Roberto Grossatesta (1168 - 1253),
il Big Bang nel ’200
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da: www.avvenire.it 11-08-07
MEDIOEVO
Uno studio ripropone la figura del vescovo scienziato, che già nel Medioevo parlava di un universo nato da un punto di energia
Uno studio ripropone la figura del vescovo scienziato, che già nel Medioevo parlava di un universo nato da un punto di energia
Solo il cristianesimo, con la sua idea di creazione, rese possibile lo sviluppo della scienza. E il maestro di Oxford intuì il nesso tra il «Fiat lux» e la "genesi" cosmica riconosciuta nel Novecento
Di Francesco Agnoli
La prima domanda che si pone lo storico della scienza moderna è sicuramente perché essa sia nata in Europa, e non altrove. Le spiegazioni possibili sono tante, ma sicuramente ve ne è una che risulta fondamentale: perché solo qui esisteva il concetto di creazione. Solo il cristianesimo infatti si fonda sull’idea che il mondo non coincida con Dio, ma sia, semplicemente, una creatura. Si tratta di una idea fondamentale, perché
libera l’universo da presenze divine immanenti, spirituali, che portano
ad una visione magica ed astrologica della realtà, e che rendono
impossibile la nascita del concetto di legge fisica.
L’universo greco, romano, animista ecc., è un "grande animale",
un’entità eterna, mai nata e destinata a esistere per sempre, secondo
una visione ciclica del tempo. Solo
l’universo cristiano non coincide con Dio, ma ha iniziato ad esistere
nel tempo, un tempo lineare, ed è regolato da leggi fisiche poste in
essere da un Creatore, inteso come Legislatore supremo, "divino
Artefice", come scriveranno Copernico e Keplero.
Quest’idea è talmente importante nella storia della scienza che proprio
da essa nascono, già nel medioevo, una serie di riflessioni cosmogoniche
straordinarie. Tra queste si segnala senza dubbio quella di Roberto Grossatesta, un vescovo legato alla scuola francescana di Oxford, che in Italia è purtroppo pressoché sconosciuto. Eppure Grossatesta non
fu solamente un grande studioso di lenti, di specchi, e dei fenomeni
della luce in genere, tanto da essere considerato uno degli inventori
degli occhiali, ma è anche colui che ha proposto, forse per primo, una
straordinaria ipotesi: che il mondo sia nato da una sorta di puntino
piccolissimo di luce-energia, posto in essere dal Creatore, ed espansosi
sino a formare l’universo intero. Grossatesta parte dal «Fiat
lux» del Genesi, e dalle sue osservazione di ottica, per affermare che
la luce, prima creatura, «è capace per natura di moltiplicare se stessa
in ogni direzione. Naturalmente infatti la luce generando si moltiplica
in ogni direzione, e, insieme con l’esistere, genera. Per questo riempie
immediatamente ogni luogo circostante». Proseguendo spiega che la
creazione della luce è anche l’origine di moto, tempo e spazio: il moto
della luce crea lo spazio, e il rapporto tra moto e spazio dà vita al
tempo. Moto, tempo e spazio, non sono quindi degli assoluti, ma dei
relativi, che hanno iniziato ad esistere, in un istante di tempo che «dà
inizio al tempo», non «continuazione del passato verso il futuro, ma
solo inizio del futuro». Nelle sue riflessioni a metà tra lo scientifico e il filosofico, Grossatesta arriva
quindi a negare l’esistenza di una materia eterna, teorizzata ad
esempio nel Timeo platonico, e a sostenere che il moto degli astri non
solo non abbisogna di anime astrali, ma neppure di intelligenze motrici,
essendo il mondo materiale non un "grande organismo" vivente, ma una
"mundi machina", una macchina del modo, regolata, come ogni meccanismo,
da precise leggi intrinseche. In
Grossatesta, ha scritto la Battisti Saccaro, «concezione creazionista
del mondo e concezione meccanicistica della sua formazione sembrano
poter coesistere grazie all’azione della luce: l’evento soprannaturale
della sua posizione è, nel De luce, dato per scontato, e l’unico accenno
che vi riscontriamo è là dove si parla della forma prima nella materia
prima creata; può quindi essere delineato il successivo costituirsi del
cosmo come sistema autoproducente senza l’ulteriore intervento del
Creatore». Si capisce quindi, dopo quanto si è detto, perché diversi
studiosi inglesi della scuola di Oxford, tra cui il Crombie, abbiano
parlato di Grossatesta come di un precursore della scienza moderna e
soprattutto dell’odierna teoria del Big Bang. Una teoria, è il caso di ricordarlo, che fu ripresa da
Galileo Galilei in una lettera del 1615 a monsignor Pietro Dini, in cui
partendo dal fiat lux del Genesi, ipotizzava appunto l’origine
dell’universo da un punto di luce energia. La
teorizzazione moderna di questa possibile origine del cosmo si deve
però al gesuita Lemaitre, ideatore dell’"atomo primordiale". Franco Prattico racconta al riguardo questo aneddoto: «Si dice che quando Georges
Lamaitre, un sacerdote scienziato che, con George Gamow, fu autore di
una delle prime formulazioni del Big Bang, cercò di discutere con
Einstein la possibilità di descrivere lo stato iniziale dell’universo,
il più grande fisico del nostro secolo abbia scrollato le spalle:
"Questa faccenda somiglia troppo alla Genesi", avrebbe detto, "si vede
bene che siete un prete". E non manca
ancora oggi chi considera questo modello con un certo sospetto, per la
sua somiglianza appunto con un "atto di creazione"» (Franco Prattico,
Dal caos… alla coscienza, Laterza). A ben vedere infatti il Big Bang,
così chiamato con disprezzo dal fisico ateo sir Fred Hoyle, che lo
considerava "troppo cristiano", è una teoria perfettamente compatibile
con la fede, in quanto presuppone, come notava Grossatesta, un mondo
originatosi dal nulla, in cui moto, spazio e tempo hanno iniziato ad
esistere e potrebbero un giorno, magari con un Big Crunch, scomparire.
Scrive Francis Collins, direttore del Progetto Genoma umano, nel suo Il linguaggio di Dio: «Per la tradizioni di fede secondo cui Dio ha creato l’universo dal nulla, questo [il Big Bang] è un risultato elettrizzante».
A un evento così sbalorditivo si addice la definizione di miracolo? La
sensazione di meraviglia generata dal Big Bang ha indotto parecchi
scienziati agnostici ad esprimersi in termini nettamente teologici. L’astrofisico Robert Jastrow, per esempio, conclude così il suo God and Astronomy: «Sulla
teologia, la teoria del Big Bang ha conseguenze profonde. Per lo
scienziato che ha vissuto alla luce della fede nel potere della ragione,
la storia finisce come un brutto sogno. Ha scalato le montagne
dell’ignoranza; è sul punto di conquistare la vetta più alta ed ecco
che, arrampicatosi sull’ultima roccia, viene accolto da un gruppo di
teologi seduti lì da secoli». E Collins
chiosa: «Il Big Bang domanda a gran voce una spiegazione divina. Non
riesco a capire come la natura avrebbe potuto crearsi da sé. Solo una
forza soprannaturale al di fuori del tempo e dello spazio avrebbe potuto
fare una cosa simile».
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