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lunedì 13 febbraio 2012

Heschel


L'INVOLUZIONE DELL'UOMO MODERNO
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(…) perché gli antichi credevano alla Creazione e cioè a una gerarchia sacra e ascendente. Agli animali aveva pensato Dio, che può pensare a tutto. L’uomo, per suo conto, aveva abbastanza della sua parte d’uomo, cioè a dire, d’esiliato figlio di Dio.
Ma i moderni preferiscono credere all’Evoluzione in altri termini a una gerarchia scientifica e degradante. E mentre un antico andava in chiesa, a ritrovare il suo posto sull’infinita, terrorizzante distanza che ancora lo separava da Dio, un moderno va al Giardino Zoologico a ritrovare il suo posto sull’infinita, gloriosa distanza che ormai lo separa dal cercopiteco. Un antico per riconoscersi più uomo si confrontava, umiliandosi e annullandosi, agli dei. Un moderno, per riconoscersi più uomo, si confronta, applaudendosi e congratulandosi, alle bestie. Uno guardava avanti. Quest’altro è voltato indietro. Uno sentiva di avere ancora da attuarsi. Ma quest’altro si sente tutto attuato. E quel legame di operosa riconoscenza che nella scala degli esseri si stabiliva tra l’uomo e Dio, il quale era appunto lassù affinché l’uomo avesse sempre presente la propria perfettibilità e imperfezione, si tramuta nella riconoscenza verso il barbuto gorilla, che porta la croce delle ultime imperfezioni e redime l’uomo alla gioia dei perfetti. Si capisce allora il significato di questi palazzi di cristallo, di queste serre e acquari e giardini. Sono le case degli animali sacri. Sono i monumenti della gratitudine, i termini del trionfo. Sono i ricettacoli dei segni supremi dai quali si misura il pregio del mondo, pwerchè guardando una scimmia che sbadiglia nessuna donna potrà dubitare di non essere Venere o Giunone. Sono le nuovissime cattedrali. Gli antichi inventarono San Pietro e Westminster. I moderni hanno inventato lo zoo. Gli antichi andarono in processione a San Pietro e Westminster, andarono crociati e pellegrini in terrasanta. E noi andremo al giardino di Villa Umberto.

(E. Cecchi, Le bestie sacre )il senso religioso scuola secondaria

Postato da: giacabi a 18:41 | link | commenti
heschel

domenica, 22 maggio 2011

Chi è l’uomo?
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Che cosa è l’ uomo? Un verme che striscia sopra un sassolino, la terra; un granello di vita che galleggia senza meta nella vastità smisurata dell’ universo.
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Sappiamo che l’ uomo è più simile alla scimmia di quanto non lo sia la scimmia al rospo. Può darsi che “ l’ uomo non soltanto derivi dal regno degli animali: egli è stato, è e sempre rimarrà un animale”. Ma questa è tutta la verità sull’ uomo? (…)
Ogni dottrina che descrive l’ uomo come un animale con un attributo distintivo tende a offuscare il problema che noi cerchiamo di comprendere. L’ uomo è un essere specifico che vuole comprendere la sua unicità: non la sua animalità, ma la sua umanità. Non è la propria origine che egli insegue, ma il proprio destino. Il modo con cui l’ uomo è diventato ciò che egli è non spiega né la sua situazione immediata né la sua destinazione ultima. L’ abisso tra l’ umano e il non umano può essere concepito soltanto in termini umani. Anche il fatto stesso che l’ umano derivi dal non umano è un problema umano. Quando, perciò, miriamo all’origine dell’ uomo ritorniamo alla domanda: quale significato attribuiamo all’uomo, la cui origine cerchiamo di esplorare?
L’ippopotamo può ben considerare l’uomo fisicamente debole, imprevedibile dal punto di vista emotivo, mobile e spesso confuso mentalmente, come un mostro, una specie di animale infelice e perverso. Ma, indagando sullo stato dell’uomo, è chiaro che noi assumiamo la prospettiva e i modelli dell’uomo. Che cosa rivelano questi modelli riguardo all’essere interiore dell’uomo? (…)
Si racconta che , Platone definì l’uomo quale animale a due zampe senza piume, Diogene spennò un gallo e lo portò all’Accademia. La concezione zoomorfica ci permette di assegnargli un posto nell’universo fisico, ma non riesce a spiegare l’infinita diversità che esiste tra l’uomo e l’animale più complesso al di sotto di lui. Le concezioni zoomorfiche dell’uomo sono altrettanto giuste quanto lo sono le concezioni antropomorfiche di Dio.
Ogni generazione possiede la definizione di uomo che si merita. Tuttavia mi sembra che a noi della nostra generazione sia toccata una sorte peggiore di quanto meritassimo. L’accettare una definizione è il modo con il quale l’uomo identifica se stesso, sollevando una specchio in cui scrutare il proprio volto. La situazione interiore dell’uomo contemporaneo esige che il modo plausibile di identificarsi consista nel vedere se stesso come una macchina. “La macchina umana” è oggi una descrizione dell’uomo più accettabile di quanto non lo sia quella dell’animale umano. L’uomo è semplicemente “ una macchina in cui introduciamo quello che chiamiamo cibo, e produciamo quello che chiamiamo pensiero”. L’essere umano è “l’ingegnoso montaggio di un impianto idraulico portatile”. Questa definizione risale al secolo diciottesimo. Mai prima d’ora però
è stata così largamente accettata come plausibile. Un animale ci appare come un mistero; la macchina e invece un’invenzione. (…)
La definizione dell’uomo come appare nella undicesima edizione della Enciclopedia britannica è certamente destinata a ispirare reverenza per la grandezza dell’uomo. Essa dice : L’uomo è un ricercatore del più alto grado di comodità con il minimo dispendio necessario di energia”. Riconosciamo ancora l’uomo in questa affermazione?
Nella Germania prenazista veniva spesso citata la seguente enunciazione dell’uomo: “ Il corpo umano contiene una quantità di grasso sufficiente per produrre sette pezzi di sapone, abbastanza ferro per produrre un chiodo di media grandezza, una quantità di fosforo sufficiente per allestire duemila capocchie di fiammiferi, abbastanza zolfo per liberarsi dalle proprie pulci”.
Come descrizione di uno dei tanti aspetti della natura dell’uomo, queste definizioni possono infatti essere esatte. Ma quando pretendono di esprimere il suo significato essenziale, esse contribuiscono a liquidare gradualmente la capacità che l’uomo ha di comprendersi. E questa liquidazione può portare all’autoestinzione dell’uomo. (…)
Tuttavia quello che noi cerchiamo di sapere sull’uomo non si limita soltanto alla sua indole, ai fatti della vita, ma investe anche il suo significato e la sua vocazione, le mete della vita. Considerandolo frammentariamente, possiamo anche scoprire la sua affinità con l’animalità. Vista però nel suo insieme, la natura dell’essere umano è tale che in essa si intrecciano fatti e mete, indole e sete di significato.
Nel Medioevo i pensatori cercavano le prove dell’esistenza di Dio, oggi sembriamo cercare le prove dell’esistenza dell’uomo.
Il termine “umano” è diventato ambiguo: ha il marchio della debolezza (“ egli è soltanto umano”, “Adamo era soltanto umano”, “sbagliare è umano”, “voglio solo sapere che l’uomo è un essere umano; questo mi basta: egli non può essere niente di peggio”). Ma il termine viene usato anche con un senso di magnanimità (“farsi da parte è umano”), come pure di carità, specialmente quando la parola “umano” viene resa in inglese non con human ma con humane, espressione che denota sentimenti e inclinazione propri dell’uomo, e in cui si ingloba tenerezza, compassione, e la tendenza a trattare con gentilezza gli altri esseri umani e gli animali inferiori. Quando parliamo di giustizia “umana” intendiamo l’opposto di una giustizia severa o rigorosa.
L’ambiguità dell’homo sapiens è un luogo comune di vecchia data. Lode e derisione sono state abbondantemente profuse su di lui. A taluni egli appare come “il copolavoro del cielo”; ad altri come “l’unico errore della Natura”. Mentre nelle più antiche dissertazioni su di lui vibra una nota di compassione, oggi siamo decisamente espliciti nella deprecazione e nello sdegno. Colui che volesse scrivere un libro in lode dell’uomo, verrebbe ritenuto un idiota o un bugiardo. L’uomo è denunziato e condannato senza risparmio da parte degli artisti, dei filosofi e dei teologi. (…)
L’uomo ha assai pochi amici in questo mondo, certo assai pochi nella letteratura contemporanea che si occupa di lui. Forse il Signore del cielo ha l’ultimo suo amico sulla terra. Non sarà possibile che la furia a cui assistiamo derivi dal fatto che siamo insidiati da un soverchiante autodisprezzo, da un superiore senso di inferiorità?
La tragedia di questa insinuante autodenigrazione sta nel fatto che essa alimenta il dubbio se l’uomo meriti di essere salvato. La massiccia diffamazione dell’uomo può significare la condanna di tutti noi. L’annullamento morale conduce allo sterminio fisico. Se l’uomo è spregevole, perché preoccuparsi per l’estizione della specie umana? L’eclissi dell’umanità, l’incapacità a percepire il nostro valore spirituale, a sentirci coinvolti nell’impegno morale, è di per se una terribile punizione. (…)
Noi chiediamo: “Che cosa è l’uomo?” ma la vera domanda dovrebbe essere: “Chi è l’uomo?”. Come cosa l’uomo è spiegabile; come persona egli è insieme mistero e sorpresa. Come cosa egli è finito; come persona è inesauribile.
Le definizioni assai comuni citate sopra rispondono alla domanda: “Che cosa è l’uomo?” nei termini della sua realtà di fatto, come un oggetto dello spazio. La domanda: “ Chi è l’uomo?” è invece la ricerca di un valore, di una posizione e di una condizione nell’ordine degli esseri.
La prima risposta alla domanda: “ Chi è l’uomo?” è la seguente: è un essere che pone domande su se stesso. Nel porre simili domande l’uomo scopre di essere una persona, e la loro qualità gli rivela la sua condizione.

Noi non domandiamo soltanto: “Qual è la natura della specie umana?”, ma anche: “Qual è la situazione dell’individuo umano? Che cosa è umano nell’essere umano?”. Il nostro tema, cioè non è soltanto: “ Che cosa è un essere umano?”, ma anche: “Che cosa è essere uomini”. (…)
Una delle prospettive più terrificanti che si possa fare è che la nostra terra possa essere popolata da esseri che, pur appartenendo secondo la biologia al genere dell’homo sapiens, siano privi di quelle qualità che differenziano spiritualmente l’uomo dalle altre creature organiche. Come la morte è l’abolizione dell’esistere, così la disumanizzazione è l’abolizione della sua natura umana.
Nessuna definizione è in grado di racchiudere la profondità dell’essere umano, le intricate vie e scorciatoie attraverso cui si manifesta. Sostenere però che la domanda è senza risposta e che il problema è insolubile, significherebbe abbandonare la speranza di raggiungere qualsiasi conoscenza importante, giacché la domanda sull’uomo è fondamentale, e il significato di tutte le altre domande da noi poste dipende dalla risposta che intendiamo dare a quella. (…)
La profondità e il mistero dell’essere umano sembrano inafferrabili a qualsiasi analisi. La conoscenza dell’uomo che ricaviamo dalla scienza, per quanto utile, ci colpisce per la sua esagerata semplificazione; le sue definizioni appaiono sterili se applicate a esseri umani reali.
La radicale penetrazione di sé non è né possibile né auspicabile. Quello a cui possiamo mirare è un certo grado di autocomprensione che ci permetta di guidare la nostra vita, anziché lasciare che questa venga guidata da un gruppo, da una moda o da un capriccio. Dobbiamo arrivare a distinguere e scoprire le predisposizioni autentiche, le manifestazioni genuine e non genuine della nostra vita più profonda.
L’esclamazione del salmista: “Io sono stato fatto in modo terribile e meraviglioso!” esprime il senso di meraviglia che l’uomo prova di fronte al mistero della propria esistenza. Nella nostra esistenza vi è una profondità che non si lascia illuminare pienamente, che sfugge alle nostre generalizzazioni. Tuttavia la necessità di comprendere l’uomo è violenta e impellente.

(A. Heschel)

Postato da: giacabi a 07:04 | link | commenti
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venerdì, 06 maggio 2011

 Quando la fede si adegua al mondo
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«È consueto incolpare la scienza secolare e la filosofia antireligiosa dell’eclisse della religione nella società moderna, ma sarebbe più onesto incolpare la religione delle sue stesse sconfitte. La religione è declinata non perché è stata confutata, ma perché è divenuta priva di rilevanza, monotona, oppressiva e insipida».
Heschel

Postato da: giacabi a 20:52 | link | commenti
heschel

sabato, 29 gennaio 2011

Qualcosa per cui valga la pena di vivere

L'uomo non riesce a trattenere il suo amaro e struggente desiderio di sapere se la vita sia soltanto una serie di momentanei processi fisiologici, di desideri e sensazioni che scorrono come i granelli in una clessidra che segna il tempo una volta sola. Si domanda se la vita è soltanto un miscuglio di fatti privi di rapporti reciproci. Non esiste un'anima sulla terra che non si sia resa conto che la vita è tetra se non si rispecchia in qualcosa che possa durare. Vogliamo tutti convincerci che esiste qualcosa per cui valga la pena di vivere.
(A. Heschel)

Postato da: giacabi a 15:10 | link | commenti
heschel

sabato, 12 giugno 2010

"Per i profeti Dio era reale in maniera travolgente
e la sua presenza era schiacciante... Essi non offrirono un’interpretazione della natura di Dio,
bensì un’interpretazione della presenza di Dio nell’uomo, della sua sollecitudine per l’uomo."


Abraham Joshua Heschel - I PROFETI


«Noi non ci avvediamo del mistero soltanto quando siamo giunti al culmine della riflessione o nell’osservare fatti strani e straordinari, ma piuttosto nel renderci conto del fatto sorprendente che esistono i fatti».
Abraham Heschel

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