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mercoledì 1 febbraio 2012

giussani


Esperienza e presenza
***
la parola esperienza indica l'avvenimento del processo che porta all'affermazione, alla realizzazione di sé, cioè alla maturità. Se il contenuto della nostra compagnia, intenzionale e pratico, non diventa esperienza, allora non viene assimilato, cioè non fertilizza e non rende frutto la nostra vita; perciò dopo cinque anni siamo come prima, soltanto bardati, se non soffocati, da un cumulo di schematiche espressioni e di pratiche acquisite8.
L'esperienza è il centuplo adesso, perché «il centuplo o è adesso o non sarà neanche domani, perché il centuplo è il di più di verità su quello che sto facendo [...] in base all'ideale che la compagnia mi dà, [...] cioè Cristo»9.
La presenza nell'ambiente non è dunque l'affanno per le iniziative o per l'organizzazione,
la presenza sorge come un'umanità cambiata: la presenza è qualcosa che perturba la situazione attraverso una perturbazione presente nella nostra vita. È perché qualcosa che mi perturba che io cambio, e questo mio cambiamento perturba la situazione in cui mi trovo. Presenza è il gusto con cui viviamo la nostra esperienza di fede. Ma la nostra esperienza di fede non si può vivere nella stratosfera: ecco perché la presenza è la conversione nel lavoro.10


don Ciccio Venturino
da:Luigi Giussani La virtù dell'amicizia ed.Marietti

Postato da: giacabi a 15:03 | link | commenti
esperienza, giussani, ventorino

giovedì, 05 gennaio 2012
LA COMPAGNIA
***
Egli ha concepito il suo Movimento come una vera amicizia, come una preziosa compagnia. È infatti, la compagnia,
l'argomento prezioso con cui Dio ci ha messo su una strada, e se noi la seguiamo con attenzione e con semplicità di cuore, con sincerità, ci fa crescere in questa percezione del destino dell' altro e della necessità di una nostra corrispondenza con i bisogni di tutti.
E qui citava la Regola definitiva dei Frati Minori, curata da Esser, dove si legge che Francesco suggeriva ai suoi frati, pellegrini per le vie del mondo, senza patria e senza fissa dimora, che dovunque essi si trovassero o si incontrassero dovevano comportarsi come«domestici invicem inter se», familiari fra di loro e ognuno familiare con gli altri. E con commozione faceva notare che Esser commenta: «Troveranno la loro casa nell'amore vicendevole». E così concludeva: «Anche se la vostra casa è ben solida, salda e grande, troverete la vostra casa nell'amore vicendevole -che è l'amicizia -, o nell'amore fraterno (un altro sinonimo
Rivelava in quella circostanza, ancora una volta, quella pre-mura affettuosa che fin dagli anni Settanta aveva generato in lui l'idea di Fraternità, quando, constatando che la gente che lo seguiva era divenuta adulta, aveva compreso che ciascuno, proprio per vivere la propria responsabilità personale, aveva bisogno di un luogo dove abitare, di una piccola comunità o di un gruppo di Fraternità:
il movimento ci ha abituato a percepire la metodologia cristiana in ogni avvenimento di impegno e di realizzazione della persona. Ora, il metodo cristiano di avvenimento della persona è quello della comunionalità: è solo se la persona si "traduce", traduce se stessa in una comunione vissuta e perciò in una comunità, che il suo sforzo può essere sostenuto
In seguito ha avuto modo di mettere in guardia la sua gente contro il rischio di vivere la compagnia del Movimento come un'utopia: «uno strumento cui affidare le proprie speranze», come se fosse essa quella «pienezza di vita raggiungibile» in questa terra. La compagnia cristiana -diceva -è tale, invece, perché essa «è una realtà creata dal cambiamento che la persona, incontrando Cristo, realizza in se stessa». È da quel cambiamento che nasce «un altro modo di vedere, di concepire e di giudicare tutto» e una dinamica nuova dei rapporti, «che si spalancano a una capacità di amare impensabile prima, in un
compito che ha un orizzonte infinito di bene».La compagnia cristiana si identifica innanzitutto «per un tipo di affezione
nuova che nasce tra le persone», nella quale «domina su qualunque altro sentimento la stima dell'altro, la disponibilità ad aiutare, un' amorosità disposta a soccorrere l'altro, a condivi- derne sempre il bisogno, nella percezione fisica del tempo e dello spazio come via al destino».
Don Giussani sapeva bene che nell'uomo c'è una debolezza affettiva come «facilità a dimenticare la domanda fondamentale» e poi una distrazione generata abitualmente da «impressioni che diventano più forti che neanche la forza ridestata dal cuore» e infine dal potere che cerca di impedire che l'incontro.fatto diventi storia, perché cerca di «determinare la vita con i suoi progetti, con i suoi paradigmi, per i suoi scopi», in una parola «tende a ridurre il desiderio». Affinché l'energia e l'intelligenza destata dall'incontro possano farsi storia, c'è bisogno di un alveo, che è la Chiesa come «corpo sociale incidente» o «come forza trainante della società». l'opposizione personale al mondo «è resa possibile solo se uno appartiene a questa unità [...]. Se non si fosse insieme non ci sarebbe la forza per uno: uno che ha la forza di opporsi al potere da solo è uno che crea comunità»
Nella compagnia cristiana si leggono in un modo vero i bisogni che si hanno e perciò si determina una «polis parallela». Essa diventa una «umanità parallela» e uno incomincia a capire «cosa voglia dire rapporto con la donna, cosa voglia dire rapporto di amicizia, cosa voglia dire il rapporto con l'uomo come tale, cosa voglia dire il rapporto col tempo, cosa voglia dire il passato, cosa voglia dire l'errore, lo sbaglio, il peccato, cosa voglia dire il perdono. Insomma, incomincia a capire, a capire che prima non capiva, che gli altri non capiscono, e gli viene una compassione per tutti» Si tratta dunque di una compagnia che si oppone a quella della società, di una compagnia che ti sorregge e che ti corregge, che ti libera dalla tua interpretazione soggettiva e mondana della vita.

 
Per questo non è sufficiente neanche lo studio del testo di Scuola di Comunità, perché il testo "non protesta", e neanche 1 il video "protesta". Puoi fargli dire ciò che vuoi tu. Solo una compagnia reale e vivente, non virtuale, è il luogo della vera conversione. Ciò non toglie affatto importanza al testo o al video, dai quali anzi viene un suggerimento necessario, un criterio di giudizio; ma solo in una serrata convivenza, quel suggerimento e quel criterio divengono realmente punto di orientamento della vita personale.
Può anche diventare equivoca, la compagnia cristiana, ma si rivela assolutamente necessaria. È per questo che la soluzione
non è mai abolirla perché la personalità cristiana si forma solo in essa e, se formata veramente, non può non crearla nella forma voluta dalla sua verità.
La forza del Movimento di don Giussani è scaturita dalla dimensione comunitaria della vita cristiana che egli seppe proporre fin dall'inizio: l'appartenenza a Cristo diviene reale nell'appartenenza ad una compagnia cristiana, sacramento della Sua presenza.
«Segno e mistero coincidono»
affermò poi negli anni della maturità. In forza di questo principio ci ha educati ad una passione per questo grande segno del mistero cristiano che è la nostra amicizia, la quale tende a coincidere con la passione a Cristo e con il senso della totalità dell'esistenza. Per la coscienza di questa coincidenza, l'amicizia che si stabilisce fra di noi, se è
vera, è carica di una tenerezza infinita, nonché di una esigenza assoluta e nello stesso tempo di un rispetto per la libertà di ciascuno, nella quale riconosciamo quella di Dio.
Il Movimento fondato da don Giussani è stato pensato come una "comunione" nella quale si genera una somiglianza che è figliolanza. Il padre è presente nel figlio, nel senso che ne caratterizza la fisionomia, come mentalità e come affezione, e lo
rende in qualche modo un altro se stesso. A questa figliolanza, accolta nella libertà, egli annetteva la partecipazione al suo carisma come volto definitivo di una personalità.
Alla fine degli Esercizi della Fraternità del 1999 ci ha lasciati con una commossa e indimenticabile esortazione:
lo auguro a tutti i capi, a tutti i responsabili delle vostre comunità, ma anche a ognuno di voi, perché ognuno deve essere padre degli amici che ha lì, deve essere madre della gente che ha lì; non dandosi un'aria di superiorità, ma con una carità effettiva. Nessuno, infatti, può essere così fortunato e felice come un uomo e una donna che si sentono fatti dal Signore padri e madri. Padri e madri di tutti coloro che incontrano.
Vi ricordate [...] quando Gesù, andando per i campi con i suoi Apostoli, vide vicino a un paese che si chiamava Nain una donna che piangeva e singhiozzava dietro la bara del figlio morto? E Lui andò là; non le disse: «Ti risuscito il figlio». Ma: «Donna, non piangere», con una tenerezza, affermando una tenerezza e un amore all'essere umano inconfondibili! E infatti, dopo, le diede anche il figlio vivo. Ma non è questo, perché di miracoli possono fame anche altri, ma questo, questa carità, questo amore all'uomo proprio di Cristo non ha nessun paragone in niente! Andiamo.
Don Giussani ha aborrito sempre la riduzione del metodo cristiano a qualcosa di astratto, a una sorta di "modello pastorale" o ad un "discorso". il metodo cristiano -diceva spesso- è quello di Dio, che si rende presente all'uomo attraverso l'uomo, attraverso l'umanità di Cristo e della Chiesa. La bellezza umana e la tenerezza dell'affezione umana sono il veicolo del mistero, perché -come aveva detto ancora Tommaso d'Aquino -nella nostra condizione umana solo «dalle cose visibili veniamo rapiti all'amore e alla conoscenza di quelle invisibili»

don Ciccio Venturino
da:Luigi Giussani La virtù dell'amicizia ed.Marietti

Postato da: giacabi a 14:51 | link | commenti (1)
amicizia, giussani, ventorino

martedì, 03 gennaio 2012
L'amicizia
***
L'amicizia, infatti, «esprime in suprema forma la grandezza dell'uomo: l'imitazione di Dio, che è l'uomo, cui è chiamato l'uomo». Ora Dio, il mistero che fa tutte le cose, come ci viene rivelato attraverso il Figlio di Dio fatto uomo, è amore. «Se la natura dell'Essere è amore -incalzava don Giussani -,allora nell'uomo, che è la creatura fatta a Sua immagine e somiglianza, la virtù suprema sarà questa caritas, questo amore» La carità,- scriveva Tommaso d'Aquino -è la perfezione dell'amore, in quanto ciò che si ama «magni pretii aestimatur», come dice lo stesso nome .
Ma l'amicizia cosa apporta alla parola amore? In che senso è distinguibile dall'amore? E qui, rifacendosi ancora a Tommaso
d'Aquino, don Giussani rispondeva che
«l'amicizia è un amore reciproco; senza reciprocità non c'è amicizia». L'amicizia,infatti, secondo l'Aquinate, aggiunge all'amare un riamarsi scambievole. Pertanto non è possibile avere amicizia con qualcuno, «se non si crede e non si spera di avere con lui condivisione di vita e scambio famiIiare». Perché ci sia amicizia vera si richiede, dunque, «l'amore scambievole: poiché un amico è amico per l'amico{amicus est amico amicus ».
Ma allora l'amicizia è un calcolo?Don Giussanirisponde in modo sorprendente: non può essere un calcolo questa«abolizione della estraneità tra un uomo e l'altro uomo» perché essa è un miracolo, «il miracolo umanamente più affascinante e persuasivo del fatto cristiano». Essa implica, infatti, una «gratuità totale, assoluta, senza alcun calcolo: puro, nudo e crudo amore». Si ama l'altro «perché è», per il mistero che si affaccia in lui, appunto il per il suo destino, «come la prospettiva inesorabile di ogni cosa che si vede».
L'amicizia, dunque, implica questo saper stare di fronte all'altro con la gratuità e la stabilità che l'amore al suo destino richiede. «Non può esserci amicizia tra di noi, non possiamo dirci amici, se non amiamo il destino dell'altro sopra ogni cosa, al di là di qualsiasi tornaconto».
In queste parole, riecheggiano anche quelle di Tommaso d'Aquino, secondo cui quando si ama di un amore che è amicizia, si ama l'altro per se stesso, per il suo bene, e per la connaturalità o compiacenza che si stabilisce con l'altro, l'altro diviene in qualche modo il proprio bene e gli si vuol bene come a se stessi. L'amico diviene, dunque, per l'amico un alter ipse, o come diceva sant' Agostino, dimidium animae suae. Nell'amore di amicizia, per conseguenza, l'amante è in qualche modo nell'amato in quanto reputa il bene e il male dell'amico come propri, come se egli stesso nell'amico gioisse e soffrisse, e così viene fatto come una sola cosa con l'amato.
L'amicizia è un amore corrisposto, ma questo non è mai vero amore, né veramente corrisposto se «il destino dell' altro non mi domina, obbligandomi tante volte anche a dimenticare lo scopo contingente che ci ha messo insieme, perché è più importante quello di qualsiasi altra cosa». Qualsiasi altra ragione mutilerebbe la corrispondenza, perché mutila innanzitutto l'amore: non ci sarebbe né amore, né tanto meno corrispondenza. Giussani raggiungeva la radicalità ultima della parola amicizia quando la definiva«la parola più vicina alla parola Ti adoro». Infatti l'amicizia vera adora l'altro, non perché ha un bel muso, non perché è capace di cantare, ma perché è: perché è. E noi sappiamo cosa vuoI dire per un uomo, a livello umano essere: vuoI dire ave- re una sete di felicità, continuamente inappagata da qualsiasi cosa noi accostassimo.

don Ciccio Venturino
da:Luigi Giussani La virtù dell'amicizia ed.Marietti

Postato da: giacabi a 20:01 | link | commenti
amicizia, giussani, ventorino

martedì, 27 dicembre 2011
Una posizione vertiginosa
***
Se questa è la posizione esistenziale della ragione è abbastanza facile capire che una posizione del genere sia vertiginosa.
Quasi che, come legge, come direttiva del mio vive-re dovessi rimanere sospeso a una volontà che non conosco, istante per istante. Sarebbe l'unico atteggiamento razionale. La Bibbia dirà: «Come gli occhi di un servo attento ai cenni del padrone». Per tutta la vita la vera legge morale sarebbe quella di essere sospesi al cenno di questo ignoto «signore», attenti ai segni di una volontà che ci apparirebbe attraverso la pura, immediata circostanza.
Ripeto: l'uomo, la vita razionale dell'uomo dovrebbe essere sospesa all'istante, sospesa in ogni istante a que-sto segno apparentemente così volubile, così casuale che sono le circostanze attraverso le quali l'ignoto «signore» mi trascina, mi provoca al suo disegno. E dir «sì» a ogni istante senza vedere niente, semplicemente aderendo al-la pressione delle occasioni. È una posizione vertiginosa
DON GIUSSANI da: Il Senso Religioso ed. Rizzoli

Postato da: giacabi a 09:50 | link | commenti
giussani

sabato, 24 dicembre 2011
La noia
***
IL VERBO SI FECE CARNE"

 
Così è il rapporto con quell'al di là che rende possibile anche l'avventura dell'al di qua, altrimenti la noia, origine della presunzione evasiva, illusiva o della disperazione eliminatrice, domina. È solo il rapporto con l'al di là che rende realizzabile l'avventura della vita. La forza umana nell'afferrare le cose dell'al di qua è data dalla volontà di penetrazione nell'al di là.
DON GIUSSANI da: Il Senso Religioso ed. Rizzoli

Postato da: giacabi a 10:41 | link | commenti
noia, giussani

domenica, 11 dicembre 2011
Il mio valore è questa compagnia che mi abbraccia
***


Se uno vive o pretende di vivere di principi, di criteri
ideali, quando è incoerente non sa più cosa fare e allora,
per non disperarsi, per non diventare cinico, censura
quello che ha fatto, o addirittura idealizza, giustifica in un
modo o nell’altro quello che ha fatto.

Altro è, invece, uno che vive della compagnia
che lo abbraccia nella sua incoerenza,
lo abbraccia nella sua meschinità, lo abbraccia
nella sua chiusura mentale, affettiva, lo abbraccia nella
grettezza delle sue pretese, lo abbraccia nella vergogna
delle sue recriminazioni: lo abbraccia perché sono le braccia
di Cristo stesso.
Una compagnia che lo abbraccia:
questo è l’annuncio cristiano.
Non è mai il giorno del mio
trionfo, ma è sempre il giorno del trionfo del dolore di
quel che si è e dell’amore per cui si è fatti, dell’amore di
Cristo a noi, della Sua pietà, e quindi in noi del dolore di
quello che siamo, perché il dolore per noi è amore; il
dolore è riconoscere un amore contro cui siamo andati e
contro cui resistiamo.
Allora bisogna sempre ripetere, riprendere, ricominciare
tutti i giorni il riconoscimento che il mio valore è
questa compagnia che mi abbraccia nonostante quel che
sono. Riconoscere questo è continuamente ricominciare.

Ora, per continuamente ricominciare ci vuole un’umiltà
che solo Cristo può dare, insieme a una possibilità di
dolcezza che il nostro temperamento magari non avrebbe
mai conosciuta; e in questo abbraccio nulla è censurato.

don giussani da: Ciò che abbiamo di più caro  ed.Rizzoli

Postato da: giacabi a 08:38 | link | commenti
chiesa, giussani

giovedì, 01 dicembre 2011
Io sono Tu che mi fai
***
«Bussò l’amante alla porta dei cieli. Dal di
dentro una voce si udì: “Chi è?”. “Sono io”, rispose. E la
voce: “In questa casa non c’è posto per te e per me”
, e la
porta rimase chiusa. Allora l’amante si ritirò nel deserto

[come farete oggi], pregò [questo non so], digiunò [questo
no certamente]
nella solitudine. In capo a un anno
ritornò e bussò ancora alla porta. Di nuovo la voce chiese:
“Chi è?”. Egli rispose: “Sono tu”, e la porta si aprì.
»

leggenda indù

da:  don Giussani Ciò che abbiamo di più caro ed. Rizzoli

Se non è in funzione dell’Altro,
il passo che compi, il rischio in cui ti metti è falsamente
tuo, si produce perché sei determinato da una reazione
(reazione di interesse, di piacere, di paura),
da una reattività,
come tutti, perché tutti vivono reattivamente.

da:  don Giussani Ciò che abbiamo di più caro ed. Rizzoli

: «La bellezza del mondo mi ha reso triste, questa
bellezza che passerà. A volte il mio cuore si stringe di
gioia grande nel vedere uno scoiattolo che salta su un
albero o una coccinella rossa su uno stelo o dei piccoli
conigli in un campo in una sera accesa da un sole declinante
o una verde collina dove le ombre scivolano lentamente,
una quieta collina dove uomini montanari hanno
seminato e dove presto raccoglieranno vicino alla porta
del cielo, o bambini che camminano scalzi sulle sabbie di
basse maree o che giocano sulle strade nei piccoli paesi di
Connect: tutte cose giovani e felici. E allora il mio cuore
mi ha detto: “Queste cose passeranno. Passeranno, cambieranno,
moriranno, non ci saranno più. Cose chiare e
verdi, cose giovani e felici”. E io ho proseguito per la mia
strada pieno di dolore».

Patrick Pearce

Postato da: giacabi a 15:30 | link | commenti
fiabe, giussani

martedì, 29 novembre 2011
Gioia = Comunionalità
***
Nel vocabolario che usiamo, la parola più vicina alla
parola «gioia» – più dettagliata di essa – è «comunionalità
»: è la comunione, la comunione tra gli uomini, la
comunione tra gli uomini e le cose e, quindi, la comunione
cosmica. Ma la comunione è una generazione, è qualcosa
che l’uomo genera, che si genera nella carne dell’uomo;
la comunionalità è un ordine che nasce dall’essere
implicati nello stesso fatto, da un fatto riconosciuto,

amato, i
n cui e da cui ci si lascia coinvolgere, da cui ci si
lascia afferrare. È solo questo fatto, in cui tutta la nostra
persona è implicata, che può generare, essere generativo,
rendere generativa la nostra vita, generativa di comunionalità,
cioè di gioia.
......
........Senza utilità
non si può neanche parlare di letizia. Nel dolore ci può
essere la letizia, ma senza utilità non c’è letizia
. Ora, l’utilità
a livello umano, nella sua interezza, non posso non
pretendere di identificarla con la parola «generare», «generazione
». L’utilità della nostra vita è generare. Che cosa
generare? Qual è l’esito di questa generazione? L’ho già
accennato stamattina, ma lo ripeto, perché sarà da approfondire
bene: è una comunionalità
. La parola è cristiana,
ma la densità che essa ricupera è pre-cristiana, è da Adamo
ed Eva in poi. Il peccato originale è stato proprio una
presunzione di comunionalità senza il Mistero.
«Comunionalità
» è un tessuto di rapporto tra gli uomini, tra gli
uomini e le cose, fra tutte le cose, una cosmicità che si
riflette in ogni particolare e che da ogni particolare rifluisce
nel tutto. Questa è l’origine della gioia; l’accorgersi
di questo, la coscienza di questo, il sentimento di questo
è la gioia.


don Giussani da: Ciò che abbiamo di più caro ed. Rizzoli
Io sono Tu che mi fai
***
«Bussò l’amante alla porta dei cieli. Dal di
dentro una voce si udì: “Chi è?”. “Sono io”, rispose. E la
voce: “In questa casa non c’è posto per te e per me”
, e la
porta rimase chiusa. Allora l’amante si ritirò nel deserto

[come farete oggi], pregò [questo non so], digiunò [questo
no certamente]
nella solitudine. In capo a un anno
ritornò e bussò ancora alla porta. Di nuovo la voce chiese:
“Chi è?”. Egli rispose: “Sono tu”, e la porta si aprì.
»

leggenda indù
da: Ciò che abbiamo di più caro ed. Rizzoli

Postato da: giacabi a 15:12 | link | commenti
chiesa, giussani

sabato, 19 novembre 2011

***

"Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un'esistenza felice, la più grande è l'amicizia"
Epicuro
***

Gli amici non vivono semplicemente in armonia, come alcuni dicono, ma in melodia.
(David Henry Thoreau)
***
«Amici sono coloro che ti chiedono continuamente
cos’hai di più caro»
don Giussani da: Ciò che abbiamo di più caro ed. Rizzoli

Postato da: giacabi a 19:04 | link | commenti
amicizia, giussani

giovedì, 10 novembre 2011
LA VOCE UNICA DELL'IDEALE
INCONTRO MATURANDI
CON DON CARRON
***




    .....Immaginate che quello, diventato zoppo, fosse lì tutto testardo a dire:
«No, io voglio andare alle Olimpiadi»; sarebbe una cocciutaggine, un capriccio!
Dal punto di vista vocazionale, don Giussani dice: «La circostanza inevitabile è
al mille per mille con sicurezza assoluta indice della strada da percorrere. Perciò
    non esiste nulla di più amico, di più facilmente amico nostro, della circostanza
    inevitabile, del fatto
». Aggiungo un aspetto fondamentale, una notazione
fondamentale: niente è fatalità in questo, il destino non è il fato:
    tutto, ma tutto, risulta strumento di vocazione! Tu sei sicuro che facendo
    l’atleta potresti raggiungere la tua pienezza e la tua soddisfazione meglio
    che attraverso quella circostanza inevitabile? No. Abbracciare questo incidente
    come parte del cammino al destino è aspettare curioso come il Signore se l
a caverà per portarmi alla felicità attraverso il mio essere zoppo.

    Ma non introduce un dubbio! Non sono lì a lamentarmi per tutta la vita,
    anzi: questa condizione inevitabile diventa elemento fondamentale attraverso
    cui il Mistero mi farà raggiungere il destino, l’ideale, la felicità. Se
    invece ci fermiamo all’arrabbiatura, sarà la tomba, perché nella vita si possono
avere tanti incidenti di percorso che sono inevitabili, ma se noi non
    avessimo la possibilità che la vita continui ad avere senso (e pensiamo che
    possano raggiungere lo scopo soltanto certe persone con certe capacità),
    dipenderemmo soltanto dal caso. Invece qualsiasi circostanza
è parte del
raggiungimento del destino, della felicità.
E questo è veramente liberante,
perché la felicità non
dipende dalla riuscita mondana,ma dal mio servizio

    al tutto, al regno di Dio (perciò può essere lo stesso
fare il portinaio o il
ministro)........
grazie a:pepeannamaria61
Utente: pepeannamaria61

Postato da: giacabi a 15:20 | link | commenti
reale, giussani

martedì, 08 novembre 2011
Il segno più grande della  giovinezza
è il desiderio di cambiamento
***
"Perché se uno non ha il desiderio di cambiare
allora vuole dire «che non ha davanti a sé qualcosa di
più bello».La disponibilità!«Ecco la serva del Signore,
avvenga di me secondo la tua parola.» Perché c’è qualcosa
di più grande. Non capiva, non poteva immaginarselo,
quella povera ragazza di quindici anni; però si immaginava
una cosa come gliela dicevano nelle sinagoghe, che
sarebbe venuto dal cielo chissà chi e avrebbe messo a
ferro e fuoco tutto, avrebbe esaltato gli ebrei. Non lo
pretendeva, ma aspettava qualche cosa che era fatto di
quelle immagini.

Che la ragione del «sì» diventi più vera è direttamente

proporzionale al desiderio del cambiamento. Per un uomo
di settant’anni (diciamo di sessanta, perché sono tra i
sessanta e i settanta), il segno più grande della sua giovinezza
è il desiderio di cambiamento. Quello che avviene
in un ragazzo sensato (uno tra mille) a vent’anni, quello
che avviene con estremo disagio quando uno dice: «Dio!»
a quarant’anni, avviene coscientemente, limpidamente,
Uno che è disponibile ama la correzione, ama
la gente che è capace di correggerlo e tirarlo su o tirarlo
fuori, non chi lo liscia e lo lascia. "

Don Giussani da: Ciò che abbiamo di più caro     ed. Rizzoli

Postato da: giacabi a 14:42 | link | commenti
giussani

giovedì, 03 novembre 2011
La verità chirurgica e
la verità igienica

***
Il culto della verità è il più scrupoloso dei culti; essa è preziosa. Solo uno spirito grossolano si contenta di fare una distinzione fra le grandi verità, le verità esplosive, gloriose, che meriterebbero di essere difese, e la minutaglia trascurabile delle piccole verità.
Sono le piccole menzogne e le piccole ingiustizie lentamente infiltratesi che fanno marcire un paese ed esigono una rivoluzione. Non dobbiamo avere preferenza, un gusto malsano per la verità chirurgica, dobbiamo al contrario cercare modestamente di evitare l’azione chirurgica con la pratica regolare della verità igienica.

Ch. Péguy, «Lettre du provincial»
***
"Ciò vuole dire che la grande " operazione chirurgica”
d'appartenere alla Chiesa o d'appartenere al movimento
invece che essere dentro le sabbie mobili dei più, della
folla irrazionale - non risolve il problema: occorre amare
la verità igienica, vale a dire come tu vivi quotidianamente
e, perché se tu vivi quotidianamente dissestato, distratto
senza pulirti, eccetera, a un certo punto ti viene il bubbone
e devi andarlo a operare, devi fare l'operazione chirurgica
<; se tu vai con chi
 vuoi, vai a vedere il cinema che vuoi, leggi tutto quello
che vuoi, partecipi alle compagnie che vuoi, a un certo
punto, se vorrai essere ancora di questa parte, bisognerà
tagliarti  via un certo lobo del cervello, oppure un'altra
parte della tua fisiologia, Occorre praticare la <
igienica>: la verità igienica è come si vive la compagnia
quotidianamente. Ed è su questo punto che noi amici dobbiamo
realizzare la nostra amicizia, dobbiamo
dimostrare se siamo amici o no."

Don Giussani da: Ciò che abbiamo di più caro ed.BUR


Postato da: giacabi a 20:45 | link | commenti (7)
giussani, peguy

giovedì, 27 ottobre 2011
Non far leggere la gente
***
Uno degli strumenti più  grande del potere è il non far leggere la gente, il non fare paragonare la gente con qualcosa di vero, e perciò è la diffusione di testi assolutamente selezionati, in cui la dimensione religiosa non centri.
Don Giussani

Postato da: giacabi a 20:59 | link | commenti
giussani

sabato, 22 ottobre 2011
Con Cristo tutti gli uomini hanno uguale dignità
***
Duemila anni fa l’unico uomo che aveva tutti
i diritti umani era il “civis romanus”.
Ma il “civis romanus” da chi era stabilito?
Il potere determinava il civis romanus”.
Uno dei più grandi giuristi romani, Gaio,
distingueva tre tipi di utensili che il civis,
cioè l’uomo con tutti i diritti, poteva possedere:
gli utensili che non si muovono e non parlano,
gli utensili che si muovono e non parlano, cioè gli animali;
e gli utensili che si muovono e parlano, gli schiavi.
V’è assenza totale della libertà come
essenziale dimensione della persona.

Don Giussani il Senso Religioso ed.Rizzoli

Postato da: giacabi a 17:57 | link | commenti
cristianesimo, giussani

giovedì, 29 settembre 2011
La preghiera
***
La preghiera è l’unico atteggiamento realistico di fronte al Mistero
(H.U. von Balthasar, Verbum caro, Morcelliana, Brescia 1970, 227).
***

 Questa è la preghiera: la coscienza di sé fino in fondo che si imbatte in un Altro.
Così la preghiera è l’unico gesto umano in cui la statura dell’uomo è
totalmente realizzata.

don Giussani  da:Il Senso religioso

Postato da: giacabi a 16:29 | link | commenti (1)
preghiere, giussani, von balthasar

venerdì, 16 settembre 2011

Il matrimonio come tutte le compagnie
***



" Cristo ci chiama dentro una compagnia attraverso la quale noi siamo gudati ad andare a Lui- e questa è la grande sicurezza, la fede; la grande certezza, la fede- e nella quale siamo veramente liberi, perchè aderiamo a qualcosa che ci attira: nella compagnia in cui Cristo ci mette resta intatto tutto il volume di attrattiva che i singoli fattori esercitano su di noi.Non si rinnega niente di ciò che ci attira, si parte da quello che ci attira. Questa è la libertà. Altrimenti ciò che ci attira ci ferma, invece che portarci al destino ci ferma.Novecentonovantanove su mille fanno così : seguono e aderiscono a ciò che li attira perchè li attira, come li attira nel presente, nelle circostanze come si presentano; dopo un po' sono soffocati e non possono ammettere come principio fondamentale della convivenza la separabilità.
Il problema della indissubilità del matrimonio è l'accento significativo di qualsiasi compagnia umana: è impossibile che resista. Se resiste è per interesse di potere politico, economico; perchè la soddisfazione come tale è scadente che decade subito. Sembra non decadere fino a quando non l'hai ancora; quando l'hai decade. Allora come si fa ad avere- senza che decada- qualcosa da cui veramente Dio ci fa attirare ?
Quanto più la presenza dell'altro desta in te la passione per il suo destino, cioè diventa veramente amore; l'amicizia, cioè lo scambievole amore, è la legge dell'obbedienza. "

Da " Si può vivere così", L Giussani, p. 170-171
grazie all'amica: Utente: pepeannamaria61pepeannamaria

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amicizia, giussani

venerdì, 19 agosto 2011

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"La cosa più grande che si possa vedere nel mondo è che certi uomini siano uniti fra loro come membra di un unico corpo, non perché impegnati in una certa opera ma perché chiamati dallo stesso destino di Cristo, da un identico avvenimento cosi che,pur non conoscendosi minimamente, fino a quel momento del tutto estranei, sono e si riconoscono legati gli uni agli altri in modo imparagonabile"
(don Giuss)

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giussani


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Il 28 ottobre del 2005, al cardinale Scola, quando ricevette a Bassano del Grappa la Medaglia d'oro della cultura cattolica (dieci anni prima conferita a Gius), chiesi l'immagine più forte che avesse stampata in cuore di don Giussani. Non estrasse dalla memoria una discussione teologica, ma un fatto. Disse: «Di don Giussani, ricordo la semplicità della fede, lo spirito di fanciullo - l'ho visto in lui, in Wojtyla, Balthasar, de Lubac, Ratzinger. Una volta andammo a Roma per iniziare le nostre delicate discussioni su GS e Azione Cattolica. Dormimmo in un alberghetto vicino alla Stazione Termini, in una camera a due letti molto modesta, era il 1971 o giù di lì. Lui, con grande delicatezza, una volta in pigiama mi disse: "Scusami, ma io sono abituato a dire un'Ave Maria in ginocchio prima di dormire". La delicatezza di quello "Scusami" mi è rimasta dentro».
(p.107 - "Don Giussani - Vita di un amico" - Renato Farina - Piemme 2007)

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giussani

sabato, 13 agosto 2011
Senza il "fattore che trascende l'uomo"non possono esistere neanche i rapporti umani
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Dewey consiglia di trascurare le cose impossibili per mettersi insieme a costruire una vita sociale: in questo modo però non si tiene uomini e quindi la possibilità stessa di una collaborazione realmente costruttiva esige un fattore che trascende l'uomo, senza del quale si può essere giustapposti provvisoriamente e in modo assolutamente equivoco, perché di nulla si può essere sicuri.
Perfino l'amore tra l'uomo e la donna ha la saldatura profonda non nell'impeto della giovane età: la saldatura di quell'amore è in un'«altra» cosa, che si oggettiva nel bambino, nel figlio, o, diciamo più genericamente, in un compito. Ma quando un figlio ci fosse, il compito che cos'è? È, più o meno confuso, più o meno nebuloso o consapevole, il destino del figlio, il suo cammino d'uomo; è questo senso che preme e detta l'atteggiamento di emozione reale, di impegno sicuro, di sentimento amoroso nella sua semplicità e nella sua totalità. Senza un'altra cosa che eccede il rapporto, il rapporto non starebbe.
Occorre una ragione per il rapporto, e la ragione vera di un rapporto deve connetterlo con il tutto.
Don Giussani da: IL SENSO RELIGIOSO

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giussani

martedì, 02 agosto 2011

La compagnia
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"Se io desidero il tuo destino e tu desideri il mio destino , la nostra  è una compagnia, la prima compagnia, la compagnia allo stato minimale.(..).Allora tu ed io, che ci siamo incontrati per primi,vorremmo tirar dentro la nostra amicizia anche questi che incontriamo, così diventiamo sette, poi diventiamo venti, poi vorremmo che tutto il tranvai partecipasse alla nostra compagnia e sul tranvai ce ne sono duecento: vorremmo che tutti e duecento diventassero della compagnia, così si può fare una casa anche di duecento persone. E badate come è bella la cosa, perchè resta tutto secondo una scala fissata dal Signore: c'è il primo con cui ti sei incontrato che è come il primo punto di riferimento; il secondo, il terzo, il quarto, e dopo viene il sesto,il settimo,l'ottavo, dopo viene il duecentesimo: rimane la gerarchia degli affetti come Dio te  l'ha suscitata."
Si può vivere così, L. Giussani, p. 160


grazie a:Utente: pepeannamaria61http://pannacioccolata.splinder.com

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amicizia, giussani

giovedì, 28 luglio 2011

FEDE ASTRATTA E LAICISMO

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La religione non c'entra con la politica;
la religione non c'entra con l'educazione;
la religione non c'entra con l'industria, il commercio ed il lavoro;
la religione non c'entra con la scuola;
la religione non c'entra con l'arte ecc ...,
tutte queste frasi sono espressioni di dualismo,
di una rottura fra la fede e la vita, con le sue esigenze ed i suoi bisogni.
C'è una parola che indica questa concezione dell'uomo e della società,
in cui la fede è rotta, separata dalle esigenze della vita: si chiama laicismo.
Il secolarismo è la conseguenza del laicismo:
laddove la fede non è stata vissuta dentro le esigenze e le urgenze della vita,
allora la vita ha incominciato ad andare per suo conto,
e la fede è scivolata sempre più lontano, divenendo sempre più astratta.
(Luigi Giussani durante una conferenza presso la parrocchia di San Nicola a Milano, 10 ott 1985)

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laicismo, giussani

martedì, 21 giugno 2011


L'avvenimento
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«È un avvenimento la positiva risposta alla drammatica dispersione in cui la società ci fa vivere. È solo un avvenimento [...] che può rendere chiaro e consistente l’io nei suoi fattori costitutivi. È questo un paradosso che nessuna filosofia e nessuna teoria – sociologica o politica – riesce a tollerare: che sia un avvenimento, non una analisi, non una registrazione di sentimenti, il catalizzatore che permette ai fattori del nostro io di venire a galla con chiarezza e di comporsi ai nostri occhi, davanti alla nostra coscienza, con limpidità ferma, duratura, stabile. [...] È l’avvenimento cristiano infatti il catalizzatore adeguato della conoscenza dell’io, ciò che rende possibile una chiara e stabile percezione dell’io, che permette all’io di diventare operativo come io. Al di fuori dell’avvenimento cristiano non si può capire che cos’è l’io. E l’avvenimento cristiano è – secondo quanto è già emerso a riguardo dell’avvenimento come tale – qualcosa di nuovo, di estraneo, che viene dal di fuori, perciò qualcosa di non pensabile, di non supponibile, di non riconducibile a una ricostruzione nostra, che fa irruzione nella vita. [...] Quest’incontro mi apre gli occhi su me stesso, suscita un disvelamento di me, si dimostra corrispondente a quello che sono: mi fa accorgere di quel che sono, di quel che voglio, perché mi fa capire che quel che porta è proprio quel che voglio, corrisponde a quel che sono».
Giussani

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giussani, avvenimento

venerdì, 17 giugno 2011



Pochi impegnati nella esperienza
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«L’aridità, la flaccidità della convivenza, della convivenza delle comunità [pensate ai gruppi, pensate alle famiglie, pensate agli amici], da che cosa dipende se non dal fatto che troppo pochi possono dire di essere impegnati nella esperienza, nella vita come esperienza? È il disimpegno della vita come esperienza che fa chiacchierare e non parlare. L’assenza di dialogo vero, questa aridità terribile nella comunicazione, questa incapacità a comunicare è pari solo al pettegolezzo».

Giussani  Il senso religioso, op. cit., pp. 114-115.

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giussani

sabato, 11 giugno 2011
La nostalgia del Tu
La nostalgia del Tu
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Questo è il culmine della ricerca, questo è il culmine che sorprendiamo in noi, dove l’io esprime ciò che è, se non viene ridotto. Come documenta meravigliosamente la poesia di Lagerkvist: «Uno sconosciuto è il mio amico, uno che io non conosco [non so cosa cerco, non lo conosco]. / Uno sconosciuto lontano lontano. / Per lui il mio cuore è colmo di nostalgia. / Perché egli non è presso di me. / Perché egli forse non esiste affatto? Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza? / Che colmi tutta la terra della tua assenza?». Con questa parola – nostalgia – Lagerkvist descrive in un modo semplice quel che Giussani scrive alla fine del capitolo quinto: «L’affermazione della esistenza della risposta, come implicata nel fatto stesso della domanda». La nostalgia è un’esperienza umanissima attraverso cui tutti possiamo capire che il fatto stesso di averla implica che esista l’altro di cui ho nostalgia, altrimenti non ci sarebbe la nostalgia come esperienza, non sentiremmo la mancanza di nessuno. Pensate se avete provato nostalgia di qualcosa, di qualcuno, se non è perché già c’era e c’è. Allora un io che non è ridotto è un io che ha questa nostalgia dentro, questa nostalgia di un Tu reale e misterioso, una nostalgia che è dentro lo stesso identico slancio con cui entra in rapporto con il reale.
Don Carron Esercizi di Fraternità 2011

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giussani, carron

LA FEDE NON VISSUTA
***

 
«In una situazione apparentemente
ottimale per la trasmissione di un contenuto cattolico teorico
ed etico – parrocchie efficienti con offerta di corsi di catechismo
“per tutte le stagioni”; lezione di religione obbligatoria in ogni ordine
di scuola fino alla media superiore; tradizione almeno formalmente ben
salvaguardata nei criteri familiarmente trasmessi; un certo non ancora
sconfessato pudore di fronte a indiscriminata critica o informazione irreligiosa;
una buona percentuale di prassi di Messa festiva [e adesso,
sessant’anni dopo, tutto è molto ridimensionato...] – un primo contatto
con i giovani studenti delle medie superiori forniva un triplice fattore di
rilievo che colpiva l’osservatore interessato. Innanzitutto una immotivazione
ultima della fede. [...] In secondo luogo, una scontata inincidenza
della fede sul comportamento sociale in generale, e scolastico in particolare.
Infine, un clima decisamente generativo di scetticità».

L. Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005, pp. 41-42.

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fede, giussani

giovedì, 02 giugno 2011

Vivere cioè il sacrificio
della tensione a Cristo
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Ma provate a pensare alle suore del Cottolengo: (..) sono cinquant’anni che sono là, cinquant’anni con gli ‘scemi’. Una ne conosco che ha fatto cinquant’anni solo nel lavare cose sporche giù in lavanderia. Portare una cosa del genere per amore: questa si chiama santità, perché non è necessario che ci sia l’aureola, è una cosa grande.
Allora, se uno vuol bene a un’altra persona, dovrebbe, con questa persona, essere appassionato e chiedere a Dio appassionatamente di vivere con questa persona -proprio perché le vuol bene- come viveva quella suora lì: di vivere cioè il sacrificio della tensione a Cristo fino in fondo. Quanto più ci si vuol bene, tanto più bisogna chiedere a Cristo la capacità di sacrificarsi fino in fondo per l’altro.
Perciò il fatto della compagnia comune, Anna, genera una prossimità da cui si origina la difficoltà più grande che ci sia: d’altra parte è il motivo più acuto che c’è per fare il sacrificio.
Luigi Giussani, “Tu” o dell’amicizia, BUR
(..) erano amicissimi prima, dopo qualche mese erano tutti gli uni contro gli altri. E’ quello che succede tra uomo e donna dopo un giorno, una settimana, un mese, un anno. Perché la convivenza per lo svolgimento di un identico compito definisce la prossimità più grande che ci sia – la prossimità più grande non è con col papà e con la mamma, ma con quelli con cui Cristo ti chiede il compito da svolgere – ed è nella prossimità la difficoltà, è nella prossimità che tu pretendi di più dagli altri, ed è nella prossimità che ti tocca fare più fatica a far come vuol l’altro o a rispettare l’altro, perché è sempre lì, l’hai sempre tra i piedi. E poi: “Che bello, che bello, che c’è la Porzia, ma quando (..) diventa normale”… Questa è la grandezza di una personalità: quando dalla normalità o dall’abitudine trae spunto per una cosa grande.
Luigi Giussani, “Tu” o dell’amicizia, BUR

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amicizia, giussani, amore

L'amicizia splende
  nel sacrificio
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La tensione all’ideale: è una tensione! Il contrario della tensione, l’opposto della tensione è proprio la dimenticanza, l’abbandonare la «volontà di». Insomma, lo splendore supremo di un’amicizia, di un amore ha la forma di un sacrificio. È tremendo che sia così, è paradossale: non è contraddizione, è paradosso. Annamaria, paradosso sai cosa vuol dire? È una parola che viene dal greco: parà e dokeìn. Son vicine due cose che sembrano opposte: morte/vita, vita/sacrificio, gusto/sacrificio. Son due cose opposte, eppure sono una cosa sola. Lo splendore, la purità, diciamo la parola più giusta, la verità di un’affezione, di un amore sta nel sacrifìcio che si abbraccia per esso («Nessuno ama tanto come chi dà la vita per il suo amico»): dire questo capovolge la mentalità con cui siamo tentati di vivere tutti; la capovolge, perché nessuno al mondo direbbe che il vertice, proprio la vertigine di un’affezione, la vetta di una preferenza è un sacrificio, si esprime con un sacrificio. Ma quanto più hai paura del sacrificio, tanto più si rende opaca l’affezione, tanto più senti il disagio di un residuo di bugia nel dire: «Ti voglio bene».
È paradossale, eppure è vero. Perché è vero? Perché è una legge, è la condizione in cui Dio ha fatto il mondo. Tant’è vero che Dio venuto nel mondo è morto, che è la contraddizione più inconcepibile che ci sia, cioè il paradosso più grande che ci sia: non esiste possibilità per noi di pensare, di immaginare una frase più paradossale di questa.

Luigi Giussani, “Tu” o dell’amicizia, BUR

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amicizia, giussani

martedì, 31 maggio 2011
La carità in Cristo
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La Madonna,
il giorno dopo l'annuncio,
nella luce mattutina nuova,
decise di andare subito ad aiutare la cugina Elisabetta
che dall'Angelo aveva sentito incinta di sei mesi;
e fece a piedi quei centoventi chilometri
di strada di montagna, velocemente,
come dice il Vangelo.
E' la carità
quello che nasce da questa luce mattutina
con cui anche noi ci alzeremo tutte le mattine,
con cui affronteremo tutte le ore undici della giornata,
o le ore quattro della giornata,
o le ore ventidue della giornata;
questa luce mattutina ci da una tenerezza
verso gli uomini,
verso gli uomini sconosciuti
e verso gli uomini ostili,
verso gli uomini estranei;
non più estranei,
ma parte di noi.


Giussani

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giussani, amore

domenica, 22 maggio 2011
IL POTERE DEL MONDO
IL POTERE DEL MONDO
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C’è una pressione fortissima da parte del mondo che ci circonda (attraverso i mass-media, o anche la scuola, la politica) che influenza e finisce
per ingombrare – come un pregiudizio – qualsiasi tentativo di presa di
coscienza del proprio io».20
Questo influsso esterno, questo “mondo”, che cos’è? È il potere –
come ci ha detto in tante occasioni don Giussani –, che non resta fuori di
noi (come dice Bernanos, parlando della opinione dominante: «Di fronte
a essa le energie si logorano, i caratteri si impoveriscono, le sincerità perdono
la loro chiarezza»),ma al contrario ci penetra così profondamente
che diventiamo estranei a noi stessi. Magari fosse soltanto una persecu-
zione esteriore e rimanesse intatta la nostra autocoscienza, magari! «Ciò
che ci circonda, la mentalità dominante, la cultura invadente, il potere,
realizza un’estraneità da noi stessi [ci strappa l’anima!]: è come se non
ci fosse più nessuna evidenza reale se non la moda, perché la moda è un
progetto del potere».
Ascoltiamo ancora don Giussani: «La mentalità comune, creata dai
mass-media e da tutta la trama di strumenti che ha il potere – che vanno
sempre più ispessendosi, tanto da fare dire a Giovanni Paolo II che
il pericolo dell’epoca che stiamo attraversando è l’abolizione dell’uomo
da parte del potere –, altera il senso di se stessi, il sentimento di sé, più
precisamente, atrofizza il senso religioso, atrofizza il cuore, meglio ancora,
lo anestetizza totalmente (un’anestesia che può diventare coma, ma è
un’anestesia)».23
Segno di questa alterazione del senso di sé, di questa estraneità, è la
conseguente lettura che noi facciamo dei nostri bisogni. Per questo don
Giussani ci avverte: «Bisogna stare molto attenti perché troppo facilmente
non partiamo dalla nostra esperienza vera, cioè dalla esperienza nella
sua completezza e genuinità. Infatti spesso identifichiamo l’esperienza con
delle impressioni parziali, riducendola così a un moncone, come frequentemente
avviene nel campo affettivo, negli innamoramenti, o nei sogni
sull’avvenire. E più spesso ancora noi confondiamo l’esperienza [anche se
l’abbiamo sempre sulle labbra] con dei pregiudizi o degli schemi magari inconsapevolmente
assimilati dall’ambiente [“coincidono” così tanto con noi
stessi che pensiamo siano nostri: fino a questo punto arriva l’incidenza del
potere!]. Per cui, invece di aprirci in quell’atteggiamento di attesa, di attenzione
sincera, di dipendenza, che profondamente l’esperienza suggerisce ed
esige, noi imponiamo all’esperienza categorie e spiegazioni che la bloccano
e la angustiano, presumendo di risolverla [noi imponiamo gli schemi all’esperienza:
si raccontano dei fatti, che non portano alcuna chiarezza su di sé,
ma solo commenti, il che vuol dire che non c’è esperienza]. Il mito del “progresso
scientifico che risolverà un giorno tutti i nostri bisogni” è la formula
moderna di questa presunzione, una presunzione selvaggia e ripugnante:
non li considera neanche i nostri bisogni veri, non sa neanche cosa siano; si
rifiuta di osservare l’esperienza con occhio chiaro, e di accettare l’umano in
tutto quello che esige. Per cui la civiltà di oggi ci fa muovere ciecamente fra
questa esasperata presunzione e la più oscura disperazione».24
Dice lo studioso francese Rey: «Siamo così abituati a questa miseria
che il più delle volte non la sentiamo neanche più»:25 ci accontentiamo.
Ma Giussani ci avverte che questo influsso del potere è in proporzione
diretta con la nostra impotenza. Perché dice questo? Perché «nessun
esito umano può essere imputato esaustivamente a mere circostanze
esteriori, poiché la libertà dell’uomo, pure infragilita, resta contrassegno
indelebile della creatura di Dio».Il peccato originale ha debilitato il
mio io, ma io resto creatura di Dio, non mi identifico con un pezzo
del meccanismo delle circostanze del potere. Questo vuol dire che una
incidenza così forte del potere su di noi si realizza anche per una nostra
connivenza. Quella che potrebbe sembrare un’ulteriore accusa di
Giussani in realtà diventa per lui la risorsa per la riscossa. L’uomo non
è definitivamente sconfitto. E per questo dice: «Non parliamo del potere
perché abbiamo paura, parliamo del potere perché abbiamo a svegliarci
dal sonno. La forza del potere è la nostra impotenza. [...] Comunque sia,
noi non abbiamo paura del potere, abbiamo paura della gente che dorme
e, perciò, permette al potere di fare di loro quel che vuole. Dico che il
potere fa addormentare tutti, il più possibile. Il suo grande sistema, il
suo grande metodo è quello di addormentare, di anestetizzare, oppure,
meglio ancora, di atrofizzare. Atrofizzare che cosa? Atrofizzare il cuore
dell’uomo, le esigenze dell’uomo, i desideri, imporre un’immagine di
desiderio o di esigenza diversa da quell’impeto senza confine che ha il
cuore. E così cresce della gente limitata, conclusa, prigioniera, già mezzo
cadavere, cioè impotente».
È quella «sonnolenza dei discepoli [che] rimane lungo i secoli l’occasione
favorevole per il potere del male»28 di cui parla il Papa nel suo
recentissimo libro.

DON CARRON ESERCIZI DI RIMINI 2011

Postato da: giacabi a 13:04 | link | commenti
giussani, carron

martedì, 17 maggio 2011

 Don Giussani visto da... Giuliano Pisapia.
Dalla Bassa a Rifondazione

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"Fu mio professore al liceo Berchet. Ha segnato la mia vita, facendomi capire l'amore per i più deboli".
Giuliano Pisapia, oggi deputato di Rifondazione Comunista, riconosce in don Giussani una delle persone che più hanno segnato la sua vita. Lo conobbe al liceo Berchet. «Entrò in classe e ci chiese se ritenevamo giusto che un genitore cattolico educasse i propri figli secondo quei principi. Uno di noi gli rigirò la domanda: lei ritiene giusto che un genitore comunista educhi il proprio figlio secondo i principi in cui crede? Don Giussani non ebbe un attimo di esitazione. E rispose di sì». Bastò quella risposta perché nascesse un rapporto imprevisto, tra quella combriccola di studenti refrattari a qualsiasi discorso religioso, e quel sacerdote dai modi così indefinibili. Erano gli anni di Gioventù studentesca e ai ragazzi Giussani propose un'esperienza insolita. «Ogni domenica andavamo nella Bassa milanese, una zona economicamente depressa. Nelle cascine facevamo vita di condivisione, si mangiava e si giocava. Poi parlavamo anche di fede, ma senza nessuna pretesa di indottrinamento», racconta oggi Pisapia. Come riusciva a convincervi? «Aveva una carica umana enorme. E bandiva tutte le formalità. La sua forza era il dialogo. Voleva che fossimo noi stessi, che avessimo il coraggio di difendere il nostro pensiero, anche se era contrario al suo. Non partiva mai dai dogmi, come facevano gli altri preti. Ci voleva liberi. Così con lui potevamo parlare di tutto, anche di questioni nostre che non c'entravano con la fede». Finito il liceo la strada di Pisapia e quella di Giussani si dividono. Che cosa accadde? «Era arrivata l'onda del 68. Io penso che sia stato richiamato all'ordine dalle gerarchie. Gliene parlai: come altri non capivo». E oggi che bilancio fa di quell'esperienza? «La vita non si fa con i se Ma senza Giussani non so se avrei capito il senso di stare dalla parte dei deboli. E poi mi ha insegnato che l'esperienza conta di più di qualsiasi lettura. È un valore che ho ritrovato nella sinistra. Ma la prima volta che mi fu chiara fu in quei cortili della Bassa milanese».

Postato da: giacabi a 19:47 | link | commenti
giussani

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