Gesù Cristo diventa presente sotto l'aspetto di una umanità diversa.
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Gesù Cristo, quell'uomo di duemila anni fa, si cela, diventa presente, sotto la tenda, sotto l'aspetto di una umanità diversa. L'incontro, l'impatto, è con una umanità diversa, che ci sorprende perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce l'aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è reperibile altrove. La
diversità umana in cui Cristo diventa presente sta propriamente in ciò:
nella maggior corrispondenza,nell'impensabile e impensata
corrispondenza maggiore di questa umanità in cui ci imbattiamo, alle
esigenze del cuore -alle esigenze della ragione.
Quest'imbattersi
della persona in una diversità umana è qualcosa di semplicissimo, di
assolutamente elementare, che viene prima di tutto, prima di ogni
catechesi, riflessione e sviluppo: è qualcosa che non ha bisogno di
essere spiegato, ma solo di essere visto, intercettato, che suscita uno
stupore, desta una emozione, costituisce un richiamo, muove a seguire,
in forza della sua corrispondenza all'attesa strutturale del cuore.
L'imbattersi
in una presenza di umanità diversa viene prima non solo all'inizio, ma
in ogni momento che segue l'inizio: un anno o vent'anni dopo.
Il fenomeno iniziale -l'impatto con una realtà umana nuova, lo stupore che ne nasce - è destinato ad essere il fenomeno iniziale e originale di ogni momento dello sviluppo. Perché non vi è alcuno sviluppo se quell'impatto iniziale non si ripete, se l'avvenimento non resta cioè contemporaneo. O
si rinnova, oppure nulla procede, e subito si teorizza l'avvenimento
accaduto, e si brancica alla ricerca di appoggi sostitutivi di Ciò che è
veramente all'origine della diversità. ,
Il
fattore originante è, permanentemente, l'impatto con una realtà umana
diversa. Se dunque non riaccade e si rinnova quello che è avvenuto in
principio non si realizza vera continuità:
se uno non vive ora l'impatto con una realtà nuova non capisce ciò che
gli è accaduto prima. Solo se l'avvenimento riaccade ora, si illumina e
si approfondisce ad un livello più maturo l' avvenimento iniziale, e si
stabilisce così una continuità, uno sviluppo.
Qui si chiarisce l'accenno al fatto che «tutto è grazia». L'imbattersi
in una realtà umana nuova è una grazia, è sempre una grazia -altrimenti
diventa la scoperta tentata dei propri pensieri o l'affermarsi
presuntuoso delle proprie capacità critiche. La diversità che si nota,
l'origine della diversità umana in cui-ci si imbatte, è gratuità
assoluta.
'L'avvenimento
iniziale prosegue solo se continuamente si parte dall'imbattersi in una
realtà umana nuova: «Cercate ogni giorno il volto dei santi e traete
conforto dai loro discorsi», diceva l'invito contenuto in uno dei
documenti della cristianità primitiva, la Didachè. La
continuità con quello che è avvenuto al principio si avvera perciò solo
attraverso la grazia di un impatto sempre nuovo e stupito come la prima
volta.
Altrimenti,
in luogo di tale stupore, dominano i pensieri che la propria evoluzione
culturale rende capaci di organizzare, le critiche che la propria
sensibilità formula a quello che si è vissuto e che si vede vivere,
l'alternativa che si pretenderebbe imporre, eccetera.
Don Giussani da: il Sabato 27 febbraio 1993
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chiesa, gesù, giussani
«Egli è disceso e mi ha presa» ***
«…È stato durante una di queste recite che, come io vi ho scritto, il Cristo in persona è disceso e mi ha presa»[14]. In quella poesia, che recitava verso la fine del 1938, «Love», conosciuta ad opera di un giovane inglese incontrato a Solesmes, Cristo era disceso e l’aveva presa.
Love - Amore
L’amore m’invitò; ma l’anima mia indietreggiò,
colpevole di polvere e di peccato.
Ma chiaroveggente l’Amore, vedendomi esitare
fin dal mio primo passo,
mi si accostò con dolcezza, domandandomi
se qualcosa mi mancava.
«Un invitato», risposi, «degno di essere qui».
L’Amore disse: «Tu sarai quello».
Io, il malvagio, l’ingrato? Ah! Mio diletto,
non posso guardarti.
L’Amore mi prese per mano, sorridendo rispose:
«Chi fece questi occhi, se non io?»
«È vero, Signore, ma li ho macchiati;
che vada la mia vergogna dove merita».
«E non sai tu» disse l’Amore, «chi ne prese
il biasimo su di sé?»
«Mio Diletto, allora servirò».
«Bisogna tu sieda» disse l’Amore, «per gustare
il mio cibo».
Così mi sedetti e mangiai
Ripetendola
con la massima attenzione, recitandola a memoria, specie quando
l’emicrania si fa più insopportabile, Simone fa l’esperienza dell’Amore
di Dio.
«Spesso,
nei momenti culminanti delle violente crisi di mal di testa, mi sono
esercitata a recitarla, ponendovi tutta la mia attenzione e aderendo con
tutta l’anima alla tenerezza che essa racchiude. Credevo di recitarla soltanto come una bella poesia ma, a mia insaputa, quella recitazione aveva la virtù di una preghiera. Fu
proprio durante una di queste recitazioni che, come già vi scrissi,
Cristo stesso è disceso e mi ha presa. Nei miei ragionamenti
sull’insolubilità del problema di Dio, non avevo mai previsto questa
possibilità di un contatto reale, da persona a persona, quaggiù, fra un
essere umano e Dio»[15].
Simone Weil, in compagnia di sua madre, si era recata durante la
settimana santa dello stesso anno, in un’abbazia, molto famosa per la
bellezza della liturgia, per ascoltare il canto gregoriano. Vi rimase
dalla domenica delle Palme al martedì dopo Pasqua e partecipò a tutti i
riti, destando un grande stupore. Rimase molto colpita dalla presenza di
un giovane inglese che tornava dalla comunione quasi trasformato
dall’incontro sacramentale e, tramite lui, riceve «per la prima volta,
l’idea di una efficacia soprannaturale dei sacramenti»[16].
Questo giovane le fa conoscere i poeti metafisici inglesi e quindi la
poesia che ella «recitava solamente come se fosse un poema», ma che a
sua insaputa, «aveva l’efficacia di una preghiera»[17].
«Il Cristo in persona è disceso e mi ha presa»[18].
Esperienza singolare
Questa “discesa” s’imprimerà nel suo cuore, nella sua anima. Qualche
anno prima, aveva avuto un’altra esperienza straordinaria. Nell’estate
del 1935, in Portogallo, ove, con i suoi, assistendo ad
una processione sul mare e ascoltando i canti tristi delle donne,
intuisce che il cristianesimo è la religione degli schiavi e che gli
schiavi non possono non aderirvi; perciò è la religione per lei.
Sperimenta sulla sua pelle la preoccupazione del lavoro, del denaro, la
paura della disoccupazione, la malattia. «I miei compagni di
schiavitù», andava ripetendo, «sono gli operai».
È pervasa da una profonda tristezza da toglierle il respiro. Nel 1937,
in Italia, dopo aver partecipato alla guerra civile spagnola ed esserne
uscita delusa e amareggiata per la miseria dell’uomo, della malattia,
visita Assisi che le offre in dono una forte esperienza spirituale. «La patria della mia anima!».
E ricorderà questo singolare evento quando nel 1942 scriverà a p. Perrin: «Nel
1937 ho trascorso ad Assisi due giorni meravigliosi. Là stando sola
nella piccola cappella romanica del XII sec. di s. Maria degli Angeli,
incomparabile meraviglia di purezza, ove
s. Francesco ha pregato molto spesso, qualcosa di più forte di me mi ha
obbligato, per la prima volta nella mia vita, a inginocchiarmi»[19].
A Solesmes nel 1938 Cristo stesso in persona «discese e la prese». Il
cristianesimo del Portogallo, il «qualcosa di più forte» di Assisi, ora è
«Qualcuno», è una persona e ha il volto di Cristo.
Lottando contro il mal di testa, da cui era affetta da sempre e
lasciando la carne soffrire da sola, riesce a gustare il canto
gregoriano e i sacri riti della settimana santa: «Questa esperienza mi
ha permesso di comprendere meglio, per analogia, la possibilità di amare
l’amore divino attraverso la sventura. Proprio mentre si celebravano
quegli uffici liturgici il pensiero della passione di Cristo è entrato
in me una volta per tutte»[20].
La condizione di dolore, di sofferenza fisica, e la passione di Cristo
si unificano. Il Cristo della Croce, il Cristo della Passione che
«scende» nella sua sventura umana. Saranno queste le tematiche che
impronteranno le sue riflessioni e le sue scelte concrete di vita.
Scrivendo al poeta Bousquet dice: «Durante quel periodo, la Parola di Dio non aveva nessun posto nei miei pensieri. L’ha
avuto solo dal giorno in cui, circa tre anni e mezzo fa non ho potuto
rifiutarlo… ho sentito (senza essere preparata per niente, dato che non
avevo mai letto i mistici) una presenza più personale, più certa, più
reale di quella di un essere umano, inaccessibile ai sensi e
all’immaginazione… da allora il nome di Dio e di Cristo si sono
intessuti sempre più irresistibilmente ai miei pensieri»[21].
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Postato da: giacabi a 14:11 |
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gesù, weil
LA SECONDA VENUTA
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di DIEGO FABBRI
Chi si trovi tra mezzogiorno e il tocco a passare per via delle Fornaci, vedrà scendere un po’ a saltelloni giù dal Gianicolo uno strano personaggio con un persistente sorriso sul volto dolce, ma un po’ sciocco. Sui trent’anni, scuro di pelle e nerissimo di capelli, con una barbetta alla nazzarena: richiama, in bruno, le bellezze un po’ oleografiche dei popolari Cristi biondi. I ragazzi lo attorniano, e ci scherzano. Gli altri – specie le donne e i bottegai – gli danno qualcosa perché viva. A furia di vederlo passare – poiché io sto proprio da quelle parti – e di prestar orecchio al parlare della gente, ho raccolto molte voci sul suo conto; voci ricche d’ogni sorta di fantasiose piacevolezze che varrebbe forse la pena di raccontare. A ogni modo quello che colpisce profondamente, ogni volta che s’assiste a questo evangelico passaggio, è il rispetto di cui si rivestono sia la curiosità attenta dei più, sia il sorriso bonario e compassionevole di qualcun altro. Quel personaggio un po’ sciocco e mattacchione ha una indubbia forza evocatrice: dà corpo a un’altra immagine; richiama un’altra presenza: quella sempre incombente e desiderata e – direi – quotidianamente aspettata del Cristo vero. Perché conviene ben dirlo senza alcun pudore, specie in questi tempi così violentemente spudorati: se c’è un’attesa veramente sentita da tutti, un’attesa veramente popolare, è l’attesa di un miracolo, di un gran miracolo! Tutti lo aspettiamo. E’ la sola cosa che ci rimane in mezzo a tante incertissime cose! E il più miracoloso dei miracoli sarebbe che Cristo tornasse, facesse un ‘altra apparizione. La gente di questi tempi – pregando o imprecando – sembra dire: «Sei venuto una volta, ma nel mondo non è cambiato granchè. Come mai?». Tanto che ci prende perfino il dubbio, in certi giorni di scoraggiamento, che il programma cristiano non sia più vero, non sia più attuale. Allora ci perdiamo a guardare dentro noi stessi, e fuori di noi, nel mondo, nella società, nella storia. Siamo spinti dalla necessità di veder chiaro. Non vorremmo essere vittima di un inganno, prolungato e sottile. Non vorremmo considerarci cristiani per un semplice fatto di eredità e di educazione cristiana. Rifacciamo, allora, la nostra storia; risaliamo su, fino alle prime intuizioni di Dio che avemmo, mescolate alle immagini dei volti cari che ce le suggerirono: nostra madre, un maestro… No, non c’è dubbio – dobbiamo concludere - , il programma proposto quella volta da Cristo è assolutamente il più importante. Tutte le parole e i programmi che son venuti dopo, fino a oggi, non osano nemmeno aspirare al confronto con il programma cristiano come lo trovo enunciato nel Vangelo. Come uomo, mi sento pienamente glorificato nel Vangelo; e con me sono glorificati gli altri, eguali a me, solidali con me: individui che ci facciamo popolo, insieme, senza confonderci. E Dio, che è il padre di questo popolo, continua ancora a chiamarci per nome a uno a uno. Perché allora questo meraviglioso programma non ha capovolto il mondo? Perché? Siamo delusi, mortificati. E, diciamolo pure, talvolta irritati. Poiché – quello che è peggio – da allora, da quando tu, Cristo, sei venuto, ci hai messo nel cuore il dolce di certe speranze, di certe promesse che non possiamo più dimenticare; ci hai parlato di un regno che non possiamo rassegnarci a considerare perduto e tanto desiderabile…Se tu non fossi mai venuto…, ma tu sei venuto, invece! Che è mai accaduto? Che cos’è che non abbiamo capito? Ci deve essere qualcosa di essenziale che non abbiamo capito. In che cosa ti abbiamo tradito? Devo dire che questa idea del tradimento mi perseguita. Il fatto è così enorme che quando si tenta di spiegarlo, non si osa nemmeno per paura di sbagliare. Ma a furia di tacere e di aver paura di sbagliare si finisce per non accorgersi più della enormità del tradimento che è avvenuto e che avviene giorno per giorno sotto i nostri occhi. Allora bisogna aver coraggio e dire! Forse, una cosa non è stata capita: Cristo era venuto per salvare gli uomini, non per cambiarli. E invece tutti, ieri e oggi, i cosiddetti buoni e i cosiddetti cattivi, si sono affaticati con ogni sorta d’industrie, di diplomazie, di organizzazione di violenze di cambiare gli uomini. E gli uomini, invece, non si cambiano: non si cambiano nel profondo del loro essere, in quello cioè che sono veramente. Nascono o biondi o bruni, gli uomini, e non c’è tintura che cambi il colore del loro pelo. Possiamo camuffarli con le tinture, non cambiarli. Mi pare che il grande, spaventoso equivoco consista proprio in questo: che noi vogliamo cambiarli invece di accettarli come sono; che noi preferiamo la strada della tirannia, tanto nel bene come nel male, anziché quella dell’amore. Noi pretendiamo, forse in buona fede, di sostituirci al Creatore, a Colui, cioè, che ha fatto gli uomini così, uno diverso dall’altro; noi pretendiamo di giudicare, di restaurare, di correggere. Siamo afflitti da uno spaventoso male di orgoglio. Occorre, invece, accettare gli uomini – tutti - ; accettarli così come sono; e ognuno rimanga pure quello che è, in fondo, in sostanza. Rispettarli. Non si può violare la loro essenza, penetrare nel segreto misterioso e immutabile della loro sostanza. E’, tra l’altro, inutile. Quello che gli uomini devono sapere è che Cristo, un giorno, è veramente venuto e ha detto a tutti di essere fratelli. Prendere sul serio questo annuncio, come un comando. Gli uomini, se vogliono continuare a vivere, devono vivere insieme pur essendo diversi. Devono anche vivere in pace. Devono vivere in pace pur essendo diversi. Devono accettarsi nelle loro diversità. E’ ineluttabile, allora, chiamare Qualcuno che regoli i loro rapporti; e questo Qualcuno non può essere che l’autore delle connaturate diversità di tutti gli uomini; non può essere che colui che, creandoli, li fece così. Solamente questo grande Padre che ci ha generati in un certo modo ci potrà veramente comprendere e veramente amare. E’ maturo il momento per dire questo agli uomini: unità nella diversità, comunità di uomini liberati sotto il segno di una superiore paternità. Il momento è vicino perché queste cose accadano! «Di che avete paura, uomini di poca fede?». Tutto questo accadrà, poiché nonostante ogni apparenza, gli uomini di oggi – tutti, tutti – aspettano con un’ansia angosciosa soltanto una cosa: che il “discorso della montagna” finalmente si avveri. E’ il vero miracolo che da tempo aspettiamo. |
Postato da: giacabi a 19:56 |
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gesù, fabbri
La vera rivoluzione
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“Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo”.
“Chi lascia entrare Cristo attraverso le crepe del proprio umano si riempie di stupore”.
Don Giussani
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Postato da: giacabi a 11:01 |
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gesù, giussani
Gesù
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Gesù è l'ebreo centrale: con una mano stringe quelle dei suoi fratelli ebrei; con l'altra quelle dei suoi discepoli cristiani.
Martin Buber
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Postato da: giacabi a 21:31 |
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gesù, buber
Il miracolo
dell’amicizia in Cristo
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"Non è vero che uno più uno fa due; ma uno più uno fa duemila volte uno".
Chesterton
"Là dove saranno due o tre riuniti in mio nome, io sarò con loro.”
Gesù
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Postato da: giacabi a 14:22 |
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gesù, chesterton
Gesù Cristo
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113. Non solo noi non conosciamo Dio se non per mezzo di Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi se non per mezzo di Gesù Cristo;
non conosciamo la vita, la morte se non per mezzo di Gesù Cristo. Senza
Gesù Cristo, non sappiamo che cosa sia la nostra vita, la nostra morte,
Dio, noi stessi. Pertanto, senza
la Scrittura, che ha come unico oggetto Gesù Cristo, non conosciamo
nulla e vediamo solamente oscurità e confusione nella natura di Dio come
nella nostra.
114. Coloro che van fuori strada si perdono perché non vedono l’una o l’altra di queste due verità. Si
può bensì conoscere Dio senza la propria miseria, e la propria miseria
senza conoscere Dio; ma non si può conoscere Gesù Cristo senza conoscere
a un tempo sia Dio sia la propria miseria.
Ecco
perché non prenderò qui a dimostrare con prove naturali l’esistenza di
Dio o la Trinità o l’immortalità dell’anima, né altre cose della stessa
specie: non solo perché non mi sento abbastanza forte da trovare nella
natura di che convincere atei induriti, ma anche perché senza Gesù
Cristo tale conoscenza è inutile e sterile. Quand’uno fosse convinto che
le proporzioni dei numeri sono verità immateriali, eterne, e dipendenti
da una verità prima in cui sussistono, e che viene chiamata Dio, non mi
parrebbe per questo molto progredito nel cammino della salute.
Il
Dio dei Cristiani non è semplicemente un Dio autore delle verità
matematiche e dell’ordine cosmico: come quello dei pagani e degli
epicurei. Né è solamente un Dio il quale eserciti la sua provvidenza
sulla vita e i beni degli uomini, per largire ai suoi fedeli una felice
serie d’anni: conforme alla concezione degli Ebrei. Il
Dio di Abramo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei
cristiani, è un Dio di amore e di consolazione: un Dio che riempie
l’anima e il cuore di coloro che possiede; un Dio che fa loro sentire
interiormente la loro miseria e la propria misericordia infinita; che si
unisce al più profondo della loro anima; che la colma di umiltà, di
gioia, di fiducia, di amore, e che li rende incapaci di altro fine che
non sia lui medesimo.
Tutti
coloro che cercano Dio fuori di Gesù Cristo, e che si arrestano alla
natura, o non trovano nessuna luce che li soddisfi o riescono a trovare
un mezzo di conoscere e servire Dio senza mediatore; e così cadono o
nell’ateismo o nel deismo: due cose che la religione cristiana aborre
quasi in egual misura.
Senza Gesù Cristo, il mondo non sussisterebbe: sarebbe di necessità distrutto o sarebbe simile a un inferno.
689. Tutto quel che non mira alla carità è figura.
L’unico oggetto della Scrittura è la carità.
206. Come
mi sono odiose queste sciocchezze: di non credere nell’Eucarestia,
ecc.? Se il Vangelo è vero, se Gesù Cristo è Dio, che difficoltà c’è in
tutto questo?
Pascal : I Pensieri
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Postato da: giacabi a 14:05 |
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pascal, gesù
Non so che cosa potrei cercare
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Non so che cosa potrei cercare
se fosse mio quell'essere amato, se mi chiamasse l'unica sua gioia, mi fosse accanto, come fossi suo.
Molti si affannano a cercare intorno,
stravolti in viso, con aspetto truce, sempre da sè si chiamano sapienti, ma di questo tesoro nulla sanno.
C'è chi pensa di averlo afferrato,
ma non possiede che un mucchio d'oro; chi va su nave ad esplorare il mondo, ma per compenso non avrà che un nome.
Chi anela al serto della vittoria,
chi corre dietro a un ramo d'alloro; così ciascuno, illuso, un diverso bagliore insegue, e nessuno arricchisce.
Egli il suo volto non vi ha rivelato?
Dimenticaste chi è morto per voi? Chi disprezzato lasciò, per amore nostro, la vita in amaro supplizio?
Nulla avete di lui letto o saputo,
né ascoltato di lui l'umile verbo? Che fu con noi di una bontà celeste, di quale grazia ci abbia fatto dono?
Come quaggiù sia disceso dal cielo,
figlio sublime della madre più bella? Che verbo il mondo ha udito da lui, quanti hanno avuto da lui la salvezza?
Come, acceso da spirito d'amore,
ci ha fatto dono di tutto se stesso, e si è posto a giacere nella terra, prima pietra di una città divina?
Non vi commuove questo messaggio,
non vi appaga una tale creatura, e non aprite le vostre porte a chi per voi chiuse l'abisso?
Non siete disposti a perdere tutto,
liberi e sciolti da ogni desiderio, per serbare il vostro cuore a lui solo se vi promette in dono la sua grazia?
Con te accoglimi, eroe dell'amore!
Tu sei la mia vita, il mio mondo; spezzato ogni legame con la terra, so chi naufrago in salvo mi conduce.
Tu mi rendi gli amati scomparsi,
tu mi resti fedele in eterno; s'inchina, adorandoti, il cielo ma tu per sempre mi abiti accanto |
Postato da: giacabi a 14:56 |
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gesù, novalis
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“Cristo ha accettato il tempo "unilineare", cioé quella che noi chiamiamo storia. Egli ha rotto la struttura circolare delle vecchie religioni e ha parlato di un "fine", non di un "ritorno"
Pasolini
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Postato da: giacabi a 16:28 |
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pasolini, gesù
Gesù visto da Einstein
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«Nessuno
può leggere i Vangeli senza sentire la presenza attuale di Gesù. La sua
personalità pulsa ad ogni parola. Nessun mito può mai essere riempito
di una tale vita»
Einstein (G. Viereck, What Life means to Einstein , “The Saturday Evening Post”, 26.10.1929).
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Postato da: giacabi a 21:30 |
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einstein, gesù
Postato da: giacabi a 09:12 |
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perle, gesù
Postato da: giacabi a 07:34 |
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amicizia, solitudine, gesù, benedettoxvi
La morale cristiana
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“..Sono
là tutti insieme quella mattina... e Gesù aveva preparato da mangiare
per tutti -che delicatezza -e nessuno osava parlare perché tutti
sapevano che era il Signore; era lì vicino a Simone e gli dice sottovoce, senza che gli altri s'ac- corgano, gli dice sottovoce: «Simone, mi ami tu più di costoro?». Questa
è la finale della morale cristiana: l'inizio e la fine della morale
cristiana. Non gli ha detto: «Simone, mi hai tradito, Simone, pensa a
quante volte hai sbagliato. Simone, pensa quanti tradimenti! Simone,
pensa che tu puoi sbagliare ancora domani, dopodomani... Pensa a come
sei fragile, vigliacco di fronte a me». Macché! «Simone, mi ami tu più
di costoro?»: è andato sotto tutto, sotto tutto; allora questo sotto tutto trascina, e Pietro, amandolo, ha finito per morire come lui. Andate a pagina 408 del testo Un avvenimento di vita, cioè una storia, e trovate la frase di san Tommaso, la quale dice, pressappoco, che l'uomo trova la sua dignità nella scelta di quello che stima di più nella vita e da cui aspetta la più grande soddisfazione.
Luigi Giussani da: Si può vivere così? Rizzoli
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Postato da: giacabi a 08:59 |
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gesù, giussani
L’incontro con Cristo
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«…Allora compresi che tutta la mia Vita
sarebbe trascorsa nella memoria di quello che mi era accaduto:
e il suo ricordo mi riempie di silenzio».
Laurentius Eremita
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Postato da: giacabi a 21:17 |
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gesù
L'incarnazione
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L'incarnazione: ecco l'unica cosa interessante che sia mai accaduta.
Peguy, Santuario
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Postato da: giacabi a 21:49 |
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gesù, peguy
L’evento della resurrezione sfida la ragione
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La resurrezione di Cristo come avvenimento reale è la sfida più grande che la Chiesa lancia alla ragione dell’uomo moderno,
a tal punto che molti teologi hanno pensato di ridurne lo scandalo
interpretandola soltanto come una convinzione soggettiva, che si sarebbe
formata inspiegabilmente nella coscienza dei primi discepoli.
Dietro
questo scandalo c’è una concezione ridotta della ragione: essa dovrebbe
accettare solo ciò che riesce a spiegare, anche a costo di negare ciò
che è constatato direttamente o testimoniato in modo assolutamente
affidabile. Invece un uomo interamente ragionevole, cioè aperto ad ogni possibilità, di fronte ad un fatto, come quello della resurrezione di Cristo, non si dovrebbe chiedere innanzitutto “come” questo sia potuto accadere, ma se “è” veramente accaduto.
E se questo avvenimento risultasse testimoniato come realmente
accaduto, dovrebbe mettersi a cercare le prove per le quali accettare o
rifiutare in modo ragionevole questa testimonianza.
Se l’uomo del nostro tempo si mettesse in questo atteggiamento, sarebbe costretto a porsi una domanda che riguarda quel grande fenomeno storico che lo raggiunge nell’oggi e che è costituito dal movimento cristiano nella sua struttura organica: la Chiesa. Dovrebbe
chiedersi se essa potrebbe spiegarsi soltanto come frutto di immense
fatiche dottrinali e di nobili sforzi morali, che si sarebbero
accumulati lungo il corso dei secoli e il susseguirsi di tante
generazioni, o se invece questa non presenti tali caratteri di “eccezionalità” da eccedere totalmente ogni possibilità di realizzazione di spiegazione umana. Potrebbe
la Chiesa esistere se non fosse stata generata – come afferma essa di
se stessa – dall’avvenimento della resurrezione di Cristo, nel quale la
vita stessa in tutta la sua potenza e in tutta la sua verità abbia avuto
già una vittoria sul male e sulla morte?
Questa è la domanda con la quale la Chiesa sfida la ragione dell’uomo sulla verità del fatto della resurrezione.
L’ateismo moderno è caratterizzato da quella che il Papa nella Spe salvi chiama la “protesta contro Dio”. Essa è una protesta contro le ingiustizie del mondo e della storia universale: «Un
mondo, nel quale esiste una tale misura di ingiustizia, di sofferenza
degli innocenti e di cinismo del potere, non può essere l’opera di un
Dio buono. Il Dio che avesse la responsabilità di un simile mondo, non
sarebbe un Dio giusto e ancor meno un Dio buono. È in nome della morale
che bisogna contestare questo Dio». Ma ecco la conseguenza che ne è stata tratta: «poiché non c’è un Dio che crea giustizia, sembra che l’uomo stesso ora sia chiamato a stabilire la giustizia». Da qui la pretesa che l’umanità possa e debba fare ciò che nessun Dio ha fatto, né è in grado di fare. «Che da tale premessa – continua il Papa – sono
conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia non è un
caso, ma è fondato nella falsità intrinseca di questa pretesa. Un mondo
che si deve creare da sé la sua giustizia è un mondo senza speranza.
Nessuno e niente risponde per la sofferenza dei secoli. Nessuno e niente
garantisce che il cinismo del potere – sotto qualunque accattivante
rivestimento ideologico si presenti – non continui a spadroneggiare nel
mondo» (42).
L’uomo di oggi, dunque, in forza della sua stessa ragionevolezza è più
che mai chiamato a fare attenzione a quella grande giustizia annunciata
dalla Chiesa e che si sarebbe realizzata proprio nella morte e nella
resurrezione di Cristo. In Lui, Crocifisso, infatti, secondo la fede cristiana,
«Dio rivela il suo Volto proprio nella figura del sofferente che
condivide la condizione dell’uomo abbandonato da Dio, prendendola su di
sé. Questo sofferente innocente è diventato speranza-certezza: Dio c’è, e
Dio sa creare la giustizia in un modo che noi non siamo capaci di
concepire e che, tuttavia, nella fede possiamo intuire. Sì, esiste la risurrezione della carne. Esiste una giustizia. Esiste la «revoca» della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto» (43).
Quel
bisogno di appagamento del desiderio di giustizia che costituisce il
nostro cuore e che ci impedisce di accettare che l’ingiustizia della
storia sia l’ultima parola, non rende convincente almeno l’accogliere la
grande sfida che pone l’annuncio della resurrezione? Non è “ragionevole” provarne la sua capacità di fare giustizia oggi?
In
un mondo che ha visto il fallimento del tentativo di fare un “regno di
Dio” senza Dio, che si è risolto in quella “fine perversa di tutte le
cose” (già profetizzata da Kant come inevitabile, in Das Ende aller Dinge, qualora un giorno il cristianesimo fosse arrivato “a non essere più degno d’amore”), sarebbe
più ragionevole dare spazio, anche nella vita pubblica, a quella realtà
umana che afferma di essere nata dalla giustizia creata da Dio, per
provarne la sua effettiva forza di redenzione e di salvezza per la vita
dell’uomo.
Don Francesco Ventorino
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Postato da: giacabi a 14:42 |
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gesù, ventorino
Pasqua
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VUOL DIRE PASSAGGIO
CONTINUEREMMO NEL NOSTRO STERILE DESERTO da: www.avvenire.it 23-03- 2008
« T U ci credi che Gesù è risuscitato?».
Giorni fa si è svolto un lungo dibattito televisivo attorno a questa domanda. A me ancora sembra – col suo gusto della semplificazione e della sensazione giornalistica – una domanda sbagliata. Non è con essa che possono iniziare a dialogare credenti e non credenti (e i credenti fra loro). La questione di fondo, pregiudiziale alle altre, invece è questa: Gesù è il Figlio di Dio, onnipotente e infinitamente pietoso? Se non lo è, e dunque non ci viene salvezza da lui, importa poco che sia o no risuscitato. Ma se è il Figlio di Dio, ogni evento sovrannaturale attribuitogli dai Vangeli risulta credibile; in particolare Gesù, vero Dio, non può non avere vinto la sua morte umana: la morte infame e terribile, densa di peccati, nella quale ha accettato di essere completamente immerso – e chiuso, murato, sepolto – per noi. Per noi: solo grazie a questo suo angoscioso, interminabile passaggio dentro la morte e a questa sua vittoria fuori da ogni sensibile misura, arriva la nostra Pasqua, malgrado tutto; e, qualsiasi cosa ci capiti, la gioia deve essere perfetta. Giacché lui non può non avere debellato, insieme, ogni altro male, ogni altra morte: solo per questo si è fatto carne sofferente e mortale. Crederlo è il più grande dono – forse l’unico vero – che si possa ricevere. Ed è proprio un dono, una grazia: che nessuno di noi merita. Se non ci investe da sé, sconosciuto soffio che spira dove vuole e come vuole, continuiamo a vivere nel nostro sterile deserto; e vanamente adoperiamo per uscirne ogni dottrina, intelligenza, ragione umana. Cosa dire allora a chi, anche molto vicino a noi, magari al nostro stesso fianco, non ha ricevuto un simile inconcepibile regalo? Amici, fratelli, figli: cosa dirgli, perché la nostra Pasqua sia anche la loro? La nostra Pasqua che senza di loro soffre: forse non dovrebbe, forse non confida abbastanza nella misericordia di Dio, ma soffre. O forse che soffra, che sia dilaniata, è il modo giusto perché non dimentichi la croce, senza la quale non ci può essere Pasqua. Sì, ecco, la croce: è il punto di partenza verso la Pasqua anche per loro, gli atei che amiamo, i non ancora toccati dal vento di Dio, gli increduli dovunque dispersi. Che si rendano senza chiudere gli occhi alla loro croce – e a tutte le croci, miriadi di miriadi, piantate su ogni lembo del pianeta e della storia: corruzione, peccato, dolore, devastazione dell’innocenza e della grazia, morte... Accettiamo, ciechi, che sia questo il destino ultimo di tutto? Che la vita finisca in questo modo? Basta l’agonia d’un bambino violentato, d’un solo bambino ucciso dall’inedia, ad aprire una rottura irreparabile da mano umana, a far precipitare la bilancia dall’altra parte, per sempre. Signori del mondo, lucidi fautori delle sorti magnifiche e progressive, chi se lo prende in braccio questo bambino, vivo o morto, chi lo consola, chi gli restituisce quanto ha perduto? Un primo importante passo è volere che non finisca così, per il bambino e per gli altri, per tutti noi: sperare – chiedere, addirittura pregare – che l’ultima parola non siano il male, l’insensatezza, il buio. Insomma, cercare, senza desistere, di guardare oltre: verso l’invisibile; sperando che ci sia questo invisibile, questa Pasqua che tarda a venire. E rimanere qui, dentro la pazienza quotidiana, in attesa d’un passaggio che temiamo incerto, dalla morte alla vita: non ci è consentito altro; e a questo punto tocca a Dio. Al Dio onnipotente e infinitamente pietoso che portiamo scritto nel cuore e del quale, dibattendoci, non possiamo fare a meno.
Salvatore Mannuzzu è stato magistrato, e deputato indipendente nelle liste del PCI per tre legislature.
Ha vinti diversi premi, come il Viareggo, il Grinzane Cavour, lo Stresa Selezione.
grazie a Pierino
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Postato da: giacabi a 09:57 |
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gesù
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SEQUENZA
Alla vittima pasquale, s'innalzi oggi il sacrificio di lode. L'agnello ha redento il suo gregge, l'Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre. Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa. «Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?». «La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speranza, è risorto; e vi precede in Galilea». Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza.
Víctmæ pascháli láudes: ímmolent
Christiáni.
Agnus redémit oves: Christus
ínnocens Patri reconciliávit
peccatóres.
Mors et vita duéllo conflixére miràndo:
dux vitæ mórtuus, regnat vívus.
Dic nobis, María, quid vidísti in via?
Sepúlcrum Christi vivéntis: et glóriam
vidi resurgéntis.
Angélicos testes, sudárium, et vestes.
Surréxit Christus spes mea: præcédit
vos in Galilǽam.
Scímus Christum surrexísse a mórtuis
vere: tu nobis, victor Rex, miserére.
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Postato da: giacabi a 19:14 |
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gesù
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Cristo, morto e risorto per noi,
GIOVANNI PAOLO II LE MIE PREGHIERE PER VOI PIEMME, 2001sei tu il fondamento della nostra speranza! Vogliamo fare nostra la testimonianza di Pietro e quella di tanti fratelli e sorelle lungo i secoli, per riproporla alle soglie del nuovo millennio. Oggi tu, il Risorto, vuoi incontrarti con noi, in tutti i luoghi della terra, come ieri t'incontravi con gli Apostoli in Galilea. In virtù di questo incontro possiamo anche noi ripetere: «Scimus Christum surrexisse a mortuis vere: tu nobis, victor Rex, miserere». «Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto: tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza». |
Postato da: giacabi a 18:35 |
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gesù, giovanni paoloii
I difetti di Gesù
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Introduzione Card. François-Xavier Nguyen Van Thuan
Aveva un sorriso coinvolgente, pieno di pace e serenità quando mi disse:
"Se il Signore mi concederà la vita, potrei guidare tutto il ritiro?". "Io gli avevo chiesto soltanto di dirigere la conferenza introduttiva e risposi con gratitudine: "Eminenza, questo sarebbe meraviglioso!"
Così, nel febbraio 2002, a guidare gli Esercizi Spirituali per un gruppo di 50 sacerdoti, fu il Card. François-Xavier Nguyen Van Thuan, venuto a mancare a Roma, all'età di 74 anni, lo scorso 16 settembre.
Nato
il 17 aprile 1928, a Phu Cam, un paesino della provincia di Hue, in
Vietnam, era il primo di 8 figli e nipote del Primo Presidente della
Repubblica del Vietnam del Sud. Dopo il seminario, fu ordinato sacerdote nel giugno del 1953. Studiò Diritto Canonico a Roma e partecipò a Corsi Spirituali e Apostolici
nell'Europa di quel tempo. AI suo ritorno lavorò per un certo periodo
nel campo della formazione dei sacerdoti. Poi, il 24 giugno 1967, fu
nominato Vescovo della Diocesi costiera di Nha Trang.
Nel
1975, una settimana prima che Saigon cadesse nelle mani delle forze
comuniste, fu nominato dalla Santa Sede Arcivescovo coadiutore della
Diocesi di quella città. La sua nomina venne però rifiutata dalle
autorità comuniste. 1115 agosto 1975 fu convocato presso il Palazzo
dell'Indipendenza, consegnato ai militari della Regione e portato in una
piccola parrocchia di Cay Vong, dove fu messo sotto sorveglianza.
Iniziò così la sua lunga prigionia che durò per ben 13 anni, durante i quali conobbe
nel 1976, la terribile prigione di Phu Khanh e il campo di rieducazione
di Vinh Phu nel Vietnam Settentrionale. In seguito, fu posto sotto
sorveglianza prima a Giang Xa, poi presso Hanoi.
Sebbene
il 28 novembre 1988 fosse terminata ufficialmente la sua prigionia, non
ebbe il permesso di raggiungere il suo posto di Arcivescovo Coadiutore a
Ho Chi Minh (l'antica Saigon). Gli venne
quindi assegnata una residenza nella casa dell'Arcivescovo di Hanoi.
Durante un soggiorno a Roma, nel settembre del 1991, si rese conto che
il governo vietnamita non lo avrebbe più lasciato rientrare nel suo
paese.
Cominciò
così a lavorare in Vaticano, e fu nominato Presidente del Pontificio
Consiglio per la Giustizia e per la Pace il 24 giugno 1998.
Nella
Quaresima del 2000, commosse milioni di persone, che poterono conoscere
alcuni passaggi degli Esercizi Spirituali predicati per il Santo Padre e
per i membri della Curia Romana. Nelle sue meditazioni profuse le sue
esperienze spirituali maturate nel carcere. Il giorno delle sue esequie
nella basilica di San Pietro, il Santo Padre nell'omelia ha
sottolineato: « Spera in Dio! Con quest'invito a confidare nel Signore
il caro Porporato aveva iniziato le meditazioni degli Esercizi
Spirituali. Le sue esortazioni mi sono rimaste impresse nella memoria
per la profondità delle riflessioni, arricchite da continui ricordi
personali, in gran parte relativi ai tredici anni passati in carcere.
Raccontava che proprio in prigione aveva compreso che il fondamento
della vita cristiana è "scegliere Dio solo", abbandonandosi totalmente
nelle sue mani paterne».
Sua
Eminenza scelse di vivere con noi durante il ritiro, benché abitasse
poco lontano: "forse posso fare del bene" disse. Infatti, ogni sera,
abbiamo avuto l'opportunità e il privilegio di conoscere la profondità
del suo cuore, nei momenti di scambio e di colloquio più familiari.
Ci
parlò anche della sua necessità, per motivi di salute, di seguire una
dieta particolare: "Solo un po' di pesce, niente latte, un po' di
riso... Ho un tumore", disse sorridendo mentre si toccava lo stomaco.
Sono
convinto che Sua Eminenza abbia preparato questo ritiro sapendo che
sarebbe stata la sua ultima opportunità di parlare a dei sacerdoti.
Una volta la sua segretaria mi ha chiamato: "Sua Eminenza vorrebbe parlare con Lei".
Voleva, in tutta semplicità, chiedermi un parere su una nuova idea. "Cosa pensa di questo? Le dieci A per ogni sacerdote" - una idea geniale per riassumere tutto il ritiro.
Per
tutti noi partecipanti, questo ritiro è stato come un cenacolo, nel
quale abbiamo potuto rinnovare profondamente la nostra fede e la nostra
vocazione sacerdotale, guidati da un maestro e martire del 20° secolo.
P. Dermot Ryan, LC
Gioia dell'incontro con Gesù
di:Card. François-Xavier Nguyen Van Thuan
Cari
Amici, Fratelli carissimi nella grazia del battesimo e del sacerdozio!
Innanzitutto i miei cordialissimi saluti e auguri di amore e di pace.
A quale scopo sono venuto proprio qui, in questi giorni? La risposta è semplice: sono
venuto per la nostra santificazione, che è la cosa più urgente che il
Signore vuole da noi sacerdoti per il nuovo millennio: "Questa è la
volontà di Dio, la vostra santificazione" (1Ts 4,3).
Come sapete la lettera da cui è tratta questa frase, indirizzata ai
cristiani di Tessalonica, è il più antico scritto cristiano. L'apostolo
Paolo sin dall'inizio ha voluto dire la cosa più importante e
necessaria, e continua a ripetercela oggi. Come articolerò questo
incontro con voi?
Vorrei meditare con voi sulle Gioie dei testimoni della speranza.
L'incontro con Cristo nella mia vita.
Il
primo punto della mia prima tappa parte da un testo di Matteo: "Se vuoi
essere perfetto, va, vendi i tuoi beni e seguimi" (Mt 19,21). È il
messaggio di Giovanni Paolo II ai giovani di Tor Vergata: "Non abbiate
paura di essere i santi del nuovo millennio" (18 Agosto 2000). A voi
sacerdoti qui adunati voglio dire analogamente: non abbiate paura di
essere i sacerdoti santi del nuovo millennio!
Vorrei
iniziare questa riflessione sulla chiamata alla santità da un esame di
coscienza molto personale: nella mia vita, e anche adesso da cardinale,
ho avuto ed ho paura delle esigenze del Vangelo: ho
paura della santità, di essere santo. Mi piacciono le mezze misure.
Invece Cristo mi richiama ogni minuto ad amare Dio con tutto il mio
cuore, con tutta l'anima, con tutte le mie forze, con tutto me stesso.
Ogni giorno io ho vissuto momenti come quelli del giovane nel Vangelo
che se ne va triste perché ha molti beni.
Nella mia vita ho molto predicato,
a ogni categoria di persone, ma talvolta non ho osato chiedere la
santità. Ho parlato della gioia, della speranza, dell'impegno, ma
ho avuto paura di parlare della santità, come se fosse qualcosa che la
gente non può comprendere o accettare come possibile. Ho sottovalutato
la buona volontà della gente e la forza della grazia del Signore.
Io
sono stato in prigione più di tredici anni: ho avuto momenti duri,
anche molto duri. Tante volte non ho osato pensare alla santità: ho
voluto essere fedele alla Chiesa, non rinnegare nulla della mia scelta.
Ma non ho pensato sufficientemente ad essere santo, mentre Cristo in
verità ha detto: "Siate perfetti come il Padre vostro è perfetto" (Mt 5,48).
Lo
scorso anno sono stato operato per l'asportazione - almeno parziale -
di un tumore. Mi hanno tolto due chili e mezzo del tumore: sono rimasti
nel mio ventre quattro chili e mezzo, che non possono essere asportati.
Ed io ho avuto paura di essere santo con tutto questo: questa è stata la
mia sofferenza. Essa però è durata solo fino al momento in cui ho visto
la volontà di Dio in quanto mi succedeva ed ho accettato di portare
questo peso fino alla morte, e di conseguenza
di non poter dormire che un'ora e mezza ogni notte. Accettando questo,
sono ora nella pace: nella sua volontà è la mia pace! Fino a quando Dio
vorrà, vorrò essere come Lui vorrà da me, per me!
Chi è il Cristo che mi viene incontro?
Nella Sacra Scrittura preghiamo spesso con il Salmi sta: "Fa'
splendere il Tuo volto" (Sal 80,4) o "Cerco il Tuo volto" (Sal 27,8). E
questo senza fine, fino al giorno in cui potremo vedere Cristo faccia a
faccia.
Un
giorno i carceri eri mi hanno domandato: "Chi è Gesù Cristo? Perché tu
soffri per Lui?" Anche i giovani mi hanno spesso chiesto: "Chi è Gesù
Cristo per Lei e come mai ha lasciato tutto per Lui? Lei poteva avere
casa, famiglia, beni, un buon avvenire e ha lasciato tutto per seguire
Gesù; Chi è dunque Gesù nella sua vita?"
È
difficile dire le qualità di Dio: sono trascendenti. Egli è
onnipotente, onnisciente, onnipresente... Mi sembra più facile dire i
difetti di Gesù. Alcuni di voi avete forse sentito parlare dei cinque
difetti di Gesù, di cui ho trattato negli esercizi spirituali alla Curia
romana. Alcuni Cardinali e Vescovi dopo questa meditazione mi hanno
chiesto dove fossero gli altri difetti. Oggi, se volete, vi dico anche
gli altri. l cinque difetti di cui avevo parlato alla Curia erano:
Gesù non ha buona memoria,
perché sulla Croce il buon ladrone gli chiede di ricordarsi di lui in
Paradiso e Gesù non risponde come avrei fatto io "fa' prima venti anni
di purgatorio", ma dice subito di sì: "Oggi tu sarai con me in paradiso"
(Lc 23,43).
Con la Maddalena fa la stessa cosa, e ugualmente con Zaccheo, con Matteo ecc. "Oggi la salvezza entra in questa casa" (Lc 19,9), dice a Zaccheo. Gesù perdona e non ricorda che ha perdonato. Questo è il suo primo difetto.
Il secondo difetto è che Gesù non conosce la matematica:
un pastore ha cento pecore. Una si è smarrita: lascia le novantanove
per andare a cercare quella smarrita e quando la incontra la porta sulle
spalle per tornare all'ovile (Mt 18, 12). Se Gesù si presentasse
all'esame di matematica sarebbe certamente bocciato, perché per lui uno è
uguale a novantanove.
Il terzo difetto di Gesù è che non conosce la logica:
una donna ha perduto una dracma. Accende la luce per cercare in tutta
la casa la dracma perduta e quando l' ha trovata va a svegliare le
amiche per festeggiare con loro (Lc 15, 8). Si vede che è veramente
illogico il suo comportamento, perché sapendo che la dracma era comunque
in casa, avrebbe potuto aspettare la mattina seguente e dormire. Invece
cerca subito, senza perdere tempo, di notte. D'altra parte, svegliare
le amiche non è meno illogico. Anche la causa per cui festeggiare l'aver
trovato una dracma - non è poi tanto logico. Infine, per festeggiare
una dracma ritrovata dovrà spendere più di dieci dracme...
Gesù fa lo stesso: in cielo il Padre, gli angeli e i santi hanno più gioia per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza.
Il quarto difetto è che Gesù sembra essere un avventuriero:
di solito un politico alle elezioni fa propaganda e promesse: la
benzina costerà meno, le pensioni saranno più alte, ci sarà lavoro per
tutti, non ci sarà più inflazione... Gesù, invece, chiamando gli
apostoli, dice: "Chi vuoi venire dopo di me, lasci tutto, prenda la sua
croce e mi segua" (Mt 16,24). Seguirlo, dunque, per andare dove? Gli
uccelli hanno un nido, le volpi una tana, ma il Figlio dell'uomo non ha
dove posare il capo... Seguire Gesù è un'avventura: fino all'estremità
della terra, senza auto, senza cavallo, senza oro, senza mezzi, senza
bastone, unicamente con la fede in Lui.
Non vi sembra che sia proprio un avventuriero? Eppure, da venti secoli siamo ancora in molti ad entrare nell'associazione dei suoi avventurieri, come Lui, con Lui.
Il quinto difetto di Gesù è che non conosce l'economia e la finanza, perché va a cercare quelli che lavorano alle tre e alle sei e alle nove e paga gli ultimi come i primi (Mt 20, 1ss).
Se Gesù fosse economo di una comunità o direttore di una banca, farebbe bancarotta, perché paga chi lavora meno come chi ha fatto tutto il lavoro.
A questi cinque difetti, vorrei aggiungerne ancora nove:
Il sesto è che Gesù è amico dei pubblicani e dei peccatori: come vedete, frequenta cattive compagnie!
Il settimo è che ama mangiare e bere: lo accusano di essere un mangione e un beone.
Poi, ed è l'ottavo difetto, sembra matto: i
parenti stessi pensano così di Lui e davanti a Pilato gli mettono
addosso una tunica bianca per dire che è matto. Il soldato romano gli
dice: "Tu hai salvato gli altri, se sei Dio scendi dalla croce, salva te
stesso" (Mt 27,40. 42). Quel matto che è Gesù non lo fa.
Il nono difetto è che Gesù ama i piccoli numeri, mentre
la gente ama la massa, la grande folla: va alla ricerca della
Maddalena, della Samaritana, dell'Adultera... La "carta magna" di Gesù
-le beatitudini - appare come un fiasco: beati i poveri, gli oppressi,
gli afflitti, i perseguitati, ecc. (Lc 6, 20). Gesù ama tutto questo:
chi lo segue deve essere matto come lui!
Il decimo difetto è l'insuccesso continuo: la sua vita è piena di insuccessi. Cacciato dal suo paese è sconfitto, perseguitato, rifiutato, condannato a morte...
Ancora, ed è il difetto numero undici, Gesù è un professore che ha rivelato il tema dell'esame: se fosse
un insegnante sarebbe licenziato subito! Il tema dell'esame e il suo
svolgimento è descritto a puntino da lui: verranno gli angeli,
convocheranno i buoni alla destra, i cattivi alla sinistra, e tutti
saremo giudicati sull'amore (Mt 25,31ss). Sapendo questo, tutti
potrebbero essere promossi!
Il dodicesimo difetto è che Gesù è un Maestro che ha troppa fiducia negli altri. Chiama
gli apostoli quasi tutti illetterati, ed essi lo rinnegheranno. Nel
tempo continuerà a chiamare gente come noi, peccatori. La via di Dio
passa per i limiti umani: chiama Abramo,
che non ha figli ed è vecchio; chiama Mosè, che non sa parlare bene;
chiama dodici uomini mediocri e ignoranti, e uno di essi lo consegnerà; e
per chiamare i pagani sceglie un violento e un persecutore, Saulo; e
nella Chiesa continua a fare così...
Gesù è un temerario incorreggibile: perciò ha scelto me, ha scelto voi, noi tutti poveri peccatori. Gesù non si corregge proprio!
Il tredicesimo difetto è che Gesù è molto imprudente: si dice che per essere un leader bisogna prevedere. Gesù non prevede: soprattutto, non prevede la morte dei suoi discepoli.
Richiede loro di essere fedeli fino alla morte: però non sembra occuparsi di quello che viene dopo... Gesù trascende la saggezza umana: che cosa succederà, quando tutti saranno morti, a loro e a quelli che verranno dopo di loro?
Il quattordicesimo difetto è la povertà: di
essa il mondo ha molta paura. Oggi si parla tanto di lotta alla
povertà: Gesù esige dalla sua Chiesa e dai pastori la povertà, qualcosa
di cui tutti hanno paura. Gesù ha vissuto senza casa, senza
assicurazione, senza deposito, senza tomba, senza eredità, umanamente e
materialmente senza sicurezza alcuna.
Questi
quattordici difetti possono essere oggetto di una vera e propria via
della Croce, con le sue quattordici stazioni da meditare.
Nel mondo non c'è una strada col nome di Gesù: c'è Piazza Pio XII, Piazza Cardinal tal dei tali, ma non c'è Piazza o Via Gesù di Nazaret. La sua strada è questa via della Croce, carica dei suoi difetti, che siamo chiamati a fare nostri...
E noi abbiamo creduto al suo amore
Mi
domanderete: "perché Gesù ha questi difetti?" Rispondo: "perché è
Amore!" E l'amore autentico non ragiona, non pone limiti, non calcola,
non ricorda il bene che ha fatto e le offese che ha ricevuto, non pone
mai condizioni. Se ci sono condizioni, non c'è più amore.
Il sacerdote di questo nuovo millennio è quello che ha incontrato Gesù e in cui il popolo può incontrare Gesù.
Quando medito su questo, sento il mio cuore pieno di felicità, di gioia e di pace. Spero che alla fine della mia vita - quando sarò giudicato sull'amore Gesù mi riceva come l'ultimo lavoratore della sua vigna, a cui dà la stessa ricompensa del primo, dicendomi come al ladrone pentito: "Oggi stesso sarai con me in paradiso" (Lc 23, 43). Io con Zaccheo, con la Samaritana, con la Maddalena, con Agostino e tutti gli altri canterò la misericordia per tutta l'eternità, ammirando eternamente le meraviglie che Dio riserva ai suoi eletti. Mi rallegro perciò di vedere Gesù con i suoi difetti, che sono grazie a Dio incorreggibili, e che sono il grande motivo della mia speranza.
Carissimi fratelli in Cristo! Non mi piace troppo il Cristo Re nella Sua Maestà, ma preferisco il Gesù di Pietro sulla barca, il Gesù che chiama la Maddalena con il suo nome: "Maria!" (Gv
20, 16), e che all'adultera dice "Neanch'io ti condanno" (Gv 8,10); il
Cristo dei piccoli, dei semplici, dei poveri, così vicino a noi che ci
dice: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, ed io vi
ristorerò" (Mt 11,28), e che mi dice: "Francesco, tutto ciò che è mio, è
tuo!". Desidero che nessuno mi scacci, allontanandomi da Te.
Voglio
poterTi vedere da vicino, bere alla Tua coppa, riposare il capo sul Tuo
petto, ascoltarTi dire: "Francesco, chi vede me, vede il Padre" (Gv 14,9).
Carissimi fratelli,
Gesù non ci chiama a diventare tutti dei dottori, dei profeti, o a
parlare le lingue, ma ci dona la grazia di essere dei santi, anche se io
sono peccatore!
Non
abbiate paura! Perché dove abbonda il peccato, là sovrabbonda la
grazia! Vi supplico: Non abbiate paura di essere santi, i sacerdoti
santi del nuovo millennio. E per esserlo c'è bisogno di una sola cosa:
l'amore!
UN MENÙ DOLCE: I DIFETTI DI GESÙ
(14 stazioni da una "Via Crucis" che mi porta alla speranza)
1. Gesù non ha buona memoria
2. Gesù non conosce la matematica
3. Gesù non conosce la logica
4. Gesù sembra essere un avventuriero
5. Gesù non conosce l'economia e la finanza
6. Gesù è amico dei pubblicani e dei peccatori
7. Gesù è accusato di essere un mangione e un beone
8. Gesù sembra matto
9. Gesù ama i piccoli numeri
10. Gesù è l'insuccesso continuo
11. Gesù è un professore che ha rivelato il tema dell'esame
12. Gesù ha troppa fiducia negli altri
13. Gesù è molto imprudente
14. Gesù è povero
Gesù ha questi difetti perché è Amore!
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Postato da: giacabi a 20:03 |
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testimonianza, gesù, van thuan
Noi abbiamo bisogno di uno che abbia..
***
«...passione per il nostro niente, perche ci guarda senza ridurci, avendo a cuore tutta l'esigenza di felicità che ci costituisce. Uno, sentendosi guardato così, sperimenta subito il contraccolpo che gli fa cogliere la corrispondenza. «E questo che io aspettavo: uno che mi guardasse così, che avesse veramente a cuore il mio io,che mi affermasse così, in modo da farmi sperimentare il vivere come mai prima! »
don Carron Esercizi di Fraternità 2007
1°esempio:"Cristo era l'unico
nelle cui parole tutta la loro esperienza umana si sentiva compresa e i
loro bisogni presi sul serio, e portati alla luce là dove erano
inconsapevoli e confusi; così, ad esempio,
proprio coloro che credevano di avere solo il bisogno del pane
incominciavano a capire che «non di solo pane vive l'uomo».
Cristo si presenta a loro proprio così, come un Altro che viene loro sorprendentemente incontro, li aiuta, spiega i loro guai, li guarisce perfino se sono storpi o ciechi, fa bene all'anima, risponde alle loro esigenze, è dentro la loro esperienza... Ma cosa sono le loro esperienze? Le loro esperienze, i loro bisogni, le loro esigenze sono loro stessi, quegli uomini lì, la loro umanità stessa. "
don giussani da: Tracce di esperienza cristiana
2°esempio: "un ragazzo disadattato dopo averla incontrata (Delbrel), illustrava così la sua splendida formula: «Lei
ha indovinato il mio vero io, sfigurato per tutti, sconosciuto perfino a
me stesso, un io che io stesso odiavo perché mi sentivo incatenato...
Grazie a lei io sono esistito, prima di esistere" delbrel
3°esempio: «25
marzo 1988, padre Aldo Trento non dimentica questa data, incontra don
Giussani e gli dice piangendo che vuole farla finita. «Lui mi ha
risposto: bene, io ora ti tengo con me. Mio fratello voleva farmi
ricoverare in ospedale, ma Giussani mi ha portato con sé per mesi.
Diceva che era certo che quella malattia era per un progetto che Dio
aveva su di me. Io stavo come un cane, ma mi sono fidato. Un giorno mi
ha annunciato: "Ora è tempo che parti per la tua missione". E io
sbalordito: ma dove vado, cosa annuncio, io che ho solo voglia di essere
morto? "Io mi fido di te", mi ha risposto. E sono partito».
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Postato da: giacabi a 21:36 |
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santi, gesù, carron
Ciò che fa vincere la passività
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« L'attualità piena di ciò che siamo è possibile solo in vista di un'altra presenza, di un altro essere che ha la virtù di porci in esercizio, in atto... E come sarebbe possibile uscire da se... a meno di non essere irresistibilmente innamorati»
Maria Zambrano
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Postato da: giacabi a 10:05 |
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chiesa, amicizia, gesù, zambrano
“Il Verbo si è fatto carne”
la fonte della vita e la salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini
***
"Su Cristo, potete discutere, non essere d’accordo… tutte queste discussioni sono possibili e il mondo è pieno di esse, e a lungo ancora ne sarà pieno. Ma io e voi, Šatov, sappiamo che sono tutte sciocchezze, che Cristo – in quanto solo uomo – non è Salvatore e fonte di vita, e che la sola scienza non completerà mai ogni ideale umano e che la pace per l’uomo, la fonte della vita e la salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini, la condizione sine qua non e la garanzia per l’intero universo si racchiudono nelle parole: ‘Il Verbo si è fatto carne’ e nella fede in queste parole". F.Dostoevskij, un appunto per I demoni
citato dal card. Giacomo Biffi nella catechesi “La fede di Pietro e la nostra fede” del 20 ottobre 2000, nella chiesa di San Gregorio VII, durante il pellegrinaggio giubilare a Roma)
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Postato da: giacabi a 18:57 |
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dostoevskij, gesù
La storia moderna incominciava da Cristo e dal Vangelo
***
«E
[Pasternak] si mise a parlare di Cristo che viene a noi di là, dalle
lontananze della storia, come se queste lontananze fossero l’oggi e
declinassero verso sera con la trasparenza dell’oggi, fluendo in un
illimitato futuro. […]. Cristo
veniva oggi perché tutta la storia moderna incominciava da Cristo e dal
Vangelo, non escluso il giorno presente. E Cristo era la realtà più
naturale e più prossima. Per Pasternak non esistevano separazioni in
secoli, popoli, chiese. […].
Guardando attraverso la piccola finestra i campi e le alture coperte di
neve, Pasternak parlava di Cristo che viene a noi di là; parlava senza
affettazione, senza alcun pathos solenne e magnificente, in modo
semplice e quieto, come se quel “là” e quel “di là” fossero
l’appezzamento adiacente alla sua casa, con tutto il panorama di campi
coperti di neve e che si perdevano in lontananza».
Andrej Sinjavskij
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Postato da: giacabi a 22:42 |
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gesù, pasternak, sinjavskij
Il cristianesimo è
lo stupore che Dio è un uomo
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«Colui che non abbiamo mai visto, che però aspettiamo con vera bramosia, che ragionevolmente però è stato considerato irraggiungibile per sempre, eccolo qui seduto».
F. Kafka - Il Castello
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Postato da: giacabi a 20:04 |
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cristianesimo, kafka, gesù
***
“ Almeno una volta nella vita ogni uomo cammina con Cristo verso Emmaus”
Oscar Wilde
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Postato da: giacabi a 19:29 |
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wilde, gesù
Gesù Cristo
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«Egli non insegna niente a nessuno, ma basta essere condotti alla sua presenza per diventare qualcuno, e alla sua presenza noi tutti siamo destinati»
Oscar Wilde
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Postato da: giacabi a 14:06 |
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wilde, gesù
Gandhi e il crocifisso
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“Se non può vedere il papa, almeno riesce a visitare coi segretari i Musei Vaticani, fuori orario, per uno strappo concessogli in segno di cortesia. Mahadev Desai, uno del seguito, riferirà che ad
attirare specialmente Gandhi non sono i tesori d'arte, ma il grande
Crocifisso del XV secolo che sovrasta l'altare della Cappella Sistina. Così avviene che la porta chiusa dalla realpolitik vaticana apra al profeta della nonviolenza l'incontro
con la figura del Cristo in croce, nel cuore del Vaticano ed è questo
Cristo che lo emoziona nel profondo. Per molti minuti Gandhi rimane a
contemplare il grande Crocifisso, gli si avvicina, lo osserva sempre più rapito e commosso; torna sui propri passi, gli gira intorno più volte, come per eseguire il rito indiano della circumambulazione di un oggetto di culto: «Non si può fare a meno di commuoversi fino alle lacrime", e il suo commento immediato. Tornerà
più volte a ricordare la commozione provata allora, fino al pianto, di
fronte alla rappresentazione di un Uomo che aveva saputo morire sulla
croce per la salvezza dell'umanità.”
Giancarlo Zizola da: il Foglio 11-02-08
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Postato da: giacabi a 15:15 |
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gandhi, gesù
I.N.R.I.
Artista: Lucio Dalla
Album: Il Contrario Di Me Titolo: I.N.R.I. Tra miglia e mondi te ne vai… e splendi o appeso in croce in un garage io non ho dubbi Tu… esisti… e splendi con quel viso da ragazzo con la barba senza età ci guardi e splendi… di cercarti io non smetterò abbiamo tutti voglia di… parlarti mi senti… mi senti Ah… Sono Tuo figlio anch’io… Dio Sono Tuo figlio anch’io… Dio…Dio… Tra i cani zoppi ti… confondi e splendi nei cartoni che son case per chi non le ha ti ho visto… che splendi… di chiamarti io non smetterò abbiamo tutti voglia di… abbracciarti mi senti… mi senti Ah… Sono Tuo figlio anch’io… Dio Sono Tuo figlio anch’io… Dio Su una nave colma Tu… ti stringi ma splendi nei dipinti insieme ai diavoli e a Maria di colpo ritorni… inseguirti io non smetterò abbiamo tutti voglia di… fermarci mi senti… mi senti Ah… Aiutami fratello mio… mio… parlarci tu con Dio… con Dio Sono Suo figlio anch’io… anch’io… parlaci tu con Dio… con Dio Fratello mio… fratello mio… parlaci tu con Dio Fratello mio… fratello mio… parlaci tu… parlaci tu… con Dio. |
Postato da: giacabi a 21:31 |
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canti, gesù
Sevillanas del adios
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Don Giussani in un incontro con gli studenti a Cervia commenta il canto Sevillanas del
«Qualcosa
muore nell’anima quando se ne va l’amico. Quando l’amico se ne va e va
lasciando una traccia che non si può cancellare. Non andartene, ancora;
non andartene, per favore, perché anche la mia chitarra piange quando
dice addio.
Un fazzoletto di silenzio al momento della partenza. Al momento della
partenza, perché hai parole che feriscono e non si possono dire. La
barca, ecco, si va facendo piccola quando s’allontana sul mare. Quando
si allontana sul mare e quando si va perdendo, che grande è la solitudine! Questo vuoto che lascia l’amico che se ne va. L’amico che se ne va è come un pozzo senza fondo, che non si può più riempire». Allora,
immaginate questo uomo o questa gente che sta sul molo e saluta l’amico
che se ne va con un piccolo battello; se ne va, se ne va, fino a quando
scompare all’orizzonte. Scompare all’orizzonte, e la linea
dell’orizzonte non si può valicare, e il pozzo non si può più riempire, e
uno è solo. Il cristianesimo è l’inverso:
è l’uomo che è solo, lì sul molo, ma aspetta, perché tutto in lui
aspetta; ed ecco, sull’orizzonte appare un punto, un punto che viene
verso la riva: si ingrandisce, si ingrandisce, si ingrandisce... è una
barca, su cui si vede a un certo punto il barcaiolo, si intravede il
barcaiolo. Arriva, arriva, arriva... attracca; e chi era sulla barca
abbraccia l’uomo che stava sulla riva. «Appare un punto all’orizzonte,
sulla linea dell’orizzonte: è questa barca. Questo barquiño, che
è un punto, diventa sempre più grande; agli occhi dell’uomo attento che
lo fissa diventa sempre più grande, sempre più grande, finché si
delinea anche nei suoi fattori interni e si vede un uomo, il barcaiolo,
seduto dentro. La barca si avvicina alla riva, attracca, e l’uomo che
stava aspettando abbraccia l’uomo che arriva. Il cristianesimo nasce così, come l’uomo che aspetta, che abbraccia l’uomo che arriva dall’altrimenti enigmatico e prima ignoto orizzonte». L’uomo che arriva è Dio che si è fatto uomo.
Grazie a : graciete.splinder.com
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