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lunedì 13 febbraio 2012

il68


Kuby:
dalla New Age a papa Ratzinger
 ***

da: www.avvenire.it      del23-07-08
CHI È
 Allieva di Ralph Dahrendorf

 Nata nelle Alpi bavaresi nel 1944, Gabriele Kuby è entrata nella Chiesa cattolica il giorno del battesimo di Gesù nel 1997.
  Specializzatasi in sociologia sotto la guida di Ralf Dahrendorf, oggi si occupa del relativismo morale e politico contemporaneo: a settembre le edizioni Cantagalli manderanno in libreria l’edizione italiana del suo «Die Gender Revolution. Relativismus in Aktion» (a cura di di Vito Punzi), col titolo «Gender revolution. Il relativismo in azione». Qui l’autrice analizza come le politiche tedesche ed europee sulle tematiche sessuali siano determinate da una visione relativista e 'politicamente corretta' della natura umana.
  In Germania il libro ha venduto oltre 10 mila copie. (L.F.)

 
Un tempo era sincretista, ora combatte il relativismo e l’ideologia del gender: parla la studiosa tedesca che ha criticato Harry Potter con un carteggio con Benedetto XVI

 DI LORENZO FAZZINI
 
D al Sessantotto a Benedetto XVI, dal sincretismo religio­so alla devozione alla Vergi­ne. Gabriele Kuby, sociologa tede­sca, 64 anni, si è riavvicinata al cri­stianesimo dopo un trascorso al­l’insegna della New Age. Ora lotta intellettualmente contro la 'ditta­tura relativista' che - denuncia - si esplica nel 'politicamente corretto' e nell’ideologia del gender diffusa in ambiente Onu e Ue. Il suo nome fe­ce il giro del mondo nel 2005 quan­do rese nota (su permesso dell’inte­ressato) la sua corrispondenza pri­vata - risalente a 2 anni prima - con l’allora cardinale Joseph Ratzinger riguardo la saga di Harry Potter, sul­la quale la studiosa aveva condotto uno studio critico. «E’ bene che lei, stimata e cara signora Kuby - le a­veva scritto il futuro Papa - illumini la gente su Harry Potter, perché si tratta di subdole seduzioni, che agi­scono inconsciamente distorcendo profondamente la cristianità nell’a­nima », fu l’incoraggiamento di Rat­zinger alla Kuby. Che in questa in­tervista rievoca la sua conversione e spiega cosa significhi per lei guar­dare cristianamente al reale.
 Quando si è convertita?

 «A otto anni dissi a mia madre pian­gendo: 'Andrò all’inferno se non so­no battezzata!'. Da neonata non a­vevo ricevuto il battesimo perché mio padre, scrittore ben noto e gior­nalista di sinistra, era agnostico. Mia mamma, protestante, credeva in Dio e in seguito fece battezzare i suoi cinque figli, però io non coltivai il seme della grazia.
Studiai sociolo­gia a Berlino: Dio e la fede svaniro­no dal mio orizzonte; abbandonare la Chiesa fu una semplice formalità. Partecipai al Sessantotto come rap­presentante degli studenti, ma non a lungo: l’innato senso per la verità mi salvò dall’ideologia marxista e femminista. Vissi alcune esperienze con cui Dio mi si fece chiaramente presente. Ero sposata e ma­dre di 3 bambini; nei 18 an­ni di matrimoni avevo vis­suto cercando Dio dove non lo si può trovare: esoterismo, New Age e psicologia. La Chiesa era nascosta dietro la cortina dei miei pregiudi­zi e la litania di critiche ri­petute nella nostra cultura.
  La crisi coinvolse tutti gli ambiti della mia vita, incluso il ma­trimonio: quando mio marito se ne andò di casa nel 1996 una vicina mi disse: Prega! Lo feci di fronte ad un Buddha, ad una fotografia di una di­vinità indù e altri totem. Finivo di­cendo: ' Sono la serva di Dio, av­venga di me secondo il tuo volere!'. Terminata la novena compresi che volevo diventare cattolica; da lì la mia vita cambiò. Fui incaricata di scrivere un libro sulle apparizioni mariane che diventò il diario della mia conversione, Il mio cammino verso Maria; pubblicato nel 1998, fu un bestseller».

 
Quali autori cristiani cominciò a leggere dopo la sua conversione?
 «
Quando iniziai a studiare il Cate­chismo della Chiesa cattolica e le en­cicliche di Giovanni Paolo II rimasi stupita nel trovare una luce che fa­ceva splendere la verità sulla natu­ra umana e i problemi del nostro tempo. Il Signore di Romano Guar­dini fu un libro importante che mi aprì cuore e mente a Gesù. I romanzi
 Il canto di Bernadette e Ascoltate la voce dello scrittore Franz Werfel mi hanno toccato in profondità; fre­quentai anche il filosofo Dietrich von Hildebrandt. Ero interessata al­le storie di altri convertiti, special­mente le Confessioni di Sant’Agostino
. È stupefacente che qualcuno, 1600 anni orsono, descrisse il suo cammino verso Dio, incluse le pro­prie ossessioni, le mosse per elu­derLo, le aberrazioni e il proprio af­fidarsi, alla fine, alla grazia di Dio. Decisi di leggere solo libri che mi aiutassero a comprendere meglio la fede».
 
Come la conversione ha influenza­to il suo lavoro culturale?
 «
Quando permettiamo che lo Spiri­to Santo illumini il modo in cui per­cepiamo le cose, il mondo e la na­tura umana appaiono diversi. Se possiamo dire che qualcosa è buo­no, dobbiamo essere capaci di affermare che qualcosa è cattivo: non è strano che la parola 'sbagliato' stia sparendo dal nostro vocabolario? I sostenitori della nuova ideologia sul
 gender pensano sia corretto livella­re la differenza tra uomo e donna e promuovere lo stile omosessuale tra i bambini nelle scuole: è giusto? Anche chi non è illuminato dalla Rive­lazione circa la sessualità umana do­vrebbe considerare la natura come un punto di riferimento».
 Nel suo libro sulla 'rivoluzione del gender' lei afferma che dopo il na­zismo e il comunismo gli europei hanno 'fallito' perché non si sono preoccupati di cos’è la verità.
 
«Uno dei testi più illuminanti sulle radici filosofiche e la struttura del relativismo è Werte in Zeiten des Umbruchs di Joseph Ratzinger. Le radici risalgono a 4 secoli avanti Cri­sto, al filosofo greco Protagora: 'L’uomo è la misura di tutte le co­se', il credo del relativismo attuale. Ma un uomo è venuto tra noi, è Dio ed è misura di tutti gli uomini: Ge­sù Cristo, che afferma: 'Io sono la via, la verità e la vita'. Lui è la roc­cia su cui è stata costruita la mera­vigliosa ricchezza culturale dell’Eu­ropa, ma i relativismi tentano di di­struggerla ».
  Quest’anno si è ricordato il 40° an­niversario del Maggio francese: quali le sue eredità positive? Quali quelle negative?
 «Devo sforzarmi per trovarne di po­sitive: forse l’incoraggiamento ad u­na democrazia su base popolare, ovvero che le persone dovrebbero alzare la voce quando le cose van­no male. Ma si comportano così? Abbiamo una nuova legge non scrit­ta basata sul politically correct cui ci si deve conformare se si vuole la­vorare nei media, in politica, all’u­niversità, in ambito giuridico o me­dico. Il 'politicamente corretto' è un modo per mascherare le tendenze totali­tarie nella so­cietà.
È l’ideolo­gia del ’ 68 svi­luppata nel­l’ambito del
  gender: l’'ugua­glianza' delle donne - al pun­to da sopprime­re gli uomini - è positiva, la ma­ternità sbaglia­ta; tutte le per­versioni sessua­li sono accettate, ma continuare a pensare che la procreazione etero­sessuale rappresenta ciò per cui sia­mo fatti è considerato un atto 'di­scriminatorio', 'omofobo' e - per il Parlamento europeo - va sradicato e sanzionato. Gli impulsi ideologici del Sessantotto sono la causa della distruzione della famiglia e del di­sastro demografico dell’Europa. Ciò viene semplicemente ignorato dal­la maggior parte dei legislatori; il Consiglio d’Europa - ad esempio ­ha votato ad aprile in favore di un accesso senza limiti all’aborto».

 
Lei critica il filosofo Robert Rorty che sostituisce la ricerca della ve­rità con il 'peso' del voto demo­cratico. È possibile costruire una democrazia fondata sulla verità?
 «
Se in una democrazia la gente de­cide quel che si deve fare, ci deve essere qualche nozione di cosa è be­ne e male per mantenere una na­zione lungo la rotta del bene au­tentico. Ciò è espresso dall’affer­mazione seguente: la democrazia vive di precondizioni che non ri­produce da se stessa. I significati fondativi con cui è arrivato nel cuo­re della gente l’orientamento verso il bene si trovano - si trovavano? ­nella nostra cultura basata sul cri­stianesimo ».
 Come vede il futuro dell’Europa ri­spetto al cristianesimo?
 «
Da un punto di vista umano vedo un futuro 'nero'. Stiamo distrug­gendo da soli l’eredità e la popola­zione cristiana rifiutando la pro­creazione e uccidendo milioni di bambini nel grembo delle madri, mentre da noi la popolazione mu­sulmana cresce in maniera rapida. Ma dobbiamo lavorare per un Ri­nascimento cristiano in base a quanto l’angelo Gabriele disse a Maria: ' Niente è impossibile a Dio'».



Postato da: giacabi a 11:36 | link | commenti
testimonianza, il 68

sabato, 09 settembre 2006

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Compagni, il vero Sessantotto
l'ha fatto Giussani

Tempi n° 34 del 07 settembre 2006

«Abbiamo iniziato parlando di Cristo, cercando di affrontare tutti i problemi a partire da un punto di vista cristiano, da quello che ci sembrava essere il punto di vista della parola di Cristo, autenticata dalla tradizione e dal magistero ecclesiastico; mettendoci insieme in vista di tale progetto». Con queste parole don Luigi Giussani tratteggiava nelle prime pagine del libro-intervista curato da Robi Ronza, pubblicato nel 1976 da Jaca Boook, i primi passi di Comunione e Liberazione. Un volume storico, non solo perché ripercorre la genesi di un percorso fondante per il cammino di molti cattolici, ma perché s'inserisce nella realtà dell'uomo e ne testimonia razionalmente l'originale anelito di emancipazione e liberazione. E perché, ancora oggi, le parole di Giussani appaiono l'unico grimaldello concretamente rivoluzionario in grado di scardinare la coltre acquietante della società moderna.
Può sembrare paradossale che un non credente, come il sottoscritto, possa oggi rimanere affascinato dalla ricerca di verità, eppure è la ragione stessa che conduce al riconoscimento di tale percorso. Giussani analizza la realtà di un paese che già dalla metà degli anni Cinquanta ha rischiato di perdere la coscienza di sé. Non fa sconti il professore del Berchet, né alle organizzazioni ecclesiali che protraevano il culto rischiando di cadere nel gesto senza valore educativo, né ai movimenti della contestazione i quali, prescindendo dall'uomo, assumevano come guida astratti valori aprioristici. Il pensiero che mosse Gioventù Studentesca (poi diventata Cl) fu la totale adesione alla sfida dell'esperienza. Pratica rischiosa, perché contenente la prova della verifica con la realtà. «
Se diventando adulti, non volete alienarvi e diventare schiavi di coloro che hanno il potere, dovete abituarvi subito a paragonare alla vostra esperienza ogni cosa che io vi dirò, ma ogni cosa che anche gli altri vi diranno». Principio che diverrà la pietra miliare del metodo educativo. Apprendimento della tradizione che ci ha formati e, contemporaneamente, verifica sulla propria esistenza dell'ipotesi tradizionale. Una prassi metodologica nella quale Giussani individua nell'autorità il soggetto indispensabile per offrire un termine di paragone adeguato. Nulla si potrebbe individuare oggi di più democratico, aperto e quindi antiautoritario di codesto metodo. E basterebbe questo per dire che l'avventura di don Giussani ha in seno l'universale valore della ragione. Ragione che è ben lontana dal dubbio sistematico che la cultura laica ha preso come ideale propulsivo. «Quanto più è chiara la certezza di un comune destino favorevole e positivo, tanto più emerge l'interesse ad una pazienza rispettosa ed ammirata per tutti i cammini e per tutti i tentativi».

Dopo trent'anni dalla pubblicazione, leggere quest'intervista a don Giussani vuole dire prendere atto di un'esperienza umana, individuale e collettiva, che con la realtà ha voluto giocare a carte scoperte, rischiando in prima persona. Riconoscere che l'esperienza sviluppatasi attorno a quel manipolo di giovani aveva in nuce e si è eretta su un ideale che nel reale ha piantato le sue radici

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