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domenica 12 febbraio 2012

Gesù,4


Gesù Cristo diventa presente sotto l'aspetto di una umanità diversa.
 ***
Gesù Cristo, quell'uomo di duemila anni fa, si cela, diventa presente, sotto la tenda, sotto l'aspetto di una umanità diversa. L'incontro, l'impatto, è con una umanità diversa, che ci sorprende perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce l'aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è reperibile altrove. La diversità umana in cui Cristo diventa presente sta propriamente in ciò: nella maggior corrispondenza,nell'impensabile e impensata corrispondenza maggiore di questa umanità in cui ci imbattiamo, alle esigenze del cuore -alle esigenze della ragione.
Quest'imbattersi della persona in una diversità umana è qualcosa di semplicissimo, di assolutamente elementare, che viene prima di tutto, prima di ogni catechesi, riflessione e sviluppo: è qualcosa che non ha bisogno di essere spiegato, ma solo di essere visto, intercettato, che suscita uno stupore, desta una emozione, costituisce un richiamo, muove a seguire, in forza della sua corrispondenza all'attesa strutturale del cuore.
L'imbattersi in una presenza di umanità diversa viene prima non solo all'inizio, ma in ogni momento che segue l'inizio: un anno o vent'anni dopo.
 Il fenomeno iniziale -l'impatto con una realtà umana nuova, lo stupore che ne nasce - è destinato ad essere il fenomeno iniziale e originale di ogni momento dello sviluppo. Perché non vi è alcuno sviluppo se quell'impatto iniziale non si ripete, se l'avvenimento non resta cioè contemporaneo. O si rinnova, oppure nulla procede, e subito si teorizza l'avvenimento accaduto, e si brancica alla ricerca di appoggi sostitutivi di Ciò che è veramente all'origine della diversità. ,
Il fattore originante è, permanentemente, l'impatto con una realtà umana diversa. Se dunque non riaccade e si rinnova quello che è avvenuto in principio non si realizza vera continuità: se uno non vive ora l'impatto con una realtà nuova non capisce ciò che gli è accaduto prima. Solo se l'avvenimento riaccade ora, si illumina e si approfondisce ad un livello più maturo l' avvenimento iniziale, e si stabilisce così una continuità, uno sviluppo.
Qui si chiarisce l'accenno al fatto che «tutto è grazia». L'imbattersi in una realtà umana nuova è una grazia, è sempre una grazia -altrimenti diventa la scoperta tentata dei propri pensieri o l'affermarsi presuntuoso delle proprie capacità critiche. La diversità che si nota, l'origine della diversità umana in cui-ci si imbatte, è gratuità assoluta.
'L'avvenimento iniziale prosegue solo se continuamente si parte dall'imbattersi in una realtà umana nuova: «Cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dai loro discorsi», diceva l'invito contenuto in uno dei documenti della cristianità primitiva, la Didachè. La continuità con quello che è avvenuto al principio si avvera perciò solo attraverso la grazia di un impatto sempre nuovo e stupito come la prima volta.
Altrimenti, in luogo di tale stupore, dominano i pensieri che la propria evoluzione culturale rende capaci di organizzare, le critiche che la propria sensibilità formula a quello che si è vissuto e che si vede vivere, l'alternativa che si pretenderebbe imporre, eccetera.
Don  Giussani da: il Sabato 27 febbraio 1993


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chiesa, gesù, giussani

sabato, 01 novembre 2008

«Egli è disceso e mi ha presa» ***
 

         «…È stato durante una di queste recite che, come io vi ho scritto, il Cristo in persona è disceso e mi ha presa»[14]. In quella poesia, che recitava verso la fine del 1938, «Love», conosciuta ad opera di un giovane inglese incontrato a Solesmes, Cristo era disceso e l’aveva presa.

Love - Amore

L’amore m’invitò; ma l’anima mia indietreggiò,
colpevole di polvere e di peccato.
Ma chiaroveggente l’Amore, vedendomi esitare
fin dal mio primo passo,
mi si accostò con dolcezza, domandandomi
se qualcosa mi mancava.
«Un invitato», risposi, «degno di essere qui».
L’Amore disse: «Tu sarai quello».
Io, il malvagio, l’ingrato? Ah! Mio diletto,
non posso guardarti.
L’Amore mi prese per mano, sorridendo rispose:
«Chi fece questi occhi, se non io?»
«È vero, Signore, ma li ho macchiati;
che vada la mia vergogna dove merita».
«E non sai tu» disse l’Amore, «chi ne prese
il biasimo su di sé?»
«Mio Diletto, allora servirò».
«Bisogna tu sieda» disse l’Amore, «per gustare
il mio cibo».
Così mi sedetti e mangiai
Ripetendola con la massima attenzione, recitandola a memoria, specie quando l’emicrania si fa più insopportabile, Simone fa l’esperienza dell’Amore di Dio.
         «Spesso, nei momenti culminanti delle violente crisi di mal di testa, mi sono esercitata a recitarla, ponendovi tutta la mia attenzione e aderendo con tutta l’anima alla tenerezza che essa racchiude. Credevo di recitarla soltanto come una bella poesia ma, a mia insaputa, quella recitazione aveva la virtù di una preghiera. Fu proprio durante una di queste recitazioni che, come già vi scrissi, Cristo stesso è disceso e mi ha presa. Nei miei ragionamenti sull’insolubilità del problema di Dio, non avevo mai previsto questa possibilità di un contatto reale, da persona a persona, quaggiù, fra un essere umano e Dio»[15].
         Simone Weil, in compagnia di sua madre, si era recata durante la settimana santa dello stesso anno, in un’abbazia, molto famosa per la bellezza della liturgia, per ascoltare il canto gregoriano. Vi rimase dalla domenica delle Palme al martedì dopo Pasqua e partecipò a tutti i riti, destando un grande stupore. Rimase molto colpita dalla presenza di un giovane inglese che tornava dalla comunione quasi trasformato dall’incontro sacramentale e, tramite lui, riceve «per la prima volta, l’idea di una efficacia soprannaturale dei sacramenti»[16].
         Questo giovane le fa conoscere i poeti metafisici inglesi e quindi la poesia che ella «recitava solamente come se fosse un poema», ma che a sua insaputa, «aveva l’efficacia di una preghiera»[17].
«Il Cristo in persona è disceso e mi ha presa»[18].

         Esperienza singolare

         Questa “discesa” s’imprimerà nel suo cuore, nella sua anima. Qualche anno prima, aveva avuto un’altra esperienza straordinaria. Nell’estate del 1935, in Portogallo, ove, con i suoi, assistendo ad una processione sul mare e ascoltando i canti tristi delle donne, intuisce che il cristianesimo è la religione degli schiavi e che gli schiavi non possono non aderirvi; perciò è la religione per lei.
         Sperimenta sulla sua pelle la preoccupazione del lavoro, del denaro, la paura della disoccupazione, la malattia. «I miei compagni di schiavitù», andava ripetendo, «sono gli operai».
         È pervasa da una profonda tristezza da toglierle il respiro. Nel 1937, in Italia, dopo aver partecipato alla guerra civile spagnola ed esserne uscita delusa e amareggiata per la miseria dell’uomo, della malattia, visita Assisi che le offre in dono una forte esperienza spirituale. «La patria della mia anima!».
         E ricorderà questo singolare evento quando nel 1942 scriverà a p. Perrin: «Nel 1937 ho trascorso ad Assisi due giorni meravigliosi. Là stando sola nella piccola cappella romanica del XII sec. di s. Maria degli Angeli, incomparabile meraviglia di purezza, ove s. Francesco ha pregato molto spesso, qualcosa di più forte di me mi ha obbligato, per la prima volta nella mia vita, a inginocchiarmi»[19].
         A Solesmes nel 1938 Cristo stesso in persona «discese e la prese». Il cristianesimo del Portogallo, il «qualcosa di più forte» di Assisi, ora è «Qualcuno», è una persona e ha il volto di Cristo.
         Lottando contro il mal di testa, da cui era affetta da sempre e lasciando la carne soffrire da sola, riesce a gustare il canto gregoriano e i sacri riti della settimana santa: «Questa esperienza mi ha permesso di comprendere meglio, per analogia, la possibilità di amare l’amore divino attraverso la sventura. Proprio mentre si celebravano quegli uffici liturgici il pensiero della passione di Cristo è entrato in me una volta per tutte»[20].
         La condizione di dolore, di sofferenza fisica, e la passione di Cristo si unificano. Il Cristo della Croce, il Cristo della Passione che «scende» nella sua sventura umana. Saranno queste le tematiche che impronteranno le sue riflessioni e le sue scelte concrete di vita.
         Scrivendo al poeta Bousquet dice: «Durante quel periodo, la Parola di Dio non aveva nessun posto nei miei pensieri. L’ha avuto solo dal giorno in cui, circa tre anni e mezzo fa non ho potuto rifiutarlo… ho sentito (senza essere  preparata per niente, dato che non avevo mai letto i mistici) una presenza più personale, più certa, più reale di quella di un essere umano, inaccessibile ai sensi e all’immaginazione… da allora il nome di Dio e di Cristo si sono intessuti sempre più irresistibilmente ai miei pensieri»[21].



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gesù, weil

domenica, 28 settembre 2008

LA SECONDA VENUTA
***
 di DIEGO FABBRI

Chi si trovi tra mezzogiorno e il tocco a passare per via delle Fornaci, vedrà scendere un po’ a saltelloni giù dal Gianicolo uno strano personaggio con un persistente sorriso sul volto dolce, ma un po’ sciocco. Sui trent’anni, scuro di pelle e nerissimo di capelli, con una barbetta alla nazzarena: richiama, in bruno, le bellezze un po’ oleografiche dei popolari Cristi biondi.
I ragazzi lo attorniano, e ci scherzano. Gli altri – specie le donne e i bottegai – gli danno qualcosa perché viva. A furia di vederlo passare – poiché io sto proprio da quelle parti – e di prestar orecchio al parlare della gente, ho raccolto molte voci sul suo conto; voci ricche d’ogni sorta di fantasiose piacevolezze che varrebbe forse la pena di raccontare. A ogni modo quello che colpisce profondamente, ogni volta che s’assiste a questo evangelico passaggio, è il rispetto di cui si rivestono sia la curiosità attenta dei più, sia il sorriso bonario e compassionevole di qualcun altro.
Quel personaggio un po’ sciocco e mattacchione ha una indubbia forza evocatrice: dà corpo a un’altra immagine; richiama un’altra presenza: quella sempre incombente e desiderata e – direi – quotidianamente aspettata del Cristo vero. Perché conviene ben dirlo senza alcun pudore, specie
in questi tempi così violentemente spudorati: se c’è un’attesa veramente sentita da tutti, un’attesa veramente popolare, è l’attesa di un miracolo, di un gran miracolo!
Tutti lo aspettiamo. E’ la sola cosa che ci rimane in mezzo a tante incertissime cose! E il più miracoloso dei miracoli sarebbe che Cristo tornasse, facesse un ‘altra apparizione.

La gente di questi tempi – pregando o imprecando – sembra dire: «Sei venuto una volta, ma nel mondo non è cambiato granchè. Come mai?». Tanto che ci prende perfino il dubbio, in certi giorni di scoraggiamento, che il programma cristiano non sia più vero, non sia più attuale. Allora ci perdiamo a guardare dentro noi stessi, e fuori di noi, nel mondo, nella società, nella storia. Siamo spinti dalla necessità di veder chiaro.
Non vorremmo essere vittima di un inganno, prolungato e sottile. Non vorremmo considerarci cristiani per un semplice fatto di eredità e di educazione cristiana. Rifacciamo, allora, la nostra storia; risaliamo su, fino alle prime intuizioni di Dio che avemmo, mescolate alle immagini dei volti cari che ce le suggerirono: nostra madre, un maestro…

No, non c’è dubbio – dobbiamo concludere - , il programma proposto quella volta da Cristo è assolutamente il più importante. Tutte le parole e i programmi che son venuti dopo, fino a oggi, non osano nemmeno aspirare al confronto con il programma cristiano come lo trovo enunciato nel Vangelo.
Come uomo, mi sento pienamente glorificato nel Vangelo; e con me sono glorificati gli altri, eguali a me, solidali con me: individui che ci facciamo popolo, insieme, senza confonderci. E Dio, che è il padre di questo popolo, continua ancora a chiamarci per nome a uno a uno. Perché allora questo meraviglioso programma non ha capovolto il mondo? Perché? Siamo delusi, mortificati. E, diciamolo pure, talvolta irritati.
Poiché – quello che è peggio – da allora, da quando tu, Cristo, sei venuto, ci hai messo nel cuore il dolce di certe speranze, di certe promesse che non possiamo più dimenticare; ci hai parlato di un regno che non possiamo rassegnarci a considerare perduto e tanto desiderabile…Se tu non fossi mai venuto…, ma tu sei venuto, invece!
Che è mai accaduto? Che cos’è che non abbiamo capito? Ci deve essere qualcosa di essenziale che non abbiamo capito. In che cosa ti abbiamo tradito?
Devo dire che questa idea del tradimento mi perseguita. Il fatto è così enorme che quando si tenta di spiegarlo, non si osa nemmeno per paura di sbagliare. Ma a furia di tacere e di aver paura di sbagliare si finisce per non accorgersi più della enormità del tradimento che è avvenuto e che avviene giorno per giorno sotto i nostri occhi. Allora bisogna aver coraggio e dire!
Forse, una cosa non è stata capita
: Cristo era venuto per salvare gli uomini, non per cambiarli. E invece tutti, ieri e oggi, i cosiddetti buoni e i cosiddetti cattivi, si sono affaticati con ogni sorta d’industrie, di diplomazie, di organizzazione di violenze di cambiare gli uomini.
E gli uomini, invece, non si cambiano: non si cambiano nel profondo del loro essere, in quello cioè che sono veramente. Nascono o biondi o bruni, gli uomini, e non c’è tintura che cambi il colore del loro pelo. Possiamo camuffarli con le tinture, non cambiarli. Mi pare che il grande, spaventoso equivoco consista proprio in questo: che noi vogliamo cambiarli invece di accettarli come sono; che noi preferiamo la strada della tirannia, tanto nel bene come nel male, anziché quella dell’amore. Noi pretendiamo, forse in buona fede, di sostituirci al Creatore, a Colui, cioè, che ha fatto gli uomini così, uno diverso dall’altro; noi pretendiamo di giudicare, di restaurare, di correggere. Siamo afflitti da uno spaventoso male di orgoglio.
Occorre, invece, accettare gli uomini – tutti - ; accettarli così come sono; e ognuno rimanga pure quello che è, in fondo, in sostanza. Rispettarli. Non si può violare la loro essenza, penetrare nel segreto misterioso e immutabile della loro sostanza. E’, tra l’altro, inutile. Quello che gli uomini devono sapere è che Cristo, un giorno, è veramente venuto e ha detto a tutti di essere fratelli. Prendere sul serio questo annuncio, come un comando
.

Gli uomini, se vogliono continuare a vivere, devono vivere insieme pur essendo diversi. Devono anche vivere in pace. Devono vivere in pace pur essendo diversi. Devono accettarsi nelle loro diversità. E’ ineluttabile, allora, chiamare Qualcuno che regoli i loro rapporti; e questo Qualcuno non può essere che l’autore delle connaturate diversità di tutti gli uomini; non può essere che colui che, creandoli, li fece così. Solamente questo grande Padre che ci ha generati in un certo modo ci potrà veramente comprendere e veramente amare.
E’ maturo il momento per dire questo agli uomini: unità nella diversità, comunità di uomini liberati sotto il segno di una superiore paternità. Il momento è vicino perché queste cose accadano!
«Di che avete paura, uomini di poca fede?». Tutto questo accadrà, poiché nonostante ogni apparenza, gli uomini di oggi – tutti, tutti – aspettano con un’ansia angosciosa soltanto una cosa: che il “discorso della montagna” finalmente si avveri. E’ il vero miracolo che da tempo aspettiamo.



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venerdì, 29 agosto 2008

La vera rivoluzione
***


Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo”.

 “Chi lascia entrare Cristo attraverso le crepe del proprio umano si riempie di stupore”.
Don Giussani


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domenica, 17 agosto 2008

 Gesù
***
Gesù è l'ebreo centrale: con una mano stringe quelle dei suoi fratelli ebrei; con l'altra quelle dei suoi discepoli cristiani.
Martin Buber 

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martedì, 12 agosto 2008

Il miracolo
dell’amicizia in Cristo
***
"Non è vero che uno più uno fa due; ma uno più uno fa duemila volte uno".
Chesterton
"Là dove saranno due o tre riuniti in mio nome, io sarò con loro.”
Gesù

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sabato, 28 giugno 2008

Gesù Cristo
***
113. Non solo noi non conosciamo Dio se non per mezzo di Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi se non per mezzo di Gesù Cristo; non conosciamo la vita, la morte se non per mezzo di Gesù Cristo. Senza Gesù Cristo, non sappiamo che cosa sia la nostra vita, la nostra morte, Dio, noi stessi. Pertanto, senza la Scrittura, che ha come unico oggetto Gesù Cristo, non conosciamo nulla e vediamo solamente oscurità e confusione nella natura di Dio come nella nostra.
 
114. Coloro che van fuori strada si perdono perché non vedono l’una o l’altra di queste due verità. Si può bensì conoscere Dio senza la propria miseria, e la propria miseria senza conoscere Dio; ma non si può conoscere Gesù Cristo senza conoscere a un tempo sia Dio sia la propria miseria.
Ecco perché non prenderò qui a dimostrare con prove naturali l’esistenza di Dio o la Trinità o l’immortalità dell’anima, né altre cose della stessa specie: non solo perché non mi sento abbastanza forte da trovare nella natura di che convincere atei induriti, ma anche perché senza Gesù Cristo tale conoscenza è inutile e sterile. Quand’uno fosse convinto che le proporzioni dei numeri sono verità immateriali, eterne, e dipendenti da una verità prima in cui sussistono, e che viene chiamata Dio, non mi parrebbe per questo molto progredito nel cammino della salute.
Il Dio dei Cristiani non è semplicemente un Dio autore delle verità matematiche e dell’ordine cosmico: come quello dei pagani e degli epicurei. Né è solamente un Dio il quale eserciti la sua provvidenza sulla vita e i beni degli uomini, per largire ai suoi fedeli una felice serie d’anni: conforme alla concezione degli Ebrei. Il Dio di Abramo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei cristiani, è un Dio di amore e di consolazione: un Dio che riempie l’anima e il cuore di coloro che possiede; un Dio che fa loro sentire interiormente la loro miseria e la propria misericordia infinita; che si unisce al più profondo della loro anima; che la colma di umiltà, di gioia, di fiducia, di amore, e che li rende incapaci di altro fine che non sia lui medesimo.
Tutti coloro che cercano Dio fuori di Gesù Cristo, e che si arrestano alla natura, o non trovano nessuna luce che li soddisfi o riescono a trovare un mezzo di conoscere e servire Dio senza mediatore; e così cadono o nell’ateismo o nel deismo: due cose che la religione cristiana aborre quasi in egual misura.
Senza Gesù Cristo, il mondo non sussisterebbe: sarebbe di necessità distrutto o sarebbe simile a un inferno.
 
689. Tutto quel che non mira alla carità è figura.
L’unico oggetto della Scrittura è la carità.
 
206. Come mi sono odiose queste sciocchezze: di non credere nell’Eucarestia, ecc.? Se il Vangelo è vero, se Gesù Cristo è Dio, che difficoltà c’è in tutto questo?
Pascal : I Pensieri

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venerdì, 20 giugno 2008

Non so che cosa potrei cercare
***
Non so che cosa potrei cercare
se fosse mio quell'essere amato,
se mi chiamasse l'unica sua gioia,
mi fosse accanto, come fossi suo.

Molti si affannano a cercare intorno,
stravolti in viso, con aspetto truce,
sempre da sè si chiamano sapienti,
ma di questo tesoro nulla sanno.

C'è chi pensa di averlo afferrato,
ma non possiede che un mucchio d'oro;
chi va su nave ad esplorare il mondo,
ma per compenso non avrà che un nome.

Chi anela al serto della vittoria,
chi corre dietro a un ramo d'alloro;
così ciascuno, illuso, un diverso
bagliore insegue, e nessuno arricchisce
.

Egli il suo volto non vi ha rivelato?
Dimenticaste chi è morto per voi?
Chi disprezzato lasciò, per amore
nostro, la vita in amaro supplizio?

Nulla avete di lui letto o saputo,
né ascoltato di lui l'umile verbo?
Che fu con noi di una bontà celeste,
di quale grazia ci abbia fatto dono?

Come quaggiù sia disceso dal cielo,
figlio sublime della madre più bella?
Che verbo il mondo ha udito da lui,
quanti hanno avuto da lui la salvezza?

Come, acceso da spirito d'amore,
ci ha fatto dono di tutto se stesso,
e si è posto a giacere nella terra,
prima pietra di una città divina?

Non vi commuove questo messaggio,
non vi appaga una tale creatura,
e non aprite le vostre porte
a chi per voi chiuse l'abisso?

Non siete disposti a perdere tutto,
liberi e sciolti da ogni desiderio,
per serbare il vostro cuore a lui solo
se vi promette in dono la sua grazia?

Con te accoglimi, eroe dell'amore!
Tu sei la mia vita, il mio mondo;
spezzato ogni legame con la terra,
so chi naufrago in salvo mi conduce
.

Tu mi rendi gli amati scomparsi,
tu mi resti fedele in eterno;
s'inchina, adorandoti, il cielo
ma tu per sempre mi abiti accanto

Georg Philipp Friedrich von Hardenberg, Novalis (1772-1801)

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gesù, novalis

martedì, 17 giugno 2008

***
 Cristo ha accettato il tempo "unilineare", cioé quella che noi chiamiamo storia. Egli ha rotto la struttura circolare delle vecchie religioni e ha parlato di un "fine", non di un "ritorno"
Pasolini

Postato da: giacabi a 16:28 | link | commenti
pasolini, gesù

martedì, 10 giugno 2008

Gesù visto da Einstein
***
«Nessuno può leggere i Vangeli senza sentire la presenza attuale di Gesù. La sua personalità pulsa ad ogni parola. Nessun mito può mai essere riempito di una tale vita»
Einstein (G. Viereck, What Life means to Einstein , “The Saturday Evening Post”, 26.10.1929). 


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einstein, gesù

venerdì, 06 giugno 2008

L’uomo ha bisogno di una compagnia,di una Presenza
 ***

 
Non nego affatto che in Cristo si siano adempiute le profezie; non nego affatto che Cristo abbia operato miracoli, ma poiché la loro verità ha completamente cessato di essere ancora confortata da attendibili miracoli attuali, poiché sono soltanto semplici notizie di miracoli (sia pure inconfutate ed inconfutabili quanto si voglia), io nego che questi miracoli possano o debbano obbligarmi alla minima fede... Questo è il brutto, largo fossato che non riesco a valicare, per quante volte io ne abbia seriamente tentato il salto. Chi può costruirmi un ponte, lo faccia, ve ne prego, ve ne scongiuro”.                     Gotthold Ephraim Lessing
 

Postato da: giacabi a 09:12 | link | commenti
perle, gesù


L’uomo ha bisogno di una compagnia
 ***

 
cardinal Joseph Ratzinger Meditazioni sul Sabato Santo da: 30giorni
 



Se un bambino si dovesse avventurare da solo nella notte buia attraverso un bosco, avrebbe paura anche se gli si dimostrasse centinaia di volte che non c’è alcun pericolo. Egli non ha paura di qualcosa di determinato, a cui si può dare un nome, ma nel buio sperimenta l’insicurezza, la condizione di orfano, il carattere sinistro dell’esistenza in sé. Solo una voce umana potrebbe consolarlo; solo la mano di una persona cara potrebbe cacciare via come un brutto sogno l’angoscia. C’è un’angoscia – quella vera, annidata nella profondità delle nostre solitudini – che non può essere superata mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama. Quest’angoscia infatti non ha un oggetto a cui si possa dare un nome, ma è solo l’espressione terribile della nostra solitudine ultima. Chi non ha sentito la sensazione spaventosa di questa condizione di abbandono? Chi non avvertirebbe il miracolo santo e consolatore suscitato in questi frangenti da una parola di affetto? Laddove però si ha una solitudine tale che non può essere più raggiunta dalla parola trasformatrice dell’amore, allora noi parliamo di inferno. E noi sappiamo che non pochi uomini del nostro tempo, apparentemente così ottimistico, sono dell’avviso che ogni incontro rimane in superficie, che nessun uomo ha accesso all’ultima e vera profondità dell’altro e che quindi nel fondo ultimo di ogni esistenza giace la disperazione, anzi l’inferno. Jean-Paul Sartre ha espresso questo poeticamente in un suo dramma e nello stesso tempo ha esposto il nucleo della sua dottrina sull’uomo. Una cosa è certa: c’è una notte nel cui buio abbandono non penetra alcuna parola di conforto, una porta che noi dobbiamo oltrepassare in solitudine assoluta: la porta della morte. Tutta l’angoscia di questo mondo è in ultima analisi l’angoscia provocata da questa solitudine. Per questo motivo nel Vecchio Testamento il termine per indicare il regno dei morti era identico a quello con cui si indicava l’inferno: shêol. La morte infatti è solitudine assoluta. Ma quella solitudine che non può essere più illuminata dall’amore, che è talmente profonda che l’amore non può più accedere a essa, è l’inferno.
      «Disceso all’inferno»: questa confessione del Sabato santo sta a significare che Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, che è disceso nel fondo irraggiungibile e insuperabile della nostra condizione di solitudine. Questo sta a significare però che anche nella notte estrema nella quale non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo come bambini cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce. La solitudine insuperabile dell’uomo è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa
. L’inferno è stato vinto dal momento in cui l’amore è anche entrato nella regione della morte e la terra di nessuno della solitudine è stata abitata da lui. Nella sua profondità l’uomo non vive di pane, ma nell’autenticità del suo essere egli vive per il fatto che è amato e gli è permesso di amare. A partire dal momento in cui nello spazio della morte si dà la presenza dell’amore, allora nella morte penetra la vita: ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata – prega la Chiesa nella liturgia funebre.
      Nessuno può misurare in ultima analisi la portata di queste parole: «disceso all’inferno». Ma se una volta ci è dato di avvicinarci all’ora della nostra solitudine ultima, ci sarà permesso di comprendere qualcosa della grande chiarezza di questo mistero buio. Nella certa speranza che in quell’ora di estrema solitudine non saremo soli, possiamo già adesso presagire qualcosa di quello che avverrà. E
in mezzo alla nostra protesta contro il buio della morte di Dio cominciamo a diventare grati per la luce che viene a noi proprio da questo buio.

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amicizia, solitudine, gesù, benedettoxvi

domenica, 25 maggio 2008

La morale cristiana
 ***
 masaccio, il tributo
“..Sono là tutti insieme quella mattina... e Gesù aveva preparato da mangiare per tutti -che delicatezza -e nessuno osava parlare perché tutti sapevano che era il Signore; era lì vicino a Simone e gli dice sottovoce, senza che gli altri s'ac- corgano, gli dice sottovoce: «Simone, mi ami tu più di costoro?». Questa è la finale della morale cristiana: l'inizio e la fine della morale cristiana. Non gli ha detto: «Simone, mi hai tradito, Simone, pensa a quante volte hai sbagliato. Simone, pensa quanti tradimenti! Simone, pensa che tu puoi sbagliare ancora domani, dopodomani... Pensa a come sei fragile, vigliacco di fronte a me». Macché! «Simone, mi ami tu più di costoro?»: è andato sotto tutto, sotto tutto; allora questo sotto tutto trascina, e Pietro, amandolo, ha finito per morire come lui. Andate a pagina 408 del testo Un avvenimento di vita, cioè una storia, e trovate la frase di san Tommaso, la quale dice, pressappoco, che l'uomo trova la sua dignità nella scelta di quello che stima di più nella vita e da cui aspetta la più grande soddisfazione.
Luigi Giussani da: Si può vivere così? Rizzoli

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gesù, giussani

lunedì, 12 maggio 2008

L’incontro con Cristo
***
 

«Allora compresi che tutta la mia Vita
sarebbe trascorsa nella memoria di quello che mi era accaduto:
e il suo ricordo mi riempie di silenzio».


Laurentius Eremita


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gesù

martedì, 25 marzo 2008

L'incarnazione

***

 
L'incarnazione: ecco l'unica cosa interessante che sia mai accaduta.

Peguy, Santuario

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gesù, peguy


L’evento della resurrezione sfida la ragione
***
 
La resurrezione di Cristo come avvenimento reale è la sfida più grande che la Chiesa lancia alla ragione dell’uomo moderno, a tal punto che molti teologi hanno pensato di ridurne lo scandalo interpretandola soltanto come una convinzione soggettiva, che si sarebbe formata inspiegabilmente nella coscienza dei primi discepoli.
Dietro questo scandalo c’è una concezione ridotta della ragione: essa dovrebbe accettare solo ciò che riesce a spiegare, anche a costo di negare ciò che è constatato direttamente o testimoniato in modo assolutamente affidabile. Invece un uomo interamente ragionevole, cioè aperto ad ogni possibilità, di fronte ad un fatto, come quello della resurrezione di Cristo, non si dovrebbe chiedere innanzitutto “come” questo sia potuto accadere, ma se “è” veramente accaduto. E se questo avvenimento risultasse testimoniato come realmente accaduto, dovrebbe mettersi a cercare le prove per le quali accettare o rifiutare in modo ragionevole questa testimonianza.
Se l’uomo del nostro tempo si mettesse in questo atteggiamento, sarebbe costretto a porsi una domanda che riguarda quel grande fenomeno storico che lo raggiunge nell’oggi e che è costituito dal movimento cristiano nella sua struttura organica: la Chiesa. Dovrebbe chiedersi se essa potrebbe spiegarsi soltanto come frutto di immense fatiche dottrinali e di nobili sforzi morali, che si sarebbero accumulati lungo il corso dei secoli e il susseguirsi di tante generazioni, o se invece questa non presenti tali caratteri di “eccezionalità” da eccedere totalmente ogni possibilità di realizzazione di spiegazione umana. Potrebbe la Chiesa esistere se non fosse stata generata – come afferma essa di se stessa – dall’avvenimento della resurrezione di Cristo, nel quale la vita stessa in tutta la sua potenza e in tutta la sua verità abbia avuto già una vittoria sul male e sulla morte?
Questa è la domanda con la quale la Chiesa sfida la ragione dell’uomo sulla verità del fatto della resurrezione.
L’ateismo moderno è caratterizzato da quella che il Papa nella Spe salvi chiama la “protesta contro Dio”. Essa è una protesta contro le ingiustizie del mondo e della storia universale: «Un mondo, nel quale esiste una tale misura di ingiustizia, di sofferenza degli innocenti e di cinismo del potere, non può essere l’opera di un Dio buono. Il Dio che avesse la responsabilità di un simile mondo, non sarebbe un Dio giusto e ancor meno un Dio buono. È in nome della morale che bisogna contestare questo Dio». Ma ecco la conseguenza che ne è stata tratta: «poiché non c’è un Dio che crea giustizia, sembra che l’uomo stesso ora sia chiamato a stabilire la giustizia». Da qui la pretesa che l’umanità possa e debba fare ciò che nessun Dio ha fatto, né è in grado di fare. «Che da tale premessa – continua il Papa – sono conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia non è un caso, ma è fondato nella falsità intrinseca di questa pretesa. Un mondo che si deve creare da sé la sua giustizia è un mondo senza speranza. Nessuno e niente risponde per la sofferenza dei secoli. Nessuno e niente garantisce che il cinismo del potere – sotto qualunque accattivante rivestimento ideologico si presenti – non continui a spadroneggiare nel mondo» (42).
L’uomo di oggi, dunque, in forza della sua stessa ragionevolezza è più che mai chiamato a fare attenzione a quella grande giustizia annunciata dalla Chiesa e che si sarebbe realizzata proprio nella morte e nella resurrezione di Cristo. In Lui, Crocifisso, infatti, secondo la fede cristiana, «Dio rivela il suo Volto proprio nella figura del sofferente che condivide la condizione dell’uomo abbandonato da Dio, prendendola su di sé. Questo sofferente innocente è diventato speranza-certezza: Dio c’è, e Dio sa creare la giustizia in un modo che noi non siamo capaci di concepire e che, tuttavia, nella fede possiamo intuire. Sì, esiste la risurrezione della carne. Esiste una giustizia. Esiste la «revoca» della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto» (43).
Quel bisogno di appagamento del desiderio di giustizia che costituisce il nostro cuore e che ci impedisce di accettare che l’ingiustizia della storia sia l’ultima parola, non rende convincente almeno l’accogliere la grande sfida che pone l’annuncio della resurrezione? Non è “ragionevole” provarne la sua capacità di fare giustizia oggi?
In un mondo che ha visto il fallimento del tentativo di fare un “regno di Dio” senza Dio, che si è risolto in quella “fine perversa di tutte le cose” (già profetizzata da Kant come inevitabile, in Das Ende aller Dinge, qualora un giorno il cristianesimo fosse arrivato “a non essere più degno d’amore”), sarebbe più ragionevole dare spazio, anche nella vita pubblica, a quella realtà umana che afferma di essere nata dalla giustizia creata da Dio, per provarne la sua effettiva forza di redenzione e di salvezza per la vita dell’uomo.
 Don Francesco Ventorino


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gesù, ventorino

lunedì, 24 marzo 2008

Pasqua
 ***

VUOL DIRE PASSAGGIO
 CONTINUEREMMO NEL NOSTRO STERILE DESERTO

da: www.avvenire.it 
 23-03- 2008
« T U ci credi che Gesù è risuscitato?».
Giorni fa si è svolto un lungo dibattito televisivo attorno a questa domanda. A me ancora sembra – col suo gusto della semplificazione e della sensazione giornalistica – una domanda sbagliata. Non è con essa che possono iniziare a dialogare credenti e non credenti (e i credenti fra loro).
La questione di fondo, pregiudiziale alle altre, invece è questa: Gesù è il Figlio di Dio, onnipotente e infinitamente pietoso? Se non lo è, e dunque non ci viene salvezza da lui, importa poco che sia o no risuscitato. Ma se è il Figlio di Dio, ogni evento sovrannaturale attribuitogli dai Vangeli risulta credibile; in particolare Gesù, vero Dio, non può non avere vinto la sua morte umana: la morte infame e terribile, densa di peccati, nella quale ha accettato di essere completamente immerso – e chiuso, murato, sepolto – per noi.
 
Per noi: solo grazie a questo suo angoscioso, interminabile passaggio dentro la morte e a questa sua vittoria fuori da ogni sensibile misura, arriva la nostra Pasqua, malgrado tutto; e, qualsiasi cosa ci capiti, la gioia deve essere perfetta. Giacché lui non può non avere debellato, insieme, ogni altro male, ogni altra morte: solo per questo si è fatto carne sofferente e mortale.
 
Crederlo è il più grande dono – forse l’unico vero – che si possa ricevere. Ed è proprio un dono, una grazia: che nessuno di noi merita. Se non ci investe da sé, sconosciuto soffio che spira dove vuole e come vuole, continuiamo a vivere nel nostro sterile deserto; e vanamente adoperiamo per uscirne ogni dottrina, intelligenza, ragione umana. Cosa dire allora a chi, anche molto vicino a noi, magari al nostro stesso fianco, non ha ricevuto un simile inconcepibile regalo? Amici, fratelli, figli: cosa dirgli, perché la nostra Pasqua sia anche la loro? La nostra Pasqua che senza di loro soffre: forse non dovrebbe, forse non confida abbastanza nella misericordia di Dio, ma soffre. O forse che soffra, che sia dilaniata, è il modo giusto perché non dimentichi la croce, senza la quale non ci può essere Pasqua.
  Sì, ecco, la croce: è il punto di partenza verso la Pasqua anche per loro, gli atei che amiamo, i non ancora toccati dal vento di Dio, gli increduli dovunque dispersi. Che si rendano senza chiudere gli occhi alla loro croce – e a tutte le croci, miriadi di miriadi, piantate su ogni lembo del pianeta e della storia: corruzione, peccato, dolore, devastazione dell’innocenza e della grazia, morte... Accettiamo, ciechi, che sia questo il destino ultimo di tutto? Che la vita finisca in questo modo? Basta l’agonia d’un bambino violentato, d’un solo bambino ucciso dall’inedia, ad aprire una rottura irreparabile da mano umana, a far precipitare la bilancia dall’altra parte, per sempre. Signori del mondo, lucidi fautori delle sorti magnifiche e progressive, chi se lo prende in braccio questo bambino, vivo o morto, chi lo consola, chi gli restituisce quanto ha perduto?

 
Un primo importante passo è volere che non finisca così, per il bambino e per gli altri, per tutti noi: sperare – chiedere, addirittura pregare – che l’ultima parola non siano il male, l’insensatezza, il buio. Insomma, cercare, senza desistere, di guardare oltre: verso l’invisibile; sperando che ci sia questo invisibile, questa Pasqua che tarda a venire. E rimanere qui, dentro la pazienza quotidiana, in attesa d’un passaggio che temiamo incerto, dalla morte alla vita: non ci è consentito altro; e a questo punto tocca a Dio.
  Al Dio onnipotente e infinitamente pietoso che portiamo scritto nel cuore e del quale, dibattendoci, non possiamo fare a meno.

Salvatore Mannuzzu  è stato magistrato, e deputato indipendente nelle liste del PCI per tre legislature.
Ha vinti diversi premi, come il Viareggo, il Grinzane Cavour, lo Stresa Selezione.
                          
                                                                                                 grazie a Pierino


Postato da: giacabi a 09:57 | link | commenti
gesù

domenica, 23 marzo 2008

Cristo risorto Signore della Vita
***
SEQUENZA
Alla vittima pasquale, s'innalzi oggi il sacrificio di lode.
L'agnello ha redento il suo gregge,
l'Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre
.

Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa.


«Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti.

Cristo, mia speranza, è risorto; e vi precede in Galilea».

Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza
.
 Víctmæ pascháli láudes: ímmolent
Christiáni.
Agnus redémit oves: Christus
ínnocens Patri reconciliávit
peccatóres.
 
Mors et vita duéllo conflixére miràndo:
dux vitæ mórtuus, regnat vívus.
Dic nobis, María, quid vidísti in via?
Sepúlcrum Christi vivéntis: et glóriam
vidi resurgéntis.

Angélicos testes, sudárium, et vestes.
Surréxit Christus spes mea: præcédit
vos in Galilǽam.
Scímus Christum surrexísse a mórtuis
vere: tu nobis, victor Rex, miserére.

 


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gesù

sabato, 22 marzo 2008

***
Cristo, morto e risorto per noi,
sei tu il fondamento della nostra speranza!

Vogliamo fare nostra
la testimonianza di Pietro
e quella di tanti fratelli e sorelle lungo i secoli,
per riproporla
alle soglie del nuovo millennio.
Oggi tu, il Risorto, vuoi incontrarti con noi,
in tutti i luoghi della terra,
come ieri t'incontravi
con gli Apostoli in Galilea.
In virtù di questo incontro
possiamo anche noi ripetere
:
«Scimus Christum surrexisse a mortuis vere:
tu nobis, victor Rex, miserere».
«Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto:
tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza».
GIOVANNI PAOLO II LE MIE PREGHIERE PER VOI  PIEMME, 2001






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gesù, giovanni paoloii

martedì, 18 marzo 2008

I difetti di Gesù
***
Introduzione     Card. François-Xavier Nguyen Van Thuan
Aveva un sorriso coinvolgente, pieno di pace e serenità quando mi disse:
"Se il Signore mi concederà la vita, potrei guidare tutto il ritiro?".
"Io gli avevo chiesto soltanto di dirigere la conferenza introduttiva e risposi con gratitudine: "Eminenza, questo sarebbe meraviglioso!"
Così, nel febbraio 2002, a guidare gli Esercizi Spirituali per un gruppo di 50 sacerdoti, fu il Card. François-Xavier Nguyen Van Thuan, venuto a mancare a Roma, all'età di 74 anni, lo scorso 16 settembre.
Nato il 17 aprile 1928, a Phu Cam, un paesino della provincia di Hue, in Vietnam, era il primo di 8 figli e nipote del Primo Presidente della Repubblica del Vietnam del Sud. Dopo il seminario, fu ordinato sacerdote nel giugno del 1953. Studiò Diritto Canonico a Roma e partecipò a Corsi Spirituali e Apostolici nell'Europa di quel tempo. AI suo ritorno lavorò per un certo periodo nel campo della formazione dei sacerdoti. Poi, il 24 giugno 1967, fu nominato Vescovo della Diocesi costiera di Nha Trang.
Nel 1975, una settimana prima che Saigon cadesse nelle mani delle forze comuniste, fu nominato dalla Santa Sede Arcivescovo coadiutore della Diocesi di quella città. La sua nomina venne però rifiutata dalle autorità comuniste. 1115 agosto 1975 fu convocato presso il Palazzo dell'Indipendenza, consegnato ai militari della Regione e portato in una piccola parrocchia di Cay Vong, dove fu messo sotto sorveglianza.
Iniziò così la sua lunga prigionia che durò per ben 13 anni, durante i quali conobbe nel 1976, la terribile prigione di Phu Khanh e il campo di rieducazione di Vinh Phu nel Vietnam Settentrionale. In seguito, fu posto sotto sorveglianza prima a Giang Xa, poi presso Hanoi.
Sebbene il 28 novembre 1988 fosse terminata ufficialmente la sua prigionia, non ebbe il permesso di raggiungere il suo posto di Arcivescovo Coadiutore a Ho Chi Minh (l'antica Saigon). Gli venne quindi assegnata una residenza nella casa dell'Arcivescovo di Hanoi. Durante un soggiorno a Roma, nel settembre del 1991, si rese conto che il governo vietnamita non lo avrebbe più lasciato rientrare nel suo paese.
Cominciò così a lavorare in Vaticano, e fu nominato Presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e per la Pace il 24 giugno 1998.
Nella Quaresima del 2000, commosse milioni di persone, che poterono conoscere alcuni passaggi degli Esercizi Spirituali predicati per il Santo Padre e per i membri della Curia Romana. Nelle sue meditazioni profuse le sue esperienze spirituali maturate nel carcere. Il giorno delle sue esequie nella basilica di San Pietro, il Santo Padre nell'omelia ha sottolineato: « Spera in Dio! Con quest'invito a confidare nel Signore il caro Porporato aveva iniziato le meditazioni degli Esercizi Spirituali. Le sue esortazioni mi sono rimaste impresse nella memoria per la profondità delle riflessioni, arricchite da continui ricordi personali, in gran parte relativi ai tredici anni passati in carcere. Raccontava che proprio in prigione aveva compreso che il fondamento della vita cristiana è "scegliere Dio solo", abbandonandosi totalmente nelle sue mani paterne».
Sua Eminenza scelse di vivere con noi durante il ritiro, benché abitasse poco lontano: "forse posso fare del bene" disse. Infatti, ogni sera, abbiamo avuto l'opportunità e il privilegio di conoscere la profondità del suo cuore, nei momenti di scambio e di colloquio più familiari.
Ci parlò anche della sua necessità, per motivi di salute, di seguire una dieta particolare: "Solo un po' di pesce, niente latte, un po' di riso... Ho un tumore", disse sorridendo mentre si toccava lo stomaco.
Sono convinto che Sua Eminenza abbia preparato questo ritiro sapendo che sarebbe stata la sua ultima opportunità di parlare a dei sacerdoti.
Una volta la sua segretaria mi ha chiamato: "Sua Eminenza vorrebbe parlare con Lei".
Voleva, in tutta semplicità, chiedermi un parere su una nuova idea. "Cosa pensa di questo? Le dieci A per ogni sacerdote" - una idea geniale per riassumere tutto il ritiro.
Per tutti noi partecipanti, questo ritiro è stato come un cenacolo, nel quale abbiamo potuto rinnovare profondamente la nostra fede e la nostra vocazione sacerdotale, guidati da un maestro e martire del 20° secolo.
P. Dermot Ryan, LC
Gioia dell'incontro con Gesù
di:Card. François-Xavier Nguyen Van Thuan
Cari Amici, Fratelli carissimi nella grazia del battesimo e del sacerdozio! Innanzitutto i miei cordialissimi saluti e auguri di amore e di pace.
A quale scopo sono venuto proprio qui, in questi giorni? La risposta è semplice: sono venuto per la nostra santificazione, che è la cosa più urgente che il Signore vuole da noi sacerdoti per il nuovo millennio: "Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione" (1Ts 4,3). Come sapete la lettera da cui è tratta questa frase, indirizzata ai cristiani di Tessalonica, è il più antico scritto cristiano. L'apostolo Paolo sin dall'inizio ha voluto dire la cosa più importante e necessaria, e continua a ripetercela oggi. Come articolerò questo incontro con voi?
Vorrei meditare con voi sulle Gioie dei testimoni della speranza.
L'incontro con Cristo nella mia vita.
Il primo punto della mia prima tappa parte da un testo di Matteo: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi i tuoi beni e seguimi" (Mt 19,21). È il messaggio di Giovanni Paolo II ai giovani di Tor Vergata: "Non abbiate paura di essere i santi del nuovo millennio" (18 Agosto 2000). A voi sacerdoti qui adunati voglio dire analogamente: non abbiate paura di essere i sacerdoti santi del nuovo millennio!
Vorrei iniziare questa riflessione sulla chiamata alla santità da un esame di coscienza molto personale: nella mia vita, e anche adesso da cardinale, ho avuto ed ho paura delle esigenze del Vangelo: ho paura della santità, di essere santo. Mi piacciono le mezze misure. Invece Cristo mi richiama ogni minuto ad amare Dio con tutto il mio cuore, con tutta l'anima, con tutte le mie forze, con tutto me stesso. Ogni giorno io ho vissuto momenti come quelli del giovane nel Vangelo che se ne va triste perché ha molti beni.
Nella mia vita ho molto predicato, a ogni categoria di persone, ma talvolta non ho osato chiedere la santità. Ho parlato della gioia, della speranza, dell'impegno, ma ho avuto paura di parlare della santità, come se fosse qualcosa che la gente non può comprendere o accettare come possibile. Ho sottovalutato la buona volontà della gente e la forza della grazia del Signore.
Io sono stato in prigione più di tredici anni: ho avuto momenti duri, anche molto duri. Tante volte non ho osato pensare alla santità: ho voluto essere fedele alla Chiesa, non rinnegare nulla della mia scelta. Ma non ho pensato sufficientemente ad essere santo, mentre Cristo in verità ha detto: "Siate perfetti come il Padre vostro è perfetto" (Mt 5,48).
Lo scorso anno sono stato operato per l'asportazione - almeno parziale - di un tumore. Mi hanno tolto due chili e mezzo del tumore: sono rimasti nel mio ventre quattro chili e mezzo, che non possono essere asportati. Ed io ho avuto paura di essere santo con tutto questo: questa è stata la mia sofferenza. Essa però è durata solo fino al momento in cui ho visto la volontà di Dio in quanto mi succedeva ed ho accettato di portare questo peso fino alla morte, e di conseguenza di non poter dormire che un'ora e mezza ogni notte. Accettando questo, sono ora nella pace: nella sua volontà è la mia pace! Fino a quando Dio vorrà, vorrò essere come Lui vorrà da me, per me!
Chi è il Cristo che mi viene incontro?
Nella Sacra Scrittura preghiamo spesso con il Salmi sta: "Fa' splendere il Tuo volto" (Sal 80,4) o "Cerco il Tuo volto" (Sal 27,8). E questo senza fine, fino al giorno in cui potremo vedere Cristo faccia a faccia.
Un giorno i carceri eri mi hanno domandato: "Chi è Gesù Cristo? Perché tu soffri per Lui?" Anche i giovani mi hanno spesso chiesto: "Chi è Gesù Cristo per Lei e come mai ha lasciato tutto per Lui? Lei poteva avere casa, famiglia, beni, un buon avvenire e ha lasciato tutto per seguire Gesù; Chi è dunque Gesù nella sua vita?"
È difficile dire le qualità di Dio: sono trascendenti. Egli è onnipotente, onnisciente, onnipresente... Mi sembra più facile dire i difetti di Gesù. Alcuni di voi avete forse sentito parlare dei cinque difetti di Gesù, di cui ho trattato negli esercizi spirituali alla Curia romana. Alcuni Cardinali e Vescovi dopo questa meditazione mi hanno chiesto dove fossero gli altri difetti. Oggi, se volete, vi dico anche gli altri. l cinque difetti di cui avevo parlato alla Curia erano:
Gesù non ha buona memoria, perché sulla Croce il buon ladrone gli chiede di ricordarsi di lui in Paradiso e Gesù non risponde come avrei fatto io "fa' prima venti anni di purgatorio", ma dice subito di sì: "Oggi tu sarai con me in paradiso" (Lc 23,43).
Con la Maddalena fa la stessa cosa, e ugualmente con Zaccheo, con Matteo ecc. "Oggi la salvezza entra in questa casa" (Lc 19,9), dice a Zaccheo. Gesù perdona e non ricorda che ha perdonato. Questo è il suo primo difetto.
Il secondo difetto è che Gesù non conosce la matematica: un pastore ha cento pecore. Una si è smarrita: lascia le novantanove per andare a cercare quella smarrita e quando la incontra la porta sulle spalle per tornare all'ovile (Mt 18, 12). Se Gesù si presentasse all'esame di matematica sarebbe certamente bocciato, perché per lui uno è uguale a novantanove.
Il terzo difetto di Gesù è che non conosce la logica: una donna ha perduto una dracma. Accende la luce per cercare in tutta la casa la dracma perduta e quando l' ha trovata va a svegliare le amiche per festeggiare con loro (Lc 15, 8). Si vede che è veramente illogico il suo comportamento, perché sapendo che la dracma era comunque in casa, avrebbe potuto aspettare la mattina seguente e dormire. Invece cerca subito, senza perdere tempo, di notte. D'altra parte, svegliare le amiche non è meno illogico. Anche la causa per cui festeggiare l'aver trovato una dracma - non è poi tanto logico. Infine, per festeggiare una dracma ritrovata dovrà spendere più di dieci dracme...
Gesù fa lo stesso: in cielo il Padre, gli angeli e i santi hanno più gioia per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza.
Il quarto difetto è che Gesù sembra essere un avventuriero: di solito un politico alle elezioni fa propaganda e promesse: la benzina costerà meno, le pensioni saranno più alte, ci sarà lavoro per tutti, non ci sarà più inflazione... Gesù, invece, chiamando gli apostoli, dice: "Chi vuoi venire dopo di me, lasci tutto, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24). Seguirlo, dunque, per andare dove? Gli uccelli hanno un nido, le volpi una tana, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo... Seguire Gesù è un'avventura: fino all'estremità della terra, senza auto, senza cavallo, senza oro, senza mezzi, senza bastone, unicamente con la fede in Lui.
Non vi sembra che sia proprio un avventuriero? Eppure, da venti secoli siamo ancora in molti ad entrare nell'associazione dei suoi avventurieri, come Lui, con Lui.
Il quinto difetto di Gesù è che non conosce l'economia e la finanza, perché va a cercare quelli che lavorano alle tre e alle sei e alle nove e paga gli ultimi come i primi (Mt 20, 1ss).
Se Gesù fosse economo di una comunità o direttore di una banca, farebbe bancarotta, perché paga chi lavora meno come chi ha fatto tutto il lavoro.
A questi cinque difetti, vorrei aggiungerne ancora nove:
Il sesto è che Gesù è amico dei pubblicani e dei peccatori: come vedete, frequenta cattive compagnie!
Il settimo è che ama mangiare e bere: lo accusano di essere un mangione e un beone.
Poi, ed è l'ottavo difetto, sembra matto: i parenti stessi pensano così di Lui e davanti a Pilato gli mettono addosso una tunica bianca per dire che è matto. Il soldato romano gli dice: "Tu hai salvato gli altri, se sei Dio scendi dalla croce, salva te stesso" (Mt 27,40. 42). Quel matto che è Gesù non lo fa.
Il nono difetto è che Gesù ama i piccoli numeri, mentre la gente ama la massa, la grande folla: va alla ricerca della Maddalena, della Samaritana, dell'Adultera... La "carta magna" di Gesù -le beatitudini - appare come un fiasco: beati i poveri, gli oppressi, gli afflitti, i perseguitati, ecc. (Lc 6, 20). Gesù ama tutto questo: chi lo segue deve essere matto come lui!
Il decimo difetto è l'insuccesso continuo: la sua vita è piena di insuccessi. Cacciato dal suo paese è sconfitto, perseguitato, rifiutato, condannato a morte...
Ancora, ed è il difetto numero undici, Gesù è un professore che ha rivelato il tema dell'esame: se fosse un insegnante sarebbe licenziato subito! Il tema dell'esame e il suo svolgimento è descritto a puntino da lui: verranno gli angeli, convocheranno i buoni alla destra, i cattivi alla sinistra, e tutti saremo giudicati sull'amore (Mt 25,31ss). Sapendo questo, tutti potrebbero essere promossi!
Il dodicesimo difetto è che Gesù è un Maestro che ha troppa fiducia negli altri. Chiama gli apostoli quasi tutti illetterati, ed essi lo rinnegheranno. Nel tempo continuerà a chiamare gente come noi, peccatori. La via di Dio passa per i limiti umani: chiama Abramo, che non ha figli ed è vecchio; chiama Mosè, che non sa parlare bene; chiama dodici uomini mediocri e ignoranti, e uno di essi lo consegnerà; e per chiamare i pagani sceglie un violento e un persecutore, Saulo; e nella Chiesa continua a fare così...
Gesù è un temerario incorreggibile: perciò ha scelto me, ha scelto voi, noi tutti poveri peccatori. Gesù non si corregge proprio!
Il tredicesimo difetto è che Gesù è molto imprudente: si dice che per essere un leader bisogna prevedere. Gesù non prevede: soprattutto, non prevede la morte dei suoi discepoli.
Richiede loro di essere fedeli fino alla morte: però non sembra occuparsi di quello che viene dopo... Gesù trascende la saggezza umana: che cosa succederà, quando tutti saranno morti, a loro e a quelli che verranno dopo di loro?
Il quattordicesimo difetto è la povertà: di essa il mondo ha molta paura. Oggi si parla tanto di lotta alla povertà: Gesù esige dalla sua Chiesa e dai pastori la povertà, qualcosa di cui tutti hanno paura. Gesù ha vissuto senza casa, senza assicurazione, senza deposito, senza tomba, senza eredità, umanamente e materialmente senza sicurezza alcuna.
Questi quattordici difetti possono essere oggetto di una vera e propria via della Croce, con le sue quattordici stazioni da meditare.
Nel mondo non c'è una strada col nome di Gesù: c'è Piazza Pio XII, Piazza Cardinal tal dei tali, ma non c'è Piazza o Via Gesù di Nazaret.
La sua strada è questa via della Croce, carica dei suoi difetti, che siamo chiamati a fare nostri...
E noi abbiamo creduto al suo amore
Mi domanderete: "perché Gesù ha questi difetti?" Rispondo: "perché è Amore!" E l'amore autentico non ragiona, non pone limiti, non calcola, non ricorda il bene che ha fatto e le offese che ha ricevuto, non pone mai condizioni. Se ci sono condizioni, non c'è più amore.
Il sacerdote di questo nuovo millennio è quello che ha incontrato Gesù e in cui il popolo può incontrare Gesù.
Quando medito su questo, sento il mio cuore pieno di felicità, di gioia e di pace. Spero che alla fine della mia vita - quando sarò giudicato sull'amore Gesù mi riceva come l'ultimo lavoratore della sua
vigna, a cui dà la stessa ricompensa del primo, dicendomi come al ladrone pentito: "Oggi stesso sarai con me in paradiso" (Lc 23, 43).
Io con Zaccheo, con la Samaritana, con la Maddalena, con Agostino e tutti gli altri canterò la misericordia per tutta l'eternità, ammirando eternamente le meraviglie che Dio riserva ai suoi eletti.
Mi rallegro perciò di vedere Gesù con i suoi difetti, che sono grazie a Dio incorreggibili, e che sono il grande motivo della mia speranza.
Carissimi fratelli in Cristo! Non mi piace troppo il Cristo Re nella Sua Maestà, ma preferisco il Gesù di Pietro sulla barca, il Gesù che chiama la Maddalena con il suo nome: "Maria!" (Gv 20, 16), e che all'adultera dice "Neanch'io ti condanno" (Gv 8,10); il Cristo dei piccoli, dei semplici, dei poveri, così vicino a noi che ci dice: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi, ed io vi ristorerò" (Mt 11,28), e che mi dice: "Francesco, tutto ciò che è mio, è tuo!". Desidero che nessuno mi scacci, allontanandomi da Te.
Voglio poterTi vedere da vicino, bere alla Tua coppa, riposare il capo sul Tuo petto, ascoltarTi dire: "Francesco, chi vede me, vede il Padre" (Gv 14,9).
Carissimi fratelli, Gesù non ci chiama a diventare tutti dei dottori, dei profeti, o a parlare le lingue, ma ci dona la grazia di essere dei santi, anche se io sono peccatore!
Non abbiate paura! Perché dove abbonda il peccato, là sovrabbonda la grazia! Vi supplico: Non abbiate paura di essere santi, i sacerdoti santi del nuovo millennio. E per esserlo c'è bisogno di una sola cosa: l'amore!
 UN MENÙ DOLCE: I DIFETTI DI GESÙ
(14 stazioni da una "Via Crucis" che mi porta alla speranza)
1. Gesù non ha buona memoria
2. Gesù non conosce la matematica
3. Gesù non conosce la logica
4. Gesù sembra essere un avventuriero
5. Gesù non conosce l'economia e la finanza 
6. Gesù è amico dei pubblicani e dei peccatori 
7. Gesù è accusato di essere un mangione e un beone
8. Gesù sembra matto
9. Gesù ama i piccoli numeri
10. Gesù è l'insuccesso continuo
11. Gesù è un professore che ha rivelato il tema dell'esame
12. Gesù ha troppa fiducia negli altri
13. Gesù è molto imprudente
14. Gesù è povero
Gesù ha questi difetti perché è Amore!



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testimonianza, gesù, van thuan

sabato, 15 marzo 2008

Noi abbiamo bisogno di uno che abbia..
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«...passione per il nostro niente, perche ci guarda senza ridurci, avendo a cuore tutta l'esigenza di felicità che ci costituisce. Uno, sentendosi guardato così, sperimenta subito il contraccolpo che gli fa cogliere la corrispondenza. «E questo che io aspettavo: uno che mi guardasse così, che  avesse veramente a cuore il mio io,che mi affermasse così, in modo da farmi sperimentare il vivere come mai prima! »
don Carron Esercizi di Fraternità  2007
1°esempio:"Cristo era l'unico nelle cui parole tutta la loro esperienza umana si sentiva compresa e i loro bisogni presi sul serio, e portati alla luce là dove erano inconsapevoli e confusi; così, ad esempio, proprio coloro che credevano di avere solo il bisogno del pane incominciavano a capire che «non di solo pane vive l'uomo».
Cristo si presenta a loro proprio così, come un Altro che viene loro sorprendentemente incontro, li aiuta, spiega i loro guai, li guarisce perfino se sono storpi o ciechi, fa bene all'anima, risponde alle loro esigenze, è dentro la loro esperienza... Ma cosa sono le loro esperienze? Le loro esperienze, i loro bisogni, le loro esigenze sono loro stessi, quegli uomini lì, la loro umanità stessa.
"
don giussani da: Tracce di esperienza cristiana
2°esempio: "un ragazzo disadattato dopo averla incontrata (Delbrel),  illustrava così la sua splendida formula: «Lei ha indovinato il mio vero io, sfigurato per tutti, sconosciuto perfino a me stesso, un io che io stesso odiavo perché mi sentivo incatenato... Grazie a lei io sono esistito, prima di esistere" delbrel
3°esempio: «25 marzo 1988, padre Aldo Trento non dimentica questa data, incontra don Giussani e gli dice piangendo che vuole farla finita. «Lui mi ha risposto: bene, io ora ti tengo con me. Mio fratello voleva farmi ricoverare in ospedale, ma Giussani mi ha portato con sé per mesi. Diceva che era certo che quella malattia era per un progetto che Dio aveva su di me. Io stavo come un cane, ma mi sono fidato. Un giorno mi ha annunciato: "Ora è tempo che parti per la tua missione". E io sbalordito: ma dove vado, cosa annuncio, io che ho solo voglia di essere morto? "Io mi fido di te", mi ha risposto. E sono partito».
 ptrento                                                                                                     a P.


Postato da: giacabi a 21:36 | link | commenti
santi, gesù, carron


Ciò che fa vincere la passività
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« L'attualità piena di ciò che siamo è possibile solo in vista di un'altra presenza, di un altro essere che ha la virtù di porci in esercizio, in atto... E come sarebbe possibile uscire da se... a meno di non essere irresistibilmente  innamorati»
Maria Zambrano



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chiesa, amicizia, gesù, zambrano

martedì, 11 marzo 2008

Il Verbo si è fatto carne
la fonte della vita e la salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini

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"Su Cristo, potete discutere, non essere d’accordo… tutte queste discussioni sono possibili e il mondo è pieno di esse, e a lungo ancora ne sarà pieno.
Ma io e voi, Šatov, sappiamo che sono tutte sciocchezze, che Cristo – in quanto solo uomo – non è Salvatore e fonte di vita, e che la sola scienza non completerà mai ogni ideale umano e che la pace per l’uomo,
la fonte della vita e la salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini, la condizione sine qua non e la garanzia per l’intero universo si racchiudono nelle parole: ‘Il Verbo si è fatto carne’ e nella fede in queste parole".
 
F.Dostoevskij, un appunto per I demoni
 citato dal card. Giacomo Biffi nella catechesi “La fede di Pietro e la nostra fede” del 20 ottobre 2000, nella chiesa di San Gregorio VII, durante il pellegrinaggio giubilare a Roma)


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dostoevskij, gesù

sabato, 08 marzo 2008

La  storia moderna incominciava da Cristo e dal Vangelo
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 «E [Pasternak] si mise a parlare di Cristo che viene a noi di là, dalle lontananze della storia, come se queste lontananze fossero l’oggi e declinassero verso sera con la trasparenza dell’oggi, fluendo in un illimitato futuro. […]. Cristo veniva oggi perché tutta la storia moderna incominciava da Cristo e dal Vangelo, non escluso il giorno presente. E Cristo era la realtà più naturale e più prossima. Per Pasternak non esistevano separazioni in secoli, popoli, chiese. […]. Guardando attraverso la piccola finestra i campi e le alture coperte di neve, Pasternak parlava di Cristo che viene a noi di là; parlava senza affettazione, senza alcun pathos solenne e magnificente, in modo semplice e quieto, come se quel “là” e quel “di là” fossero l’appezzamento adiacente alla sua casa, con tutto il panorama di campi coperti di neve e che si perdevano in lontananza».
 Andrej Sinjavskij


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gesù, pasternak, sinjavskij

mercoledì, 27 febbraio 2008

Il cristianesimo è
lo stupore che Dio è un uomo
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«Colui che non abbiamo mai visto, che però aspettiamo con vera bramosia, che ragionevolmente però è stato considerato irraggiungibile per sempre, eccolo qui seduto».
F. Kafka - Il Castello


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cristianesimo, kafka, gesù

mercoledì, 13 febbraio 2008

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 Almeno una volta nella vita ogni uomo cammina con Cristo verso Emmaus
Oscar Wilde


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wilde, gesù



Gesù Cristo
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«Egli non insegna niente a nessuno, ma basta essere condotti alla sua presenza per diventare qualcuno, e alla sua presenza noi tutti siamo destinati»
Oscar Wilde



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wilde, gesù

lunedì, 11 febbraio 2008

Gandhi e il crocifisso
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“Se non può vedere il papa, almeno riesce a visitare coi segretari i Musei Vaticani, fuori orario, per uno strappo concessogli in segno di cortesia. Mahadev Desai, uno del seguito, riferirà che ad attirare specialmente Gandhi non sono i tesori d'arte, ma il grande Crocifisso del XV secolo che sovrasta l'altare della Cappella Sistina. Così avviene che la porta chiusa dalla realpolitik vaticana apra al profeta della nonviolenza l'incontro con la figura del Cristo in croce, nel cuore del Vaticano ed è questo Cristo che lo emoziona nel profondo. Per molti minuti Gandhi rimane a contemplare il grande Crocifisso, gli si avvicina, lo  osserva sempre più rapito e commosso; torna sui propri passi, gli gira intorno più volte, come per eseguire il rito indiano della circumambulazione di un oggetto di culto: «Non si può fare a meno di commuoversi fino alle lacrime", e il suo commento immediato. Tornerà più volte a ricordare la commozione provata allora, fino al pianto, di fronte alla rappresentazione di un Uomo che aveva saputo morire sulla croce per la salvezza dell'umanità.
Giancarlo Zizola  da:  il Foglio 11-02-08


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venerdì, 08 febbraio 2008

I.N.R.I.
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video
Artista: Lucio Dalla
Album: Il Contrario Di Me
Titolo: I.N.R.I.

Tra miglia e mondi te ne vai… e splendi
o appeso in croce in un garage

io non ho dubbi Tu… esisti… e splendi

con quel viso da ragazzo con la barba senza età
ci guardi e splendi… di cercarti io non smetterò
abbiamo tutti voglia di… parlarti mi senti… mi senti

Ah…
Sono Tuo figlio anch’io… Dio
Sono Tuo figlio anch’io… Dio…Dio


Tra i cani zoppi ti… confondi e splendi
nei cartoni che son case per chi non le ha
ti ho visto… che splendi… di chiamarti io non smetterò
abbiamo tutti voglia di… abbracciarti mi senti… mi senti

Ah…
Sono Tuo figlio anch’io… Dio
Sono Tuo figlio anch’io… Dio


Su una nave colma Tu… ti stringi ma splendi
nei dipinti insieme ai diavoli e a Maria
di colpo ritorni… inseguirti io non smetterò
abbiamo tutti voglia di… fermarci mi senti… mi senti

Ah…
Aiutami fratello mio… mio… parlarci tu con Dio… con Dio
Sono Suo figlio anch’io… anch’io… parlaci tu con Dio… con Dio
Fratello mio… fratello mio… parlaci tu con Dio
Fratello mio… fratello mio… parlaci tu… parlaci tu… con Dio
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la_pasion_hoy

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canti, gesù

sabato, 02 febbraio 2008


Sevillanas del adios
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Don Giussani in un incontro con gli studenti a Cervia commenta il canto Sevillanas del adios.                       

barca«Qualcosa muore nell’anima quando se ne va l’amico. Quando l’amico se ne va e va lasciando una traccia che non si può cancellare. Non andartene, ancora; non andartene, per favore, perché anche la mia chitarra piange quando dice addio. Un fazzoletto di silenzio al momento della partenza. Al momento della partenza, perché hai parole che feriscono e non si possono dire. La barca, ecco, si va facendo piccola quando s’allontana sul mare. Quando si allontana sul mare e quando si va perdendo, che grande è la solitudine! Questo vuoto che lascia l’amico che se ne va. L’amico che se ne va è come un pozzo senza fondo, che non si può più riempire». Allora, immaginate questo uomo o questa gente che sta sul molo e saluta l’amico che se ne va con un piccolo battello; se ne va, se ne va, fino a quando scompare all’orizzonte. Scompare all’orizzonte, e la linea dell’orizzonte non si può valicare, e il pozzo non si può più riempire, e uno è solo. Il cristianesimo è l’inverso: è l’uomo che è solo, lì sul molo, ma aspetta, perché tutto in lui aspetta; ed ecco, sull’orizzonte appare un punto, un punto che viene verso la riva: si ingrandisce, si ingrandisce, si ingrandisce... è una barca, su cui si vede a un certo punto il barcaiolo, si intravede il barcaiolo. Arriva, arriva, arriva... attracca; e chi era sulla barca abbraccia l’uomo che stava sulla riva. «Appare un punto all’orizzonte, sulla linea dell’orizzonte: è questa barca. Questo barquiño, che è un punto, diventa sempre più grande; agli occhi dell’uomo attento che lo fissa diventa sempre più grande, sempre più grande, finché si delinea anche nei suoi fattori interni e si vede un uomo, il barcaiolo, seduto dentro. La barca si avvicina alla riva, attracca, e l’uomo che stava aspettando abbraccia l’uomo che arriva. Il cristianesimo nasce così, come l’uomo che aspetta, che abbraccia l’uomo che arriva dall’altrimenti enigmatico e prima ignoto orizzonte». L’uomo che arriva è Dio che si è fatto uomo.
       

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