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lunedì 13 febbraio 2012

Guareschi


Don Camillo non ti crucciare
***

..."Pioverà, pioverà, don Camillo" lo rassicurò il Cristo. "E' sempre piovuto da che mondo è mondo. La macchina è combinata in modo tale che, a un bel momento, deve piovere. O sei del parere che l'Eterno abbia sbagliato nell'organizzare le cose dell'universo?"
Don Camillo si inchinò.
"Sta bene" disse sospirando. "Capisco perfettamente quanto sia giusto quello che voi dite. Però che un povero prete di campagna non possa neanche permettersi di chiedere al suo Dio di far venire giù due catinelle d'acqua, perdonate, ma è sconfortante."
Il Cristo si fece serio.
"Hai mille ragioni don Camillo. Non ti resta che far anche uno sciopero di protesta."
Don Camillo ci rimase male e si allontanò a capo chino, ma il Cristo lo richiamò.
"Non ti crucciare, don Camillo" sussurrò il Cristo. "Lo so che il vedere uomini che lasciano deperire la grazia di Dio (era in atto uno sciopero degli lavoratori agricoli e la roba del raccolto e degli allevamenti cominciò ad intristire) è per te peccato mortale perché sai che sono sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane. Ma bisogna perdonarli perché non lo fanno per offendere Dio. Essi cercano affannosamente la giustizia in terra perché non hanno più fede nella giustizia divina, e ricercano affannosamente i beni della terra perché non hanno fede nella riconpensa divina. E perciò credono soltanto a quello che si tocca e si vede, e le macchine volanti sono per essi gli angeli infernali di questo inferno terrestre che essi tentano invano di fare diventare un Paradiso. E' la troppa cultura che porta all'ignoranza perché, se la cultura non è sorretta dalla fede, a un certo punto l'uomo vede soltanto la matematica delle cose e l'armonia di questa matematica diventa il suo Dio, e dimentica che è Dio che ha creato questa matematica e questa armonia. Ma il tuo Dio non è fatto di numeri, don Camillo, e nel cielo del tuo Paradiso volano gli angeli del bene. Il progresso fa diventare sempre più piccolo il mondo per gli uomini: un giorno quando le macchine correranno a cento miglia al minuto, il mondo sembrerà agli uomini microscopico e allora l'uomo si troverà come un passero sul pomolo di un altissimo pennone e si affaccerà sull'infinito e nell'infinito ritroverà Dio e la fede nella vera vita. E odierà le macchine che hanno ridotto il mondo a una manciata di numeri e le distruggerà con le sue stesse mani. Ma ci vorrà del tempo ancora, don Camillo. Quindi rassicurati: la tua bicicletta e il tuo motorino non corrono per ora nessun pericolo".
Il Cristo sorrise e don Camillo lo ringraziò di averlo messo al mondo.

(Giovannino Guareschi, Tutto don Camillo, volume primo, pag. 248)

Postato da: giacabi a 14:43 | link | commenti
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giovedì, 25 febbraio 2010

Giovanni Guareschi: un uomo nobile. ***
Guareschi 2.jpgbr
Di Francesco Agnoli 19/12/2006  in letteratura,
Alla morte di Giovannino Guareschi (a sessant'anni, nel 1968), nessun messaggio giunge dalle autorità di governo, nessuno da uomini politici. Solo tante calunnie, aspre e velenose, dai giornali più diffusi e da quelli di partito. Colui che aveva creato e diretto il settimanale più letto d'Italia, il "Candido", lo scrittore italiano più tradotto al mondo, veniva dimenticato dall'Italia ufficiale, piena di fretta di seppellirlo, ma non dalla gente della Bassa, accorsa in massa al suo funerale. Nella predica il parroco apre un libro del defunto, e legge. "Adesso vi racconto tutto di me: ho l'età di chi è nato nel 1908, conduco una vita molto semplice, non mi piace viaggiare, non pratico nessuno sport, non credo in tante fantasticherie. Ma in compenso credo in Dio". Poi il parroco prosegue: " Su questa terra noi piantiamo la croce di Cristo, del tuo Cristo che hai saputo far vibrare nei cuori e nelle coscienze degli italiani e di tanti altri milioni di uomini, soprattutto nell'ora della lotta".
La fretta di seppellire Guareschi continua ancor oggi, nel volenteroso sforzo di farlo dimenticare, ad esempio eliminandolo dalle antologie scolastiche, in cui invece trovano spazio autori noiosissimi, che non hanno mai avuto vera fortuna presso il pubblico, ma solo presso l'onnipotente giudizio della critica. Ma chi era Giovannino Guareschi? Un uomo senz'altro eccezionale, sin dalla prima giovinezza. I compagni ricordano il suo spirito goliardico, la sua intraprendenza, la sua intelligenza vivace. Scrive di lui Cesare Zavattini, suo istitutore in quinta ginnasio: "Troppo spiritoso. La sua verve è spesso inopportuna. Le sue mancanze sono conseguenza d'irrefrenabili doti umoristiche. Veramente intelligente, ottiene per lo studio, con i minimi mezzi, i massimi risultati". Finita la scuola, iscrittosi all'Università, più per partecipare alle feste studentesche che altro, si cimenta in una grande varietà di mestieri: elettricista, caricaturista, cartellonista, scenografo, custode di depositi di biciclette ecc. Finalmente riesce ad approdare al mondo del giornalismo: lavora dapprima per alcuni quotidiani emiliani, finché nel 1936 si trasferisce a Milano, con la moglie Ennia, per lavorare al Bertoldo, insieme ad Achille Campanile, Giovanni Mosca e Cesare Zavattini.
Dal 1940 collabora anche col Corriere della Sera. Fin dai primi anni di giornalismo Guareschi snobba le conventicole degli intellettuali e degli scrittori che si elogiano e si premiano a vicenda, e col suo stile semplice e pieno d'umorismo svillaneggia la retorica ufficiale. L'umorismo gli appare il nemico giurato di ogni retorica di regime, di ogni menzogna ufficializzata e consacrata: "Liberiamoci dalla parte peggiore di noi stessi, guardiamoci allo specchio e ridiamo della nostra tracotanza, del nostro barocco messianismo, della nostra retorica. Guardiamoci allo specchio dell'umorismo, così come ho fatto tante volte io, cittadino-niente, che, quando mi specchio e vedo sul mio viso un truce cipiglio, scuoto il capo e dico: Giovannino, quanto sei fesso!". Nel 1942 Guareschi viene arrestato dai fascisti, "per aver comunicato al rione Gustavo Modena, Ciro Menotti, Castelmorrone ciò che in quel momento pensavo di tutta la faccenda. Si tratta di un episodio poco onorevole in quanto accade che io, la notte del 14 ottobre 1942 - riempitomi di grappa fino agli occhi in casa di amici- per tornare alla mia casa di via Ciro Menotti, che è lontana non più di ottocento metri, impieghi due ore. E in quelle due ore urlo delle cose che poi l'indomani trovo registrate diligentemente in quattro pagine di protocollo…Gli amici mettono in moto l'eterna macchina della camorra italiana in modo da sottrarmi alle giuste sanzioni della legge, e, per prudenza, mi fanno richiamare alle armi".
Sembra insomma, chiosa Guareschi, "che per perdere la guerra ci sia assoluto bisogno della mia collaborazione". Così finisce in Egitto, per alcuni mesi. Dopo l'8 settembre si trova di fronte alla grande decisione: collaborare coi fascisti e coi tedeschi, diventare partigiano o restare fedele al giuramento fatto al re. Giovannino opta per la terza scelta, e la paga duramente, con due anni di lager, durante i quali rifiuta più volte l'opportunità di venir liberato in cambio di una collaborazione, anche solo di penna. Nell'atmosfera cupa ed angosciante del lager non si dà per vinto: organizza teatrini, inventa favole piene di speranza, promuove chiacchierate e discussioni tra internati, tenendo desto il desiderio di vivere di chi lo circonda. Chi scrive ha conosciuto persone che devono alla sua vitalità e alla sua forza di non essere sprofondate nella disperazione, e, forse, nella morte. "Non muoio neanche se mi ammazzano", è il suo motto di quei giorni.
Ma lo sconforto prende talora il sopravvento anche in un animo fiero come il suo: "Le mie ore si annullano in questa sabbia, e ogni ora mi ruba una goccia di vita, un sorriso dei miei figli, e io vedo me stesso scendere gradino per gradino la scala che non si risale mai più. Questa noia che sa di catrame come l'aria di questa terra ostile…Un anno è finito. Un anno comincia. La noia continua, niente di nuovo".
Finalmente arriva la liberazione, e Guareschi può tornare a casa: "Per ventiquattro mesi ho calpestato sabbia di lager e la sabbia non dà suono, e così il mio passo ha perso la sua voce. Ora ritrovo sulle lastre del porticato la voce del mio passo. …Non ho notizie dei miei da troppo tempo. La guerra è passata lì vicino: li ritroverò tutti? Qualcuno? Nessuno? E proprio e solo adesso, quando l'avventura è finita, ho paura e mi sfascio sulla riva del fosso, come uno straccio….Quando arrivo davanti a casa mia sta schiarendo e io rimango seduto sulla sponda del fosso e aspetto che il sole si sia ben levato e intanto guardo le finestre chiuse e soffro come non ho mai sofferto neanche lassù. Perché lassù si aveva un po' l'idea che tutto si fosse fermato, a casa nostra, e soltanto al nostro ritorno la vita avrebbe ripreso il suo naturale corso. Poi, a un tratto, sento una voce gridare qualcosa: ed è la mia voce e io ne sono terrorizzato e attendo con gli occhi sbarrati che tutte le finestre si aprano e conto le teste che spuntano fuori: una, due, tre, quattro. Ne manca una, la più piccola. Allora lascio il sacco in riva al fosso e corro dentro e, sperduta in un enorme letto, trovo la signorina Carlotta che dorme. E dico "Cinque!", anche se la prima cosa che vedo non è una testa, ma un sederino rosa…Ennia è più magra di me. E' un sacchetto d'ossa tenute insieme soltanto dal desiderio di farsi ritrovare viva da me al mio ritorno".
Ma il ritorno tanto desiderato si tinge presto di scuro. Non c'è, ad accoglierlo, un paese unito, desideroso di rialzarsi, di ricominciare. Non c'è uno spirito comunitario, un sentimento di fratellanza, come quello che si era creato tra compagni di lager, nell'ora del dolore, della nostalgia e della speranza: "gli italiani non hanno imparato niente dalla guerra. E' triste: nelle guerre imparano qualcosa soltanto i morti". Infatti l'Italia è divisa dall'odio di classe, dal veleno di un'altra ideologia, non meno terribile di quelle sconfitte. Alla guerra mondiale si è sostituita la guerra civile, il rancore e l'odio tra compaesani e connazionali. Guareschi ricorda soprattutto, come segno evidente di questo clima appestato, il riso di disprezzo di una ragazza seduta su una panchina: "Ogni tanto, tra una raffica e l'altra di riso, urla qualcosa sui miei baffi, sui miei capelli. E io che rido tanto degli altri e che non mi arrabbio se qualcuno ride di me, per quel riso non mi offendo: mi sgomento. …La ragazza non ha nessuna ragione. Non sa nemmeno chi sono: a lei non piacciono i miei baffi e i miei capelli, perché un uomo che li porta di quel genere è uno degli altri. Un rappresentante della classe odiata che bisogna impiccare".
Di fronte a tutto ciò Guareschi ricorre ancora all'unica arma che conosce, la sua penna, e fonda, nel dicembre 1945, il "Candido": il giornale che svelerà, puntualmente, le stragi comuniste, specie in Emilia Romagna ed in Toscana; che denuncerà il passaggio in massa degli intellettuali fascisti al comunismo; che consacrerà le figure di Peppone e di don Camillo, destinate a rimanere nell'immaginario collettivo per molti anni. Bisogna leggere queste storie, piene di umorismo leggero, di umanità, ma anche profondamente storiche, per capire l'atmosfera di quegli anni: "L'ambiente in cui i miei personaggi operano è il mio paese. E' la Bassa. Alla Bassa, dove il sole d'estate spacca la testa alla gente, e dove, d'inverno, non si capisce più quale sia il paese e quale il cimitero, basta una sciocchezza come una gallina accoppata a sassate o un cane bastonato per mettere due famiglie in guerre perpetua…Alla Bassa, dove le strade sono lunghe e diritte, da una parte c'è l'alba e dall'altra il tramonto, piacciono i tipi con una fisionomia precisa, facili da amare e facili da odiare".
 "Candido" diviene così il giornale che, insieme ai Comitati civici di Luigi Gedda, segna la sconfitta dei comunisti e la vittoria della Dc nel 1948. Ben più di De Gasperi, col suo aspetto "secco e funereo", ben più degli uomini di partito, contano, in questa splendida campagna elettorale, le vignette e i manifesti elettorali di Guareschi, e l'azione solerte ed instancabile dei ragazzi delle parrocchie. Giovannino Guareschi, monarchico, cattolico, destrorso, antifascista e reduce da due anni di lager in Germania, si trova quindi a combattere ancora una volta per la libertà, e lo fa, ancora una volta, senza risparmiarsi. Ma pur risultando vincitore non reclama alcuna prebenda, né alcun onore: vuole tenersi libero, non vuole legarsi a nessun carro, a nessun partito, a nessun padrone. Così, pochi anni dopo, nel 1953, nel suo diario può scrivere: " Con Candido contro lo strapotere Dc".
La Dc lo ha deluso, sotto molti aspetti: Giovannino vede già le bustarelle, il rinnegamento dei principi a vantaggio delle poltrone, i nepotismi di De Gasperi, "celeberrimo sistematore di parenti". Allo statista trentino dedica diverse vignette. In una di queste De Gasperi avanza, seguito da uno stuolo di parenti, con una bandiera su cui è disegnato un sole, e dentro la scritta: " Ho famiglia". Sopra vi è scritto: "Forza Alcide, che non sei solo". A lato alcuni versi: "Su fratelli, su cognati/ su venite in fitta schiera/: sulla libera bandiera/ splende il Sol dell'avvenir". In poche parole Guareschi finisce per inimicarsi, oltre a Luigi Einaudi, per una vignetta irriverente, anche Alcide De Gasperi. Il processo intentatogli da quest'ultimo è una sorta di farsa, alla fine della quale Guareschi finisce in galera: "per rimanere liberi- scrive- bisogna a un bel momento prendere senza esitare la via della prigione". E ancora: "monarchico in una repubblica; di destra in un paese che cammina decisamente, inflessibilmente verso sinistra; sostenitore dell'iniziativa privata in tempi di statalismo, assertore di italianità in tempi di antinazionalismo; cattolico intransigente in tempi di democristianismo, io non sono stato- come poteva sembrare- un indipendente, bensì un anarchico. Non un uomo libero, ma un sovversivo. E perciò è giusto che mi venga tolta la parola e la libertà".
Anche in questa occasione Guareschi rifiuta sconti e amnistie di sorta. Rimane in galera sino alla fine, poggiando sulla sua incredibile fiducia nella Provvidenza: "completa è la mia fiducia nella Provvidenza che, per essere veramente tale, non deve mai essere vincolata da scadenze. Mai preoccuparsi del disagio di oggi, ma aver sempre l'occhio fisso nel bene finale che verrà quando sarà giusto che venga. I giorni della sofferenza non sono giorni persi: nessun istante è perso, è inutile, del tempo che Dio ci concede. Altrimenti non ce lo concederebbe". Lo aiuta, anche, il suo senso dell'umorismo, la sua capacità di divertirsi, almeno un po', in ogni circostanza. In galera scrive versetti simpatici, disegna, decora l'asse del cesso con un originale "merdometro", costituito dalla fotografia dell'odiato Scelba.
 In un bollettino inviato agli amici, sulle sue condizioni, scrive: " Cos'ero, or son due mesi, appena entrato? /Un fuorilegge, un povero spostato:/ adesso grazie alla prigione / marciando sto verso la redenzione./ La squadra è già passata/ a batter l'inferiata./I ferri sono a posto, niente buchi nel muro./ E io mi sento più sicuro". Negli ultimi anni della sua vita Guareschi assiste al cambiamento culturale dell'Italia.
Non gli piace affatto il nuovo mondo che sta nascendo: "Tra i grattacieli del miracolo economico soffia un vento caldo che sa di cadavere, di sesso e di fogna". Sono gli ultimi anni, in cui, dopo tanta sofferenza, l'umore si fa, talora, acido, amaro. Per lui l'attuale generazione di italiani "più che una generazione è una degenerazione": si alimenta coi nuovi miti della bellezza fisica ad ogni costo e ad ogni età, coi divi della tv, col benessere materiale che ammalia anche gli uomini del passato. Guarda sconsolato certe anziane signore di città, che non sanno più invecchiare: " Hanno gli occhi dipinti di verde o di blu e i seni convenientemente sistemati: il seno destro è stato passato sulla spalla sinistra, il sinistro sulla destra, quindi ambedue sono stati incrociati sulla schiena, come i tubolari dei corridori ciclisti, per venire annodati solidamente sull'uno e sull'altro fianco".
Uno dei motori di questi cambiamenti sociali e culturali è senz'altro la televisione: "la tv col suo incessante martellare, condito con piacevoli musichette e divertenti spettacoli di varietà, crea nelle famiglie problemi, bisogni, o addirittura necessità praticamente inesistenti. Così come crea dal nulla dei valori e degli idoli. Crea una mentalità, un costume, un linguaggio", si insinua nelle case, interrompendo il dialogo, raffreddando il confronto, ingessando, condizionando, omologando le personalità. In questi anni nasce così l'ultimo capolavoro: "Don Camillo e i giovani d'oggi". E' uno sguardo, sereno, divertente, ma realistico, sull'evoluzione dei costumi, dei rapporti famigliari e della Chiesa. Don Camillo non è più alle prese con i veri comunisti, alla Peppone, ma col malcontento misto a noia dei giovani, dei cappelloni alla Veleno e delle ragazze emancipate come Cat. Soprattutto, in questo breve romanzo, compare la figura di Don Chichì, che rappresenta il pretino standard post Concilio Vaticano II: con la sua mezza voce, i suoi mezzi termini, la mania del dialogo sopra ogni cosa, lo sperimentalismo liturgico, stile "tavola calda di Lercaro"…
E' don Chichì il vero, ultimo "avversario" di Guareschi, non i giovani che stanno per scatenare il '68. A loro si rivolge, paternamente, temendo solo che siano ingannati, che riempiano il loro vuoto di violenza spacciata per ideale: "(O giovani) diffidate di chi vi sorride e vi dà importanza eccezionale. Vuole rifilarvi un giornale, un libro, un disco, una rivista pornografica, un intruglio gasato, una chitarra, un allucinogeno, una pillola, una scheda elettorale, un cartello, un manganello, un mitra. Protesto perché sono stato giovane e buggerato come saranno immancabilmente buggerati i giovani d’oggi…". Il 1968 è anche l'anno della morte di Guareschi, a Cervia, nella sua amata terra.


Postato da: giacabi a 14:40 | link | commenti
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lunedì, 12 gennaio 2009

C’era qualcuno che era prigioniero di me stesso
***
C’era qualcuno che era prigioniero di me stesso. Stava chiuso entro di me come in uno scafandro, e io lo opprimevo con la mia carne e le mie consuetudini. Egli si affacciava ai miei occhi per vedere, e i suoi occhi erano acuti, ma il cristallo dei miei era appannato dai grassi vapori del vivere convenzionale.
Il suo cuore era chiuso nel mio, e doveva adeguare i suoi battiti al pulsare pesante del mio. La sua voce era chiara e dolce, ma era sopraffatta dalla mia voce dura e sgraziata.
C’era qualcuno che era prigioniero di me stesso, e la mia spessa cotenna lo opprimeva: ma ora egli è evaso dal suo carcere. Un giorno camminavo su questa sabbia deserta, ed ero stanco e trascinavo faticosamente la mie ossa cariche di pesante nostalgia, quando  a un tratto mi sentii miracolosamente leggero, e il cielo mi parve insolitamente profondo come se, mentre guardavo dietro i vetri sudici di una finestra, la finestra si fosse improvvisamente spalancata. E vedevo i minimi dettagli e le piccole cose mai viste prima, come un mondo nuovo, e ogni cosa si completava di tutti i suoi particolari. E sentivo anche i minimi fruscii come se mi si fossero stappate le orecchie, e udivo voci, parole sconosciute, e mi pareva che fosse la voce delle cose, ma era soltanto la mia voce.
La voce del mio prigioniero. Mi volsi e vidi che ero uscito da me stesso, mi ero sfilato dal mio involucro di carne. Ero libero. Vidi l’altro me stesso allontanarsi, e con lui si allontanavano tutti i miei affetti, e di essi mi rimaneva solo l’essenza. Come se mi avessero tolto un fiore e mi fosse rimasto soltanto il profumo nelle nari e il colore degli occhi. Ritroverò l’altro me stesso? Mi aspetta forse fuori dal reticolato per riprendermi ancora? Ritornerò laggiù oppresso sempre dal mio involucro di carne e di abitudini? Buon Dio, se dev’essere così, prolunga all’infinito la mia prigionia. Non togliermi la mia libertà.
Giovanni Guareschi Diario clandestino
Da: www.tracce.it di nov.08


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domenica, 19 ottobre 2008

Il profeta
***
E' la paura" rispose il Cristo. "Essi hanno paura di te."
"Di me ?"
"Di te, don Camillo. E ti odiano. Vivevano caldi e tranquilli dentro il bozzolo della loro viltà. Sapevano la verità, ma nessuno poteva obbligarli a sapere, perchè nessuno aveva detto pubblicamente questa verità. Tu hai agito e parlato in modo tale che essi ora debbono saperla la verità. E perciò ti odiano e hanno paura di te. Tu vedi i fratelli che quali pecore, obbediscono agli ordini del tiranno e gridi:
Svegliatevi dal vostro letargo, guardate le genti libere; confrontate la vostra vita con quella delle genti libere !
Ed essi non ti saranno riconoscenti, ma ti odieranno e, se potranno, ti uccideranno, perchè tu li costringi ad accorgersi di quello che essi già sapevano ma, per amore del quieto vivere, fingevano di non sapere. Essi hanno occhi ma non vogliono vedere. Essi hanno orecchie ma non vogliono sentire. Sono vili ma non vogliono che nessuno dica loro che sono vili. Tu hai reso pubblica una ingiustizia e hai messo la gente in questo grave dilemma: se taci tu accetti il sorpruso, se non l'accetti devi parlare. Era tanto più comodo poterlo ignorare il sopruso. Ti stupisce tutto questo ?
Guareschi



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venerdì, 18 luglio 2008


La realtà è segno di Dio
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Peppone si seccò e andò a piantarsi a gambe larghe davanti a don Camillo: “Si può sapere che cosa volete da noi? Veniamo forse noi da voi?”. “E cosa c’entra? Anche se voi non venite in chiesa Dio esiste sempre e vi aspetta”. Lo Smilzo intervenne: “Il reverendo ha forse dimenticato che noi siamo scomunicati?”. “È una questione di secondaria importanza – replicò don Camillo –. Anche se siete stati scomunicati, Dio continua ad esistere e continua ad aspettarvi. Scusate tanto: io non sono iscritto al vostro partito, non pratico la Casa del Popolo e sono considerato un nemico del vostro partito. Per questi fatti potrei forse asserire che Stalin non esiste?”. “Stalin c’è, e come! E vi aspetta al varco!” urlò Peppone. Don Camillo sorrise: “Non lo metto in dubbio e non l’ho mai messo in dubbio. E se io ammetto che Stalin esiste e mi aspetta, perché tu non vuoi ammettere che Dio esiste e ti aspetta? Non è la stessa cosa?”. Peppone rimase molto colpito da questo elementare ragionamento. Ma lo Smilzo intervenne: “La sola differenza è che, mentre il vostro Dio nessuno lo ha mai visto, Stalin lo si può vedere e toccare. E se anche io non l’ho visto e toccato si può vedere e toccare quello che Stalin ha creato: il Comunismo!”. Don Camillo allargò le braccia: “E il mondo sul quale viviamo io, te e Stalin non è forse una cosa che si vede e si tocca?”.»
Guareschi
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Postato da: giacabi a 23:29 | link | commenti
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lunedì, 02 giugno 2008

Introduzione al volume
 Il compagno Don Camillo
***
di Giovannino Guareschi

Il 16 agosto 1963 veniva pubblicato il libro Il compagno Don Camillo. Proponiamo oggi il lato meno noto del volume: la nota introduttiva.
Ad opera dello stesso Giovannino ci mostra come stava cambiando l'Italia del boom economico.


  

 Questo racconto - ultimo, in ordine di tempo, della serie "Mondo Piccolo-Don Camillo" - lo pubblicai a puntate negli ultimi quattordici numeri (annata 1959) di Candido, l'ebdomadario milanese da me fondato nel 1945, e che ebbe una riconosciuta funzione propagandistica nelle importantissime elezioni politiche italiane del 1948, contribuendo validamente alla sconfitta del partito comunista.
    Candido non esiste più deceduto nell'ottobre del 1961, a, causa soprattutto del totale disinteresse che gli italiani del miracolo economico e dell'apertura a sinistra hanno per tutto ciò che puzza di anticomunismo.
    L'attuale generazione d'italiani è quella dei dritti, degli obiettori di coscienza, degli antinazionalisti, dei negristi ed è cresciuta alla scuola della corruzione politica, del cinema neorealista e della letteratura social-sessuale di sinistra.
    
Pertanto, più che una generazione, è una degenerazione.
    (Com'era bella l'Italia pezzente del 1945!
    Ritornavamo dalla lunga fame dei Lager e trovammo l'Italia ridotta a mucchi di macerie.
    Ma, fra i mucchi di calcinacci, sotto i quali marcivano le ossa dei nostri morti innocenti, palpitava il vento fresco e pulito della speranza.
    Quale differenza fra l'Italia povera del 1945 e la povera Italia miliardario del 1963!
    Tra i grattacieli del miracolo economico, soffia un vento caldo e polveroso che sa di cadavere, di sesso e di fogna.
    Nell'Italia miliardario della dolce vita, morta è ogni speranza in un mondo migliore. Questa è l'Italia che cerca di combinare un orrendo pastrocchio di diavolo e d'Acquasanta, mentre una folta schiera di giovani preti di sinistra (che non somigliano certo a don Camillo) si preparano a benedire, nel nome di Cristo, le rosse bandiere dell'Anticristo.)
    Candido non poteva più vivere nella rossa Italia miliardario e, difatti, morì.
    E il racconto che apparve nel 1959 su quel giornale, se è ancora vivo in quanto sono rimasti ben vivi i suoi personaggi, è oggi fuori tempo.
    E la sua pur bonaria polemica contro il comunismo può, oggi, essere accettata soltanto inquadrando la vicenda nel tempo in cui nacque.
    Il lettore potrebbe, a questo punto, obiettare: "Se il tuo racconto è fuori tempo in quanto la gente ha cambiato parere nei riguardi del comunismo, perché non hai lasciato tranquillo il tuo racconto nella tomba di Candido?"
    Perché - rispondo io -
esiste ancora una sparuta minoranza che non ha mutato parere nei riguardi del comunismo e dell'URSS, e debbo tenerne conto.
    Pertanto, questo mio racconto io intendo dedicarlo ai soldati americani morti in Corea, agli ultimi eroici difensori dell'Occidente assediato. Ai Caduti di Corea, ai superstiti e ai loro cari perché anch'essi non possono aver mutato parere.
    E lo dedico ai soldati italiani morti combattendo in Russia e ai sessantatremila che, caduti prigionieri nelle mani dei russi, sono scomparsi negli orrendi Lager sovietici e di essi ancora s'ignora la sorte.
    Ad essi è dedicato, in particolare, il capitolo decimo intitolato : Tre fili di frumento.
    Questo mio racconto è dedicato anche ai trecento preti emiliani assassinati dai comunisti nei giorni sanguinosi della liberazione, e al defunto Papa Pio XII che fulminò la Scomunica contro il comunismo e i suoi complici.
    È dedicato altresì al Primate d'Ungheria, l'indomito Cardinale Mindszenty e all'eroica Chiesa Martire.
    A Essi è particolarmente dedicato il capitolo ottavo intitolato: Agente segreto di Cristo
.
    Mentre intendo dedicare l'ultimo capitolo (Fine di una storia che non finisce mai) al defunto Papa Giovanni XXIII.
    E qui (mi si perdoni la debolezza) non solo per le ragioni che tutti conoscono, ma pure per una ragione mia personale.
    Nel giugno del '63, tra le dichiarazioni rilasciate ai giornali da personalità di tutto il mondo, apparve quella del signor Auriol, socialista, che fu Presidente della Repubblica Francese quando Papa Roncalli era Nunzio apostolico a Parigi.
    A un certo punto,
il signor Auriol dice testualmente:
    "Un giorno, il primo gennaio 1952, ricordandomi le mie dispute col sindaco e col curato del mio Comune, mi inviò come regalo di Capodanno il libro di Guareschi Il piccolo mondo di Don Camillo con questa dedica: Al Signor Vincent Auriol, Presidente della Repubblica Francese, per la sua distrazione e il suo diletto spirituale. Firmato: a. J. Roncalli, Nunzio apostolico".

    Il don Camillo del 1959 è lo stesso identico don Camillo del 1952 e io ho voluto pubblicare questo racconto - pure se è fuori tempo - per la distrazione e (scusate la prosopopea) il diletto spirituale dei pochi amici che mi sono rimasti in questo squinternato mondo.
L'Autore

Roncole-Verdi, 16 agosto 1963
grazie a :il Mascellaro

Postato da: giacabi a 12:21 | link | commenti (1)
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giovedì, 22 maggio 2008

La coscienza dell’uomo
***

"Signora Germania
Signora Germania, tu mi hai messo tra i reticolati, e fai la guardia perché io non esca. E’ inutile signora Germania: io non esco, ma entra chi vuole. Entrano i miei affetti, entrano i miei ricordi. E questo è niente ancora, signora Germania: perché entra anche il buon Dio e mi insegna tutte le cose proibite dai tuoi regolamenti.
Signora Germania, tu frughi nel mio sacco e rovisti fra i trucioli del mio pagliericcio. E’ inutile signora Germania: tu non puoi trovare niente, e invece lì sono nascosti documenti d’importanza essenziale. La pianta della mia casa, mille immagini del mio passato, il progetto del mio avvenire. E questo è ancora niente, signora Germania. Perché c’è anche una grande carta topografica al 25.000 nella quale è segnato, con estrema precisione il punto in cui potrò ritrovare la fede nella giustizia divina.
Signora Germania, tu ti inquieti con me, ma è inutile. Perché il giorno in cui, presa dall’ira farai baccano con qualcuna delle tue mille macchine e mi distenderai sulla terra, vedrai che dal mio corpo immobile si alzerà un altro me stesso, più bello del primo. E non potrai mettergli un piastrino al collo perché volerà via, oltre il reticolato, e chi s’è visto s’è visto.
L’uomo è fatto così, signora Germania: di fuori è una faccenda molto facile da comandare, ma dentro ce n’è un altro e lo comanda soltanto il Padre Eterno.
E questa è la fregatura per te signora Germania
. "
 Giovanni Guareschi
da Diario clandestino (Dalla conversazione “Baracca 18” Lager di Beniaminovo–1944)



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guareschi

venerdì, 02 maggio 2008

Vittadini: la vera statura di don Camillo e Peppone? Erano due grandi educatori


dal: il sussidiario          Int. a
Giorgio Vittadini   01/05/2008

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Giovannino Guareschi ha esplicitamente definito, all’inizio della sua opera, Don Camillo e Peppone come due persone «unite sulle cose essenziali»: cosa vuol dire?

I personaggi dei libri di Guareschi sono personaggi reali, più dei personaggi dei film (su cui infatti Guareschi aveva espresso delle perplessità). Sono personaggi che partono dal loro desiderio di verità e di giustizia, da una fede vissuta in modo umano, da un ideale comunista, che cerca di rispondere al bisogno di giustizia. Gente così non può che incontrarsi. Guareschi fa, con i suoi libri, quell’Italia che, pur avendo al suo interno idee assai diverse, ha costruito in un’unità profonda il benessere del nostro Paese. È la gente del nostro popolo, che è rimasto unito molto più di quanto le divisioni ideologiche lo abbiano spaccato, e questo è il motivo per cui questa gente si incontrava.

Lei parla di un popolo rimasto unito: questo significa che la questione non è rievocare nostalgicamente un mondo, il “mondo piccolo”, che ora non c’è più…

Il popolo è unito da un avvenimento che genera un’unità, e il popolo di Guareschi è unito dall’avvenimento della vita di un paese vissuta a partire dal desiderio di verità. La gente di Guareschi era gente per cui la fede era risposta al desiderio di verità, e per cui il comunismo era una riposta al desiderio di giustizia. Questa non è una cosa del passato: ogni posizione umana porta con sé una risposta a un bisogno.

Qual è dunque il punto di attualità di Guareschi?

Il punto di attualità è quel profondo desiderio di verità senza il quale la fede è morta, e senza il quale l’ideale diventa ideologia; è quel bisogno di popolo senza cui il nostro Paese non andrà da nessuna parte, qualunque sia il tipo di governo che avrà. Penso soprattutto a quello che disse Giussani dopo Nassiriya: «se ci fosse un’educazione del popolo, tutti starebbero meglio». Nei libri di Guareschi si capisce che quell’educazione c’era veramente, ed era il fattore determinante.

Cosa vuol dire che l’educazione è un fattore fondamentale del mondo narrato da Guareschi?

Vuol dire che don Camillo, al di là delle macchiette dei film, è un personaggio che non smette mai di educarsi e di educare. L’educazione di don Camillo nasce dal continuo rimettersi in discussione dopo ogni errore: non è un personaggio senza errori, è un passionale, che crede profondamente, che ha fede, che ha umanità, che crede nella gente che gli sta intorno, ma capisce di sbagliare. Questo continuo ammettere l’errore e ricominciare è l’educazione a cui si sottopone e a cui sottopone la gente del paese. Peppone stesso è uno che, nonostante si fosse in un periodo di totale ideologia (quella che Guareschi bollava con il suo Candido), lotta contro questa ideologia in nome del desiderio vero di giustizia. Allora capiamo perché, quando c’è lo sciopero per cui non si mungono le vacche, Peppone va a mungere in segreto con don Camillo; quando arriva l’ideologo che crea odio nel paese, gli si schiera contro; quando sostituiscono don Camillo col pretino giovane cattocomunista, lui sta con don Camillo. È un’educazione continua, da parte di don Camillo e Peppone, del popolo che hanno intorno, e intorno a loro crescono tutti gli altri personaggi.

Lei ha opposto don Camillo al pretino cattocomunista; eppure molti dicono che l’amicizia tra don Camillo e Peppone è l’archetipo dell’accordo tra cattolici e comunisti

Racconto un episodio che rende evidente la pochezza di quel cattocomunismo, e di tutti i cattocomunismi. Il pretino che sostituisce don Camillo pontifica dal pulpito contro il vecchietto che lavora, e fa in modo che venga portato all’ospizio: il giorno dopo lo stesso vecchietto viene trovato morto sotto il muro dell’ospizio, perché aveva tentato di scavalcarlo per tornare a vivere e a lavorare, e a fare le cose senza le quali non poteva stare. Questo è il punto: il pretino è l’ideologia di un cristianesimo che non serve neanche a chi lo pratica, perché diventa un giustizialismo come quello che vediamo oggi: non è per il vero popolo. La posizione di don Camillo invece è sfaccettata, è l’incontro con i personaggi, l’ascolto della gente, ed è, in nome della fede che risponde all’umano, la capacità di percepire i bisogni, uno per uno. Nel pretino, invece, c’è la massificazione dei bisogni.

L’episodio appena narrato porta alla mente anche l’importanza del lavoro nei racconti di Guareschi

Non per niente Peppone è innanzitutto un grande meccanico. Neanche Peppone, capo del partito e sindaco, si esime da questo aspetto. Perché il lavoro fa parte del popolo: la gente del popolo lavora, mangia, fa festa, fa famiglia. Sono tutte cose unite. Non stanno unite solo nelle analisi degli intellettuali, degli editorialisti che scrivono sui grandi giornali. Nei discorsi, cioè, di tutti coloro che non hanno mai capito il popolo, e che non per nulla hanno sempre considerato Guareschi uno scrittore minore.

Effettivamente l’opera di Guareschi, più che criticata, è stata snobbata dalla critica, considerata appunto “minore”: perché?

Precisiamo una cosa: è considerata minore dai critici che, tanto per intenderci, hanno osannato i romanzi semipornografici di Alberto Moravia. Sono quelli che danno valore a una cultura non di sinistra, ma radicale, che hanno fatto delle classifiche totalmente ideologiche: hanno ignorato Manzoni, Bacchelli, hanno diminuito l’opera di Rebora, hanno dimenticato Ada Negri. Quelli, insomma, che alla fine hanno preferito che il nobel andasse a Dario Fo anziché a Mario Luzi. È la critica da strapazzo, il “culturame” che ha rovinato l’Italia del dopoguerra e che ha albergato nei giornali che vanno per la maggiore. Questa è la parte peggiore della storia italiana. Guareschi invece è un grande scrittore, è uno dei grandi rappresentanti della narrativa italiana, sul filone soprattutto di Manzoni, con cui condivide la grande capacità di leggere e sfaccettare persona per persona. È la grande tradizione della letteratura cattolica. Ed è per questo che ha avuto un successo popolare e di critica nel mondo.

Una grande tradizione cattolica che nei racconti di Guareschi è resa presente addirittura dalla figura del Cristo che parla. Che significato ha questo elemento?

Il Cristo che parla è il Tu, è la vera fede in cui il Cristo è un Tu. All’inizio del Mondo piccolo, per liberarsi dai falsi ortodossi, Guareschi dice: se ve la prendete con il fatto che faccio parlare il Cristo, sappiate che il Cristo di cui parlo è il Cristo della mia coscienza. Cosa vuol dire? Che è il Tu che c’è nella realtà e che c’è dentro di te. Questo Cristo è il Cristo oggettivo che ti parla dentro, è il Tu con la “t” maiuscola, con cui ognuno ha a che fare.

Infine, un altro elemento essenziale nei racconti di Guareschi è la sua terra, la Bassa, senza la quale i suoi personaggi quasi non potrebbero esistere…

Don Camillo non poteva essere scritto né in Brianza, né nel varesotto, né in Sicilia, né nella Ciociaria, né in nessun altro posto. È frutto di quel mondo della Bassa di cui parla all’inizio del Mondo piccolo, quel mondo di nebbia in cui può apparire un giorno a parlarti il fantasma di un amico morto, in cui la terra è animata, in cui in qualche modo il paesaggio, l’ambiente, la natura, gli animali sono tutt’uno con l’uomo. Un mondo sommesso: questa terra intorno al fiume, così poco retorica, così poco boriosa e presuntuosa, la cui bellezza è quella di una donna che non si mostra, ma così profondamente umana. È una terra modellata nei secoli dall’uomo, una natura che è totalmente a sua immagine e nello steso tempo è rimasta caratterizzata da quel non so che di selvaggio, che non è primitivo, ma è più precisamente il non addomesticato. Per cui i personaggi sono i personaggi della Bassa, sono i personaggi alla Gianni Brera di qualche anno dopo, i personaggi del Mulino del Po, i personaggi come Madre Cabrini, don Giussani, san Riccardo Pampuri. Questi santi sommessi, che però nel lungo andare sono come il vino di queste terre, che con il retrogusto viene fuori, senza essersi all’inizio imposto in modo violento.

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Postato da: giacabi a 14:09 | link | commenti
guareschi

domenica, 11 novembre 2007

Bisogna salvare il seme
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Don Camillo spalancò le braccia: “Signore, cos’è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?”.
“Don Camillo, perché tanto pessimismo? Al­lora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?”.


No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pu­dore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l’autodistruzione di cui par­lavo. L’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato. Un giorno non lontano si troverà come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell’uomo sarà quello del bruto delle caverne… Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?”.

Il Cristo sorrise: Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo al­veo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sul­la terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Biso­gna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla in­tatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più, ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomi­ni di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini di ogni razza, di ogni estrazione, d’ogni cultura”.
 Giovannino Guareschi  
Don Camillo  È di moda il ruggito della pecora

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