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mercoledì 1 febbraio 2012

giussani9

La continuità di Gesù Cristo:
 radice della coscienza che la Chiesa ha di sé
***
Fonte: Centro Culturale Rebora

.Per comprendere cosa sia la Chiesa dobbiamo partire dalla sua funzione principale e costitutiva, che è quella di essere la continuità fisica di Cristo dentro la storia. È questa la coscienza di sé con cui la Chiesa si presenta nel mondo.
La Chiesa infatti si pone nella storia anzitutto come rapporto con Cristo vivo.

Dopo la morte in croce di Cristo come si spiega quello che è successo al gruppo dei discepoli? Timorosi, braccati dalla polizia giudaica, distrutti nella loro speranza umana dall'annientamento di colui nel quale avevano posto tanta fiducia, privi di qualsiasi peso sul piano sociale, politico e religioso, come hanno potuto non solo continuare a stare insieme, ma moltiplicarsi con una azione missionaria travolgente?
Essi dichiarano che stanno insieme perché Cristo è risorto e si rende presente tra loro.
E bisogna ammettere che è l'unica spiegazione che tenga. Ciò che ci hanno trasmesso è esattamente la testimonianza di un Uomo presente, vivo: stanno insieme perché il Cristo risorto si rende presente in mezzo a loro. Ci avvertono che Dio non è venuto nel mondo per essere ricordato vagamente: Cristo rimane nella storia, nella vita dell'uomo personalmente, realmente, con il volto storico, vivo, della comunità cristiana, della Chiesa.
È certamente la convinzione di questa presenza che troviamo leggendo gli inizi degli Atti degli Apostoli:
Cristo rimane nella storia, nella vita dell'uomo personalmente, realmente, con il volto storico, vivo, della comunità cristiana, della Chiesa.
"Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio" (Atti 1,3).
O nei racconti delle apparizioni del Risorto:
- Lc 24: non fa che rassicurarli invitandoli a controllare che non è un fantasma fino a chiedere qualcosa da mangiare;
- Gv 21: sulla riva del lago prepara da mangiare.
È una presenza familiare che continua, "Dio con noi": una continuità fisiologica tra il Cristo e questo primo nucleo di Chiesa, continuità della vita dell'uomo Cristo presente e attivo tra loro.
Per loro Gesù non è qualcuno da ricordare, ma qualcuno da testimoniare ancora presente e operante
: "... testimoni prescelti da Dio, noi, che abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la sua resurrezione. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di attestare che egli è il giudice
..." (Atti 10,40ss).
Il problema della chiesa va visto nella sua continuità di Cristo: è il Signore presente che ancor oggi definisce la realtà della Chiesa.
Dopo di essere venuto, come avrebbe potuto sottrarsi all'uomo che lo aveva cercato e lo cerca per affidare la sua azione ad un semplice apparato, a qualunque cosa che non fosse lui, lui che era preoccupato di scartare quanto poteva nuocere al carattere personale delle sue relazioni coi discepoli?
La Chiesa sente se stessa come la comunità di Gesù per una adesione dei discepoli a Lui vivo e presente tra loro come aveva promesso: "Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo" (Mt 28,20).


In conclusione:
il contenuto dell'autocoscienza della Chiesa delle origini sta nel fatto che essa è la continuità di Cristo nella storia.

Postato da: giacabi a 18:50 | link | commenti
chiesa, giussani

mercoledì, 09 gennaio 2008
La comunità:
Il Dio con noi
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«Il superamento della solitudine nell'esperienza dello Spirito di Cristo non accosta l'uomo agli altri, lo spalanca ad essi fin dalle profondità del suo essere.
La vera vita dell'uomo, il senso dell'esistenza di ognuno è Cristo: una sola realtà è la vita e il senso di tutti. «Io sono la vite e voi i tralci»
Gv 15,5
. La comunità diventa essenziale alla vita stessa di ognuno. La solidarietà umana diventa Chiesa. Il «noi» diventa pienezza dell'«io», legge della realizzazione dell'«io». «Sappiamo, o fratelli, che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» scrive ai primi cristiani S. Giovanni 1 Gv 3,14.
Una unità tanto assolutamente imprevedibile quanto indissolubile fa della Chiesa la redenzione della comunità umana, l'ideale avverato della comunità. «Che tutti siano una cosa sola. Come Tu, Padre, sei in me ed io in Te, che anch'essi siano uno in Noi, affinchè il mondo creda che Tu mi hai mandato»
Don Giussani Tracce di un’esperienza cristiana
                  ***
C'è in natura un metodo che riesce a darci questa energia di libertà che ci fa superare, attraversare la paura del rischio. Per superare il baratro dei "ma" e dei "se" e dei "però" il metodo usato dalla natura è il fenomeno comunitario.
Un bambino corre per il corridoio, spalanca con le manine la porta sempre aperta di una stanza buia; impaurito, torna indietro. La mamma si fa avanti, lo prende per mano, con la mano nella mano di sua madre il bambino va in qualsiasi stanza buia di questo mondo. E solo la dimensione comunitaria che rende l'uomo sufficientemente capace di superare l'esperienza del rischio…..
La dimensione comunitaria rappresenta non la sostituzione della libertà, non la sostituzione della energia e della decisione personale, ma la condizione dell'affermarsi di essa.
Se io metto un seme di faggio sul tavolo, anche dopo mille anni (posto che tutto rimanga tale e quale) non si svilupperà niente. Se io prendo questo seme e lo metto dentro la terra, esso diventa pianta. Non è l'humus che sostituisce l'energia irriducibile, la "personalità" incomunicabile del seme: l'humus è la condizione perché il seme cresca.
La comunità è la dimensione e la condizione perché il seme umano dia il suo frutto…..
Il vero dramma del rapporto fra l'uomo e Dio, attraverso il segno del cosmo, attraverso il segno dell'esperienza, non sta nella fragilità delle ragioni, perché tutto il mondo è una grande ragione e non esiste sguardo umano sulla realtà che non senta la provocazione di questa prospettiva che lo supera.
Il vero dramma sta nella volontà che deve aderire a questa immensa evidenza. La drammaticità è definita da quello che io chiamo rischio. L'uomo subisce l'esperienza del rischio: pur essendo di fronte alle ragioni, è come se non si sentisse di muoversi, è come bloccato, gli occorrerebbe un supplemento di energia e di volontà, di energia di libertà, perché la libertà è la capacità di adesione all'essere.
Questa energia di libertà più adeguata emerge laddove l'individuo vive la sua dimensione comunitaria. In tal senso mira il paradosso di Chesterton: "Non è vero che uno più uno fa due; ma uno più uno fa duemila volte uno". Anche questo rivela il genio di Cristo che ha identificato la Sua esperienza religiosa con la Chiesa: "Là dove saranno due o tre riuniti in mio nome, io sarò con loro"
Don Giussani:  Il senso religioso

Postato da: giacabi a 19:24 | link | commenti
chiesa, giussani

martedì, 08 gennaio 2008
Moralismo e morale
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  La corruzione della moralità - oggi particolarmente in voga - si chiama moralismo. Il moralismo è la scelta unilaterale dei valori per avallare la propria visione delle cose. Normalmente gli uomini capiscono che, senza un certo ordine, non si può concepire la vita, il reale, l'esistere. Ma come definiscono quest'ordine? Considerando la realtà secondo i vari punti di vista da cui partono, la descrivono nei suoi dinamismi stabili e mettono in fila un seguito di principi e di leggi, adempiendo i quali sono persuasi che l'ordine si crei. Ecco allora che si scandiscono, in ogni epoca, le varie proposizioni analitiche in cui la riflessione distende le sue pretese: “Bisogna fare così e così”. I farisei definivano l'ordine con un numero quasi infinito di leggi: da un certo punto di vista il fariseo è l'uomo affezionato all'ordine, il difensore della morale intesa come quell'ordine affermato e delineato, in quanto possibile all'uomo, secondo tutti i suoi dettagli.

 Il moralismo si traduce in due sintomi gravi. Il primo è, appunto, il fariseismo. Nessuno è più antievangelico di chi si considera onesto, perchè non ha più bisogno di Cristo. Il fariseo vive senza tensione, perchè stabilisce lui stesso la misura del giusto e la identifica con ciò che crede di poter fare. Come contraccolpo, egli usa la violenza contro chi non è come lui. Il secondo sintomo perciò è la facilità alla calunnia. Da un lato, dunque, giustificazione per se stessi. Dall'altro, odio e condanna del prossimo. (..)Nel Regno di Dio non c'è nessuna misura, nessun metro. “Nessuno giudichi, perchè Dio solo giudica”. San Paolo dice anche: “Io non giudico nessuno, neanche me stesso”. Solo Dio misura tutti i fattori dell'uomo che agisce e la sua misura è oltre ogni misura: si chiama misericordia, qualcosa per noi di ultimamente incomprensibile. Come l'uomo Gesù che ha detto di coloro che lo uccidevano: “Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno”: sull'infinitesimo margine della loro ignoranza Cristo costruiva la loro difesa. La nostra imitazione di Lui è nello spazio della misericordia.

Per questo la moralità è una tensione di ripresa continua. Come un bambino che impara a camminare: cade dieci volte, ma tende a sua madre, si rialza e tende. Il male non ci ferma: possiamo cadere mille volte, ma il male non ci definisce, come invece definisce la mentalità mondana, per cui alla fine gli uomini giustificano quello che non riescono a non fare. (..)

Luigi Giussani       Generare tracce nella storia del mondo, Rizzoli

Postato da: giacabi a 18:54 | link | commenti
giussani


Lo stupore e le regole
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 Il vero dramma della chiesa che ama definirsi moderna       [ il vero dramma dei cristiani che vogliono essere moderni ] è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole . E’ una mirabile frase di Giovanni Paolo I (sarebbe stato provvidenziale quel suo mese di pontificato, anche solo per questa osservazione, di cui non si trova altrove l’equivalente). Cristo è un evento, un avvenimento, un fatto, che innanzitutto riempie di stupore.
L’irruzione di qualcosa di imprevedibile e di imprevisto – un avvenimento, un “evento” – desta innanzitutto stupore. E lo stupore è l’inizio di una reverentia, di un rispetto, di un’attenzione umile. Come in un bambino posto di fronte a una situazione nuova: in lui istintivamente si desta un senso di stupore e di rispetto umile e un po’ timoroso. Chi si sottrae allo stupore dell’avvenimento, e all’attenzione, alla venerazione, alla curiosità rispettosa e umile che l’avvenimento istintivamente suscita, diventa schiavo di regole. Chi tenta di sottrarsi all’avvenimento si fa inevitabilmente schiavo di regole.
Questo spiega molto bene la caratteristica del soggetto umano creato dalla mentalità moderna: grumo di segmenti, di particelle e di brandelli, come dicevamo. Ognuno di questi brandelli sussiste e procede perché segue delle regole: le regole dell’ufficio, della famiglia, le regole anche dell’andare in chiesa o in parrocchia. Quando ci si sottrae allo stupore, alla luce e al calore che l’avvenimento di Cristo accende, e in cui soltanto emerge la faccia o l’unità dell’io nei suoi vari aspetti (per cui essi arricchiscono l’unità e non la deprimono in divisione rappattumata), non si può evitare di assoggettare la propria vita, segmentata, alla schiavitù delle regole.
Questa osservazione ci richiama a Cristo che ha dato la vita per salvare l’uomo dalle regole dei farisei, dal fariseismo. Da quando Cristo è venuto, nei due millenni cristiani nessuna epoca è stata più farisaica della nostra. (..)
don Luigi Giussani Tracce ,febbraio 2000

Postato da: giacabi a 14:58 | link | commenti
gesù, stupore, giussani

domenica, 30 dicembre 2007
Il disordine umano
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« L’uomo è di fatto incapace di vivere compiutamente la grande dipendenza da Colui che è la sua verità e la proiezione di essa nella vita come dono, amore e servizio. Ha la coscienza annebbiata e una volontà invincibilmente annoiata nel dovere della preghiera, vive uno strano egocentrismo, per cui a lungo andare, invece di ordinarsi al tutto, tenta di ordinare il tutto a sé; invece di darsi, tenta di prendersi, invece di amare, di sfruttare.
Questo dato di fatto dipende da una situazione originale, nativa. La tradizione cristiana lo attribuisce a un disordine che l'uomo eredita dalle origini della sua razza, responsabilmente introdotto. Esso determina il clima del mondo umano in una direzione contraria al disegno di Dio: «Il  mondo è stato fatto per mezzo di lui, ma il mondo non lo ha riconosciuto. [...] Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. [...] Se il mondo vi odia, sappiate che prima ha odiato me».50
È ciò che la tradizione cristiana chiama peccato originale. La persona non ha l'energia sufficiente a realizzare se stessa. Quanto più un uomo è sensibile e cosciente, quanto più, cioè, può essere uomo, tanto più si , accorge di non riuscire a esserlo.
Nella lettera ai Romani, il grido con cui san Paolo termina la sua constatazione è esattamente la domanda umana cui Gesù Cristo è risposta: «Me infelice, chi mi libererà da questa situazione mortale?». Questo grido è l'unica origine perché un uomo possa considerare seriamente la proposta di Cristo. Se un uomo non attende alla domanda, come farà a capire la risposta?
Per essere me stesso ho bisogno di un altro: «Senza di me non potete far nulla». Gesù ci ha insegnato che chi accetterà il suo messaggio di salvezza non potrà esimersi dall'affrontare questo problema di sincerità con se stessi, da questo realismo nel considerare l'uomo: non si può essere se stessi da soli. La compagnia, quella che poi si chiamerà la comunità cristiana, è essenziale per il suo cammino. «Nessuno viene al Padre se non attraverso me.»
Il che equivale a dire, una volta di più, che l'uomo non può realizzare se stesso se non accettando l'amore di un Altro -di un Altro con un nome preciso, che indipendente dalla volontà tua è morto per te -: «Nessuno ha un amore più grande di questo: Dare la vita per i propri amici».  Di sé Lui disse: «lo sono la resurrezione e la vita.»
don Giussani All’origine della pretesa cristiana Rizzoli

Postato da: giacabi a 09:32 | link | commenti
persona, giussani

La legge dell’esistenza è il dono di sé
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«L'obiezione sull' eros che fa Nietzsche e che il Papa cita nell' enciclica Deus caritas est si potrebbe allargare a tutto il resto dell'esistenza. «il cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da bere del veleno all'eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio. Con ciò il filosofo tedesco esprimeva una percezione molto diffusa: la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino
In questo contesto sarà impossibile resistere alla pressione della mentalità che ci circonda, se noi non facciamo un altro tipo di esperienza. Non basta opporre il discorso giusto a quello sbagliato per vivere in questa situazione. Occorre un'esperienza diversa, un'esperienza di pienezza, altrimenti non resisteremmo e prima o poi soccomberemmo anche noi alla mentalità di tutti.
Questa è proprio la sfida e don Giussani vi risponde dicendo: «Quanto più uno lo accetta [di darsi], tanto più sperimenta già in questo mondo [attenzione alle parole!] una maggiore completezza»:è un'esperienza, non nell'al di là, ma in questo mondo. Sono parole che invitano all'esperienza, alla verifica di questa legge: che il darsi porta alla vita una maggiore pienezza. Non è ragionando, non è cercando di capire il paradosso che uno va avanti, ma guardando l'esperienza. Non ci sarà nessuno che ci potrà convincere a freddo, o con dei ragionamenti, di questo paradosso: è soltanto se uno vede che quanto più ama, tanto più è se stesso, che la vita è dono di sé e che in questo darsi non si perde, ma si guadagna. Si intuisce questo quando, in un rapporto amoroso, il darsi al tu è la pienezza del proprio io; chiunque abbia amato lo capisce. Chiunque abbia amato qualcuno capisce che più ama, più dona sé all'altro e più pienezza sperimenta.
Questo ci fa capire qual è la strada per mettere in discussione il modo solito di muoversi in cui noi diventiamo la misura. Tante volte sentiamo dire: «Non lo faccio fin quando non lo capisco», cioè prima bisognerebbe capire e poi fare. No! Perché noi non possiamo capire se il nostro criterio è la nostra ragione come misura; al contrario, è l'esperienza che rende evidente a me stesso questa legge. E per questo che don Giussani ha creato un gesto per aiutarci a capire questa legge partendo dall' esperienza: la caritativa. Egli dice che per capire non basta sapere, occorre fare.
Questo è il valore educativo, per tutti, del gesto della caritativa, dove uno impara, verifica la legge dell'esistenza come dono.»
J.Carron esercizi di fraternità 2007

Postato da: giacabi a 08:43 | link | commenti
benedettoxvi, giussani, carron

lunedì, 24 dicembre 2007
Dio è diventato uomo
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Dice Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov”: «La fede si riduce a questo problema angoscioso: un uomo colto, un europeo dei nostri giorni può credere, credere proprio, alla divinità del Figlio di Dio, Gesù Cristo?».
Al livello di tale domanda si gioca ormai la questione religiosa: in qualsiasi caso, per qualsiasi individuo che venga raggiunto da questa notizia, il semplice fatto che ci sia anche un uomo solo che affermi: «
Dio è diventato uomo» pone un problema radicale e ineliminabile per la vita religiosa dell’umanità.
E Kierkegaard nel suo diario scrive: «La forma più bassa dello scandalo, umanamente parlando, è lasciare senza soluzione tutto il problema intorno a Cristo. La verità è che è stato completamente dimenticato l’imperativo cristiano: tu devi.
Che il cristianesimo ti è stato annunciato significa che tu devi prendere posizione di fronte a Cristo. Egli, o il fatto che egli esiste, o il fatto che sia esistito è la decisione di tutta l’esistenza
».
Per il fatto che viene raggiunto dalla notizia che un uomo ha dichiarato: «Io sono Dio», l’uomo non può disinteressarsene, dovrà cercare di raggiungere il convincimento che la notizia è vera o che è falsa
. Un uomo non può accettare passivamente di essere distolto, distratto da un problema del genere, ed è in questo senso che Kierkegaard usa la parola “scandalo”.
Impedirebbe a se stesso d’essere uomo colui che subito o lentamente si lasciasse portar via dalla possibilità di farsi un’opinione personale intorno al problema di Cristo. Per inciso vorrei notare che si può essere convinti di vivere da cristiani, inseriti in qualcosa che definirei una “truppa cristiana”, senza che questo problema sia stato veramente risolto per la propria persona, senza che essa sia stata liberata da quell’impedimento.
Luigi Giussani


Postato da: giacabi a 15:51 | link | commenti
dio, gesù, giussani

domenica, 23 dicembre 2007
LA NOSTRA INDISTRUTTIBILE COMPAGNIA
***

l’editoriale di don Giussani pubblicato in prima pagina su Avvenire il 24 dicembre 2003

Giuseppe non si è meravigliato che la donna avesse un bambino, ma che ''quel'' bambino fosse di ''quella'' donna, Maria. Era ''suo'', in quanto aveva desiderato che fosse di Maria.
Si compie così qualcosa di ben grande: senza Cristo non è concepibile nulla. E' così: senza la creazione non esisterebbe nulla, esisterebbe l'Essere e basta. Ma con Cristo l'Essere è conclamato - comunicarsi è della natura dell'Essere -; con Lui tutto esiste, anche la più piccola foglia di pioppo, effimera eppure esistente. Senza la ri-creazione operata da ''quella'' nascita non esisterebbe la creazione.
Senza Cristo è impossibile la gioia, perché sarebbe irrazionale. Il desiderio della gioia, infatti, è della natura dell'uomo quando guarda la realtà che è fatta. Per questo dice il vero, Dante - e io non smetterò mai di citarlo -: ''Ciascun confusamente un bene apprende/ nel qual si quieti l'animo, e disira:/ per che di giugner lui ciascun contende'' (Purgatorio, XVII, 127-129). Così il desiderio descrive proprio la natura dell'uomo.
Per il tipo di festa che è e per la diffusione che ha, il Natale rappresenta l'ultima thule, l'ultimo passo che la natura dell'uomo può compiere: riconoscere che la manifestazione dell'Essere c'è, oppure avanzare verso la disperazione totale, negando che il Verbo di Dio sia diventato uomo - e così finire come l'ultimo uomo e l'ultima donna, descritti da Carducci, che vedono il sole calare per l'ultima volta in un mondo di ghiaccio.
La ri-creazione operata da Cristo è la verità della creazione. Annunciando Gesù, il Natale rivela il dominio incontrastabile dell'Essere, che si qualifica come ''vittoria''. La vittoria è l'esistenza del fatto che vince su tutte le miscredenze e su tutti i dubbi degli uomini, vince! E il fatto è l'annuncio che Dio è diventato uomo!
Il nostro grande Papa ha scritto nel messaggio per la giornata della pace: ''Ciascuno si impegni ad affrettare questa vittoria. E' ad essa che, in fondo, anela il cuore di tutti''. Con Giovanni Paolo II noi ripetiamo la stessa cosa, oggi che tutto sembra disprezzato nel tempo o travolto in modo veloce; ciò che si sperava potesse durare non dura se non un suono veloce, una pagina di libro, uno sfogliare di giornale. Le parole si dissolvono nell'aria in brevi istanti di emozione - quando questa non si sia già consumata nella delusione dello stesso primo istante -, diventano come le parole di un video, il nulla essendo l'esito continuo dall'effimera insorgenza. Dal nulla, infatti, non può venire che il nulla.
Per questo c'è voluto Cristo, per rimediare a questa fine di tutto. Lui, l'indistruttibile, non può essere in alcun modo segnato dalla distruzione. Per cui ancora Dante ci sospinge in avanti, mettendoci sulle labbra le parole del suo Inno alla Vergine che non temono, queste sì, il nulla perché sono dettate dall'Essere: ''Qui se' a noi meridiana face/ di caritate; e giuso, intra i mortali,/ se' di speranza fontana vivace'' (Paradiso, XXXIII, 10-12).
Freud diceva che dall'uomo non può venire salvezza, essa può giungere solo dal di fuori dell'uomo, da altro (o questo altro è l'Essere, e allora è fonte inesauribile, o è il non essere assoluto, e questa è una cosa senza senso; dire: ''Non c'è l'essere'', infatti, è pazzia pura perché è negare l'evidente). Un canto natalizio di Adriana Mascagni, ascoltato in tante parrocchie d'Italia e del mondo, descrive il compiersi di quella inconsapevole profezia:
Aria di neve stasera e nessuno
ha tempo di aprire la porta ed il cuore.
Aria di neve stasera e qualcuno
ancora va in giro,
ancora non sa
dove andrà
questa notte a riposare
.


Un uomo che batte
a tutte le porte,
un uomo che chiede
a tutte le case
se non c’è
un posto per lei,
per lei,
che è con me.

Aria di neve stasera...

La donna si piega
sul suo dolore
al figlio che nasce
darà il suo calore
ci sarà
un muro, vedrai
vedrai, basterà.

Aria di neve stasera e nessuno
ha tempo di aprire la porta ed il cuore.
Aria di neve stasera e nel cielo
si muove una stella
che si fermerà solo là
sulla casa più lontana.


Il bimbo che piange
in mezzo alla paglia
la donna che prega
e l’uomo che guarda.
Regnerà.
Il mondo chi sei
chi sei
non lo sa.


Aria di neve stasera...
'
 Dio ha sfondato questa lontananza. Viene il Natale per assicurare la gioia all'uomo: l'uomo raggiungerà la felicità, che è lo scopo della vita. La sicurezza della gioia! La certezza di questo è necessaria per vivere, e la certezza c'è quando si è in compagnia (se uno non ha la compagnia, è perché non la chiede. Se la chiede, viene data). Cristo è la suprema compagnia che Dio fa all'uomo. Per questo, auguri.
Mons. Luigi Giussani apparso su Avvenire del 24 dicembre 2003

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natale, giussani

domenica, 16 dicembre 2007
 Senza il Mistero  la noia
***

«Senza il riconoscimento del Mistero la confusione avanza [lo vediamo oggi] e - come tale, a livello della libertà - la ribellione avanza, o la delusione colma talmente la misura che è come se non si attendesse più niente e si vive senza desiderare più niente»
(L. Giussani, Tutta la terra desidera il Tuo volto, San Paolo

Postato da: giacabi a 15:15 | link | commenti (2)
nichilismo, giussani

 L’uomo è libero solo se è persona
***

«la religiosità cristiana sorge come unica condizione dell’umano. La scelta dell’uomo è: o concepirsi libero da tutto l’universo e dipendente solo da Dio, oppure libero da Dio, e allora diventa schiavo di ogni circostanza»
don Giussani, All’origine della pretesa cristiana, Rizzoli, Milano 2001, p. 108).

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libertà, persona, giussani

sabato, 15 dicembre 2007
Il desiderio
***
Il desiderio è come la scintilla
con cui si accende il motore.
Tutte le mosse umane nascono
da questo fenomeno, da
questo dinamismo costitutivo dell’uomo.
E allora si mette a cercare il pane e
l’acqua, si mette a cercare il lavoro,
si mette a cercare una poltrona
più comoda e un alloggio
più decente, si interessa a
come mai taluni hanno e altri
non hanno, si interessa
a come mai certi sono trattati
in un modo e lui no,
proprio in forza dell’ingrandirsi,
del dilatarsi, del maturarsi
di questi stimoli che ha
dentro e che la Bibbia chiama
globalmente “cuore”, e che io
chiamerei anche “ragione”. E non
c’è ragione senza, in qualche modo,
un destato affetto.
Il desiderio, per natura, spalanca
l’uomo sulla realtà per imparare
la mossa, per imparare dove si
deve costruire.
Non esiste la possibilità di costruire
sul domani. Esiste solo
la possibilità di costruire sul
desiderio presente (…). E’ caratteristica
dell’utopia costruire
sul domani attraverso
un’analisi e un’impostazione
che, se non segue il desiderio
naturale, segue il preconcetto
proposto dall’ideologia al potere”.
Luigi Giussani,“L’io. il potere, le opere”


Postato da: giacabi a 14:18 | link | commenti
desiderio, giussani

domenica, 02 dicembre 2007
La ragione
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 : «I cristiani che possono giustificare la loro fede attraverso le ragioni sono un numero infimo in confronto della immensa massa dei fedeli ».
Jean Guitton

 

Postato da: giacabi a 12:47 | link | commenti
ragione, giussani

giovedì, 29 novembre 2007
Cos'è il cristianesimo: una passione per l'uomo
 ***
«la prima volta, venticinque anni fa, che sono andato nell'America del Sud sono arrivato con una grossa nave; mille chilometri dentro il Rio delle Amazzoni in quella regione che si chiama Macapà e che è tutta fatta di foreste impenetrabili; non ci sono strade, bisogna andare sempre sulla barca oppure attraversare paludi immense. Allora c'erano su un territorio così grande settantamila persone circa, ma moltissimi di questi si chiamavano "Siringheros", perché vivevano nella foresta vergine tirando fuori la gomma dall'albero della gomma. Vivevano mesi e mesi da soli, in pericolo di morte continuo ed io non ho mai visto sorridere un Caboclo - si chiamano, infatti, anche Cabocli -, non ho mai visto sorridere nessuno. C'è un gruppo di sacerdoti miei amici e si dividono il territorio, così che per un tempo dai venti ai quaranta giorni ognuno percorre un pezzo del territorio per andare a trovare anche il Siringhero più lontano. Un pomeriggio uno doveva partire per questo terribile giro su cui sempre incombe il pericolo della morte e mi disse: «Vieni con me» e io spontaneamente ho detto: «Vengo». Arrivati sull'imbrunire all'inizio della palude egli si è messo delle calosce, si è calzato degli stivali alti e mi ha detto sorridendo: «Adesso tu fermati e torna indietro» e io mi sono fermato e per tutta la mia vita ricorderò quella sera quando il sole cade in dieci minuti sull'equatore, in dieci minuti dal sole pieno si passa all'oscurità e ho visto quell'uomo alto, grande che si allontanava e, ogni tanto, nella semioscurità, si voltava e mi salutava ridendo. E io ero lì, impalato, a guardarlo mentre dicevo a me stesso: «Quest'uomo rischia la vita per andare a trovare un solo altro uomo che forse mai più rivedrà!». Rischiava la vita per un uomo. Capii in quell'istante che cos'è il cristianesimo: una passione per l'uomo, un amore all'uomo. Non all'uomo dei filosofi liberal-marxisti, prodotto della loro testa, ma all'uomo che sei tu, che sono io.
E siccome il significato della natura non posso essere io così piccolo e effimero,
il significato di tutta la natura è il mio rapporto con l'infinito, il mio rapporto con il mistero che fa tutte le cose.»
Don Giussani
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cristianesimo, giussani

La  solitudine
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L’incomunicabilità come difficoltà di dialogo e comunicazione rende a sua volta più tragica la solitudine che l’uomo prova di fronte al proprio destino. Di fronte al destino come assenza di significato l’uomo prova una solitudine terribile.  La solitudine infatti non è essere da solo, ma è l’assenza di un significato. Si può essere in mezzo a milioni di persone ed essere soli come cani, se non hanno significato quelle presenze.
La solitudine che si accusa nella vita comune è accusa ad una propria presenza nella vita comune senza intelligenza del significato. Si è lì senza riconoscere ciò che unisce, e allora il più piccolo sgarbo diventa una obiezione che fa crollare tutta la impalcatura della fiducia.
Inversamente, quando uno ha coscienza del motivo adeguato per cui è con gli altri, anche se tutti fossero distratti o incomprensivi, non sarebbe affatto solo.”.
 Don Giussani:Il senso religioso Rizzoli

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solitudine, giussani

mercoledì, 28 novembre 2007
La negazione del Padre
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DON GIUSSANI
Sì, è il volersi da sé; è la dimenticanza. lo sento molto di dover insistere su un'altra parola cristiana: memoria. Quello che dici è come la perdita totale della memoria, perciò la dimenticanza d'essere stati voluti, a cui si sostituisce la presunzione di volersi da sé. Basta volermi da me, Che in un primo tempo, astrattamente parlando, può anche non esplicitare la negazione del Padre, la negazione di Dio. Ma è la negazione del Padre, non la negazione di Dio come entità astratta. Sennonché la negazione del Padre, praticamente, immediatamente e poi anche teoricamente, è la negazione di Dio. La negazione che la propria consistenza è nell'essere figlio, cioè nell'essere voluto. È proprio come l'arma della menzogna di Satana; la descrizione del peccato originale è la dimenticanza; l'arma di Satana è la dimenticanza. La cortina fumogena in cui sferrare la menzogna è la dimenticanza, la perdita della memoria. Infatti, tutta la forza di una personalità sta nella memoria. E così questa perdita della memoria è qualificante sempre di più di questa cultura, questa cultura nostra che vuole essere atea: la perdita totale della memoria. Solgenicyn insiste molto su questo. In- somma quella sostituzione del padre che è lo stato, nella situazione attuale, fa di tutto per cancellare la memoria; attraverso i suoi slogan e tutta la burocrazia del suo pensiero.
TESTORI
Tornando al momento del peccato originale, a me ha sempre dato un senso dì terribile sbigottimento il fatto che la prima conseguenza dì questo non riconoscersi figlio sia stato un delitto. La prima conseguenza, il primo gesto terribile  compiuto dall'uomo dopo il rifiuto d'essere figlio del Padre, è stato un assassinio.
DON GIUSSANI
Sì, il primo gesto significativo di quella storia è stato proprio un assassinio.
TESTORI
La perdita di questa memoria, di questa coscienza dell'essere voluto, diventa subito l'uccisione dell'uomo.
DON GIUSSANI
Il volersi da sé coincide con l'uccisione dell'altro. Ma questo è strutturale: che il volersi da sé coincida sempre con l'assassinio di un altro.
TESTORI
Che è prima, o nello stesso tempo, dimenticanza dell'altro.
DON GIUSSANI
 Sì, la dimenticanza dell'altro. Infatti l'amore dell'uomo con la donna, l'amore dei figli e la convivenza sociale oggi è tutta impostata cosi. L'uccisione del Simbolo supremo genera la dimenticanza dell'altro che poi, praticamente e quotidianamente, diventa la strumentalizzazione dell'altro.
TESTORI
 Quindi la riduzione a oggetto. lo vorrei tornare su quel primo gesto, l'assassinio: un gesto d'odio; anzi il gesto stesso dell'odio. Nella mia esperienza ho sempre provato che la direzione dell'odio è sempre verso chi ha una realtà più piena e più colma dell'essere figlio. Allora, nel caso del primo assassinio, credo che l'odio fosse verso chi aveva il senso dell'essere figlio e la soppressione sia stata perché la presenza di chi aveva in sé accettato e glorificato il senso di quell'essere figlio non potesse più determinarne in chi aveva compiuto il delitto, la memoria.
DON GIUSSANI
Questa è una cosa colossale...
TESTORI
Un cerchio che si spezza con Caino e che poi si chiude e si redime solo con Cristo che là, sulla croce, dice come in un testamento: «Madre, ecco tuo figlio »; si ricompone, cioè, per sempre solo con la morte e la resurrezione di Cristo; fino a quel punto non è mai più stato ricomposto. Comunque è certo che l'odio è sempre verso chi fa testimonianza, verso chi fa memoria, verso chi è memoria e testimonianza vivente di quest'essere voluto. L'uomo ha gelosia e invidia verso l'uomo che è più ricco; ma l'odio lo riserva sempre e solo a un uomo che è più buono di lui; l'odio lo rivolge sempre e solo verso l'inerme, verso chi non ha voluto essere super-uomo, ma ha accettato lo stato d'umiltà e persino l'umiliazione d'essere e restare figlio.
DON GIUSSANI
Comunque l'odio è l'attacco armato alla memoria o a chi richiama la memoria.
TESTORI
Tu non credi che nei nostri tempi, l’odio abbia subito un’evoluzione, anzi una degradazione ulteriore, certo una meccanizzazione, un’astrazione senza precedenti.  Oggi l’odio vero è la dimenticanza.
:
G. Testori - don Giussani : Il senso della nascita, Il Sabato dic.1989

Postato da: giacabi a 08:14 | link | commenti (1)
ateismo, testori, giussani

martedì, 27 novembre 2007
Attraverso la Chiesa Dio si
comunica a noi

L'incontro con la Chiesa è l'incontro con una realtà obiettiva, con un fatto fisicamente percepibile, e che non ha nulla da invidiare alle componenti umane dell'incontro con il padre, la madre, la famiglia, gli amici.
Possiamo avere delle idee e opinioni che prendono lo spunto da verità cristiane; ma esse non sono ancora la vita cristiana che salva.
Siamo chiamati ad aderire, a partecipare a una realtà che ci arriva fuori di noi, la comunità obiettiva.
Questa comunità, fatta di uomini come noi, si è diffusa in tutte le parti del mondo.
Attraverso questa realtà umana. Dio si comunica a noi: è questo il valore della Chiesa.
don Giussani: Il cammino al vero è un’esperienza, Rizzoli

Postato da: giacabi a 22:04 | link | commenti
chiesa, giussani

lunedì, 26 novembre 2007
Il coraggio della verità di se stessi:  la preghiera
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“Bisogna avere il coraggio della verità di se stessi. Il piccolo coraggio della verità di sé. Vale a dire la coscienza che il motivo della disperazione è una menzogna, una menzogna che si può vincere in se stessi, che non si può pretendere che sia vinta dalla società, da un esercito armato o da un esercito di obiettori di coscienza; ma che deve essere inizialmente vinta in se stessa, che può essere vinta in se stessi. E ciò è solo da questa rinascita di sé. E quando dico « Guarda che se t'ammazzi non risolvi niente, perché tu resti; non eviti un domani; non puoi evitare il destino; il destino ti supera; e, infatti, non c'eri e sei nato; perciò sei dentro in una cosa più grande di quello che ti fa male, di quello che ti perseguita, che ti inaridisce. E ciò che ti costituisce, il tuo destino, ha una capacità di resurrezione in te purché tu lo voglia, purché tu l'accetti ». In questo sen- so, io, a tutta questa gente dico che la prima cosa da fare è quella che sembrerebbe la più lontana: la preghiera. Cito sempre l'Innominato: « Dio, se ci sei rivelati a me». Perché il punto è quello. E questo non vale solo per il disperato, ma per chiunque; questa è la cosa che dico a tutti i ragazzi.”
don Giussani : Il senso della nascita, Il Sabato dic.1989 

Postato da: giacabi a 09:04 | link | commenti (2)
giussani, senso religioso

lunedì, 19 novembre 2007
La solitudine
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Più scopriamo le nostre esigenze, più ci accorgiamo che non le possiamo risolvere da noi, ne lo possono gli altri uomini come noi. Il senso di impotenza accompagna ogni seria esperienza di umanità.
È questo senso dell'impotenza che genera la solitudine.          La solitudine vera non è data dal fatto  di essere soli fisicamente, quanto dalla scoperta che un nostro fondamentale problema non può trovare risposta in noi o negli altri.
Si può benissimo dire che il senso della solitudine nasce nel cuore stesso di ogni serio impegno con la propria umanità. Può capire bene tutto ciò chi abbia creduto di aver trovato la soluzione di un suo grosso bisogno in qualcosa o in qualcuno e questo gli sparisce, se ne va, o si rivela incapace. Siamo soli coi nostri bisogni, col nostro bisogno di essere e di intensamente vivere. Come uno, solo, nel deserto, l'unica cosa che possa fare è aspettare che qualcuno venga. E a risolvere non sarà certo l'uomo; perché da risolvere sono proprio i bisogni dell'uomo.
 Luigi Giussani, Il cammino al vero è un’esperienza Rizzoli

Postato da: giacabi a 18:42 | link | commenti
solitudine, giussani

sabato, 03 novembre 2007

Come si arriva al “cuore”
 ***
« Al cuore si arriva comunemente, non passando per la ragione, bensì passando per l'immaginazione, e ciò mediante le impressioni dirette da testimonianze dei fatti e degli eventi, mediante la storia ...Dopo tutto l'uomo non è un animale che ragiona, esso è un animale che vede, sente, contempla, agisce ...Religione è stato sempre un termine sinonimo di rivelazione. Essa non si è mai presentata come una deduzione di ciò che si conosce; non si è mai presentata come il frutto di una asserzione di ciò che noi andiamo credendo. La religione non è mai stata lasciata: in balia dei capricci di una conclusione, essa si è sempre rivelata come una buona novella, una storia od una visione »
J. H. Newman


Postato da: giacabi a 13:54 | link | commenti (1)
mistero, giussani


 Al di fuori del rapporto col Mistero:  la rassegnazione
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«Al di fuori del rapporto con Dio, o comunque dell' attesa e della ricerca di tale rapporto, l'unica altra alternativa possibile è una squallida e ottusa rassegnazione; ed è a questa desolante "uscita di sicurezza" che molti si piegano per sopravvivere. I più forti di carattere, e quelli che stanno meglio socialmente ed economicamente, diventano cinici; e tutti quanti tendono a fuggire questa tragedia, che incombe ai margini di ogni loro gesto e iniziativa, con la distrazione: che può andare dal divertimento in senso banale, all'impegno professionale, alla passione scientifica o alla lotta politica »
Don Giussani : Interviste a Luigi Giussani Jaca Book Milano


Postato da: giacabi a 13:43 | link | commenti (1)
mistero, giussani

giovedì, 01 novembre 2007
La realtà è incomprensibile senza il Mistero
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Eliminato Dio come punto sorgivo e come legge del reale, la realtà è divenuta incomprensibile, sfuggente, e in essa il fattore che dovrebbe esserne il punto di autocoscienza: l’io. Così che su tale confusione l’unica energia che apparentemente consente la naturale propensione degli uomini al mettersi insieme e al comunicare sembra essere quella garantita dal potere,  nella duplice flessione di moda omologante e di strumentalizzazione. Il tragico sentimento di questo scacco è testimoniato in modo commovente e chiaro in tutte le più alte opere dell’ingegno artistico e filosofico della nostra età: una testimonianza in cui convivono il senso tragico del vivere e in cui, a volte, emerge la grande malinconia per un significato e per una presenza (per Dio) di cui si intuisce l’esistenza, ma di cui si ignora il volto e la dimora
Giussani: (Alla ricerca del volto umano, p. 12).

Postato da: giacabi a 21:15 | link | commenti
nichilismo, mistero, giussani

mercoledì, 31 ottobre 2007
Domandare è la ricchezza di chi non ha niente
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«Vieni, Signore,
e non permettere che io ritorni alla monotonia alle insignificanze di tutti; anzi, fammi essere un cuore che non lascia tregua al cuore dì nessuno».

Prima di tutto,
coloro che avvicinerai - chiunque siano - li guarderai e, guardandoli, gli fisserai il cuore;
e loro sentiranno che, guardandoli, tu gli fissi il cuore;
allora si ribelleranno, faranno tutti gli scherzi per liberarsi da questo laccio e mentiranno contro di te per potersene liberare.
Invece tu devi chiedere; di fronte al Mistero c'è una sola cosa che l'uomo che viene dal niente, nudo come uscì dal ventre dì sua madre, può fare: domandare -è la differenza del bambino dall'animale: chiede-, pregare,domandare, domandare di entrar sempre più nel Mistero, di affondare sempre più nel Mistero……
Non so come dirlo in un altro modo, ma domandare è la ricchezza di chi non ha niente
.
Di nostro cosa abbiamo?
La potenza di chi non ha niente è il domandare.
Come san Giovanni quando ha posto la testa sul cuore di Gesù nell'ultima cena: era un domandare

Don Giussani Si può vivere(veramente?!)così- BUR

a P.

Postato da: giacabi a 18:41 | link | commenti
preghiere, mistero, giussani

venerdì, 26 ottobre 2007
 
 
Don Giussani
 ***
       
 a P.
 
 
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01:33 Da: marioruopoloap
 
 
 
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Postato da: giacabi a 15:17 | link | commenti
giussani

lunedì, 22 ottobre 2007
L’EDUCAZIONE SECONDO GIUSSANI
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Da: FAMIGLIA CRISTIANA n° 47 - novembre 2005
Con l’uscita dell’edizione italiana del “Rischio educativo”, il libro più originale scritto dal fondatore di CL, il suo successore lancia un appello sull’emergenza-educazione.
Incontriamo don Julian Carron, 55 anni, docente di teologia all'Università di Madrid, che ha vissuto accanto a don Giussani gli ultimi mesi della sua lunga malattia e che gli è succeduto nel marzo scorso alla guida di Comunione e Liberazione. Don Carron, che attualmente vive a Milano e insegna Introduzione alla teologia all'Università Cattolica (la cattedra che fu di Giussani) quest'estate è stato ricevuto dal papa in occasione del Meeting di Rimini. Inoltre per la stima che il Papa ha dimostrato verso il carisma di don Giussani Carron è stato invitato al Sinodo dei vescovi sull'Eucarestia.
Al successore di mons. Luigi Giussani abbiamo posto alcune domande sull'educazione, in occasione dell'uscita del libro Il rischio educativo (Rizzoli), breve e intenso testo di don Giussani in cui emergere tutta l'originalità del suo metodo educativo, che ha saputo risvegliare in moltissimi giovani e adulti il gusto di vivere la fede.

- Don Carron, come ha vissuto quest'anno così intenso?
«E stato davvero un anno decisivo, straordinario: sono successi fatti come la morte di don Giussani e di papa Woityla e l'elezione di Benedetto XVI che ci hanno segnato profondamente».
- Come vive le sue giornate il successore di don Giussani?
«
Dedico la mattina allo studio e alla preparazione degli incontri, il pomeriggio ricevo le persone o sono in Cattolica dove insegno, seguo gli studenti, partecipo alla vita del movimento».
- Nel suo recente intervento al Sinodo dei vescovi lei ha detto che la Chiesa, attraverso l'eucarestia, incide nella storia perché suscita ed educa persone che si sono lasciate coinvolgere nella novità della vita di Cristo. Si può dire che l'uomo moderno e la nostra società hanno ancora bisogno di un'educazione che dia senso alla vita?
«Le persone oggi sono alla ricerca di chiarezza e positività perché la vita non diventi una trappola e le circostanze insopportabili. L'uomo moderno ha bisogno di qualcuno che lo introduca in modo ragionevole e positivo alla realtà. La vita si può a mala pena sopportare, oppure si può trovare qualcosa o qualcuno di più grande che ci aiuti a non esserne travolti. Questa domanda, questo desiderio oggi, nonostante tutte le risposte che abbiamo a disposizione, normalmente non trova soddisfazione».
- Al Sinodo lei ha anche sottolineato come nella vostra esperienza l'Eucarestia abbia realmente dato frutti di umanità nuova, per esempio nei luoghi di missione come le favelas del Brasile, i giovani del Kazachistan o i malati di Aids in Uganda. Che rapporto c'è tra queste opere di carità e un testo come Il rischio educativo che ha fatto il giro del mondo e che l’anno prossimo sarà tradotto anche in russo ?
«Siamo stupiti di fronte al fatto che il metodo educativo di don Giussani possa essere utile in situazione concrete così diverse tra loro. Forse è perché questo metodo si rivolge al cuore e risponde al vero bisogno dell’uomo. Stupisce vedere come gli studenti del Kazakistan, pur essendo musulmani, hanno sentito il bisogno di approfondire questa impostazione. Ma la cosa veramente affascinante è che don Giussani - come lui stesso ha sempre affermato - non ha mai voluto creare un movimento ma semplicemente presentare la propria esperienza personale del dramma umano, così come si può trovare anche in un poeta da lui amatissimo come Giacomo Leopardi, in cui vibrano le stesse esigenze. Io sono appena tornato da un viaggio a Salvador de Bahia dove ho visto come questo metodo in azione abbia coinvolto le persone (persino la Banca mondiale!) in modo tale da compiere il desiderio di tutti, coinvolgendo il soggetto nella propria liberazione! »
- Don Giussani ha sempre sottolineato che la fede è un'esperienza, un incontro con un avvenimento. Nel Rischio educativo scrive parole forti: “un Dio che non c'entra con quello che ora, oggi, io sperimento non c'entra in nessun modo, non c'è, è un Dio che non c'è”. Come si può educare a una fede così?
«
E' la cosa più facile del mondo, così come è facile l’esperienza dell’amore: uno resta stupito di fronte al bene che l'altro è per lui! Se di fronte alla bellezza e alla positività dell'incontro con una persona non ci si sottrae - ma si cede a questa attrattiva vincente - si sperimenta la fede come avvenimento, come qualcosa che accade. Io dico che questa è la cosa che convince di più, un po' come la storicità dei vangeli: quello che gli evangelisti raccontano non potevano immaginarselo prima perché era impensabile. Io resto stupito tutti i giorni per il modo con cui i nostri amici affrontano in modo diverso il lavoro, la famiglia, la malattia, una vacanza insieme e come desiderano condividere con tutti la bellezza di una vita così».
- Nel rapporto tra il maestro e il discepolo, il genitore e il figlio, l'insegnante e l'allievo come si salva la libertà?
«Siamo tutti dei poveracci, possiamo solo condividere con gli altri quello che a noi serve per vivere: se qualcuno trova nell'altro qualcosa che gli serve per vivere meglio lo prenda! Questa è l'educazione. L'unica cosa che possiamo fare è offrire all'altro quello che a noi serve al mattino per alzarci di buon umore, per andare a lavorare con letizia, per affrontare questa o quella situazione: ti offro questo se ti può essere utile. L'indottrinamento è la parola più estranea a questo atteggiamento, a questa posizione. Quando uno riconosce che il rapporto con una persona così fa diventare la vita più umana allora uno riconosce in lui naturalmente un maestro, un padre, senza che per questo che l'altro abbia alcuna velleità di convincerlo. San Paolo al proposito ha un'espressione bellissima: “non vogliamo essere padroni della vostra fede ma collaboratori della vostra gioia”; e questa è la definizione più bella del rapporto maestro-discepolo. Diceva don Giussani: "guarda, provo a dirtelo oggi così ma se non riesco a rispondere alla tua domanda, amico, ritorna domani, fammela ancora in modo che io possa cercare di ridirtelo per aiutare il tuo cammino". Questo è il tentativo, tutto il resto è inutile: cercare di imporsi alla libertà dell’altro è inutile come quando compri delle scarpe e sbagli il numero: prima o poi devi cambiarle perché il piede non è a posto. Così l'altro alla tua imposizione educativa prima o poi si ribella».
- Qual è la difficoltà dell'uomo moderno di fronte al fatto religioso, in cosa siamo maggiormente condizionati rispetto al passato?
«La nostra maggiore difficoltà è l'estraneità che abbiamo al Mistero. Siamo stati educati nel razionalismo, usiamo la ragione in modo riduttivo. In un incontro con dei ragazzi ho letto un testo dal Fedone di Platone che conclude dicendo come, davanti al problema della vita, se non si trova una risposta soddisfacente si deve cercare di attraversare “il pelago” con una nave più solida e sicura: la rivelazione di un Dio. Per il grande filosofo dunque la ragione è apertura al Mistero, all'imprevisto. Chi non desidera attraversare la vita in modo sicuro? Oggi nel modo con cui parliamo dei nostri problemi questa apertura all'infinito, al desiderio che il mio cuore ha dell'infinito non c'è, addirittura è negata. Parliamo per un anno ai fidanzati del senso religioso ma, alla fine, essi non hanno capito la natura del loro amore, pensano di rendersi felici da soli, o che la riuscita della loro vita dipenda dal lavoro: mai dal desiderio del loro cuore, che è fatto per l’infinito e a cui può rispondere solo ciò che è più adeguato al cuore infinito dell'uomo. Noi moderni utilizziamo la ragione come misura di tutto il reale impedendo che la ragione ci introduca al Mistero, che riduciamo a un sentimento. Ma la vita senza Mistero è invivibile, ci soffoca e noi non respiriamo più.
- Perché l'educazione è un rischio?
Perché dipende dalla libertà dell’altro. Don Giussani per cinquant'anni ha scommesso tutto sulla libertà, ha corso sempre il rischio della libertà, che è il contrario di ogni tentativo di possesso o indottrinamento. Senza correre questo rischio e senza verifica personale non ci si appropria di ciò che si impara, l'esperienza non diventa nostra. Senza il rischio della verifica personale non c'è educazione. Gesù non ha perso neanche un minuto a fare della propaganda. Diceva: “Venite e vedete”! Corre questo rischio chi è cosciente di proporre una cosa vera: allora si sfida l'altro al paragone perché verità e bellezza non temono la sfida, il confronto e la verifica.
«SE CI FOSSE UNA EDUCAZIONE DEL POPOLO TUTTI STAREBBERO MEGLIO»
Questa frase con cui don Giussani commentò al TG2 i tragici fatti di Nassiriya del 2003 fa da il titolo all’appello internazionale proposto da CL e che raccoglie le firme di molti intellettuali e imprenditori.
L’Italia è attraversata da una grande emergenza. Non è innanzitutto quella politica e neppure quella economica - a cui tutti, dalla destra alla sinistra, legano la possibilità di "ripresa" del Paese -, ma qualcosa da cui dipendono anche la politica e l'economia. Si chiama "educazione". Riguarda ciascuno di noi, ad ogni età, perché attraverso l'educazione si costruisce la persona, e quindi la società.
Non è solo un problema di istruzione o di avviamento al lavoro. Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli.
Per anni dai nuovi pulpiti - scuole e università, giornali e televisioni - si è predicato che la libertà è assenza di legami e di storia, che si può diventare grandi senza appartenere a niente e a nessuno, seguendo semplicemente il proprio gusto o piacere.

È diventato normale pensare che tutto è uguale, che nulla in fondo ha valore se non i soldi, il potere e la posizione sociale. Si vive come se la verità non esistesse, come se il desiderio di felicità di cui è fatto il cuore dell'uomo fosse destinato a rimanere senza risposta.
È stata negata la realtà, la speranza di un significato positivo della vita, e per questo rischia di crescere una generazione di ragazzi che si sentono orfani, senza padri e senza maestri, costretti a camminare come sulle sabbie mobili, bloccati di fronte alla vita, annoiati e a volte violenti, comunque in balia delle mode e del potere.
Ma la loro noia è figlia della nostra, la loro incertezza è figlia di una cultura che ha sistematicamente demolito le condizioni e i luoghi stessi dell'educazione: la famiglia, la scuola, la Chiesa.
Educare, cioè introdurre alla realtà e al suo significato, mettendo a frutto il patrimonio che viene dalla nostra tradizione culturale, è possibile e necessario, ed è una responsabilità di tutti.
Occorrono maestri, e ce ne sono, che consegnino questa tradizione alla libertà dei ragazzi, che li accompagnino in una verifica piena di ragioni, che insegnino loro a stimare ed amare se stessi e le cose.
Perché l'educazione comporta un rischio ed è sempre un rapporto tra due libertà. È la strada sintetizzata in un libro cruciale, nato dall'intelligenza e dall'esperienza educativa di don Luigi Giussani: Il rischio educativo.. Tutti parlano di capitale umano e di educazione, ci sembra fondamentale farlo a partire da una risposta concreta, praticata, possibile, viva.
Non è solo una questione di scuola o di addetti ai lavori: lanciamo un appello a tutti, a chiunque abbia a cuore il bene del nostro popolo. Ne va del nostro futuro.

Postato da: giacabi a 18:41 | link | commenti
educazione, giussani, carron

domenica, 21 ottobre 2007
Protagonisti
***
Se abbiamo coscienza dell'avvenimento che ci è accaduto e che c'è tra noi siamo protagonisti, indipendentemente dalla capacità con cui sappiamo parlare e agire; altrimenti non siamo nessuno, cioè siamo obbligati a mutuare dagli altri il motivo per cui facciamo le cose, i criteri e il modo di comportarci con gli altri, con la donna, nella società, coi compagni e i professori, con il "dopo università", con se stessi.
O protagonisti o nessuno: e
protagonisti non vuole dire avere la genialità o la spiritualità di alcuni, ma avere il proprio volto che è, in tutta la storia e l'eternità, unico e irripetibile.
Don Giussani

Postato da: giacabi a 17:40 | link | commenti
testimonianza, giussani, avvenimento

martedì, 04 settembre 2007
Il cuore
***
Tutti ricordiamo come incomincia “Alla ricerca del volto umano”: «Il supremo ostacolo al nostro cammino umano è la “trascuratezza dell’io”. Nel contrario di tale “trascuratezza”, cioè nell’interesse per il proprio io, sta il primo passo di un cammino veramente umano. Sembrerebbe ovvio che si abbia questo interesse, mentre non lo è per nulla: basta guardare quali grandi squarci di vuoto [cioè non essere presenti a noi stessi] si aprono nel tessuto quotidiano della nostra coscienza e quale sperdutezza di memoria».16
Ma questa trascuratezza dell’io – insiste sempre – ha a che vedere con la fede. Il motivo per cui la gente non crede più o crede senza credere (cioè riduce il credere a una partecipazione formale, ritualistica, a gesti oppure a moralismo) è perché non vive la propria umanità, non è impegnata con la propria umanità.
Che cosa vuol dire impegnarsi con la propria umanità? Impegnarsi con il proprio io così com’è, come mi è stato dato. L’io è l’avvenimento di un cuore, vale a dire di una realtà che si può descrivere nei suoi desideri e nelle sue esigenze, che si riferiscono, s’appoggiano tutti a un desiderio, a un’esigenza di fondo che non può essere realizzata, perché quanto più si approfondisce, tanto più il desiderio aumenta.
L’io umano è un avvenimento che ha come propria caratteristica quello che la Bibbia chiama cuore, un desiderio inesauribile di felicità e di compimento. Impegnarsi con la propria umanità è prendere sul serio questo cuore, questo desiderio inesauribile di felicità e di compimento.
Altro che riduzione del cuore a sentimento! È questo desiderio inesauribile, questa sproporzione strutturale che ci costituisce.
Perché impegnarsi con questo cuore? Perché questo cuore – dice don Giussani  è il criterio fondamentale con cui affrontiamo le cose, è il criterio ultimo per scoprire la verità dell’uomo, per identificare il vero. Questo criterio, che è il cuore con cui noi siamo lanciati al paragone universale con tutto, ha due caratteristiche.

   a) È un criterio oggettivo. Leggo: «Il criterio fondamentale – dice Il senso religioso, primo capitolo – con cui si affrontano le cose è il criterio oggettivo con cui la natura lancia l’uomo nell’universale paragone, dotandolo di quel nucleo di esigenze originali, di quella esperienza elementare»,17 cioè il cuore. Noi abbiamo sempre il sospetto che il cuore sia soggettivo. No, il cuore è questo criterio oggettivo, e la genialità di don Giussani è stata riconoscere questo. Perché è oggettivo? Perché ci è dato con la nostra natura; questa sproporzione che noi ci troviamo dentro, questo desiderio inesauribile di felicità e di compimento non ce lo diamo noi, non lo possiamo manipolare noi, ce lo troviamo addosso, ci piaccia o non ci piaccia: è oggettivo, dato. E la genialità di don Giussani consiste nel riconoscere questo criterio oggettivo all’interno del soggetto, ma, allo stesso tempo, nel riconoscere che tale criterio non è manipolabile dal soggetto. Questa è la modernità vera, bellissima, di don Giussani: affermare il soggetto, ma dentro il soggetto affermare un criterio dato, oggettivo.

   b) La seconda caratteristica è che questo criterio è infallibile. Sì, avete sentito bene, infallibile. Come criterio – dice don Giussani in “Si può (veramente?!) vivere così?”– le esigenze elementari sono infallibili.
Questo criterio è oggettivo e infallibile tanto è vero che svela in continuazione la falsità delle immagini che noi ci facciamo del cuore, perché quanto più noi ci impegniamo con il reale, qualsiasi sia l’immagine che noi ci facciamo, tanto più l’esperienza svela la falsità delle immagini.
Faccio un esempio. Conosco due fidanzati che stanno per sposarsi. Incominciano a prepararsi, parlano con una persona amica e questa li sfida, soprattutto il ragazzo: «Guardate bene se l’uno corrisponde veramente all’altro». Il ragazzo va via da quel primo dialogo arrabbiato nero, perché dice: «Ma come ti permetti? È da anni che aspettavo di avere questa ragazza: l’avevo conosciuta a scuola, poi ognuno aveva fatto il suo cammino. Adesso che ci siamo ritrovati tu ci fai questa domanda: ma sei matta?». Senza spaventarsi, all’incontro successivo le racconta questo e l’amica lo guarda in faccia e gli domanda ancora: «Ma ti corrisponde o no? È in grado di compiere questo desiderio inesauribile del tuo cuore?». «No», dice il ragazzo. Uno può arrabbiarsi fin che vuole per un’ immagine del cuore, di quello che corrisponde, ma quando uno lo verifica nell’esperienza si rende conto che c’è un criterio non manipolabile che gli fa capire che non gli corrisponde.
Un’altra persona mi scrive: «Per tanto tempo ho scambiato i desideri con i sogni. All’inizio ho percepito chiaramente che Cristo era la risposta al desiderio del mio cuore, ma poi, strada facendo, mi sono detta: a questo non può rispondere. E così ho messo a tacere i miei desideri. Quest’anno, ascoltando il richiamo sul cuore, mi sono reso conto che ho scambiato il desiderio del mio cuore con dei sogni e ora mi accorgo che quello che ci stiamo dicendo ha risvegliato il mio cuore, svelando la sua vera natura di attesa». Noi ci rendiamo conto di questa natura oggettiva e infallibile del cuore quando ci impegniamo veramente nel reale in quello che proviamo, non quando lo pensiamo al di fuori dell’esperienza. È nell’esperienza che si svela il cuore con questa oggettività e con questa infallibilità che ci fa uscire da qualsiasi sbaglio.

Di solito confondiamo il cuore come criterio (quello di cui sto parlando), che è infallibile (questa sproporzione strutturale è infallibile, non me la sono data io), e il cuore come giudizio, che tante volte il criterio si può applicare male, come – per fare un esempio banale – una formula matematica per certi tipi di problemi: è vera, ma si può applicarla male.
Per il fatto che io applichi male la formula, non vuol dire che la formula sia sbagliata, o che io debba introdurre un sospetto sulla formula; devo invece imparare ad usarla. Il cuore è oggettivo e infallibile come criterio, ma è fallibile come applicazione, come giudizio, può essere applicato male. Gli sbagli nell’applicazione non possono mettere in questione la validità della formula. Per questo, siccome questo è decisivo – dice don Giussani – per riconoscere Cristo, la prima cosa è che noi abbiamo quest’affezione al nostro cuore, al nostro io, questa tenerezza verso noi stessi. È una coscienza attenta, tenera e appassionata di me stesso, cioè del mio cuore, quello che mi può consentire di ammirare e riconoscere Cristo. Perciò è questa tenerezza verso me stesso che mi può aiutare a riconoscere Cristo.
«L’uomo – diceva – deve dire “io” con un po’ di quell’amore di Colui che l’ha creato, perché se l’uomo è fatto a immagine di Dio non c’è niente che lo renda più imitatore di Dio come l’amore a sé».18 E questo amore a sé non è a un sé astratto, ma al proprio io concreto, così come
siamo stati fatti. Il cuore è lo strumento fondamentale di un cammino umano. Per questo don Giussani, non a caso, lo introduce all’inizio del percorso umano (primo capitolo de Il senso religioso). Non usare il cuore come criterio di giudizio di tutto, per cui non giudichiamo niente, ci porta nella confusione totale in cui tante volte ci troviamo. Come dice Hannah Arendt: senza giudicare, «tutti i fatti possono essere cambiati e tutte le menzogne rese vere. [...] La realtà [...] è diventata un agglomerato di eventi in continuo mutamento e di slogan in cui una cosa può essere vera oggi e falsa domani. [...] Ciò in cui ci s’imbatte non è tanto l’indottrinamento, quanto l’incapacità o l’indisponibilità a distinguere tra fatti e opinioni».19
Senza usare il cuore, senza paragonare tutto con il cuore, avviene questa debolezza dell’io, questo annullamento della personalità dell’io, che ci fa ogni volta più fragili e più confusi davanti a tutto; la vita, che ci è data per l’avventura appassionante del conoscere ogni volta di più il significato di tutto, giudicando tutto con le esigenze del cuore, diventa ogni volta più confusa.
«Noi viviamo – dice Finkielkrautall’ora dei feelings: non esistono più né verità né menzogne, né stereotipi né invenzioni, né bellezza né bruttezza, ma una tavolozza infinita di piaceri, differenti ed    uguali».20
È il contrario di chi, abituato a usare il cuore come criterio di giudizio, incomincia a giudicare tutto, come descrive Guardini in modo geniale: «Tutto ciò che è finito, è difettoso. E il difetto costituisce una delusione per il cuore, che anela all’assoluto. La delusione si allarga, diviene il sentimento di un gran vuoto... Non c’è nulla per cui valga la pena di esistere. Non c’è nulla, che sia degno che noi ce ne occupiamo».21 Noi sentiamo una insoddisfazione particolarmente violenta per ciò che è finito e per questo ci fermiamo, ci spaventiamo di questo, ma questo è solo il primo passo. Continua Guardini: «Proprio l’uomo malinconico è più profondamente in rapporto con la pienezza dell’esistenza. [...] L’infinito testimonia di sé, nel chiuso del cuore. La malinconia è espressione del fatto che noi siamo creature limitate, ma viviamo a porta a porta con [...] l’“assoluto”; [...] viviamo a porta con Dio. Siamo chiamati da Dio, eletti ad accoglierlo nella nostra esistenza. La malinconia è il prezzo della nascita dell’eterno nell’uomo. La malinconia è l’inquietudine dell’uomo che avverte la vicinanza dell’infinito».22
Anche Kafka riconosceva il criterio del cuore: un «centro di gravità», lo chiamava lui. «Anch’io – scrive –, come chiunque altro, ho in me, fin dalla nascita, un centro di gravità, che neanche la più pazza educazione è riuscita a spostare. Ce l’ho ancora questo centro di gravità, ma, in un certo qual modo, non c’è più il corpo relativo».23 Pur non essendoci il corpo relativo, il centro di gravità c’è; mi rendo conto che non c’è il corpo relativo, perché c’è il centro di gravità.
Ma anche Kafka, che dice che non c’è il corpo relativo a questo centro di gravità, lo desidera. È micidiale! Non possiamo non continuare a desiderare, come ancora afferma negli Aforismi di Zürau: «Questa vita appare insopportabile, un’altra irraggiungibile. Non ci si vergogna più di voler morire; si chiede di essere portati dalla vecchia cella, che si odia, in una nuova, che presto si imparerà a odiare».24 È il meccanismo solito: cambiare la circostanza (da una cella a un’altra). Ma anche per Kafka, come per tutti noi, speriamo che durante il trasferimento il Signore passi per caso nel corridoio, guardi in faccia il prigioniero e dica: «Costui non rinchiudetelo più. Ora viene con me». A lui piacerebbe che ci fosse il «corpo relativo»: uno che tra una cella e l’altra si avvicina. Ora, il corpo relativo a questo centro di gravità c’è.
«Il cuore di Giovanni e Andrea «quel giorno, si era imbattuto in una presenza che corrispondeva inaspettatamente ed evidentemente al desiderio di verità, di bellezza, di giustizia che costituiva la loro umanità semplice e non presuntuosa. Da allora, seppur tradendolo e fraintendendo mille volte, non l’avrebbero più abbandonato, diventando “suoi”».25
C’è il corpo relativo a questo centro di gravità che costituisce il cuore, c’è. Perché c’è? Perché sono diventati per sempre “suoi”.

 

Postato da: giacabi a 17:20 | link | commenti
giussani, senso religioso

domenica, 02 settembre 2007
Lo stupore della "presenza"
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Innanzitutto, per farmi capire, provoco una immaginazione. Supponete di nascere, di uscire dal ventre di vostra madre all'età che avete in questo momento, nel senso di sviluppo e di coscienza così come vi è possibile averli adesso. Quale sarebbe il primo, l'assolutamente primo sentimento, cioè il primo fattore della reazione di fronte al reale? Se io spalancassi per la prima volta gli occhi in questo istante uscendo dal seno di mia madre, io sarei dominato dalla meraviglia e dallo stupore delle cose come di una "presenza". Sarei investito dal contraccolpo stupefatto di una presenza che viene espressa nel vocabolario corrente della parola "cosa". Le cose! Che "cosa"! Il che è una versione concreta e, se volete, banale, della parola "essere". L'essere: non come entità astratta, ma come presenza, presenza che non faccio io, che trovo, una presenza che mi si impone.
Chi non crede in Dio è inescusabile, diceva San Paolo nella lettera ai Romani, perché deve rinnegare questo fenomeno originale, questa originale esperienza dell' "altro".
Il bambino la vive senza accorgersi, perché ancora non del tutto cosciente: ma l'adulto che non la vive o non la percepisce da uomo cosciente è meno che un bambino, è come atrofizzato.
Lo stupore, la meraviglia di questa realtà che mi si impone, di questa presenza che mi investe è all'origine del risveglio dell'umana coscienza.
Don Giussani Il senso religioso
bambina
 

Postato da: giacabi a 07:23 | link | commenti (1)
giussani, senso religioso

martedì, 07 agosto 2007
AMICIZIA
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L'uomo non percepisce mai una esperienza di completezza come nella compagnia, nella amicizia, particolarmente tra uomo e donna. La donna per l'uomo, e viceversa, o l'altro per la persona, costituiscono realmente altro; tutto il resto è assimilabile e dominabile dall'uomo, ma il tu mai. Il tu non è esauribile; è evidente e non "dimostrabile", l'uomo non può rifare tutto il processo che lo costituisce; eppure mai l'uomo percepisce e vive una esperienza di pienezza come di fronte al tu. Qualcosa di diverso, per sua natura diverso da me, qualcosa di altro mi compie più di qualsiasi esperienza di possesso, di dominio, di assimilazione.
Don Giussani  da : Il senso religioso


Postato da: giacabi a 14:31 | link | commenti
amicizia, giussani

sabato, 04 agosto 2007
Due tipi di uomini
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“Ritengo del resto che, come il panteismo dal punto di vista cosmologico, l'anarchia dal punto di vista antropologico costituisca una delle tentazioni grandi e affascinanti dell'umano pensiero. Infatti, a mio avviso, solo due tipi di uomini salvano interamente la statura dell'essere umano: l'anarchico e l'autenticamente religioso. La natura dell'uomo è rapporto con l'infinito l’anarchico è l'affermazione di sé all'infinito e l'uomo autenticamente religioso è l'accettazione dell'infinito come significato di sé.

Personalmente ho intuito ciò con chiarezza molti anni fa, quando un ragazzo è venuto a confessarsi da me spinto dalla madre. Egli in realtà non aveva fede. Abbiamo cominciato a discutere e, ad un certo punto, di fronte alla valanga dei miei ragionamenti, ridendo mi dice: «Guardi, tutto ciò che lei si affatica ad espormi non vale quanto sto per dirle.
Lei non può negare che la vera statura dell'uomo è quella del Capaneo dantesco, questo gigante incatenato da Dio all'inferno, ma che a Dio grida: "Io non posso liberarmi da queste catene perché tu mi inchiodi qui. Non puoi però impedirmi di bestemmiarti, e io ti bestemmio ..." Questa è la statura vera dell'uomo». Dopo qualche secondo di impaccio ho detto con calma: «Ma non è più grande ancora amare l'infinito?» Il ragazzo se n'è andato. Dopo quattro mesi è tornato a dirmi che da due settimane frequentava i sacramenti perché era stato «roso come da un tarlo» per tutta l'estate da quella mia frase. Quel giovane sarebbe morto di lì a poco in un incidente automobilistico.

Realmente l'anarchia costituisce la tentazione più affascinante, ma è tanto affascinante quanto menzognera. E la forza di tale menzogna sta appunto nel suo fascino, che induce a dimenticare che l'uomo prima non c'era e poi muore.
È pertanto pura violenza ciò che può fargli dire: «Io mi affermo contro tutti e contro tutto» è molto più grande e vero amare l'infinito, cioè abbracciare la realtà e l'essere, piuttosto che affermare se stessi di fronte a qualsiasi realtà.
Perché in verità l'uomo afferma veramente se stesso solo accettando il reale, tanto è vero che l'uomo comincia ad affermare se stesso accettando di esistere: accettando cioè una realtà che non si è data da sé
Don Giussani : Il senso religioso

 

Postato da: giacabi a 06:01 | link | commenti
giussani

venerdì, 03 agosto 2007
IL POVERO
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Per questo è povero colui che ha il cuore riempito dal desiderio della Sua presenza. Tutto il resto non è povertà. Tanto è vero che uno che ha questo desiderio non può pretendere, non riesce a pretendere.
…..Allora la dote del povero è questo desiderio. Il contrario di questa povertà è la presunzione.

Esercizi della Fraternità – Rimini 04-06 Maggio 2007

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