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lunedì 13 febbraio 2012

guardini


La Chiesa
***
tempoliturgico36“Un giorno trovò nel Vangelo di San Matteo la frase 'Chi cercherà di conservare la sua vita la perderà; chi avrà perduto la propria vita per me, la ritroverà' e questa frase gli fece una profonda impressione... Sentì che qui gli si apriva la via verso la verità, non quella della scienza però, ma quella della vita, dell'esistenza. E ora tutto dipendeva dal percorrerla passo per passo, dal seguirla. Sì, disse il mio intimo, voglio; voglio dare l'anima. Ma a chi? E come?... La risposta è: solo Dio! A Lui posso dare veramente l'anima in quella pura completezza, che va fino al fondo e rende liberi... Ma se lo si doveva incontrare in modo tale da potergli dare la propria anima, Egli doveva scoprirsi, venire incontro, chiamare. Ma dove accadeva ciò? Era quindi una nuova domanda, provocata dalla risposta precedente; e la nuova risposta, che l'uomo dovette dare a se stesso, era: in Cristo... Il movimento verso la verità spingeva avanti e l'ultima risposta comportava una nuova domanda: chi protegge Cristo da me stesso? Chi lo mantiene libero dall'astuzia del mio io, che vuole sfuggire ad un vero dono di se stesso? E la risposta è: la Chiesa. Secondo il significato della sua missione Cristo non si trova in un posto qualsiasi del flusso della storia o dell'esperienza, ma è ordinato a Lui uno spazio strutturato in modo adeguato a farvelo vedere e percepire giustamente: la Chiesa... Per l'uomo di cui parlo la risposta definitiva è venuta davanti alla Chiesa - ed in fondo qui viene per ognuno. Inizialmente sembrava solo un pensiero di vita; quando poi divenne cosa seria, ne sgorgarono una conseguenza dopo l'altra; ognuna divenne un'esigenza e portò ancor oltre, fino a sfociare da ultimo nella decisione definitiva”.
Romano Guardini
da:
Segnalibri

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chiesa, guardini

giovedì, 29 settembre 2011

L’inizio di ogni comprensione
***
La società umana non è una macchina con le parti costitutive adattate le une alle altre così da formare un tutto che scorre unitariamente,ma essa risulta da singoli esseri, ognuno dei quali a dispetto delle analogie quanto al popolo e al tempo a cui appartiene ha una qualifica particolare;ognuno il suo itinerario, i suoi scopie destini. Ognuno costituisce un mondo vivente radicato in se stesso […]In ognuno operano inoltre energie ostili alla vita altrui, che rendono difficile il vivere insieme, o addirittura lo distruggono. Che cosa si richiede allora affinché una vita in comune sia non soltanto possibile, ma feconda? A proposito di tale domanda si potrebbe rispondere con molte risposte; un suona : con il comprendere.[...]
L’inizio di ogni comprensione sta nel fatto che uno consenta all’altro la libertà d’essere quello che è
; che non lo consideri con l’occhio dell’egoismo prescrivendogli dalla prospettiva del proprio interesse ciò che ha da essere, ma con l’occhio della libertà, la quale dice anzitutto: Sii quello che sei; e solo dopo: Ed ora vorrei sapere come sei e perché. Ogni comprensione [...] presuppone che si consenta all’altro il suo diritto a sé medesimo: che non lo si guardi come un elemento del proprio ambito vitale, di cui ci si serve, ma come un essere che possiede un centro originario, un suo ordine di vita, desideri e diritti propri.

Tutto questo è indispensabile, a tal punto che si può osare il paradosso di dire che si arriva a comprendere perfino se stessi solo quando ci si considera in distacco dal proprio io.
(Romano Guardini).

Postato da: giacabi a 16:15 | link | commenti
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sabato, 23 luglio 2011

Il coraggio di osare - don Romano Guardini
***

 
 
Signore Gesù, fammi conoscere chi sei.
Fa sentire al mio cuore la santità che è in te.
Fa' che io veda la gloria del tuo volto.
Dal tuo essere e dalla tua parola,
dal tuo agire e dal tuo disegno,
fammi derivare la certezza che la verità e
 l'amore sono a mia portata per salvarmi.
Tu sei la via, la verità e la vita.
Tu sei il principio della nuova creazione.
Dammi il coraggio di osare.
Fammi consapevole del mio bisogno di conversazione,
e permetti che con serietà lo compia,
nella realtà della vita quotidiana.
E se mi riconosco, indegno e peccatore,
dammi la tua misericordia.
Donami la fedeltà che persevera e la fiducia che comincia
sempre, ogni volta che tutto sembra fallire.
 
(don Romano Guardini)

 

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lunedì, 04 luglio 2011

L'autonomia dell'uomo
è sfociata nel totalitarismo
***

 
«La Rosa Bianca, costituisce un piccolo evento tra
innumerevoli altri in quegli anni, che hanno avvolto
la Germania in una profonda oscurità, quando sembrava
non aver più valore né il diritto, né la verità, né
la libertà.
Sophie e Hans Scholl, insieme al loro gruppo di
amici, hanno testimoniato con la loro vita quella
aspirazione alla libertà, che rendeva ai loro occhi
un’esistenza degna ad essere vissuta.
Dal racconto della sorella abbiamo appreso che le
ultime parole pronunciate da Hans Scholl prima di
morire sono state: “VIVA LA LIBERTÀ!”.
Dobbiamo però andare a fondo nella riflessione sulla
libertà. Essa esprime la realtà di fatto che l’uomo
ha iniziativa, nel senso che ha, al proprio interno,
un’originaria forza di “iniziare”; e che per questo
deve rispondere di ciò che fa in quel modo specifico

che è la responsabilità. Questa possibilità è data
però all’uomo in quanto egli è in relazione con
qualche cosa che supera l’ambito della natura,
qualche cosa che mette l’uomo nelle mani dell’uomo
stesso, vincolandolo alla norma etica: Dio.

Questa realtà inseparabilmente legata alla libertà è
la coscienza; non c’è nessuna libertà senza

coscienza, tanto meno può esserci coscienza,
responsabilità morale in un essere che non è libero.
Solo chi sa di essere vincolato dalla verità, ha
delle opinioni proprie.

Se queste condizioni non sono soddisfatte, la
libertà diventa arbitrio. Ma l’arbitrio è già in sé
stesso schiavitù – il fatto poi che si trasformi in
schiavitù anche sul piano esteriore dipende dalle
circostanze. Non appena scompare dalla
consapevolezza questo “essere di fronte a” l’uomo
finisce per perdere la fede nella sua aspirazione
alla libertà, di affermarla sotto la pressione del
potere e allora è maturo per la dittatura. Il grido
di liberà contenuto nelle parole dette da Hans
Scholl prima di morire si dirigeva contro una
minaccia assai più forte che già da tempo si faceva
strada.

Esiste un totalitarismo che viene
dall’alto, ma esiste anche un
totalitarismo che viene dal di dentro.
Guardando infatti più attentamente si
scopre nella vita delle democrazie i
sintomi più preoccupanti di una
coercizione che si esercita attraverso
l’apparato della cultura tecnologica.

È allora tempo di comprendere il senso
nascosto di quel grido profetico e di
proclamare la lotta per le libertà, che
non è fatta di azioni esteriori
, dal
momento che 
il nemico proviene
dall’interno dell’uomo. I
veri cambiamenti
possono accadere soltanto a partire
dall’interiorità, ed è una differenza
quella che decide tutto: o l’uomo viene
trasformato in un semplice elemento della
macchina, un funzionario delle proprie
opere, o si radica nel proprio centro e
crea l’ambito vitale che gli è proprio,
preservando la propria riservatezza
personale dall’invadenza della sfera
pubblica.
Lo sviluppo della società
moderna è culminato nella rivendicazione
dell’autonomia, ma questa rivendicazione
era falsa alla radice perché l’uomo non è
autonomo. Nello sforzo di realizzare
quell’autonomia l’uomo si è esaurito e
l’effetto di questo collasso fu, sul piano
oggettivo, la dittatura; sul piano
soggettivo, invece il desiderio di essere
sollevato dalla propria responsabilità,
cioè di essere schiacciato dalla
dittatura, diretta o indiretta che sia.

L’onore tributato agli uomini della “Rosa
bianca” resterà un semplice gesto, se non
tentiamo di capire dove si gioca per noi
l’istanza di un’eguale libertà, e se non
siamo pronti a portarla a compimento»

R. Guardini, VIVA LA LIBERTÀ, discorso di
commemorazione della Rosa Bianca

Postato da: giacabi a 17:00 | link | commenti
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sabato, 04 dicembre 2010

IL PRIMATO DEL LÓGOS SULL'ÉTHOS
 ***
Questo brano di Romano Guardini, tratto dall'opera Lo spirito della liturgia (Morcelliana, Brescia 1996) fu scritto nel 1918, ma mantiene inalterata la sua verità e la sua profondità agli occhi di oggi. Egli afferma, partendo da una riflessione che interessa la liturgia della chiesa, che in tutta la storia del cristianesimo si è ribadita l'importanza, anzi il primato del Lógos sull'Éthos, della conoscenza sulla volontà, della vita contemplativa rispetto a quella attiva, e così via. Mentre prima si riteneva la Verità come data, nel corso della storia si questiona sempre più in senso critico, per cui non si può conoscere la Verità (che rimane pertanto ignota ed incerta), ma tutto viene relativizzato intorno alla volontà umana, che può anche stabilire dei valori di riferimento. A questo punto è l'Éthos che ha raggiunto il primato sul Lógos. 

Il Medioevo, lo si può ben affermare, ha prevalentemente risolto la questione dei due valori fondamentali, ponendo, almeno teoricamente, la conoscenza al di sopra dell'azione. Per esso il Lógos aveva il primato sull’Éthos. Prova ne è il modo in cui certe questioni frequentemente discusse vennero risolte, l'incondizionata superiorità riconosciuta alla vita contemplativa rispetto a quella attiva; ciò emerge infine quale aspirazione fondamentale da tutta la mentalità medioevale orientata verso l'al di là.
L'età moderna portò a questo riguardo una profonda mutazione. I grandi organismi politico-sociali: associazioni di ceto e di mestiere, comuni, impero, s'incrinarono. L'autorità ecclesiastica non ebbe più l'incondizionata validità, anche temporale, di prima. Dovunque emerse il singolo sempre più vigorosamente e si assicurò un'indipendenza sempre maggiore. Questo carattere individualistico generò innanzitutto la critica scientifica, e in modo particolare la critica alla stessa conoscenza. Il problema dell'essenza del conoscere, prima posto a preferenza in modo costruttivo, assunse ora, in conseguenza di profondi sconvolgimenti spirituali, la sua forma propriamente critica. Il conoscere divenne problematico, di conseguenza il punto di sostegno e il baricentro della vita spirituale passò poco alla volta nel volere. L'azione della persona, che si fondava su se stessa, divenne sempre più importante. Così la vita attiva venne anteponendosi a quella contemplativa, la volontà alla conoscenza. Nello stesso ambito dell'attività scientifica, che pure è essenzialmente impostata sul conoscere, venne attribuito alla volontà uno specifico significato. Dall'antica indagine intesa a penetrare la verità data come tale e sicura, si passò ora all'insonne investigazione della verità ignota e incerta. Al posto della rielaborazione ed esposizione scolastica, si generalizzò sempre più l'educazione alla ricerca autonoma. L'intero mondo scientifico assunse un carattere di intrapresa e di conquista violenta. Esso divenne una possente comunità di lavoro, che crea senza posa.
Questa caratteristica fondamentale attivistica fu anche affermata dottrinalmente, come principio. E questo avvenne nel modo più rigorosamente logico da parte di Kant. Egli pose accanto al mondo della rappresentazione, della natura, il solo accessibile all'intelletto, il mondo della realtà, della libertà, in cui agisce il volere. Dai postulati della volontà egli fa scaturire un terzo mondo, il mondo noumenico di Dio e dell'anima contrapposto all'esperienza. E mentre l'intelletto per conto proprio non può affermare nulla intorno a questi ultimi oggetti, poiché esso è chiuso nell'ordine della natura, tuttavia, dalle esigenze della volontà, impotente a vivere e ad agire senza quelle realtà superiori, riceve la fede nella loro realtà e il supremo orientamento per la sua visione del mondo. Con ciò è data la giustificazione del «primato della volontà». La volontà - e con essa la gerarchia dei valori morali del bene che le appartiene - ha il primato sull'intelletto e sulla gerarchia dei valori che gli è propria: l’Éthos ha ottenuto il primato sul Lógos.
Il ghiaccio è rotto; ora tiene dietro tutta quella linea d'evoluzione filosofica che, al posto del «puro volere», concepito da Kant logicamente, pone il volere psicologico e fa di questo l'unico padrone della vita; Fichte, Schopenhauer, von Hartmann, fino a che essa trova la sua estrema espressione in Nietzsche. Questi proclama la «volontà di potenza»: per lui è vero ciò che rende sana e nobile la vita, ciò che fa progredire l'umanità sulla via che conduce al «superuomo».
In tal modo è pure dato il pragmatismo: la verità nel campo filosofico e religioso non costituisce un valore autonomo, bensì l’espressione concettuale del fatto che una proposizione o un modo di pensare promuove la vita attiva, nobilita il carattere, l’intero atteggiamento della volontà. La verità nella sua sostanza è un fatto morale.
Questa preminenza del volere e dei suoi valori comunica all'epoca presente la sua peculiarità. Di qui la sua insonne spinta in avanti, la folle velocità del suo lavoro, la furia del suo godere; di qui la venerazione del successo, della forza, dell'azione; di qui la sua aspirazione alla potenza; di qui, in genere, lo spiccato senso per il valore del tempo e la tendenza a sfruttarlo attivamente fino all’ultimo. Da qui viene anche che istituzioni spirituali come gli antichi ordini contemplativi, già viste come qualcosa di ovvio nel complesso della vita religiosa, oggetto di predilezione per tutto il mondo credente, ora non trovano spesso comprensione neppure presso cattolici, e debbono essere di continuo difese dai loro amici dalla taccia di ozioso. perditempo. E se questo atteggiamento spirituale è già tanto spiccato in Europa, la cui cultura ha profonde radici nel passato, nel nuovo mondo esso si manifesta completamente, senza attenuazioni né compromessi. Un accentuato attivismo domina tutto; l’Éthos ha la netta preminenza sul Lógos, l'aspetto attivo della vita su quello contemplativo.
Che atteggiamento tiene la religione cattolica di fronte a questo sviluppo? Bisogna riaffermare subito il principio che il bene di ogni età e di ogni conformazione spirituale può trovare il suo compimento in quella religione, che sa essere veramente tutto a tutti. Anche il possente dispiegamento di forze che caratterizza l'ultimo mezzo millennio ha potuto essere accolto dalla Chiesa e dalla vita cattolica, che ha così potuto manifestare nuovi aspetti della sua inesauribile pienezza. Occorrerebbe una lunga ricerca per mostrare quante significative personalità, istituzioni, fatti, dottrine siano state suscitate nella vita cattolica da questa tendenza del tempo.
Deve essere anche detto, però, che questa spiccata preminenza della volontà sulla conoscenza, dell’Ethos sul Lógos, contraddice allo spirito del cattolicesimo.
Il protestantesimo nelle sue forme diverse, dalla tendenza ortodossa all'estremo appiattimento della libera critica, rappresenta l'espressione più o meno religioso-cristiana di questo spirito; e con pieno diritto Kant è detto il suo filosofo. Questo spirito ha progressivamente sacrificato la salda verità religiosa, e ha fatto della convinzione religiosa, sempre più di giorno in giorno, un mero oggetto del giudizio, del sentimento, dell'esperienza personale. La verità scivolò così dal dominio dell'oggettivamente saldo a quello del soggettivamente fluttuante. In tal modo venne da sé che la volontà assumesse la funzione direttiva. Dal momento che il credente in fondo non aveva più una «vera fede», bensì solo un'esperienza della fede del tutto personale, l'unica cosa salda diveniva logicamente non più un contenuto di fede professabile e insegnabile, bensì la dimostrazione della rettitudine dello spirito mediante la rettitudine dell'azione. Qui non si può più parlare ormai di una cristiana affermazione dell' essere in senso proprio. Il credente si era radicato non più nell'eternità, ma nel tempo, e l'eternità prendeva figura ed entrava in relazione col tempo solo per la mediazione del sentimento, non in via immediata. In tal modo la religione prese un orientamento sempre più mondano (weltfreudig). Essa divenne sempre più la consacrazione dell'esistenza umana temporale nei suoi aspetti più vari, una santificazione dell'attività terrena: del lavoro professionale, della vita sociale, della famiglia e simili. Ma chiunque abbia considerato per un certo tempo queste cose, rileva quanto inadeguata sia questa spiritualità, quanto contraddica alle leggi supreme dell'esistenza e dell’anima. Essa è falsa e perciò innaturale nel più profondo significato di questa parola. Qui sta la fonte specifica dell'angustia dell'età nostra. Essa ha infatti invertito il santo ordine della natura. Goethe ha realmente toccato l'intimo nucleo della situazione quando fece scrivere al suo Faust, preso dal dubbio, le parole: «In principio era l'azione» al posto della frase: «In principio era il Verbo».
Passando il centro di gravità della vita dalla conoscenza al volere, dal Lógos all'Éthos, la vita si fece sempre più instabile. Alla persona singola si richiese di reggersi su se stessa. Ma questo può farlo solo una volontà che sia realmente creativa nel senso più assoluto della parola; proprietà questa che è soltanto della volontà divina. Si pretese dall'uomo un contegno che presuppone l'uomo essere Dio. E siccome egli non lo è, s’insinua nel suo essere una specie di convulsione spirituale, un atteggiamento di violenza impotente che talvolta appare tragico, ma negli spiriti dalle piccole proporzioni riesce strano, anzi ridicolo. Su questa mentalità ricade la colpa del fatto che l'uomo d’oggidì assomiglia tanto spesso a un cieco che brancola nel buio; giacché la forza fondamentale su cui egli ha poggiato la sua vita, vale a dire il volere, è cieca. La volontà può volere, agire e creare, non, però, vedere. Di qui procede anche tutta quella inquietudine che non trova riposo in nessun luogo. Nulla perdura, nulla rimane saldo, tutto si muta, e la vita è un perenne divenire, un anelare, un ricercare, un pellegrinare senza posa.
La religione cattolica si oppone con tutta la sua forza a questa mentalità. La Chiesa perdona ogni altra mancanza più facilmente che un attentato alla verità. Essa sa bene che, se uno manca ma non intacca la verità, egli può ritrovarsi e riprendersi. Ma s’egli intacca il principio, in tal caso è lo stesso santo ordine della vita che è levato dai cardini. La Chiesa ha pure guardato sempre con profonda diffidenza a ogni concezione moralistica della verità, del dogma. Ogni tentativo infatti di fondare il valore di verità del dogma sul suo valore per la vita, è nel suo intimo, anticattolico. La Chiesa pone la verità, il dogma come un dato assoluto, riposante su se stesso, che non abbisogna di nessuna fondazione sulla base dell'ambito morale o pratico. La verità è verità, perché è la verità. È in sé e per sé indifferente ciò che la volontà le dice o se essa possa dare inizio con la verità a qualche intrapresa. Il volere non deve giustificare la verità, né essa ha bisogno di giustificarsi dinanzi a esso, bensì quello deve riconoscersi del tutto incompetente di fronte a questa.
Il volere non crea la verità, ma la trova; deve riconoscersi cieco e perciò bisognoso di luce, della guida, della potenza ordinatrice e formatrice della verità. Il volere deve fondamentalmente riconoscere il primato della conoscenza sulla volontà, del Lógos sull’Éthos.
Questo «primato» è stato frainteso. Non è questione qui di una preminenza di valore o di dignità, e neppure si vuol dire che il conoscere sia per la vita umana più importante che l'agire. E ancor meno si sono volute dare indicazioni, se una cosa debba essere colta con il pensiero o con l'azione. L'uno ha tanto valore, dignità, importanza per la vita complessiva quanto l’altra. Dipende dalle disposizioni individuali il fatto che nella vita di una persona l'accento cada sul conoscere piuttosto che sull'agire; e una disposizione vale quanto l'altra. Si tratta qui piuttosto di una delle questioni supreme della filosofia della cultura e precisamente: a quale valore, nel complesso della civiltà e della vita umana, spetta la funzione direttiva? Si tratta dunque di un primato d'ordine, non di dignità, significato o frequenza d'uso.
Se però si esamina più da vicino e più a lungo la questione, si avverte facilmente che la formula «primato del Lógos sull’Éthos»potrebbe anche non essere la decisiva e suprema. Forse si deve dire piuttosto: nell'ambito complessivo della vita il primato definitivo deve averlo non l'agire, bensì l'essere. In fondo non si tratta dell'agire, ma del divenire: non ciò che si fa, bensì ciò che è costituisce il valore supremo. E il valore definitivo non sta nella visione del mondo moralistica, ma in quella metafisica, non nel giudizio sul valore, ma in quello sull’essere, non nello sforzo, ma nell'adorazione.
L'anima abbisogna di un terreno assolutamente saldo su cui reggersi. Essa abbisogna di un appoggio da cui possa spingersi oltre se stessa, di un punto sicuro fuori di essa, e questo punto non può essere che la verità. Il riconoscimento della verità oggettiva è il fatto fondamentale della liberazione spirituale: «la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). L'anima abbisogna di quella liberazione interiore in cui la concitazione del volere si placa, l'irrequietudine dell’anelito si calma, il grido della brama tace; e questo si verifica fondamentalmente e in prima linea nell'atto intenzionale in cui il pensiero riconosce la verità, lo spirito ammutolisce dinanzi alla maestà sovrana della verità.
Da:

Postato da: giacabi a 17:04 | link | commenti
guardini

lunedì, 19 luglio 2010

LA PREGHIERA
“In generale l’uomo non prega volentieri. E’ facile che egli provi, nel pregare, un senso di noia, un’imbarazzo, una ripugnanza, una ostilità addirittura. Qualunque altra cosa gli sembra più attraente e più importante. Dice di non aver tempo, di aver impegni urgenti, ma appena ha tralasciato di pregare, eccolo mettersi a fare le cose più inutili.
L’uomo deve smettere di ingannare Dio e se stesso.
E’ molto meglio dire apertamente:
“Non voglio pregare”.
Ma è vero che la preghiera è solo noia? Proviamo a guardarla un pò più da vicino!
La preghiera è un bisogno intimo dell’uomo, innato nel suo cuore. Perchè ? Semplicemente perchè Dio ci ha creato perchè entrassimo in comunione con Lui e la preghiera si inserisce in questo gioco di comunione.
La preghiera è uno strumento di amicizia, forse il più alto, il più misterioso, il più sublime. Dice Santa Teresa d’Avila: “La preghiera, altro non è che, un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo di essere amati”.
Nel gioco dell’amicizia la componente essenziale è quella della comunicazione. L’amicizia è fondamentalmente un incontro interpersonale e questo non si fa senza parole, senza esplicitazione. L’ immagine di due persone che stanno l’una accanto all’altra, ma non esprimono il loro rapporto, è l’immagine di due persone che non hanno rapporto fra di loro. Quindi nell’amicizia importante è il comunicare. Siamo invitati, quindi, al dialogo con Gesù. E’ questo il senso della preghiera: si prega per accrescere la nostra amicizia con Dio.
La preghiera è il mezzo, l’amicizia con Dio è il fine.

Romano Guardini

Postato da: giacabi a 20:47 | link | commenti
preghiere, guardini

venerdì, 12 febbraio 2010

Responsabilità
 ***

“...L'uomo deve riconoscere la piena misura delle proprie responsabilità ed assumerla. Ma per poter far questo, deve riconquistare il giusto rapporto con la verità delle cose, con le esigenze del suo io più profondo,infine con Dio. Altrimenti soccomberà al suo proprio potere e quella "catastrofe globale", diverrà inevitabile..."
Romano Guardini (1885-1968) "La fine dell'epoca moderna.Il potere" Ed.Morcelliana, 1950


Postato da: giacabi a 15:13 | link | commenti
guardini

giovedì, 11 febbraio 2010

La distrazione
***
Nell’uomo non raccolto notiamo un fatto particolare: egli è sempre teso verso qualche cosa,  rivolto a uno scopo, occupato in una impresa; ma appena la tensione si allenta, egli diventa improvvisamente vuoto e ottuso. Quando non vi è più oggetto che lo interessi, impulso che lo muova, attrattiva che lo stimoli, tutta l’attività cade di colpo e non vi rimane che uno straordinario vuoto. Romano Guardini

Postato da: giacabi a 22:58 | link | commenti
guardini, senso religioso

mercoledì, 30 dicembre 2009

L’educazione
***

L’educazione è comunicazione

da cuore a cuore.

(Romano Guardini)


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educazione, guardini

lunedì, 28 dicembre 2009

Il Natale
***
Ora ci viene rivelato che questo Figlio è entrato nel mondo.
Ma ciò in un senso inaudito. Non solo per via psicologica, nell'animo di una persona pia profondamente dotata; non solo in termini spirituali, nei pensieri di una grande personalità; realmente, storicamente invece, così da produrre l'unità personale con un essere umano.

Dio s'è fatto uomo, figlio di una madre umana, uno di noi - ed è rimasto ciò che Egli è eternamente, Figlio del Padre nel cielo. Egli, che come Dio era in tutto, ma sempre "dall'altro lato del confine", nell'eterno riserbo, è venuto al di qua del confine, ed è stato ora presso di noi, con noi.

Di questo evento parla il Natale. Questo è il suo contenuto, questo soltanto.
Tutto il resto - la gioia per i doni, l'affetto della famiglia, il rinvigorirsi della luce, la guarigione dall'angustia della vita - riceve di là il suo senso.

Quando quella consapevolezza però svanisce, tutto scivola sul piano meramente umano, sentimentale, anzi brutalmente affaristico.      


                                             Romano Guardini, Pensieri sul Natale
Grazie a :  Graciete

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natale, guardini

giovedì, 01 ottobre 2009

Il primato assoluto della verità

 ***

Il Medioevo, lo si può ben affermare, ha prevalentemente risolto la questione dei rapporti tra i due valori fondamentali, ponendo, almeno teoricamente, la conoscenza al di sopra dell'azione. Per esso il Logos (la verità) aveva il primato sull' Ethos (l'etica).
L'età moderna portò in questo riguardo una profonda mutazione. Il problema dell'essenza del conoscere, prima posto a preferenza in modo costruttivo, assunse ora, in conseguenza di profondi sconvolgimenti spirituali, la sua
forma propriamente critica. Il conoscere divenne problematico, di conseguenza il punto di sostegno ed il baricentro della vita spirituale passò poco alla volta nel volere. L'azione della persona, che si fondava su se stessa, divenne sempre più importante. Così la vita attiva venne anteponendosi a quella contemplativa, la volontà alla conoscenza.
Questa preminenza del volere e dei suoi valori comunica all'epoca presente la sua peculiarità. Di qui la sua insonne spinta in avanti, la folle velocità del suo lavoro, la furia del suo godere; di qui la venerazione del successo, della forza, dell'azione; di qui la sua aspirazione alla potenza; di qui, in genere, lo spiccato senso del valore del tempo e la tendenza a sfruttarlo attivamente fino all'ultimo. Da qui viene anche che istituzioni spirituali come gli antichi ordini contemplativi, già viste come qualche cosa di ovvio nel complesso della vita religiosa, oggetto di predilezione per tutto il mondo credente, ora non trovano spesso comprensione neppure presso cattolici, e debbono essere di continuo difese dai loro amici dalla taccia di ozioso perditempo.
Un accentuato attivismo domina tutto; l'Ethos ha la netta preminenza sul Logos, l'aspetto attivo della vita su quello contemplativo.
Questa spiccata preminenza della volontà sulla conoscenza"dell' Ethos sul Logos, contraddice allo spirito del cattolicesimo.
Il protestantesimo nelle sue forme diverse, dalla tendenza ortodossa all'estremo appiattimento della libera critica, rappresenta l'espressione più o meno religioso-cristiana di questo spirito.
Questo spirito ha progressivamente sacrificato la salda verità religiosa, ed ha fatto della convinzione religiosa, sempre più di giorno in giorno, un mero oggetto del giudizio, del sentimento, dell'esperienza personale. La verità
scivolò così dal dominio dell'oggettivamente saldo a quello del soggettivamente fluttuante. In tal modo venne da sé che la volontà assumesse la funzione direttiva. Dal momento che il credente in fondo non aveva più una «vera fede», bensì solo un'esperienza della fede del tutto personale, l'unica cosa salda diveniva logicamente non più un contenuto di fede professabile e insegnabile, bensì la dimostrazione della rettitudine dello spirito mediante la rettitudine dell'azione. Qui non si può più parlare ormai di una cristiana affermazione dell'essere in senso proprio. Il credente si era radicato non più nell'eternità, ma nel tempo, e l'eternità prendeva figura ed entrava in relazione col tempo solo per la mediazione del sentimento, non in via immediata. In tal modo la religione prese un orientamento sempre più mondano.
Essa divenne sempre più la consacrazione dell'esistenza umana temporale nei suoi aspetti più vari, una santificazione dell'attività terrena: del lavoro professionale, della vita sociale, della famiglia e simili. Ma chiunque abbia considerato per un certo tempo queste cose, rileva quanto inadeguata sia questa spiritualità, quanto contraddica alle leggi supreme dell'esistenza e dell'anima. Essa è falsa e perciò innaturale nel più profondo significato di questa parola. Qui sta la fonte specifica dell'angustia dell'età nostra. Essa ha infatti invertito il santoordine della natura. Goethe ha realmente toccato l'intimo nucleo della situazione quando fece scrivere al suo Faust, preso dal dubbio, le parole: «In principio era l'azione» al posto della frase: «In principio era il Verbo».
Passando il centro di gravità della vita dalla conoscenza al volere, dal Logos all' Ethos, la vita si fece sempre più instabile.
Alla persona singola si richiese di reggersi su se stessa. Ma questo può farlo solo una volontà che sia realmente creativa nel senso più assoluto della parola; proprietà questa che è soltanto della volontà divina. Si pretese dall'uomo un contegno che presuppone l'uomo essere Dio.
E siccome egli non lo è; s'insinua nel suo essere una specie di convulsione spirituale, un atteggiamento di violenza impotente che talvolta appare tragico, ma negli spiriti dalle piccole proporzioni riesce strano, anzi ridicolo.
Su questa mentalità ricade la colpa del fatto che l'uomo d'oggidì assomiglia tanto spesso ad un cieco che brancola nel buio; giacché la forza fondamentale su cui egli ha poggiato la sua vita, vale a dire il volere, è cieca. La volontà può volere, agire e creare, non, però, vedere. Di qui procede anche tutta quella irrequietudine che non trova riposo in nessun luogo. Nulla perdura, nulla rimane saldo, tutto si muta, e la vita è un perenne divenire, un anelare, un ricercare, un pellegrinare senza posa.
La religione cattolica si oppone con tutta la sua forza a questa mentalità. La Chiesa perdona ogni altra mancanza più facilmente che un attentato alla verità. Essa sa bene che, se uno manca ma non intacca la verità,
egli può ritrovarsi e riprendersi. Ma s'egli intacca il principio, in tal caso è lo stesso santo ordine della vita che è levato dai cardini.
La Chiesa ha pure guardato sempre con profonda diffidenza ad ogni concezione moralistica della verità, del dogma. Ogni tentativo infatti di fondare il valore di verità del dogma sul suo valore per la vita, è nel suo intimo, anticattolico. La Chiesa pone la verità, il dogma come un dato assoluto, riposante su se stesso, che nonabbisogna di nessuna fondazione sulla base dell'ambito morale o pratico.
La verità è verità, perché è la verità. È in sé e per sé indifferente ciò che la volontà le dice o se essa possa dare inizio con la verità a qualche intrapresa. Il volere non deve giustificare la verità, né essa ha bisogno di
giustificarsi dinanzi ad esso, bensì quello deve riconoscersi del tutto incompetente di fronte a questa. Il volere non crea la verità, ma la trova; deve riconoscersi cieco e perciò bisognoso della luce, della guida, della potenza ordinatrice e formatrice della verità. Il volere deve fondamentalmente riconoscere il primato della conoscenza sulla volontà, del Logos sull' Ethos.
Nell'ambito complessivo della vita il primato definitivo deve averlo non l'agire, bensì l'essere. In fondo non si tratta dell'agire, ma del divenire: non ciò che si fa, bensì ciò che è costituisce il valore supremo. Ed il valore definitivo non sta nella visione del mondo moralistica, ma in quella metafisica, non nel giudizio sul valore, ma in quello sull'essere, non nello sforzo, ma nella adorazione. .
Non appena questo primato venga ristabilito, si offre anche il fondamento della sanità spirituale. L'anima infatti abbisogna di un terreno assolutamente saldo su cui reggersi. Essa abbisogna di un appoggio da cui possa
spingersi oltre se stessa, di un punto sicuro fuori di essa, e questo punto non può essere che la verità. Il riconoscimento della verità oggettiva è il fatto fondamentale della liberazione spirituale: «la verità vi farà liberi».
L'anima abbisogna di quella liberazione interiore in cui la concitazione del volere si placa, l'irrequietudine dell'anelito si calma, il grido della brama tace; e questo si verifica fondamentalmente ed in prima linea nell'atto
intenzionale in cui il pensiero riconosce la verità, lo spirito ammutolisce dinanzi alla maestà sovrana della verità.
ROMANO GUARDINI
da Lo spirito della liturgia, stralci del capitolo settimo, edizioni Morcelliana, Brescia 1987


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lunedì, 21 settembre 2009

 Le radici dei nostri occhi
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Le radici dei nostri occhi affondano nel nostro cuore     Romano Guardini


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guardini

domenica, 31 maggio 2009

Il rapporto educativo
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Parlare di rapporto educativo possiede signi­ficato soltanto nell'orizzonte del dato di fat­to che quest'uomo, in carne ed ossa, esiste. Il suo esserci è fuori dal dominio dell'educazio­ne. Egli entra nella realtà della vita, portando con sé il suo proprio destino; entra, portandosi dietro le sue leggi costitutive, le sue energie, le sue esigenze. Tutto ciò è lì: dato. Non afferriamo che ne era di noi, «prima» che fossimo. Non ci è possibile immaginare che «dietro» di noi stia un momento, nel quale confiniamo con il nulla. Ma è così.
È un mistero il fatto che ad un certo punto abbiamo cominciato ad essere; come questi uo­mini: proprio noi. Lì ricevemmo in noi la nostra stessa esistenza; possibilità e limiti. E ciò che lì venne alla luce, incominciò a destarsi e a crear­si.

Questa è la nostra fortuna, e la nostra zavor­ra. Tutto quanto si chiama «educazione» signifi­ca in fondo permanere in questo mistero, offren­do il nostro servizio, il nostro aiuto, e ponendo rimedio dov'è necessario. Qui, allo stesso modo, l'educazione trova garanzia e sicurezza.
E dobbiamo poter confidare che questo mon­do abbia spazio per noi; non ci emargini, ma ci consideri «dei suoi». Abbiamo purtroppo occa­sione di dubitarne. Constatiamo l'esistenza di po­teri e forze non positivi né benevoli verso l'uo­mo.  Forze che, quando va bene, non s'interessa­no di noi; e, nel caso opposto, ci strumentalizza­no e rovinano.

Quando ho da educare un uomo, lo guardo attentamente, cerco di comprenderlo; mi chiedo qual è la sua essenza, e se egli è come dovrebbe essere. Dunque, lo sottopongo ad una verifica. E mi prendo la libertà di dire: "Fa' questo! Trala­scia quello!" Quand'egli poi non vi corrisponda, allora: «Hai sbagliato», «Hai agito male», gli dico.
Tuttavia, chiunque voglia educare avverte una volta o l'altra sorger dentro di sé l'interroga­tivo: perché mai hai proprio deciso di educare un'altra persona? Di dove prendi il diritto di scrutare, di giudicare, di esigere? E se l'uomo è persona, con la sua dignità e libertà, perché mai voler dire a quest'uomo, come deve realizzar­si?
Ma la questione va più a fondo: che cosa dun­que significa educare? Di certo, non che un pez­zo di materia inanimata riceva una forma, come la pietra per mano d'uno scultore. Piuttosto,
educare significa che io do a quest'uomo corag­gio verso se stesso. Che gli indico i suoi compiti, ed interpreto il suo cammino - non i miei. Che lo aiuto a conquistare la libertà sua propria.

Devo dunque mettere in moto una storia umana, e personale. Con quali mezzi? Sicura­mente avvalendomi anche di discorsi, esortazio­ni, stimolazioni e «metodi» d'ogni genere. Ma ciò non è ancora il fattore originale. La vita viene destata e accesa solo dalla vita
. La più potente «forza d'educazione» consiste nel fatto che io stesso in prima persona mi protendo in avanti e mi affatico a crescere. È stato da qualche parte detto che gli educatori sono per lo più uomini che non riescono a vincere se stessi e perciò si proiettano addosso agli altri. Che i giudizi più sicuri e le richieste più esigenti provengano spes­so da uomini intimamente perplessi e confusi, è comunque appurato. Sta proprio qui il punto de­cisivo. E proprio il fatto che io lotti per miglio­rarmi ciò che dà credibilità alla mia sollecitudi­ne pedagogica per l'altro.

Ogni uomo possiede una propria configura­zione essenziale, anche l'uomo più comune. Ogni uomo è uscito con un'indelebile impronta dalla mano di Dio. Dobbiamo esserne certi, e di­ventarne coscienti; poiché noi consistiamo in essa.
Tuttavia, non è solo la propria fisionomia ad essere assai significativa per l'uomo.
Non c'è nulla di più importante per la sua intima formazione, del fatto che egli incontri un uomo davve­ro grande, e sperimenti l'influsso della sua figu­ra. Essa s'imprime; opera in lui;feconda; rischia­ra. E, insieme, chiama ad una lotta. Quella gran­dezza viene riconosciuta ed accolta; contempo­raneamente s'accende la battaglia per la propria consistenza personale.
Un tale vivo paragone deve essere profonda­mente familiare alla vita dell'uomo. Del suo spri­gionarsi è responsabile l'incontro, in un qualche momento, con una grande figura d'uomo. L'in­contro con quanto si chiama «grandezza natura­le»; e
con quella soprannaturale, un santo cioè, vale a dire un uomo che non solo è umanamente grande, ma nel quale hanno preso forma anche la ricchezza e la pienezza di Dio.

L'uomo deve offrire a tale figura ecceziona­le la propria dedizione; seguirla; lasciarsi pla­smare da lei. In principio, forse copiando; poi in modo più maturo, più profondamente. Quella figura deve entrare nello spirito e nel cuore, ed operare da dentro. Allora, e con amore pieno, si ridesta la difesa contro il predominio dell'estraneo. E, lentamente, nel resistere balza di nuovo allo scoperto la propria essenza: «Per
quanto ti voglia bene, pure io non sono te; devo affermare me stesso per quello che sono».
1           Romano Guardini Persona e libertà



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lunedì, 27 aprile 2009

La vita umana è sacra
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Niente e nessuno può autorizzare l'uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere per se stesso o per un altro affidato alle sue responsabilità questo gesto omicida, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può legittimamente imporlo, né permetterlo
 Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium Vitae 57

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Ciò che decide
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Nel cristiano ciò che decide tutto,
assolutamente tutto (essere, pensiero, azione)
è se Dio-Amore fedele è percepito come la Realtà
e sta dentro l'esistenza come l'unica Realtà.
Tutto il resto viene come conseguenza


Romano Guardini

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sabato, 14 febbraio 2009

Portare la verità
***
Quando, con l’intenzione di servire il Signore, di fare l’opera di Dio, qualcuno dice: «Ora vado incontro al prossimo con le mie solide conoscenze e gli porto la verità», il Signore risponde: «Ti preoccupi meno di portargli la verità che di dominarlo». E tu rispondi: «Ma se io voglio educare il prossimo!». «Vuoi solo affermare te stesso, dicendogli come deve essere!». «Ma io amo il prossimo e voglio fargli il bene!». «Vuoi compiacere te stesso!».. "
 Romano Guardini


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martedì, 20 gennaio 2009

L’incontro
 ***

 « L’incontro non è una necessità derivabile da altro, ma un factum. Questo factum però crea immediatamente un senso di legame, in cui io permango e che coincide con il senso del destino. L’incontro poteva non accadere, ma - dopo che è accaduto - è irrevocabile».
Romano Guardini

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sabato, 13 dicembre 2008

Verità e amore
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   Non si può staccare la verità dall’amore. Dio non è solo verità, ma anche amore. Egli abita unicamente nella verità che viene dall’amore
R. Guardini

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mercoledì, 19 novembre 2008

La croce è troppo pesante
***
Signore,
la croce è troppo pesante per te
e tuttavia tu la porti
perché il Padre lo vuole, per noi.
Il suo carico è superiore alle tue forze
e tuttavia tu non la rifiuti.
Cadi, ti rialzi e prosegui ancora.
Insegnami a capire che ogni vera sofferenza
presto o tardi, in un modo o nell'altro
risulterà alla fine troppo pesante
per le nostre spalle,
perché non siamo creati per il dolore,
ma per la felicità.

Ogni croce sembrerà superiore alle forze.
Sempre si udirà il grido stanco
e pieno di paura: "Non ne posso più!".
Signore, aiutami in quell'ora
con la forza della tua pazienza e del tuo amore
affinché non mi perda d'animo.
Tu sai quanto grande può essere
il peso di una croce.
Non ci imputare il diventar deboli,
ma aiutaci a rialzarci.
Rinnovami nella pazienza,
infondimi la tua forza nell'anima.
Allora mi rialzerò di nuovo,
accetterò il mio peso e andrò oltre
.
·                     Romano Guardini

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martedì, 11 novembre 2008

Il segno di croce
***
Quando fai il segno di croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisce cosa debba significare. No, un segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all'altra.
Senti come esso ti abbraccia tutto? Raccogliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto l'animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all'altra. Allora tu lo senti: ti avvolge tutto, ti consacra, ti santifica. Perché? Perché è il segno della totalità ed il segno della redenzione.
Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce egli santifica l'uomo nella sua totalità, fin nelle ultime fibre del suo essere. Perciò lo facciamo prima della preghiera, affinché esso ci raccolga e ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato. Nella tentazione, perché ci irrobustisca. Nel pericolo, perché ci protegga. Nell'atto di benedizione, perché la pienezza della vita divina penetri nell'anima e vi renda feconda e consacri ogni cosa.
Pensa quanto spesso fai il segno della croce, il segno più santo che ci sia!

Fallo bene: lento, ampio, consapevole. Allora esso abbraccia tutto il tuo essere, corpo e anima, pensieri e volontà, senso e sentimento, agire e patire, tutto vi viene irrobustito, segnato, consacrato nella forza del Cristo, nel nome del Dio uno e Trino.
Romano Guardini

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croce, guardini

giovedì, 30 ottobre 2008

Senza Cristo non esiste la persona
 ***
Abbiamo visto che dall’inizio del tempo moderno si viene elaborando una cultura non-cristiana. Per lungo tempo la negazione si è diretta solo contro il contenuto stesso della Rivelazione; non contro i valori etici, individuali o sociali, che si sono sviluppati sotto il suo influsso. Anzi, la cultura moderna ha preteso di riposare precisamente su quei valori. Secondo questo punto di vista, largamente adottato dagli studi storici, valori come ad esempio quelli della personalità e dignità individuale, del rispetto reciproco, dell’aiuto scambievole, sono possibilità innate nell’uomo, che i tempi moderni hanno scoperto e sviluppato. Certamente la cultura umana dei primi tempi del cristianesimo ha favorito la loro germinazione, mentre nel Medio Evo sono state ulteriormente sviluppate dalla preoccupazione religiosa per la vita interiore e la carità attiva; ma poi questa autonomia della persona ha preso coscienza di sé ed è divenuta una conquista naturale, indipendente dal cristianesimo. Questo modo di vedere si esprime in molteplici forme ed in modo particolarmente rappresentativo nei diritti dell’uomo al tempo della Rivoluzione Francese.
In verità questi valori e queste attitudini sono legati alla Rivelazione, la quale si trova in un particolare rapporto riguardo a ciò che è immediatamente-umano. Discende dalla libertà della grazia divina, ma attrae l’uomo nella sua economia e ne nasce la struttura cristiana della vita. Così si liberano nell’uomo delle forze che sono per sé «naturali», ma non si svilupperebbero al di fuori di quell’economia. L’uomo diviene consapevole di valori che per sé sono evidenti, ma divengono visibili solo in quell’atmosfera. L’idea che questi valori e questi atteggiamenti appartengano semplicemente alla evoluzione della natura umana, mostra di misconoscere il vero stato di cose; anzi, bisogna avere il coraggio di dirlo apertamente, conduce ad una slealtà che all’osservatore attento appare caratteristica dell’immagine dell’epoca moderna.
Il carattere di persona è essenziale all’uomo, ma esso diviene visibile allo sguardo ed accettabile alla volontà, quando, in grazia della adozione a figli di Dio e della Provvidenza, la Rivelazione schiude il rapporto col Dio vivo e personale. Se ciò non avviene si può avere coscienza dell’individuo ben dotato, elevato, creatore, ma non della autentica persona, che è determinazione assoluta di ogni uomo, al di là di tutte le qualità psicologiche o culturali. La conoscenza della persona è perciò legata alla fede cristiana. La persona può essere affermata e coltivata per qualche tempo anche quando tale fede si è spenta, ma poi gradatamente queste cose vanno perdute.
Lo stesso accade per i valori in cui la consapevolezza della persona si sviluppa. Così accade, ad esempio, di quel rispetto che non va ad un dono particolare o ad una situazione sociale, ma al fatto in sé della persona, alla sua qualità di essere unico, insostituibile, inalienabile, in ogni uomo, comunque egli sia disposto e proporzionato... O di quella libertà, che non significa la possibilità di espandersi e vivere in piena misura, ed è per ciò riservata all’uomo privilegiato in sé o socialmente, ma è la capacità che ogni uomo ha di decidersi e di essere così padrone del suo atto e in tale modo padrone di se stesso... Ovvero di quell’amore verso l’altro uomo che non significa la simpatia, l’aiuto reciproco, il dovere sociale, ma la capacità di dar l’assenso al «tu» nell’altro e di essere in tal modo «io». Tutto ciò resta vivo fino a quando resta vitale la conoscenza della persona. Ma quando essa impallidisce, assieme al rapporto cristiano con Dio, scompaiono anche quei valori e quelle attitudini.
Romano Guardini La fine dell’epoca moderna, Morcelliana, Brescia 1984, tr. it. di Marisetta Paronetto Valier


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persona, guardini

giovedì, 09 ottobre 2008

IL CORAGGIO DI OSARE
 ***
Signore Gesù, fammi conoscere chi sei.
Fa sentire al mio cuore la santità che è in te.
Fa' che io veda la gloria del tuo volto.
Dal tuo essere e dalla tua parola, dal tuo agire e dal tuo disegno,
fammi derivare la certezza che la verità e l'amore
sono a mia portata per salvarmi.
Tu sei la via, la verità e la vita.
Tu sei il principio della nuova creazione.
Dammi il coraggio di osare.
Fammi consapevole del mio bisogno di conversazione,
e permetti che con serietà lo compia, nella realtà della vita quotidiana.
E se mi riconosco, indegno e peccatore, dammi la tua misericordia.
Donami la fedeltà che persevera e la fiducia che comincia sempre,
ogni volta che tutto sembra fallire
.
Romano Guardini




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preghiere, guardini

venerdì, 30 maggio 2008

Libertà nell'ambito religioso
***
Le meraviglie della Sardegna e Corsica
«Un’altra liberazione si realizza infine nell’esperienza religiosa e nell’ambito religioso. Il termine religioso non ha qui ancora il significato cristiano, ma indica quel sentimento e quella condotta che diviene consapevole del divino, inteso in senso generale, del «numinoso» come, dopo Rudolf Otto, lo chiama la scienza delle religioni, cercando di stabilire un rapporto con esso.
Il motivo e la situazione della esperienza religiosa possono essere molto diversi. E’ una esperienza che può attuarsi davanti alla natura, sotto il cielo notturno, o nella quiete delle montagne; davanti alle opere della cultura, come nell’entrare in una cattedrale, o nell’udire un composizione musicale; davanti a persone che colpiscono per un loro particolare modo di essere; davanti ad avvenimenti storici che innalzano o scuotono; ma anche nelle vicende quotidiane ed infine anche senza un particolare motivo, in un qualsiasi momento, per una qualsiasi causa, semplicemente. L’intima profondità dell’uomo toccato da questa esperienza avverte qualcosa che è diverso dal mondo e dalla terrestrità qualcosa di straniero e misterioso e tuttavia familiare nel modo più profondo; qualcosa di non inseribile nel già noto, e nondimeno reale e possente; qualcosa certo di particolare che è essenziale per la vita personale e non può essere sostituito da nessun altra cosa.»
Romano Guardini, Libertà - Grazia - Destino, Morcelliana, 2000 (pagg.59-60)
 grazie a:Graciete

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guardini, senso religioso

lunedì, 28 aprile 2008

***
Quando un uomo intraprende il cammino della verità tutte le forze buone del cielo e della terra si uniscono a lui.”

Romano Guardini

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verità, guardini

sabato, 29 dicembre 2007

L'angoscia dell'uomo moderno ***
*        « L'angoscia dell'uomo moderno (…) è dovuta in gran parte al sentimento di non avere più un simbolico punto di appoggio, un rifugio immediatamente sicuro, all'esperienza continuamente rinnovata di non trovare al mondo luogo alcuno di esistenza che appaghi lo spirito che esige un significato»
*       R. Guardini La  fine dell’epoca moderna


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guardini, senso religioso

martedì, 13 novembre 2007

L’uomo in rivolta

***

..il finito entra in rivolta, il rapporto religioso naturale è avvelenato e si allea, per liberarsi, all'esaltazione del finito: "Dio" deve scomparire e il finito essere dichiarato unica realtà, nella speranza che l'angoscia esistenziale si plachi e si risvegli l'umanità vera degna di questo nome. In verità, ciò che si annuncia è il finito, nudo e spoglio, senza valore simbolico, senza luogo nello spazio, non più avvolto nella sollecitudine vigilante di Dio; intorno ad esso si distende invece il nulla che "nientifica”.
Romano Guardini

 


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nichilismo, guardini

sabato, 27 ottobre 2007

La vita è  sempre presente
 ***
«Gettiamo ora uno sguardo retrospettivo alla serie delle fasi della vita e delle crisi che si attuano tra una fase e l'altra: la vita nel grembo materno, la nascita, l'infanzia, la pubertà, gioventù, l'esperienza della realtà, l'età adulta, la presa di coscienza dei propri limiti, la maturità, l'esperienza della fine, la vecchiaia e la saggezza, la morte [...] Queste fasi costituiscono insieme la totalità della vita, ma non nel senso che la vita si compone di queste; la vita è  sempre presente: all'inizio, alla fine e in ogni momento. Essa dà fondamento a ciascuna fase, sì che quest'ultima possa essere ciò che è».

(R. Guardini, Le età della vita, Vita e Pensiero, Milano

 

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guardini

sabato, 06 ottobre 2007

L’essenza del cristianesimo  è Gesù di Nazaret
***
il cristianesimo non è una teoria della Verità, o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazareth, dalla sua concreta esistenza, dalla sua opera, dal suo destino - cioè da una personalità storica. Una certa analogia di tale situazione avverte colui per il quale un uomo acquista un significato essenziale. Non «l'Umanità» o «l'umano» divengono in tal caso importanti, ma questa persona. Essa determina tutto il resto, e tanto più profondamente e universalmente quanto più intensa è la relazione. Ciò può avvenire in un modo cosi possente che tutto, mondo, destino, compito si attua attraverso la persona amata; essa è come contenuta in tutto, tutto la fa ricordare, a tutto essa dà un senso. Nell'esperienza di un grande amore tutto il mondo si raccoglie nel rapporto Io- Tu, e tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo àmbito. L'elemento personale a cui in ultima analisi intende l'amore e che rappresenta ciò che di più alto c'è fra le realtà che il mondo abbraccia, penetra e determina ogni altra forma: spazio e paesaggio, pietre, alberi, animali... Tutto ciò è vero, ma ha una risonanza solo tra questo Io e questo Tu.
.
A misura che l'amore si fa più illuminato, sempre meno pretenderà che ciò che costituisce per lui il centro focale del mondo debba esserlo anche per altri. Una simile pretesa potrebbe essere sincera dal punto di vista lirico, ma per il resto sarebbe stolta. Nel cristianesimo le cose stanno altrimenti. Non è fatto dipendere dal presentarsi di un incontro d'amore che la persona unica di Gesù diventi per l'uomo la realtà religiosa decisiva, ma essa è tale incondizionatamente e per se stessa. E che essa sia afferrata come tale dal singolo uomo, non è una possibilità lasciata al libero accadere, come lo svegliarsi di un'inclinazione, che viene quando viene, ma è un'esigenza posta alla coscienza.
Il cristianesimo afferma che per l'incarnazione del Figlio di Dio,per la sua morte e la sua risurrezione, per il mistero della fede e della grazia, a tutta la creazione è richiesto di rinunciare alla sua – apparente - autonomia e di mettersi sotto la signoria di una persona concreta, cioè di Gesù Cristo, e di fare di ciò la propria norma decisiva. Dal punto di vista della logica questo è un paradosso, perché sembra mettere in pericolo la stessa realtà della persona. Ma anche il sentimento personale si ribella contro questo. Poiché l'accettare una legge generale che si è dimostrata giusta - sia essa una legge della natura o del pensiero o della moralità - non è difficile per la persona. Essa avverte che in tale legge essa continua ad essere se stessa; anzi, che il riconoscimento di siffatte leggi generali può tradursi senz'altro in un'azione personale. Ma all'esigenza di -riconoscere un'«altra» persona come legge suprema di tutta la sfera della vita religiosa e con ciò della propria esistenza - la persona contrasta con vivacità elementare, e si capisce che cosa può significare la richiesta di «rinunciare alla propria anima».
[...] Le considerazioni potrebbero venir sviluppate e approfondite ulteriormente, ma bastano per giustificare
la risposta che sola soddisfa alla domanda circa l'essenza del cristianesimo. Essa suona: non c'è una determinazione astratta di tale essenza. Non c'è alcuna dottrina, una struttura di valori morali, alcun atteggiamento religioso od ordine di vita, che possano venir separati dalla persona di Cristo, e dei quali poi si possa dire che siano l'essenza del cristianesimo. Il cristianesimo è Egli stesso; ciò che per mezzo suo perviene agli uomini, e la relazione che per mezzo suo l'uomo può avere con Dio. Un contenuto dottrinale è cristiano in quanto viene dalla sua bocca. L'esistenza è cristiana in quanto il suo movimento è determinato da Lui. In tutto ciò che voglia essere cristiano, Egli dev'essere compresente.
La persona di Gesù Cristo, nella sua unicità storica e nella sua gloria eterna, è di per sé la categoria che determina l'essere, l'agire e la teoria di ciò che è cristiano. Questo è un paradosso.
 RomanoGUARDINI (1885-1968) L’essenza del cristianesimo

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mercoledì, 27 giugno 2007



L'essenza
del cristianesimo



Il cristianesimo non è una teoria della Verità o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazareth, dalla Sua concreta esistenza, dalla Sua opera, dal Suo destino, cioè da una personalità storica. Una certa analogia di tale situazione avverte colui per il quale un uomo acquista un significato essenziale. Non 1"'Umanità" o 1"'Uomo" divengono in tal caso importanti, ma questa persona. Essa determina tutto il resto e tanto più profondamente e universalmente quanto più intensa è la relazione. Ciò può avvenire in un modo così possente che tutto, mondo, destino, compito si attua attraverso la persona amata; essa è come contenuta in tutto, tutto la fa ricordare, a tutto essa dà un senso. Nell'esperienza di un grande amore tutto il mondo si raccoglie nel rapporto Io-Tu e tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito. Il cristianesimo afferma che per l'Incar- nazione del Figlio di Dio, per la Sua morte e la Sua risurrezione, per il mistero della fede e della grazia, a tutta la creazione è richiesto di mettersi sotto la signoria di una persona concreta, cioè di Gesù Cristo.

Romano Guardini


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cristianesimo, guardini

sabato, 30 dicembre 2006




L’avvenimento della persona Gesù

Da ultimo il Cristianesimo non è una teoria della Verità, o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazaret, dalla Sua concreta esistenza, dalla Sua opera, dal Suo destino cioè da una personalità storica. Una certa analogia di tale situazione avverte colui per il quale un uomo acquista un significato essenziale. Non l'"Umanità" o l'"umano" divengono in tal caso importanti, ma questa persona. Essa determina tutto il resto, e tanto più profondamente e universalmente quanto più intensa è la relazione. Ciò può avvenire in un modo così possente che tutto, mondo, destino, compito si attua attraverso la persona amata; essa è come contenuta in tutto, tutto la fa ricordare, a tutto essa dà un senso. Nell'esperienza di un grande amore tutto il mondo si raccoglie nel rapporto Io-Tu, e tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito. L'elemento personale a cui in ultima analisi intende l'amore e che rappresenta ciò che di più alto c'è fra le realtà che il mondo abbraccia, penetra e determina ogni altra forma: spazio e paesaggio, pietre, alberi, animali
Tutto ciò è vero, ma ha una risonanza solo tra questo Io e questo Tu. A misura che l'amore si fa più illuminato, sempre meno pretenderà che ciò che costituisce per lui il centro focale del mondo debba esserlo anche per gli altri. Una simile pretesa potrebbe essere sincera dal punto di vista lirico, ma per il resto sarebbe stolta. Nel Cristianesimo le cose stanno altrimenti. Non si fa dipendere dal presentarsi di un incontro d'amore che la persona unica di Gesù diventi per l'uomo la realtà religiosa decisiva, ma essa è tale incondizionatamente e per se stessa. E che essa sia afferrata come tale dal singolo uomo, non è una possibilità lasciata al libero accadere, come lo svegliarsi di una inclinazione, che viene quando viene, ma è un'esigenza posta alla coscienza.
Il Cristianesimo afferma che per l'incarnazione del Figlio di Dio, per la Sua morte e la Sua risurrezione, per il mistero della fede e della grazia, a tutta la creazione è richiesto di rinunciare alla sua apparente autonomia e di mettersi sotto la signoria di una persona concreta, cioè di Gesù Cristo, e di fare di ciò la propria norma decisiva. Dal punto di vista della logica questo è un paradosso, perché sembra mettere in pericolo la stessa realtà della persona.
Ma anche il sentimento personale si ribella contro questo. Poiché l'accettare una legge generale che si è dimostrata giusta sia essa una legge della natura o del pensiero o della moralità non è difficile per la persona. Essa avverte che in tale legge essa continua ad essere se stessa; anzi, che il riconoscimento di siffatte leggi generali può tradursi senz'altro in un'azione personale. Ma all'esigenza di riconoscere un'"altra" persona come legge suprema di tutta la sfera della vita religiosa e con ciò della propria esistenza la persona contrasta con vivacità elementare, e si capisce che cosa può significare la richiesta di "rinunciare alla propria anima".

Romano Guardini. L'essenza del cristianesimo. Morcelliana, Brescia 

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