica l'usura e l'appropriazione; sotto l'insegna della grande industria la pirateria di pochi a danno di molti. I barattieri e i malversatori hanno in custodia il denaro pubblico e la concussione fa parte della regola di tutte le oligarchie. I ladri, rimasti soli ad osservare la giustizia, non risparmiano, nell'universale ruberia, neppure i ladri. L'ostentazione dei ricchi ha chiovato nella testa di tutti che altro non conta, sulla terra finalmente liberata dal cielo, che l'oro e quel che si può comprare e sciupare coll'oro. Tutte le fedi, in questo marame infetto, smortiscono e si disfanno.
Una sola religione pratica il mondo, quella che riconosce la somma trinità di Wotan, Mammona e Priapo; la Forza che ha per simbolo la spada e per tempio la caserma: la Ricchezza che ha per simbolo l'oro e per tempio la borsa; la Carne che ha per simbolo il phallus e per tempio il bordello. Questa è la religione regnante su tutta la terra, praticata con ardore nei fatti, se non sempre con le parole, da tutti i viventi
. L'antica famiglia si frantuma: il matrimonio è distrutto dall'adulterio e dalla bigamia; la figliolanza a molti par maledizione e la scansano con le varie frodi e gli aborti volontari; la fornicazione sopravanza gli amori legittimi; la sodomia ha i suoi panegiristi e suoi lupanari; le meretrici, pubbliche e occulte, regnano sopra un popolo immenso di slombati e di sifilitici. Non c'è più monarchie e neanche repubbliche. Ogni ordine non è che fregio e simulacro. La plutocrazia e la demagogia, sorelle nello spirito e nei fini, si contendono la dominazione dell'orde sediziose, malamente servite dalla mediocrità salariata. E intanto sopra l' una e l'altra delle caste in campo, la coprocrazia, realtà effettiva e incontestata, ha sottomesso l'alto al basso, qualità alla quantità, lo spirito al fango.
Tu sai queste cose, Cristo Gesù, e vedi ch'è giunta un'altra volta la pienezza dei tempi e che questo mondi febbroso e imbestiato non merita che d'essere punito da un diluvio di fuoco o salvato dalla tua mediazione: Soltanto la tua Chiesa, la Chiesa da te fondata sulla Pietra di Pietro, la sola che meriti il nome di Chiesa, la Chiesa unica e universale che parla da Roma con parole ineffabili del tuo Vicario, ancora emerge, rafforzata dagli assalti, ingrandita dagli scismi, ringiovanita dai secoli, sul mare furioso e limaccioso del mondo. Ma tu che l'assisti col tuo spirito sai quanti e quanti perfino tra quelli che vi son nati, vivon fuori della tua legge. Hai detto una volta: «Se uno è solo io sono con lui. Rimuovi la pietra e lì mi troverai, incidi il legno ed io son qui ». Ma per scoprirti nella pietra e nel legno è necessaria la volontà di cercarti, la capacità di vederti. E oggi i più degli uomini non vogliono, non sanno trovarti.
Se non fai sentire la tua mano sopra il loro capo e la tua voce ne' loro cuori, seguiteranno a cercare solamente se stessi, senza trovarsi, perché nessuno si possiede se non ti possiede. Noi ti preghiamo, dunque, Cristo, noi, i rinnegatori, i colpevoli, i nati fuori di tempo, noi che ci rammentiamo ancora di te, e ci sforziamo di viver con te, ma sempre troppo lontani da te, noi, gli ultimi, i disperati, i reduci dai peripli e dai precipizi, noi ti preghiamo che tu ritorni ancora una volta fra gli uomini che ti uccisero, fra gli uomini che seguitano a ucciderti, per ridare a tutti noi, assassini nel buio, la luce della vita vera. Più d'una volta sei apparso, dopo la Resurrezione, ai viventi. A quelli che credevan d'odiarti, a quelli , che ti avrebbero amato anche se tu non fossi figliolo di Dio, hai mostrato il tuo viso ed hai parlato con la tua voce. Gli asceti nascosti tra le ripe e le sabbie, i monaci nelle lunghe notti dei cenobi, i santi sulle montagne, ti videro e ti udirono e da quel giorno non chiesero che la grazia della morte per riunirsi con te.
Tu eri luce e parola sulla strada, di Paolo, fuoco e sangue nello speco di Francesco, amore disperato e perfetto nelle celle di Caterina e di Teresa. Se tornasti per uno perché non torni, una volta, per tutti? Se quelli meritavano di vederti, per i diritti dell’appassionata speranza, noi possiamo invocare i diritti della nostra deserta disperazione Quell’anime ti invocarono col potere dell’innocenza; le nostre ti chiamano dal. fondo della debolezza e dell'avvilimento.
Se appagasti l'estasi dei santi perché non dovresti accorrere al pianto dei dannati? Non dicesti d'esser venuto per gl'infermi e non per i sani, per quello che s'è perduto e non per quelli che son rimasti? Ed ecco tu vedi che tutti gli uomini sono appestati e febbricitanti e che ognuno di noi, cercando sé, s'è smarrito e ti ha perso. Mai come oggi il tuo messaggio è stato necessario e mai come oggi fu dimenticato o spregiato. Il Regno di Satana è giunto ormai alla piena maturazione e la salvezza che tutti cercano brancolando non può esser che nel tuo Regno.

La grande esperienza volge alla fine. Gli uomini, allontanandosi dall'Evangelo, hanno trovato la desolazione e la morte. Più d'una promessa e d'una minaccia s'è avverata. Ormai non abbiamo, noi disperati, che la speranza d'un tuo ritorno. Se non vieni a destare i dormenti accovati nella belletta puzzante del nostro inferno, è segno che il castigo ti sembra ancor troppo corto e leggero per il nostro tradimento e che non vuoi mutare l'ordine delle tue leggi. E sia la tua volontà ora e sempre, in cielo e sulla terra.
Ma noi, gli ultimi, ti aspettiamo. Ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e d'ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocifisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore
. GIOVANNI PAPINI

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preghiere, gesù, papini

lunedì, 26 gennaio 2009

L'evangelo pone la persona e la comunione tra le persone al di sopra di ogni sistema


«Rileggiamo l'evangelo. Gesù appare come un' esistenza fraterna e filiale nel grande soffio di vita che noi chiamiamo Spirito santo. Egli testimonia di un Dio che è in Cristo stesso comunione e fonte di ogni comunione. È questo modo di essere, questa esistenza personale in comunione il suo apporto al cuore del mondo, ed egli ce ne fa dono in germe trionfando, con la sua risurrezione, sulle forze della separazione e del nulla. Egli rifiuta ogni contrapposizione fissa tra iniziati ed esclusi, tra buoni e cattivi. Sostituisce, al fondo di noi stessi, l'angoscia della morte con la gioia della risurrezione, in modo che non abbiamo più bisogno di nemici per farne i capri espiatori delle nostre paure, e che dobbiamo, paradossalmente, "amare i nostri nemici".

Perciò l'evangelo pone la persona e la comunione tra le persone al di sopra di ogni sistema, di ogni idea, anche del bene. Gli ideologi invece - e soprattutto forse gli ideologi delle religioni vogliono imporre il bene con la forza, al limite con la morte. Gesù irradia, con il rispetto e con l'amore, la pienezza della vita. "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato" (Mc 2,27). Gesù va dritto al cuore, alla persona, svela il volto al di là della maschera, la maschera del partigiano nello "zelota", del collaboratore nel pubblicano, dell'eretico nel samaritano, dell'impurità nella donna adultera o nella samaritana che ha avuto cinque mariti e vive con un uomo che non è suo marito. Nella forza dello Spirito, l'uomo intuisce da quel momento in Cristo che gli altri esistono. Si rifiuta di strumentalizzarli, di etichettarli: "Non giudicate e non sarete giudicati" (Lc 6,37).

b) Se l'essere in quanto tale è relazionale, se la verità s'inscrive, da persona a persona, in una relazione, dal momento che, dice Paolo, bisogna "fare la verità nella carità" (Ef 4,15), essa non può essere né posseduta, né diventare un mezzo per trasformare l'altro in oggetto che si possiede. Gli ideologi che pretendono di possedere la verità hanno giustificato e giustificano tutti i massacri. E questo fu anche il peccato, l'enorme peccato, delle sedicenti società cristiane.

Per noi, cristiani che rileggono l'evangelo, il pluralismo non può consistere solo nel fatto di sopportare l'esistenza dell'altro, ma nel comprendere e amare ciò che costituisce il senso di quell'esistenza. La vera relazione non deve cercare la simmetria: "Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete?" (Lc 6,32), chiede Gesù.

"Io sono responsabile dell' altro", ha scritto un grande filosofo ebreo, Emmanuel Lévinas, "senza attendermi la reciprocità, dovesse anche costarmi la vita". La reciprocità non è affar mio, ma dell'altro.»
     Olivier Clément

Postato da: giacabi a 20:13 | link | commenti
gesù, clement

sabato, 17 gennaio 2009

Gesù
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“so che soltanto Gesù conosce la risposta definitiva”
Jack Kerouac da: Un mondo battuto dal vento, Mondadori

Postato da: giacabi a 22:19 | link | commenti
gesù, kerouac


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Parlava diversamente da tutti noi,
di altre cose, di qui, ma mai dette
prima che le dicesse lei. Era tutto:
natura, amore e libro.
Come l'aurora, sempre,
cominciava in modo non previsto,
così diverso da ciò che si sognava!
Come le dodici, sempre,
arrivava alla zenit, in un modo
impensato,
così distante da ciò che si cantava!
Come il tramonto, sempre,
taceva in modo inatteso,
così distante da ciò che si pensava!
Così lontana e così vicino [...]
Juan Ram6n Jimenez


Postato da: giacabi a 18:36 | link | commenti
amicizia, gesù


Sulle sue spalle è il segno della sovranità
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Gesù davanti a una folla di persone porta in spalla la croce per la salita sul calvario
« Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; »
ISAIA 9:5


Postato da: giacabi a 09:38 | link | commenti
croce, profezie, gesù

sabato, 10 gennaio 2009

Gesù  è negli ultimi
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 «Gesù sta al centro di tutto, assume tutto e si fa carico di tutto, tutto soffre. È impossibile colpire oggi un qualunque essere senza colpire lui, e impossibile umiliare qualcuno o annientarlo, senza umiliare lui, maledire o assassinare uno qualsiasi, senza maledire o uccidere lui».
Leon Bloy

Postato da: giacabi a 09:19 | link | commenti
gesù, bloy

giovedì, 08 gennaio 2009

Gesù
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Gesù: “Ha volato più alto


di chiunque altro”.
 Nietzsche –

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